Capitolo 2 2. OTTICA FISIOLOGICA 1. MODELLI DELL’OCCHIO L‟occhio è costituito da una serie di diottri con curvature non propriamente sferiche. Gli indici di rifrazione sono diversi tra individuo e individuo e molto spesso anche nello stesso individuo variano col passare dell‟età. Al fine di creare una schematizzazione accettabile si può pensare a quattro diottri: Le due superfici della cornea Le due superfici del cristallino Curvature dei diottri oculari La cornea. Come si può vedere dalla tabella a lato, il raggio di curvatura della faccia anteriore della cornea è maggiore di quella della faccia posteriore. Pertanto, presa in aria, la cornea si presenta come un menisco negativo di circa -6,00 dt. in effetti, nell‟occhio la faccia posteriore è a contatto con l‟umore acqueo della camera anteriore, che possiede un indice di rifrazione quasi uguale a quello corneale, rendendo così molto basso il contributo diottrico di tale superficie. La faccia anteriore della cornea mantiene un certo grado di sfericità in un‟area centrale Ottica fisiologica abbastanza piccola. Procedendo verso la periferia, già appena oltre 4mm dall‟apice, il Raggio di curvatura aumenta senza soluzione di continuità fino 4mm dal linbus ove riprende a calare. Si origina in paratica una curva asferica con un‟eccentricità attestata intorno allo 0,6. Naturalmente quando la cornea dovesse assumere la forma torica la definizione della sua curva si complica ulteriormente. Il cristallino. E‟ necessario fare alcune considerazioni: 1. il cristallino è l‟organo deputato a variare la potenza dell‟occhio quando debba essere esercitata la focalizzazione su oggetti vicini. Pertanto quando ci si riferisce alla curvatura delle sue facce è sempre da precisare se le si intenda allo stato accomodato ovvero disaccomodato. Ulteriori variazioni possono verificarsi anche a seconda che ci si trovi in ambiente fotopico o scotopico. I valori riportati in tabella sono relativi alla condizione fotopica. 2. in relazione al contributo diottrico totale, è necessario rilevare che il cristallino non è perfettamente in asse con il sistema. Esso risulta essere leggermente ruotato in modo tale che la parte alta e quella tempiale si trovano spinte in avanti rispettivamente di 3° e di 7°. Ciò che deriva da tale scorrettezza di posizione è un lieve (0,50 dt.) astigmatismo “contro regola”, che viene generalmente compensato da un simile, in valore, astigmatismo secondo regola a carico della superficie anteriore della cornea (astigmatismo fisiologico). In modo tale la condizione rifrattiva finale viene ricondotta verso l‟emmetropia. 3. La misura dell‟indice di rifrazione non è agevole come quello della cornea e dell‟umor acqueo. Infatti nel cristallino esso varia man mano che si procede dall‟esterno verso l‟interno. Si usa considerare, per comodità di calcolo, un indice di 1,41. 2. OTTICA DELL’OCCHIO Operando con la classica formula di calcolo del potere: n n1 2 R applicata ai quattro diottri principali dell‟occhi, si ottengono i seguenti risultati: Capitolo 2 La potenza totale dell‟occhio non risulta dalla somma dei vari diottri, in quanto bisogna tener conto delle distanze di separazione esistenti tra loro. La potenza finale risulta essere circa di 60 dt . Sin dalla metà del IXX secolo sono state proposte varie versioni di Occhio artificiale, che potesse funzionare come occhio teorico sul quale ricavare tutte le misure, onde definirne il comportamento rifrangente. La più autorevole di queste è quella proposta dallo svedese Alvaro Gulstrand, al quale, proprio in merito di questi studi, fu attribuito il premio Nobel nel 1911. Dalla matrice originaria dell‟occhio schematico di Guilstrand,. Sono state ricavate altri modelli più semplificati dei quali l’occhio ridotto risulta la più semplice. Occhio schematico esatto di Gulstrand Occhio schematico semplificato di Gulstrand-Emsley Occhio Ridotto Confronto tra l’occhio ridotto e il modello di Gulstrand Ottica fisiologica Sicuramente l‟occhio schematico di Gulstrand è più simile ad un occhio normale rispetto alla versione ridotta. Comunque anche usando l‟occhio ridotto si traggono delle conclusioni, più approssimate, ma sufficientemente valide. Come si è detto la potenza totale è 60 dt, l‟indice di rifrazione è 4/3 (1,33‾). I piani principali vengono ridotti ad uno posto tangente all‟apice corneale. Ugualmente, i punti nodali diventano uno posto a 5,7mm dall‟apice corneale. Con questi elementi è agevole calcolare le focali: la focale oggetto: f = -16,67mm la focale immagine: f’ = 22,22 mm Affinché il comportamento rifrattivo dell‟occhio sia corretto è necessario che l‟immagine di un oggetto puntiforme monocromatico, posto sull‟asse ottico all‟infinito, si formi sul piano della retina. In pratica la lunghezza della focale immagine (f’) deve coincidere con la distanza tra il piano principale e il piano dei ricettori retinici f ' d pp r Quando tale situazione si verifica l‟occhio viene definito rifrattivamente emmetrope. Al contrario, quando ciò non è verificato, l‟occhio è definito ametrope. Si enuncia, pertanto, il concetto di ametropia come assenza di proporzionalità tra potenza del diottro-occhio e lunghezza assiale dell‟occhio. Capitolo 2 L’accomodazione. Secondo le regole dell‟ottica geometrica, il fuoco immagine, generato da un sistema diottrico, è il punto coniugato all‟oggetto posto sull‟asse ottico a distanza infinita. Quando il punto oggetto si sposta dall‟infinito al finito (s<∞), il punto immagine, ad esso coniugato, aumenta la sua distanza dal vertice del diottro (s’>f’). Da ciò si deduce che, volendo mantenere bloccata l‟immagine in un preciso punto dell‟asse ottico, pur facendo cambiare posizione al punto oggetto, è necessario variare opportunamente la potenza della superficie diottrica, modificandone il raggio di curvatura e/o l‟indice di rifrazione del materiale di cui è costruita. Questo principio applicato al diottro-occhio farebbe prevedere che se l‟oggetto fissato dall‟occhio si trova al finito, la sua immagine va a formarsi oltre il piano dei ricettori retinici. In pratica sulla retina si dovrebbe trovare un disco di confusione visiva. Dato che si osserva che l‟occhio ha capacità di mantenere il piano della propria retina sempre perfettamente coniugato con l‟oggetto osservato, qualunque sia la sua posizione sull‟asse ottico, si può dedurre la presenza all‟interno dell‟occhio stesso di un meccanismo che ne consente la variazione di potenza ( escludendo ogni possibilità biologica di variazione di indice). Tale meccanismo prende il nome di accomodazione. Nel tentativo di darne spiegazione, durante gli ultimi quattro secoli, l‟accomodazione è stata oggetto di notevoli speculazioni scientifiche. Si suggerì che la contrazione pupillare diminuisse i cerchi di confusione in modo tale da consentire di vedere nitidamente, ma esperimenti dimostrarono che un foro stenopeico, pur piccolo, non consente di rendere nitidi oggetti prossimi con la focalizzazione a distanza. Altri suggerirono che l‟occhio si allungasse, come si faceva negli apparecchi fotografici a lastre. Altri ancora pensarono che la focalizzazione fosse ottenuta mediante una variazione della curvatura corneale. Una alla volta tutte queste teorie vennero escluse da altrettanti esperimenti che ne dimostravano l‟inesistenza. Alla fine non rimaneva che rivolgere la propria attenzione al cristallino. Keplero (1611) riteneva che i cambi di focalizzazione dell‟occhio avvenissero a seguito di movimenti del cristallino lungo l‟asse ottico, teoria questa che venne abbandonata quando si definì che gli spostamenti utili dovevano superare i 10 mm verso la cornea. Descartes (1677) suggerì che l‟accomodazione fosse esercitata da variazione nella curvatura del cristallino originate da un muscolo presente all‟interno del corpo cristallinico stesso. Cramer (1851) associò l‟attività accomodativa all‟azione del muscolo ciliare capace di spostare in avanti la coroide che per spinta modificava la curva del cristallino. La teoria ancor oggi più accettata è dovuta principalmente a von Helmholtz e ai seguenti perfezionamenti operati da Fincham tra la fine dell‟‟800 e i primi del „900. Durante il processo accomodativo, il corpo ciliare si contrae spostandosi verso la parte anteriore e centrale dell‟occhio, diminuendo il suo diametro. In tal modo la tensione normalmente esercitata sulla zonula di Zinn per la focalizzazione lontana si riduce, lasciando libero il cristallino elastico di assumere una forma più Ottica fisiologica curva. Al contrario, quando la contrazione del corpo ciliare cessa, aumenta la tensione sulla zonula che torna a tirare il cristallino, rendendolo più ”piatto”. Alla luce delle conoscenze attuali, si è in grado di affermare che il processo accomodativo è la risultante di molti fenomeni ancor oggi non del tutto chiari. Sicuramente dal punto di vista innervativo l‟accomodazione dipende dal sistema parasimpatico e dall‟attività antagonista del simpatico. Gli stimoli che ne determinano l‟attività sono: Lo sfuocamento dell‟immagine sulla retina centrale La coscienza della prossimità dell‟oggetto osservato La grandezza dell‟oggetto L‟aberrazione cromatica oculare In assenza di stimoli adeguati, come accade in ambiente privo di punti di riferimento (ridotta illuminazione), l‟attività accomodativa non si azzera, come si possa pensare, bensì registra una moderata contrazione che si attesta in circa 1-1,5 dt. Tale condizione, che si ritiene rappresenti lo stato di riposo del sistema, introduce i fenomeni visivi che vanno sotto il nome di miopia notturna e/o miopia da campo vuoto (miopia degli astronauti). L’ampiezza accomodativa. Quanto sopra esposto chiarisce che il meccanismo accomodativo si basa sulla struttura elastica del cristallino. Tale elasticità non è costante nel tempo. Essa varia nell‟arco della vita: è massima nella prima infanzia e tende progressivamente a ridursi con il tempo. Si definisce Ampiezza Accomodativa la quantità massima di potere accomodativo, in diottrie, che l‟occhio può aggiungere con il massimo sforzo del muscolo ciliare. In effetti l‟ampiezza accomodativa dipende poco dalle capacità del muscolo ciliare, il cui tono rimane abbastanza costante nel tempo. È invece l‟elasticità del cristallino che consente il cambio di curvatura e che come si è detto diminuisce con l‟aumento dell‟età. Il concetto di ampiezza accomodativa introduce due elementi che da essa strettamente dipendono: il punto remoto di accomodazione il punto prossimo di accomodazione Nella condizione di totale rilassatezza dell‟accomodazione, il punto oggetto sull‟asse ottico, che risulta coniugato con la retina dell‟occhio, definisce la posizione (s) del punto remoto di accomodazione (PRA) . In altre parole il PRA è il punto, sull‟asse ottico, più lontano dall‟occhio ( dal p.p.) visto nitido ad accomodazione totalmente rilassata. Applicando questo concetto all‟occhio emmetrope, come definito in precedenza, si comprende che la posizione del PRA dovrà essere inderogabilmente sempre all‟infinito. Al contrario, quando tutta l‟accomodazione è esercitata, l‟occhio aumenta al massimo valore possibile la potenza totale del suo sistema diottrico. Anche in questa condizione ci sarà un punto dell‟asse ottico perfettamente coniugato con la retina. Tale punto risulta essere il più vicino in assoluto all‟occhio ( al p.p.) ove, ponendo un oggetto, esso è visto nitido. Tale punto prende il nome di punto prossimo di accomodazione (PPA). In altre parole il PPA è il punto più vicino all‟occhio percepito nitido con la massima accomodazione disponibile esercitata. Capitolo 2 A differenza del PRA, non è possibile definire una posizione univoca del PPA. La sua posizione, infatti, dipende dalla massima quantità di accomodazione esercitatilem, che come abbiamo definito in precedenza è variabile con l‟età. Di certo è possibile affermare che il PPA nei soggetti giovani è più vicino all‟occhio che non nei soggetti anziani. Va da se che la distanza compresa tra il PRA e il PPA rappresenta la porzione di spazio che l‟occhio riesce, variando l‟accomodazione, a mantenere coniugata con la retina senza soluzione di continuità. Se tale distanza la si valuta dal punto di vista funzionale, essa viene essere definita: Intervallo di visione nitida. Se invece si vuole porre in rilievo il meccanismo da cui deriva la si definisce: Spazio accomodativo. In ogni caso la sua dimensione è legata al valore dell‟Ampiezza Accomodativa.