CHARLES DARWIN ( 1809 – 1882 ) e HERBERT SPENCER ( 1820 – 1903 ) Dal Positivismo Sociologico al Positivismo Evoluzionistico Inaugurando una Filosofia della Storia alternativa all’Idealismo e al Materialismo, il Positivismo di Comte rendeva in realtà possibile un dinamismo evolutivo dei Saperi umani che poteva ormai affrancarsi dal dominio della ‘dialettica della contraddizione’, comune sia allo ‘storicismo hegeliano’ dello Spirito vivente e assoluto come il Fine immanente che governa la storia, sia allo ‘storicismo marxista’ che profetizza la fine dell’alienazione dell’uomo attraverso la prassi rivoluzionaria, negatrice della Proprietà privata. Il disprezzo positivista per queste filosofie ‘dialettiche’, le relega infatti nel più disorganico e infruttuoso periodo della storia umana, il periodo dominato dall’astrattezza e dalla sterilità della Metafisica. Evidenziando invece l’unità organica ed autonoma dei saperi, già al centro del programma educativo dell’Enciclopedia dell’Illuminismo, diventa possibile riconoscere un dinamismo interno nella loro unità strutturale, capace di generare l’avvicendarsi storico dei saperi dominanti nelle diverse epoche, secondo la Legge dei tre Stadi. Accade così che durante il dominio strutturale di un sapere su tutti gli altri, come avvenuto per la Teologia, si realizzino le condizioni per il sapere che dovrà sostituirlo, così come le religioni monoteiste hanno preparato l’avvento del sapere Metafisico come nuovo sapere dominante. In questo senso, sono i Saperi stessi a diventare agenti della trasformazione strutturale della loro unità, agenti della loro Trasformazione Evolutiva, dove il concetto di Evoluzione aggiunge al semplice accadere di una trasformazione sia il senso di un cambiamento non più reversibile, perché destinato a sua volta a potersi trasformare secondo il progredire di una linearità temporale storica essa stessa irreversibile, sia il senso di un cambiamento indipendente da qualunque entità esterna, perché determinato esclusivamente dall’organicità strutturale dei saperi, e per questo non più soggiacente ad alcuna finalità. All’interno del movimento fondato da Comte, divennero ben presto dominanti quelle ricerche e filosofie volte a interpretare ‘l’ordine dei Fatti’ di una particolare scienza come il prodotto di una trasformazione evolutiva, come fece Darwin per la Biologia o Scienza della vita con la Legge della Selezione naturale, o come fece Spencer con la sua Filosofia Sintetica, assumendo il concetto di Evoluzione come chiave interpretativa della totalità del reale. La Legge della Selezione naturale a fondamento dell’Evoluzione Biologica Già nel Settecento, il secolo che impara a guardare ogni realtà con il lume della Ragione per dissipare pregiudizi e superstizioni, si erano polarizzate due posizioni contrastanti sull’origine della vita organica, nei generi vegetale e animale, a seguito degli studi eseguiti sui ‘fossili’. Dapprima considerate semplici ‘pietre figurate’, i fossili cominciarono improvvisamente a ‘parlare’, raccontando di specie vegetali e animali diverse e anteriori a quelle attuali, specie estinte che mettevano in dubbio l’originarietà delle attuali forme di vita, da interpretare piuttosto come l’effetto di un trasformismo biologico subito dalle specie viventi, ipotizzato a partire dalle somiglianze e differenze dei fossili con le specie attuali. La prima posizione sosteneva la fissità originaria di tutte le specie viventi, tutte uscite dalla mano creatrice di Dio e in accordo con le essenze eterne delle Idee platoniche e delle Sostanze aristoteliche, che declassavano le differenze esteriori a puri ‘accidenti’; una posizione che trovò la sua coerente espressione nella classificazione di Linneo, convinto di poter rappresentare la statica eternità delle specie create, immobili ed eterne secondo l’interpretazione letterale del racconto biblico della Genesi, procedendo per differenze sensibili e qualitative. L’altra posizione, suffragata anche dalle contemporanee ricerche sui ‘fatti geologici’ della storia della Terra, pronte a riconoscerle un dinamismo evolutivo lungo almeno 100.000 anni, contro i 6.000 ricavabili dalla Bibbia, accoglieva come plausibile l’ipotesi di ‘trasmutazioni’ nelle singole Specie, nel tempo e nello spazio, dapprima attraverso la Teoria della Catastrofi, sostenuta dal grande naturalista Cuvier, secondo cui la storia della Terra sarebbe stata punteggiata da periodiche catastrofi naturali, responsabili di imponenti mutamenti geologici e della ‘fossilizzazione’ delle specie estinte, e successivamente con le tesi di Lamarck, sostenitore della gradualità delle mutazioni negli individui di una Specie, nel loro adattarsi all’ambiente esterno, come avvenuto per es. con le giraffe; mutazioni trasmesse poi ereditariamente ai discendenti e destinate a diventare dominanti nella Specie medesima, secondo il fine della sua conservazione attraverso progressivi adattamenti degli organi e delle loro funzioni. E’ in relazione a questo contesto che Darwin riflette sull’enorme mole di dati e di fatti raccolti durante il suo viaggio naturalistico a bordo del brigantino Beagle (1831-1836), arrivando a rovesciare la tesi del Lamarck: non è l’ambiente a determinare univocamente la mutazione nella Specie, bensì è il diversificarsi graduale delle ‘variazioni’ di un determinato organo e funzione negli individui di una Specie, a ‘selezionare’ la variazione più adatta a costituire il carattere distintivo della Specie da trasmettere ereditariamente, cosicchè la natura opera in analogia con quanto fanno agricoltori e allevatori con la ‘selezione artificiale’ delle piante e dei capi di bestiame. Ma come avviene questa ‘selezione naturale’, se si deve giustificare la presenza di molteplici variazioni di una Specie in un medesimo spazio geografico isolato, dove non ci sono possibilità di incroci, come quello delle isole Galàpagos, visitato e studiato da Darwin, o il permanere di una medesima variazione organica in Specie viventi in ambienti e tempi diversi tra loro? Perché insorgono, infine, le ‘variazioni’? E come si determina quella più adatta ad deve essere conservata e trasmessa? D. risponde integrando la teoria della pura e semplice ‘selezione’ con la teoria di R. Malthus sulla necessaria ‘lotta per l’esistenza’ che gli uomini sono costretti a ingaggiare tra loro per accaparrarsi le risorse per sopravvivere, in un regime di squilibrio tra l’elevata crescita demografica della specie umana e la ridotta disponibilità delle risorse per tutti. Appare così che la ‘selezione naturale’ non è responsabile soltanto della mutazione di una Specie, bensì dell’insorgenza di nuove specie, ed è quindi una teoria ‘evolutiva’, come D. espone ne ‘L’origine delle Specie’ del 1859, e che così possiamo sintetizzare: negli individui di una Specie originaria, che è possibile ipotizzare come l’antenato comune a tutte le specie, si determinano molteplici ‘variazioni’ nelle funzioni e negli organi condizionati dall’ambiente esterno; ogni variazione lotta contro le altre per diventare il carattere evolutivo dominante da conservarsi ereditariamente, come accadde per es., applicando questa teoria evolutiva alle origini della specie umana, tra le varie tipologie di ‘ominidi’; senonchè tutte le variazioni si rivelano essere nient’altro che minime differenze sviluppantesi tra due estremi, come possono essere stati ‘l’homo sapiens’ da un lato e la ‘scimmia attuale’ dall’altro. Nella competizione interna tra le Variazioni, solo quelle più estreme si rivelano come le più adatte ad essere conservate per il ‘vantaggio adattativo’ che permettono di conseguire sulle altre, finendo così per dare origine a due nuove Specie che sono l’evoluzione dell’antenato comune, ormai scomparso, e al tempo stesso sono la causa della condanna ad una rapida estinzione delle Specie intermedie. Ma attenzione! La variazione più adatta ad essere conservata è tale non perché sia il raggiungimento di un Fine, o il superamento di una contraddizione o alienazione, come in Marx; la conferma della variazione più adatta avviene sul campo, non nella teoria, con il ‘fatto’ della maggiore probabilità che la ‘variazione selezionata’ venga trasmessa ereditariamente, in quanto il vantaggio pratico da essa conseguito permetterà ad un maggior numero di individui di quella Specie di raggiungere la ‘maturità sessuale’, e rendere così dominante la variazione selezionata. Applicare una teoria evolutiva di questo genere alla specie umana significava non solo negare ogni teoria creazionista delle specie viventi, ma soprattutto togliere l’uomo dal piedestallo di una unicità spirituale, ad immagine della spiritualità divina, a cui era stato innalzato da tutta la cultura religiosa e filosofica precedente. Tale teoria rendeva infatti plausibile il riconoscimento scandaloso di una natura comune tra l’uomo e l’animale, ponendo tra le due specie una semplice differenza di grado nell’evoluzione di alcune funzioni, l’intelligenza, la coscienza e la moralità, esse stesse giustificate dall’agire di un naturale meccanismo selettivo, operante senza obbedire ad alcuna finalità teleologica. Alle accuse di ateismo, D. rispose con un sostanziale e prudente agnosticismo, che sospendendo il giudizio sulla creazione divina, la riduceva in realtà ad una semplice ipotesi estranea alle conoscenze raggiunte dalla Biologia positiva, attizzando proprio per questo continui attacchi ad un evoluzionismo biologico considerato scandalosamente pericoloso per la connessione del progresso evolutivo con l’assenza di ogni finalità. Le Leggi Evolutive di Spencer e la fede nel Progresso - La filosofia dell’inglese Herbert Spencer è l’estensione del principio dell’evoluzione a tutta gli aspetti realtà, secondo quell’unità organica dei saperi che è il denominatore comune di tutte le forme di Positivismo, e in nome della quale egli supera il tradizionale contrasto tra Scienza e Religione. Se le Leggi dei molteplici saperi e scienze sono sempre relative ai ‘fatti’, la loro generalità, seppur sempre più estesa, non potrà mai assumere un valore assoluto, cosicchè l’intima natura della causa unitaria del Tutto, inaccessibile all’esperienza come il Noùmeno kantiano, resta un mistero impenetrabile, pensabile nella sua esistenza necessaria, ma Inconoscibile. Come tale, esso è sostanzialmente un oggetto di fede, circoscritto ai simboli e alle pratiche della religione, in una complementarietà dei rispettivi saperi che trovano nella Filosofia lo stadio evolutivo finale della loro unità organica. In quanto essa stessa prodotto evolutivo, la filosofia governa tutti gli ‘ordini dei fatti’ nel segno del costante progresso da una forma Incoerente ad una più coerente, come avvenuto nella formazione dell’universo, ma anche nella formazione delle comunità nazionali e dei singoli corpi, dall’Omogeneo all’Eterogeneo, con la differenziazione delle parti e funzioni nei corpi organici, e dall’Indeterminato al Determinato, come accade nelle società umane, sempre più caratterizzate da istituzioni e ruoli specifici. In opposizione alla Sociocrazia di C., S. vede nella moderna società industriale il passaggio evolutivo necessario per instaurare una cooperazione libera e spontanea tra gli uomini, capace di opporsi al dirigismo o controllo statale, ma questo liberalismo estremo finì per offrire una giustificazione al darwinismo sociale, che applicava alle società umane la teoria biologica della selezione naturale e individuava nelle razze e classi più deboli un ostacolo al progresso e all’evoluzione sociale.