LO SBIANCAMENTO DEI NEGRI Roberto Renzetti Effettivamente il

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LO SBIANCAMENTO DEI NEGRI
Roberto Renzetti
Effettivamente il problema esiste, perché negarlo? Negli Stati Uniti, in modo particolare, il fenomeno ha
assunto aspetti di una tale rilevanza che occorreva porre rimedio. Il problema dei negri è di tale gravità che
presto o tardi esploderà in modo ancora più clamoroso di quanto fino ad oggi abbiamo conosciuto. Perché
non prevenire tutto ciò? Perché non porre rimedio, finché si è in tempo, a questa situazione insostenibile in
un modo tanto semplice quanto clamoroso?
Sbianchiamo i negri: ogni problema di colore si scioglierà come neve al sole.
La difficoltà sta nel realizzare l'operazione. Le vernici non reggono all'usura del tempo e, poi, rischiano
di non far respirare il soggetto trattato. Come fare?
Ho incontrato la soluzione sfogliando una vecchia raccolta della prestigiosa rivista francese La Nature,
bollettino dell'Académie des Sciences di Parigi.
L'articolo di apertura del n. 1814 della rivista (29 febbraio 1908) ha per titolo: «Si possono sbiancare i
negri?». L'autore, V. Forbin, così scrive:
«La questione si presta a delle battute di dubbio gusto, ed anche vecchio, che noi ci ripromettiamo
accuratamente di evitare. Ma è incontestabile che essa ha preoccupato per molto tempo degli ingegni
serissimi, soprattutto negli Stati Uniti, in cui i pregiudizi di colore hanno dato luogo ad una crisi sociale di
cui nessuno sarebbe in grado di predirne la fine. Nessuno oserebbe negare che la soluzione del Color
Problem sarebbe sulla strada buona se fosse possibile 'sbiancare i negri'. Certamente resterebbe da stirare i
loro capelli, e soprattutto da aggiungere alcune cellule nervose al loro cervello, notoriamente meno pesante
del cervello della razza rivale, e meno ricco in materia grigia ed in materia bianca. Ma il conduttore di un
tram esiterebbe a sbattere fuori dal suo veicolo un passeggero che avesse la pelle apprezzabilmente bianca.
Allo stesso modo se i capelli ed i tratti scuotessero la sua prima impressione, egli non oserebbe trattare il
sospetto con quella brutalità che, negli Stati del Sud, è usuale nei riguardi dei negri, sia qual sia il loro
rango sociale e la loro educazione».
Benissimo, quindi il Sig. Forbin è d'accordo con me! Anzi, egli aggiunge qualcosa alla quale non avevo
pensato: fare il tiraggio a quei capelli crespi, in modo che neanche quella cosa sgradevole si noti più. Per la
verità egli aggiunge dell'altro, certamente auspicabile, ma, altrettanto certamente, futuribile. Siamo sinceri,
sembra a tutt'oggi impossibile aggiungere cellule al cervello umano. In ogni caso conviene non disperare. Per
intanto se si riesce a sbiancare il negro e a lisciargli i capelli certamente saremo già sulla buona strada:
almeno i poveretti non saranno più maltrattati dal conduttore di un tram. Resta comunque il problema: come
fare? Il tiraggio dei capelli non dovrebbe presentare difficoltà alcuna, ma lo sbiancamento? Leggiamo oltre:
«Un vecchio dottore di Filadelfia crede di aver scoperto questo gran segreto. Tutti sanno che i raggi X
godono della proprietà di distruggere la materia colorante della pelle. Basandosi su un fenomeno
debitamente verificato, questo medico si sarebbe dedicato a una serie di esperimenti, iniziati da circa sette
anni, che gli avrebbero fornito tali risultati da non fargli temere di aprire un istituto, o clinica, in cui la
clientela non avrebbe tardato ad affluire».
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A questo punto il Sig. Forbin fa una breve storia dell'impresa del medico di Filadelfia: egli, all'inizio,
non si era specializzato nello sbiancamento dei negri ma nell'eliminare le voglie di vino o altre colorazioni
anomale ai bianchi. Ma, dopo i soddisfacenti risultati conseguiti con un negro adulto, al quale era riuscito a
sbiancare sensibilmente la faccia, capì che doveva proseguire su questa strada. Il procedimento era poi
semplicissimo: sottoporsi all'azione dei raggi X in diverse sedute successive. Testimoni degni di fede
assicurano di aver assistito agli esperimenti. Essi raccontano: dopo una decina di sedute, la pelle di un negro
originario dell'Africa centrale già assumeva una colorazione marrone chiaro. Prolungando il trattamento si
otteneva una tinta olivastra. Con certi soggetti l'opacità della pelle diventava come quella di un creolo. Alla
trentina (e passa) di trattamenti si raggiungeva lo scopo, proprio a tempo perché pare che a quel punto la
resistenza fisica dei soggetti venisse meno. In ogni caso la tinta ottenuta per trattamenti prolungati era un bel
bianco malato (con l'espressione del Sig. Forbin).
Lo stesso Sig. Forbin ci racconta che, in fondo, i tentativi di sbiancamento dei negri sono iniziati ad
opera dei negri stessi. Essi correvano dallo stregone per comprarsi pomate ed unguenti che dovevano far
conseguire la tanto desiderata colorazione bianca. E chi dicesse che forse i negri hanno un ideale di bellezza
diverso dal nostro, verrebbe subito smentito dal Sig. Forbin il quale ci avverte che questo può accadere in
negri che non hanno mai visto i bianchi. Quando, al contrario, il negro ha modo di avere la visione del bianco
allora il suo ideale è a terra.
A questo punto il negro si vergognerà di se stesso, si vedrà come un mangiatore di carne umana. Ma
egli prenderà la sua rivincita: si stirerà i capelli, dirà che tra i suoi antenati c'è un bianco e, in definitiva, se
gliene sarà data la possibilità, andrà a sbiancarsi dal medico.
Fin qui l'articolo del Sig. Forbin.
Che dire?
Si è tanto discusso di scienza e razzismo (si può vedere allo scopo P. Thuillier, Les scientifiques et le
racisme, su la «Recherche» n. 45 del maggio 1974) che non è proprio il caso di entrare in analisi complicate.
Probabilmente qualche osservazione può risultare interessante. Intanto queste sperimentazioni: in un paese
come gli Stati Uniti, che si apprestava a dare all'Europa i 14 punti di Wilson, si può sperimentare con cavie
umane.
Quanti morti per irradiazione si sono avuti? Quanti centesimi di dollaro prendevano i disperati negri per
sottoporsi al massacro? E neanche a dire che il sentito dire del Sig. Forbin, fosse una qualche favola:
l'articolo è corredato da due spaventose fotografie (vedi oltre).
Come sono possibili mostruosità del genere in nome della scienza? O forse questa è una domanda
stupida?
E come può il bollettino dell'Accademia delle Scienze di Parigi dare cronaca del fatto in tono così
mondano, accondiscendente e, in fondo, con una venatura di razzismo ancora più crudele? In quella
Accademia spiccavano i Poincarè ed i Becquerel, per non citare che due nomi.
Come stupirsi poi se dei pretesi biologi ci racconteranno delle assurde inferiorità, «dimostrate
scientificamente», di alcune razze? E che dire, mentre ridiamo dell'ingenuo signor Forbin, del professor
Shockley, nostro contemporaneo, che ha sostenuto il commercio dello sperma di premi Nobel per la
riproduzione «artigianale» di geni e superdotati?
Insomma gli sforzi di tutti coloro che hanno a cuore questi problemi dovrebbero essere tesi ad un
controllo sempre maggiore sulle attività degli scienziati tutti. Oggi, in nome di una scienza, che pure va
salvaguardata e difesa, si dicono cose che contrastano con gli interessi dell'intera umanità.
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Occorre riuscire in una operazione alla quale il Sig. Forbin non aveva pensato: far arrossire i bianchi
ogni volta che pensano di sbiancare i negri!
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EUGENETICA: I GENITORI USA DI HITLER
Una cronologia
- 1822.
Nace en Inglaterra Sir Francis Galton, primo de Charles Darwin, y autor de "Familias Notorias" y "El
Genio Hereditario" donde se bridel piso teórico a la purificación racial.
- 1866. Nace en Estados Unidos Charles Davemport, director la Oficina de Registros Eugenésicos. Abogó
por aislar a los enfermos mentales del sexo opuesto hasta que hubiesen franqueado la edad reproductiva, o
esterilizarlos. La llamada "Apendicectomía del Misissippi", bajo la égida de Davemport, produjo para 1964
más de 64.000 procedimientos de esterilización.
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- 1916. Castle : Genetics and Eugenetics in cui si sostiene che … incroci razziali nell’uomo sono
indesiderabili perché portano a ibridi disarmonici…( la faccenda avrà degli strascichi e molto probabilmente
non è ancora chiusa).
- 1933. Adolfo Hitler promulga la Ley Eugenésica de Esterilización y establece los Tribunales de Salud
Hereditaria que dictaminan 400.000 esterilizaciones forzosas, seguido del decreto de Nuremberg y de la
política eutanásica de "asesinatos misericordiosos". Se exterminan 3.000 enfermos mentales de Polonia.
Para 1941 la cifra supera las 90.000 víctimas.
- 1935. Ventisei Stati degli USA approvano la legge che stabilisce la sterilizzazione forzata di persone
"socialmente indesiderabili".
- 1939. Viene chiuso l’Eugenetics Record Office (meglio tardi che mai!)
- 1934/1976. En Suecia son esterilizadas de manera forzosa 62.000 personas con fines de depuración racial.
- 1956. Se le otorga el premios Nobel al físico estadounidense William Bradford Shockley, por descubrir el
efecto transistor de los semiconductores. Bradford patrocinó la idea de tatuar un dibujo sobre la frente de
aquellas mujeres con antecedentes genéticos "indeseables", y que se les pagase mil dólares por
esterilización a quienes estuvieran por debajo de 80 puntos del coeficiente intelectual.
- 1998. La abogada norteamericana M. Shaw propone que toda madre con antecedentes genéticos, sea
juzgada como "criminal".
http://www.kattoliko.it/leggendanera/bioetica/razza_pura.htm
Dietro i sì alla clonazione umana il vecchio spettro dell'eugenetica
Razza pura «Made in Usa»
di Maurizio Blondet
Nel '32 New York ospitò gli studiosi che sostenevano la selezione delle nascite In America molti Stati
praticavano la sterilizzazione dei "meno adatti alla vita" . Nell'agosto del 1932 (attenti alla data: un anno
prima che Hitler andasse al potere a Berlino) si tenne a NewYork il terzo Congresso internazionale di
Eugenetica. Sede dell'evento il Museo di storia naturale della metropoli, trasformato per l'occasione in una
sfarzosa esposizione dei "progressi dell'eugenetica". Numerose vetrine illuminate esibivano per lo più teschi
di "razze inferiori" estinte o viventi, paragonate con l'ampia nobile scatola cranica dell'Uomo Bianco. Le
relazioni scientifiche che vi furono presentate sono del più grande interesse anche oggi. Il presidente del
Museo, lo zoologo Henry Fairfield Osborne, spiegò che la "crisi mondiale in corso" non era dovuta, come
credeva il volgo, al crack di Wall Street del 1929 e alla selvaggia speculazione finanziaria degli anni
precedenti, bensì alle seguenti cause: "Sovradistruzione delle risorse naturali; sovrameccanizzazione
dell'industria; eccessiva produzione di mezzi di trasporto; sovrapproduzione di cibo e altri beni; e
sovrappopolazione, con conseguente con conseguente disoccupazione dei meno adatti. Il solo rimedio
permanente - concludeva lo zoologo - è la selezione delle nascite sostenuta da un umano controllo delle
nascite".
La "sovrapproduzione" era, in realtà, una conseguenza della deflazione seguita al crack della Borsa: le merci
restavano invendute non perché erano troppe, ma perché milioni di potenziali consumatori, disoccupati,
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erano privi di reddito. Ma era già completa l'ideologia di quegli ambienti anglo-americani che anche oggi
propugnano la crescita - zero economica e demografica, confezionandola in allarmi ecologici.
Dopo l'americano Osborne salì sul podio l'inglese sir Bernard Mallet, presidente della British Eugenics
Society. Il titolo della sua relazione: "Riduzione della fecondità dei socialmente inadeguati". Si trattava,
spiegò l'aristocratico scienziato, dei "pazzi, epilettici, poveri, criminali specie se recidivi, non-impiegabili,
barboni abituali, alcolizzati, prostitute". Di cui occorreva "limitare la fertilità" attraverso "la sterilizzazione
volontaria" (sic). Il demografo W. A. Pecker, commissario per le statistiche vitali in Virginia, riferì su "Lo
sforzo dello Stato della Virginia per preservare la Purezza Razziale". Pecker elogiò le leggi del suo Stato, e
deplorò quelle vigenti in Germania "dove un negro può sposare senza ostacoli Tedesche dai capelli chiari e
dagli occhi azzurri". Solo in Usa la legislazione aveva pienamente accettato i progressi della scienza
eugenetica. Dal 1924 era in vigore la legge federale (Immigration Restriction Act) che limitava
l'immigrazione su basi razziali. Molti Stati Usa adottavano la sterilizzazione dei "meno adatti alla vita". Nel
1935, il totale delle sterilizzazioni eseguite in America giunse a 21.539, di cui la metà in California, come ha
scoperto l'epistemologo francese Pierre Thuillier (La Tentation de l'eugénisme, su La Recherche, maggio
1984).
Un anno dopo il Congresso di New York, il professor Pecker non aveva più motivi di deplorazione: la
Germania s'era dotata della sua legge sulla sterilizzazione. In lieve ritardo. Ma Eugenics News, la rivista
degli eugenetisti americani, pubblicò nel settembre del '33 il testo della legge tedesca additandola a modello
per gli Stati della Federazione. Un anno prima a New York, Charles Davenport (le cui ricerche scientifiche
erano finanziate dai banchieri Harriman), aveva aperto il Congresso con una profezia: "Attraverso gli studi
genetici, possiamo aprire la strada al superuomo e al superstato". Ora la profezia si stava avviando a Berlino.
Non senza il sostegno di precisi ambienti americani. Davenport, presidente uscente della Società Eugenetica,
presentò a New York con lodi adeguate il professor Ernst Ruedin, suo successore. Psichiatra svizzero,
Ruedin dirigeva allora l'Istituto Kaiser Wilhelm per l'Antropologia, l'Eugenetica e l'Eredità Umana di
Monaco di Baviera. Generalmente si crede che questo centro sia stato il propulsore culturale della "scienza
razziale" nazista. La nozione va integrata. In realtà, questo istituto tedesco stentò ad operare (con il nome di
Istituto Kreapelin) fino al 1925, quando le sue ricerche ebbero nuovo impulso dalla munificenza di un
finanziatore di vasti mezzi. Quell'anno la Fondazione Rockefeller fece all'Istituto di Monaco una donazione
di 2,5 milioni di dollari. Nel 1928 sborsò altri 325 mila dollari per la costruzione di una nuova sede.
L'impulso era dato.
Ernst Ruedin, succeduto a Davenport alla testa della Federazione Eugenetica Mondiale, sarà in seguito
nominato presidente della Società per l'Igiene Razziale voluta dal Reich, e magna pars del "gruppo di studio
sull'eredità" presieduto da Himmler, che elaborò i testi di legge nazisti sulla sterilizzazione. Ruedin contava
su due promettenti collaboratori. Uno, Franz Kallmann, si illustrò durante il Congresso di Scienze della
Popolazione tenutosi a Berlino nel '35 nella sede del Ministero dell'Interno (Gestapo) perché propugnò la
sterilizzazione non solo degli schizofrenici, ma anche dei loro familiari. Purtroppo, identificato come mezzoebreo, Kallmann dovette privare del suo apporto scientifico il terzo Reich: nel '36 trovò lavoro (come
dubitarne?) in Usa. L'altro collaboratore di Rubin, Otto Verschuer, diventò nel '43 il direttore dell'Istituto di
Monaco. Esiste una sua lettera alle autorità naziste in cui segnala "il mio collaboratore, antropologo e medico
Joseph Mengele", per agevolare le ricerche che costui stava conducendo "sui gruppi razziali concentrati ad
Auschwitz". Mengele è braccato da decenni dai cacciatori di nazisti. Verschuer, suo superiore, nel 1946 sarà
accolto dal Bureau of Human Heredity di Londra, dove ha potuto continuare gli "importanti studi scientifici"
iniziati sotto il Reich. Poco dopo si stabiliva in Danimarca, dove il Bureau trasferì la sua nuova sede grazie a
una donazione della Fondazione Rockefeller. Insomma: il sì britannico e americano alla clonazione di
embrioni umani per scopi scientifici ha profonde radici storiche. Non naziste, sia chiaro; perfettamente
anglosassoni, ossia liberali e mercantili.
Nel '32, all'entrata del Museo di New York dove si teneva il cruciale Congresso, furono posti i busti
marmorei di Charles Darwin e di suo cugino Francis Galton, inventore del termine "eugenetica". Darwin
aveva scritto: "Mentre tra i selvaggi i deboli di corpo sono prontamente eliminati, noi civilizzati facciamo
ogni sforzo per arrestare il processo di eliminazione: costruiamo ospedali per gli idioti e gli infermi,
emaniamo leggi per soccorrere i poveri". Galton (1822-1911), scienziato di poco talento, è passato alla storia
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soprattutto come un metrologo maniacale: passò la vita a misurare scatole craniche, e allineare statistiche
sulla criminalità fra le "classi meno dotate" inglesi. Galton considerò apertamente l'eugenetica una scienza
politica, volta a salvaguardare le "classi più dotate". Il darwinismo sociale. La sopravvivenza del più ricco.
Sull'eugenetica negli Stati Uniti,
capitolo spesso dimenticato
e non del tutto concluso
(e se il progetto Genoma?...).
Soluzione Finale Americana: il Pioneer Fund
Questa volta a proposito di eugenetica. Raccapricciante. Evviva gli uomini
bianchi e intelligenti L'eugenetica negli Stati Uniti ha sostenitori fedeli
e rispettabili. Specialmente a destra. Hywel Probert rivela paralleli
sorprendenti tra Bush e Hitler. Hywel Probert "Sarebbe meglio per tutto il
mondo se, invece di aspettare che la prole dei degenerati sia giustiziata
per i suoi crimini, o che muoia di fame per la sua imbecillita', la societa'
evitasse a coloro che sono manifestatamente malati di perpetuare la
specie... Tre generazioni di imbecilli bastano." Nel commento finale del
giudice Holmes non c'erano parole di conforto per Carrie Buck, la ragazza
madre di vent'anni miserevolmente seduta davanti alla Corte Suprema degli
Stati Uniti. Tre anni prima, le autorita' delle Colonia della Virginia erano
arrivate alla conclusione che Carrie e sua madre, a quel tempo ricoverata in
un maniconio, avevano in comune tratti ereditari di "debolezza mentale e
promiscuita' sessuale". In quanto tale, Carrie si adattava perfettamente
alla descrizione legale: "probabile genitrice di progenie socialmente
inadeguata". I fatti la raccontavano diversamente: Carrie Buck era stata
violentata da un amico della famiglia che la aveva ricevuta in affidamento,
e Vivian, la figlia illeggitima, risultato di quella violenza, figurava
nell'elenco degli studenti piu' meritevoli della sua scuola elementare.
Queste cose non avrebbero contato: la corte piu' alta della nazione e la
Colonia della Virginia erano della stessa opinione, Carrie Buck andava
sterilizzata con la forza. Questa non e' la descrizione del processo a una
strega di Salem, e' l'America degli anni venti. L'agitazione industriale, la
depressione economica e la sovrapopolazione negli Stati Uniti del primo
novecento avevano acceso il risentimento nei confronti di chiunque fosse
stato percepito come un ostacolo al progresso sociale. Il progressismo in
voga quei tempi mirava a risolvere scientificamente i problemi sociali;
alcuni scienziati suggerirono che l'andamento generale sarebbe migliorato se
si fossero soppresse le nascite di coloro che in futuro avrebbero gravato
sullo stato. Nel 1907, la prima legge nel mondo che permetteva la
sterilizzazione forzata fu varata in Indiana. Tra il 1907 e il 1924, furono
forzatamente sterilizzate circa tremila persone nella convinzione paranoica
che le nazioni dell'Europa orientale e meridionale mandassero di proposito
negli Stati Uniti gli individui predisposti geneticamente alle malattie
mentali, alla condotta criminale e alla dipendenza sociale. E comincio' un
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capitolo della storia americana che la maggioranza vorrebbe dimenticare. Il
termine eugenetica fu coniato nel 1883 da Francis Galton, nipote di Charles
Darwin, il quale sentiva l'obbligo morale di incoraggiare coloro che erano
forti e sani a fare tanti figli con il fine di migliorare l'umanita' - oggi
definita con disinvoltura eugenica "positiva". La specie piu' sinistra e
virulenta della filosofia, l'eugenetica "negativa", fini' per trovare la
piu' calda accoglienza dall'altra parte dell'Atlantico. Per tanti anni, il
cuore del movimento eugenetico americano fu l'Eugenetics Record Office,
allestito nel 1910 a Cold Spring Harbour (lo stesso centro che oggi ospita
l'Human Genome Project, la ricerca sul genoma) su sovvenzione di Mary
Harriman. Charles Davenport, il fondatore, la descrisse come "la principale
benefattrice dell'ERO". Mary era la moglie di Edward, il magnate delle
ferrovie, e la madre di Averell, l'industrialista che nel 1921 decise di
ripristinare il corridoio di navigazione tedesco Hamburg-Amerika Line, la
piu' grandea linea di navigazione negli anni che precedettero la seconda
guerra mondiale. Nel 1926 Averell Harriman accolse nella sua ditta di Wall
Street (W A Harriman & Co) un socio dal cognome famoso - Prescott Bush,
padre di un presidente e nonno di un altro. La societa' culmino' in
ricchezza smodata e ignominia temporanea per entrambi. Nel 1942, in piena
guerra, il New York Herald Tribune riporto' che la Union Banking Corporation
della quale Prescott Bush era il direttore e Roland Harriman il maggiore
azionista (con il 99% delle azioni), aveva il controllo di una discreta
somma di denaro su commissione del consulente finanziario di Hitler.
L'intero capitale della Union Banking Corporation fu confiscato su
esecuzione del Trading with the Enemy Act (la legge che proibisce il
commercio tra due nazioni nemiche). Con tutta probabilita' l'americano che
dopo il 1933 ha maggiormente influenzato l'eugenetica tedesca e' stato Harry
Laughlin, con il suo Modello di Legge per la Sterilizzazione Eugenetica
(Model Eugenic Sterilisation Law) del 1922, che condusse alla
sterilizzazione di 20,000 americani. La legge di Laughlin fu il modello
dello statuto secondo il quale la Germania nazista sterilizzo' legalmente
oltre 350,000 "indesiderabili". L'influenza di Laughlin sull'eugenetica
americana si e' spinta oltre. Nel 1937 divenne il primo presidente del
Pioneer Fund, un'organizzazione che ancora oggi provvede i fondi per la
ricerca, ideologicamente motivata, della relazione tra intellingenza e
razza, al fine di "migliorare le razze". Le descrizioni di verita', logica e
responsibilita' quali parti integranti "dell'ordine biologico" continua ad
essere la filosofia del Pioneer Fund. L'anello che che collega gli
eugenetisti del Pioneer Fund ai protagonisti della destra americana e'
sempre molto saldo. A William H Draper III, il co-presidente incaricato
della raccolta dei fondi per la campagna elettorale di George Bush nel 1980,
fu conferito l'incarico di presidente dell'Export-Import Bank of the United
States nei governi di Reagan e di Bush. Il padre, che era stato il direttore
della societa' tedesca di prestiti per fondi d'investimento, la German
Credit and Investment Corporation, era un consanguineo di Wickliffe Draper,
il fondatore del Pioneer Fund. Questa associazione tra l'eugenetica e la
destra americana e' stata estesa alla destra cristiana. Nel 1972 Jesse Helms
divenne senatore della Carolina del Nord grazie all'aiuto di un suo
collaboratore, Thomas Ellis. Helms divenne in seguito il portavoce del
fondamentalismo cristiano in America, e ad Ellis fu affidata la direzione
del Pioneer Fund dal 1973 al 1977. Questa coppia apparentemente insolita nel
1976 venne in contatto con un ambizioso attore che si era dedicato alla
politica, Ronald Reagan, che affido' ad Ellis la presidenza della sua
campagna per ottenere la candidatura del partito repubblicano della Carolina
del Nord. Nel 1983 Reagan offri' ad Ellis un posto nel suo governo ma Ellis
fu costretto a rifiutare l'offerta quando i media rivelarono il suo passato
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alla Pioneer Fund. Purtroppo successe dopo la creazione dell'infausta
campagna pubblicitaria contro l'affirmative action (la legge che garantisce
a tutti la stessa opportunita' d'impiego). Nella pubblicita' le mani di un
bianco appallottolavano una lettera di rifiuto in risposta a una richiesta
d'impiego, mentre la voce di un narratore denunciava l'affirmative action
come la causa del mancato impiego dell'uomo bianco. Ellis continua a
mantenere la sua posizione che una razza puo' essere geneticamente superiore
a un'altra e lamenta il fatto che "si frigna troppo sull'argomento, per cui
non si puo' avere una discussione legittima e intelligente a riguardo".
Nell'ultimo ventennio lo scettro della determinazione genetica e' stato
sempre passato a persone degne del proprio predecessore, primo fra tutti
Charles Murray, scienziato e accademico. Il suo best-seller La Curva di Bell
(The Bell Curve) asserisce l'inferiorita' intellettuale dei neri americani,
e sostiene che la disuguaglianza economica e' semplicimente una
ratificazione della giustizia genetica. Murray fa ripetuti riferimenti alle
teorie di J Philippe Rushton, un accademico canadese (Ontario) che ha
ricevuto oltre 700.000 dollari dal Pioneer Fund. Rushton e' convinto che
l'eugenetica potrebbe rallentare il pericolo che la fertilita' nera
rappresenta per la civilizzazione dell'Europa settentionale. Murray si
avvale anche delle teorie di William Shockley, il tristemente famoso
ex-professore dell'Universita' di Stanford che negli anni 70 propose il
"progetto gratifica", secondo il quale tutti neri con un QI inferiore alla
norma che ricevevano sovvenzioni dal governo avrebbero ricevuto un premio se
si fossero lasciati sterilizzare. Il pensiero di Murray e' politicamente
importante perche' e' condiviso da persone che sono molto vicine a George W.
Bush. Dick Cheney e Elaine Chao, rispettivamente vice presidente e ministro
del lavoro, hanno entrambi legami con le associazioni che accondiscendono
Murray, anche se nel governo di Bush, il sostenitore piu' forte e importante
della filosofia eugenetica di Murray, e' Tommy Thompson, il ministro della
sanita'. Thompson fu eletto governatore del Wisconsin nel 1986, e nel 1995
applico' lo schema W-2 (Wisconsin Works), una riforma che alterava
radicalmente il programma di assistenza sociale. Charles Murrey fu il
consulente dello schema nel quale il 92% degli assistiti sociali persero le
sovvenzioni. Le casse dello stato si arricchirono, ma il costo umano di
questa operazione fu immenso: a Milwaukee (la citta' piu' grande del
Wisconsin, con una popolazione di 600,000) la mortalita' infantile subi' un
incremento totale del 17.6% - nella comunita' afroamericana aumento' del
37%. Dalle dichiarazioni di Frederick Osborne si estrae l'implicazione che
gli eugenetisti stanno prendendo in considerazione alternative di
sterilizzazione meno evidenti della stessa sterilizzazione. Osborn, un
ex-presidente della Societa' Eugenetica Americana (American Eugenics
Society) e direttore del Pioneer Fund, e' uno dei co-fondatori del Consiglio
Demografico (Population Council), una potente organizzazione mondiale che
nella sua ultima incarnazione studia la salute pubblica e porta avanti la
ricerca biomedica. In uno scambio di corrispondenza con John D. Rockefeller,
l'altro co-fondatore, Osborn scrive, "Gli anticoncezionali e l'aborto stanno
avendo un esito positivo nell'eugenetica, ma se fossero stati promossi for
ragioni eugenetiche ... [quelle ragioni] ne avrebbero ritardato o fermato il
consenso". Forse e' ancora piu' sorprendente la filosofia eugenetica
sostenuta dall'icona femminista Margaret Sanger, ispirazione delle Famiglie
Pianificate (Planned Parenthood). Sanger nel suo autorevole testo Il Perno
della Civilizzazione (Pivot of Civilization) chiedeva la sterilizzazione di
"tutte le razze geneticamente inferiori". L'Istituto Sanger, che non ha mai
preso le distanze dalla filosofia di Margaret Sanger, e' oggi il centro
della ricerca sul genoma (Human Genome Project). La filosofia
dell'eugenetica e' diventata un sinonimo di Terzo Reich, eppure c'e' tanta
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evidenza che mostra quanto in America sia ancora oggi accettata - e
purtroppo finanziata - dagli individui e dalle organizzazioni piu'
influenti, inclusa la famiglia che ha prodotto due presidenti.
Emiliano Panizon
EUGENETICA
«Una domanda s'impone: perchè per definire il regime nazista il ricorso
alla dittatura del partito unico dovrebbe essere più caratterizzante che non
l'ideologia e la pratica razziale ed eugenetica?» (da «Per una critica della
categoria di totalitarismo», rivista "Hermeneutica", 2002 paragrafo 7)
Sarebbe assai povera una definizione del Terzo Reich che si limitasse a
mettere in evidenza il suo carattere totalitario, rinviando in particolare
al fenomeno della dittatura del partito unico. In quanto leaders di una
dittatura a partito unico, non c'è difficoltà ad accostare Hitler a Stalin,
Mao, Deng, Ho Chi Minh, Nasser, Ataturk, Tito, Franco ecc., ma questo
esercizio scolastico è ben al di qua di una concreta analisi storica. Se
anche dai 'totalitari' Stalin e Hitler ci si preoccupa di distinguere l''
autoritario' Mussolini, il cui potere è limitato dalla presenza del Vaticano
e della Chiesa, non si è fatta molta strada. In questo caso, più che ad un
percorso reale, assistiamo ad uno slittamento: dall'ideologia si è passati
inavvertitamente ad un ambito del tutto diverso, a realtà e dati di fatto
indipendenti e preesistenti rispetto alle scelte ideologiche e politiche del
fascismo.
Per quanto riguarda il Terzo Reich, è ben difficile dire qualcosa di
determinato e concreto su di esso senza far riferimento ai suoi programmi
razziali ed eugenetici. Ed essi ci conducono in una direzione ben diversa
rispetto a quella suggerita dalla categoria di totalitarismo.
Subito dopo la conquista del potere, Hitler si preoccupa di distinguere
nettamente, anche sul piano giuridico, la posizione degli ariani rispetto a
quella degli ebrei nonchè dei pochi mulatti viventi in Germania (a
conclusione della prima guerra mondiale, truppe di colore al seguito dell'
esercito francese avevano partecipato all'occupazione del paese). E cioè,
elemento centrale del programma nazista è la costruzione di uno Stato
razziale. Ebbene, quali erano in quel momento i possibili modelli di Stato
razziale? Più ancora che al Sud-Africa, il pensiero corre in primo luogo al
Sud degli USA. E, d'altro canto, in modo esplicito, ancora nel 1937,
Rosenberg si richiama certo al Sud-Africa: è bene che permanga saldamente
'in mano nordica' e bianca (grazie a opportune 'leggi' a carico, oltre che
degli 'indiani', anche di 'neri, mulatti e ebrei'), e che costituisca un
'solido bastione' contro il pericolo rappresentato dal 'risveglio nero'. Ma
il punto di riferimento principale è costituito dagli Stati Uniti, questo
'splendido paese del futuro' che ha avuto il merito di formulare la felice
'nuova idea di uno Stato razziale', idea che adesso si tratta di mettere in
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pratica, 'con forza giovanile', mediante espulsione e deportazione di 'negri
e gialli'. Basta dare uno sguardo alla legislazione di Norimberga per
rendersi conto delle analogie con la situazione in atto al di là dell'
Atlantico: ovviamente, in Germania sono in primo luogo i tedeschi di origine
ebraica ad occupare il posto degli afro-americani. 'La questione negra' scrive Rosenberg nel 1937 - 'è negli Usa al vertice di tutte le questioni
decisive'; e una volta che l'assurdo principio dell'uguaglianza sia stato
cancellato per i neri, non si vede perchè non si debbano trarre 'le
necessarie conseguenze anche per i gialli e gli ebrei'. Persino per quanto
riguarda il progetto a lui assai caro di costruzione di un impero
continentale tedesco, Hitler ha ben presente il modello degli Usa, di cui
celebra 'l'inaudita forza interiore'': la Germania è chiamata a seguire
questo esempio, espandendosi in Europa orientale come in una sorta di Far
West e trattando gli 'indigeni' alla stregua dei pellerossa.
Alle medesime conclusioni giungiamo se rivolgiamo lo sguardo all'eugenetica.
E' ormai noto il debito che il Terzo Reich contrae nei confronti degli Usa,
dove la nuova 'scienza', inventata nella seconda metà dell'Ottocento da
Francis Galton (un cugino di Darwin), conosce una grande fortuna. Ben prima
dell'avvento di Hitler al potere, alla vigilia dello scoppio della prima
guerra mondiale, vede la luce a Monaco un libro che, già nel titolo, addita
gli Stati Uniti come modello di 'igiene razziale'. L'autore, vice-console
dell'Impero austro-ungarico a Chicago, celebra gli Usa per la 'lucidità' e
la 'pura ragion pratica' di cui danno prova nell'affrontare, e con la dovuta
energia, un problema così importante eppur così frequentemente rimosso:
violare le leggi che vietano i rapporti sessuali e matrimoniali misti può
comportare anche 10 anni di reclusione e, ad essere condannabili, oltre ai
protagonisti, sono anche i loro complici. Ancora dopo la conquista del
potere da parte del nazismo, gli ideologi e 'scienziati' della razza
continuano a ribadire: 'Anche la Germania ha molto da imparare dalle misure
dei nord-americani: essi sanno il fatto loro'. E' da aggiungere che non
siamo in presenza di un rapporto a senso unico. Dopo l'avvento di Hitler al
potere, sono i seguaci più radicali del movimento eugenetico americano a
guardare come ad un modello al Terzo Reich, dove non poche volte si recano
in viaggi di studio e di pellegrinaggio ideologico.
Una domanda s'impone: perchè per definire il regime nazista il ricorso alla
dittatura del partito unico dovrebbe essere più caratterizzante che non l'
ideologia e la pratica razziale ed eugenetica? E' proprio da questo ambito
che derivano le categorie centrali e i termini-chiave del discorso nazista.
L'abbiamo visto per Rassenygiene, che è in fondo la traduzione tedesca di
eugenics, la nuova scienza inventata in Inghilterra e giunta al trionfo al
di là dell'Atlantico. Ma ci sono esempi ancora più clamorosi. Rosenberg
esprime la sua ammirazione per l'autore americano Lothrop Stoddard, cui
spetta il merito di aver per primo coniato il termine Untermensch, che già
nel 1925 campeggia come sottotitolo della traduzione tedesca di un libro
apparso a New York tre anni prima. Per quanto riguarda il significato del
termine da lui coniato, Stoddard chiarisce che esso sta ad indicare la massa
di 'selvaggi e semiselvaggi', esterni o interni alla metropoli capitalista,
comunque 'incapaci di civiltà e suoi nemici incorreggibili', coi quali
bisogna procedere ad una resa dei conti. Negli Usa come in tutto il mondo, è
necessario difendere la 'supremazia bianca' contro 'la marea montante dei
popoli di colore': ad aizzarli è il bolscevismo, 'il rinnegato, il traditore
all'interno del nostro campo' che, con la sua insidiosa propaganda, oltre
che le colonie, raggiunge 'le stesse regioni nere degli Stati Uniti'.
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Ben si comprende la straordinaria fortuna di queste tesi. Elogiato, prima
ancora che da Rosenberg, già da due presidenti statunitensi (Harding e
Hoover), l'autore americano è successivamente ricevuto con tutti gli onori a
Berlino, dove incontra non solo gli esponenti più illustri dell'eugenetica
nazista, ma anche i più alti gerarchi del regime compreso Adolf Hitler,
ormai lanciato nella sua campagna di decimazione e assoggettamento degli
Untermenschen.
Ancora su un altro termine conviene concentrare l'attenzione. Abbiamo visto
Hitler guardare come ad un modello all'espansione bianca nel Far West.
Subito dopo averla invasa, Hitler procede allo smembramento della Polonia:
una parte è direttamente incorporata nel Grande Reich (e da essa vengono
espulsi i polacchi); il resto costituisce il 'Governatorato generale' nell'
ambito del quale - dichiara il governatore generale Hans Frank - i polacchi
vivono come in 'una sorta di riserva' (sono 'sottoposti alla giurisdizione
tedesca' senza essere 'cittadini tedeschi'). Il modello americano è qui
seguito persino in modo scolastico. Almeno nella sua fase iniziale, il Terzo
Reich si propone di istituire anche uno Judenreservat, una 'riserva per gli
ebrei', a somiglianza ancora una volta di quelle che avevano rinserrato i
pellerossa. Persino per quanto riguarda l'espressione 'soluzione finale', la
vediamo emergere prima ancora che in Germania già negli Usa, e sia pur
riferita alla 'questione negra' piuttosto che alla 'questione ebraica'.
Come non è stupefacente che il 'totalitarismo' abbia trovato la sua
espressione più concentrata nei paesi al centro della Seconda guerra dei
Trent'Anni, così non è stupefacente che il tentativo nazista di costruire
uno Stato razziale abbia desunto motivi di ispirazione, categorie e
termini-chiave dall'esperienza storica più ricca che, a tale proposito,
aveva dinanzi a sè, quella accumulata dai bianchi americani nel loro
rapporto coi pellerossa e i neri.
Ovviamente, non devono essere perse di vista tutte le altre differenze, in
tema di governo della legge, di limitazione del potere statale (per quanto
riguarda la comunità bianca), ecc. Resta il fatto che il Terzo Reich si
presenta come il tentativo, portato avanti nelle condizioni della guerra
totale e della guerra civile internazionale, di realizzare un regime di
white supremacy su scala planetaria e sotto egemonia tedesca, facendo
ricorso a misure eugenetiche, politico-sociali e militari.
A costituire il cuore del nazismo è l'idea di Herrenvolk, che rinvia alla
teoria e alla pratica razziale del sud degli Stati Uniti e, più in generale,
alla tradizione coloniale dell'Occidente; e questa idea è il bersaglio
principale della rivoluzione d'Ottobre, che non a caso chiama gli 'schiavi
delle colonie' a spezzare le loro catene.
La consueta teoria del totalitarismo concentra l'attenzione esclusivamente
sui metodi simili attribuiti ai due antagonisti, facendoli per di più
discendere in modo univoco da una presunta affinità ideologica, senza alcun
riferimento alla situazione oggettiva e al contesto geopolitico.
Domenico Losurdo
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La Responsabilità Sociale dello Scienziato
Jon Beckwith
American Cancer Society Research Professor
Department of Microbiology and Molecular Genetics
Harvard Medical School
200 Longwood Avenue
Boston, MA 02115
Nel corso del XX secolo, la scienza e la tecnologia hanno progressivamentre dominato molti aspetti
della nostra vita e hanno condizionato il corso stesso della storia. Uno fra gli argomenti di discussione
all’interno della comunità scientifica ripetutamente sollevato è la responsabilità che gli scienziati
devono assumersi per le ricadute sociali del loro lavoro, e per assicurarsi che questo non finisca per
danneggiare altre persone. In alcune circostanze, gruppi di scienziati, allarmati dalle conseguenze del
progresso scientifico, si sono sentiti in dovere di intervenire con azioni politiche per contrastare i
potenziali effetti negativi del loro lavoro.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, e dopo le disastrose conseguenze della bomba atomica, i fisici sono
stati, fra gli scienziati, il gruppo politicamente più impegnato. I fisici statunitensi si sono sentiti in
dovere di riconoscere le conseguenze del loro lavoro nello sviluppo delle armi nucleari. Negli anni
successivi alla bomba atomica sul Giappone, il terrore delle armi nucleari, anche per la tensione
generata dalla Guerra Fredda, era rimasto costantemente vivo e i fisici - almeno quelli che avevano
una coscienza sociale – ne sentivano il peso. Negli anni ‘50 e ‘60, si associarono nel Congresso degli
Stati Uniti per avere un maggiore controllo sulle armi nucleari, e per chiedere pubblicamente un
maggiore sostegno politico. Fondarono la diffusissima rivista “Bulletin of Atomic Scientists” in cui
sostenevano la pace, la cessazione dei test nucleari e la riduzione delle armi atomiche. [1]. Furono
determinnti nella formazione del gruppo Pugwash che organizzava incontri fra gli scienziati sovietici e
statunitensi con lo scopo di ridurre le tensioni politiche.
La storia della genetica, che è poi il mio campo specifico, ha anch’essa la sua “bomba atomica”, ed è il
movimento eugenetico, nella prima metà del XX° secolo. Tuttavia, a differenza dei fisici, pochi
genetisti, fino a poco tempo fa, erano a conoscenza dell’esistenza stessa del movimento, presente negli
Stati Uniti, in Canada e in Europa agli inizi del XX° secolo. Pochi riconoscevano il ruolo significativo
dei genetisti nel movimento. [2]. A differenza dei fisici, che sentivano il peso del loro passato, i genetisti
non avevano una memoria storica: i genetisti erano essenzialmente ignoranti rispetto alla loro storia
“atomica” .
Gli eugenisti credevano che i tratti sociali e le attitudini nell’uomo erano ereditari. Negli Stati Uniti, il
movimento sosteneva che la qualità dei geni della popolazione nel paese si stava deteriorando, e
chiedevano interventi politici per incrementare il numero di individui dotati di “geni buoni” e ridurre
il numero di individui dotati di “geni difettosi”. La riscoperta della legge di ereditarietà di Mendel agli
inizi del XX° secolo aveva aperto la strada alla genetica che oggi conosciamo. Tuttavia, queste stesse
basi scientifiche che indicavano le leggi di ereditarietà negli organismi viventi incluso gli esseri umani
divennero presto un potente sostegno per il movimento eugenetico che leutilizzò per affermare
l’inferiorità di alcuni gruppi etnici e classi sociali.
Molti genetisti affermati credevano nell’eugenetica ed ebbero un ruolo attivo nel movimento
statunitense. Nella fase iniziale di questo movimento, intorno al 1906 e 1915, la maggior parte dei
genetisti di punta si lasciò sedurre dal movimento e lo sostenne anche nella divulgazione, come fecero,
per esempio, tutti i membri del primo comitato editoriale della principale rivista scientifica
“Genetics”. I libri di testo di genetica, scritti da eminenti genetisti, includevano interi capitoli sull’
eugenetica e furono anche avviati corsi accademici in quasi tutte le università americane interamente
dedicati all’eugenetica. In altri termini, l’eugenetica divenne una disciplina scientifica a tutti gli effetti.
[2].
Gli scienziati cominciarono a scrivere sull’eugenetica anche in riviste di larga diffusione. Una delle più
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diffuse riviste dell’epoca, “Popular Science”, negli anni ’10 includeva molti di questi articoli [3]. Per
esempio, in un rapporto sulle “psicopatologie degli ebrei” , un certo Dottor Wilson affermava che gli
ebrei sono fra le razze più promiscue e predisposte alle psicopatologie e li collocava, fra quelli testati,
al secondo posto nella lista degli immigrati per “inferiorità mentale”. David S. Jordan, biologo e
presidente dell’Università di Standford, nel suo articolo “gli effetti biologici delle migrazioni razziali”
parla delle “razze inferiori”, che dall’Europa e dall’Asia sono emigrate negli Stati Uniti provocando
un deterioramento della razza. Un certo dott. Jordan, dall’Università della Virginia conclude che le
tipiche caratteristiche della razza nera, come il temperamento gioviale e la fervida immaginazione,
sono dovute a singoli geni.
Queste affermazioni provenivano da scienziati accreditati come Charles Davenport, un autorevole
genetista dell’Università di Harvard, che ha saputo dare un enorme contributo alla scienza
dimostrando che la malattia di Huntington viene ereditata geneticamente. Davenport, uno dei leader
del movimento eugenetico, sosteneva però che fenomeni sociali come la criminalità, povertà,
intelligenza, e perfino la tendenza di alcuni uomini ad evadere e diventare marinai, poteva essere
attribuita a singoli geni. Le sue conclusioni si basavano su semplici studi di gruppi familiari o test di
valutazione del quoziente intellettivo. Dichiarava inoltre, ma con ancor minore evidenza scientifica,
che gli accoppiamenti fra razze diverse producevano individui “inferiori”.
Il movimento, che si fondava su un’apparente base scientifica, fniì per condizionare fortemente la
politica sociale degli Stati Uniti. In molti Stati entrarono in vigore leggi che permettevano la
sterilizzazione di criminali, di persone inferiori per intelligenza o con altre caratteristiche [4]. Queste
leggi si basavano sulle convinzioni degli eugenisti e portarono alla sterilizzazione di decine di migliaia
di persone. Altre leggi proibivano addirittura i matrimoni tra individui di razze diverse, sempre per le
teorie di inferiorità di alcune razze “ibride”. L’atto del 1924, sul controllo dell’immigrazione, ridusse
notevolmente la presenza di persone provenienti dall’Europa meridionale e orientale come Italia,
Spagna, Grecia e da altre culture considerate inferiori. Gli eugenisti ebbero un ruolo determinante per
queste leggi, da cui trassero ancora più forza.
Con l’avanzare degli studi sulla genetica, molti genetisti cominciarono a distaccarsi dal movimento. Gli
studi, sempre più sofisticati, dimostravano quanto fosse più complessa la materia. Purtroppo, il
mancato supporto dei genetisti arrivò troppo tardi, le leggi erano già passate. Ciononostante, coloro
che avevano preso le distanze dal movimento, raramente o troppo tardi contrastarono pubblicamente
le iniziative politiche degli eugenisti.
Thomas Hunt Morgan, uno dei più autorevoli genetisti dell’epoca, criticò il movimento, ma lo fece solo
in privato. Spiegò la sua riluttanza a contrastare pubblicamente il movimento in una lettera del 1915:
“se loro (gli eugenisti) vogliono percorrere questa strada è un problema loro, ma penso che per alcuni
di noi sarebbe meglio mantenere livelli più alti invece di lasciarsi sedurre dai riflettori dello show, ma
non voglio alzare polveroni su questo”. Dunque, ecco i genetisti dell’epoca, che senza rendersi conto
del peso delle loro azioni, anche con il semplice silenzio, contribuivano allo sviluppo del movimento
eugenetico. [3].
Dopo l’atto del 1924 il movimento negli Stati Uniti cominciò a pian piano a svanire, ma il suo impatto
si era fatto orami sentire altrove. Nel 1923 Adolf Hitler tentò il suo famoso “Putsch”. Per sfuggire
all’arresto si rifugiò a casa del suo amico editore Julius Lehmann. Hitler fu poi scoperto e arrestato un
anno dopo e Lehmann gli inviò una copia di un libro pubblicato dalla sua casa editrice. In prigione
Hitler lesse alcuni passi del libro come: “la frode e l’uso del turpiloquio è comune fra gli ebrei” ;“i
negri in generale non sono inclini a lavorare sodo”; “i russi eccellono nella resistenza e nella sofferenza
fisica”; “ per doti mentali la razza nordica rappresenta la massima espressione dell’umanità”. Gli
autori del libro dichiaravano anche che “quello che gli storici considerano come il segnale del declino
di una nazione è l’inversione al negativo della qualità razziale della sua popolazione”. Rileggendo
questi passi oggi si può pensare alla voce isolata di un autore razzista, invece rispecchiavano le teorie
dell’epoca, basate sulle conoscenze acquisite dalla genetica. Questo libro era un diffusissimo libro di
testo di genetica umana dell’epoca. Gli autori sono due genetisti tedeschi di fama internazionale Erwin
Bauer e Fritz Lenz ed il famoso antropologo tedesco Eugen Fisher. Fisher, dopo una illustre carriera
come antropologo, era stato nominato Rettore dell’Università di Berlino. Questo testo usava la
genetica per dare un valore scientifico alla descrizione dei tratti della personalità di alcune razze e
gruppi etnici. Un genetista tedesco contemporaneo, Benno Muller-Hill, che ha denunciato il ruolo dei
genetisti tedeschi nell’era nazista, commenta che interi passaggi del “Mein Kampf” di Hitler che
trattano di genetica ed eugenetica, sono chiaramente stati influenzati da questo testo. [5].
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Ciò che dovrebbe far riflettere in particolare i genetisti statunitensi è che il testo si basava molto poco
sulle ricerche scientifiche in Germania. La fonte principale dei dati e delle conclusioni proveniva dagli
Stati Uniti, da coloro che sostenevano gli eugenisti. Le stesse leggi che cominciarono a passare in
Germania venivano presentate ufficialmente come basate sull’esperienza degli Stai Uniti. Il primo
programma di sterilizzazione eugenetica in Germania fu modulato sull’esempio della legge sulla
sterilizzazione del 1907 dello stato dell’Indiana.
Fra i testi che hanno descritto il ruolo dei genetisti tedeschi e dei medici nelle politiche eugenetiche
della Germania nazista, quello del genetista Benno Muller-Hill è il più significativo. Nel 1988 Benno
Muller-Hill pubblica il libro “Murderous Science” che per la prima volta mostra alla società tedesca
l’enorme responsabilità degli scienziati e dei medici nell’aver sostenuto la programmazione gli
interventi di sterilizzazione e lo sterminio di milioni di persone. [6]. La pubblicazione di questo libro è
stato un atto coraggioso. Molti degli scienziati di quell’epoca erano ancora vivi ed avevano un ruolo
prestigioso nelle università tedesche. L’autore del libro divenne “persona non gradita” nella comunità
scientifica in Germania. Ia recensione del libro negli altri paesi non fu neanche presa in considerazione
dalla stampa tedesca. Soltanto nel 1999 la comunità scientifica tedesca ha cominciato a rivedere il
proprio ruolo prima e durante l’era nazista. [7].
Secondo il mio parere dobbiamo cogliere dalla storia una importante lezione e cioè che lo scienziato ha
il dovere di intervenire su questioni di tale portata. Se soltanto la comunità scientifica avesse espresso
il proprio disdegno per l’uso che veniva fatto della genetica, non ci sarebbe stato tanto orrore. Ma
questo, ovviamente, nessuno lo può sapere.
Dopo l’uso che era stato fatto della genetica dagli scienziati tedeschi e dal Governo nazista, alcuni
genetisti britannici e statunitensi cominciarono a fare sentire la loro voce più apertamente. Nel 1939, al
VII congresso internazionale di genetica, i partecipanti stilarono un manifesto in cui si dichiararono
contrari al movimento eugenetico. Tra i fautori c’erano molti accreditati genetisti. Purtroppo il loro
intervento arrivò isolato e troppo tardi. Soltanto la repulsione, dopo la seconda guerra mondiale, nei
confronti della politica nazista, riuscì a discreditare il movimento eugenetico. In particolare, il concetto
di ereditarietà dei comportamenti sociali e della personalità, venne completamente rinnegato,
affermando, esagerando forse nel senso opposto, che l’ambiente è l’unico elemento determinante per
questi fattori. Alcune di queste posizioni sono riconoscibili nel documento dell’Unesco del 1950, che
vede come autori alcuni degli scienziati protagonisti del manifesto del 1939. [3].
Prima di allora, i genetisti negli Stati Uniti si erano comportati come se questa storia non apparteneva
a loro e alla loro cultura, l’ avevano essenzialmente cancellata dalla loro memoria. Poi, la guerra del
Vietnam, il movimento per i diritti civili, le rivendicazioni sociali più o meno sentite in tutto il mondo,
finirono per scuotere la comunità scientifica statunitense. I fisici, ancora una volta i primi a dare il loro
contributo, cominciarono ad assumere posizioni sempre più critiche sull’impiego di determinate armi
tecnologiche, ottenute grazie al contributo della stessa fisica, e utilizzate nella guerra in Vietnam. A
loro si unirono i biologi, finché, anche altri scienziati, provenienti da ogni settore, cominciarono ad
avere un ruolo sempre più attivo che ha portato poi alla fondazione del movimento “Science for the
People” nel 1969.
Come biologi siamo stati coinvolti in molte controversie di natura genetica. Una sulle quali ancora ci
confrontiamo riguarda gli studi sulla genetica comportamentale umana. Negli anni ’60 e ‘70 alcuni
studi riportavano evidenze di correlazioni genetiche sull’intelligneza e sui comportamenti criminali.
Un articolo dello psicologo Arthur Jensen dell’Università della California, sosteneva che “La razza
nera è geneticamente inferiore alla razza bianca”. [8].Altri scienziati dichiaravano erroneamente che
gli uomini dotati di un cromosoma Y extra (il maschio XYY) avevano la predisposizione a commettere
atti criminali [3]. Storia più recente è la diffusione delle teorie della neosociobiologia che vede i
comportamenti di un individuo fortemente determinati dall’ eredità genetica personale. [9]. Questi
nuovi scienziati hanno anche proposto di utilizzare la socibiologia per indirizzare le politiche sociali.
Le loro affermazioni, che hanno ricevuto ampia diffusione, ricordano il periodo eugenetico.
Ciononostante, questo ritorno del pensiero determinista della biologia, non ha incontrato la dura
critica dei genetisti. In parte questo mancato intervento trova la sua ragione nella assenza di una
memoria sociale fra i genetisti della storia del movimento eugenetico. Molti genetisti fra quelli
impegnati nella organizzazzione “Science for the People”, si sono dati da fare per esporre la
misrappresentazione della loro scienza.
Nel 1973, con l’avvento delle tecniche di clonazione, un gruppo di autorevoli genetisti per la prima
volta si è riunito con lo scopo di garantire la sicurezza: ha chiesto una moratoria sulla ricerca per la
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clonazione e poi ha stabilito le linee guida su come bisogna orientare la ricerca e prevenire possibili
conseguenze negative per la salute dell’uomo. [10,11]. Questo impegno da parte di eminenti genetisti è
probabilmente una conseguenza diretta del precedente periodo di attivismo da parte di un piccolo
gruppo di giovani scienziati. Eminenti scienziati come Paul Berg e James Watson sono stati chiamati
in causa dalla nuova generazione di colleghi e invitati personalmente a considerare i possibili pericoli
derivanti dalle loro ricerche. Bisogna riconoscere che hanno subito risposto con un serio impegno in
questo senso.
III. Psichiatri e Massoni. L'ala britannica
Le unioni miste "del nero e del tipo caucasico danno luogo ad ogni sorta di organismi disarmonici.
Mettendo un poco della mente dell'uomo bianco nel mulatto, non solo lo si rende più capace e
ambizioso (non ci sono casi accertati di negri puri saliti a qualche eminenza), ma si accresce il suo
scontento e si crea un'ovvia ingiustizia continuando a trattarlo come un africano purosangue. Il nero
americano è turbolento a causa del sangue bianco americano che è in lui". Queste righe - che
implicano approvazione per la segregazione razziale - suscitarono a loro tempo qualche scalpore,
perché a scriverle era un famoso liberal dell'estabhshment britannico: il biologo Julian Huxley. Nipote
del primo editore di Darwin, e fratello dello scrittore (e sperimentatore di droghe) Aldous Huxley,
Julian scriveva di ritorno da un viaggio in Usa compiuto nel 1924 (Julian Huxley, America Revisited –
The Negro Problem, sullo Spectator del 29 novembre 1924). Lí aveva avuto occasione di approvare le
teorie razziali di Charles Davenport, allora presidente della International Federation of Eugenics
Organizations: l'ente angloamericano (era stato fondato nel 1925 presso la Royal Society di Londra)
che nel 1932 avrebbe eletto suo nuovo presidente il genetista del Terzo Reich, Ernst Ruedin. Julian
Huxley non rinnegò mai le sue idee eugenetiche. Il 6 settembre 1930, sulla Weekend Rewiew, prese le
parti del Comitato per la Legalizzazione della Sterilizzazione: "La causa della sterilizzazione di certe
classi di persone anormali o difettose mi sembra invincibile". Nel 1929, secondo la Eugenics Society
(Mental Deficiency Committec) di Londra, il numero di tali "difettosi", nella sola Inghilterra, era
valutabile a 300 mila, tutti candidati alla castrazione. Inutile dire che Julian Huxley era membro
rilevante
della
Eugenics
Society,
di
cui
fu
presidente
ancora
nel
1962.
ENTRA
MONTAGU
NORMAN
Difficile dire se "nonostante" le sue idee, o piuttosto grazie ad esse, Julian Huxley sia stato elevato alla
carica di direttore generale dell'Unesco, che ricoprí dal 1946 al 1948. Fatto sta che proprio nel 1948
l'Unesco e l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) diedero il loro patronato ad un eccezionale
International Congress on Mental Health, che si tenne presso il Ministero della Sanità britannico. Il
congresso diede vita alla Federazione Mondiale della Salute Mentale (World Federation for Mental
Health); ma, come scrisse la coordinatrice della delegazione statunitense Nina Ridenour, "la World
Federation for Mental Health è stata creata su raccomandazione dell'Oms e dell'Unesco, perché questi
organi delle Nazioni Unite abbisognavano di un'organizzazione nongovernativa con cui cooperare"(
"Poiché gode dello status consultivo presso le Nazioni Unite e diverse delle sue agenzie specializzate, la
World Federation for mental Health è in grado di influire su alcune decisioni dell'Onu e su alcuni suoi
programmi": Nina Ridenour, Mental Health in the U.S.A Fifty Years History, citata da Anton
Chaitkin, British Psychiatry... EIR, 7 ottobre 1994, p.34). Assistiamo qui alle motivazioni che fanno
nascere le entità a cui l'Onu riconosce lo status di "Organizzazioni non-Governative" (Ong): si tratta
di gruppi di pressione o lobbies, in apparenza nati dal basso per promuovere rivendicazioni ed
esigenze che si pretendono "popolari" e "di massa", ma che l'Onu, o gli oligarchi che le hanno create,
sono ben lieti di accogliere. Ad esempio l'organizzazione ecologista Greenpeace, e il Population
Council fondato dai Rockefeller, sono Ong; e in molti casi possono condurre le loro campagne a nome
e
sotto
l'egida
(e
con
i
fondi)
dell'Onu.
Di fatto, la World Federation for Mental Health era emanazione diretta di un'associazione britannica
dal nome simile, la National Association for Mental Health. E questa era stata fondata da un
personaggio in cui non si sospetterebbero interessi per la psichiatria, se non forse perché era egli stesso
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uno psicolabile: Norman Montagu, governatore della Banca d'Inghilterra. Ciclotimico, occultista,
teosofo e massone (Sui riti "muratori" di Montagu Norman, cfr. Geminello Alvi, Dell'estremo
Occidente, M.Nardi, Firenze, 1993, p.161), Norman Montagu era stato protagonista delle svolte
cruciali del secolo, dalla crisi del 1929 (aggravata dall'ostinazione di tener sopravvalutata la sterlina da
parte della Banca Centrale britannica) fino ai conciliaboli dei supercapitalisti angloamericani con
Hjalmar Schacht, governatore della Reichsbank e autore del "miracolo economico" nazista, grazie
anche ai finanziamento della City e di Wall Street. Nel 1929 i responsabili della Federal Reserve, più i
rappresentanti della Guaranty Trust, Royal Dutch Shell, J.D.Rockefelier e altri banchieri privati
s'incontrarono con Schacht a New York, dove decisero investimenti e finanziamento nella Germania
sfiancata dai debiti di guerra. Un altro incontro, nel 1931, vide la partecipazione di Montagu Norman.
In seguito, anche dopo la salita al potere di Hitler, Schacht rivide Norman nella residenza londinese di
quest'ultimo, Thorpe Lodge. Ma nel 1944, in piena guerra, Sir Norman si dimise dalla Banca
d'Inghilterra; nello stesso anno fondò la Associazione Nazionale per la Salute Mentale. Come tesoriere,
Montagu Norman scelse Otto Niemeyer, che era stato suo assistente alla Banca; come segretario
generale Mary Appleby, sua nuora, che aveva lavorato nella sezione tedesca del Foreign Office; come
presidenti scelse Richard A. Butler, che era stato vice di Lord Halifax, il ministro britannico degli
Esteri nel governo di Neville Chamberlain, notorio per la sua aperta simpatia verso il Terzo Reich. E
come chairman dell'Associazione, insediò il genero di lord Halifax, il conte di Feversham. Strana
"Associazione per la Salute Mentale" davvero, quella a cui si dedicarono alcuni dei massimi esponenti
della finanza e della politica estera britannica, tutti più o meno catalogabili come filo-nazisti. Ma qui,
forse, si sfiora un lato fra i più occultati della recente storia inglese. Il Rito Scozzese Antico e Accettato
(la Massoneria Azzurra o britannica) ha tradizionalmente come Gran Maestro - riconosciuto dagli
adepti di tutto il mondo - un fratello della regina d'Inghilterra. Oggi, è il Duca di Kent. Nel 1934,
quando il Rito Scozzese americano cominciò a finanziare le sue strane ricerche sulla schizofrenia,
"Gran Maestro della Gran Loggia Madre dei Massoni del Mondo" era il duca di Connaught, fratello
del principe Alberto, marito della regina Vittoria. Tedesco d'origine (della famiglia Coburgo), il duca
di Connaught aveva ospitato nella sua casa un adolescente di nome Joachim Von Ribbentrop, con cui
mantenne strettissimi rapporti anche quando Ribbentrop divenne ambasciatore nazista nel Regno
Unito e poi ministro degli Esteri di Hitler. E attorno al duca di Connaught si radunò quel gruppo di
aristocratici che nell'anteguerra propugnavano un'alleanza con il Terzo Reich, di cui furono esponenti
di spicco il principe Edoardo (il futuro Edoardo VIII, zio della regina Elisabetta, costretto
all'abdicazione per le sue tendenze nazisteggianti) e il famigerato lord Halifax.
SPIE
IN
CAMICE
BIANCO
Nel 1948, la National Association for Mental Health di Montagu Norman indisse dunque a Londra il
grande Congresso Internazionale sulla Salute Mentale. Sotto l'alto patronato della Duchessa di Kent,
vedova del Gran Maestro del Rito Scozzese (carica che tenne dal 1939 al 1942) e madre del futuro
Gran Maestro (dal 1967 ad oggi), il Congresso vide la partecipazione di personaggi famosi: Julian
Huxley; l'antropologa americana Margaret Mead, che fu la relatrice d'apertura; Carl Gustav Jung. Vi
intervenne Winfred Overholser, capo della delegazione americana e alto esponente del Rito Scozzese
statunitense, direttore a Washington della clinica psichiatrica St. Elizabeth. Non mancarono lord
Thomas J. Horder, medico di Edoardo VIII, presidente della Eugenics Society e della Anglo-Soviet
Public Relations Association; il dottor Alfred E.Tredgold, membro del Committee for Sterilization
presso il Ministero della Sanità; gli psichiatri Cyril Burt e Hugh Crichton-Miller, esperto di ricerche
sul paranormale il primo, vicepresidente dell'Istituto "C.G.Jung" a Zurigo il secondo, entrambi
fondatori dell'Istituto Tavistock di Londra. Ecco un nome interessante. Come ho avuto altrove
l'occasione di scrivere, l'Istituto Tavistock, "formalmente clinica di ricerca psichiatrica è stato il
laboratorio della guerra psicologica per l'armata britannica durante la seconda guerra mondiale"
(Cfr. il mio In Bosnia come in Libano: guerre programmate dagli psichiatri su Studi Cattolici n.391,
settembre 1993, p.545.). L'oggetto degli studi più accaniti del Tavistock in questi ultimi anni è la
creazione di "salti di paradigma" (paradigm shifts), ossia del mezzo per indurre nelle società valori
"nuovi", attraverso eventi traumatici collettivi (turbulent environments). Ad esempio, un ciclo di
conferenze tenute al Tavistock nel 1989 aveva come tema il seguente: Il ruolo delle Organizzazioni non
Governative nell'indebolire gli Stati Nazionali. Ebbene, fra i partecipanti al congresso sulla Salute
Mentale che Montagu Norman volle a Londra nel 1948, spiccano personaggi le cui ricerche
psichiatriche (o sul funzionamento della mente) si svolgono in gran parte nell'ambito di programmi
militari, o politico-militari. A cominciare dall'uomo che nel1948 fu eletto presidente della World
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Federation for Mental Health: lo psichiatra - e generale di brigata britannico in servizio – John
Rawlings Rees. Che è stato anche direttore dell'Istituto Tavistock. Ma anche il dottor Overholser, il
massone a capo della delegazione statunitense, aveva un curriculum militare di tutto rispetto. Nel 1943
presiedeva, all'interno dell'Office for Strategic Services (OSS, che nel dopoguerra diventerà la Cia) un
comitato per la ricerca di "sieri della verità", ossia di sostanze psicotrope in grado di annullare i freni
inibitori, da usare negli interrogatori dei prigionieri: Overholser somministrò l'allucinogeno mescalina
a vari soggetti-cavia; e nella sua clinica St. Elizabeth cominciò dagli anni'50 a provare la marijuana
come mezzo per "sciogliere la lingua" a reclute della U.S. Army, probabilmente allo scopo di
identificare soggetti sovversivi. Quanto a Margaret Mead - succeduta al generale Rees alla presidenza
della World Federation of mental Health nel 1956 - ebbe una parte poco chiara nel colossale
programma
della
CIA
denominato
MK
Ultra.
Nel 1943, la Rockefeller Foundation aveva creato in Canada (dunque in territorio britannico) una
clinica, lo "Allen Memorial Institute", collegata alla McGill University di Montreal: a capo del servizio
psichiatrico fu posto Donald E. Cameron, uno psichiatra scozzese che divenne notorio, e non in senso
positivo, quando agghiaccianti particolari sugli esperimenti MK Ultra cominciarono a trapelare,
provocando una rivolta dell'opinione pubblica americana: Cameron era specialista nell'indurre nei
suoi pazienti (o vittime) il sonno per mezzo di droghe, per poi svegliare con l'elettroshock. Lo stesso
Cameron provò il curaro nell'ambito delle ricerche che interessavano la Cia. Lo Army Chemical
Center invece finanziò, sempre nel quadro del MK Ultra, le ricerche con l'LSD di Paul Hoch, uno
psichiatra - e alto grado del Rito Scozzese - che aveva collaborato con l'eugenista tedesco filonazista
Franz Kallmann negli studi sulla schizofrenia sponsorizzati dal Rito Scozzese americano (Franz
J.Kallmann,The Genetics of Schizophrenia: a Study of Heredity and Reproduction in the Families of
1087 Schizophrenics, New York, 1938.Kallmann aveva cominciato le sue ricerche in Germania sotto
l'eugenista del Terzo Reich Ernst Ruedin, ma nel 1935, identificato come "mezzo ebreo", aveva dovuto
emigrare negli USA.Trpvò impiego al New Yprk Psychiatric Institute,il cui direttore, Nolan
D.C.Lewis,era un adepto del rito scozzese). Anche Robert hanna felix, il "33°" fondatore (per conto
del Rito Scozzese) del National Institute of mental Health, fu coinvolto nello scandalo MK Ultra per
esperimenti di "lavaggio del cervello", insieme al suo allievo Harris Isbell, che per la Cia aveva
condotto sperimentazioni illegali con droghe su tossicomani negli nel suo Addiction Research Center di
Lexington
(Kentucky).
L'ESPERIMENTO
MK
ULTRA
Infine, al principio degli anni'60, le rivelazioni di stampa sulle vittime del MK Ultra costrinsero ad
interrompere il programma. Fu condotta un'inchiesta, che non portò a nulla. Non a caso: a capo
dell'apposita Commissione senatoriale era stato messo Nelson Rockefeller. La Commissione
Rockefeller chiuse i suoi lavori nel 1975. Ma già dal 1961 il "33°" Robert H. Felix aveva radunato i
principali ricercatori del MK Ultra sotto l'ombrello di una nuova istituzione dal nome rispettabile:
l'American
College
of
NeuroPsycopharmacology.
Nel 1967 - albeggiava già la contestazione permanente, il culto giovanile delle droghe, l'età dei "figli
dei fiori" - il College tenne un congresso ("Effetti dei farmaci psicotropi sugli umani normali"), la cui
relazione introduttiva spettò a due ex attori del MK Ultra: Wayne O.Evans, psichiatra militare,
direttore dell'U. S. Army Stress Laboratory di Natik (Massachusetts), e Nathan Kline, un eugenista
della Columbia University, studioso del voodoo haitiano. L'incipit della loro relazione rivela, con una
chiarezza abbagliante, il vero motivo per cui le oligarchie finanziarie hanno per tanto tempo finanziato
le ricerche psichiatriche: "L' attuale ventaglio di psicofarmaci sembrerà quasi banale quando lo
paragoniamo al possibile numero di sostanze chimiche che saranno disponibili per il controllo di
aspetti selettivi della vita umana nel Duemila. La cultura americana muove verso una "società
sensata". L'accento vien posto sempre più sull'esperienza sensoriale e sempre meno su filosofie
razionaliste o orientate al lavoro. Tale visione filosofica, unita ai mezzi per separare il comportamento
sessuale
dalla
riproduzione,
intensificherà
senza
dubbio
la
libertà
sessuale.
"Sembra ovvio che la gioventù di oggi non ha più paura delle droghe o del sesso. Ancora, i filosofi e gli
opinionisti d'avanguardia propugnano l'esperienza sensoriale personale come la raison d'etre della
prossima generazione. Stiamo andando verso un'era, in cui un lavoro significante sarà possibile solo
per una minoranza: in quell'era, afrodisiaci chimici saranno accettati come un mezzo comune di
occupare
il
tempo.
"Se noi accettiamo la posizione che l'umore dell'uomo, le sue motivazioni ed emozioni, sono riflessi
dello stato neurochimico del cervello, allora i farmaci possono fornire il mezzo semplice, rapido e
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pratico
di
produrre
qualunque
stato
neurochimico
desideriamo.
"Più presto smetteremo di confondere le affermazioni scientifiche e quelle morali sull'uso delle droghe,
e più presto potremo razionalmente considerare i tipi di stati neurochimici che vogliamo diventar
capaci di fornire alla gente".
Bio-politica, razzismo e disciplinamento sociale durante il
fascismo
Dario Padovan, Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova
1. L’avvento della bio-politica
Con le categorie di bio-potere e di bio-politica Michel Foucault sottolineava una trasformazione
delle politiche sociali degli stati che, esordendo alla fine del diciottesimo secolo, si protraeva con
successo fino, ed oltre, la seconda guerra mondiale. Mutando nel senso della bio-politica, il potere
politico iniziava a prendere in carico la vita biologica della totalità sociale, manifestando un nuovo
principio giuridico che non cancellava quello precedente ma lo trasformava dall’interno. Se nel
vecchio diritto “la sovranità faceva morire e lasciava vivere”, con il nuovo diritto appariva invece “un
potere di regolazione, il quale consiste[va] proprio nel far vivere e nel lasciar morire” (Foucault
1990:160).
La trasformazione del potere politico, che segnò tanto gli stati liberali quanto i regimi autoritari,
comportò una metamorfosi anche delle tecniche disciplinari. A fianco delle tecniche di controllo
esercitate sul corpo individuale apparve una tecnica bio-politica, che non sopprimeva quella
precedente ma la integrava, la incorporava, la modificava. Essa si pose su un altro piano, ricorse ad
altri strumenti e a nuovi saperi, esercitò un’influenza per così dire meta-individuale, rivolgendosi alla
moltitudine massificata dei corpi o all’uomo medio che la rappresentava statisticamente. Alle
tecnologie disciplinari incentrate sul corpo individualizzato, sul corpo come organismo da addestrare,
si associarono delle tecnologie di regolazione dell’organismo sociale massificato, delle tecniche di
sicurezza che assicuravano l’insieme sociale dai suoi pericoli interni(Foucault 1990:158-159)1[1].
1[1] Per un approccio di tipo sociologico vedi (Stella 1996:152-173).
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Questi due meccanismi, l’uno di disciplinamento l’altro di regolazione, non erano in opposizione ma
si situavano su piani operativi e cognitivi differenti, impedendo quindi la loro vicendevole esclusione.
La dislocazione su differenti livelli operativi dei due meccanismi di potere si rese possibile in virtù
dell’egemonia delle scienze organiciste nell’interpretazione della società. L’idea di una continuità
evolutiva tra corpo individuale e corpo sociale, di un’analogia sostanziale tra organismo individuale e
organismo sociale, permise una concreta dialogica ricorsiva tra saperi anatomo-biologici applicati al
corpo individuale e saperi bio-sociologici applicati al corpo sociale.
Non era estranea a questa eziologia combinata del corpo individuale e del corpo sociale lo sforzo
che gli igienisti, i biologi e i medici profusero negli ultimi anni dell’ottocento per combattere i
“microbi”, questo attore invisibile che si insinuava tra i rapporti sociali impedendone il libero
progredire. La battaglia contro i microbi comportò l’introduzione di nuove professioni, laboratori,
saperi e “saper fare”, che letteralmente “spostarono” le scienze sociali verso lo studio del contagio
sociale e dei comportamenti sociali che lo favorivano (Latour 1991). La lotta contro i microbi, i
parassiti, gli agenti patogeni portò a una nuova interpretazione della società, alla ridefinizione
dell’attore sociale e dell’attore-scienziato, trasferendo alle scienze sociali sia la responsabilità di
definire i parametri di consonanza dei comportamenti sociali da ottemperare per la salute pubblica,
sia la costituzione di una moltitudine di agenzie di regolazione.
Le bio-politiche degli stati totalitari tra le due guerre, implicarono un crescente investimento di
sapere scientifico sulla massa dei corpi per renderli docili ed efficienti. Nel mutamento delle tecnologie
politiche, i corpi individuali e collettivi divennero materiale grezzo da manipolare, mezzi di produzione
da adattare alle nuove tecniche e configurazioni produttive (Hewitt 1983:67-84).
2. Saperi bio-sociali e igiene della popolazione
Scienze quali la medicina, l’igiene, la psichiatria, la biologia si occuparono del disagio e delle
patologie urbane, del lavoro, familiari, assoggettando i corpi a trattamenti sanitari per assicurare il
loro adattamento ai cambiamenti socio-ambientali. Esse non furono discipline separate da una visione
sociologica e sociocentrica della realtà; anzi, spesso profusero consigli, decaloghi, informazioni ad uso
e consumo delle scienze sociali. Fin dai tempi più antichi, la medicina era considerata un ramo delle
più generali scienze dell’uomo, un’importante disciplina per lo studio delle patologie individuali.
Questa professione liberale, che strettamente cuciva il ruolo del medico e la difesa della libertà
individuale del malato, subì una radicale torsione durante il positivismo, quando si trattò di migliorare
la salute pubblica. Da confidente del paziente, il medico si convertì in agente delegato della salute
pubblica. Non si trattava più di mantenere l’anonimato del malato contagioso: esso doveva essere
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denunciato, isolato, disinfettato, messo in condizione di non nuocere. La malattia non era più una
sciagura privata, ma un attentato all’ordine pubblico (Latour 1991:159-160). Da professione liberale la
medicina diveniva una tecnica di controllo sociale della salute che doveva la sua esistenza a un preciso
contratto con lo stato.
In Italia più che altrove, la figura del medico-sociologo, stereotipata dal positivismo, si impegnò in
analisi e ricerche sulla salute pubblica e l’igiene collettiva o nel mettere in luce le relazioni tra
condizioni sanitarie ed economiche della popolazione. La medicina sociale, quale si delineava nei primi
anni del secolo, era il risultato, come auspicava il giovane Edoardo Agostino Gemelli, dell’intima
unione tra le conquiste delle scienze sperimentali, che stavano alla base della medicina, e le dottrine
sociologiche. Oggetto di questa “benefica ed armonica unione” tra medicina e sociologia erano le
malattie sociali: qui si dovevano “incontrare medici e igienisti e giuristi ed economisti” (Gemelli
1909:497-530). In effetti, la nuova disciplina seppe coinvolgere sia i medici clinici, ostetrici e ginecologi,
i quali furono convinti a non rinchiudersi nei laboratori ma di occuparsi con scrupolo e sentimento di
questioni sociali, sia i sociologi, gli psicologi, gli economisti, i demografi, i giuristi, lasciando loro uno
spazio in cui operare autonomamente2[2]. Tuttavia, essa era ancora carente dal lato del riconoscimento
politico.
Più che scoraggiarli, l’arrivo al potere del fascismo diede agli scienziati nuove speranze per un
concreto e radicale impegno statale per fronteggiare le morbosità sociali. Essi denunciarono le
insufficienze delle politiche sociali dei governi liberali e chiamarono “il nuovo Governo della nuova
Italia” a varare un programma per diminuire “l’entità dei mali che diminuiscono le energie della
nostra Stirpe” e per avviare una radicale azione di risanamento sociale. Solo affrontando il problema
delle sofferenza e delle malattie del corpo sociale era possibile realizzare l’opera di ricostruzione
economica e di pacificazione sociale che il paese chiedeva a gran voce (Levi 1923:1-4).
Nella nuova temperie, gli studiosi delle patologie sociali si riproposero di superare i tradizionali
concetti di igiene, previdenza, assistenza. Non si trattava solo di lottare contro gli agenti infettivi, di
risanare gli ambienti di vita e di lavoro, di curare le ferite inferte dagli insidiosi e temibili nemici
interni che si annidavano nelle più degradate realtà sociali (Levi 1922:7). La medicina sociale e le
discipline in essa coinvolte dovevano abbandonare l’atteggiamento repressivo per passare a quello
preventivo, occupandosi del capitale umano su più fronti quali la “selezione umana”, l’orientamento
educativo, l’orientamento professionale. Spinta dai nuovi ambiziosi obiettivi, la medicina sociale iniziò
a premere nella direzione di un riconoscimento ufficiale da parte dello stato, con appelli che erano allo
stesso tempo rigorosi e seducenti:
2[2] Vedi le dichiarazioni di Vittorio Ascoli, professore di clinica medica
all'Università di Roma, del 19 dicembre 1917 (Patellani 1925:11-12).
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«E’ intuitivo infatti che allo Stato, alle classi dirigenti, ai Rappresentanti del Capitale e del Lavoro
compete la responsabilità:
1) che in base a ricerche scientifiche e ad un meditato e prudente indirizzo legislativo, si limiti la
indiscriminata attuale produzione di elementi disgenici, che sono fatalmente a carico della Nazione, e
si favorisca la produzione degli elementi di buona stirpe.
2-3) che le masse dei fanciulli destinate a divenire i lavoratori di domani, che le falangi dei
lavoratori di oggi, siano edotte dell’importanza di difendere le loro energie fisiche e psichiche dalle
malattie e dagli infortuni evitabili; ciò che si otterrà così:
scegliere l’uomo adatto alla macchina, non esaurire le possibilità giovanili di attività inadeguate,
significa risparmiare malattie e morti inevitabili; significa risparmiare cure domiciliari e ricoveri
ospitalieri, indennizzi per infortuni, fluttuazione operaia e scioperi, vagabondaggio e criminalità;
significa cioè valorizzare l’insostituibile macchina umana, fonte unica e prima di ogni ricchezza»
(Anonimo 1925:137).
Curando e migliorando l’efficienza biologica e psichica del capitale umano, si potevano risolvere
contemporaneamente problemi di natura economica, politica, organizzativa, sicuritaria. Il fascismo
non poté fare a meno di subire il fascino della potente politica di profilassi sociale avanzata dalle
scienze medico-sociali, facendone il cardine della sua strategia di controllo totale della società. Politica
sociale che prevedeva più che una rigenerazione morale dell'individuo normativamente orientata, una
peculiare statalizzazione del biologico, investendo di pratiche disciplinari e regolatrici non tanto
l'individuo al dettaglio quanto l'uomo-specie massificato.
La cultura sociologica del fascismo separò i concetti di “popolo” e “popolazione”. Sarebbe invero
interessante analizzare questo spostamento di categorie, che segnava l’abbandono dell’interpretazione
filosofica e politica della società per approdare a una visione bio-sociologica del “sociale”. La nozione
di popolo rimandava a qualcosa di intenzionale, di soggettivo, a un’entità dotata di volontà politica e di
diritti inalienabili, a “un’unità politica costituita per ragioni di intelligenza e volontà che obbedisce
all’ordinamento giuridico” (Bortolotto 1933:43). La popolazione costituiva invece un oggetto, un corpo
senza testa, un organismo regolato da leggi biologiche e sociali prevedibili,
«uno dei fattori della produzione, ed i suoi consumi [...] lo scopo della produzione stessa. [...] Chi
muore prima dell’inizio del periodo produttivo non lascia alcun risparmio, ma costituisce per la
collettività una perdita rappresentata dal suo costo di allevamento» (Vergottini 1930:171-173)3[3].
3[3] Cfr. anche (Tagliacarne 1934); (Vinci 1934:257-263).
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La categoria di popolazione indicava la moltitudine, la massa organica, sociologica e biologica, la
totalità degli individui privi di una particolare qualificazione (Bortolotto 1933:25), la prioritaria
rinnovabile risorsa dello stato e dell’economia. Essa connetteva funzionalmente fenomeni demografici
e sviluppo economico, la cui interdipendenza venne segnalata da demografi, economisti e sociologi,
individuando nella diminuzione della popolazione e nella conseguente contrazione dei consumi le cause
della crisi occupazionale.
La comparsa della popolazione, di questa nuova entità corporata ma biologica, e quindi priva di
intenzionalità, spostò il fondamento dell’ordine sociale dal contratto tra individuo e società alla
regolarità, economica e politica, nel tempo e nello spazio, dell’evoluzione dei fenomeni sociali a livello
della massa. Controllare la densità e le qualità fisiche, psicologiche e morali del corpo sociale, le cui
regolarità di sviluppo e decadenza erano inferite sulla base di stime statistiche e misure globali,
significava rinforzare l'equilibrio omeostatico della società generale. Combinando utilitarismo e
atavismo, la demografia, scienza del demos, poteva quindi assumere un aperto carattere sociologico,
evolvendo in
«scienza dell’ordine sociale dei fatti biologici della popolazione, intendendo per ordine sociale quei
nessi che esistono e che sono stati fatti da forze che si trovano nell’uomo, dallo spirito di tornaconto e
dalle forze di conservazione» (Coletti 1928:156).
Il fascismo si propose di ricomporre le forze sociali e produttive in un nuovo ordinamento,
suscitando
«un processo biologico nel quale tutti gli elementi, pur essendo separati, individuati e distinti,
concorrono alla giusta e proporzionata formazione del tutto, che deve presentare, contenere, ed allo
stesso tempo superare, le caratteristiche dei singoli elementi» (Bortolotto 1931:383).
Anticipando molte delle teorie funzionaliste e sistemiche, gli scienziati sociali del fascismo
individuarono nella “massa dei governati” l’oggetto della propria azione, sulla quale intervenire
disciplinandola e gerarchizzandola.
Quattro furono in sostanza i grandi campi di applicazione della bio-politica che richiesero i saperi
delle scienze bio-sociali:
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• le politiche eugenetiche, popolazioniste, familiari e sanitarie basate su saperi demografici, medici,
igienici, biologici, sociologici;
• le politiche dell’organizzazione scientifica del lavoro che si avvalsero delle elaborazioni delle
incipienti scienze dell’organizzazione, della psicologia del lavoro, della psicofisiologia;
• le politiche rurali e anti-urbane coadiuvate dai cultori di sociologia ed economia agraria, dagli
urbanisti, dai demografi, dagli esperti di alimentazione, dagli studiosi dei fenomeni migratori;
• le politiche coloniali illuminate dalle discipline economiche, antropologiche, geografiche,
sociologiche.
In questo saggio mi occuperò delle politiche eugenetiche e dei saperi ad esse corrispondenti.
3. Eugenetica: una religione per la stirpe
Sorto tra la fine del diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo nei principali paesi
industrializzati, il movimento eugenetico aveva come fine la messa a punto di una serie di saperi e di
strumenti per il controllo delle nascite e per un generico social improvement. Esso si occupava, come
sottolineò Roberto Michels, del soggetto principale della società umana, il proletariato, per le “tristi
condizioni biologiche” in cui si trovava, per la sua “spiccata inferiorità antropologica” (Michels
1919:2-3). L’eugenetica si diffuse inizialmente in Inghilterra con il nome di “stirpicoltura”, per poi
espandersi rapidamente negli Stati Uniti, in Germania, in Francia e da ultimo in Italia4[4]. In
Inghilterra, dove Francis Galton aveva fondato la disciplina in seguito alla pubblicazione del suo
saggio Hereditary Genius del 1869, essa prese inizialmente il nome di “stirpicoltura”.
In tutti i paesi, l'eugenetica si manifestò come un misto di protezione sociale, di coercizione e di
retorica, caratterizzando dispoticamente le risposte al bisogno di istituzionalizzare la profilassi sociale.
Gli studi pioneristici di Francis Galton, cugino di primo grado di Charles Darwin, nel campo della
genetica e della psicologia differenziale erano inizialmente influenzati dall'individualismo democratico
liberale. Il fine di Galton era lo sviluppo totale ed armonico dell'individuo, ma questo andò sfocando
mentre si affermava un collettivismo totalitario incorporato dallo stato. L'eugenetica, da strumento
scientifico per la liberazione individuale dal bisogno e dalla sofferenza, si trasformò in un potente
fattore di controllo sociale. La stessa sorte subirono le politiche di controllo delle nascite che erano
4[4] Per alcuni cenni storici sul movimento eugenetico in Inghilterra vedi (Buss
1976); (Macnicol 1992); sugli Stati Uniti vedi (Carey C. A. 1998).
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state permesse negli Stati Uniti sotto la pressione dei movimenti femministi e socialisti. Negli anni del
primo dopoguerra, sotto la direzione di un'élite bianca maschile, permeata di nativismo, razzismo,
darwinismo sociale ed etnocentrismo, il movimento per il controllo delle nascite statunitense venne
ricondotto a pratiche eugenetiche e alla tradizionale difesa della famiglia e della moralità sociale (Buss
1976, Gordon 1974).
La distruzione del patrimonio biologico nazionale causata dall’evento bellico favorì la diffusione di
progetti eugenetici per la rigenerazione della stirpe. Queste strategie di bonifica si giovarono di
programmi a tutela delle fonti della vita, di quella maternità e infanzia rientranti nel dominio sociale
che lo stato doveva prendere sotto la sua protezione. Le relazioni intersoggettive, la sessualità, il
matrimonio, la procreazione, l’educazione dei figli, passavano sotto il dominio dello stato. L’individuo
perdeva i suoi diritti naturali e sociali, divenendo un semplice ingranaggio del grande meccanismo biosociale da ripristinare nella sua integrità.
L’eugenetica si affiancava alla medicina sociale e all’igiene nella grande opera di bonifica sociale.
Come le discipline consorelle, essa presentava i caratteri propri di un sapere non ancora scientifico che
tuttavia costruiva il suo proprio oggetto e le sue procedure discorsive e di intervento chiamando a
raccolta le scienze già preesistenti, in primo luogo la biologia e l’economia politica, per scandagliare il
fondo naturale e il fondo tecnico-economico della società.
Alla pari dei loro colleghi occidentali, gli scienziati sociali italiani furono sedotti dall'eugenetica,
ritenendola uno strumento di purificazione razziale e di individuazione dei fattori di controselezione
che minacciavano lo sviluppo della civiltà5[5]. In un saggio del 1912, Corrado Gini annunciava che
uno dei fattori più dannosi per la razza era la “decrescente riproduttività delle classi elette”, fenomeno
preoccupante poiché i caratteri migliori o degenerativi si trasmettono per via ereditaria, come avevano
già messo in luce le ricerche biometriche di Lombroso sul genio della pazzia (Gini 1912:68-69). L’altro
fattore di controselezione dimorava nella diffusione della “compassione” verso gli esseri deboli e
degenerati della società, i quali erano “sottratti all’azione eliminatrice della selezione naturale e posti
in condizione di vivere e di riprodursi”. In conseguenza dei progressi dell’ostetricia, della medicina e
dell’igiene, associati ai provvedimenti pubblici, gli elementi meno sani e robusti della popolazione
(tisici, pazzi, suicidi) si trovavano a fornire una parte crescente dei geni ereditari delle generazioni
future (Gini 1912:56-59).
5[5] A differenza dei paesi anglosassoni, dove si è sviluppato un notevole interesse
storiografico e sociologico per il movimento eugenetico a cavallo dei due secoli, in
Italia non esiste una storiografia e una sociologia delle teorie e politiche
eugenetiche, discusse e in parte realizzate prima e durante il fascismo. Tra i pochi
studiosi di queste campo delle scienze sociali va ricordato per il lavoro pionieristico
Claudio Pogliano (Pogliano 1984).
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Dalle prime riflessioni degli eugenisti italiani emergeva una certa diffidenza verso l’azione statale di
protezione sociale verso i perdenti della lotta per l’esistenza e dei costituzionalmente deboli e
degenerati. L’azione dello stato non poteva essere improntata a quel “buonismo” paternalista verso il
quale era spinta dall’umanitarismo socialista. Non si trattava di garantire a tutti un posto al sole,
l’opera di profilassi e di purificazione del corpo sociale doveva rispettare i bilanci economici e i
principi di efficienza amministrativa. L’azione bio-politica dello stato era ritenuta indispensabile per
migliorare la qualità e la coesione sociale in una prospettiva di accumulo di potenza biologica ed
economica, non per mantenere in vita gli individui degerogeni e patogeni ai quali non si poteva che
riservare il minimo del bilancio statale. Per i “perdenti della lotta per la sopravvivenza” si delineava
quindi un destino di segregazione o un lungo percorso di riadattamento alla vita sociale.
Il timore suscitato dagli inequivocabili segnali di degradazione morale di alcune caste e di talune
collettività spinse tuttavia gli scienziati sociali italiani, così come quelli degli altri paesi europei, verso
la rivalutazione dell’azione statale. Troppe e molteplici erano le cause della selezione regressiva della
razza per non pensare a una “viricultura razionale” che fosse opera dello stato (Consiglio 1914:444466). L’eugenica appariva alle classi dirigenti indispensabile per risanare l’ambiente morale e la
struttura organica della società, irrinunciabile «per potersi difendere e proteggere meglio da ogni
sorta di epidemie, infettive o psichiche». Epidemie che più facilmente dilagavano negli strati più bassi
della società, inquinando poi rapidamente le stratificazioni sociali più elevate, per inevitabile contagio
diretto e indiretto.
Per scongiurare il manifestarsi di epidemie psicofisiologiche collettive non era più sufficiente il
meneur de foules, il duce che agglutina la massa e la conduce come un esercito verso le più alte
conquiste morali e sanitarie. A limitare l’assestamento dell’organismo sociale alle nuove condizioni
erano le carenti qualità del complesso energetico-organico, la sua limitata capacità di svolgere “lavoro
socialmente utile”, l’impossibilità psichica di disciplinare il lavoro verso il più intelligente degli
adattamenti. Il processo di lotta, selezione e adattamento nei nuovi contesti della civiltà, richiedeva tali
e complessi sforzi da ingenerare interazioni sociali crescentemente molteplici e tensive (Consiglio 1914,
La Torre1915). Solo lo stato poteva governare tale complessità.
Verso gli anni venti l’eugenica aveva ampliato il suo raggio d’azione e chiarito i suoi obiettivi
scientifici e pratici. Agli eugenisti non bastava consigliare il normale e saggio accoppiamento degli
elementi migliori. Essi intendevano piuttosto valorizzare
«quelle tali influenze che pongono le razze migliori o i migliori individui in condizione di vivere e
svilupparsi con spiccata superiorità sulle razze inferiori. [...] La società deve sforzarsi, modificando la
sua legislazione e la sua amministrazione, ad ostacolare la moltiplicazione degli elementi inferiori,
provvedendo così ad un avvenire in cui si avrà la prevalenza di una razza superiore» (Anonimo
1925:301).
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In quegli anni, il governo fascista non si era ancora impegnato in una precisa politica razzista,
eppure gli scienziati divulgavano prescrizioni e teorie tese ad affermare la superiorità di una razza
sulle altre. La candidatura degli scienziati sociali alla conduzione del piano di bonifica dell’organismo
sociale non poteva essere più chiara e politicamente schierata. La bio-politica del fascismo aveva in
effetti bisogno di sacerdoti, chiese e vangeli. Con il famoso “discorso dell’Ascensione” del 26 maggio
1927, Mussolini e il fascismo aprirono il periodo delle politiche igieniste, popolazioniste ed eugenetiche.
In quel discorso il duce affermava:
«[...] qualcuno, in altri tempi, ha affermato che lo Stato non doveva preoccuparsi della salute fisica
del popolo. Anche qui doveva valere il manchesteriano “lasciar fare, lasciar correre”. Questa è una
teoria suicida. E’ evidente che, in uno Stato bene ordinato, la cura della salute fisica del popolo, deve
essere al primo posto. [...] Bisogna quindi vigilare seriamente sul destino della razza, bisogna curare la
razza, a cominciare dalla maternità e dall’infanzia. [...] Se si diminuisce, signori, non si fa l'Impero, si
diventa una colonia!» (Mussolini 1934:39-42)6[6].
Qualche anno più tardi, Mussolini investiva i medici della nuova missione razionalizzatrice delle
disfunzioni bio-politiche dell’organismo sociale. Nel Discorso ai medici del 28 gennaio 1932, il duce
celebrava il loro insostituibile compito politico-sociale:
«i medici debbono insistere perché la vita si svolga in forma più razionale. [...] Tutto quello che voi
farete nel vostro campo per abituare gli italiani al moto, all’aria libera, alla ginnastica ed anche allo
sport, sarà ottimo non solo dal punto di vista fisico, ma dal punto di vista morale, perché gli uomini
che sono forti, sono anche saggi e sono indotti a non mai abusare delle loro forze come lo sono invece i
deboli, i vinti, quelli che qualche volta hanno la crudeltà della loro debolezza».
L’impegno pubblico per il miglioramento della razza del regime fascista era in parte dipeso, come
ho già accennato, dalla pressione politica esercitata da medici, igienisti, sociologi, antropologici,
psicologi. Questi gruppi di pressione promossero, con ritmo crescente, la fondazione di riviste, istituti
di ricerca, istituzioni di prevenzione che funzionarono da potenti organi di informazione, diffusione e
implementazione di politiche sociali di taglio bio-politico. Nel 1913 si costituiva in seno alla Società
6[6] . Vedi anche Orano 1937:31-61. Il discorso venne pronunciato alla Camera il 26
maggio 1927, ed è interessante notare come, in prossimità di quel discorso, il duce si
fosse rivolto per “consigli tecnici” proprio a Corrado Gini. Cfr. (Lyttleton 1974).
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romana di Antropologia un Comitato italiano per gli studi di eugenica di cui facevano parte Corrado
Gini, Giuseppe Sergi, Sante De Sanctis, Luigi Mangiagalli, Alfredo Niceforo, Cesare Artom. Nel 1919,
l’igienista e malariologo Giuseppe Tropeano rilanciava la rivista “La Medicina sociale”, omonima di
una disciplina scientifica adatta a bonificare il materiale umano rovinato dalla guerra. Nel 1921,
Ettore Levi, libero docente in neuropatologia, fondava l’Istituto italiano di igiene, previdenza ed
assistenza sociale. Nel 1922 l’Istituto si dotò di un mensile di divulgazione, “Difesa sociale”, iniziando
una collaborazione con la Società italiana di genetica ed eugenica fondata nel 1919, al tempo presieduta
da Achille Loria, Cesare Artom, Corrado Gini. Si arrovellava sul significato economico della vita
umana anche Pietro Capasso, animatore della rivista “Pensiero sanitario”, secondo cui l’Italia, così
povera di materie prime, doveva investire sulla risorsa lavoro per portarla al massimo rendimento.
Nel 1924, Giulio Cesare Ferrari, direttore della “Rivista di psicologia”, lo psichiatra Leonardo Bianchi
ed Ettore Levi fondarono a Bologna la Lega italiana di igiene e profilassi mentale, che si propose
l’istituzione di dispensari gratuiti e l’avvio di interventi di tipo psico-igienico nella scuola e nelle
famiglie. Nello stesso anno, ebbe luogo a Milano dal 20 al 23 settembre il I Congresso italiano di
eugenetica sociale, promosso dalla Società italiana di genetica e di eugenica e dalla Reale società italiana
d’igiene. Vi parteciparono cinquecento convegnisti e vi aderirono quasi tutte le società di eugenica
europee, sudamericane e nordamericane.
Nel 1927 veniva fondata da Umberto Gabbi, Edoardo Maragliano e Rinaldo Pellegrini la rivista
“Archivio fascista di medicina politica”, dedicata allo studio delle cause e dei rimedi della morbilità
della popolazione. La “medicina politica” si accostava alle altre già esistenti analoghe discipline quali
la “medicina sociale” e la “medicina del lavoro”, formando una potente triade scientifica per la
profilassi sociale. Le scienze della società del fascismo, combinando discipline mediche, psicologiche e
sociologiche, acquisivano un fondamentale statuto politico, facendosi funzione regolatrice di governo e
di disciplina sociale, commistione di «imperio di leggi e autorità dei tecnici» (Gabbi 1927).
Tra il 7 e il 9 settembre 1929 si tenne a Roma il Congresso internazionale per gli studi della
popolazione, organizzato e coordinato sempre da Corrado Gini, al quale parteciparono studiosi di tutto
il mondo. Tra il 30 settembre e il 2 di ottobre sempre del 1929 si tenne il Secondo congresso italiano di
genetica ed eugenica promosso dalla Società italiana di genetica ed eugenica. Due anni dopo, nei giorni
7-10 settembre 1931, si svolse un secondo Congresso internazionale per gli studi della popolazione,
durante il quale veniva ribadita la revisione del corpo dottrinario delle scienze eugenetiche.
I concetti elementari della genetica ereditaria, dell’eugenetica, della medicina sociale, furono
oggetto di una capillare opera di divulgazione sociale. La rivista “Politica Sociale” diretta da Renato
Trevisani e vicina alle posizioni di Giuseppe Bottai, iniziò pure ad assumere l’arsenale linguistico
biologista che proveniva dalla sociologia popolazionista e dall’eugenetica. Nel 1932 essa dedicò un
intero fascicolo ai “molti, sani e belli” che il regime voleva riprodurre e proteggere con l’aiuto di una
medicina sociale a volte estetizzante, in plauso ai caratteri ideali voluti per l’uomo medio italiano.
Qualche anno più tardi, “L'economia italiana. Rassegna fascista mensile di politica ed economia”,
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dedicava il numero dell'aprile 1934 al tema “Popolazione e Fascismo”. In quel numero venivano
presentati ventiquattro articoli, divisi in sei sezioni, scritti da studiosi di differenti discipline7[7].
Nel 1934 vedevano la luce il Comitato italiano per lo studio dei problemi della popolazione e la sua
rivista “Genus”, edita sotto il patrocinio del Consiglio Nazionale delle Ricerche e collegata alla Società
italiana di Genetica ed Eugenetica. Ancora nel 1934, a riprova dell'incitamento che le scienze
eugenetiche avevano ricevuto, venne fondato il Comitato internazionale per l'unificazione dei metodi e
per la sintesi in antropologia, eugenica e biologia, che tenne nello stesso anno, presso l'Istituto
antropologico di Bologna, il suo primo congresso. L'idea del comitato era venuta a Charles Davenport,
direttore del Dipartimento di genetica del Carnegie Institute di Washington, nel corso del III Congresso
internazionale di Eugenica svoltosi a New York nel 1932, invitando l'antropologo Fabio Frassetto a
costituire detto comitato. Il comitato si dotò anche di un bollettino internazionale dal titolo
iperscientifico di “S.A.S.- Standardisation Anthropologique Synthetique”, del cui comitato di redazione
facevano parte, oltre al direttore Frassetto, gli antropologi Eugen Fischer, Georges Montandon, Josef
Weninger, coadiuvati da Charles Davenport, Alfredo Niceforo, Felice Usuelli, Felice Vinci e Giacinto
Viola.
5. Ortogenesi: l’arte di raddrizzare il corpo e l’anima
La “biotipologia umana” od “ortogenesi” costituì durante il periodo fascista l’alternativa cattolica
dell'eugenetica. Fondata da Nicola Pende nel 1922 a partire dalla tradizione costituzionalista di Cesare
Lombroso, importata nella patologia medica da Achille De Giovanni (Pende 1922), essa era la “scienza
dell’architettura e dell’ingegneria del corpo umano individuale”, una sorta di teoria bio-psicosociologica dell’attore sociale. Per spiegare quella definizione, Pende ricorreva alla metafora del
motore degli autoveicoli: «come ogni autoveicolo è caratterizzato dal tipo strutturale-dinamico del
motore e degli accessori dell'apparato meccanico, così ogni umana individualità ha il suo tipo di
motore umano, da cui dipende il dinamismo speciale della persona» (Pende 1939a:1). L'individuo era in
questo modo equiparato a una “fabbrica corporea”, concepito come un
7[7] Tra gli autori possiamo ricordare: Luigi Amoroso, Filippo Virgilii, Giorgio
Mortara, Luigi Galvani, Filippo Carli, Vincenzo Consiglio, Roberto Michels,
Marcello Boldrini, Arrigo Solmi, Nicola Pende, Agostino Gemelli, Sergio Panunzio,
Paolo Medolaghi
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«fenotipo umano individuale che nasconde però in sè quella parte del genotipo che non è ancora per
così dire germogliata sul terreno misterioso dell'eredità biologica, nelle sue oscure interazioni colle
influenze cosmiche e sociali, che agiscono sull'organismo vivente come stimoli rivelatori dei caratteri e
delle attitudini dinamiche e psichiche» (Pende 1939a:48).
La sintesi del biotipo individuale era rappresentata da una piramide quadrangolare la cui base
racchiudeva la genetica del biotipo, ovvero il patrimonio ereditario individuale, familiare e razziale, e i
quattro lati gli aspetti fenomenici dell'individualità vivente: morfologici, fisiologici, etici ed affettivovolitivi, intellettivi (Pende 1939:52). In quella piramide era racchiuso il “modello” della teoria, che
mediava tra aspetti teorici e aspetti operazionali.
La biotipologia intendeva donare una spiegazione totale dell'agire dell'individuo, ossia dell’attore
sociale. Essa era ovviamente molto lontana dalle attuali teorie dell’attore sociale. Tuttavia, negando il
collettivismo e il sistemismo sociologico a favore di un individualismo bio-psico-sociologico, la
biotipologia si presentava come una teoria in grado di spiegare e prevedere, e se necessario di
riorientare, i modi in cui un individuo agiva o avrebbe agito in certe situazioni. Combinando
osservazioni di tipo genetico, morfologico, fisiologico, etico, affettivo, intellettivo, socio-ambientale, i
biotipologi affrontavano i problemi dei valori individuali, delle disposizioni morbose e della loro
profilassi, dei devianti e dei criminali, della valutazione vitale degli individui per le assicurazioni statali
contro le malattie. Analogamente alla medicina sociale e all’eugenetica, la biotipologia si occupava
delle patologie in un ottica transdisciplinare, chiamando alla cooperazione i saperi medici, psicologici e
psicopatologici, educativi, sociologici, criminologici, per creare “Istituti di biologia e psicologia
dell’individualità” nei quali insegnamento, ricerca scientifica, attività di bonifica trovassero una sintesi
equilibrata (Pende 1923:53).
Il modello biotipologico unificava nello studio dell’attore fattori genetici ereditari e fattori
ambientali, sviluppando un approccio di tipo genealogico. I caratteri razziali dei genitori del soggetto,
uniti alle influenze geografiche e sociali e alle abitudini di vita dei genitori e del singolo, fornivano i
primi dati per l'accertamento delle patologie, delle disfunzioni, delle degenerazioni del soggetto.
Ereditarietà e ambiente, come nella più classica delle teorie positiviste dell'azione sociale, assurgevano
a sistema di influenze plasmatrici dell'architettura fisico-psichica individuale. Solo la conoscenza dei
modi e degli effetti con cui questi fattori esercitano un'influenza esterna sul comportamento
individuale, permetteva allo scienziato di avviare procedure di controllo e di trasformazione delle
degenerazioni soggettive. Per applicare gli studi biotipologici e la scienza ortogenetica Pende aveva
fondato presso la Clinica medica dell'Università di Genova l'Istituto biotipologico ortogenetico, nel
quale venivano testati ed esplorati gli aspetti psichici della personalità e del carattere, gli istinti e le
reazioni, il grado di intelligenza e il subcosciente di fanciulli e soggetti adulti (Banissoni, Nardi
1939:625-665).
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L’applicazione scientifica della dottrina biotipologica si concretizzò nella “scienza dell’ortogenesi”
ovvero nella scienza per la “formazione regolare, sana ed armonica degli uomini”. Essa si preoccupava
di correggere e normalizzare tutte le “possibili deviazioni del corpo e dello spirito sotto l’influsso di
fattori ereditari ed ambientali”. Fin dalla nascita, il futuro cittadino doveva venire tutelato dallo stato.
Dalla qualità e dal numero dei figli del popolo dipendeva, secondo Pende, «il benessere economico, la
potenza militare, la potenza spirituale, la potenza riproduttiva della razza» (Pende 1939b:7). Nella
prospettiva bio-politica dell’ortogenesi il rafforzamento della razza era visto come un processo di
miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie della popolazione e degli individui. Si trattava quindi
di organizzare e perfezionare un’assistenza preventiva e curativa per i figli tarati. Profilassi preventiva
e curativa che aveva portato, alla fine degli anni trenta, a mettere sotto assistenza medico-pedagogica
quasi tremila soggetti ritenuti portatori, in latenza, del gene di un’eredità patologica8[8].
La prospettiva ortogenetica negava radicalmente la “famigerata eugenica”, perché tesa
quest’ultima a migliorare o purificare la razza, operando incroci razziali, o peggio ancora
sterilizzando gli individui geneticamente inferiori. Alla selezione dei migliori e dei più adatti e
all’esclusione dei meno adatti, l’ortogenesi opponeva “la pratica di prendere l’essere umano sotto il
controllo scientifico sin dal momento del concepimento”, mettendo a punto politiche di gestione
dell’utero femminile e considerando le donne semplici portatrici della stirpe futura. La bonifica non
riguardava solamente i fattori fisici e le proporzioni del corpo, ma comprendeva anche gli aspetti
intellettivi, morali e di coscienza della personalità. Per questo, secondo il Pende, l’ortogenesi «non solo
è individualizzata ma è unitaria, totalitaria, rivolta nel tempo stesso al corpo, nella sua struttura e
nella sua composizione umorale, soprattutto glandolare ed ormonica, e poi al carattere e
all’intelligenza» (Pende 1939b:8-9).
La scienza dell’ortogenesi si proponeva, in sostanza, di guidare, fin dalla nascita, la formazione
pedagogica dell’individuo fascista, di rappresentare l’arte di fare gli uomini totali ed armonici. Nelle
intenzioni del suo creatore, l’ortogenesi diventava
«l’arte di migliorare continuamente il bilancio biologico della nazione, liberandolo più che è
possibile dalla massa dei mediocri e degli improduttivi e degli invalidi precoci, dei mediocri della
salute fisica, dei mediocri morali, dei mediocri intellettuali, mediocri che sottraggono ogni anno
miliardi alla ricchezza nazionale; l’arte di preparare lavoratori del braccio e dell’intelletto bene
orientati e selezionati per i vari posti di lavoro, di preparare soldati fisicamente e moralmente forti, di
preparare madri feconde sorvegliando accuratamente il loro sviluppo sessuale e il loro sviluppo
morale» (Pende 1939b:10).
8[8] Il numero di tremila assistiti è difficilmente verificabile. Noi l’abbiamo ripreso
da (Cesari 1940:75-82).
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In una parola, era all’ortogenesi che spettava la soluzione dei quattro grandi problemi, quello della
scuola, quello del lavoratore, quello della donna, quello della razza.
6. Politiche di bonifica sociale
Il controllo eugenetico della riproduzione biologica della popolazione trovò concretezza in
provvedimenti legislativi e in un drastico aumento dei ricoverati negli ospedali psichiatrici. Il nuovo
Codice penale, varato il 1 luglio 1931, unificando provvedimenti eugenetici e di difesa della prolificità,
prevedeva dure sanzioni per i reati contro la stirpe, ovvero per le pratiche abortive e l’istigazione
all’aborto, la procurata impotenza, l’incitamento alla contraccezione e il contagio venereo.
Le politiche di controllo si esercitarono in modo più sistematico con l’internamento e la cura dei
degenerati. Sulla base dei dati forniti dall’Ufficio statistico per le malattie mentali, fondato nel 1926
dalla Società italiana di psichiatria presso il manicomio di Ancona, si viene a sapere che gli istituti di
assistenza preposti all’accoglimento degli infermi di mente erano, al 31 dicembre 1927, 144, tra i quali
61 ospedali psichiatrici pubblici, 5 manicomi giudiziari, 36 ricoveri per cronici, 6 istituti per deficienti,
36 case di salute mentale per abbienti. Tra il 1926 e il 1928 entrarono per la prima volta negli istituti di
assistenza 50.183 individui malati, così suddivisi:
tab 1. Ricoverati per la prima volta in ospedale psichiatrico
1926
1927
1928
maschi
9.565
9.340
9.588
femmine
7.210
7.104
7.376
totale
16.775
16.444
16.964
Sommando i riammessi, il totale saliva a 70.697. Aggiungendo infine i ricoverati presenti all’inizio
dell’anno, la cifra totale dei ricoverati nel triennio saliva a 257.398, circa 85.000 per anno. Sottraendo i
dimessi e i morti, alla fine del triennio risultavano ricoverati 192.687 malati mentali. L’aumento dei
malati, commentava il Modena, non era dovuto a una maggiore morbosità, cioè a maggiori entrate, ma
alla maggior durata della degenza. La diminuzione dei congedi era a sua volta inerente alla crisi e alla
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disoccupazione, più che alla diminuzione della mortalità, che si aggirava sempre attorno al 7% dei
ricoveri, circa 6.000 all’anno. Il movimento dei ricoverati negli ospedali psichiatrici tra il 1926 e il 1946
è riassunto nella seguente tabella:
Tab. 2. Movimento dei ricoverati negli ospedali psichiatrici
presenti
entrati
dimessi
al 1 gen.
trasf. altri morti
presenti
totale
istit
al 31 dic.
assistiti
1926
60.306
26.057
15.399
2.575
6.282
62.127
1927
62.127
27.467
15.013
4.334
5.979
64.268
1928
64.268
27.785
15.585
3.703
6.473
66.292
1929
66.439
28.607
16.468
3.441
6.466
68.671
1930
68.777
30.424
16.899
4.641
5.643
72.018
1931
72.269
29.460
17.065
4.047
5.837
74.780
1932
74.780
30.866
17.294
4.439
6.189
77.724
101.207
1933
77.724
32.481
17.505
5.490
6.201
81.009
104.715
1934
81.009
31.447
18.786
4.359
5.917
83.394
108.097
1935
83.541
31.413
19.321
3.981
6.243
85.409
110.973
1936
86.449
33.680
19.687
4.368
6.683
89.391
115.761
1937
89.393
34.715
20.707
4.628
7.093
91.760
119.560
1938
93.019
35.209
20.968
5.152
7.292
94.816
123.076
1939
94.946
37.813
22.251
7.352
7.177
95.979
125.407
1940
95.984
37.440
21.675
7.690
7.636
96.423
125.735
1944
73.222
26.900
16.883
4.708
13.517
65.014
95.414
1945
65.014
29.760
20.598
3.799
8.680
61.697
90.975
1946
61.886
33.262
21.266
5.861
4.489
63.352
93.407
Fonte: Istat, Annali statistici italiani.
Come si nota, durante il ventennio il numero dei ricoverati e degli assistiti continuò a crescere con
una certa frequenza, aumentando del cinquanta per cento in circa quindici anni. La maggior parte
degli ammessi era costituita da individui compresi fra i 20 e 40 anni, con prevalenza dei maschi sulle
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femmine. Per quanto riguardava lo stato civile vi era una prevalenza dei celibi e delle nubili rispetto ai
vedovi e ai coniugati, confermando una convinzione da tempo espressa dagli statistici secondo la quale
i non sposati erano più soggetti a malattie e mortalità9[9]. Prevalevano tra i ricoverati i letterati con
istruzione elementare inferiore e, per quanto riguardava le professioni, di gran lunga le più
rappresentate erano le casalinghe e i lavoratori rurali, seguiti dagli operai, dai meccanici elettricisti e
dai manovali.
La durata della degenza è utile per inquadrare il tipo di profilassi psichiatrica. In alcuni casi, la
durata della degenza era particolarmente breve: il 20 per cento delle psicosi tossiche endogene erano
curate in meno di un mese, così per il 30 per cento delle psicosi tossiche esogene e per le psicosi
affettive (queste ultime erano le più diffuse tra la popolazione, soprattutto femminile, con 9 malati ogni
100.000 abitanti presenti, comprendendo stati depressivi, stati maniacali, psicosi maniaco-depressive).
Per la maggioranza dei malati, la degenza era invece molto più lunga: il 72.5 per cento delle
frenastenie venivano tenute sotto osservazione per un periodo compreso tra un anno e oltre due anni;
così per il 50 per cento delle psicodegenerazioni, il 62.6 per cento delle epilessie, il 40.4 per cento delle
psicosi affettive, il 63.5 per cento delle schizofrenie, il 27 per cento delle psicosi tossiche endogene, il 36
per cento delle psicosi alcooliche. Infine, su 100 dimessi, solo il 17.6 per cento era considerato guarito,
mentre il 44.3 per cento era ritenuto in esperimento e il 21.4 per cento affidato alle famiglie (Modena
1933:14-47).
Una statistica compilata da Franco Savorgnan nel 1934 comparava il numero dei letti d’ospedale
nei diversi settori sanitari del 1932 con gli stessi dati del 1907, anno dell’ultima rilevazione sullo stesso
argomento. Scontata la rilevazione di significativi incrementi nel campo generale dell’assistenza
sanitaria ospedaliera, dovuta all’opera svolta dal governo fascista, interessanti sono i dati per il settore
psichiatrico. Nel 1932 gli ospedali psichiatrici erano saliti a 154, affiancati da tre cliniche specializzate
nella cura delle malattie veneree; gli assistiti globali furono 105.O65, il 9.6 del totale degli assistiti in
tutti gli ospedali, più dei tubercolotici e dei ricoverati nei reparti di chirurgia. Nel 1907 c’erano negli
ospedali psichiatrici 48.026 letti, che diventavano 78.043 nel 1932, con un 62.5 per cento di aumento;
gli infermi assistiti furono 64.029 nel 1907, numero che salì nel 1932 a 105.O65, 64.1 per cento di
aumento; le giornate di presenza consumate furono 16.289.616 nel 1907, 27.198.924 nel 1932, 66.9 per
cento in più.
L’incremento del grado di medicalizzazione psichiatrica della società risalta più precisamente se si
raffrontano i dati degli assistiti nelle istituzioni psichiatriche con gli altri settori ospedalieri: per gli
ospedali pediatrici l’aumento era stato del 70.9 per il numero dei letti, del 40.7 per gli infermi assistiti e
9[9] Quanta propaganda fosse cristallizzata in questa asserzione è superfluo dire,
sufficiente peraltro a varare la legge che stabiliva l’imposta progressiva personale
sui celibi, istituita con R.D.L. 19 dicembre 1926, n. 2132 e resa effettiva con R.D.L.
del 13 febbraio 1927, n. 124.
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del 35.2 per le giornate di presenza consumate; per gli ospedali ortopedici e per rachitici l’aumento era
stato rispettivamente del 113.8, del 148, ma solo del 22.9 per le presenze/giornata consumate
(Savorgnan 1934:13), indicatore quest’ultimo significativo per valutare l’effettiva portata delle
politiche di segregazione dei malati mentali e l’impatto dell’istituzione psichiatrica sulla società. Nella
seguente tabella quel dato viene ampiamente verificato:
tab. 3. Confronto tra ospedali comuni e psichiatrici nel 1932
ospedali
numero istituti
numero letti
numero assistiti
giorni presenza
154
78.043
105.065
27.198.924
1.319
106.960
822.983
24.843.476
psichiatrici
ospedali comuni
Fonte: Istat, Annali statistici italiani, 1932
Era inoltre diffusa tra i medici psichiatri la convinzione che la massa dei degenerati debordasse
abbondantemente il numero rilevato statisticamente, che il numero oscuro fosse più ampio di quello
conosciuto. Alla popolazione degli alienati ricoverati andava infatti aggiunta la parte forse
preponderante di “deficienti mentali, anormali psichici, nevropatici, ecc., che non sono ricoverati nè
ricoverabili”(Cesari 1940:79). La preoccupazione per la presunta diffusione delle degenerazioni e delle
infermità
mentali
ossessionava
medici,
psichiatri,
statistici,
sociologi:
di
qui
l’auto-
responsabilizzazione degli scienziati per il controllo della capacità generativa degli individui, individui
definitivamente senza diritti, soggetti incapaci di agire. Le leggi razziali avevano ormai sollevato
qualsiasi dubbio in merito al duplice movimento di differenziazione e purificazione razziale. I
disgenetici e i malati mentali, aumentando la loro frequenza, minacciavano la biologia della collettività
e deterioravano progressivamente la razza bianca. Era cognizione comune che
«la percentuale di malati mentali, quali i deficienti, gli epilettici con manifestazioni psichiche, gli
schizofrenici, i maniaci e i malinconici rispetto alla popolazione di una Nazione, salgono a cifre
impressionanti e preoccupanti per il presente e per l’avvenire [...]. Damaye, trova che il gran numero
degli anormali mentali e dei deliranti, è, in libertà, nel mondo, ed essi non sono che un campionario di
quelli internati in manicomio. La vita libera abbonda di gente che presenta vaghe, piccole anomalie
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mentali o sessuali che, sopra certi aspetti dell’esistenza fanno di essi un pericolo ancora sconosciuto ed
insospettato» (Cesari 1940:79)10[10].
7. Politiche popolazioniste
Se le politiche eugenetiche intendevano migliorare la qualità della razza, le politiche demografiche si
diressero a sostenerne la proliferazione. Qualità e quantità dei fenomeni sociali trovarono nelle
politiche popolazioniste una sintesi di tipo funzionale. La crescita demografica aveva un senso solo se
la qualità della popolazione fosse stata mediamente buona. Tra il 1927 e il 1928 il regime aveva arguito
di trovarsi di fronte a una diminuzione delle nascite, soprattutto nelle regioni più industrializzate e
urbanizzate, generando una diffusa inquietudine politica. La scelta di combattere la natalità
decrescente avvicinò il regime alle posizioni della chiesa cattolica. Dopo lo storico discorso
dell’Ascensione, il 19 settembre 1928 compariva su “Il Popolo d’Italia”, sulla rivista “Gerarchia” e
come prefazione alla traduzione italiana del libro Regresso delle nascite, morte dei popoli di Richard
Korherr un articolo del capo del fascismo dal titolo Il numero come forza. In quello scritto il duce,
chiosando la sociologia giniana, sosteneva che «le leggi demografiche e le negative e le positive possono
annullare o comunque ritardare il fenomeno se l'organismo sociale al quale si applicano è ancora
capace di reazione. In questo caso più che le leggi formali, vale il costume morale e soprattutto la
coscienza religiosa».
Per compensare la caduta della natalità, il fascismo avviò un’intensa azione demografica solo nelle
campagne. Il rafforzamento della potenza riproduttiva delle masse rurali rispondeva a diverse
esigenze. Tra quelle economiche, una maggiore pressione demografica sulle campagne favoriva
soprattutto i grandi proprietari agrari del sud sia dal lato della vendita delle terre sia dal lato dei
salari agricoli. Inizialmente il fascismo imboccò la strada delle elargizioni benefiche, lontana da una
programmazione effettiva, per far fronte agli effetti della crisi economica che dal 1928 iniziava a
colpire i salariati dell'industria e dell'agricoltura.
Nelle menti del regime, la difesa della razza occupava un’ampia congerie di problemi e
provvedimenti. Sullo sfondo della sua limitata razionalità, la politica della razza connetteva
mutualmente direttive logiche di tipo negativo e positivo: negativo nel senso che mirava a eliminare
cause e fattori di “deterioramento” della razza; positivo nel senso che intendeva creare provvidenze
per un suo “miglioramento”. Sempre Mussolini aveva reso, in un suo scritto, la complessità degli
interventi pubblici nel campo razziale:
10[10] Vedi anche (De Lisi 1938).
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«la potenza militare dello Stato, l’avvenire e la sicurezza della nazione sono legati al problema
demografico, assillante in tutti i paesi di razza bianca e anche nel nostro. Bisogna riaffermare ancora
una volta e nella maniera più perentoria e non sarà l’ultima, che condizione insostituibile del primato è
il numero. Senza di questo tutto decade e crolla e muore. La giornata della Madre e del Fanciullo, la
tassa sul celibato e la sua condanna morale, salvo i casi nei quali è giustificato, lo sfollamento delle
città, la bonifica rurale, l’Opera della Maternità e Infanzia, le colonie marine e montane, l’educazione
fisica, le organizzazioni giovanili, le leggi sull’igiene, tutto concorre alla difesa della razza» (Mussolini
1935:40).
L’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, istituita nel 1925 e regolamentata nel successivo, aveva
indubbiamente un posto preminente nella politica della razza, dovendo proteggerne i germogli nel
“loro sorgere e nel loro sbocciare”. L’Onmi. prevedeva l’istituzione in tutto il paese di consultori
ostetrici e pediatrici, atti alla sorveglianza igienica delle donne gestanti e puerpere specie per le
malattie sociali, alla cura delle anomalie della gravidanza, all’accertamento delle predisposizioni o
alterazioni dello stato fisiologico dei genitori, alla sorveglianza igienica e dietetica del bambino
(Bergamaschi 1940:91-97). L’obiettivo ultimo era la bonifica attiva della razza e la messa sotto
monitoraggio dei comportamenti sociali dei genitori, giudicati sulla base di criteri medici e morali.
Le campagne demografiche e le politiche di proliferazione fecero leva sugli stereotipi femminili di
madre e di genitrice per trovare il soggetto adatto al progetto fascista di miglioramento della razza
(Krause 1994). Tuttavia, il processo di industrializzazione favorì il lavoro fuori casa delle donne,
soprattutto nel settore tessile, consentendo alla forza-lavoro femminile di assumere, forse per la prima
volta, un ruolo sociale, sottraendosi in parte alle politiche patriarcali perseguite dal regime e dai
demografi (Corner 1993). Ciò nonostante la lotta contro ogni comportamento trasgressivo di parte
femminile fu continua e feroce. La difesa della ruralità fu una delle principali politiche per tenere sotto
controllo una crescente ostilità delle donne verso il regime, che si manifestava con una certa frequenza
soprattutto nelle zone rurali nel corso delle manifestazioni popolari contro il carovita e la
disoccupazione (Tranfaglia 1996:470-480).
8. Bio-politica e razzismo
Per Mussolini e il fascismo, il “discorso dell'Ascensione” non comportava solo un impegno per
l’incremento quantitativo della popolazione. Quel pronunciamento lasciava trasparire un sostanziale
accordo con le strategie scientifiche e politiche che chiedevano il miglioramento qualitativo della
popolazione, della stirpe, della razza. La radicalizzazione bio-politica dei regimi totalitari, consentì
l'iscrizione del discorso sulla razza e del razzismo, che già esisteva, all'interno dei meccanismi dello
stato, proprio perché il razzismo è, secondo Foucault, “il modo in cui, nell'ambito di quella vita che il
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potere ha preso in gestione, viene introdotta una separazione, quella tra ciò che deve vivere e ciò che
deve morire”. A partire dal continuum biologico della specie umana, l'apparizione delle razze, la
distinzione delle razze, la gerarchia delle razze, la qualificazione di alcune razze come buone e di altre
come inferiori costituirono “un modo per frammentare il campo del biologico che il potere ha preso a
carico, diventerà una maniera per introdurre uno squilibrio tra i gruppi costituenti la popolazione”
(Foucault 1990:166).
Il razzismo fascista portò alle estreme conseguenze il potenziale regolativo della bio-politica
applicandolo al disciplinamento del corpo sociale nazionale. Il processo in base al quale si
individuavano le razze e la loro gerarchia, venne mutuato in parte dalle tecniche con le quali si
isolavano i gruppi degenerati e pericolosi della popolazione. Con il razzismo fascista, le razze inferiori,
le classi pericolose, i gruppi devianti divennero i soggetti da sacrificare per la purezza della razza
superiore. Solo la segregazione dell'altro “degenerato”, “impuro”, “indisciplinato” comportava il
miglioramento e l'irrobustimento biologico e genetico dell'individuo-specie: meno degenerati
popolavano questo spazio biosociale, più vigorosa e prolifica diventava la razza.
A partire dalla conquista dell'Etiopia e con leggi razziali del 1938, la politica razziale si volse in
attività persecutoria, mentre l'interesse verso la categoria socio-biologica di razza italiana cresceva
rapidamente. Si opinava, sotto l’influenza del mendelismo, che la razza italiana avesse discendenze
genetiche rimaste immutate fin dai tempi dell’Impero romano. Il mendelismo e il galtonismo vennero
ritenuti una sicura conquista scientifica, poiché stabilivano l'immutabilità dei caratteri genetici
ereditati dai discendenti di un ceppo familiare, di una stirpe o di un cespite razziale. La razza non
poteva punto mutare, nemmeno nel contesto della lotta per l'esistenza: essa doveva perdurare così
come era stata creata, essa permaneva al di là del tempo.
L'eugenetica diveniva una potentissima arma di elevazione civile e di tirocinio imperialista. Nel
clima creato dal fascismo, con il rinnovato orgoglio di razza e con i doveri che quello comportava,
l’eugenetica era una “scienza feconda” che «può andare oggi tra il popolo e dare anche essa il suo alto
contributo per le nuove e sempre più valide vite attese dall'Italia imperiale» (Businco 1938:3739)11[11]. L'associazione di eugenetica razziale e scienze della trasmissione ereditaria dei caratteri
risultava fondamentale proprio per dare un senso a questa grande costruzione metafisica che stava
diventando la razza. La conoscenza delle leggi che regolano la trasmissione ereditaria dei caratteri
diventava necessaria per poter comprendere l'origine e la finalità del razzismo. Di conseguenza le
caratteristiche psicologiche e somatiche di una razza diventavano
11[11] Allo stesso modo si esprimeva (Ricci 1939b:22-23).
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«il retaggio di più o meno lontani progenitori, pervenuto ai discendenti attraverso l'eredità
biologica. Il raggiungimento delle finalità del razzismo, il potenziamento cioè e il miglioramento della
razza è condizionato dalla pratica applicazione delle leggi delle eredità» (Ricci 1938b: 16-17)12[12].
Il concetto di razza tese a spiegare ogni evento e fenomeno bio-sociale: si iniziò a mettere in
relazione, come da tempo affermavano i biotipologi costituzionalisti, l’attitudine verso determinate
malattie e la costituzione biologica della razza. Si sosteneva, per esempio, che se per molte malattie
infettive il fattore razza non era invocabile e per altre aveva solo un valore relativo, tuttavia, per un
gruppo non indifferente di infezioni la razza era con certezza da ritenersi fattore di assoluta
predisposizione o di immunità organica (Imbasciati 1939:16).
L'eugenetica razziale elaborata dagli eugenisti del regime prese in altri casi una interessante
connotazione geopolitica e imperiale. Plaudendo alla regolamentazione giuridica dei matrimoni misti
varata dal regime, Edmondo Vercellesi notava che «se i matrimoni tra italiani e stranieri non
venissero regolati da un sano criterio discriminante, si verificherebbero ben presto incroci mostruosi,
con conseguente imbastardimento ed impoverimento dell'elemento etnico indigeno». Per tale motivo
l'eugenetica familiare doveva garantire incroci appropriati e l’eugenetica razziale l'eliminazione dei
“genidi” estranei alla razza, precisando che andavano messi la bando gli incroci con le “razze di
colore” e con alcune razze ariane che “hanno subito una snaturalizzazione” (Vercellesi 1939:12-13).
Conclusioni
Con questa rassegna sulle scienze sociali e sulle bio-politiche degli stati totalitari ho posto in rilievo
alcuni dei percorsi che condussero alla genesi del razzismo di stato durante il fascismo. Esso fu l’esito
dell’azione combinata di alcuni attori sociali: dei medici, degli igienisti, dei sociologi, che si proposero
come convinti e laboriosi artefici delle pratiche di profilassi sociale; delle politiche statali decise da
policy makers che reagivano alle pressioni e suggestioni delle corporazioni scientifiche, trovando in
quei saperi gli strumenti e le tecniche per pianificare il “sociale”; delle teorie, che al modo paretiano
assumiano come agenti di ordine sociale, che fornirono le argomentazioni per egemonizzare in senso
razziale lo spazio pubblico dell’epoca.
12[12] Vedi anche (Franzì 1938: 29, Ricci 1939a: 29-31, Ricci 1938a:19, Franzì
1942).
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Il fascismo riuscì, più dei governi che l’avevano preceduto, a cooperare con le scienze sociali
dell’epoca per costruire un modello di governo della scoietà. Il discorso scientifico sulla razza, che
condizionò fin dall’inizio le politiche sociali del fascismo, fino a trasformarle in politiche razziali,
venne costruendosi a partire dalle discipline che avevano trovato legittimità durante il controverso
periodo del dopoguerra, quando l’appello all’ordine sociale proveniente dalla borghesia intellettuale si
fece più forte e limpido. Non furono estranei a questa febbre igienista e purificatrice nemmeno quegli
intellettuali che si ritenevano socialmente schierati. Il tempo in cui le scienze sociali trovarono ascolto
alle loro porpensioni normative fu senz’altro quello del fascismo. Si realizzò allora una convergenza
unica tra politiche statali, scienze della soceità, ideologie politiche, una convergenza che non trovò più
un’unità di tal fatta.
Menzogne: quale mondo nuovo?
Almeno di nome, tutti conoscono Brave New World, la distopia di Aldous Huxley. E' meno noto che il
fratelo Julian nel 1931 ha scritto un libro sull'eugenetica (Ciò che oso pensare, tradotto in Italia da
Hoepli nel 1935).
Vi si trovano suggerite tutte le idee sul controllo genetico e sul miglioramento della specie (anche
umana) che Aldous tratterà nel suo famoso libro, uscito l'anno successivo. A pensarci, forse Brave New
World non è un incubo come 1984. Pare quasi che l'autore si auspicasse quel futuro, del resto
incredibilmente simile all'oggi. Si, con Ritorno al Mondo Nuovo (1946) Huxley sembra prendere una
posizione nettamente contraria, ma forse si è trattato di un ripensamento.
A quanto pare il fratello invece non cambiò idea. Leggo qui che Julian "approvava le teorie razziali di
Charles Davenport, allora presidente della International Federation of Eugenics Organizations: l'ente
angloamericano (era stato fondato nel 1925 presso la Royal Society di Londra) che nel 1932 avrebbe
eletto suo nuovo presidente il genetista del Terzo Reich, Ernst Ruedin. Julian Huxley non rinnegò mai
le sue idee eugenetiche. Il 6 settembre 1930, sulla Weekend Rewiew, prese le parti del Comitato per la
Legalizzazione della Sterilizzazione: "La causa della sterilizzazione di certe classi di persone anormali
o difettose mi sembra invincibile". Nel 1929, secondo la Eugenics Society (Mental Deficiency
Committec) di Londra, il numero di tali "difettosi", nella sola Inghilterra, era valutabile a 300 mila,
tutti candidati alla castrazione. Inutile dire che Julian Huxley era membro rilevante della Eugenics
Society, di cui fu presidente ancora nel 1962."
Il sito di chiama "disinformazione" e parla anche di alieni e altre cazzate, ma queste notizie sembrano
vere. Bisogna anche dire che Julian non era razzista, almeno in senso normale. Anzi, proprio dai suoi
libri parte la confutazione scientifica della teoria della superiorità della razza bianca. E mi pare giusto.
Il pool di bestie da selezionare va studiato seriamente.
Comunque, provate a rileggere BNW, anche se è noioso. Magari vi accorgerete che è un'Utopia, non
l'opposto.
Noterella per gli amanti delle relazioni intricate: nel 1930 Julian Huxley scrive Science of life, quattro
volumi sulla nuova biologia, insieme ad H.G.Wells. La copia autografata costa solo 900 dollari. Wells è
quel wells, quello che 35 anni prima aveva scritto L'isola del dottor Moreau e che è considerato un
padre della "futurologia" (oltre che un gran narratore). E a questo punto anche un nazistello, se quel
che ho letto è vero... indubbiamente i due se la facevano con la stessa cricca. Per voi gdristi: Wells è
anche l'autore di Piccole Guerre, il nonno del wargame e quindi uno dei bisnonni del gdr.
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Stato razziale e eugenetica:gli Usa e il Terzo Reich
«Una domanda s’impone: perchè per definire il regime nazista il ricorso alla dittatura del partito
unico dovrebbe essere più caratterizzante che non l’ideologia e la pratica razziale ed eugenetica?»
di Domenico Losurdo
Sarebbe assai povera una definizione del Terzo Reich che si limitasse a mettere in evidenza il suo
carattere totalitario, rinviando in particolare al fenomeno della dittatura del partito unico. In quanto
leaders di una dittatura a partito unico, non c’è difficoltà ad accostare Hitler a Stalin, Mao, Deng, Ho
Chi Minh, Nasser, Ataturk, Tito, Franco ecc., ma questo esercizio scolastico è ben al di qua di una
concreta analisi storica. Se anche dai ‘totalitari’ Stalin e Hitler ci si preoccupa di distinguere
l’’autoritario’ Mussolini, il cui potere è limitato dalla presenza del Vaticano e della Chiesa, non si è
fatta molta strada. In questo caso, più che ad un percorso reale, assistiamo ad uno slittamento:
dall’ideologia si è passati inavvertitamente ad un ambito del tutto diverso, a realtà e dati di fatto
indipendenti e preesistenti rispetto alle scelte ideologiche e politiche del fascismo.
Per quanto riguarda il Terzo Reich, è ben difficile dire qualcosa di determinato e concreto su di esso
senza far riferimento ai suoi programmi razziali ed eugenetici. Ed essi ci conducono in una direzione
ben diversa rispetto a quella suggerita dalla categoria di totalitarismo.
Subito dopo la conquista del potere, Hitler si preoccupa di distinguere nettamente, anche sul piano
giuridico, la posizione degli ariani rispetto a quella degli ebrei nonchè dei pochi mulatti viventi in
Germania (a conclusione della prima guerra mondiale, truppe di colore al seguito dell’esercito
francese avevano partecipato all’occupazione del paese). E cioè, elemento centrale del programma
nazista è la costruzione di uno Stato razziale. Ebbene, quali erano in quel momento i possibili modelli
di Stato razziale? Più ancora che al Sud-Africa, il pensiero corre in primo luogo al Sud degli USA. E,
d’altro canto, in modo esplicito, ancora nel 1937, Rosenberg si richiama certo al Sud-Africa: è bene
che permanga saldamente ‘in mano nordica’ e bianca (grazie a opportune ‘leggi’ a carico, oltre che
degli ‘indiani’, anche di ‘neri, mulatti e ebrei’), e che costituisca un ‘solido bastione’ contro il pericolo
rappresentato dal ‘risveglio nero’. Ma il punto di riferimento principale è costituito dagli Stati Uniti,
questo ‘splendido paese del futuro’ che ha avuto il merito di formulare la felice ‘nuova idea di uno Stato
razziale’, idea che adesso si tratta di mettere in pratica, ‘con forza giovanile’, mediante espulsione e
deportazione di ‘negri e gialli’. Basta dare uno sguardo alla legislazione di Norimberga per rendersi
conto delle analogie con la situazione in atto al di là dell’Atlantico: ovviamente, in Germania sono in
primo luogo i tedeschi di origine ebraica ad occupare il posto degli afro-americani. ‘La questione
negra’ - scrive Rosenberg nel 1937 - ‘è negli Usa al vertice di tutte le questioni decisive’; e una volta che
l’assurdo principio dell’uguaglianza sia stato cancellato per i neri, non si vede perchè non si debbano
trarre ‘le necessarie conseguenze anche per i gialli e gli ebrei’. Persino per quanto riguarda il progetto
a lui assai caro di costruzione di un impero continentale tedesco, Hitler ha ben presente il modello
degli Usa, di cui celebra ‘l’inaudita forza interiore’’: la Germania è chiamata a seguire questo esempio,
espandendosi in Europa orientale come in una sorta di Far West e trattando gli ‘indigeni’ alla stregua
dei pellerossa.
Alle medesime conclusioni giungiamo se rivolgiamo lo sguardo all’eugenetica. E’ ormai noto il debito
che il Terzo Reich contrae nei confronti degli Usa, dove la nuova ‘scienza’, inventata nella seconda
metà dell’Ottocento da Francis Galton (un cugino di Darwin), conosce una grande fortuna. Ben prima
dell’avvento di Hitler al potere, alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, vede la luce a
Monaco un libro che, già nel titolo, addita gli Stati Uniti come modello di ‘igiene razziale’. L’autore,
vice-console dell’Impero austro-ungarico a Chicago, celebra gli Usa per la ‘lucidità’ e la ‘pura ragion
pratica’ di cui danno prova nell’affrontare, e con la dovuta energia, un problema così importante
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eppur così frequentemente rimosso: violare le leggi che vietano i rapporti sessuali e matrimoniali misti
può comportare anche 10 anni di reclusione e, ad essere condannabili, oltre ai protagonisti, sono anche
i loro complici. Ancora dopo la conquista del potere da parte del nazismo, gli ideologi e ‘scienziati’
della razza continuano a ribadire: ‘Anche la Germania ha molto da imparare dalle misure dei nordamericani: essi sanno il fatto loro’. E’ da aggiungere che non siamo in presenza di un rapporto a senso
unico. Dopo l’avvento di Hitler al potere, sono i seguaci più radicali del movimento eugenetico
americano a guardare come ad un modello al Terzo Reich, dove non poche volte si recano in viaggi di
studio e di pellegrinaggio ideologico.
Una domanda s’impone: perchè per definire il regime nazista il ricorso alla dittatura del partito unico
dovrebbe essere più caratterizzante che non l’ideologia e la pratica razziale ed eugenetica? E’ proprio
da questo ambito che derivano le categorie centrali e i termini-chiave del discorso nazista. L’abbiamo
visto per Rassenygiene, che è in fondo la traduzione tedesca di eugenics, la nuova scienza inventata in
Inghilterra e giunta al trionfo al di là dell’Atlantico. Ma ci sono esempi ancora più clamorosi.
Rosenberg esprime la sua ammirazione per l’autore americano Lothrop Stoddard, cui spetta il merito
di aver per primo coniato il termine Untermensch, che già nel 1925 campeggia come sottotitolo della
traduzione tedesca di un libro apparso a New York tre anni prima. Per quanto riguarda il significato
del termine da lui coniato, Stoddard chiarisce che esso sta ad indicare la massa di ‘selvaggi e
semiselvaggi’, esterni o interni alla metropoli capitalista, comunque ‘incapaci di civiltà e suoi nemici
incorreggibili’, coi quali bisogna procedere ad una resa dei conti. Negli Usa come in tutto il mondo, è
necessario difendere la ‘supremazia bianca’ contro ‘la marea montante dei popoli di colore’: ad aizzarli
è il bolscevismo, ‘il rinnegato, il traditore all’interno del nostro campo’ che, con la sua insidiosa
propaganda, oltre che le colonie, raggiunge ‘le stesse regioni nere degli Stati Uniti’.
Ben si comprende la straordinaria fortuna di queste tesi. Elogiato, prima ancora che da Rosenberg, già
da due presidenti statunitensi (Harding e Hoover), l’autore americano è successivamente ricevuto con
tutti gli onori a Berlino, dove incontra non solo gli esponenti più illustri dell’eugenetica nazista, ma
anche i più alti gerarchi del regime compreso Adolf Hitler, ormai lanciato nella sua campagna di
decimazione e assoggettamento degli Untermenschen.
Ancora su un altro termine conviene concentrare l’attenzione. Abbiamo visto Hitler guardare come ad
un modello all’espansione bianca nel Far West. Subito dopo averla invasa, Hitler procede allo
smembramento della Polonia: una parte è direttamente incorporata nel Grande Reich (e da essa
vengono espulsi i polacchi); il resto costituisce il ‘Governatorato generale’ nell’ambito del quale dichiara il governatore generale Hans Frank - i polacchi vivono come in ‘una sorta di riserva’ (sono
‘sottoposti alla giurisdizione tedesca’ senza essere ‘cittadini tedeschi’). Il modello americano è qui
seguito persino in modo scolastico. Almeno nella sua fase iniziale, il Terzo Reich si propone di istituire
anche uno Judenreservat, una ‘riserva per gli ebrei’, a somiglianza ancora una volta di quelle che
avevano rinserrato i pellerossa. Persino per quanto riguarda l’espressione ‘soluzione finale’, la
vediamo emergere prima ancora che in Germania già negli Usa, e sia pur riferita alla ‘questione negra’
piuttosto che alla ‘questione ebraica’.
Come non è stupefacente che il ‘totalitarismo’ abbia trovato la sua espressione più concentrata nei
paesi al centro della Seconda guerra dei Trent’Anni, così non è stupefacente che il tentativo nazista di
costruire uno Stato razziale abbia desunto motivi di ispirazione, categorie e termini-chiave
dall’esperienza storica più ricca che, a tale proposito, aveva dinanzi a sè, quella accumulata dai
bianchi americani nel loro rapporto coi pellerossa e i neri.
Ovviamente, non devono essere perse di vista tutte le altre differenze, in tema di governo della legge, di
limitazione del potere statale (per quanto riguarda la comunità bianca), ecc. Resta il fatto che il Terzo
Reich si presenta come il tentativo, portato avanti nelle condizioni della guerra totale e della guerra
civile internazionale, di realizzare un regime di white supremacy su scala planetaria e sotto egemonia
tedesca, facendo ricorso a misure eugenetiche, politico-sociali e militari.
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A costituire il cuore del nazismo è l’idea di Herrenvolk, che rinvia alla teoria e alla pratica razziale del
sud degli Stati Uniti e, più in generale, alla tradizione coloniale dell’Occidente; e questa idea è il
bersaglio principale della rivoluzione d’Ottobre, che non a caso chiama gli ‘schiavi delle colonie’ a
spezzare le loro catene.
La consueta teoria del totalitarismo concentra l’attenzione esclusivamente sui metodi simili attribuiti
ai due antagonisti, facendoli per di più discendere in modo univoco da una presunta affinità
ideologica, senza alcun riferimento alla situazione oggettiva e al contesto geopolitico.
Domenico Losurdo
(da «Per una critica della categoria di totalitarismo», rivista "Hermeneutica", 2002 paragrafo 7)
ELOGIO DELL'ANTIAMERICANISMO
di Domenico Losurdo
ringraziamo Critica Marxista e Domenico Losurdo per averci autorizzato a pubblicare
questo importante saggio
1. Mito e realtà dell'antiamericanismo di sinistra
L'ultima guerra contro l'Irak è stata accompagnata da un singolare fenomeno ideologico; si è cercato
di mettere a tacere il movimento di protesta di un'ampiezza senza precedenti, che in tale occasione si è
sviluppato, lanciando contro di esso l'accusa di antiamericanismo. E questo, più ancora che come un
atteggiamento politico errato, è stato dipinto e viene tuttora dipinto, in previsione delle nuove guerre
che si profilano all'orizzonte, come un morbo, come un sintomo di disadattamento rispetto alla
modernità e di sordità alle ragioni della democrazia. Tale morbo – si afferma – accomuna
antiamericani di sinistra e di destra e caratterizza le pagine peggiori della storia europea; e dunque –
si conclude – criticare Washington e la guerra preventiva non promette nulla di buono. Sarebbe facile
replicare richiamando l'attenzione sull'antieuropeismo che sta montando dall'altra parte
dell'Atlantico e che ha una lunga tradizione alle spalle. Dà soprattutto da pensare che in questo clima
ideologico e politico, nessuno ricorda più il terrore scatenato dal Ku Klux Klan, in nome della difesa
del «puro americanismo» ovvero dell'«americanismo al cento per cento», contro i neri e i bianchi
colpevoli di mettere in discussione la white supremacy (in MacLean 1994, 4-5, 14). Dileguata dalla
memoria è anche la caccia maccartista alle streghe sospettate di nutrire idee o sentimenti un-american
. Ma interroghiamoci sulla questione principale. Ha un qualche fondamento storico la tesi della
convergenza, in chiave antidemocratica, dell'antiamericanismo di sinistra e di destra? In realtà, il
giovane Marx definisce gli Stati Uniti come il «paese dell'emancipazione politica compiuta», ovvero
come «l'esempio più perfetto di Stato moderno», il quale assicura il dominio della borghesia senza
escludere a priori alcuna classe sociale dal godimento dei diritti politici (cfr. Losurdo 1993, 21-2). Già
qui si può notare una certa indulgenza: più che essere assente, negli Stati Uniti la discriminazione
censitaria assume una forma «razziale». Ancora più sbilanciato in senso filo-americano è
l'atteggiamento di Engels. Dopo aver distinto tra «abolizione dello Stato» in senso comunista, in senso
feudale, o in senso borghese, egli aggiunge: «Nei paesi borghesi l'abolizione dello Stato significa la
riduzione del potere statale al livello del Nord-America. Qui i conflitti di classe sono sviluppati solo in
modo incompleto; le collisioni di classe vengono di volta in volta camuffate mediante l'emigrazione
all'Ovest della sovrappopolazione proletaria. L'intervento del potere statale, ridotto ad un minimo ad
Est, non esiste affatto ad Ovest» (Marx-Engels 1955, VII, 288). Oltre che di abolizione dello Stato (sia
pure in senso borghese), l'Ovest sembra essere sinonimo di ampliamento della sfera della libertà: non
c'è cenno alla sorte riservata ai pellerossa, così come si tace della schiavitù dei neri. Analogo è
l'orientamento dell' Origine della famiglia , della proprietà privata e dello Stato : gli Stati Uniti
vengono indicati come il paese in cui, almeno per certi periodi della sua storia e certe parti del suo
territorio, l'apparato politico e militare separato dalla società tende a ridursi a zero (Marx-Engels
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1955, XXI, 166). Siamo nel 1884: in questo momento, i neri non solo vengono privati dei diritti politici
conquistati immediatamente dopo la guerra di Secessione, ma sono costretti ad un regime di apartheid
e sottoposti ad una violenza che giunge sino alle forme più efferate di linciaggio. Nel Sud degli USA,
era forse debole lo Stato, ma era tanto più forte il Ku Klux Klan, espressione certo della società civile,
la quale, però, può essere essa stessa il luogo dell'esercizio del potere, e di un potere anche brutale.
Proprio l'anno prima della pubblicazione del libro di Engels, la Corte Suprema aveva dichiarato
incostituzionale una legge federale che pretendeva di vietare la segregazione dei neri sui luoghi di
lavoro o sui servizi (le ferrovie) gestiti da compagnie private, per definizione sottratti ad ogni
interferenza statale. E' soprattutto importante notare che, sul piano della politica internazionale,
Engels sembra riecheggiare l'ideologia del Manifest Destiny , come emerge dalla celebrazione della
guerra contro il Messico: grazie anche al «valore dei volontari americani», «la splendida California è
stata strappata agli indolenti messicani, i quali non sapevano cosa farsene»; mettendo a profitto le
nuove gigantesche conquiste, «gli energici Yankees» danno nuovo impulso alla produzione e alla
circolazione della ricchezza, al «commercio mondiale», alla diffusione della «civiltà» ( Zivilisation )
(Marx-Engels 1955, VI, 273-5). A Engels sfugge un fatto denunciato invece con forza, in quello stesso
periodo di tempo, dai circoli abolizionisti statunitensi: l'espansione degli Stati Uniti aveva significato
un'espansione dell'istituto della schiavitù. Per quanto riguarda la storia del movimento comunista
propriamente detto, è noto il fascino che taylorismo e fordismo esercitano su Lenin e Gramsci. Ancora
oltre va Bucharin nel 1923: «Abbiamo bisogno di sommare l'americanismo al marxismo» (in Figes
2003, 24). Un anno dopo, al paese che pure ha partecipato all'intervento contro la Russia sovietica
Stalin sembra guardare con tanta simpatia da rivolgere un significativo appello ai quadri bolscevichi:
se vogliono essere realmente all'altezza dei «principi del leninismo», devono saper assimilare «lo
spirito pratico americano». «Americanismo» e «spirito pratico» stanno qui a significare non solo
concretezza ma anche insofferenza per i pregiudizi, rinviano in ultima analisi alla democrazia. Come
Stalin chiarisce nel 1932: gli Stati Uniti sono certo un paese capitalistico; tuttavia, «le tradizioni
nell'industria e nella prassi produttiva hanno qualcosa del democratismo, ciò che non si può dire dei
vecchi paesi capitalistici dell'Europa, dove è ancora vivo lo spirito signorile dell'aristocrazia feudale»
(cfr. Losurdo 1997, 81-6). A suo modo Heidegger ha ragione allorché rimprovera a Stati Uniti e
Unione Sovietica di rappresentare da un punto di vista metafisico, il medesimo principio, consistente
nello scatenamento della tecnica e nella «massificazione dell'uomo» (Losurdo 1991 a, 90). Non c'è
dubbio che i bolscevichi si sentono fortemente attratti dall'America del melting pot e del self made
man . Altri aspetti, invece, risultano ai loro occhi decisamente ripugnanti. Nel 1924, Correspondance
Internationale (la versione francese dell'organo dell'Internazionale Comunista) pubblica l'articolo di
un giovane indocinese approdato negli USA, il quale, mentre nutre ammirazione per la rivoluzione
americana, prova orrore per la pratica del linciaggio che nel Sud colpisce i neri. Uno di questi
spettacoli di massa viene descritto in modo impietoso: «Il nero viene messo a cuocere, è abbrustolito,
bruciato. Ma egli merita di morire due volte piuttosto che una sola volta. Pertanto egli viene impiccato,
più esattmente è sottoposto a impiccagione ciò che resta del suo cadavere… Quando tutti sono sazi, il
cadavere viene tirato giù. La corda è tagliata in piccoli pezzi, venduti da tre a cinque dollari l'uno». E,
tuttavia, lo sdegno per il regime di white supremacy non sfocia affatto in una condanna indiscriminata
degli Stati Uniti: sì, il Ku Klux Klan rivela tutta «la brutalià del fascismo», ma esso finirà con l'essere
sconfitto, oltre che dai neri, ebrei e cattolici (le vittime a vario livello di questa brutalità), da «tutti gli
americani decenti» (in Wade, 1997, 203-4). Non siamo certo in presenza di un antiamericanismo
indifferenziato.
2. Uno «splendido Stato del futuro»
Sì, il giovane indocinese assimila il Ku Klux Klan al fascismo. Epperò, le somiglianze tra i due
movimenti non sfuggono ai testimoni americani del tempo. Non poche volte, con giudizio di valore
positivo o negativo, essi paragonano gli uomini in divisa bianca del sud degli Stati Uniti alle «camice
nere» italiane e alle «camice brune» tedesche. Dopo aver richiamato l'attenzione sui tratti comuni al
Ku Klux Klan e al movimento nazista, una studiosa statunitense dei giorni nostri ritiene di poter
giungere a questa conclusione: «Se la Grande depressione non avesse colpito la Germania con tutta la
forza con cui in effetti la colpì, il nazionalsocialismo potrebbe essere trattato come talvolta viene
trattato il Ku Klux Klan: come una curiosità storica, il cui destino era già segnato» (MacLean 1994,
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184). E cioè, più che la diversa storia ideologica e politica, a spiegare il fallimento dell'Invisible Empire
negli Stati Uniti e l'avvento del Terzo Reich in Germania sarebbe il diverso contesto economico. Può
darsi che questa affermazione sia eccessiva. Epperò, quando, per mettere a tacere le critiche contro la
politica di Washington, si ricorda il contributo essenziale che gli Stati Uniti, assieme ad altri paesi (a
cominciare dall'Unione Sovietica) hanno dato alla lotta contro la Germania hitleriana e i suoi alleati, si
dice solo una parte della verità; l'altra parte è costituita dal ruolo notevole che i movimenti reazionari
e razzisti americani hanno svolto nell'ispirare e alimentare in Germania l'agitazione da ultimo sfociata
nel trionfo di Hitler. Già negli anni '20, tra il Ku Klux Klan e i circoli tedeschi di estrema destra si
stabiliscono rapporti di scambio e di collaborazione all'insegna del razzimo anti-nero e antiebraico.
Ancora nel 1937, Rosenberg celebra gli Stati Uniti come uno «splendido paese del futuro»: esso ha
avuto il merito di formulare la felice «nuova idea di uno Stato razziale», idea che adesso si tratta di
mettere in pratica, «con forza giovanile», mediante espulsione e deportazione di «negri e gialli»
(Rosenberg 1937, 673). Basta dare uno sguardo alla legislazione varata subito dopo l'avvento del Terzo
Reich, per rendersi conto delle analogie con la situazione esistente nel Sud degli Stati Uniti:
ovviamente, in Germania sono in primo luogo i tedeschi di origine ebraica ad occupare il posto degli
afro-americani. Hitler si preoccupa di distinguere nettamente, anche sul piano giuridico, la posizione
degli ariani rispetto a quella degli ebrei nonché dei pochi mulatti viventi in Germania (a conclusione
della prima guerra mondiale, truppe di colore al seguito dell'esercito francese avevano partecipato
all'occupazione del paese). «La questione negra» - scrive sempre Rosenberg - «è negli Usa al vertice di
tutte le questioni decisive»; e una volta che l'assurdo principio dell'uguaglianza sia stato cancellato per
i neri, non si vede perché non si debbano trarre «le necessarie conseguenze anche per i gialli e gli
ebrei» (Rosenberg 1937, 668-9). Tutto ciò non deve stupire. Elemento centrale del programma nazista
è la costruzione di uno Stato razziale. Ebbene, quali erano in quel momento i possibili modelli? Certo,
Rosenberg fa riferimento anche al Sud-Africa: è bene che permanga saldamente «in mano nordica» e
bianca (grazie a opportune «leggi» a carico, oltre che degli «indiani», anche di «neri, mulatti e ebrei»),
e che costituisca un «solido bastione» contro il pericolo rappresentato dal «risveglio nero» (Rosenberg
1937, 666). Ma l'ideologo nazista sa in qualche modo che la legislazione segregazionista del Sud-Africa
è stata largamente ispirata dal regime di white supremacy , messo in atto nel sud degli Stati Uniti dopo
la fine della Ricostruzione (Noer 1978, 106-7, 115, 125). E, dunque, rivolge il suo sguardo in primo
luogo a questa realtà. D'altro canto, è anche per un'altra ragione che la repubblica d'oltre Atlantico
costituisce un motivo di ispirazione per il Terzo Reich. Hitler mira non ad un espansionismo coloniale
generico bensì alla costruzione di un Impero continentale, mediante l'annessione e la germanizzazione
dei territori orientali immediatamente contigui al Reich. La Germania è chiamata a espandersi in
Europa orientale come in una sorta di Far West, trattando gli «indigeni» alla stregua dei pellerossa
(Losurdo 1996, 212-6) e senza mai perdere di vista il modello americano, di cui il Führer celebra
«l'inaudita forza interiore» (Hitler 1939, 153-4). Subito dopo averla invasa, Hitler procede allo
smembramento della Polonia: una parte è direttamente incorporata nel Grande Reich (e da essa
vengono espulsi i polacchi); il resto costituisce il «Governatorato generale» nell'ambito del quale –
dichiara il governatore generale Hans Frank – i polacchi vivono come in «una sorta di riserva»: sono
«sottoposti alla giurisdizione tedesca» senza essere «cittadini tedeschi» (in Ruge-Schumann 1977, 36).
Il modello americano è qui seguito persino in modo scolastico: non possiamo non pensare alla
condizione dei pellerossa.
3. Lo Stato razziale tra Stati Uniti e Germania
E' un modello che lascia traccia profonde anche a livello categoriale e linguistico. Il termine
Untermensch , che un ruolo così centrale e così nefasto svolge nella teoria e nella pratica del Terzo
Reich, non è altro che la traduzione di Under Man . Lo riconosce Rosenberg, il quale esprime la sua
ammirazione per l'autore statunitense Lothrop Stoddard: a lui spetta il merito di aver per primo
coniato il termine in questione, che campeggia come sottotitolo ( The Menace of the Under Man ) di un
libro pubblicato a New York nel 1922 e della sua versione tedesca ( Die Drohung des Untermenschen )
apparsa tre anni dopo. Per quanto riguarda il suo significato, Stoddard chiarisce che esso sta ad
indicare la massa di «selvaggi e barbari», «essenzialmente incapaci di civiltà e suoi nemici
incorreggibili», coi quali bisogna procedere ad una radicale resa dei conti, se si vuole sventare il
pericolo che incombe di crollo della civiltà. Elogiato, prima ancora che da Rosenberg, già da due
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presidenti statunitensi (Harding e Hoover), l'autore americano è successivamente ricevuto con tutti gli
onori a Berlino, dove incontra non solo gli esponenti più illustri dell'eugenetica nazista, ma anche i più
alti gerarchi del regime compreso Adolf Hitler , ormai lanciato nella sua campagna di decimazione e
schiavizzazione degli Untermenschen , ovvero degli «indigeni» dell'Europa orientale. Negli Stati Uniti
della white supremacy così come nella Germania in cui prende sempre più piede il movimento sfociato
poi nel nazismo, il programma di ristabilimento delle gerarchie razziali si salda strettamente col
progetto eugenetico. Si tratta in primo luogo di incoraggiare la procreazione dei migliori, in modo da
sventare il pericolo di «suicidio razziale» ( Rasseselbstmord ) che incombe sui bianchi: a suonare
l'allarme è, nel 1918, Oswald Spengler, il quale però, a tale proposito, si richiama all'insegnamento di
Theodore Roosevelt (Spengler 1980, 683). E, in effetti, nello statista americano, l'evocazione dello
spettro del «suicidio razziale» ( race suicide ) ovvero della «umiliazione razziale» ( race humiliation )
va di pari passo con la denuncia della «diminuzione delle nascite tra le razze superiori», ovvero
«nell'ambito dell'antico ceppo dei nativi americani»: ovviamente, il riferimento è qui non ai «selvaggi»
pellerossa ma ai Wasp (cfr. Roosevelt 1951, I, 487 nota 4, 647, 1113; Roosevelt 1951, II, 1053). Si tratta,
altresì, di scavare un abisso incolmabile tra razza dei servi e razza dei signori, depurando quest'ultima
degli elementi di scarto e mettendola in condizione di affrontare e stroncare la rivolta servile che,
sull'onda della rivoluzione bolscevica, si sta delineando a livello planetario. Anche in questo caso, una
ricerca storica spregiudicata conduce a risultati sorprendenti. Erbgesundheitslehre ovvero
Rassenhygiene , un'altra parola-chiave dell'ideologia nazista, non è altro, in ultima analisi, che la
traduzione tedesca di eugenics , la nuova scienza inventata in Inghilterra nella seconda metà
dell'Ottocento da Francis Galton e che, non a caso, conosce i suoi massimi trionfi negli Stati Uniti: qui
è più che mai acuto il problema del rapporto tra le «tre razze» e tra «nativi» da un lato e massa
crescente di immigrati poveri dall'altro. Ben prima dell'avvento di Hitler al potere, alla vigilia dello
scoppio della prima guerra mondiale, vede la luce a Monaco un libro che, già nel titolo, addita gli Stati
Uniti come modello di «igiene razziale». L'autore, vice-console dell'Impero austro-ungarico a Chicago,
celebra gli Stati Uniti per la «lucidità» e la «pura ragion pratica» di cui danno prova nell'affrontare, e
con la dovuta energia, un problema così importante eppur così frequentemente rimosso: violare le
leggi che vietano i rapporti sessuali e matrimoniali inter-razziali può comportare anche 10 anni di
reclusione e, ad essere condannabili, oltre ai protagonisti , sono anche i loro complici (Hoffmann 1913,
IX, 67-8). Dieci anni dopo, nel 1923, un medico tedesco, Fritz Lenz, si lamenta del fatto che, per quanto
riguarda l'«igiene razziale», la Germania è ben addietro rispetto agli USA (Lifton 1986, 29). Ancora
dopo la conquista del potere da parte del nazismo, gli ideologi e “scienziati” della razza continuano a
ribadire: «Anche la Germania ha molto da imparare dalle misure dei nord-americani: essi sanno il
fatto loro» (Günther 1934, 465). Le misure eugenetiche varate subito dopo la Machtergreifung mirano
a sventare il pericolo della «Volkstod» (Lifton 1986, 30), della «morte del popolo» o della razza. E di
nuovo siamo ricondotto al tema del «suicidio razziale». Per sventare il pericolo del suicidio della razza
bianca, che sarebbe poi il suicidio della civiltà, non bisogna esitare alle misure più energiche, alle
soluzioni più radicali, nei confronti delle «razze inferiori» ( inferior races ): se una di esse – tuona
Theodore Roosevelt - dovesse aggredire la razza «superiore» ( superior ), questa reagirebbe con «una
guerra di sterminio» ( a war of extermination ), chiamata «mettere a morte uomini, donne e bambini,
esattamente come se si trattasse di una Crociata» (Roosevelt 1951, II, 377). Significativamente, ad una
vaga «ultimate solution» della questione nera accenna un libro apparso a Boston nel 1913
(Fredrickson, 1987, 258 nota); più tardi, invece, i nazisti teorizzeranno e cercheranno di mettere in
pratica la «soluzione finale» ( Endlösung ) della questione ebraica.
4. Il nazismo come progetto di white supremacy a livello planetario
Nel corso di tutta la loro storia, gli Stati Uniti hanno dovuto affrontare in modo diretto i problemi
derivanti dall'incontro con “razze” diverse e con la massa di immigrati provenienti da ogni angolo del
mondo. D'altro canto, il furibondo movimento razzista che si sviluppa alla fine dell'Ottocento è la
risposta alla grande rivoluzione rappresentata dalla guerra di Secessione e dal periodo di
Ricostruzione radicale. Mentre gli ex-proprietari schiavisti sono momentaneamente privati dei diritti
politici in quanto ribelli, i neri passano dalla condizione di schiavitù alla piena cittadinanza politica;
non poche volte, entrano a far parte degli organismi rappresentativi, divenendo così in qualche modo
legislatori e dirigenti dei loro ex-padroni. Diamo ora uno sguardo alle esperienze e alle emozioni, che
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sono alle spalle dell'agitazione sfociata poi nel nazismo. Se tra Otto e Novecento il Ku Klux Klan e i
teorici della white supremacy bollano gli Stati Uniti scaturiti dall'abolizione della schiavitù e dalla
massiccia ondata di immigrati provenienti ora anche dall'Oriente o da paesi ai margini dell'Europa
come una «civiltà bastarda» (MacLean 1994, 133) o come una «cloaca gentium» (Grant 1917, 81) ,
l'Austria nella quale il futuro leader nazista si forma, gli appare, nel Mein Kampf , come un caotico
«conglomerato di popoli», come una «babilonia di popoli» ovvero un «regno babilonico», lacerato da
un «conflitto razziale» (Hitler 1939, 74, 79, 39, 80), che sembra doversi concludere con una catastrofe:
avanza il processo di «slavizzazione» e di «cancellazione dell'elemento tedesco» ( Entdeutschung ), col
tramonto quindi della superiore razza che aveva colonizzato l'Oriente e vi aveva apportato la civiltà
(Hitler 1939, 82). La Germania dove poi Hitler approda conosce, in seguito alla disfatta della prima
guerra mondiale, sconvolgimenti senza precedenti, paragonabili in qualche modo a quelli verificatisi
nel Sud degli Stati Uniti dopo la guerra di Secessione: ben al di là della perdita delle loro colonie, i
tedeschi sono costretti a subire l'occupazione militare delle truppe di colore al seguito delle potenze
vincitrici. Ora, a giudicare sempre dal Mein Kampf , anche la Germania si è trasformata in un
«miscuglio razziale» (Hitler 1939, 439). Ad acuire la sensazione del pericolo di un definitivo tramonto
della civiltà provvede poi la rivoluzione d'Ottobre che, rivolgendo ai popoli coloniali l'appello a
ribellarsi, sembra sancire ideologicamente l'«orrore» dell'occupazione militare nera; per di più essa
scoppia e giunge al potere in un'area abitata da popoli tradizionalmente considerati ai margini della
civiltà. Come nel Sud degli Stati Uniti gli abolizionisti vengono bollati come rinnegati della propria
razza ovvero quali negro-lovers , così traditori della razza germanica e occidentale appaiono agli occhi
di Hitler prima i socialdemocratici e poi, a maggior ragione, i comunisti. In ultima analisi, il Terzo
Reich si presenta come il tentativo, portato avanti nelle condizioni della guerra totale e della guerra
civile internazionale, di reagire al pericolo del tramonto e del suicidio razziale dell'Occidente e della
razza superiore, realizzando un regime di white supremacy su scala planetaria e sotto egemonia
tedesca.
5. Antisemitismo e antiamericanismo? Spengler e Ford
La campagna in corso contro coloro che osano criticare la politica di guerra preventiva di Washington
ama associare l'antiamericanismo all'antisemitismo.
E di nuovo si rimane stupiti per il dileguare della memoria storica. Chi ricorda ancora la celebrazione
del «genuino americanismo di Henry Ford» ad opera del Ku Klux Klan (in MacLean 1994, 90)? Ad
essere qui oggetto di ammirazione è il magnate dell'industria automobilistica, che si impegna a
denunciare la rivoluzione bolscevica come il risultato in primo luogo del complotto ebraico e che a tale
scopo fonda una rivista di larga tiratura, il Dearborn Indipendent : gli articoli qui pubblicati vengono
raccolti nel novembre 1920 in un volume, L'ebreo internazionale che subito diventa un punto di
riferimento dell'antisemitismo internazionale, tanto da poter esser considerato il libro che più di ogni
altro ha contribuito alla celebrità dei famigerati Protocolli dei Savi di Sion . E' vero, dopo qualche
tempo Ford è costretto a rinunciare alla sua campagna, ma intanto è stato tradotto in Germania e ha
incontrato grande fortuna. Più tardi diranno di essersi ispirati a lui o di aver da lui preso le mosse
gerarchi nazisti di primo piano come von Schirach e persino Himmler. Il secondo in particolare
racconta di aver compreso «la pericolosità dell'ebraismo» solo a partire dalla lettura del libro di Ford:
«per i nazionalsocialisti fu una rivelazione». Seguì poi la lettura dei Protocolli dei Savi di Sion :
«Questi due libri ci indicarono la via da percorrere per liberare l'umanità afflitta dal più grande
nemico di tutti i tempi, l'ebreo internazionale»; com è chiaro, Himmler fa uso di una formula che
riecheggia il titolo del libro di Henry Ford. Potrebbe trattarsi di testimonianze in parte interessate e
strumentali. E' un dato di fatto però che nei colloqui di Hitler con Dietrich Eckart, la personalità che
ha avuto su di lui la maggior influenza, lo Henry Ford antisemita è tra gli autori più frequentemente e
positivamente citati. E, d'altra parte, secondo Himmler, il libro di Ford assieme ai Protocolli , avrebbe
svolto un ruolo «decisivo» (ausschlaggebend ) oltre che sulla sua formazione, anche su quella del
Führer . Anche in questo caso, risulta evidente la superficialità della contrapposizione schematica tra
Europa e Stati Uniti, come se la tragica vicenda dell'antisemitismo non avesse coinvolto entrambi. Nel
1933 Spengler sente il bisogno di fare questa precisazione: la giudeofobia da lui apertamente
professata non va confusa col razzismo «materialistico» caro agli «antisemiti in Europa e in America»
(Spengler 1933, 157). L'antisemitismo biologico che soffia impetuoso anche al di là dell'Atlantico viene
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considerato eccessivo persino da un autore pure impegnato in una requisitoria contro la cultura e la
storia ebraica in tutto l'arco della sua evoluzione. E' anche per questo che Spengler appare pavido e
inconseguente agli occhi dei nazisti. I loro entusiasmi si rivolgono altrove: L'ebreo internazionale
continua ad essere pubblicato con grande onore nel Terzo Reich con prefazioni che sottolineano il
decisivo merito storico dell'autore e industriale americano (nell'aver fatto luce sulla «questione
ebraica») e evidenziano una sorta di linea di continuità da Henry Ford a Adolf Hitler! (cfr. Losurdo
1991 b, 84-5). La polemica in corso su antiamericanismo e antieuropeismo pecca di ingenuità: essa
sembra ignorare gli scambi culturali e le influenze reciproche tra America e Europa. Nel primo
dopoguerra, Croce non aveva avuto difficoltà a sottolineare l'influenza che Theodore Roosevelt aveva
esercitato su Enrico Corradini, il capo nazionalista poi confluito nel partito fascista (Croce, 1967, 251).
Agli inizi del Novecento, lo statista americano aveva compiuto un viaggio trionfale in Europa, nel corso
del quale aveva ricevuto una laurea honoris causa a Berlino e aveva conquistato – a notarlo questa
volta è Pareto - numerosi «adulatori» (Pareto 1988, 1241-2, § 1436). La rappresentazione secondo cui
gli Stati Uniti costituirebbero una sorta di spazio sacro, immune dai morbi e dagli orrori dell'Europa,
è un prodotto soprattutto della guerra fredda. Non bisogna mai perdere di vista la circolazione del
pensiero tra le due rive dell'Atlantico: sì, l'americano Stoddard inventa la categoria-chiave del
discorso ideologico nazista ( Untermensch ), ma nel far ciò egli ha alle spalle un soggiorno di studio in
Germania e la lettura della teoria cara a Nietzsche del superuomo (Losurdo 2002, 886-7). D'altro
canto, mentre guarda con ammirazione al mondo della white supremacy, la reazione tedesca avverte
ripugnanza e disprezzo nei confronti del melting pot . Rosenberg riferisce sdegnato che a Chicago una
«grande cattedrale« cattolica «appartiene ai nigger». C'è persino un «vescovo nero» che vi celebra la
messa: è l'«allevamento» di «fenomeni bastardi» (Rosenberg 1937, 471). A sua volta, Hitler sentenzia e
denuncia che «sangue ebraico» scorre nelle vene di Franklin Delano Roosevelt, la cui moglie ha
comunque un «aspetto negroide» (Hitler 1952-54, II, 182, conversazione del 1 luglio 1942).
6. Gli Stati Uniti, l'Occidente e la Herrenvolk democracy
A questo punto, chiaramente ideologica o mitologica si rivela la tesi della convergenza tra
antiamericanismo di destra e di sinistra. In realtà, sono proprio gli aspetti messi in stato d'accusa dalla
tradizione che dall'abolizionismo giunge sino al movimento comunista a suscitare simpatia e
entusiasmo sul versante opposto. Quel che è amato dagli uni è odiato dagli altri, e viceversa. Ma gli uni
e gli altri si trovano dinanzi al paradosso che caratterizza la storia degli Stati Uniti sin dalla sua
fonadzione e che è stato così formulato, nel Settecento, dallo scrittore inglese Samuel Johnson: «Come
spiegare che ad acclamare più rumorosamente la libertà sono coloro i quali sono impegnati nella
caccia ai neri?» (in Foner 1998, 32). E' un fatto: la democrazia nell'ambito della comunità bianca si è
sviluppata contemporaneamente ai rapporti di schiavizzazione dei neri e di deportazione degli indios.
Per trentadue dei primi trentasei anni di vita degli USA, a detenere la presidenza sono proprietari di
schiavi, e proprietari di schiavi sono anche coloro che elaborano la Dichiarazione di Indipendenza e la
Costituzione. Senza la schiavitù (e la successiva segregazione razziale) non si può comprendere nulla
della «libertà americana»: esse crescono assieme, l'una sostenendo l'altra (Morgan 1975). Se la
«peculiar institution» (la schiavitù) assicura il ferreo controllo delle classi «pericolose» già sui luoghi di
produzione, la mobile frontiera e la progressiva espansione ad Ovest disinnescano il conflitto sociale
trasformando un potenziale proletariato in una classe di proprietari terrieri, a spese però di
popolazioni condannate ad essere rimosse o spazzate via. Dopo il battesimo della guerra
d'indipendenza, la democrazia americana conosce un ulteriore sviluppo, negli anni ‘30 dell'Ottocento,
con la presidenza Jackson: la cancellazione, in larga parte, delle discriminazioni censitarie all'interno
della comunità bianca va di pari passo col vigoroso impulso impresso alla deportazione degli indios e
col montare di un clima di risentimento e di violenza a danno dei neri. Una considerazione analoga
può essere fatta anche per la cosiddetta «età progressista» che, partendo dalla fine del secolo scorso,
abbraccia i primi tre lustri del Novecento: essa è caratterizzata certo da numerose riforme
democratiche (che assicurano l'elezione diretta del Senato, la segretezza del voto, l'introduzione delle
primarie e dell'istituto del referendum ecc.), ma costituisce al tempo stesso un periodo particolarmente
tragico per neri (bersaglio del terrore squadristico del Ku Klux Klan) e indios (spogliati delle terre
residue e sottoposti ad un processo di spietata omologazione che intende privarli persino della loro
identità culturale). A proposito di questo paradosso che caratterizza la storia del loro paese, autorevoli
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studiosi statunitensi hanno parlato di Herrenvolk democracy , cioè di democrazia che vale solo per il
«popolo dei signori» (per usare il linguaggio caro poi a Hitler) (Berghe 1967; Fredrickson 1987). La
netta linea di demarcazione, tra bianchi da una parte e neri e pellerossa dall'altra, favorisce lo
sviluppo di rapporti di uguaglianza all'interno della comunità bianca. I membri di un'aristocrazia di
classe o di colore tendono ad autocelebrarsi come i “pari”; la netta disuguaglianza imposta agli esclusi
è l'altra faccia del rapporto di parità che s'instaura tra coloro che godono del potere di escludere gli
«inferiori». Dobbiamo allora contrapporre positivamente l'Europa agli Stati Uniti? Sarebbe una
conclusione precipitosa e errata. In realtà, la categoria di Herrenvolk democracy può essere utile
anche per spiegare la storia dell'Occidente nel suo complesso. Tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del
Novecento, l'estensione del suffragio in Europa va di pari passo col processo di colonizzazione e con
l'imposizione di rapporti di lavoro servili o semiservili alle popolazioni assoggettate; il governo della
legge nella metropoli s'intreccia strettamente con la violenza e l'arbitrio burocratico e poliziesco e con
lo stato d'assedio nelle colonie. E' in ultima analisi lo stesso fenomeno che si verifica nella storia degli
Stati Uniti, solo che nel caso dell'Europa esso risulta meno evidente per il fatto che le popolazioni
coloniali, invece di risiedere nella metropoli, sono da questa separati dall'oceano.
7. Missione imperiale e fondamentalismo cristiano nella storia degli USA
E' su un piano diverso che possiamo cogliere le reali differenze nello sviluppo politico e ideologico tra
le due rive dell'Atlantico. Dopo essere stata profondamente segnata dalla grande stagione
dell'illuminismo, alla fine dell'Ottocento l'Europa conosce un processo ancora più radicale di
secolarizzazione: a ritenere ormai ineluttabile la «morte di Dio» sono sia i seguaci di Marx sia i seguaci
di Nietzsche. Ben diverso è il quadro che presentano gli Stati Uniti. Nel 1899, la rivista Christian
Oracle spiega così la decisione di cambiare il suo nome in Christian Century : «Crediamo che il
prossimo secolo sarà testimone, per la cristianità, dei più grandi trionfi di tutti i secoli e che esso sarà
più autenticamente cristiano di tutti quelli precedenti» (in Olasky 1992, 135). In questo momento è in
corso la guerra contro la Spagna, accusata dai dirigenti USA di privare ingiustamente Cuba del suo
diritto alla libertà e all'indipendenza, per di più ricorrendo, in un'isola «così vicina ai nostri confini», a
misure che ripugnano al «senso morale del popolo degli Stati Uniti» e che rappresentano una
«disgrazia per la civiltà cristiana» (in Commager 1963, II, 5). Richiamo indiretto alla dottrina Monroe
e appello alla crociata in nome al tempo stesso della democrazia, della morale e della religione
s'intrecciano strettamente per scomunicare per così dire un paese cattolicissimo e conferire il carattere
di guerra santa a tutti gli effetti ad un conflitto che avrebbe consacrato il ruolo di grande potenza
imperiale degli USA. Più tardi, il presidente McKinley spiega la decisione di annettere le Filippine con
un'illuminazione di «Dio Onnipotente» che, dopo prolungate preghiere in ginocchio, finalmente, in
una notte sino a quel momento particolarmente angosciosa, lo libera da ogni dubbio e indecisione. Non
era lecito, lasciare nelle mani della Spagna la colonia o cederla «alla Francia o alla Germania, i nostri
rivali commerciali in Oriente»; e neppure era lecito affidarla agli stessi filippini che, «inadatti
all'autogoverno», avrebbero fatto piombare il loro paese in una condizione di «anarchia e
malgoverno» ancora peggiori di quelli prodotti dal dominio spagnolo: «Non ci restava null'altro che
mantenere le Filippine, che educare i filippini, innalzandoli, civilizzandoli e cristianizzandoli, e, con
l'aiuto di Dio, fare il nostro meglio per loro, come nostri fratelli, per i quali, anche, Cristo è morto. E
allora andai a letto, mi addormentai e dormii profondamente» (in Millis 1989, 384). Oggi sappiamo
degli orrori che ha comportato la repressione del movimento indipendentista nelle Filippine: la
guerriglia da esso scatenata fu fronteggiata con la distruzione sistematica dei raccolti e del bestiame,
rinchiudendo in massa la popolazione in campi di concentramento dove era falcidiata da inedia e
malattie e in certi casi ricorrendo persino all'uccisione di tutti i maschi al di sopra dei dieci anni
(McAllister Linn 1989, 27, 23). E, tuttavia, nonostante l'ampiezza dei «danni collaterali», la marcia
dell'ideologia della guerra imperial-religiosa conosce una nuova trionfale tappa col primo conflitto
mondiale. Subito dopo l'intervento, in una lettera al colonnello House, così Wilson si esprime a
proposito dei suoi «alleati»: «Quando la guerra sarà finita, li potremo sottoporre al nostro modo di
pensare per il fatto che essi, tra le altre cose, saranno finanziariamente nelle nostre mani» (in
Kissinger 1994, 224). Indipendentemente da ciò, non ci sono dubbi sul fatto che «agiva un forte
elemento di Realpolitik» (Heckscher 1991, 298) nell'atteggiamento da Wilson assunto sia nei confronti
dell'America Latina che del resto del mondo. E, tuttavia, ciò non gli impedisce di condurre la guerra
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come una Crociata nel senso persino letterale del termine: i soldati americani sono «crociati»
protagonisti di una «trascendente impresa» (Wilson 1927, II, 45, 414) di una «guerra santa, la più
santa di tutte le guerre», destinata a far trionfare nel mondo la causa della pace, della democrazia e dei
valori cristiani. E di nuovo, interessi materiali e geopolitici, ambizioni egemoniche e imperiali e buona
coscienza missionaria e democratica si fondono in un'unità indissolubile e irresistibile. Con questa
medesima piattaforma ideologica, gli USA affrontano gli ulteriori conflitti del Novecento.
Particolarmente significativa è la vicenda della guerra fredda. Uno dei suoi protagonisti, Foster Dulles,
è, secondo la definizione di Churchill, «un puritano rigoroso». Egli è orgoglioso del fatto che «nel
dipartimento di Stato nessuno conosce la Bibbia meglio di me». Il fervore religioso non è un affare
privato: «Sono convinto che abbiamo bisogno di far sì che i nostri pensieri e pratiche politiche
riflettano in modo più fedele la fede religiosa secondo cui l'uomo ha la sua origine e i suo destino in
Dio» (in Kissinger 1994, 534-5.). Assieme alla fede, altre fondamentali categorie della teologia
irrompono nella lotta politica a livello internazionale: i paesi neutrali che si rifiutano di prender parte
alla Crociata contro l'Unione Sovietica si macchiano di «peccato», mentre gli USA che si pongono alla
testa di tale Crociata sono il «popolo morale» per eccellenza (in Freiberger 1992, 42-3). A guidare
questo popolo che si distingue da tutti gli altri per la sua moralità e la sua vicinanza a Dio è, nel 1983,
Ronald Reagan. Questi dà impulso alla fase culminante della guerra fredda, destinata a sancire la
disfatta del nemico ateo, con un linguaggio esplicitamente e squillantemente teologico «Nel mondo c'è
peccato e male e dalla Scrittura e da Gesù Nostro Signore siamo obbligati ad opporci ad essi con tutte
le nostre forze» (in Draper 1994, 33). Veniamo infine ai giorni nostri. Nel discorso che inaugura il suo
primo mandato presidenziale, Clinton non è meno religiosamente ispirato dei suoi predecessori e del
suo successore: «Oggi celebriamo il mistero del rinnovamento americano». Dopo aver ricordato il
patto intercorso tra «i nostri padri fondatori» e «l'Onnipotente», Clinton sottolinea: «La nostra
missione è senza tempo» (Lott 1994, 366). Riallacciandosi a questa tradizione e radicalizzandola
ulteriormente, George W. Bush ha condotto la sua campagna elettorale proclamando un vero e
proprio dogma: «La nostra nazione è eletta da Dio e ha il mandato della storia per essere un modello
per il mondo» (Cohen 2000). Come si vede, nella storia degli Stati Uniti la religione è chiamata a
svolgere a livello internazionale una funzione politica di primo piano. Siamo in presenza di una
tradizione politica americana che si esprime con un linguaggio esplicitamente teologico. Più che alle
dichiarazioni rilasciate dai capi di Stato europei, le «dottrine» di volta in volta enunciate dai presidenti
statunitensi fanno pensare alle encicliche e ai dogmi diffuse o proclamati dai pontefici della Chiesa
cattolica. I discorsi inaugurali dei presidenti sono delle vere e proprie cerimonie sacre. Mi limito a due
esempi. Nel 1953, dopo aver invitato i suoi ascoltatori ad inchinare il capo dinanzi a «Dio onnipotente»,
rivolgendosi direttamente a Lui, Eisenhower esprime questo auspicio : « che tutto possa svolgersi per il
bene del nostro amato paese e per la Tua gloria. Amen» (Lott 1994, 302). In questo caso balza agli
occhi con particolare evidenza l'identità che c'è tra Dio e America. A quasi mezzo secolo di distanza il
quadro non cambia. Abbiamo visto in che modo si apre il discorso inaugurale di Clinton. Ma vediamo
in che modo si conclude. Dopo aver citato la sacra «Scrittura», il neo-presidente termina così: «Da
questa vetta della celebrazione noi udiamo una chiamata al servizio nella valle. Abbiamo sentito le
trombe. Abbiamo fatto il cambio della guardia. Ed ora, ciascuno a suo modo e con l'aiuto di Dio,
dobbiamo rispondere alla chiamata. Grazie e che Dio vi benedica tutti» (Lott 1994, 369). E di nuovo,
gli Stati Uniti sono celebrati come la città sulla collina, la città benedetta da Dio. Nel discorso
pronunciato subito dopo la sua rielezione, Clinton sente il bisogno di ringraziare Dio di averlo fatto
nascere americano. Dinanzi a questa ideologia, anzi a questa teologia della missione l'Europa si è
sempre trovata a disagio. E' nota l'ironia di Clemenceau a proposito dei quattordici punti di Wilson: il
buon Dio aveva avuto la modestia di limitarsi a dieci comandamenti! Nel 1919, in una lettera privata,
John Maynard Keynes definisce Wilson «il più grande impostore della terra» (In Skidelsky, 1989, p.
444). In termini forse ancora più aspri si esprime Freud, a proposito della tendenza dello statista
americano a ritenersi investito di una missione divina: siamo in presenza di «spiccatissima insincerità,
ambiguità e inclinazione a rinnegare la verità»; d'altro canto, già Guglielmo II riteneva di essere «un
uomo prediletto della Provvidenza» (Freud, 1995, 35-6). Ma qui Freud si sbaglia; egli rischia di
accostare due tradizioni ideologiche assai diverse. E' vero, anche l'Imperatore tedesco non disdegna di
abbellire con motivi religiosi le sue ambizioni espansionistiche: rivolgendosi alle truppe in partenza
per la Cina, egli invoca la «benedizione di Do» su un'impresa chiamata a stroncare nel sangue la
rivolta dei Boxers e a diffondere il «cristianesimo» (Röhl 2001, 1157); è incline a considerare i tedeschi
come «il popolo eletto di Dio» (Röhl 1993, 412). Lo stesso Hitler dichiara di sentirsi chiamato a
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svolgere «l'opera del Signore» e di voler obbedire alla volontà dell'«Onnipotente» (Hitler 1939, 70,
439), tanto più che i tedeschi sono «il popolo di Dio» (in Rauschning 1940, 227). D'altro canto, è noto e
famigerato il motto Gott mit uns (Dio con noi)… E, tuttavia, non bisogna sopravvalutare il peso di
queste dichiarazioni e di questi motivi ideologici. In Germania (la patria di Marx e di Nietzsche) il
processo di secolarizzazione è assai avanzato. L'invocazione della «benedizione di Dio» da parte di
Guglielmo II non viene presa sul serio neppure nei circoli sciovinisti: almeno agli occhi dei loro
esponenti più avveduti (Maximilian Harden), ridicoli appaiono il ritorno ai «giorni delle Crociate» e la
pretesa di «conquistare il mondo al Vangelo»; «così gironzolano attorno al Signore i visionari e gli
speculatori furbi» (in Röhl 2001, 1157). Sì, prima ancora di ascendere al trono, il futuro imperatore
celebra i tedeschi come «il popolo eletto di Dio», ma a prenderlo in giro è già la madre, figlia della
regina Vittoria e incline, semmai, a rivendicare il primato dell'Inghilterra (Röhl 1993, 412). E' un
punto, quest'ultimo, su cui conviene riflettere ulteriormente. In Europa i miti genealogici imperiali si
sono in una certa misura neutralizzati a vicenda; le famiglie reali erano tutte imparentate tra di loro
sicché, nell'ambito di ognuna di esse, si affrontavano idee di missione e miti genealogici imperiali tra
loro diversi e contrastanti. A screditare ulteriormente queste idee e queste genealogie ha inoltre
provveduto l'esperienza catastrofica di due guerre mondiali; d'altro canto, nonostante la sua finale
sconfitta, qualche traccia ha pur lasciato nella coscienza europea la decennale agitazione comunista
condotta in nome della lotta contro l'imperialismo e in nome del principio dell'uguaglianza delle
nazioni. Il risultato di tutto ciò è chiaro: in Europa risulta priva di credibilità ogni idea di missione
imperiale e di elezione divina agitata da questa o quella nazione; non c'è più spazio per l'ideologia
imperial-religiosa che un ruolo così centrale occupa negli Stati Uniti. Per quanto riguarda in
particolare la Germania, la storia che va dal Secondo al Terzo Reich presenta un'oscillazione tra la
nostalgia di un paganesimo guerresco e incentrato attorno al culto di Wotan e l'aspirazione a
trasformare il cristianesimo in una religione nazionale, chiamata a legittimare la missione imperiale
del popolo tedesco. Questo secondo tentativo trova la sua espressione più compiuta nel movimento dei
Deutsche Christen , i «cristiani tedeschi». Poco credibile a causa già del processo di secolarizzazione
che, oltre alla società nel suo complesso, aveva investito la stessa teologia protestante (si pensi a Karl
Barth e a Dietrich Bonhoeffer) e poco credibile altresì a causa delle simpatie paganeggianti dei
dirigenti del Terzo Reich, questo tentativo non poteva avere che scarso seguito. La storia degli Stati
Uniti è, invece, attraversata in profondità dalla tendenziale trasformazione della tradizione ebraicocristiana in quanto tale in una sorta di religione nazionale che consacra l' exceptionalism del popolo
americano e la missione salvifica a lui affidata. Ma questo intreccio di religione e politica non è
sinonimo di fondamentalismo? Non è un caso che il termine fondamentalismo compare per la prima
volta in ambito statunitense e protestante e come auto-designazione positiva e orgogliosa di sé.
Possiamo ora comprendere i limiti dell'approccio di Freud e Keynes: ovviamente, nelle
amministrazioni americane che via via si succedono non mancano gli ipocriti, i calcolatori, i cinici, ma
non c'è motivo per dubitare della sincerità ieri di Wilson oggi di Bush jr. Non bisogna perdere di vista
il fatto che siamo in presenza di una società scarsamente secolarizzata, nell'ambito della quale il 70 per
cento degli abitanti crede nel diavolo e più di un terzo degli adulti pretende che Dio parli loro
direttamente (Gray 1998, 126; Schlesinger jr., 1997). Ma questo è un elemento di forza, non già di
debolezza. La tranquilla certezza di rappresentare una causa santa e divina facilita non solo la
mobilitazione corale nei momenti di crisi, ma anche la rimozione o bagatellizzazione delle pagine più
nere della storia degli Usa. Sì, nel corso della guerra fredda Washington ha inscenato in America
Latina sanguinosi colpi di Stato e imposto feroce dittature militari, mentre in Indonesia, nel 1965, ha
promosso il massacro di alcune centinaia di migliaia di comunisti o di filo-comunisti; ma, per
spiacevoli che possano essere, questi dettagli non sono in grado di offuscare la santità della causa
incarnata dall'«Impero del Bene». E' più vicino alla verità Weber allorché, nel corso della prima
guerra mondiale, denuncia il «cant» americano (Weber 1971, 144). Il «cant» non è la menzogna e
neppure, propriamente, l'ipocrisia cosciente; è l'ipocrisia di chi riesce a mentire anche a se stesso; è un
po' la falsa coscienza di cui parla Engels. Sia in Keynes sia in Freud si manifestano al tempo stesso la
forza e la debolezza dell'illuminismo. Largamente immunizzata dall'ideologia imperial-religiosa che
imperversa al di là dell'Atlantico, l'Europa si rivela tuttavia incapace di comprendere adeguatamente
questo intreccio tra fervore morale e religioso da un lato e lucido e spregiudicato perseguimento
dell'egemonia politica, economica e militare a livello mondiale dall'altro. Ma è questo intreccio, anzi
questa miscela esplosiva, è questo peculiare fondamentalismo a costituire oggi il pericolo principale
per la pace mondiale. Più che ad una nazione determinata, il fondamentalismo islamico fa riferimento
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ad una comunità di popoli, i quali, non senza ragione, ritengono di essere il bersaglio di una politica di
aggressione e di occupazione militare. Il fondamentalismo statunitense, invece, trasfigura e inebria un
paese ben determinato che, forte della sua consacrazione divina, considera irrilevante l'ordinamento
internazionale vigente, le leggi puramente umane. E' in questo quadro che va collocata la
delegittimazione dell'Onu, la sostanziale messa fuori gioco della Convenzione di Ginevra, le minacce
rivolte non solo ai nemici ma persino agli «alleati» della Nato.
8. Dalla campagna contro la «drapetomania» alla campagna contro l'antiamericanismo
Oltre che a combattere il «male» e a diffondere i valori cristiani e americani, la guerra contro l'Irak, e
le altre che si profilano all'orizzonte, hanno il compito di espandere la democrazia nel mondo. Quale
credibilità ha quest'ultima pretesa? Ritorniamo al giovane indocinese che abbiamo visto denunciare,
nel 1924, l'orrore dei linciaggi contro i neri. Dieci anni più tardi, egli ritorna nella sua terra d'origine
per assumere il nome, divenuto poi celebre in tutto il mondo, di Ho Chi Minh. Nel momento dei feroci
bombardamenti scatenati da Washington avrà pensato il dirigente vietnamita all'orrore della violenza
anti-nera scatenata dai campioni della white supremacy ? In altre parole, l'emancipazione degli afroamericani e la conquista da parte loro dei diritti civili e politici ha realmente significato una svolta
oppure gli Stati Uniti continuano in sostanza ad essere una Herrenvolk democracy , anche se gli esclusi
non sono più da ricercare sul territorio metropolitano ma al di fuori di esso, come d'altro canto a
lungo si è verificato nell'ambito della storia della «democrazia» europea? Possiamo esaminare il
problema da una diversa prospettiva, a partire da una riflessione di Kant: «Cos'è un monarca assoluto
? E' colui che quando comanda -la guerra deve essere,- la guerra segue». Ad essere qui presi di mira
non sono gli Stati dell'Antico regime, bensì l'Inghilterra, che pure aveva alle sue spalle un secolo di
sviluppo liberale (Kant 1900, 90 nota). Dal punto di vista del grande filosofo, il presidente degli Stati
Uniti dovrebbe essere considerato dispotico due volte. In primo luogo, a causa dell'emergere negli
ultimi decenni di una «imperial presidency» che, nell'intraprendere azioni militari, mette spesso il
Congresso dinanzi al fatto compiuto. In questa sede, ci interessa soprattutto il secondo aspetto: la Casa
Bianca decide in modo sovrano quando le risoluzioni dell'Onu sono vincolanti e quando non lo sono;
decide in modo sovrano chi sono i rogue States , contro i quali è lecito imporre l'embargo, affamando
un intero popolo, ovvero è lecito scatenare l'inferno di fuoco, compresi i proiettili ad uranio impoverito
e le cluster bombs che continuano ad infierire sulla popolazione civile ben al di là della fine del
conflitto. Sempre in modo sovrano, la Casa Bianca decide l'occupazione militare di questi paesi per
tutto il tempo che essa ritiene necessario, condannando all'ergastolo o incarcerando i loro dirigenti e i
loro «complici». Contro di loro e contro i «terroristi» è lecito ricorrere anche al targeted killing ,
ovvero ad un killing tutt'altro che targeted , ad esempio il bombardamento di un normale ristorante
dove si ritiene che possa trovarsi Saddam Hussein… E' chiaro che le garanzie giuridiche non valgono
per i «barbari». Anzi, a ben guardare, come dimostra il Patriot Act , la rule of law non si applica
neppure per coloro che, pur non essendo« barbari» nel senso stretto del termine, sono tuttavia
sospettabili di fare il loro gioco. E' interessante esaminare la storia alle spalle dell'espressione « rogue
States ». A lungo, tra Sei e Settecento, in Virginia i semi-schiavi, gli schiavi a tempo di pelle bianca,
allorché venivano catturati dopo la fuga cui spesso cercavano di far ricorso, erano marchiati a fuoco
con la lettera R (che stava per « Rogue »): resi così immediatamente riconoscibili, non avevano più via
di scampo. Più tardi, il problema dell'identificazione veniva risolto definitivamente sostituendo ai
semi-schiavi bianchi gli schiavi neri: il colore della pelle rendeva superflua la marchiatura a fuoco, il
nero era già di per sé sinonimo di Rogue . Ora ad essere marchiati come «Rogue» sono interi Stati. La
Herrenvolk democracy è dura a morire… Ma questa è una storia vecchia. Nuova è invece
l'insofferenza crescente che Washington mostra nei confronti degli «alleati». Anche loro sono chiamati
a inchinarsi, senza troppe tergiversazioni, al volere della nazione eletta da Dio. Ben si comprendono le
perplessità e le reazioni negative che provoca l'atteggiarsi da parte del presidente degli Stati Uniti a
sovrano planetario non vincolato e non limitato da nessun organismo internazionale. Ed ecco che gli
ideologi della guerra gridano allo scandalo per il diffondersi di questo morbo terribile che, come
sappiamo, è l'antiamericanismo. Per singolare che sia tale reazione, essa non è priva di analogie
storiche. Alla metà dell'Ottocento, nel sud degli Stati Uniti il regime schiavista è vivo e vitale. E',
tuttavia, già si diffondono i primi dubbi e le prime inquietudini: aumenta il numero degli schiavi
fuggitivi. Questo fenomeno non solo allarma ma stupisce gli ideologi della schiavitù e della white
supremacy : com'è possibile che persone “normali” si sottraggano ad una società così bene ordinata e
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alla gerarchia della natura? Deve senza dubbio trattarsi di un morbo, di una turba psichica. Ma di
cosa propriamente si tratta? Nel 1851, Samuel Cartwright, chirurgo e psicologo della Louisiana,
ritiene finalmente di poter giungere ad una spiegazione che egli comunica ai suoi lettori dalle colonne
di un'autorevole rivista scientifica, il «New Orleans Medical and Surgical Journal». Prendendo le
mosse dal fatto che nel greco classico drapeths è lo schiavo fuggitivo, lo scienziato conclude
trionfalmente che la turba psichica, il morbo che spinge gli schiavi neri alla fuga è per l'appunto la
«drapetomania» (in Eakin, 2000). La campagna ai giorni nostri in corso contro l'antiamericanismo ha
molti punti di contatto con la campagna scatenata oltre un secolo e mezzo fa contro la drapetomania!
EUGENETICA
Nell'America dei figli della cicogna nera
Per oltre 50 anni medici e burocrati del servizio sanitario Usa hanno applicato ai bambini problematici
principi dell'allevamento del bestiame: isolare ed eliminare i ceppi di qualità inferiore. Dunque,
marchiati e rinchiusi in istituti «speciali». Michael D'Antonio in «La rivolta dei figli dello Stato»,
Fandango, ricostruisce la storia di un gruppo di questi ragazzi
MANFRED
Sulle colline prospicienti Boston alla metà degli anni Cinquanta si distendono due agglomerati per la
cura delle malattie mentali. Il primo è composto dagli edifici simil-vittoriani del McLean Hospital.
Qui, pazienti di estrazione aristocratica o altoborghese e celebrità del mondo artistico (poeti come
Robert Lowell e Sylvia Plath) trascorrono le estati giocando a cricket o a tennis e gli inverni
pattinando o sciando, immersi in un parco vasto e lucente che si dirama a perdita d'occhio senza che
guardie, custodi, recinti o cancelli ne sanciscano la matrice manicomiale. Matrice che emerge, per
contrappasso, nelle stanze adibite alla cura neuropsicologica, in cui si procede non solo all'idroterapia
e alla cura del sonno, ma anche all'induzione dell'attacco epilettico attraverso metazol per
«dinamizzare» gli stati psicotici, all'elettroshock e alla lobotomia sperimentale praticata secondo i
dettami, a dir poco discutibili, del neuroanatomista portoghese Egas Moniz. A poche miglia dal
McLean, sulla collina di Waltham, si erge invece l'ircocervo architettonico - metà castello, metà
magione a mattoni rossi - della Scuola Statale Fernald per bambini «deboli di mente» (vedi ora il libro
di Michael D'Antonio, La rivolta dei figli dello Stato, fondato su documenti inediti e numerose
testimonianze). A differenza che al McLean, qui le stesse procedure terapeutiche estreme non godono
di alcuna emulsione ambientale.
Alla Fernald non si accede per scelta, ma per una coazione conseguente a dilettantesche valutazioni di
quozienti d'intelligenza; non vi si arriva su carrozze o berline d'ordinanza, ma su volanti della polizia
o su auto scalcinate di assistenti sociali; non ci sono infermiere che assecondano i capricci del paziente
servendo aragosta al posto dell'agnello, ma «sorveglianti» che instradano ogni momento dei
«residenti» nello spazio-tempo chiuso e compressivo della più classica delle istituzioni totali.
Il bambino o il ragazzo recluso ne conosce in successione - in tempi scanditi dal suo adattamento più o
meno problematico - le diverse sezioni: il Reparto 1, con camerate grandi come campi da tennis
riempite da trentasei letti staccati di mezzo metro (alla lunga, il sovraffollamento porterà a cinquanta
letti incastrati come mattoni di un lego); il punitivo Reparto 22, con celle d'isolamento e strutture
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adibite alla sperimentazione neurochirurgica e all'elettroshock; l'Edificio Nord o «fossa dei serpenti»
(come nell'omonimo film di Anatole Litvak), plesso dal pavimento incurvato con un centinaio di
degenti nudi - anziani gravemente disabili - usato occasionalmente come alternativa al Reparto 22 per
piegare gli indisciplinati, costringendoli a pulire le feci e l'urina dai muri o dalle piastrelle; e infine la
Stanza Blu, vano di docce per lavare quei corpi dalle loro emissioni incontrollate.
Nello stesso tempo, il «residente» della Fernald - un bambino come il nero Freddie Boyce, entrato a
sette anni nel `49 e uscito nel `60, ed eletto da Michael D'Antonio a sotterraneo io narrante del libro deve addomesticare lo shock plurimo della nuova situazione. Una volta incapsulato nella divisa con
camicia, pantaloni di tessuto grezzo e scarpe nere, deve cioè affrontare, per un verso, l'aggressione di
quello che un grande psichiatra come Harold F. Searles ha definito «l'ambiente non umano»,
rispondendo a un accerchiamento polisensoriale che passa per impatti visivi (il «verde pallido» delle
camerate), olfattivi (il «cibo cotto» della mensa, causa di frequenti blocchi anoressici) e soprattutto
auditivi, con il giorno e la notte tramati da «cacofonie assordanti», dai grugniti dei bambini più
compromessi, dai «lamenti ritmici» e dai gemiti dell'Edificio Nord, e da un silenzio ancora più
esasperante dei suoni che lo violano. Per un altro verso - anche se i due livelli, come è ovvio, non si
possono disgiungere -, deve venire a patti con il personale della scuola e con i compagni.
I «sorveglianti» sono per la maggior parte cerberi sadici, inclini a un inventivo ventaglio di punizioni:
James McGinn - il loro prototipo - alterna colpi di mestolo sul cranio, strattoni ai testicoli, costrizioni
di positura (quella in equilibrio sulla rete del letto colla pressione sui tendini rotulei); mentre la più
metodica Phyllis l'Antiqua si avvicina in silenzio alle vittime colpendole con schiaffi improvvisi o con
percussioni simmetriche alle orecchie. Quanto ai compagni, nel gruppo vige una gerarchia col vertice
occupato dai «Capi» - spesso i ragazzi più problematici sul piano psicosociale - e il fondo occupato dai
«Tonti», quelli più inerti sul piano cerebrale.
E non sorprende che tra personale e internati si instauri una complicità opaca soprattutto a livello di
ritualità sessuale. Essendo infatti episodici i rapporti con le donne - qualche bacio occulto o uno
sfioramento di seno nelle sortite clandestine al Dormitorio Femminile - tutto si risolve in una
promiscuità multipla: perché agli abusi dei «sorveglianti» sui «residenti» (dalle fellatio attive e passive
alle masturbazioni alle sodomie) si assommano quelli dei «Capi» sui novizi, con tanto di protezione
annessa, secondo schema carcerario. Così come, ancora secondo schema carcerario, i «sorveglianti»
tollerano spesso le sopraffazioni dei «Capi».
Buona parte dell'aggressività e della tensione nella Fernald non è riconducibile però solo ai limiti
costitutivi dell'istituzione di controllo (al «sorvegliare e punire»), alla chiusure delle prospettive
psicologiche (coi cattivi puniti e i buoni mai premiati), alla scissione tra un «dentro» sociale alienante e
un «fuori» inattingibile (e l'irruzione della televisione che accentua il fenomeno); è dovuta soprattutto
all'alta percentuale di bambini «sani» che il carattere pseudoscientifico del test QI - poggiandosi sulla
equivoca nozione di borderline - fagocita all'interno della scuola.
Nella sola Fernald si parla di un terzo del totale, ma la stessa percentuale è probabilmente estendibile
a tutta l'ottantina di centri sparsi per il Paese, ospitanti, nell'insieme, centocinquantamila persone.
Non è un caso che la progressiva revisione del test, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, arrivi a
dimostrare l'infondatezza di quell'assurdo proclama deterministico, e l'incidenza profonda della
componente «ambientale» nell'articolazione psichica. Gli stessi bambini della Fernald, d'altronde,
incarnano la smentita dell'assunto che li condanna, con la loro impressionante capacità di
apprendimento e di rendimento nelle attività agricole e artigianali svolte all'interno dell'istituto.
Come si è potuti arrivare a forgiare un simile freak, clinico-cognitivo prima e sociale poi, con tanti
percorsi di vita soppressi o deviati pesantemente? D'Antonio, giustamente, ripercorre alcuni passaggichiave lungo la parabola dell'eugenetica americana, distante anni luce - va precisato - da quella
anglosassone fondata da Sir Francis Galton, cugino di Darwin e coniatore del termine. Ricorda così in
sequenza l'applicazione acritica ed equivoca dello stesso darwinismo e del mendelismo da parte di
scienziati «autodidatti» come R.L. Dugdale o Alfred Binet, l'inventore del QI poi applicato;
l'attivazione di un programma eugenetico americano «per la purezza della razza», giuridicamente
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ratificato da una sentenza atroce come quella del Presidente della Corte Suprema Oliver Wendell
Holmes jr. sulla chiusura delle trombe di Falloppio della giovane Carrie Buck (1924); la conseguente
castrazione-sterilizzazione di sessantaseimila persone in trenta stati (per lo più ebrei, italiani, indios,
arabi) e il vanto statistico - a tutto il 1949 - sui diciannovemila bambini non-nati e il relativo risparmio
sociale di 117 milioni di dollari. Così come ricorda l'entusiasmo di Theodore Roosevelt per la selezione
razziale e il foraggiamento dei grandi magnati (Rockefeller, Carnegie, Harriman) allo Eugenics
Record Office (Ero).
La ricostruzione, però, pecca di alcune omissioni non trascurabili. Per completare il percorso bisogna
risalire a un film del 1917, da D'Antonio appena citato: The Black Stork (La cicogna nera), opera dei
fratelli Leopold e Theodor Wharton e annunciato, all'uscita, da un battage di locandine in cui l'uccello
del titolo vede respinti i fagotti coi neonati da comignoli e porte con scritte discriminanti. Il film
mostra un medico (il famoso Harry J. Heiselden, nella parte di se stesso) che convince la madre di un
bambino afflitto da sifilide congenita a sopprimerlo, prefigurandole uno scenario - qui il film ha tratti
da incubo espressionista - in cui il figlio criminale produce una intera «covata» di criminali, arrivando
poi a uccidere i due medici che l'hanno messo al mondo. Terrorizzata dalla visione, la madre accetta di
sopprimere il neonato, vedendone l'anima innocente - nelle ultime sequenze del film - prelevata da un
Cristo più simile a Rasputin.
Ora, il punto, che è anche il correlativo ideologico del film, è condiviso da influenti pensatori del tempo
come Clarence Darrow e Helen Keller e, di conseguenza, da larghi settori dell'opinione pubblica. Ma
non è tutto. D'Antonio omette anche alcuni nomi dirimenti di scienziati. Il primo è quello di Alfred
Ploetz, il medico tedesco attivo in Iowa e nel Connecticut e primo teorizzatore della «igiene razziale».
Gli altri due sono quelli di Charles Davenport e di Harry Laughlin, fondatori dello Eugenics Record
Office e di quel Cold Spring Harbour che tiene a battesimo nel 1933 il piano delle sterilizzazioni
naziste (quattrocentomila) stilato dallo stesso Ploetz, nel frattempo tornato in Germania. Se si
aggiunge la cattedra ottenuta da Laughlin ad Heidelberg nel 1936 e la sua operatività nella diffusione
di testi tedeschi sulla selezione razziale in tutti gli Stati Uniti, si potrà comprendere meglio la natura di
questo mutuo feedback.
Il delirante test sul QI e la sua funzionalità ideologica a certa America wasp (non dimentichiamo le
retate poliziesche nelle bidonvilles di tante metropoli contro la «spazzatura biologica») sono dunque
tasselli ricorrenti in un percorso ben connotato di pseudoscienza (pseudo-eugenetica) criminosa. E che
sia proprio la burocratizzazione acefala di tale ideologia pseudoscientifica ad aver prodotto il
monstrum della Fernald e di altre scuole consimili, lo afferma lo stesso Freddie Boyce una volta
restituito alla vita del «fuori».
Quel Freddie Boyce che ha cercato di fuggire infinite volte dalla scuola e che è stato il capofila non
tanto della pur decisiva rivolta «materiale» del 4 novembre 1957 (ispirata ai ragazzi dal movimento
antirazziale di Little Rock), quanto della lenta rivolta «culturale» che porterà nel tempo all'esplosione
del caso-Fernald con le foto di Fred Kaplan, alle scuse ufficiali di Clinton per le sperimentazioni del
controverso psichiatra Clemens E. Benda sui ragazzi del Club della Scienza (costretti, Freddie incluso,
ad assumere cibo radioattivo) e al relativo risarcimento. Quel Freddie Boyce che ha sempre saputo
vedere tra le pieghe della Fernald non solo le tante figure non ordinarie del personale (sorveglianti
incapaci di violenza come il signor Settipane, psichiatri aperti come Kenneth Bilodeau, assistenti
sociali coraggiose come Abigail Bacon) ma anche l'opacità-ottusità dei carnefici, spesso provenienti da
famiglie disadattate come quelle delle loro vittime e in ogni caso plasmati da un contesto
intrinsecamente più crudele della loro crudeltà individuale.
Certo, la parte finale del libro - col racconto delle tante drammatiche riemersioni degli ex residenti,
stritolati dalla paura di vivere più che da quella di morire - mostra come la Fernald abbia impresso su
di loro uno stigma indelebile. Sia a livello sociale, negandogli quella formazione che li avrebbe facilitati
nell'inserimento professionale; sia nelle profondità affettivo-emotive, tiranneggiandoli, come una casamadre o matrigna, in una ambivalenza insolubile tra desiderio di rimozione e rimpianto patologico, al
punto che molti di loro tornano compulsivamente a contemplarla. Ma la lucidità disincantata di
Freddie è la sola vera uscita possibile: perché contenendo, nella sua visione d'insieme, la ristrettezza di
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quella dei suoi persecutori, tratteggia in controluce - e in un colpo solo - l' incoscienza infelice e la
cattiva coscienza di un intero Paese.
Eugenetica made in Usa
GIANNI MORIANI
Dal 1907 al 1973, gli Usa, precorrendo l'eugenetica nazista, autorizzarono la sterilizzazione
coatta di pazienti psichiatrici, condannati per crimini sessuali, oligofrenici, "imbecilli",
individui "moralmente depravati", epilettici. In realtà, immigrati, slavi, ebrei, homeless e,
soprattutto, neri. Uno scheletro nell'armadio delle potenti lobby ricreative interessate alla
conservazione della natura. Ora la Virginia chiede scusa alle vittime, solo nel 1972, 8.000
donne e 16.000 uomini.
La settimana scorsa lo Stato della Virginia ha chiesto scusa ai circa 8.000 "imbecilli" e "criminali"
legalmente sterilizzati nel corso del Novecento, con l'avallo della stessa Corte Suprema degli Stati
uniti d'America. La quale nel 1927 si espresse a favore della legge della Virginia che autorizzava la
sterilizzazione coatta dei "portatori di una forma ereditaria di malattia mentale o imbecillità". Ecco le
parole che pronunciò Oliver Wendell Holmes a nome della maggioranza della Corte: "Abbiamo
constatato più di una volta che il benessere pubblico può richiedere le vite dei cittadini migliori.
Sarebbe strano se esso non potesse richiedere a coloro che già fiaccano la forza dello Stato questi
sacrifici minori, spesso non percepiti tali dagli interessati, al fine di non essere sommersi
dall'incompetenza. E' meglio per tutto il mondo se, anziché aspettare di giustiziare per qualche
crimine una prole depravata o lasciarla morire di fame a causa della sua imbecillità, la società può
impedire, a coloro che sono manifestamente non idonei, di propagare la loro specie. Il principio che
sostiene la vaccinazione obbligatoria è adeguatamente ampio da includere il taglio delle tube di
Falloppio. Tre generazioni di imbecilli sono più che sufficienti" (Buck V. Bell 1927). Ci troviamo di
fronte allo stesso linguaggio con cui si esprimeranno gli eugenisti nazisti.
Gli Stati Uniti sono stati il primo paese al mondo ad autorizzare la sterilizzazione con finalità
eugenetiche. Nel 1907 lo Stato dell'Indiana approvò, infatti, la prima legge per la sterilizzazione di
pazienti ricoverati in istituzioni psichiatriche, persone condannate più di una volta per crimini
sessuali, quanti venivano giudicati oligofrenici dai test di QI, "individui moralmente depravati" ed
epilettici.
Se vogliamo capire perché proprio gli Usa furono i pionieri della sterilizzazione dobbiamo frugare
tra gli scheletri contenuti negli armadi delle lobby ricreative interessate alla conservazione della
natura. Su tutte emerge il circolo, formato da scienziati e uomini politici, del professor Henry
Fairfield Osborn. Circolo che riuniva l'élite protestante anglo-sassone di New York, fatta dei potenti
Roosevelt, Morgan, Frick, Dodge, Vanderbilt e Harriman. Nel linguaggio eugenetico usato da
Osborn e il suo circolo, "Nazione", "Razza" e "Stato" erano termini frequentemente intercambiabili.
Osborn esercitò la sua forte influenza sulla cultura americana nell'interesse della propria classe che,
per lui, costituiva la crema della razza forte, la sopravvivenza del più adatto, il vero vertice
dell'evoluzione. Inoltre, dato che l'aggressività era considerata la più importante virtù della razza
anglo-sassone, un suo associato, il presidente Theodore Roosevelt ne era diventato il simbolo.
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I membri più importanti del circolo di Osborn (Theodore Roosevelt compreso) fondarono nel 1887
l'ultra esclusivo Boone and Crockett Club (B&C) che costituì la prima associazione
conservazionistica d'America ed ebbe un ruolo fondamentale nel sostenere sia il Museo Americano
di Storia Naturale, il Parco Zoologico di New York (Bronx Zoo) e la Lega di Difesa della Foresta
Rossa a San Francisco, che i movimenti eugenetici e di restrizione dell'immigrazione.
In un'epoca sempre più secolarizzata, la Natura divenne un surrogato di Dio, tanto che per il
presbiteriano Osborn, Natura e Dio erano pressoché la stessa cosa.
Fin dal 1845 l'Onnipotente aveva svelato il Suo "piano" al giornalista John O' Sullivan che coniò la
frase il "Destino Manifesto". Il "Destino" di O' Sullivan finì per giustificare le aggressioni
dell'imperialismo americano in tutte le direzioni per ben più di mezzo secolo. Il Sun, nel 1847, si
vantava che l'americano avrebbe superato persino l'aggressività dei suoi antenati germanici. Era
quindi "naturale" che chi aveva "rivelato" il "Destino manifesto" a O' Sullivan, dettasse il destino dei
deboli a Madison Grant (un membro del B&C): "Le leggi della natura hanno bisogno
dell'annullamento degli inadatti, la vita umana è valida solo quando è utile alla comunità o alla
razza".
Più di qualsiasi altra cosa, le "Leggi Naturali" servirono per collegare i precursori dell'eugenetica ai
movimenti conservazionisti statunitensi. Fin dall'inizio, i relatori ai Congressi per la Conservazione
(che iniziarono nel 1909) resero esplicita la relazione tra razza e risorse. L'onorevole A. F. Knudsen
delle Hawaii, ad esempio, espresse il suo favore per l'egemonia nordica sulle isole e su altri territori
invocando che: "La conservazione faccia da alfiere per una nuova civilizzazione e una nuova razza".
Questa proposta venne accolta anche dalle Figlie della Rivoluzione Americana (Dar). Ecco le
conclusioni dell'intervento che fece la presidentessa generale delle Dar, signora Matthew T. Scott, al
secondo Congresso per la Conservazione: "Noi, le madri di questa generazione - antenate delle
future generazioni - abbiamo il diritto di insistere non solo sulla conservazione di suolo, foreste,
uccelli, minerali, pesci, corsi d'acqua, nell'interesse dei nostri futuri costruttori di case, ma anche
sulla supremazia della razza caucasica sul nostro territorio. Questa conservazione (...) può e deve
essere assicurata per i migliori interessi che coinvolge: prima le verrà riservata attenzione meglio
sarà" (Proceedings 1911).
La stampa americana, intrisa com'era dell'ideologia per la supremazia anglo-sassone, era pronta a
sostenere proposte radicali per il mantenimento e la promozione delle "Leggi Naturali".
Rekombinant
Eugenetica negli USA
Questa volta a proposito di eugenetica. Raccapricciante. Evviva gli uomini bianchi e intelligenti
L'eugenetica negli Stati Uniti ha sostenitori fedeli e rispettabili. Specialmente a destra. Hywel
Probert rivela paralleli sorprendenti tra Bush e Hitler. Hywel Probert "Sarebbe meglio per tutto il
mondo se, invece di aspettare che la prole dei degenerati sia giustiziata per i suoi crimini, o che
muoia di fame per la sua imbecillita', la societa' evitasse a coloro che sono manifestatamente malati
di perpetuare la specie... Tre generazioni di imbecilli bastano." Nel commento finale del giudice
Holmes non c'erano parole di conforto per Carrie Buck, la ragazza madre di vent'anni
miserevolmente seduta davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Tre anni prima, le autorita' delle
Colonia della Virginia erano arrivate alla conclusione che Carrie e sua madre, a quel tempo
ricoverata in un manicomio, avevano in comune tratti ereditari di "debolezza mentale e promiscuita'
sessuale". In quanto tale, Carrie si adattava perfettamente alla descrizione legale: "probabile genitrice
di progenie socialmente inadeguata". I fatti la raccontavano diversamente: Carrie Buck era stata
violentata da un amico della famiglia che la aveva ricevuta in affidamento, e Vivian, la figlia
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illegittima, risultato di quella violenza, figurava nell'elenco degli studenti piu' meritevoli della sua
scuola elementare. Queste cose non avrebbero contato: la corte piu' alta della nazione e la Colonia
della Virginia erano della stessa opinione, Carrie Buck andava sterilizzata con la forza.
Questa non e' la descrizione del processo a una strega di Salem, e' l'America degli anni venti.
L'agitazione industriale, la depressione economica e la sovrapopolazione negli Stati Uniti del primo
novecento avevano acceso il risentimento nei confronti di chiunque fosse stato percepito come un
ostacolo al progresso sociale. Il progressismo in voga quei tempi mirava a risolvere scientificamente
i problemi sociali; alcuni scienziati suggerirono che l'andamento generale sarebbe migliorato se si
fossero soppresse le nascite di coloro che in futuro avrebbero gravato sullo stato. Nel 1907, la prima
legge nel mondo che permetteva la sterilizzazione forzata fu varata in Indiana. Tra il 1907 e il 1924,
furono forzatamente sterilizzate circa tremila persone nella convinzione paranoica che le nazioni
dell'Europa orientale e meridionale mandassero di proposito negli Stati Uniti gli individui predisposti
geneticamente alle malattie mentali, alla condotta criminale e alla dipendenza sociale. E comincio'
un capitolo della storia americana che la maggioranza vorrebbe dimenticare.
Il termine eugenetica fu coniato nel 1883 da Francis Galton, nipote di Charles Darwin, il quale
sentiva l'obbligo morale di incoraggiare coloro che erano forti e sani a fare tanti figli con il fine di
migliorare l'umanita' - oggi definita con disinvoltura eugenica "positiva". La specie piu' sinistra e
virulenta della filosofia, l'eugenetica "negativa", fini' per trovare la piu' calda accoglienza dall'altra
parte dell'Atlantico. Per tanti anni, il cuore del movimento eugenetico americano fu l'Eugenetics
Record Office, allestito nel 1910 a Cold Spring Harbour (lo stesso centro che oggi ospita l'Human
Genome Project, la ricerca sul genoma) su sovvenzione di Mary Harriman. Charles Davenport, il
fondatore, la descrisse come "la principale benefattrice dell'ERO". Mary era la moglie di Edward, il
magnate delle ferrovie, e la madre di Averell, l'industrialista che nel 1921 decise di ripristinare il
corridoio di navigazione tedesco Hamburg-Amerika Line, la piu' grandea linea di navigazione negli
anni che precedettero la seconda guerra mondiale. Nel 1926 Averell Harriman accolse nella sua ditta
di Wall Street (W A Harriman & Co) un socio dal cognome famoso - Prescott Bush, padre di un
presidente e nonno di un altro. La societa' culmino' in ricchezza smodata e ignominia temporanea per
entrambi. Nel 1942, in piena guerra, il New York Herald Tribune riporto' che la Union Banking
Corporation della quale Prescott Bush era il direttore e Roland Harriman il maggiore azionista (con il
99% delle azioni), aveva il controllo di una discreta somma di denaro su commissione del consulente
finanziario di Hitler. L'intero capitale della Union Banking Corporation fu confiscato su esecuzione
del Trading with the Enemy Act (la legge che proibisce il commercio tra due nazioni nemiche).
Con tutta probabilita' l'americano che dopo il 1933 ha maggiormente influenzato l'eugenetica tedesca
e' stato Harry Laughlin, con il suo Modello di Legge per la Sterilizzazione Eugenetica (Model
Eugenic Sterilisation Law) del 1922, che condusse alla sterilizzazione di 20,000 americani. La legge
di Laughlin fu il modello dello statuto secondo il quale la Germania nazista sterilizzo' legalmente
oltre 350,000 "indesiderabili". L'influenza di Laughlin sull'eugenetica americana si e' spinta oltre.
Nel 1937 divenne il primo presidente del Pioneer Fund, un'organizzazione che ancora oggi provvede
i fondi per la ricerca, ideologicamente motivata, della relazione tra intellingenza e razza, al fine di
"migliorare le razze". Le descrizioni di verita', logica e responsibilita' quali parti integranti
"dell'ordine biologico" continua ad essere la filosofia del Pioneer Fund. L'anello che che collega gli
eugenetisti del Pioneer Fund ai protagonisti della destra americana e' sempre molto saldo.
A William H Draper III, il co-presidente incaricato della raccolta dei fondi per la campagna
elettorale di George Bush nel 1980, fu conferito l'incarico di presidente dell'Export-Import Bank of
the United States nei governi di Reagan e di Bush. Il padre, che era stato il direttore della societa'
tedesca di prestiti per fondi d'investimento, la German Credit and Investment Corporation, era un
consanguineo di Wickliffe Draper, il fondatore del Pioneer Fund. Questa associazione tra
l'eugenetica e la destra americana e' stata estesa alla destra cristiana. Nel 1972 Jesse Helms divenne
senatore della Carolina del Nord grazie all'aiuto di un suo collaboratore, Thomas Ellis. Helms
divenne in seguito il portavoce del fondamentalismo cristiano in America, e ad Ellis fu affidata la
direzione del Pioneer Fund dal 1973 al 1977. Questa coppia apparentemente insolita nel 1976 venne
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in contatto con un ambizioso attore che si era dedicato alla politica, Ronald Reagan, che affido' ad
Ellis la presidenza della sua campagna per ottenere la candidatura del partito repubblicano della
Carolina del Nord. Nel 1983 Reagan offri' ad Ellis un posto nel suo governo ma Ellis fu costretto a
rifiutare l'offerta quando i media rivelarono il suo passato alla Pioneer Fund. Purtroppo successe
dopo la creazione dell'infausta campagna pubblicitaria contro l'affirmative action (la legge che
garantisce a tutti la stessa opportunita' d'impiego). Nella pubblicita' le mani di un bianco
appallottolavano una lettera di rifiuto in risposta a una richiesta d'impiego, mentre la voce di un
narratore denunciava l'affirmative action come la causa del mancato impiego dell'uomo bianco. Ellis
continua a mantenere la sua posizione che una razza puo' essere geneticamente superiore a un'altra e
lamenta il fatto che "si frigna troppo sull'argomento, per cui non si puo' avere una discussione
legittima e intelligente a riguardo".
Nell'ultimo ventennio lo scettro della determinazione genetica e' stato sempre passato a persone
degne del proprio predecessore, primo fra tutti Charles Murray, scienziato e accademico. Il suo bestseller La Curva di Bell (The Bell Curve) asserisce l'inferiorita' intellettuale dei neri americani, e
sostiene che la disuguaglianza economica e' semplicimente una ratificazione della giustizia genetica.
Murray fa ripetuti riferimenti alle teorie di J Philippe Rushton, un accademico canadese (Ontario)
che ha ricevuto oltre 700.000 dollari dal Pioneer Fund. Rushton e' convinto che l'eugenetica potrebbe
rallentare il pericolo che la fertilita' nera rappresenta per la civilizzazione dell'Europa settentionale.
Murray si avvale anche delle teorie di William Shockley, il tristemente famoso ex-professore
dell'Universita' di Stanford che negli anni 70 propose il "progetto gratifica", secondo il quale tutti
neri con un QI inferiore alla norma che ricevevano sovvenzioni dal governo avrebbero ricevuto un
premio se si fossero lasciati sterilizzare. Il pensiero di Murray e' politicamente importante perche' e'
condiviso da persone che sono molto vicine a George W. Bush. Dick Cheney e Elaine Chao,
rispettivamente vice presidente e ministro del lavoro, hanno entrambi legami con le associazioni che
accondiscendono Murray, anche se nel governo di Bush, il sostenitore piu' forte e importante della
filosofia eugenetica di Murray, e' Tommy Thompson, il ministro della sanita'. Thompson fu eletto
governatore del Wisconsin nel 1986, e nel 1995 applico' lo schema W-2 (Wisconsin Works), una
riforma che alterava radicalmente il programma di assistenza sociale. Charles Murrey fu il
consulente dello schema nel quale il 92% degli assistiti sociali persero le sovvenzioni. Le casse dello
stato si arricchirono, ma il costo umano di questa operazione fu immenso: a Milwaukee (la citta' piu'
grande del Wisconsin, con una popolazione di 600,000) la mortalita' infantile subi' un incremento
totale del 17.6% - nella comunita' afroamericana aumento' del 37%. Dalle dichiarazioni di Frederick
Osborne si estrae l'implicazione che gli eugenetisti stanno prendendo in considerazione alternative di
sterilizzazione meno evidenti della stessa sterilizzazione. Osborn, un ex-presidente della Societa'
Eugenetica Americana (American Eugenics Society) e direttore del Pioneer Fund, e' uno dei cofondatori del Consiglio Demografico (Population Council), una potente organizzazione mondiale che
nella sua ultima incarnazione studia la salute pubblica e porta avanti la ricerca biomedica. In uno
scambio di corrispondenza con John D. Rockefeller, l'altro co-fondatore, Osborn scrive, "Gli
anticoncezionali e l'aborto stanno avendo un esito positivo nell'eugenetica, ma se fossero stati
promossi for ragioni eugenetiche ... [quelle ragioni] ne avrebbero ritardato o fermato il consenso".
Forse e' ancora piu' sorprendente la filosofia eugenetica sostenuta dall'icona femminista Margaret
Sanger, ispirazione delle Famiglie Pianificate (Planned Parenthood). Sanger nel suo autorevole testo
Il Perno della Civilizzazione (Pivot of Civilization) chiedeva la sterilizzazione di "tutte le razze
geneticamente inferiori". L'Istituto Sanger, che non ha mai preso le distanze dalla filosofia di
Margaret Sanger, e' oggi il centro della ricerca sul genoma (Human Genome Project). La filosofia
dell'eugenetica e' diventata un sinonimo di Terzo Reich, eppure c'e' tanta evidenza che mostra quanto
in America sia ancora oggi accettata - e purtroppo finanziata - dagli individui e dalle organizzazioni
piu' influenti, inclusa la famiglia che ha prodotto due presidenti. Purtroppo non riesco a ricostruirne
la fonte. In ogni caso, in questo post su Indymedia:, vi è una raccolta di dati, articoli e link sui legami
tra Stati Uniti e nazismo (Prescott Bush, l'operazione paperclip ecc. ecc.), alcuni riportano notizie
molto conosciute, altri meno (interessante la storia dell'impero finanziario di questo fantomatico
Thyssen).
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Emiliano Panizon
Conosci il tuo nemico ... la nuova eugenetica:
LA NUOVA EUGENETICA: raccolta di citazioni
1977, E. Signer, biologo del MIT: "Questa ricerca sta per portarci un passo ancora più vicini alla
manipolazione genetica delle persone, cioè dove si può immaginare di produrre bambini con le
caratteristiche ideali [ ... ] L'ultimo bambino ideale aveva i capelli biondi, gli occhi blu e i geni ariani".
IL PASSATO
1. T. Roosevelt, 26° Presidente degli USA. «{ Un giorno noi tutti realizzeremo che il primo dovere di ogni
buon cittadino, uomo o donna, di giusta razza, è quello di lasciare la propria stirpe dopo di sé nel mondo; e
che, allo stesso tempo, non è di alcun vantaggio consentire una simile perpetuazione di cittadini di razza
sbagliata. Il grande problema della civiltà é riuscire ad ottenere, nella popolazione, l'aumento degli elementi
di valore rispetto a quelli di poco valore o che risultano addirittura nocivi. [...] Per raggiungere questo
obiettivo è indispensabile rendere piena coscienza dell'immensa influenza esercitata dall'ereditarietà... Spero
ardentemente che agli uomini disonesti venga impedito del tutto di procreare; e che ciò avvenga non appena
la cattiva natura di questa gente sia stata sufficientemente provata. I criminali dovrebbero essere sterilizzati e
ai malati di mente dovrebbe essere vietato avere dei figli [...] è importante che solo la brava gente si perpetui.
}»
2. E. A. Hooton «{ predicava che "il crimine è il risultato dell'impatto dell'ambiente sugli organismi umani di
grado inferiore". "La soluzione al problema del crimine è l'estirpazione dell'incapace fisico, morale e mentale
o (se questo sembra troppo severo) la sua completa segregazione in un ambiente socialmente ascetico". }»
3. H. D. Croly «{ era convinto che i neri "erano una razza in possesso di qualità morali e intellettuali inferiori
a quelle dei bianchi". }»
4. Coolydge Presidente USA «{ ci sono considerazioni razziali troppo gravi per essere ignorate per qualche
ragione sentimentale. }»
5. J. J. Davis, Ministro del lavoro, Governo Coolydge «{ espresse le opinioni della sua amministrazione a
proposito della limitazione dell'immigrazione e fece il punto della discussione in questo mo do: "L'America è
sempre stata orgogliosa di avere alle sue origini la razza definita nordica [...] dovremmo bandire dalle nostre
coste tutte le razze non naturalizzate e tutti gli individui, di tutte le razze, che fisicamente, mentalmente,
moralmente e spiritualmente sono indesiderabili, e che costituiscono una minaccia per la nostra civiltà". }»
6. R. Allen membro del congresso «{ dichiarò che "la ragione primaria della limitazione dei flussi degli
stranieri è la necessità di purificare e ripulire la stirpe americana. }»
7. J. V. Taylor membro del congresso «{ avvertì che "l'America per le sue stesse cause sta scivolando e sta
annegando come fece Roma. Roma che ebbe fiducia nel miscuglio delle razze esattamente come noi stiamo
facendo adesso. Essa, come stiamo facendo noi, disdegnò le ferree certezze dell'ereditarietà. Perse il suo
istinto della razza, come noi abbiamo perso il nostro". }»
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8. «{ Il Presidente varò la legislazione, che richiedeva delle restrizioni basate sul 2% di stranie ri di ciascun
Paese. Il numero di persone provenienti dall'Europa meridionale era nel '24 molto maggiore rispetto a quello
delle persone dell'Europa meridionale, questa legge chiuse le porte ai meridionali.
9. M. Sanger «{ dichiarò "è un fatto curioso, ma da non trascurarsi, che proprio a coloro che in tutta carità
dovrebbero essere cancellati dalla razza umana sia stato permesso di riprodursi e di perpetuare il proprio
gruppo, grazie alla politica di indiscriminata carità <cuori caldi> non controllati da <menti> fredde". Scrisse
inoltre "Tra le persone intelligenti esiste una sola risposta alla richiesta di una maggiore quantità di nascite e
questa risposta bisogna richiederla al Governo prima di coricarsi sulla schiena il fardello dei matti e dei
deficienti [...] La soluzione è la sterilizzazione" }»
10. Nel 1931 «{ 30 Stati avevano approvato leggi sulla sterilizzazione e migliaia di cittadini colpevoli di
"omicidio, rapimento, furti sulle strade, furti di galline, per i dinamitardi, ladri di automobili" erano stati
<resi> sterili chirurgicamente. }»
11. Nel 1925 «{ ufficiali tedeschi contattavano i governi dei vari Stati federali per avere informazioni circa le
leggi USA sulla sterilizzazione. L'eugenetica tedesca rimarcò: "quello che viene pro mosso dagli igienisti
razziali non è per niente nuovo o qualcosa di mai sentito. In una nazione colt a e di prim'ordine, gli USA, alla
quale noi ci sforziamo di somigliare, questo concetto venne introdotto molto tempo fa. E' tutto molto
semplice e chiaro". }»
12. Hitler «{ Il mischiarsi delle razze superiori e di quelle inferiori è chiaramente contro l'intento della natura
e implica l'estinzione della razza superiore ariana [...] Ogniqualvolta il sangue ariano è stato mischiato a
quello delle persone inferiori, il risultato è stato quello di eliminare coloro i quali sono portatori della cultura.
13. 1932 V. Frick ministro dell'Interno tedesco «{ le sorti della pulizia razziale del Terzo Reich e del popolo
tedesco verranno unite indissolubilmente. }»
14. 1933 A. Hitler «{ decretò la legge dell'ereditarietà della salute, uno statuto di sterilizzazione eugenetica e
fu solo il primo passo di un enorme quantità di programmi eugenetici, che nei dodic i anni successivi
avrebbero reclamato le vite di milioni di persone. }» In risposta alla nascente campagna eugenetica del
Führer, gli eugenisti americani osservano che la Germania stava "attuando un a politica che sarebbe andata
d'accordo con la migliore linea di pensiero degli eugenisti di tutti i Paesi civilizzati". Nel corso degli anni '30
la Società di genetica Americana dibatté all'infinito se si dovesse o meno condannare la politica eugenetica
del Terzo Reich. Non ci sono stati mai abbastanza voti per una condanna.
IL PRESENTE
1. dr. R. Sinsheimer, biologo «{ I vecchi sogni sulla perfezione culturale dell'uomo erano sempre stati
strettamente limitati dalle imperfezioni e dalle limitazioni ereditate.[...] Sebbene sia possibile alimentare le
proprie caratteristiche migliori e reprimere le peggiori con la sola cultura, in alcuni casi è più difficile.[...]
Adesso intravediamo un altra via: la possibilità di attenuare le tensioni interne e di curare direttamente, al
fine di portare avanti molto più lontano e con coscienza la nostra attuale concezione del prodotto di 2
miliardi di anni di evoluzione.[...] La vecchia eugenetica avrebbe richiesto una continua selezione per far
prevalere il più adatto sul meno adatto.[...] Gli orizzonti della nuova eugenetica sono senza confini: noi
abbiamo i mezzi per creare nuovi geni e nuove qualità non ancora sognate.[...] In verità, questo concetto
segna una svolta nell'intera evoluzione della vita. Per la prima volta in tutti i tempi, una creatura vivente
comprende la sua origine e può intraprendere un percorso per disegnare il proprio futuro. Anche nei vecchi
miti l'uomo era vincolato dall'essere. Non poteva allontanarsi dalla propria natura per leggere le carte del
proprio destino. Oggi possiamo intravedere questa possibilità, ma anche il peso della scelta e della
responsabilità. }»
2. Sir j. Huxey «{ E' chiaro che per ottenere un significativo aumento dell'efficienza nazionale e
internazionale noi non possiamo pensare di individuare ed eliminare singoli sintomi di malessere sociale o
politico, o di <aggiustare> di volta in volta l'ingranaggio che muove la politica mondiale, e nemmeno di
puntare su un miglioramento dell'istruzione; dobbiamo invece fare sempre più affidamento sulla possibilità
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di alzare il livello genetico delle capacità intellettuali e pratiche dell'uomo. }»
3. de Condorcet, modernista «{ Al miglioramento delle facoltà umane non è stato fissato alcun limite [...] la
perfettibilità dell'uomo è assolutamente infinita; [...] l'attivarsi di questo processo non può essere impedito da
niente e da nessuno, e non ha altro limite se non quello della vita di questo pianeta, su cui la natura ci ha
messi. }»
4. continua E.O. Wilson, sociobiologo «{ Nel tempo si accumuleranno molte conoscenze sul fondamento
genetico del comportamento sociale, e potrebbero diventare disponibili tecniche per alterare i complessi
genetici grazie alla manipolazione molecolare e alla rapida selezione attraverso la clonazione [...] La specie
umana può cambiare la sua stessa natura. Che cosa sceglierà? Rimarrà la stessa, traballando sulle fondamenta
scadenti degli adattamenti parzialmente obsoleti dell'era glaciale? O si spingerà verso una maggiore
intelligenza e creatività, accompagnata da una maggiore, o minore, capacità di risposta emotiva? Nuovi
schemi sociali potrebbero essere installati a spizzichi e a bocconi. Potrebbe diventare possibile imitare
geneticamente nuclei famigliari che si avvicinano già alla perfezione, come quelli del gibbone dalle mani
bianche, o l'armoniosa fratellanza fra api. }»
5. Lee Silver, biologo molecolare «{ Col trascorrere del tempo, la distanza genetica tra la classe natural e la
classe genrich potrebbe diventare sempre più grande e non sarebbe più possibile per u n individuo salire da
una classe all'altra [...] Tutti gli aspetti dell'economia, dei media, dell'industria del divertimento e
dell'industria della conoscenza verranno controllati dai membri della c lasse genrich [...] Invece, i natural
lavoreranno come fornitori di un servizio sottopagato o come operai [...] I bambini genrich e natural crescono
e vivono in mondi sociali separati, con poche opportunità di contatto [...] [ alla fine ] le classi genrich e
natural diventeranno gli uomini genrich e gli uomini natural, specie totalmente separate con nessuna
opportunità di incrocio e con un a specie di <curiosità> gli uni per gli altri, come adesso accade per gli
uomini verso gli scimpanzè }»
6. la vera idea di eliminare i cosiddetti difetti genetici solleva la problematica questione di quello che si
intende con il termine "difettoso". _ D. Callahan, filosofo morale osserva: «{ Dietro l' orrore umano per i
difetti genetici si nasconde... un'immagine del perfetto essere umano. I veri significati di "mancante",
"anormalità", "malattia" e "rischio" presuppongono un'immagine di questo tipo, una specie di prototipo della
perfezione. }»
7. dr. J.D. Lantos «{ Fino a quando l'ormone della crescita non fu scoperto, nessuno definiva la bassa statura
una malattia. Questa ha incominciato a diventare una malattia solo perché è diventata disponibile una
manipolazione [ hGH ] e perché i medici e le compagnie assicurative, al fine di razionalizzare le loro azioni,
hanno dovuto ricorrere a una giustificazione. Quello che sta avvenendo, dunque, non è solo la produzione dei
farmaci, ma anche la lenta progressiva ridefinizione di quello che significa la parola <salute>. }»
8. J. Beckwith prof. di microbiologia e di genetica avverte «{ La sola focalizzazione sulla genetica per
comprendere le malattie e i problemi sociali tende a distogliere l' attenzione della società dagli altri mezzi,
che pure esistono, per affrontare questi problemi [...] Dare una spiegazione genetica dell'intelligenza, delle
differenze tra i sessi, dell' aggressività, porta ad assolvere la società per qualunque diseguaglianza essa abbia
prodotto; non solo, in questo modo si rafforzano le posizioni di tutti quelli che hanno interesse a mantenere
queste disuguaglianze. }»
Il caso Carrel in francia Il ritorno dell'eugenetica
di Patrick Tort*
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Il caso Carrel è cominciato quando il Front National ha deciso di scatenare, all'inizio degli anni 90, una
campagna che mirava a far apparire il medico francese collaborazionista Alexis Carrel, premio Nobel nel
1912 per i suoi lavori di tecnica chirurgica e autore nel 1935 di un manifesto in favore della soluzione
eugenetica dei problemi sociali (L'homme, cet inconnu), come un pensatore degno di figurare nel pantheon
degli scienziati umanisti, in quanto"padre dell'ecologia".
Dietro questa rivendicazione dell'estrema destra francese, si nasconde la volontà politica di farsi scudo con
un"figura nobilizzata" dell'intelligentsia di Vichy: quella di un uomo le cui convinzioni, discorsi pubblici e
sforzi istituzionali si iscrivono in una linea indubbiamente antidemocratica, apertamente"biocratica" e
palesemente impegnata nella realizzazione di una convergenza con il fascismo mussoliniano e il nazismo.
Questa offensiva lanciata dal Fn a favore di Carrel ha trovato le sue prime espressioni visibili nel 1991, in
editoriali e dichiarazioni pubbliche. E' in quest'epoca che, viste le circostanze, abbiamo deciso di pubblicare,
insieme al dottor Lucien Bonnafé, psichiatra noto sia come fondatore della psichiatria di settore in Francia
che come capo della resistenza nella zona Sud (1), un piccolo libro sul tema (2). Tale libricino, pubblicato
nell'autunno del 1992, ha avuto un successo enorme, e ha portato alla mobilitazione di alcune associazioni
locali, che hanno convinto le autorità municipali a rinominare tutte le strade e gli edifici pubblici che
portavano il nome del medico di Lione emigrato negli Stati uniti e rientrato in patria per dar man forte al
maresciallo Pétain.
Biologicamente sgraditi L'appartenenza di Alexis Carrel al Parti Populaire Français, filo-nazista, durante il
periodo di Vichy, recentemente rimessa in luce dai ricercatori lionesi, era stata completamente passata sotto
silenzio da alcune opere (3), o per semplice ignoranza, o perché essa contrastava con la loro tendenza
surrettizia alla riabilitazione. Ma è sufficiente leggere L'Homme, cet inconnu, per capire la logica a cui
risponde il discorso di Carrel.
Parlare di eugenetica"positiva","volontaria","favorevole alla natalità", a proposito di questo personaggio, che
nel 1941, dopo la sua carriera americana, sarebbe diventato il responsabile della"Fondation française pour
l'étude des problèmes humains", sotto il patrocinio di Pétain, è un'assurdità, oltre che una pesante offesa nei
confronti delle vittime del nazismo.
Alexis Carrel, a capo di questa Fondazione, mandava la sua équipe,"Biologia della stirpe", ad indagare
sulla"qualità genetica" delle famiglie immigrate a Parigi e in periferia, nella stessa epoca in cui veniva
organizzata la deportazione a Drancy. Ecco un estratto del rapporto di attività di quest'équipe, pubblicato nei
Cahiers de la Fondation nel 1943:"Come è noto, molti immigranti sono stati ammessi in Francia.
Fra questi, alcuni sono ospiti graditi, altri no. La presenza di gruppi di stranieri indesiderabili dal punto di
vista biologico rappresenta un pericolo certo per la popolazione francese. La fondazione si propone di
precisare le modalità d'assimilazione degli immigrati, in modo che sia possibile trovare una collocazione
appropriata alle loro caratteristiche etniche. Al momento si sta procedendo al censimento e alla
localizzazione di alcune categorie di immigrati, soprattutto nordafricani, armeni, polacchi. Si sta studiando,
in particolare, la popolazione armena di Issy-les-Moulineaux".
Le retate di Vichy avrebbero provveduto a trovare per gli indesiderabili"la collocazione appropriata alle loro
caratteristiche etniche".
La distinzione tra un'eugenetica"positiva" e una"negativa" è particolarmente apprezzata dai paladini
dell'eugenetica in generale, perché permette di salvaguardare la rispettabilità di un certo tipo di eugenetica
(che né a livello concettuale né pratico potrebbe essere"distinto"), anche a costo di accettare la condanna di
una forma"dura".
Cerchiamo di analizzare meglio. Come è noto, l'eugenetica è stata inventata dallo statistico inglese Francis
Galton alla metà degli anni 60 del secolo scorso. Fortemente colpito dalla lettura, nel 1859, de L'origine delle
specie scritto da suo cugino Charles Darwin (il quale respingerà sempre ogni considerazione di carattere
eugenetico), Galton formula il seguente ragionamento: poiché, nel mondo degli esseri viventi, la selezione
naturale assicura la diversità delle specie e la sopravvivenza degli individui più adatti a partire dalla
selezione di variazioni vantaggiose, e parallelamente l'eliminzione dei meno adatti, la stessa cosa dovrebbe
prodursi a livello sociale, nei riguardi dei caratteri intellettuali. Ma il progresso della civiltà ha ostacolato il
libero corso della selezione naturale, permettendo la protezione e una riproduzione indefinita a
esistenze"mediocri", inducendo così un forte rischio di degenerazione. Bisogna quindi intraprendere
un'azione di selezione artificiale istituzionalizzata, in modo da compensare questo deficit, alleggerire questo
fardello e evitare questo rischio.
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Che ne è, allora, della celebre distinzione tra due eugenetiche, delle quali l'una sarebbe rispettabile e l'altra
no? In genere si definisce"eugenetica positiva" ogni prescrizione mirante a favorire gli individui"superiori"
che non metta in discussione l'esistenza e la sopravvivenza degli"inferiori". All'inverso, viene ascritto a
un'"eugenetica negativa" ogni discorso che si propone di ottenere un miglioramento della qualità biologica
portando un attacco all'integrità di individui o gruppi considerati disgenici. Si può andare dal divieto di
riproduzione alla pura e semplice eliminazione fisica, passando per la sterilizzazione forzata.
L'eugenetica"negativa" consiste quindi nell'estromissione autoritaria di alcuni individui dai meccanismi
riproduttivi, per mezzo di mutilazioni fisiche o giuridiche, o di qualsiasi altro procedimento. Se consideriamo
la proposta di base dell'eugenetica nel suo atto di fondazione galtoniano, questa distinzione non ha ragione di
esistere, visto che la selezione artificiale che essa propone implica necessariamente l'eliminazione o
l'esclusione dalla riproduzione di alcuni individui. La qualcosa, tra l'altro, trova conferma nelle parole del
collaboratore e continuatore di Galton, Karl Pearson, che, immettendosi nel filone dell'elitarismo galtoniano,
auspica una"modifica della fertilità relativa delle buone e delle cattive stirpi" all'interno dei gruppi sociali.
Per chi sa leggere, questo enunciato, fatto da uno dei padri fondatori dell'eugenetica moderna, svuota di ogni
significato la famosa"distinzione" su cui poggia il retorico castello di carte degli attuali difensori
dell'eugenetica.
Un altro dei loro argomenti preferiti consiste nell'assimilare l'eugenetica, la cui storia è costellata di vicende
decisamente equivoche, sia alle raccomandazioni di sanità pubblica sia a pratiche mediche, come l'aborto
terapeutico. Essi non si rendono conto che l'attuale orientamento delle politiche di sanità pubblica mira,
almeno in principio, a favorire un miglioramento delle condizioni fisiche degli strati meno protetti della
popolazione, e che la tendenza è di promuovere una progressiva parità di situazioni di fronte alle malattie.
Per quanto riguarda l'aborto terapeutico, esso mira ad evitare patologie gravi, e presuppone una discussione a
livello individuale tra il medico e il paziente all'interno di un quadro giuridico dai contorni vaghi ove, in
ultima istanza, la decisione è lasciata all'etica personale dell'ostetrico.
Assimilarlo all'eugenetica, alla sua definizione e ai risvolti storici che essa ha avuto, vuol dire semplicemente
promuovere un'opera di banalizzazione di pratiche di tutt'altro genere.
Alcuni, poi, amano sostenere che l'eugenetica di Alexis Carrel sarebbe più americana che tedesca.
Darwin innocente Le sterilizzazioni di esseri umani praticate negli Stati uniti fin dall'inizio del secolo
sarebbero quindi, secondo loro, più umane di quelle praticate successivamente in Europa. Ci spingeremo
forse fino a sostenere l'opportunità di distinguere sterilizzazioni"positive" e sterilizzazioni"negative"? La
peggiore ignoranza e malafede in questo ambito non possono cancellare l'esistenza di legami istituzionali e
finanziari tra la Fondazione Rockefeller (Carrel era membro direttore dell'istituto omonimo) e, ad esempio,
l'Istituto di genealogia e demografia di Ernst Rfdin (che sarà presidente della Società di igiene razziale nel
1933, eugenista"duro" e uno dei teorici più attivi del nazismo) in Germania.
Quanto allo sconcertante tentativo di addossare a Charles Darwin la paternità dell'eugenetica, da lui rifiutata
a chiare lettere nel 1871 perché contraria all'evoluzione istintuale e etica dell'umanità civilizzata (4), esso è
stato ampiamente confutato, tanto da togliere la minima credibilità intellettuale a chi si impegna a ribadirlo.
Per tutto ciò, i difensori di Alexis Carrel almeno quelli che non militano apertamente nel Front National
appaiono in difficoltà. Comunque, se è importante"liberare la Francia da Carrel", è altrettanto importante
spiegare perché si debba farlo.
note:
* Filosofo, epistemologo, autore, insieme ad altri, del Dictionnaire du darwinisme et de l'évolution, Presses universitaires de France,
Parigi, 1996.
(1) Si legga Lucien Bonnafé,"Abroger l'internement psychiatrique", le Monde diplomatique, maggio 1990.
(2) Lucien Bonnafé, Patrick Tort, L'Homme, cet inconnu? Alexis Carrel, Jean-Marie Le Pen et les chambres à gaz, Parigi, Syllepse,
1992.
(3) Cfr. Alain Drouard, Une inconnue des sciences sociales: la Fondation Alexis Carrel, 1941-1945, Maison des Sciences de
l'Homme / Ined, Parigi,1992.
(4) In La discendenza dell'uomo. Si veda, a questo proposito, Patrick Tort, Darwin et le darwinisme, Puf, Parigi, 1997 e Patrick Tort
(diretto da), Pour Darwin, Puf, 1997.
(Traduzione di S.L.)
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Agosto 1944: Nasce il primo calcolatore elettronico
Una delle pagine più importanti del progresso scientifico e tecnologico del Novecento viene coinvolta nella
caccia agli ebrei e nel sostegno al nazismo. Ma l'IBM riesce a lavorare contemporaneamente con i tedeschi e
con gli Alleati.
di Pietro Nastasi
Il sistema Hollerith
Il sistema Hollerith , sinonimo di calcolo automatico, si basa sulla traduzione dei dati in fori su schede di
cartoncino mediante punzonatrici. Le schede possono poi venire lette con degli aghi metallici. Quando
passano attraverso un buco, gli aghi chiudono un circuito elettrico che aziona dei contatori di scatti in grado
di tradurre le informazioni in serie numeriche. Il sistema era completato:
– da una macchina verificatrice, che controllava la qualità del lavoro fatto dalla punzonatrice;
– da una macchina selezionatrice per ordinare le schede (per esempio in ordine alfabetico o numerico);
– da una calcolatrice per eseguire calcoli numerici sui dati letti dalle schede perforate e perforare i risultati su
altre schede;
– da una tabulatrice, per stampare i risultati in chiaro.
Con questo sistema si eseguivano calcoli ad una discreta velocità. Ma, trattandosi di macchine idonee
all'esecuzione di operazioni su serie di dati di varia natura, la loro gestione era abbastanza complessa. Questa
tecnologia ha subìto una evoluzione relativamente lenta sino ad arrivare, verso il 1940, a macchine di tipo
elettromeccanico in grado di riunire le funzionalità dei diversi componenti meccanografici. Si intuisce
comunque come in queste macchine si potesse già intravedere il concetto di programma: serie di istruzioni
preordinate, da eseguire in successione. Le istruzioni potevano venire somministrate sotto forma di codici
perforati su una striscia di carta, in modo analogo a quello prefigurato per la macchina di Babbage. È ciò che
fece Aiken nel 1944 per l' ASCC , per il quale si parla di calcolatore a programma esterno .
Le grandi potenzialità del sistema Hollerith vennero evidenziate per la prima volta in un lavoro che l'IBM
eseguì per il movimento razzista americano, da sempre ossessionato dalla notevole immigrazione dall'Est e
dal Sud Europa così lontani dal mito della razza nordica , anglosassone: statura alta, capelli biondi e occhi
azzurri. La bandiera agitata era il pericolo per gli Stati Uniti di un suicidio razziale , in conseguenza della
rapida riproduzione degli inadatti ( unfits ), sommata al precipitoso declino delle nascite nelle razze migliori
. Ciò spiega come il Congresso USA abbia dibattuto, tra il 1875 e il 1924, una successione sterminata di
progetti sull'immigrazione, ognuno dei quali allargava ogni volta la sfera di inammissibilità. Viene spiegato
anche il ruolo svolto dal movimento eugenetico che, alla fine, riuscì a strappare l' Immigration Act nel 1917 e
il National Origins Act nel 1924 (che impose la quota del 2% della popolazione del 1890 per i nuovi
immigrati).
Il movimento eugenetico americano fu guidato da Charles Davenport (1866-1944), un biologo con dottorato
di ricerca conseguito a Harvard nel 1892, formatosi sugli scritti di due eugenetisti inglesi, Francis Galton
(1822-1911) e Karl Pearson (1857-1936), entrambi noti ai matematici per i loro contributi alla Statistica.
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Sulla scorta dei successi ottenuti e incoraggiato dal successo del fascismo in Italia e dal crescere del nazismo
in Germania, il movimento eugenetico americano mise in cantiere alcuni progetti maturati a lungo. Il più
ambizioso era quello di identificare ovunque e sottoporre a misure eugenetiche ogni individuo di razza mista
. L'approccio doveva seguire le linee elaborate negli USA, allora il solo Paese con anni di esperienza in atti
pubblici di sterilizzazione e altra legislazione eugenetica. L'identificazione era naturalmente il primo passo e,
già nel 1927, Davenport aveva proposto un rilevamento sistematico di popolazioni di razza mista in ogni
regione del mondo, che doveva coprire tutti gli Africani, gli Europei, gli Asiatici, i Messicani e coloro che in
qualche modo si erano mescolati nei secoli della colonizzazione. La ricerca aveva avuto inizio nel febbraio
del 1926 quando Davenport aveva conosciuto il ricco razzista Wickliffe Draper, che condivideva con lui la
preoccupazione per gli ibridi umani. Il progetto prevedeva di eseguire i rilievi mediante questionari, proprio
come si era fatto in varie contee degli Stati Uniti. Ora non si trattava più di coprire un solo Stato, ma ogni
regione popolata del mondo e c'era dunque bisogno di un piano esemplificativo. Il primo impulso di
Davenport fu di proporre il rilevamento a New York, ma corresse subito l'approccio riflettendo che individui
di razza mista si sarebbero individuati più facilmente nelle colonie. In una lettera a Draper del 23 febbraio
1926, gli propose allora la Giamaica “perché c'era una maggiore proporzione di mulatti”. Nel giro di tre
settimane Draper staccò un assegno di 10.000 dollari per un primo studio, di durata biennale, che censì 370
persone, scelte fra i detenuti del penitenziario di Kingston. Ma l'elemento di novità è rappresentato dal fatto
che il progetto Giamaica evidenziò il pionieristico uso di una tecnologia mai usata a tale scopo. Per la prima
volta, le informazioni personali e le caratteristiche eugenetiche furono inserite nelle schede perforate e
elaborate dalle macchine Hollerith dell' IBM . “L'eugenetica di massa – scrive Black – richiedeva sistemi
efficienti. E l' IBM li approntò”. Alla velocità di 25.000 schede all'ora, le macchine Hollerith – nelle cui
schede si poteva inserire una grande quantità di informazioni in virtù dei fori praticati strategicamente nelle
loro righe e colonne – esaminavano i fori, impilavano le schede, ordinavano i dati e li tabulavano.
Il progetto Giamaica sugli incroci razziali rappresentò la “prima volta” dell' IBM . Cinque anni dopo, sotto la
direzione del nuovo Presidente, Thomas J. Watson, l' IBM avrebbe adattato la stessa tecnologia per
automatizzare la guerra razziale e la persecuzione degli ebrei nel terzo Reich.
Entra in scena la Germania
Il coinvolgimento dell' IBM nella Germania nazista era cominciato l'anno stesso della presa del potere (1933)
quando l'azienda progettò ed eseguì il primo censimento hitleriano. Da questo momento, il coinvolgimento
dell' IBM divenne sempre più intenso. L'8 gennaio 1934, con un investimento di un milione di dollari, l' IBM
aprì una fabbrica a Berlino per costruire le macchine Hollerith e coordinare l'elaborazione dei dati.
All'inaugurazione, il dirigente della collegata tedesca, Willi Heidinger, illustrò con molto fervore cosa
avrebbe fatto la tecnologia tedesca per il destino biologico della Germania, dichiarando che la statistica della
popolazione era la chiave per sradicare i segmenti malati e inferiori della società tedesca.
Il medico esamina il corpo umano e determina se (...) tutti gli organi stanno funzionando a beneficio
dell'intero organismo. Noi dell'IBM somigliamo moltissimo ai medici, in quanto svisceriamo – cellula per
cellula – il corpo culturale tedesco. Noi riportiamo ogni caratteristica individuale (...) su una piccola scheda.
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Tali schede non sono cose morte, al contrario evidenziano la loro vitalità quando vengono riordinate alla
velocità di 25.000 all'ora secondo determinate caratteristiche. Queste caratteristiche sono raggruppate come
gli organi del nostro corpo culturale e saranno calcolate e determinate con l'aiuto delle nostre macchine
tabulatrici.
Noi siamo fieri di poter collaborare a tale compito, che fornirà al nostro Medico della nazione [Hitler] il
materiale di cui ha bisogno per i suoi esami. Il nostro Medico potrà quindi determinare se i valori calcolati
sono in armonia con la salute del nostro popolo e, se non fosse così, egli potrà prendere le misure necessarie
per correggere le circostanze malate.
La maggior parte del discorso, insieme alla lista dei funzionari del partito nazista che erano stati invitati, fu
immediatamente spedita a Manhattan e tradotta per Watson. Il Presidente dell' IBM telegrafò a Heidinger una
pronta nota di congratulazioni “per un lavoro ben fatto e sentimenti ben espressi!”.
Successivamente, un articolo dell'agosto 1934 dell' Hollerith Nahrichten , il bollettino dell' IBM tedesca
destinato ai clienti, enfatizzò i benefici che l'eugenetica poteva trarre dall'elaborazione automatica dei dati.
L'articolo, dal titolo Un'analisi approfondita delle interdipendenze statistiche attraverso il processo
Hollerith , illustrava come calcoli complessi di dati potessero essere anche usarsi per stime probabilistiche e
citava come primo esempio “il campo della medicina e la scienza della genetica e della razza”.
L'esperienza del progetto Giamaica e dei censimenti americani (che contenevano domande riguardanti il
colore, la razza e l'anno di immigrazione negli USA), rendeva sicura l' IBM tedesca di poter mantenere ciò
che prometteva. I tecnocrati della Dehomag , abbagliati dal turbinante mondo delle loro possibilità tecniche
(“tutto ciò si può fare deve essere fatto”) e dalle possibilità di enormi profitti che si potevano realizzare in un
periodo di grave crisi mondiale, ignorarono (“non chiedere, non sapere” era la parola d'ordine) i fini cui
dovevano servire i loro mezzi: identificare e distruggere gli ebrei.
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Per i nazisti, gli ebrei non erano tanto coloro che praticavano l'ebraismo ma quelli di sangue ebreo,
indipendentemente dalla loro assimilazione, dai matrimoni misti, dall'attività religiosa e persino dalla loro
eventuale conversione al cristianesimo. Si perdeva la caratteristica di cittadino del Reich per assumere quella
di suddito , se tutti e quattro i nonni o solo due erano ebrei. Solo dopo la loro identificazione potevano
dunque diventare oggetto della confisca dei beni, della ghettizzazione, della deportazione e infine dello
sterminio (la “ soluzione finale ”). La ricerca dei registri comunali, parrocchiali e governativi in tutta la
Germania – e poi in tutta l'Europa – era un compito di indicizzazione incrociata molto complesso, per la
quale i computer sarebbero stati uno strumento essenziale. Altrettanto complesso era il compito di avviare i
deportati ai campi di concentramento in maniera efficiente (cioè in modo che i tempi dei treni fossero
minuziosamente delineati e all'arrivo i deportati fossero smistati alle camere a gas o al lavoro schiavistico
con estrema precisione). Ma se i computer non esistevano ancora, esisteva tuttavia il loro precursore
immediato, il sistema Hollerith .
Come evidenzia il documentato libro di Edwin Black, L'IBM e l'olocausto. I rapporti fra il Terzo Reich e
una grande azienda americana (Milano, Rizzoli, 2001), l' IBM - soprattutto attraverso la Dehomag progettò, eseguì e fornì l'assistenza tecnologica necessaria al III Reich per portare a compimento
l'automazione della distruzione di massa. Lo stesso Watson intrattenne rapporti con Hitler, da cui venne
insignito nel 1937 della Croce al merito dell'aquila tedesca , la più alta onorificenza nazista concessa ad un
non tedesco. Nella sua veste di presidente della Camera di commercio statunitense, organizzò proprio nella
Berlino nazista il Congresso della Camera di commercio internazionale e cercò in ogni modo di orientare l'
establishment economico e politico statunitense in favore di quella Germania che l'opinione pubblica e i
vertici governativi cominciavano a isolare e boicottare. Più di 2000 apparati della Dehomag furono spediti in
tutta la Germania. Altre migliaia furono inviate nel resto dell'Europa nazificata, persino nei campi di
concentramento e nelle stazioni ferroviarie. La Dehomag e altre collegate IBM , con il placet del quartier
generale a Manhattan, progettarono su commissione i complessi dispositivi con le loro speciali applicazioni:
i suoi tecnici inviavano i modelli delle schede perforate agli ufficiali nazisti e questi le restituivano con le
richieste di modifiche, finché le colonne dei dati risultavano accettabili. L' IBM (che deteneva il monopolio
mondiale sulla progettazione, stampa e fornitura delle schede perforate) istruì gli ufficiali nazisti, aprì
succursali e uffici commerciali in vari Paesi nazificati e setacciò le cartiere per individuare quelle che fossero
in grado di produrre un miliardo e mezzo di schede all'anno. Assicurò inoltre la manutenzione delle
macchine, che venivano revisionate ogni mese, anche nel caso che fossero installate nei campi di
concentramento o nelle loro vicinanze.
L'escalation della Dehomag - e dietro ad essa dell' IBM - negli anni prebellici e nei primi anni di guerra è
impressionante. Dopo aver conquistato il mercato tedesco, la Dehomag segue l'esercito tedesco nei territori
di conquista, aprendo nuove filiali e organizzando censimenti in Austria e in Cecoslovacchia. In altri casi, l'
IBM anticipa le mosse della Wehrmacht istituendo nuove filiali e iniziando i censimenti in territori che
verranno occupati solo in seguito, in modo che i nuovi governi nazisti abbiano già - al loro stesso insediarsi tutti i dati per individuare, colpire e deportare gli ebrei della Polonia, Ucraina, Belgio, Olanda. La prova del
nove è costituita dal caso francese, in cui la concorrenza della Bull - ed il conseguente mancato monopolio
dell'IBM nel campo dei censimenti - avrà come effetto una minor efficiente organizzazione delle
deportazioni e un minor numero percentuale di ebrei sterminati. Si tratta - come si può vedere - di accuse
terribili, che tuttavia Black (nel volume citato) supporta con dati e documenti apparentemente inoppugnabili.
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Saranno i fori delle schede IBM a decretare chi verrà deportato, chi verrà mandato nei campi di lavoro e chi
in quelli di sterminio. La scheda personale accompagnerà il deportato sino alla sua ultima destinazione e sarà
proprio il numero della scheda IBM quello che verrà tatuato sulla pelle dei deportati. Ad esempio, 174517
era il numero, e quindi anche il nome , tatuato sul braccio sinistro di Primo Levi al suo arrivo a Auschwitz.
L'organizzazione stessa dei campi sarà effettuata mediante la medesima tecnologia (in molti lager c'era un
ufficio Dehomag ). Anche l'organizzazione dei trasporti sarà regolata tramite le schede IBM .
Quanto seppe, di tutto ciò, l' IBM di New York? Qualcosa certamente. Quando una legge americana rese
illegali i contatti diretti con la Dehomag e costrinse Watson a restituire l'onorificenza nazista, egli rimase
comunque uno strenuo difensore dell'affidabilità economica del partner tedesco e un suo sostenitore in
campo politico. Allo scoppio della guerra, Watson riesce tuttavia a superare il boicottaggio del periodo della
neutralità americana facendo gestire dalla filiale di Ginevra (in diretto contatto con la casa madre) gli affari
della filiale tedesca. Riesce anche a pilotare la gestione controllata della ditta da parte nazista, che viene
adottata al momento dell'entrata in guerra degli USA (come per tutte le ditte di paesi ostili). E Watson, grazie
ai suoi potenti appoggi nell'Amministrazione (era amico personale di Roosvelt) riesce anche a sfuggire a
un'inchiesta del Ministero del Commercio estero. Ce n'era abbastanza perché avvertisse l'urgenza di far
“dimenticare” questi inquietanti rapporti e preparare il trapasso.
Prescott Bush, detto “Gamby” il socio di Hitler
Tratto da “Hitler ha vinto la guerra”
Il padre di "Poppy” si chiamava Prescott Sheldon Bush. Come lo sarebbero stati a loro volta i suoi
discendenti, fu membro della Skull & Bones, società che gli permise di entrare in contatto con le famiglie
Harriman e Walker, formatesi anch’esse a Yale. L'unione con Dorothy Walker, figlia del ricco industriale
George Herbert Walker, non era destinata a generare solo molti figli, ma anche grandi affari tra il clan dei
Bush e quello dei Walker (sempre sotto l'ala protettrice degli Harriman e dei Rockefeller, naturalmente).
Il 20 ottobre 1942, dieci mesi dopo la dichiarazione di guerra al Giappone e alla Germania da parte degli
Stati Uniti, il presidente Roosevelt ordinò la confisca delle azioni della Union Banking Corporation (UBC)
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in quanto accusata di finanziare Hitler e di avere ceduto quote azionarie a importanti gerarchi nazisti.
Prescott Bush era allora azionista e direttore dell'UBC. Una questione del massimo interesse, considerato
che, dopo essere salito al potere nel 1933, Hitler aveva decretato l'abolizione del debito estero tedesco,
contratto in larga parte in seguito al Trattato di Versailles.
Ogni credito internazionale alla Germania nazista era pertanto interrotto. La famiglia Harriman e il suo socio
Prescott Bush si incaricarono di effettuare presso la borsa di Wall Street le operazioni necessarie affinché
tramite Franz Thyssen e Friedrich Flich - grande amico di Himmler e patrocinatore delle "camicie brune",
le SS e le truppe di assalto (SA) - Hitler potesse avere parziale accesso a crediti internazionali, senza i quali
non sarebbe mai riuscito a finanziare le importazioni richieste dalla sua industria bellica.
Il 28 ottobre 1942, Roosevelt ordinò la confisca delle azioni di due compagnie statunitensi che contribuivano
ad armare Hitler, la Holland American Trading Corporation e la Seamless Equipment Corporation,
entrambe amministrate dalla banca di proprietà della famiglia Harriman, di cui era allora direttore Bush. L’8
novembre 1942, mentre in Africa, vicino ad Algeri, si registravano sanguinosi scontri in cui migliaia di
soldati americani perdevano la vita, il presidente Roosevelt ordinò la confisca delle azioni della SilesianAmerican Corporation, gestita ormai da diversi anni da Prescott Bush e da suo suocero George Walker. Le
quattro confische ebbero luogo nel quadro del "Trading with the Enemy Act”, legge volta a punire chiunque
portasse avanti affari con il nemico.
La stretta collaborazione che legò Hitler al nonno e al bisnonno dell'attuale presidente George W Bush - e
dunque a due diversi rami della sua famiglia - si può far risalire a ben prima dell'ascesa del nazismo al
potere. Oltre che con Hitler la famiglia Harriman, Prescott Bush e George Walker avevano stabilito anche
legami con Mussolini. Tramite l'accordo con la German Steel essi fornivano a Hitler, tra le altre cose, il
50,8 per cento dell'acciaio da cui si ricavavano gli armamenti del Terzo Reich, il 45,5 per cento dei condotti
e delle tubature della Germania nazista e il 35 per cento del materiale esplosivo con cui Hitler avrebbe
sterminato molti dei suoi nemici.
Ogni membro dei Partito Nazionalsocialista (NSDAP) che ricoprisse una carica dì rilievo aveva diritto a un
viaggio gratuito concesso da un'altra delle compagnie dei Bush e dei Walker, la Hamburg-Amerika Line :
questa, che deteneva il monopolio degli affari tra gli Stati Uniti e la Germania di Hitler, gli aveva reso un
prezioso servizio nel 1932, anno in cui la Repubblica di Weimar, ormai al tramonto, aveva compiuto un
ultimo, disperato e vano tentativo di impedirne l'ascesa. Il governo di Weimar era sul punto di ordinare lo
smantellamento delle milizie private di Hitler, ma la Hamburg-Amerika Line si era incaricata di rendere
pubblica questa notizia, sostenendo in tal modo una vera e propria propaganda politica a favore di Hitler e
contro la Repubblica di Weimar.
Le sorprese non finiscono però qui: oltre al sostegno offerto ai nazisti, si profilano altre questioni
interessanti. Tanto per fare un esempio, per Hitler e Stalin sarebbe stato molto più complicato sostenere una
guerra aperta se la banda Harriman-Bush-Walker non avesse allo stesso tempo armato Hitler fino ai denti e
rifornito di carburante le truppe russe. Era dagli anni Venti che la famiglia Walker estraeva petrolio da Baku
(Azerbaigian) per poi rivenderlo all'Armata Rossa.
Il lettore non dovrebbe stupirsi troppo di fronte a queste notizie. Prima che scoppiasse la Seconda Guerra
Mondiale, e ancora durante il conflitto, una joint venture legava la Standard 0il, di proprietà della famiglia
Rockefeller, alla I.G. Farben, un'imponente industria chimica tedesca. Molti degli stabilimenti comuni alla
Standard Oil e alla I.G. Farben situati nelle immediate vicinanze dei campi di concentramento nazisti - tra cui
Auschwitz, per esempio - sfruttavano il lavoro dei prigionieri per produrre un’ampia gamma di prodotti
chimici, tra cui il Cyclon-B, gas letale molto diffuso nei lager per sterminare le stesse persone che erano
costrette a produrlo. E nonostante il bombardamento sistematico con cui rasero al suolo moltissime città
tedesche durante la guerra, le truppe statunitensi agirono sempre con estrema cautela quando si trattava di
colpire zone in prossimità di questi stabilimenti chimici. Nel 1945 la Germania era sotto un cumulo di
macerie, ma gli stabilimenti erano tutti intatti.
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Al lettore risulterà ora forse un po' più chiaro perché la gente faccia così fatica a rievocare il passato e
soprattutto perché la "storia ufficiale" sia così lontana dalla verità. E un po' più chiaro risulterà anche cosa ha
portato i Bush a essere quello che sono oggi. Nulla di tutto ciò viene minimamente menzionato nella
biografia riportata sul sito ufficiale del Congresso americano, luogo in cui alla fine degli anni Sessanta
Prescott (“Gampy”) Bush occupò il suo scanno come senatore in rappresentanza dello stato del Connecticut.
E non ne parla neppure la sua biografia "ufficiale" firmata da Mickey Herskowitz, “Duty, Honor Country.
The Life and Legacy of Prescott Bush”, uscita più o meno nello stesso periodo in cui aveva luogo l'invasione
americana in Iraq: anche qui i fatti vengono rivisitati e "riciclati" sotto altra forma. Quello che invece si può
vedere sono le commoventi immagini di bambini che vendono aranciata per tre centesimi al bicchiere con in
mano un cartello riportante la scritta "HELP SEND 'GAMPY' TO WASHINGTON" a sostegno della sua
campagna elettorale.
Se tutte le informazioni che abbiamo fornito sul nonno e sul bisnonno di Bush meritano certamente un'attenta
riflessione, non va però dimenticato che l'intero paesaggio culturale e sociale degli Stati Uniti prima della
seconda guerra mondiale era molto diverso da quello che la stampa vorrebbe farci credere oggi. Basterà
citare alcuni esempi:
a) Quando fu eletto vicepresidente nel 1980, George Bush senior incaricò un personaggio misterioso, tale
William Farish III, di amministrare e gestire tutti i suoi beni. Il sodalizio tra i Bush e i Farish si colloca
molto indietro nel tempo, addirittura prima dello scoppio della seconda guerra mondiale: William Farish
dirigeva negli Stati Uniti il cartello formato dalla Standard Oil of New Jersey (l'attuale Exxon) e la I.G.
Farben di Hítler. Fu precisamente questo consorzio a determinare l'apertura del campo di concentramento di
Auschwitz nel 1940 allo scopo di produrre gomma sintetica e nafta dal carbone. All'epoca, quando questa
notizia cominciò a diffondersi agli organi di stampa, il Congresso statunitense apri un’inchiesta. Se si fosse
davvero spinta fino alle ultime conseguenze, avrebbe irrimediabilmente compromesso il clan Rockefeller.
Ma non avvenne nulla di tutto ciò: ci si limitò a silurare il direttore esecutivo della Standard Oil, William
Farish I.
b) Anche la Shell Oil - la cui quota di maggioranza è in mano alla Corona britannica - contribuì all'ascesa al
potere di Hitler grazie agli accordi siglati dal suo potentissimo amministratore delegato, Deterding, con il
governatore della Banca d'Inghilterra, Montagu Norman.
c) Fra il 21 e il 23 agosto 1932, presso il Museo Americano di Storia Naturale di New York si tenne il Terzo
Congresso Mondiale di Eugenetica ("eugenetica" è un termine utilizzato per designare in modo più blando il
concetto di "igiene razziale"). Nonostante le forti proteste della comunità afroamericana, esso riuscì a
svolgersi senza particolari intoppi. A finanziare l'evento furono alcuni membri della famiglia Harriman, i
quali dal 1910 effettuavano cospicue donazioni destinate a creare un comitato scientifico per lo studio delle
razze e ad aprire una succursale americana del Dipartimento di Informazione Eugenetica, che aveva sede a
Londra. George Herbert Walker Bush, detto "Bert", bisnonno di George W. Bush, accompagnava spesso gli
Harriman alle corse dei cavalli, durante le quali, insieme ad altri membri delle famiglie Bush e Farish, si
discuteva degli incroci genetici a cui sottoporre sia i cavalli che gli esseri umani.
d) In occasione di quel congresso, W. Averell Harriman si occupò personalmente di far arrivare a New
York i maggiori ideologi del nazismo, prendendo accordi con la Hamburg-Amerika Line , di proprietà dei
Walker e dei Bush. Tra quegli "scienziati" vi era anche il principale fautore delle teorie razziste durante il
regime di Hitler, lo psichiatra Ernst Rüdin, che conduceva a Berlino studi sulle razze finanziati dalla
famiglia Rockefeller. Per riuscire a farci un'idea dei trascorsi di quest'uomo, basterà ricordare il titolo del suo
intervento durante un convegno tenutosi a Monaco nel 1928: Aberrazioni mentali e igiene razziale. Rüdin
aveva inoltre guidato la delegazione tedesca al congresso di igiene mentale tenutosi a Washington DC nel
1930.
e) Questo movimento di chiara tendenza razzista, diffuso sia in Germania sia in seno all'élite
anglostatunitense, si fondava su tre punti fondamentali: la sterilizzazione di persone affette da disagi psichici
(mediante la formazione di centri di igiene mentale), la soppressione di disabili mentali, criminali e malati
terminali (centri per l'eutanasia) e la purificazione della razza attraverso il controllo e la prevenzione di
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nuove nascite tra le razze inferiori (centri per il controllo delle nascite). Come si può vedere, Hitler non era
solo nella sua lotta per difendere la razza pura. Oltre a lui c'erano anche alcuni fra i clan più potenti del
mondo.
f) A Heinrich Himmler, capo supremo delle SS, venivano versati ingenti fondi su un conto segreto della
Standard Oil gestito dal banchiere angloamericano Kurt von Schroeder. I finanziamenti in questione non
sarebbero cessati fino al 1944 inoltrato, coincidendo dunque con il periodo in cui le SS erano incaricate di
sovrintendere agli stermini di massa ad Auschwitz (luogo in cui si trovava lo stabilimento industriale della
joint venture Standard Oil - I.G. Farben) e in altri campi di concentramento. A guerra finita, gli alleati
responsabili delle inchieste vennero a sapere che quei finanziamenti provenivano da fondi corporativi della
Standard 0il. Lo scandalo che ne segui determinò la caduta di Farish I, ma John D. Rockefeller ne usci
immacolato. L’amicizia e il sodalizio tra i due clan sarebbero poi continuati nel corso delle generazioni
successive, come dimostra la fiducia riposta da Bush senior in William Farish III.
g) Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il movimento eugenetico riprese vita negli Stati Uniti, più
precisamente nel North Carolina: sfruttando importanti contatti con la Corona britannica, la famiglia Gray,
principale azionista della RJ. Reynolds Tobacco, fondò una scuola di medicina a Winston-Salem. Sarebbe
stato lì che il dottor Clarence Gamble, erede dei Procter & Gamble, avrebbe condotto un esperimento tra il
1946 e il 1947. Un’esperimento consisteva nel sottoporre i bambini che frequentavano le scuole di WinstonSalem a un test per misurarne il quoziente intellettivo: quelli che non raggiunsero il livello minimo decretato
dai parametri del test furono sottoposti a un intervento chirurgico di sterilizzazione.
h) Nel 1950 e nel 1951, John Foster Dulles (fratello del già citato Allen Dulles), all'epoca direttore della
Fondazione Rockefeller, accompagnò John D. Rockefeller in alcuni viaggi attorno al mondo con il preciso
scopo di arrestare l'espansione delle popolazioni non bianche. Nel novembre del 1952 Dulles e Rockefeller
fondarono il Population Council, sovvenzionato dalla famiglia Rockefeller per decine di milioni dì dollari.
Fu allora che l'American Eugenic Society, in seguito al polverone sollevato dal "caso Hitler”, decise di
abbandonare in sordina la propria sede all'Università di Yale per trasferirsi in quella del Population Councìl.
Nello stesso periodo vedeva la luce a Londra, presso gli uffici della British Eugenic Society, la Federazione
Internazionale per la Pianificazione delle Nascite.
(…)
MKULTRA: ieri ed oggi
Il 2004 ha visto l’uscita nelle sale cinematografiche di “The Manchurian Candidate”, il remake del film
interpretato da Frank Sinatra nel 1962. Basato sull’omonimo romanzo scritto nel 1959 da Richard Condon,
narra di un soldato americano catturato in Corea dai comunisti e sottoposto al lavaggio del cervello che lo
riduce allo stato di uno zombi-killer pronto ad uccidere il principale candidato alle presidenziali americane.
L’anno dopo, a seguito dell’assassinio del presidente americano J. F. Kennedy a Dallas, il film venne ritirato
dalle sale cinematografiche dallo stesso Sinatra.
La spaventosa realtà descritta nel libro (e nel film) riaffiorò con l’assassinio di Bobby Kennedy, nel 1968
mentre si apprestava anch'egli a vincere le presidenziali americane, diventando improvvisamente chiara negli
anni ‘70, quando vennero resi pubblici alcuni documenti sul programma MKULTRA della CIA, sfuggiti per
errore alla loro distruzione totale ordinata nel 1973 dall’allora direttore della CIA Richard Helms. I
documenti testimoniavano che il programma MKULTRA:
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«…riguardava la ricerca e lo sviluppo di materiale chimico, biologico e radiologico da potersi utilizzare in
operazioni clandestine per controllare il comportamento umano […] furono tracciate ulteriori strade per il
controllo del comportamento umano, da investigarsi sotto l’ombrello protettivo dell’MKULTRA, incluso
radiazioni, elettroshock, vari campi della psicologia, sociologia e antropologia, grafologia, sostanze
molestanti, materiali e dispositivi paramilitari.»
Il programma includeva l’uso di esseri umani ignari per la sperimentazione di LSD (dietilamide dell’acido
lisergico), lavaggio del cervello e tecniche di interrogazione. Ufficialmente MKULTRA fu creato per
ricercare il modo di controllare la mente umana allo scopo di contrastare le presunte attività di
manipolazione mentale (lavaggio del cervello) attribuite ai regimi comunisti, in particolar modo di Corea,
Cina e Unione Sovietica.
Nel 1953, a seguito di tali dicerie, il direttore della CIA, Allen Dulles (che diresse la CIA fino al 1961),
autorizzò il programma MKULTRA finanziando diversi progetti intesi a realizzare il controllo mentale degli
esseri umani tramite l’uso di ipnosi, droghe psicotrope, elettroshock, lobotomie, suggestioni subliminali
indotte, nonché combinazioni varie di queste tecniche tra loro.
Nonostante la prova di attività illecite e flagranti violazioni alla Costituzione Americana e alla carta dei
Diritti dell’Uomo, nonostante le prove e le confessioni di uso indiscriminato di LSD su soggetti ignari, la
Commissione Senatoriale, istituita nel 1975 dal presidente Gerald Ford, non portò a decisioni significative e
ben poco mutò all’interno della CIA. La Commissione era presieduta dal vice-presidente americano Nelson
Rockefeller, il che dette origine al diffuso punto di vista sarcastico che “la volpe era stata nominata a
guardia dell’ovile”. Rockefeller… un nome da tenere a mente!
Ma partiamo dall’inizio per capire come si sia potuta realizzare, solo qualche anno fa, tanta aberrazione nel
nome della democrazia, della pace e del benessere del genere umano, e chi l’abbia potuta realizzare.
Seguiremo un percorso abbastanza lungo e poco “divertente”, ma che reputiamo necessario per capire a
fondo i meccanismi che hanno portato a MKULTRA, quali pericoli si possono celare nel futuro dell’umanità
e, possibilmente, come porvi rimedio. Il primo e più importante dei rimedi è la conoscenza della verità! Si
presti particolare attenzione al ripetersi di certi nomi e di certe sigle, poiché sono loro, un pugno di criminali
che, nel nome della scienza e invocando propositi umanitari, cercano di controllare e dominare il resto di noi.
Nel 1860 John D. Rockefeller iniziò l’attività petrolifera usando capitali britannici, nacque così la Standard
Oil Co., oggi denominata Mobil. In seguito nacque la Rockefeller Foundation, più o meno
contemporaneamente alla nascita della Federal Reserve (di ispirazione britannica), dell’IRS (Internal
Revenue Service, l’ufficio delle imposte americano) e dell’FBI (Federal Bureau of Investigation). Anni dopo
William Rockefeller, fratello di John D., fondò la National City Bank (l’attuale Citibank con filiali un po’
ovunque, Italia inclusa). Nel 1911 William ingaggiò in forma privata l’alto ufficiale dei servizi segreti
britannici Claude Dansey. Poiché gli Stati Uniti si stavano preparando a partecipare alla Prima Guerra
Mondiale al fianco dell’ex nemico, la Gran Bretagna, Dansey in persona riorganizzò i servizi segreti
dell’esercito statunitense facendone un distaccamento dei servizi segreti britannici. Il discepolo americano di
Dansey, generale Marlborough Churchill, un lontano parente di Winston Churchill, fu nominato direttore
dei servizi segreti dell’esercito USA. Alla fine della guerra Churchill diresse la Black Chamber, un gruppo
di spionaggio con sede a New York, che offriva i propri servigi al Dipartimento di Stato, all’esercito USA e
ai finanzieri privati leali alla Gran Bretagna.
Negli anni ’20 la Rockefeller Foundation finanziò i progetti tedeschi di genetica psichiatrica, vale a dire i
progetti criminali denominati purificazione della razza, igiene razziale o miglioramento della razza,
sviluppati inizialmente nei laboratori londinesi della Galton e nelle sue derivate Società di Eugenetica in
Inghilterra e in America. A Monaco, l’Istituto Kraeplin fu ribatezzato Istituto di Psichiatria Kaiser
Wilhelm e da allora fu finanziato con i fondi della Rockefeller Foundation e diretto da uomini della
Fondazione. Fu anche creato l’Istituto di Antropologia, Eugenetica ed Ereditarietà Umana Kaiser
Wilhelm. A capo di entrambi gli istituti fu posto lo psichiatra filo-nazista svizzero Ernst Rudin.
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Inizialmente ci fu un finanziamento di 11 milioni di marchi effettuato da Gustav Krupp von Bohlen und
Halbach (rappresentante della famiglia Krupp che faceva affari nel campo dell’acciaio e delle armi) e da
James Loeb, un americano proveniente dalla famiglia di banchieri Kuhn-Loeb, che continuò a finanziare
l’istituto anche in seguito, coinvolgendo i suoi amici ebrei americani. Da notare che James Loeb era cognato
di Paul Warburg e che i Warburg erano proprietari della Kuhn-Loeb Bank ed erano partner in affari con
William Rockefeller. Alla lista dei finanziatori si aggiunse la famiglia Harriman, la quale usava per i propri
affari i fondi messi a disposizione da Sir Ernst Cassel, il banchiere personale della famiglia reale britannica.
Nel 1925 la Rockefeller Foundation stanziò a favore dell’Istituto Psichiatrico di Monaco la somma iniziale di
2,5 milioni di dollari, nel 1928 stanziò altri 325.000 dollari per la costruzione di un nuovo edificio e continuò
a finanziare l’istituto e il suo direttore Rudin. Negli anni 1930-35 pagò per un’indagine antropologica
riguardante la popolazione mondiale in termini eugenetici, condotta dagli eugenetisti nazisti tra cui Rudin,
Verschuer, Eugen Fischer.
All’inizio degli anni ’30 gli esperti in psicologia e purificazione razziale della famiglia Rockefeller crearono
la Josiah Macy Foundation, un’organizzazione per la ricerca medica che “lavorava” sia per conto dei
Rockefellers che dei servizi segreti Britannici, a dirigere la quale fu chiamato il generale Marlborough
Churchill, già capo dei servizi segreti dell’esercito americano.
Nel 1932 il movimento di eugenetica, ispirato da esponenti britannici, dette vita alla Federazione Mondiale
di Eugenetica nominando alla carica di presidente il dottor Ernst Rudin, dell’Istituto Psichiatrico di Monaco.
Il movimento, al tempo, si proponeva l’uccisione o la sterilizzazione degli individui che, per motivi ereditari,
potevano essere un pesante fardello sociale o una minaccia nazionale (come nel caso degli ebrei in
Germania).
Il 1933 vide l’ascesa al potere di Adolf Hitler. Il Governatore della Banca d’Inghilterra, Montagu Norman,
s’incaricò di dar corso alle strategie dei fans di Hitler, le famiglie Rockefeller, Warburg e Harriman,
finanziando gli armamenti della Germania nazista. Pochi mesi dopo la propria nascita, la Federazione
Mondiale di Eugenetica divenne una sezione dello stato nazista e Rudin fu nominato a capo della Società di
Igiene Razziale e, in qualità di facente parte della squadra di “Esperti in Ereditarietà” capeggiati dal gerarca
delle SS Heinrich Himmler, redasse la legge sulla sterilizzazione che, descritta come una legge modello
americana, fu adottata nel luglio 1933 e orgogliosamente stampata nel settembre dello stesso anno con la
firma di Hitler (Eugenetical News – USA). Il gruppo Rockefeller redasse altre leggi razziali basate, come lo
fu la legge sulla sterilizzazione, sullo statuto vigente nel Commowealth della Virginia. Otmar Verschuer e il
suo assistente dottor Josef Mengele scrissero i rapporti utilizzati dalle corti speciali per imporre le leggi sulla
purezza razziale di Rudin.
Nel 1934 la Massoneria del Rito Scozzese (l’ala americana della Massoneria britannica, antagonista alla
Massoneria del Gran Oriente praticata in Italia con la quale non è da confondere, n.d.r.) affiancò i
Rockefeller nel finanziamento delle ricerche di eugenetica psichiatrica. Il Rito Scozzese (che durante la
Guerra di Secessione sostenne gli Stati del Sud contro il Nord di Abraham Lincoln), fautore di progetti per la
supremazia razziale dei bianchi quali il famigerato Ku Klux Klan, riconosceva come capo assoluto il Gran
Maestro della Gran Loggia Madre dei Massoni nel Mondo, che era anche il Gran Maestro della Gran
Loggia Unita d’Inghilterra, il Duca di Connaught, figlio della regina Vittoria e fratello di Re Enrico VII.
Suo padre era il principe tedesco Albert Coburg e grazie a lui il Duca di Connaught coltivò simpatie filotedesche che lo portarono ad accogliere come membro della famiglia Connaught un giovane turista tedesco,
Joachim von Ribbentrop. Lo stesso che in età adulta diventò ambasciatore tedesco nel Regno Unito e
lavorò in perfetta sintonia di vedute con il Duca di Connaught e con suo nipote Edoardo VIII,
dichiaratamente filo-nazista, oltre che con il Governatore della Banca d’Inghilterra Montagu Norman.
Lo psichiatra genetista tedesco Franz J. Kallmann, che lavorò sotto il protettorato di Ernst Rudin alla
Rockefeller Foundation in Germania studiando la degenerazione ereditaria, dichiarò al Congresso sulla
Scienza della Popolazione, tenutosi a Berlino nel 1935, che per debellare la schizofrenia bisognava
sterilizzare sia i malati che i loro parenti “apparentemente” sani, in modo da eliminare il rischio di
propagazione ereditario. Poiché Kallmann risultò essere un “mezzo-ebreo”, nel 1936 fu forzato ad emigrare
negli Stati Uniti, dove continuò le proprie ricerche presso l’Istituto di Psichiatria dello Stato di New York di
cui divenne direttore della ricerca. A dirigere l’Istituto c’era il dottor Nolan D.C. Lewis, referente del Rito
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Scozzese per quanto riguardava la ricerca sulla schizofrenia. Il Rito finanziò Kallmann per condurre uno
studio su oltre 1000 casi di schizofrenia al fine di dichiarare l’ereditarietà dei disordini mentali. Lo studio di
Kallmann fu pubblicato simultaneamente nel 1938 sia negli Stati Uniti che in Germania e fu usato da
quest’ultima come pretesto per iniziare, nel 1939, l’uccisione dei malati affetti da disturbi mentali e da varie
altre “deficenze”, procurando la morte ad oltre 200.000 persone nelle camere a gas o tramite iniezioni letali.
Nella prefazione del suo lavoro Kallmann ringraziò il Rito Scozzese e il suo mentore Ernst Rudin.
La Germania nazista aveva bisogno di carburante per portare avanti le proprie campagne belliche. Il colosso
chimico IG Farben, guidato dalla famiglia Warburg, in fusione-simbiosi con la Standard Oil dei Rockefeller,
si mise a produrre gasolio utilizzando il carbone. Per realizzare il progetto la IG Farben-Standard Oil costruì
nel 1940-41 una gigantesca struttura ad Auschwitz, in Polonia, dove i nazisti concentravano ebrei e altri
soggetti deportati da utilizzare come manovalanza gratuita per i lavori di trasformazione del carbone in
gasolio, mentre quelli non idonei ai lavori venivano avviati alle camere a gas e ai forni crematori (a sua
difesa, la Rockefeller Foundation sostiene di essersi limitata a finanziare i programmi Nazisti di ricerca
psichiatrica. Sic!).
Nel 1943 fu nominato dirigente medico di Auschwitz l’assistente di Otmar Verschuer, il dottor Josef
Mengele. In qualità di direttore pro-tempore dell’Istituto rockefelliano di Antropologia, Eugenetica ed
Ereditarietà Umana Kaiser Wilhelm di Berlino, Verschuer si assicurò che il Consiglio per la Ricerca Tedesco
inviasse a Mengele i fondi necessari per gli esperimenti sui prigionieri, con particolare riguardo ai gemelli, il
campo di ricerca favorito da Mengele. Sotto la sua guida e la supervisione di Verschuer, al quale venivano
inviati giornalmente campioni di sangue per le sue ricerche sulle proteine, furono compiuti scempi orribili
nel nome della scienza. Donne sterilizzate, uomini castrati, organi asportati senza anestesia e inviati ai
laboratori del gruppo Rockefeller dell’Istituto Kaiser Wilhelm, affinché Verschuer potesse fare i suoi
esperimenti. [È interessante notare che, mentre Mengele fu attivamente ricercato per i suoi crimini e viene
universalmente dipinto senza mezzi termini per il mostro che era, nessuno si interessò a Verschuer il quale,
in virtù della suo alto rango nell’establishment rockefelliano, nel 1947 ottenne di poter continuare la propria
“ricerca scientifica” sotto l’egida dell’Ufficio per l’Ereditarietà Umana, che proprio in quell’anno si trasferì
da Londra a Copenhagen. Nel 1956, nella sede dell’Ufficio per l’Ereditarietà Umana costruita a Copenhagen
con i soldi dei Rockefeller, fu tenuto il primo Congresso post-bellico sulla Genetica Umana. Nel frattempo
una vecchia conoscenza, il dottor Kallman, diventato un dirigente della Società Americana di Eugenetica,
testimoniò a favore della de-nazificazione del Verschuer. In seguito Kallmann e Verschuer, con altri
autorevoli nazisti, crearono la Società Americana di Genetica Umana, la stessa che in seguito dette vita al
Progetto Genoma Umano.]
Mentre il conflitto divampava, la Rockefeller Foundation e l’esercito del Canada misero insieme i propri
esperti psichiatrici. Facile da realizzare, poiché il comandante medico dell’Esercito Canadese, lo psichiatra
Brock Chisholm, fu addestrato nella Clinica Psichiatrica Tavistock di Londra, una dei maggiori
beneficiari della Rockefeller Foundation. Nel 1943 la Fondazione creò l’Allen Memorial Institute presso
l’Università McGill di Montreal e a dirigere il reparto psichiatrico dell’istituto fu chiamato lo psichiatragenetista scozzese, immigrato negli USA, dottor Donald Ewen Cameron, un nome che diventerà famoso
nell’ambito dell’MKULTRA. Sotto gli auspici e la protezione dell’esercito canadese, della Rockefeller
Foundation e della CIA, l’Istituto Allen fu teatro di interrogatori coercitivi sperimentali ad opera di Cameron,
che prevedevano l’uso “terminale” dell’elettroshock come metodo di tortura tramite la bruciatura del cervello
causata dalle scariche elettriche, la psicochirurgia (lobotomia) e il lavaggio del cervello tramite
somministrazione di droghe, farmaci e ipnosi. Nel frattempo nell’Ospedale Psichiatrico St. Elizabeth di
Washington, D.C., (dove vengono ricoverati gli attentatori dei presidenti) iniziò a circolare la marijuana. Il
dirigente psichiatrico dell’ospedale, e militante nel Rito Scozzese, dottor Winfred Overholser, nel 1943
capeggiò la commissione “siero della verità” dell’Ufficio dei Servizi Strategici (OSS). Con il pretesto
ufficiale di voler combattere il fascismo, Overholser e il suo staff somministrarono mescalina a vari soggetti
cavia e, nella primavera del ’43, giunsero alla giusta miscela di marijuana e tabacco in grado di creare nel
soggetto uno “stato di irresponsabilità” tale da “sciogliergli la lingua” e obbligarlo a raccontare la verità.
Forti di questa “bella scusa” e con la complicità di agenti del controspionaggio e dell’FBI diretta da J. Edgar
Hoover, un altro esponente del Rito Scozzese, Overholser e i suoi somministrarono marijuana ai soldati in
tutte le basi americane per aiutare la ricerca di soggetti sovversivi. In seguito, negli anni ’50 e ’60, gli
strateghi dell’MKULTRA utilizzarono gli stessi canali per trasformare in drogati un’intera generazione di
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giovani.
Nel 1944 Montagu Norman, rassegnò le dimissioni da Governatore della Banca d’Inghilterra e iniziò
immediatamente un nuovo progetto ironicamente legato ai suoi ripetuti esaurimenti e conseguenti ricoveri:
organizzò nella propria abitazione londinese l'Associazione Nazionale per la Salute Mentale britannica
(National Association for Mental Health, NAMH). L’assistente di Norman presso la Banca d’Inghilterra,
Otto Niemeyer, divenne il tesoriere dell’Associazione, mentre sua nipote Mary Appleby, che aveva lavorato
nella sezione tedesca del Ministero degli Esteri Britannico, fu nominata segretario generale. Presidente
dell’Associazione fu Richard Austen Butler, che era stato il vice di Lord Halifax al Ministero degli Esteri e
portavoce nel Parlamento Inglese della politica a favore del nazismo. La direzione dell’Associazione toccò al
genero di Lord Halifax, mentre la vice-direzione andò alla moglie di Norman, Priscilla Reyntiens
Worsthorne Norman, un’attivista dell’eugenetica. Ben presto l’influente gruppo di Norman si espanse ed
assunse il controllo della professione psichiatrica mondiale.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale il dottor Donald Ewen Cameron fu chiamato ad aiutare l’unità di
guerra psicologica della corona inglese Tavistock nella valutazione della sanità mentale di Rudolph Hess.
Ciò valse a Cameron la nomina di esperto nei processi per crimini di guerra di Norimberga. Sembra che il
suo vecchio collega all’OSS (Ufficio dei Servizi Strategici dell’Esercito Americano), Allen Dulles, futuro
direttore della CIA e fautore dell’MKULTRA, si dichiarò compiaciuto del suggerimento di Cameron di
trattare ogni sopravissuto tedesco di età superiore ai 12 anni con l’elettroshock, in modo da eliminare le
restanti vestigia del nazismo.
Nel 1948 l’Associazione Nazionale per la Salute Mentale di Norman radunò i leader mondiali della
psichiatria e della psicologia in un Congresso Internazionale sulla Salute Mentale che si tenne a Londra,
presso il Ministero della Sanità del Regno Unito. Durante il congresso fu creata la Federazione Mondiale
per la Salute Mentale (World Federation of Menthal Health, tutt’ora in vigore e responsabile della
pubblicazione del controverso DSM, il Manuale Diagnostico Statistico delle cosiddette malattie mentali). La
signora Norman fu nominata nel consiglio esecutivo, mentre la presidenza della neonata WFMH toccò al
comandante del dipartimento di guerra psicologica dell’esercito inglese e dirigente dell’Istituto Tavistock, il
Generale di Brigata dottor John Rawling Rees. Dall’altra parte dell’oceano, a New York, Clarence G.
Michalis, un uomo di Montagu Norman, fu chiamato a dirigere il Consiglio di Amministrazione della Josiah
Macy Foundation, la quale iniziò a pagare per le attività della Federazione Mondiale per la Salute Mentale e
dell’Istituto Tavistock negli Stati Uniti: cioè fornire sostanze stupefacenti e sovvertire gli ideali occidentali.
Il dirigente medico della Josiah Macy Foundation, dottor Frank Fremont-Smith, fu anche co-direttore
permanente con Rees della Federazione Mondiale per la Salute Mentale. La coordinatrice della delegazione
statunitense al Congresso, Nina Ridenour, più tardi scrisse nel suo libro “Mental Health in the United States:
A Fifty Years History” che la Federazione Mondiale per la Salute Mentale fu creata su consiglio
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’UNESCO, entrambe organizzazioni delle Nazioni
Unite, poiché c’era la necesità di avere un’ente con cui “co-operare” nel campo della salute mentale che
fosse non-governativo (ONG), così da eludere qualsivoglia legge e costituzione. Il primo direttore
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità fu lo psichiatra canadese Brock Chisholm, cioè colui che creò
l’Allen Memorial Institute presso l’Università McGill di Montreal con l’aiuto della Rockefeller Foundation.
L’UNESCO invece fu fondata dal suo primo segretario generale, lo stratega dell’eugenetica e biologo Julian
Huxley, nipote del primo editore di Darwin, amico di Rees e fratello dello scrittore e cantore delle droghe
sintetiche Aldous Huxley. È interessante notare quali personaggi siano stati nominati a fungere da vicepresidenti della Federazione Mondiale per la Salute Mentale: Cyril Burt, uno psichiatra dell’Istituto
Tavistock e attivista eugenetico, noto per le sue “ricerche” sui gemelli; Hugh Chrichton-Miller, fondatore
della Clinica Tavistock nonché vice-presidente dell’Istituto Carl G. Jung di Zurigo e dell’Associazione
Nazionale per la Salute Mentale britannica; Dame Evelyn Fox, leader del movimento eugenetico e guida di
Lady Norman; lo psichiatra genetista Sir David Henderson, operante a Londra, Monaco e New York,
insegnante di Donald Ewen Cameron e autore di Psichiatria e Miglioramento della Razza; Lord Thomas
Jeeves Horder, presidente della Società di Eugenetica della Gran Bretagna, presidente dell’Associazione per
la Pianificazione Familiare, presidente dell’associazione per le Relazioni Pubbliche Anglo-Sovietiche; Carl
Gustav Jung, psichiatra curante di Montagu Norman, Paul Mellon e di Allen Dulles, rappresentante della
psichiatria tedesca sotto i Nazisti e co-editore del nazista Journal of Psychotherapy; Winfred Overholser, a
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capo della delegazione americana al Congresso, rappresentante del Rito Scozzese, dirigente dell’Ospedale
Psichiatrico St. Elizabeth di Washington, colui che somministrò marijuana ai soldati americani. Il primo
oratore del Congresso fu Margaret Mead che sarebbe diventata presidente della Federazione Mondiale per
la Salute Mentale nel 1956-57, in piena attività criminosa dell’MKULTRA.
MKULTRA
L’MKULTRA, programma post-bellico anglo-americano per il controllo mentale, ebbe in Donald Ewen
Cameron il suo personaggio più famoso. Addestratosi all’Ospedale Mentale Reale di Glawgow sotto la guida
di Sir David Henderson, Cameron fondò la branchia canadese della Federazione Mondiale per la Salute
Mentale presieduta dal suo amico Rees. Inoltre diventò presidente dell’Associazione Psichiatrica
Canadese, dell’Associazione Psichiatrica Americana (APA) e dell’Associazione Psichiatrica Mondiale.
Giunse improvvisamente alla notorietà quando alcuni sopravvissuti ai suoi esperimenti denunciarono la CIA,
che era la finanziatrice delle attività di Cameron, la quale pagò cifre milionarie in transazioni extragiudiziarie pur di far tacere i denuncianti, contando anche sul fatto che i sopravvissuti agli esperimenti di
Cameron erano oggettivamente pochi, essendo la maggior parte deceduta a causa degli esperimenti stessi. A
seguito delle indagini compiute sia dalla Commissione Senatoriale istituita nel 1975 dal presidente Gerald
Ford che da reporter indipendenti, si scoprì che Cameron somministrava alle sue vittime droghe e farmaci
per farle dormire per settimane intere, svegliandole giornalmente solo per sottoporle a scariche di
elettroshock al cervello. Per fare ciò utilizzava il metodo di Page-Russel che consisteva nell’immobilizzare il
paziente e somministrargli una scarica iniziale di un secondo, quindi da cinque a nove scariche ulteriori.
Cameron, però, aumentò il voltaggio previsto e portò la batteria di scariche da una a due e perfino tre volte al
giorno. I malcapitati pazienti persero la memoria, chi parzialmente chi in modo totale, alcuni persero anche
la capacità di controllare le funzioni corporee e, in certi casi, la capacità di parlare. Fu accertato che almeno
una paziente fu ridotta quasi allo stato vegetale, quindi Cameron le asportò chirurgicamente i centri cognitivi
del cervello riuscendo a mantenerla in vita.
Il dottor Cameron fece anche esperimenti con il curaro, il veleno che uccide simulando un attacco cardiaco.
Egli, però, sostenne di averlo sempre usato in dosi non letali al solo scopo di immobilizzare ulteriormente i
suoi pazienti mentre venivano sottoposti alla privazione sensoriale (cura del sonno) per periodi che
arrivavano fino a 65 giorni. (Tutt’oggi l’elettroshock viene chiamato “terapia al curaro” poiché
l’irrigidimento dei muscoli causato dal curaro evita che i pazienti si spezzino i denti o si taglino la lingua
durante la somministrazione delle scariche elettriche.)
Quindi ai pazienti così trattati veniva somministrato l’LSD al fine di ottenere delle allucinazioni
“programmabili”. Una volta che i soggetti erano considerati “pronti”, iniziava la “Guida Psichica”: mediante
un auricolare posto sotto il cuscino oppure con delle cuffie inamovibili, veniva riprodotto in continuazione
un nastro per imprimere determinate frasi nella memoria residua delle vittime. Si scoprì che la CIA finanziò
questi orrori tramite la Società per gli Studi di Ecologia Umana (Society for the Study of Human Ecology),
la quale, al solo scopo di meglio accreditarsi come vera e legittima organizzazione accademica, finanziò
anche uno studio sulla circoncisione di bambini turchi, compresi tra i cinque e i sette anni e residenti ad
Istanbul, e sui problemi che essi avevano con i loro genitali.
Per quanto riguarda gli esperimenti con l’LSD, essa veniva veicolata dalla Josiah Macy Foundation tramite il
suo dirigente medico Frank Fremont-Smith che nel 1954-55, guarda caso gli anni cruciali per il decollo del
programma MKULTRA, fu anche presidente della Federazione Mondiale della Salute Mentale. Frank
Fremont-Smith fu iniziato all’LSD da Harold Abramson, uno psichiatra ricercatore alla Columbia University
e al centro di eugenetica di Cold Spring Harbor, a Long Island, facente anch’egli parte dei ricercatori
dell’MKULTRA. Abramson fu il primo a somministrare LSD all’antropologo Gregory Bateson, marito di
Margaret Mead. Bateson, a sua volta, nel 1959 somministrò LSD al poeta della beat-generation Allen
Ginsberg durante un esperimento alla Stanford University. Poco dopo l’LSD diventerà la droga simbolo della
cultura Hippy e verrà esportata e somministrata ai giovani “contestatori” di tutto il mondo occidentale.
Un altro sperimentatore dell’LSD fu il dottor Paul Hock che, assieme al leader dell’eugenetica nazista Franz
Kallmann, co-diresse la ricerca all’Istituto Psichiatrico della Stato di New York, presso la Columbia
University. Hock era membro della Società Americana di Eugenetica e fu nominato Commissario di Stato
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per l’Igiene Mentale dal governatore di New York Averell Harriman e poi ri-nominato dal governatore
Nelson Rockefeller (colui che presiedette la Commissione Senatoriale d’indagine sull’MKULTRA). Inoltre,
fu Hock che causò la morte del tennista newyorchese Harold Blauer mediante iniezioni di derivati della
mescalina.
Responsabile di molti progetti MKULTRA, fu il biochimico Sidney Gobblieb, dirigente della Divisione
Chimica dei Servizi Tecnici della CIA, creatore di tossine letali, sieri della verità e assiduo sperimentatore di
LSD, ispiratore del “Dottor Stranamore”, il personaggio creato da Stanley Kubrik e interpretato da Peter
Sellers. Nel giugno 1953 Gobblieb approvò il progetto per lo studio degli aspetti biochimici, neurofisiologici,
sociali e di psichiatria clinica dell’acido lisergico dietilamide. Inizialmente l’LSD veniva somministrata al
personale interno alla CIA e i risultati venivano inviati a Gobblied per catalogazione e analisi. Il 19
novembre del 1953 fu somministrata LSD all’ignaro dottor Frank Olson, uno scienziato dell’Esercito
americano che lavorava al programma MKULTRA. Olson entrò in un interminabile stato di schizofrenia
paranoica, fu portato al cospetto di Abramson che non seppe fare nulla se non convincere Olson a ricoverarsi
nel manicomio di Chestnut Lodge a Rockville, Maryland. Ma la sera prima del ricovero, a una settimana
dall’ingestione dell’LSD, Olson volò fuori dalla finestra del decimo piano dell’hotel in cui alloggiava.
Suicidio voluto o procurato? Non si sa, ma il caso Olson diventò uno scandalo tale da incidere le prime crepe
nella segretezza dell’MKULTRA. Fu da allora che i test sull’LSD, precedentemente fatti su soggetti interni
alla CIA o al programma MKULTRA, furono fatti su soggetti esterni e completamente ignari, in particolar
modo su prigionieri, tossicodipendenti ricoverati in strutture di riabilitazione, internati nei manicomi. Tutta
gente che difficilmente avrebbe protestato e ancor più difficilmente sarebbe stata creduta.
Sebbene la storia dell’MKULTRA sia indissolubilmente legata al nome CIA, il programma MKULTRA non
fu ordito dalla CIA come tale, bensì dal suo direttore Allen Dulles, un paziente di Carl Gustav Jung e vecchio
amico ed estimatore di Donald Ewen Cameron, cioè un prodotto psichiatrico lui stesso. Si tenga presente,
inoltre, che le ricerche oggetto dell’MKULTRA erano figlie delle ricerche psichiatriche naziste, che a loro
volta erano figlie delle teorie psichiatriche che si andavano sviluppando fin dal secolo precedente. A riprova
di ciò, le ricerche per il controllo mentale dell’uomo non terminarono con la sospensione di MKULTRA,
poiché alcuni tra i suoi più importanti ricercatori, cioè i veri responsabili ed esecutori dei crimini, furono
riuniti nel 1961 da Robert H. Felix (psichiatra e maestro massone del 33° grado, fondatore del NIMH,
National Institute of Mental Health, di cui fu direttore dal 1949 al 1964) sotto l’egida dell’American College
of Neuropsychopharmachology: un gruppo di circa 150 persone che includeva psichiatri, biologi, psicologi
del comportamento, chimici, farmacisti e neuropsicologi continuò indisturbato il lavoro dei vari Kallmann,
Overholser, Mengele, Cameron, Gobblied, Abramson, e così via.
Nel 1967, alla vigilia dell’esplosione della contestazione giovanile dei Figli dei Fiori, dediti all’uso e
all’abuso di droghe, il Gruppo di Studio per gli Effetti dei Farmaci Psicotropi sugli Umani Normali
(Study Group for the Effects of Psychotropic Drugs on Normal Humans) tenne una conferenza per stabilire il
corso degli Stati Uniti verso il 2000. Gli atti della conferenza furono redatti da due protagonisti
dell’MKULTRA, il dottor Wayne O. Evans, direttore del U.S. Army Military Stress Laboratory (Laboratorio
Militare per lo Stress dell’Esercito Statunitense) nel Massachusetts, e Nathan Kline, un fanatico psichiatra
eugenetista, ricercatore presso la Columbia University e praticante di psicologia-woodoo nella sua clinica di
Haiti. Nella prefazione agli atti si leggeva che:
«…l’attuale gamma di farmaci utilizzati sembrerà quasi insignificante se la compariamo alla quantità
possibile di sostanze chimiche che saranno disponibili per il controllo degli aspetti selettivi della vita
dell’uomo del 2000 […] La cultura Americana […] si sta muovendo verso una “società sensoriale” […]
Una maggiore attenzione viene data all’esperienza sensoriale, minore invece alle filosofie razionali o a
quelle orientate al lavoro. Una tale visione filosofica abbinata ai mezzi per separare il comportamento
sessuale dalla riproduzione o dalla malattia, aumenterà indubbiamente la libertà sessuale […] Appare ovvio
che i giovani di oggi non siano più impauriti né dalla droga né dal sesso. D'altra parte, filosofi e portavoce
dell’avanguardia propugnano l’esperienza sensoriale personale come la raison d’être della prossima
generazione. Per terminare, ci stiamo dirigendo verso un’epoca in cui il lavoro significativo sarà possibile
solo per una minoranza: in un’epoca simile gli afrodisiaci chimici possono essere accettati come mezzi
comuni per occupare il proprio tempo. Sarà interessante vedere se la moralità pubblica nei prossimi 30 anni
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cambierà nella stessa misura in cui è cambiata negli ultimi 30. Se noi accettiamo che l’umore, la
motivazione e l’emozione umana sono i riflessi di uno stato neurochimico del cervello, allora i farmaci
possono fornire un mezzo semplice, rapido e conveniente per produrre qualsiasi stato neurochimico
desiderato. Più presto smetteremo di confondere le asserzioni scientifiche sui farmaci con quelle morali, più
presto potremo razionalmente considerare gli stati neurochimici che vogliamo fornire alla gente.»
Si faccia per un attimo mente locale sui propositi asseriti nel 1967 da Evans e Kline comparandoli alla
situazione attuale, al proliferare di sostanze chimiche, siano esse droghe da strada oppure psicofarmaci. Lo
spinello è normale, l’ecstasy in discoteca è d’obbligo e una "nuova" schiera di psichiatri ha dato vita al
MAPS (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies), che promuove l'ecstasy, l'LSD e altre droghe
psicotrope come la soluzione dei problemi dell'uomo (l'ecstasy viene addirittura definita pillola dell'amore in
grado di realizzare il comandamento "ama il prossimo tuo come te stesso"). Ricorrere a psicofarmaci per
qualsiasi sciocchezza è diventato normale e altamente pubblicizzato dagli psichiatri e dai loro accoliti, sia in
programmi televisivi che sulla carta stampata che su internet. Il Prozac è stato ridefinito dal marketing
“pillola della felicità”; il Ritalin viene regolarmente somministrato a sei milioni di bambini americani (che
gli psichiatri statunitensi hanno dichiarato affetti dal controverso ADHD, Disturbo da Deficit dell’Attenzione
con Iperattività) e ora arriva anche in Italia dove professionisti prezzolati, insegnanti incapaci e genitori
scansafatiche più interessati alle proprie esperienze sensoriali personali che non ai propri figli, sperano di
trovare la soluzione per mettere sotto controllo la vivida intelligenza dei bambini che hanno la sfortuna di
incontrarli. Inoltre, direttamente dagli studi targati anni ’50 sulla manipolazione mentale, ecco la pillola per
dimenticare, che elimina i brutti ricordi – ciò che Cameron voleva ottenere somministrando elettroshock ai
tedeschi sopravissuti – ma anche la responsabilità. Il sesso "disinibito", infine, è diventato l’argomento
principe sia in televisione che su giornali e riviste. Ci sono telefilm che sembrano scritti da Evans e Kline in
persona, mentre i reality format ci mostrano individui alla ricerca della notorietà e del facile guadagno che si
fanno rinchiudere per mesi in spazi angusti, ripresi giorno e notte dalle telecamere in una specie di
psicoanalisi mediatica collettiva in cui non può mancare lui, il vero protagonista, quello che tutti aspettano e
vogliono vedere: il sesso. A dargli man forte, da qualche anno, viene commercializzato il Viagra,
l'immancabile pillola che dovrebbe trasformare tutti i maschi in stalloni. Come enunciato nel 1967, si stanno
realizzando i sistemi per occupare il tempo e la mente delle persone, irretendole in un fascio interminabile di
esperienze sensoriali, facendo loro credere di essere libere ed emancipate mentre, in realtà, sono sempre
meno capaci di prestare seriamente attenzione a ciò che succede loro intorno.
Una nazione per biondi naturali
GIANNI MORIANI
Nel 1861 il chirurgo-neurologo Pierre-Paul Broca sosteneva non solo l'esistenza di "una relazione importante
tra lo sviluppo dell'intelligenza e il volume cerebrale", ma anche che il cervello è più grande "negli uomini
rispetto alle donne, negli uomini di genio rispetto a quelli mediocri, nelle razze superiori rispetto a quelle
inferiori". Erano questi i primi fondamenti "scientifici" della teoria dell'ineguaglianza umana, che vennero
successivamente ammantati di scientismo da uno stuolo di biologi. Essi, infatti, affermarono che le
differenze umane sono segni ereditari, codificando una sorta di inferiorità intrinseca per i diversi, rendendo
così impossibile per costoro ogni riscatto sociale. Alla fine dell'800 fecero irruzione nei laboratori le nuove
tecniche antropometriche. Cesare Lombroso, il padre dell'antropologia criminale, dopo aver affermato che
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alcuni criminali sono nati per il male, concludeva: "l'atavismo rivela l'inefficacia della punizione per i
criminali nati", ragion per cui non resta che "eliminarli completamente, addirittura con la morte". Quando si
arriva ad affermare che la forma fisica di certe persone non meritava più di essere definita umana, significa
che le politiche di sterilizzazione o di soppressione di coloro che sono classificati "imperfetti" sono dietro la
porta. E' in questo contesto che l'inglese Francis Galton conia nel 1883 il termine "eugenetica", sostenendo la
necessità di aiutare quelle coppie in grado di procreare figli di razza superiore. Se in Europa, nella seconda
metà dell'800, si misuravano i crani, all'inizio del '900 negli Usa, un gruppo di psicologi guidati da H. H.
Goddard della "Vineland Training School for Feeble-Minded Girls and Boys" nel New Jersey, elevava il
quoziente di intelligenza (Qi) a indicatore capace di rappresentare le qualità innate di un individuo. Il Qi
servì agli psicologi Usa per ordinare, su una scala decrescente, i deboli di mente in imbecilli di alto grado,
imbecilli o idioti. Assunto il ritardo mentale come un dato immutabile, gli psicologi proposero di intervenire
manipolando l'ereditarietà per migliorare la popolazione umana, dando così nuovo fiato al nascente
movimento eugenista, che aveva avuto un precursore nel dottor W. Duncan McKim, il quale nel suo libro
Heredity and Human Progress (del 1899) dava l'indicazione di sopprimere con il gas dell'acido carbonico
quanti non erano degni di procreare. Gli eugenisti americani attribuirono alla oligofrenia ereditaria i problemi
sociali della loro epoca, quali l'alcolismo e la prostituzione. Ma una volta posta la correlazione tra
comportamento degenerato e scarsa intelligenza, Goddard poteva tranquillamente affermare: "Come vi può
essere l'eguaglianza sociale dato questo ampio spettro di capacità mentale". Il passo successivo fu quello di
collegare i comportamenti degenerati con la razza o il gruppo etnico, ed ecco lo psicologo di Harvard, Robert
M. Yerks, sottolineare che "gli uomini di carnagione più scura dell'Europa meridionale e gli slavi dell'Europa
orientale sono meno intelligenti degli uomini di carnagione chiara dell'Europa settentrionale e occidentale", e
per quanto attiene all'intelligenza "il negro si trova al gradino più basso della scala". Per salvaguardare la
purezza della stirpe si dovevano evitare i matrimoni tra membri di razze diverse, tanto che Harry Hamilton
Laughlin, direttore del più importante centro statunitense per la ricerca e la diffusione dell'eugenetica,
l'"Eugenics Record Office" (Ero), affermò che "gli immigrati provenienti dall'Europa meridionale e orientale,
gli ebrei in particolare, erano sotto il profilo razziale così differenti e talmente inferiori sotto l'aspetto
genetico rispetto all'attuale popolazione americana che qualsiasi mescolanza razziale sarebbe deleteria". In
questa ottica, per evitare la contaminazione della stirpe, agli appartenenti alle altre razze o etnie doveva
essere interdetto l'ingresso nel paese, mentre per gli oligofrenici Goddard propose il ricorso all'internamento
in istituto. Soluzione che doveva apparire del tutto naturale a uno psicologo che affermava: "a nessuno
oligofrenico dovrebbe essere consentito di sposarsi o di diventare genitore. E' evidente che se si deve
realizzare questa regola, la parte intelligente della società deve imporla". Ed ecco l'eugenista Charles B.
Davenport propugnare il ricorso alla sterilizzazione per bloccare il flusso "del protoplasma imperfetto e
degenerato". Va notato che Davenport era direttore dell'istituto di ricerca sull'eugenetica di Cold Spring
Harbor, nello Stato di New York, finanziato dalla Carnegie Institution di Washington e da Mary Harriman. Il
terreno era ormai pronto per legalizzare la sterilizzazione e a farlo, per primo, fu lo stato dell'Indiana nel
1907: i colpiti da questa norma furono i pazienti ricoverati in ospedali psichiatrici, quanti erano giudicati
oligofrenici al test di Qi, epilettici, "individui moralmente depravati", persone condannate più di una volta
per crimini sessuali. L'Indiana fu poi imitato da altri 24 stati, con la California che si fece rapidamente notare
per il gran numero di interventi realizzati. Le sterilizzazioni coatte continuarono negli Usa fino al 1973, dove
l'anno prima erano stati sterilizzati 16.000 uomini e 8.000 donne. Tornando in Europa, troviamo gli eugenisti
tedeschi che, non dissimilmente dai loro colleghi americani, si cimentano con i problemi della
"degenerazione" da cui facevano discendere la separazione delle popolazioni in individui superiori e
inferiori. Per salvaguardare il patrimonio genetico della nazione concepirono la sua "degenerazione" come
una minaccia. In Germania l'eugenetica ebbe due fondatori: il professor Alfred Ploetz (darwinista sociale, dal
forte credo nella superiorità dei popoli nordici) fondatore nel 1904 della Società tedesca per l'igiene razziale;
il medico Wilhelm Schallmeyer (1857-1919) che, pur non essendo attratto dall'idea della superiorità della
razza ariana, propugnava il dovere dello Stato di assicurare l'idoneità biologica dei propri cittadini per
migliorarne i caratteri razziali e da ciò faceva discendere l'autorizzazione alla poligamia per i soggetti
"razzialmente superdotati". A questo approccio, nel 1917, il genetista tedesco Fritz Lenz diede un'impronta
fortemente razzista, arrivando ad affermare che "lo Stato non esiste per assicurare che siano garantiti al
cittadino i suoi diritti, bensì per servire la razza", preoccupato che in mancanza di un progetto eugenetico "la
nostra razza (nordica) sia condannata all'estinzione". Così la teorizzazione della sterilizzazione aveva gettato
le basi per passare alla sua applicazione. Negli anni della Repubblica di Weimar furono fondati dei centri di
ricerca sull'eugenetica che favorirono la diffusione dello studio sull'igiene della razza. I più prestigiosi
furono: l'Istituto di ricerca tedesco per la psichiatria di Monaco, che sorse nel 1918 grazie ai finanziamenti
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della Fondazione Rockefeller, e poi nel 1924 assunse il nome di "Kaiser Wilhelm Institut für Genealogie und
Demographie". Nel 1931 ebbe come direttore lo svizzero Ernst Rüdin, uno psichiatra attivo membro della
fazione ariana, che dedicò tutta la sua vita al nazismo e diede un apporto fondamentale alla redazione delle
leggi nazista sulla sterilizzazione; il "Kaiser Wilhelm Institut für Anthropologie, menschliche Erblehre und
Fugenik", inaugurato nel 1927 nel sobborgo berlinese di Dahlem. Il direttore fu l'antropologo Eugen Fischer
che aveva condotto le sue ricerche in Africa occidentale. Nel 1928 l'università di Monaco istituì la prima
cattedra di Igiene della razza e chiamò Lenz a ricoprirla, e quando Hitler salì al potere, egli andò a ricoprire
la stessa cattedra presso la prestigiosa università di Berlino. Nel 1925 il Reichstag bocciò il tentativo di
legalizzare la sterilizzazione. Nel luglio del 1932 il governo prussiano elaborò una proposta di legge per la
legalizzazione della sterilizzazione, che venne inviata al Terzo Reich. Il 14 luglio 1933, con Hitler già
Cancelliere, venne emanata la legge sulla sterilizzazione sotto il dissimulato titolo di "Legge per la
prevenzione di nuove generazioni affette da malattie ereditarie". Si era così legalizzato l'approccio medico
nazista al problema delle "vite senza valore". Erano candidate alla sterilizzazione le persone affette da una
delle seguenti malattie: oligofrenia congenita, schizofrenia, psicosi maniaco-depressiva, epilessia ereditaria,
corea di Huntington, cecità e sordità ereditarie, gravi malformazioni fisiche, alcolismo cronico. Nel 1935 i
leader tedeschi della sterilizzazione dissero a un visitatore americano che sarebbe stato impossibile portare
avanti un "programma così ambizioso (...) privi della solida base offerta dall'esperienza (californiana)".
Speciali "Tribunali per la Sanità Ereditaria" composti da tre membri, due medici e un giudice distrettuale,
sceglievano le persone da sottoporre a intervento: la legatura dei dotti deferenti nell'uomo e quella delle tube
nelle donne. Le stime indicano in circa 300.000 gli interventi compiuti. Con il programma di sterilizzazione
delle vite considerate "indegne di vita", il nazismo iniziò un percorso che approderà ad Auschwitz, passando
per il programma di eutanasia con le sue 71.088 vittime e la relativa sperimentazione delle camere a gas. Ma
non possiamo terminare questa analisi della diffusione della sterilizzazione nel "mondo sviluppato" senza
affrontare la questione scandinava. Qui prima la Danimarca nel 1929, poi la Norvegia e la Svezia nel 1934 e
infine la Finlandia nel 1935 legalizzarono la sterilizzazione. Pietro S. Colla, nel suo recente e interessante
libro Per la Nazione e per la Razza (Carocci, pp. 147, L. . 24.000), sostiene che in Scandinavia la pratica
della sterilizzazione si caratterizza "come un'ansia per la presenza, all'interno della comunità nazionale, di
individui incapaci di soddisfare i requisiti di un ideale radicato nei costumi, ma assimilato ad una dote
'naturale"': la ricerca di un'auto purificazione della stirpe, modellata sulla selezione degli animali, per
conseguire non un'affermazione metafisica (dar vita a una 'razza eletta'), ma una migliore resa igienicosociale o produttiva". Sulla base di questi presupposti, secondo le ultime ricerche, furono sterilizzati (tra il
1935 e il 1975) 62.888 svedesi (oltre il 90% donne), 58.000 finlandesi, 40.000 norvegesi e 11.000 danesi. In
particolare, in Svezia, la devozione a una morale priva di contraddizioni, portò i socialdemocratici "ingegneri
sociali" ad accanirsi contro ogni espressione simbolica della differenza, tra categorie, generi o gruppi di
individui "inferiori", "inadeguati", "inadatti alla vita". Per dare basi scientifiche a questa operazione, subito
dopo la I guerra mondiale, la Svezia, primo paese al mondo, si dotò a Uppsala di un Istituto di stato per la
biologia razziale, che fu preso a modello dai tedeschi per realizzarne nel 1927 uno analogo a Berlino. Il suo
direttore, Hermann Lundborg, a partire dal 1922, pubblicò una serie di foto di volti per distinguere i caratteri
della pura razza svedese. Nel 1935 furono i coniugi Myrdal ad aggiungersi al coro, raccomandando
l'applicazione di una feroce politica di sterilizzazione finalizzata "all'epurazione degli individui incapaci".
Con le radici nell'800, la pratica della sterilizzazione, come espressione della modernità che richiede l'uomo
perfetto per realizzare la società perfetta, si è aggirata in numerosi paesi del Nord Europa e negli Usa, dove
ognuno ha fatto tesoro delle esperienze dell'altro. Sono così venute a galla le potenziali crudeltà della
modernità, quale corsa a una perfezione generatrice di mostri, che nella sua radicale estrimizzazione, il
nazismo, ha prodotto Auschwitz.
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