La linfocisti é una patologia cronica e benigna sostenuta da uno o più agenti virali che causano un'ipertrofia marcata a livello della cute e delle pinne in più di 100 specie di pesci sia allevati che selvatici. Questa patologia, nota già dal 1914, é causata da uno o più virus appartenenti alla famiglia Iridoviridae. La trasmissione avviene per contatto diretto e in allevamento, quando si stabiliscono elevate densità della popolazione la morbilità é molto elevata, soprattutto se alcune operazioni, da parte dell'allevatore, aumentano i traumi esterni e quindi lo stress. La linfocisti può essere trasmessa per coabitazione, per esposizione ad acqua infetta e non sembra sia coinvolta la via orale. Le popolazioni colpite, che possono appartenere a diversi aree geografiche (acqua dolce, ambiente estuarino e marino) rappresentano un serbatoio per la crescita del virus. Non é stata dimostrata l'esistenza di trasmissione verticale. Sembra che il tempo di incubazione e la durata della malattia dipendano dalle specie colpite e dalla temperatura dell'acqua. I noduli possono apparire dopo una settimana o un anno dall'infezione, a seconda della specie ospite e delle condizioni ambientali. Le lesioni, che normalmente si risolvono, possono lasciare leggere cicatrici nel tessuto. In condizioni normali di allevamento si possono rilevare episodi di cannibalismo a seguito delle lesioni cutanee. I pesci affetti presentano noduli grigiastri, disseminati nella cute e pinne, che possono creare problemi al nuoto. Tali formazioni sono costituite da ammassi di cellule ipertrofiche (le dimensioni aumentano di 50.000-100.000 volte) all'interno del tessuto connettivo, le cosiddette cellule della linfocisti. Le cellule presentano una capsula ialina, un grosso nucleo e grandi inclusioni citoplasmatiche basofile. Nel citoplasma di queste particolari cellule maturano i virioni, i virus responsabili della malattia. Raramente si notano lesioni a carico degli organi interni. Nel corso della malattia clinica i soggetti colpiti non si alimentano regolarmente. La diagnosi si basa sull'osservazione delle specifiche lesioni. In seguito, per verificare la diagnosi si conducono in laboratorio test istologici e si effettua l'isolamento del virus su specifici terreni di coltura, costituiti da cellule. Non vengono invece applicate tecniche sierologiche come esami di routine. In vitro si è osservato che il virus viene inattivato quando esposto all'etere o al cloroformio, al calore (56-60°C), o pH 3, ma è resistente a cicli di congelamento e scongelamento. Le perdite economiche non sono apparentemente significative. Negli allevamenti di branzini questa patologia può rappresentare un fattore limitante durante il primo stadio di vita, quando gli avannotti raggiungono 1-3 mesi di vita. La situazione può essere aggravata dalle infezioni batteriche che si instaurano sulle lesioni ulcerose derivate da fenomeni di cannibalismo. La persistenza di evidenti segni esterni per 1-2 mesi, accompagnata da una crescita ridotta, ovviamente impedisce la vendita dei pesci colpiti che assumono un aspetto sgradevole. Quindi oltre al danno economico diretto, costituito essenzialmente dalla mortalità dei soggetti e dai costi relativi ai trattamenti terapeutici, esiste un secondo danno, non meno grave, rappresentato dalla ritardata vendita durante la fase sintomatica che provoca un momentaneo arresto dei cicli di produzione. Il controllo della linfocisti consiste nell'esclusione dell'agente virale dagli allevamenti. Gli impianti infetti vanno svuotati, disinfettati e ripopolati con uova precedentemente disinfettate. Oggi per ridurre il danno economico dovuto alle infezioni batteriche secondarie si ricorre agli antibiotici, somministrati per via orale, ma quando impiegati in dosi massicce possono creare problemi, perché inducono fenomeni di farmacoresistenza. Fino a questo momento non si conoscono invece terapie specifiche e sistemi di immunizzazione nei confronti del virus. Vengono quindi suggeriti dei sistemi di profilassi e prevenzione come il trattamento dell'acqua di rifornimento mediante raggi ultravioletti e la disinfezione delle uova embrionate, osservando per tutte le operazioni scrupolose norme igieniche, e gestendo l'allevamento in modo da ridurre ogni stress. Dott.ssa Sandra Zanchetta Dott.ssa Antonella Magni