ANCHE NOI VOGLIAMO VIVERE! LA CURA DEI BAMBINI HIV+ IN AFRICA MARIA CRISTINA MARAZZI COMUNITÀ DI S.EGIDIO CONFERENZA INTERNAZIONALE –ROMA, 19 MAGGIO 2006 Nel messaggio del primo dicembre del 2005, l’inviato speciale dell’Onu per l’ HIV/AIDS in Africa, Lewis si esprimeva così: “E’ terribile pensare che milioni di bambini che dovrebbero essere vivi, sono morti semplicemente perché il mondo impone una oscena divisione tra ricchi e poveri. Perché tolleriamo che esistano due regimi uno per l’Africa e un altro per i paesi ricchi? Perché tolleriamo la carneficina dei bambini africani e salviamo la vita di ogni bambino occidentale?” Vorremmo fare diventare assordante questo grido muto e, oggi, dare voce a tanti piccoli, a milioni di piccoli affetti da HIV/AIDS in tutto il mondo e particolarmente in Africa. C’è una buona notizia: nel primo mondo, in casa nostra, quasi non nascono più bambini affetti da HIV/AIDS. E c’è una pessima notizia: tanti, milioni di bambini sono nati e nascono affetti da HIV / AIDS nel Sud del mondo e soprattutto in Africa. Tra tutti gli infetti dal virus, i bambini sono uno dei gruppi in aumento. Concretamente: ogni minuto un bambino muore per malattie correlate con l’Aids, ogni minuto un bambino viene contagiato dall’ HIV, ogni minuto 4 ragazzi sotto i 15 anni diventano sieropositivi. Quanti sono dall’inizio di questa mattina? I bambini morti a causa dell’ HIV nel mondo sono 570.000. Di questi, 480.000 in Africa, come tre tsunami. Di tutti quelli che muoiono per l’AIDS, uno ogni 6 è un bambino. Con l’ HIV convivono 2 milioni e trecentomila bambini nel mondo, quasi tutti in Africa, ben 2 milioni. Ma mentre l’AIDS è da più di due decenni un motivo di preoccupazione internazionale, il suo impatto sui bambini è stato scarsamente considerato. Un esempio tra tutti, rivelatore: il numero dei bambini malati e infetti non è stato conteggiato e distinto fino a poco tempo fa. Fino al settembre del 2003 quasi il 40% dei paesi con un’epidemia generalizzata da HIV non aveva una politica nazionale per i bambini in qualche modo toccati dall’AIDS. I bambini sono stati dimenticati in molti modi e a lungo. Bambini e adolescenti sono sempre di più a rischio di infezione e molti di quelli infetti da HIV/AIDS crescono da soli, crescono troppo in fretta, non crescono affatto. Molti muoiono assai presto, dal momento che come è noto la malattia evolve assai 1 più velocemente che nell’adulto. Solo il 40% dei bambini infetti alla nascita supera l’età di 5 anni. Solo 4 su 10 possono sperare di vivere più di cinque anni. La supermortalità dei bambini sotto i 5 anni legata all’ HIV incide pesantemente sulla mortalità infantile contribuendo a ridurre la speranza di vita alla nascita e modifica la struttura demografica della popolazione come si può vedere ad esempio dalla piramide dell’età del Sudafrica, paese fortemente colpito dalla epidemia di AIDS. La piramide del 2000 già presentava una riduzione preoccupante della base dovuta alla diminuzione delle classi di età più giovani 0-4, 5-9 anni. Se non si interverrà massicciamente questa riduzione si accentuerà e condizionerà anche la numerosità delle classi di età successive con un impatto sulla struttura della popolazione futura dalle gravissime conseguenze sociali ed economiche. E’ necessario quindi lavorare perché più bambini nascano sani da madri infette, perché non rimangano orfani, ma anche perché i bambini già infetti da HIV siano aiutati a vivere bene. In questo scenario non è strano che appena 1 bambino su 20 tra quelli affetti da HIV riceva qualche forma di trattamento pediatrico. Qualche migliaio soltanto usufruisce di trattamenti specifici per combattere l’ HIV. Ciò è terribile soprattutto perché la quasi totalità dei bambini nati positivi necessita di trattamento. Di questi 9 su 10 sono bambini africani. Lo sappiamo: la terapia in Africa raggiunge ancora un numero limitato di adulti e curare i bambini in paesi poveri presenta problemi aggiuntivi. Decidere se e quando iniziare il trattamento nei bambini dipende anche da buoni supporti diagnostici che richiedono operatori particolarmente esperti e questo complica le cose in paesi poveri, spesso anche di professionalità adeguate. Noi di DREAM, in questi anni di attività, abbiamo toccato con mano questi problemi. Apparentemente troppo grandi da poter essere risolti. Ma questo è lo spirito di DREAM: non arrendersi di fronte a ciò che appare impossibile. Abbiamo iniziato così a curare e a occuparci anche di questi piccoli pazienti che arrivavano ai nostri centri in Africa. Abbiamo constatato sul campo, in vari paesi, l’aumento che anche le agenzie internazionali hanno registrato, l’aumento dell’infezione tra i bambini africani. A qualche mese dall’inizio di DREAM in Mozambico, nel febbraio del 2002, avevamo in cura solo 20 bambini. Da allora la crescita è stata costante. E siamo oggi a circa 1300 bambini sui 25 mila pazienti coperti da DREAM. Verosimilmente, i 1300 bambini in terapia costituiscono uno dei più grandi gruppi in terapia a livello mondiale. Dove il programma è consolidato, oggi accade che tra i nuovi pazienti di DREAM, quasi uno su due è un bambino. Dal 2003 in molti centri DREAM un giorno a settimana è dedicato alla presa in carico e al controllo dei pazienti pediatrici, nel tentativo di dedicare loro un’attenzione particolare, di individuare il profilo di questo piccolo paziente, di approntare cure adeguate sia in termini di sostegno nutrizionale – essenziale per la riuscita stessa del trattamento- , che di terapia antiretrovirale, di educazione sanitaria 2 dei parenti e fornitori di cure in genere, di assunzione di problematiche sociali che caratterizzano tutti i pazienti e, particolarmente, i più giovani tra questi. Il risultato di questi sforzi congiunti è che i nostri piccoli pazienti vivono significativamente di più e meglio dei loro coetanei che non ricevono alcun trattamento. Ci sono tuttavia ancora strettoie da superare: 1) La diagnosi, soprattutto nei bambini al di sotto dei 18 mesi, non è semplice e richiede particolare competenza in situazione di normale carenza di professionalità adeguate e mezzi diagnostici 2) La tipologia dei farmaci disponibili: sciroppi, di difficile dosaggio, somministrazione e conservazione 3) La debolezza e la povertà delle famiglie e dell’ambiente sociale 4) La carenza se non l’assenza di servizi specifici per l’infanzia in Africa 5) La sostenibilità economica. Per motivi di brevità esaminerò solo alcuni aspetti problematici. I farmaci generici di prima linea sono formulati come sciroppi, 3 sciroppi, da assumere 3 volte al giorno. Immaginiamo cosa vuol dire 9 somministrazioni al giorno da adattare in tre casi ai metri quadri di superficie corporea, e negli altri casi al peso in chilogrammi. Il tutto da misurare in millilitri. Non è finita qui: se i bambini sono anemici, e questo succede spesso anche a causa della onnipresente malaria, o se necessitano di una seconda linea almeno uno sciroppo deve essere sostituito da un farmaco disponibile solo in compresse . Di questo compresse non esiste formulazione pediatrica. La pasticca deve pertanto essere spezzata e si corre il rischio che il principio attivo sia sovra o sotto-dosato. Il risultato è di estrema complessità nell’assunzione della terapia rispetto alle due pasticche al giorno necessarie per controllare l’ HIV nel malato adulto. C’è un’altra considerazione da non dimenticare, tra le difficoltà: l’80% dei bambini in cura presso i centri Dream è orfano, cioè ha perso almeno un genitore. Spesso il genitore ancora presente è malato e comunque non in grado di prendersi cura del bambino. I bambini sono spesso accuditi dalla nonna, da parenti o da vicini. Pertanto occorre accompagnare nella terapia gli adulti incaricati, per evitare pericolosi errori: per affetto e per problemi di analfabetismo, persone che non sanno contare, infatti, possono commettere errori molto gravi nella somministrazione della terapia. È nata così la terapia assistita a domicilio, che è resa possibile dallo straordinario ruolo delle donne “attiviste” di DREAM, persone in cura che sono diventate il perno organizzativo, educativo, culturale e sociale dell’intera scommessa che DREAM sta vincendo nelle società africane. La visita a casa permette di valutare il contesto, di rilevare le altre necessità primarie che, se non affrontate, condizionerebbero l’efficacia della terapia, e di introdurre la dimensione indispensabile di educazione sanitaria a tutto campo. Cibo, acqua pulita, educazione sanitaria, educazione alimentare con pasti calibrati e più nutrienti, adatti alle necessità dei piccoli pazienti, zanzariere per la prevenzione della malaria sono alcuni degli interventi messi in atto da DREAM per i più piccoli. Ma anche 3 l’iscrizione anagrafica di bambini che sono e rimarrebbero “invisibili” e l’inserimento scolastico per i più grandi. Questa serie di sostegni, solo apparentemente di interesse esclusivamente sociale, si sono dimostrati dei fattori molto forti per l’aderenza dei piccoli pazienti alla terapia e per la riuscita del trattamento antiretrovirale. Si è realizzata così quella sinergia tra sociale e sanitario, utile sempre, ma fattore decisivo per il successo del programma DREAM in Africa, in condizioni sociali e ambientali considerate proibitive. C’è una ricaduta ulteriore. Per molti orfani preadolescenti infetti da HIV, le attiviste “Donne per DREAM” sono un punto di riferimento. Spiegano e accompagnano nella comprensione della sieropositività, prevengono la crisi legata a questa scoperta, diventano sostegno personale e sociale, impediscono la loro trasformazione in bambini di strada. La copertura economica per questi sostegni è stata ottenuta tramite adozioni a distanza dei bambini HIV positivi, generosamente sostenute da tante famiglie europee. La buona notizia, allora, c’è. Tutto questo è possibile, è socialmente incoraggiante, è economicamente sostenibile. Aiutare si può, curare si può, dare sollievo e speranza a tanti bambini e giovani e alle loro famiglie è possibile. Ma bisogna fare presto, bisogna concentrare tutte le risorse possibili, lavorando insieme, africani e non africani, governi, agenzie internazionali, organizzazioni umanitarie, ricercatori, grandi soggetti farmaceutici, donatori e sostenitori. Bisogna lavorare insieme perché la terapia sia disponile a basso costo per tutti i bambini e perché essa sia più efficace e semplice da somministrare. Perché i kit diagnostici dedicati siano di facile uso, affidabili e disponibili. Perché le politiche degli stati coinvolti dalla pandemia dell’AIDS includano l’infanzia tra le loro priorità, perché l’infanzia malata e a rischio sia al centro delle preoccupazioni e degli interventi, come chiave per il sostegno alle donne e alla famiglia tutta, come prevenzione alla disgregazione sociale. E’ possibile. E’ possibile che quello che oggi sembra solo un problema così grande da volerlo nascondere e tacere, possa diventare un altro inizio di futuro e resurrezione per l’Africa. 4