Mito-Logica. La scommessa antropologica

Monika Mancuso
Claude Lévi-Strauss
Monika Mancuso
1
Claude Lévi-Strauss: Tavola rotonda 9 giugno 2010 - Padova
Monika Mancuso
Mito-logica. La scommessa antropologicofilosofica di Levi-Strauss
Premessa
Presentare l’antropologia di LeviStrauss appare compito arduo sia
per l’infinità dei temi e delle correnti
da cui è attraversata, sia per l’ampiezza del progetto antropologico
levi-straussiano, la cui vasta influenza si estende su discipline quali la
linguistica, l’etnologia, la storia, la
psicologia, la critica letteraria, la
semiotica, l’arte, la storia delle
religioni, la musica. Avvicinandosi
quindi al pensiero di Levi-Strauss, il
pericolo è quello d’essere investiti
dalla molteplicità di stimoli della sua
sterminata erudizione. Inevitabile,
quindi, l’imbarazzo nella scelta di un
percorso che possa restituire, almeno in parte, la complessità del suo
pensiero. La scelta è caduta su di
una questione che ha accompagnato
quasi interamente la sua ricerca
etnologica e che possiede un forte
sapore filosofico: la riflessione sui
miti. La riflessione, cioè, attraverso
racconti, immagini, simboli concreti,
diversi da cultura a cultura e,
nonostante tutto, simili in culture
differenti. Prima di calarsi nella
questione, non rimane da fare che
un’ultima precisazione concernente
la seconda parte del titolo scelto per
la trattazione qui svolta: perchè
‘scommessa antropologico-filosofica’? Cosa viene posto qui in gioco
tanto da risultare una scommessa?
La ragione di tale scelta sta nel fatto
che il tentativo qui in atto si propone
di mostrare come l’antropologia
attraverso i miti va ‘fuori di sé’1 per
diventare questione filosofica.
IL LOGOS DEL MYTHOS O IL MYTHOS
DEL LOGOS?
LA
MITOLOGICA LEVI-
STRAUSSIANA
Mitologica è il termine con cui
Levi-Strauss fa riferimento
all’insieme di testi in cui tratta dei
miti.2 Mitologico è un termine che
etimologicamente riunisce in sé il
mythos e il logos, ossia
tradizionalmente il racconto e il
discorso logico-razionale.
Comunemente il mythos designa
un racconto fantastico, privo di
fondamento reale, contrapposto
alle acquisizioni della scienza
moderna, che poggerebbe sul logos,
sui concetti razionalmente
concatenati tra loro e rispondenti
al reale, e, in quanto tali, passibili
del giudizio di verità.
Non si vuole qui fare un’analisi
strutturale del mito, né
ripercorrere ed enumerare i miti
raccolti da Levi-Strauss nel corso
della sua ricerca sul campo,
operazione questa che
richiederebbe ben più di quanto
qui concesso. Non si pretende
esaustività: solo si vuol tentare di
delineare lo sfondo all’interno del
quale Levi-Strauss inserisce il suo
2
discorso sul mito. Sfondo che ha
caratteri profondamente filosofici,
nonostante gli espliciti rifiuti di
Levi-Strauss nei confronti della
filosofia.3 Se infatti da un lato il
nostro si dice contrario ad ogni
‘utilizzazione filosofica dei suoi
lavori’ dall’altro ammette che ‘essi
potrebbero contribuire (..) ad un
rigetto di quello che si intende oggi
per filosofico’4 .
Seguendo le indicazioni di
Umberto Curi, occupatosi a lungo
dei ‘miti occidentali’, si provi a
concentrare l’attenzione
sull’etimologia, sull’etymon, sulla
verità, dunque, di mythos e logos.
L’analisi di Curi, poggiando le
radici su quella heideggeriana, in
questo contesto è efficacemente
illuminante. Logos deriverebbe da
leghein, che significa ‘porre
attenzione’, ‘ponderare’, e quindi
anche ‘raccogliere’:
Logos è la parola nel senso di ciò su
cui si è riflettuto e che può essere
usato per convincere. Di qui (..) in
tempi successivi (..) ciò che è
sensato, razionale e
consequenziale.5
E mythos? Mythos indicherebbe la
parola in modo oggettivo, cioè
come equivalente di storia, come
indicazione di ciò che è accaduto o
sta accadendo:
Monika Mancuso
La parola che fornisce notizie
oggettive e che è investita di una
particolare autorità.6
Testimonianza di un simile
originario utilizzo sarebbero i
poemi omerici: i discorsi di Priamo,
re di Troia, sarebbero ‘mythoi’,
quelli di Ulisse ‘scaltri e contorti’
‘logoi’. 7
Inizialmente anche i mythoi
possedevano quindi un contenuto
di verità essendo narrazione di
fatti ed eventi. Solo in un secondo
momento, e attraverso un
complesso cammino, si è giunti a
considerare contrapposti logoi e
mythoi, i primi simboli di
conoscenza razionale dimostrabile,
elementi per eccellenza del
discorso filosofico, i secondi
racconti fantastici o convinzioni
erronee8 da eliminare ed espellere
da ogni riflessione razionale.
Quale dunque il senso con cui LeviStrauss utilizza il termine
‘mitologica’ per designare il
proprio, sterminato, lavoro sui
miti?
Rispondere qui ad una tale
questione significa non soltanto
pensare alla possibilità che anche
attraverso i racconti sia possibile
fare filosofia - considerazione
questa piuttosto scontata,
dimostrabile e dimostrata anche
solo attraverso l’enumerazione di
filosofi non accademicamente
riconosciuti come tali che si
occupano di filosofia –Nietzsche,
per esempio - ma anche di
pensatori formalmente etichettati
come scrittori quali Pirandello,
Kafka, Dostoevskij. Cogliere
l’appello di una simile domanda
significa anche e soprattutto
pensare ad un possibile statuto
della filosofia, accademicamente
relegato alla sola sfera
astrattamente intellettualistica e
privato di ogni pathos, di ogni
riferimento al concreto, alla
sensibilità. Sembrerebbe questa la
questione che attraversa anche
l’intera critica di Levi-Strauss alla
filosofia. In L’uomo nudo, l’ultimo
dei volumi dedicati ai miti, Levi-
Claude Lévi-Strauss
Strauss sostiene che:
Per troppo tempo la filosofia è
riuscita a tenere le scienze umane
prigioniere in un circolo chiuso non
permettendo loro di vedere altro
oggetto di studio per la coscienza
se non la coscienza stessa.9
E, poche pagine più in là, continua:
I filosofi si preoccupano molto
poco dei problemi concreti davanti
ai quali l’etnografia stessa ha
segnato il passo.10
Quale valore assume, dunque, in
tale contesto lo studio dei miti?
Cos’è un mito? Qual è la sua
definizione?
‘L’analisi mitica’ egli sostiene
‘appare quindi come una tela di
penelope’11, un tessuto che si crea e
si disfa in continuazione, privo di
punto di partenza e punto di
arrivo12 in quanto esso ha ‘sempre
qualcosa da compiere’13: non gli
appartiene alcuna causalità e
consequenzialità ma questo non gli
impedisce di ‘articolare,
organizzare e sfruttare
speculativamente il mondo
sensibile in termini di sensibile’.14
Nel pensiero mitico ‘filamenti
sparsi si saldano, certe lacune si
colmano, nuove connessioni si
stabiliscono, qualcosa che
assomiglia ad un ordine traspare
dietro il caos’.15 Pur evidenziando
le somiglianze tra i miti americani
e quelli greci, quello cui LeviStrauss mira mettendo in campo i
miti raccolti nel continente
americano non è tanto mostrare
come pensino gli uomini, quanto
piuttosto come ‘i miti si pensano
negli uomini’16, come cioè, vi sia
pensiero nell’analisi mitica. Come
l’opera musicale anche il mito
costituisce un linguaggio che
trascende il piano del linguaggio
articolato: sono ‘direttori
d’orchestra i cui uditori sono i
silenziosi esecutori’.17 L’opera
musicale e quella mitica non fanno
che chiamare in causa, in coloro
che le ascoltano, strutture mentali
simili grazie alle relazioni esistenti
3
tra le singole parti18 di cui sono
composti. Posto che vi sia, il
‘messaggio’ del mito è comunicato
dalla sua struttura complessiva,
dall’interazione tra i suoi elementi
in relazione. Ed è proprio qui che
secondo Levi-Strauss appare la
filosofia:
Il pensiero mitico sorpassa se
stesso e contempla, al di là di
immagini ancora aderenti
all’esperienza concreta, un mondo
di concetti (definito) non più dal
riferimento a una realtà esterna
ma in base alle loro reciproche
affinità o incompatibilità
manifestate nell’architettura dei
simboli.19
Il mito, secondo Levi-Strauss, ha
l’obiettivo di superare
un’opposizione20 attraverso la
struttura delle relazioni contenute
in esso. Allo stesso tempo, ‘la
particolarità dei miti’21, il motivo
per cui l’antropologia stessa dà così
tanto spazio allo studio della
‘superstizione’, è:
Quella di evocare un passato
abolito e di applicarlo come un
cifrario della dimensione del
presente al fine di svelarvi un
senso in cui coincidono le due facce
–quella storica e quella strutturaleche l’uomo vede della propria
realtà (..).22
Il mito non mira a dipingere, a
rappresentare fedelmente la realtà:
il suo tentativo, secondo LeviStrauss, è di ‘presentarla’ in
maniera dialettica, elaborando ‘a
suo modo la teoria di uno stile di
vita fra tanti altri possibili ed è
come se lo illustrasse con
altrettante massime’.23
Interessante è come, secondo LeviStrauss, avvenga tale costruzione
di uno stile di vita, questa
strutturazione dell’esperienza
mitica che suscita in chi ascolta
l’attivazione delle medesime
strutture di pensiero:
Il pensiero mitico da vero bricoleur
elabora strutture combinando
Claude Lévi-Strauss: Tavola rotonda 9 giugno 2010 - Padova
assieme eventi o piuttosto residui
di eventi (..) 24
Quanto viene messo in campo è la
tecnica del bricolage25, termine
quest’ultimo intraducibile ma con
il quale Levi-Strauss qualifica non
solo il pensiero mitico ma, più in
generale il pensiero selvaggio.26 Per
assolvere al proprio compito, il
bricoleur ha a disposizione una
serie di strumenti non
direttamente finalizzati allo
svolgimento dell’operazione:
Nel suo antico significato il verbo
bricoler si applica al gioco della
palla e del biliardo, alla caccia e
all’equitazione ma sempre per
evocare un movimento incidente:
quello della palla che rimbalza, del
cane che si distrae (..) Oggi per
bricoleur si intende chi esegue un
lavoro con le proprie mani
utilizzando mezzi diversi rispetto a
quelli usati dall’uomo del
mestiere.27
Il pensiero mitico è una ‘sorta di
bricolage intellettuale’: il
‘costruttore’ di miti, come fa
notare Kirk, fa si che la sua
struttura mentale, già presente
nella struttura sociale, costruisca i
rapporti tra i simboli dando luogo
al mito.28 Come per lo scienziato e
per il filosofo anche per il
costruttore di miti vi è alla base
un’esigenza d’ordine e
organizzazione del reale. E come
per lo scienziato e per il filosofo
anche per il costruttore di miti si
tratta di ‘stabilire nuove
connessioni’, di ‘saldare filamenti
sparsi’ attraverso concetti29,
elementi peculiari del pensiero
mitico. Come i miti anche la ricerca
filosofica è ‘in-terminabile’.30 Come
il mito, come il pensiero selvaggio e
primitivo, anche la riflessione
filosofica è bricolage intellettuale.
Anch’essa permette di scorgere
nuove aperture sul reale, grazie
alle diverse modalità di
concatenazione tra logoi, così come
il racconto, il mythos dà
indicazione di una costruzione
mentale diversa, di quel che
Merleau-Ponty, cui Levi-Strauss
dedica il Pensiero Selvaggio31 quale
‘testimonianza di fedeltà, di
riconoscenza e di affetto’,
chiamerebbe un ‘paesaggio’, uno
‘stile’, una ‘configurazione di un
corpo nel mondo’.32 Levi-Strauss
può dunque affermare che:
La logica del pensiero mitico ci è
sembrata altrettanto esigente di
quella su cui poggia il pensiero
positivo e in fondo poco diversa. La
differenza riguarda non tanto la
qualità delle operazioni
intellettuali, quanto la natura delle
cose su cui tali operazioni
vertono.33
Quando in questo senso vengono
poste sullo stesso piano le due
modalità logico-narrative del logos e
del mythos, non siamo forse in
presenza di una questione eminentemente filosofica? Meglio: non siamo
forse di fronte alla questione da cui
siamo partiti e cioè che si può fare
filosofia anche attraverso mythoi?
Levi-Strauss in Antropologia strutturale sostiene che:
Forse un giorno scopriremmo che è
la stessa logica a funzionare nel
pensiero mitico come nel pensiero
scientifico.34
Forse, cioè, è possibile fare una
mito-logia che passi indifferentemente dai mythoi, dai racconti, ai
logoi, ai discorsi razionali, laddove il
discorso razionale si arena e non
rende possibile un dipanarsi della
questione, se non attraverso il
riferimento al racconto, alla fabula.
il mythos al lavoro. Un esempio di
bricolage filosofico.
Un ultimo punto, tale solo per
l’ordine del discorso che si è fin qui
fatto ma che si potrebbe porre in
apertura. Un ultimo punto che
mostra la figura e il pensiero di LeviStrauss all’opera come eminentemente filosofici. Un ultimo punto
che affronterò passando attraverso
un mythos, per meglio mettere in
atto quella procedura che Levi-
4
Strauss attribuiva al mito, il
bricolage, e che si ritiene possa ben
descrivere quanto finora fatto, ossia
un’operazione che utilizza gli strumenti a disposizione per dimostrare
quanto si è posto a tesi, e cioè la
valenza filosofica del nostro.
Quello che si metterà tra qualche
istante in campo è un mythos tipicamente e filosoficamente occidentale.
Il racconto proposto è il mito platonico della caverna attraverso la
rilettura che di esso ne viene data da
Heidegger nel corso tenuto a
Friburgo nel 1931/1932 che troviamo oggi nel testo Essenza della
verità.35
È noto che Platone stesso, pur
essendo tra i primi a considerare
fondamentale distinguere tra
‘mythoi che possono essere bugie’ e i
logoi ‘che sono discorsi razionalmente dimostrabili’36 faceva assiduamente riferimento ai mythoi, presentando concetti filosofici attraverso
immagini. Il mito della caverna è
inserito nel libro VII del dialogo La
Repubblica. Sembra davvero esemplificativo seguire la suddivisione in
quattro stadi del mito che ci restituisce l’analisi di Heidegger.37 Essenziale non è tanto guardare ai singoli
stadi, quanto piuttosto, come afferma Heidegger, i ‘passaggi dell’uno
all’altro e quindi l’intero cammino
che essi formano’.38 Ogni stadio deve
essere incluso nel successivo in modo
tale che la spiegazione emerga solo
nella visione e comprensione totale
del mito.
Il primo stadio viene qualificato
come la ‘situazione dell’uomo nella
caverna sotterranea’.39 I movimenti
degli uomini sono limitati dalle
catene che permettono ai prigionieri
di guardare solo davanti a loro, su di
un muro, sul quale si proiettano le
ombre degli oggetti, posti alle loro
spalle. Gli oggetti vengono trasportati lungo un sentiero vicino all’entrata della caverna ma sono per metà
nascosti da una bassa balaustra
cosicché le ombre sono piuttosto
frammentarie. Le voci di coloro che
trasportano tali oggetti sono sentite
all’interno della caverna come
un’eco cosicché questo mondo, che i
prigionieri considerano il mondo
Monika Mancuso
reale, è un universo in realtà fatto di
ombre silenziose e parlanti.40
Il passaggio al secondo stadio è
definito come ‘una liberazione
dell’uomo all’interno della caverna’.41 All’uomo vengono tolte le
catene e viene costretto ad alzarsi,
girarsi, levare lo sguardo verso la
luce. Tutto avviene in modo doloroso
e il risultato, sostiene Socrate, è che
quest’uomo, costretto a far ciò, non
sa che ‘pesci pigliare’ e ritiene ‘che
ciò che vedeva prima fosse più
svelato di quello che gli viene mostrato adesso’.42 La liberazione
fallisce: gli uomini liberati non
riescono ad accettare la loro nuova
situazione e non comprendono la
liberazione stessa, arrivando a
negare la nuova realtà vista per
tornare alla visione precedente delle
cose, considerata ‘più svelata’
rispetto alla nuova.43
Il terzo stadio è ‘l’autentica liberazione dell’uomo verso la luce originaria’.44 Alcuni di questi prigionieri, i
filosofi, attraverso un’azione violenta conquistano la libertà e riescono
ad uscire dalla caverna e ad ascendere al sole, accedendo alla luce. Se in
un primo tempo vengono accecati da
questa, in un secondo momento,
dopo un adattamento graduale alla
luce stessa, si rende possibile la
visione diretta degli oggetti di cui
prima erano visibili solo le ombre.
Ma il mito non si conclude con l’
‘autentica liberazione’. Essenziale è
il quarto stadio, quando dopo la
contemplazione del sole da parte di
costoro, ‘il prigioniero liberato
ridiscende nella caverna’.45 La
liberazione non è solo lo scioglimento dalle catene ma l’uscita dalla
caverna e l’andare verso il sole,
ascesa che ‘esige lavoro e fatica’,
‘sforzo e dolore’.46 Ma essa non
termina così. Platone afferma che il
compito dei filosofi è
Quello di costringere le migliori
anime ad accostarsi a quella disciplina che prima abbiamo definita la
massima, vedere il bene e fare
quell’ascesa. E quando sono salite e
l’hanno visto pienamente non
dobbiamo permettere lodo ciò che si
permette ora (..) rimanere cioè colà
Claude Lévi-Strauss
(..) senza ridiscendere presso quei
prigionieri e partecipare delle fatiche
e degli onori del loro mondo a
prescindere dalla minore o maggiore
loro importanza.47
E continua:
Ciascuno deve dunque, a turno,
discendere nella dimora comune agli
altri e abituarsi a contemplare quegli
oggetti tenebrosi. Abituandovi
vedrete infinitamente meglio di
quelli laggiù (..) perché avrete
veduto la verità sul bello, sul giusto,
sul bene.48
Tornando laggiù, al buio, si dovrà
competere nuovamente con coloro
che lì sono prigionieri, che vedono
solo ombre, considerate la vera
realtà. I filosofi saranno così esposti
al ridicolo, oltre che al pericolo di
morte quando tenterebbero di
liberare i prigionieri dalle catene.
E’ questo il destino del filosofo il cui
compito è quindi, non tanto quello
della contemplazione, come comunemente si pensa, quanto piuttosto
quello del ritorno, dopo la contemplazione, nella caverna, dell’azione
sul campo.
Il filosofo opera sul campo e questo è
eminentemente filosofico. E quale
esemplificazione della ricerca filosofica stessa come negare che l’intera
vita di Levi-Strauss, la sua dedizione
alla ricerca sul terreno che, egli
ammette, è ‘inizio di ogni carriera
etnologica’49 sia un atteggiamento
filosofico per eccellenza? Come non
trovare nel racconto, nel mito della
sua vita, nel voyage philosophique50
delle sue avventure presso i popoli
primitivi trascritto in Tristi Tropici,
l’espressione filosofica più alta di un
modus vivendi che ha riunito, legato
assieme (leghein da cui, ricordo,
logos) i racconti degli uomini?51
Come non vedere nello stesso LeviStrauss l’incarnazione di una
filosofica mitologica?
,
5
Note
1
M. Niola, Introduzione. Un astronomo delle costellazioni umane, in AAVV, LeviStrauss fuori di sé, a cura di M. Niola,
Quodlibet, Macerata 2008. Niola sottolinea
che ‘l’antropologia va fuori di sé per diventare scommessa filosofica’ Cfr. Ivi, p. 10.
2
I testi cui si fa riferimento qui e che,
per l’appunto compongono la ‘Mitologica’
sono: Il crudo e il cotto (1964), Dal miele alle
ceneri (1966), L’origine delle buone maniere
a tavola (1968), L’uomo nudo.
3
La convinzione che sottende tale tentativo è che, in realtà, la filosofia che LeviStrauss rifiuta sarebbe da identificare con
una certa pratica del filosofare propria del
mondo accademico, priva di qualsiasi riferimento alla realtà, rimprovero alla filosofia
rintracciabile in più luoghi dell’opera di LeviStrauss.
4
C. Levi-Strauss, L’homme nu,
Librairie Plon, Paris 1971, tr.it. E. Lucarelli,
L’uomo nudo, Il Saggiatore, Milano 2008, p.
601.
5
U. Curi, Miti d’amore. Filosofia
dell’eros, Bompiani, Milano 2009, p. 11.
6
Ivi, p. 10.
7
Un altro riferimento a tale questione è reperibile nella medesima conclusione
che è possibile ritrovare nell’analisi di Leopardi nello Zibaldone della derivazione latina di favella: ‘Favella e favellare derivano evidentemente da fabula e fabulari mutato al
solito il b in v, come da fabula diciamo pure
favola; onde è come se dicessimo fabella e
fabellare. Qui non c’è niente di notabile o strano: la cosa va da se, e sarà stata notata da
tutti gli Etimologi. Ma che ha da far la favella e il favellare col favoleggiare e colle favole?
Qui appunto consiste il singolare e
l’osservabile in questa derivazione. Perocchè
l’antico e primitivo significato di fabula, non
era favola, ma discorso, da for faris, quasi
piccolo discorso, onde poi si trasferì al significato di ciancia [498 ] nugae, e finalmente di
finzione e racconto falso. (..) Poi fu trasferito
alla significazione di favola.’ Leopardi continua :’Il detto senso di fabula, fabulator,
fabulo, fabulor, confabulor etc. è evidente
negli scrittori latini di tutti i buoni secoli,
massime però ne’ più antichi e più puri. V. il
Forcellini in tutte queste voci. Ma dopo, e
massimamente ne’ bassi tempi il significato
usuale e comune di fabula nelle scritture non
era altro che favola. E tuttavia la nostra lingua ha ritenuto espressamente questa parola (la quale, come ho detto, è la stessa nostra
di favella) nel suo antichissimo, primitivo e
proprio valore. Certo non è andata a pescare
questo significato nelle antichissime memorie, e nei primi scrittori. Bisogna dunque che
la detta significazione tal qual era da principio sia pervenuta di mano in mano, e conservata e continuata senza [499 ]interruzione
fino alla nascita e alle origini della nostra lingua. Ora ciò non può essere stato se non per
mezzo del volgo latino; tanto più che gli scrittori, quando anche avessero conservata in uso
la detta significazione sino all’ultimo, non
avrebbero mai potuto essi soli comunicarla
al volgo, e renderla volgare, usuale, comune,
Claude Lévi-Strauss: Tavola rotonda 9 giugno 2010 - Padova
propria e primitiva in una lingua nascente,
quando il significato più comune di quella parola fosse stato un altro. E tale era infatti appresso gli scrittori. Del resto (..) fabula vuol dire
al tempo stesso discorso e favola, e da quel primo significato fu trasferito al secondo così viceversa nella nostra lingua novella e
novellare, dal significato di favola o racconto,
trasferiti a quello di ciance o di favella, hanno
parimente nel tempo stesso il valore di favola e
di discorso. V. la Crusca.’ (13. Gen. 1821.). V. p.
871. fine.
8
9
U. Curi, Miti d’amore, cit., p. 12.
C. Levi-Strauss, L’uomo nudo, cit. p.
593.
Ivi, p. 603.
C. Levi-Strauss, Le cru et le cuit,
Librairie Plon, Paris 1964, tr.it. A. Bonomi, Il
crudo e il cotto, Il Saggiatore, Milano 2008,
p. 18.
12
Ivi, p. 19.
13
Ibidem.
14
C. Levi-Strauss, La pensée sauvage,
Librairie Plon, Parigi 1962, tr. it. P. Caruso,
Il pensiero selvaggio, Il saggiatore, Milano
1964, p. 29.
15
C. Levi-Strauss, Il crudo e il cotto, cit.,
p. 15.
16
Ivi, p. 27.
17
Ivi, p. 35.
18
Tali singole parti sono definite da LeviStrauss ‘mitemi’, in stretta relazione con i fonemi
della lingua: come questi ultimi anche i singoli
mitemi di un mito, cioè ogni singolo elemento/
tema, non hanno significato che in rapporto al
tutto di cui fan parte. Ed è chiara qui l’influenza
della linguistica di De Saussure.
19
C. Levi-Strauss, Mythologiques: Du
miel aux cendres, Librairie Plon, Paris 1997,
tr. it. A. Bonomi, Dal miele alle ceneri, Il
Saggiatore, Milano 2008, p. 516.
20
C. Levi-Strauss afferma che il migliore
sunto di tutte le opposizioni è espressa
nell’alternativa posta da Amleto, quella tra
essere e non essere, di fronte alla quale l’uomo
può ben poco. Riguardo alle antinomie, alle
opposizioni, nella parte iniziale di Tristi Tropici
afferma che ‘le antinomie statiche intorno alle
quali ci consigliavano di costruire le nostre
dissertazioni filosofiche (..) si riducevano ad un
gioco gratuito’ Cfr. C. Levi-Strauss, Tristes
Tropiques, Librairie Plon, Paris 1955, tr. it. B.
Garufi, Tristi Tropici, Il Saggiatore, Milano
2008, p. 47. Affermazione questa che
sembrerebbe alludere però ad un ruolo positivo
di una dialettica delle antinomie che, in base
anche a quanto verrà detto successivamente,
potrebbero essere risolte attraverso la tecnica
del bricolage.
21
C. Levi-Strauss, Anthropologie
structurale deux, Librairie Plon, Paris, 1973,
tr. it. di S. Moravia, Antropologia strutturale due,
Il Saggiatore, Milano 1978, p. 37.
22
Ibidem.
23
C. Levi-Strauss, L’uomo nudo, cit., p.
299.
10
11
C. Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio,
cit., p. 34.
25
Del bricolage Genette sottolinea come
‘questa operazione tipicamente strutturalista (..)
è la stessa che l’enologo ritrova quando studia
le civiltà primitive a livello dell’invenzione
mitologica’. Cfr. G. Genette, Strutturalismo e
critica letteraria, in AAVV, Levi-Strauss fuori di
sé, cit., p. 113. A proposito della medesima
questione J. Derrida sostiene che ‘nel Pensiero
selvaggio Levi-Strauss presenta sotto il nome
di bricolage quel che si potrebbe definire il
discorso di quel metodo’. Cfr. J. Derrida, La
struttura, il segno e il gioco nel discorso delle
scienze umane, in AAVV, Levi-Strauss fuori di
sé, cit., p. 176.
26
Riguardo al pensiero selvaggio,
facendo riferimento al testo di Levi-Strauss e
Eribon, Niola afferma che in Levi-Strauss esso
‘non si riduce ad un residuo, ad una
sopravvivenza della cosiddetta mentalità
primitiva ma che è una forma del pensare
onnipresente: come lo è il mythos rispetto al
logos – si esercita proprio a livello delle qualità
sensibili giungendo a costruire su questa base
una visione del mondo (..)’. Cfr. M. Niola,
Introduzione, in AAVV, Levi-Strauss fuori di sé,
cit., p.14. Cfr. anche C. Levi-Strauss – D. Eribon,
De près et de loin, Editions Odile Jacob, Paris
1988, tr. it. di M. Celerino, Da vicino e da
lontano, Rizzoli, Milano 198, p. 158.
27
C. Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio,
cit., p. 29.
28
Kirk afferma: lascia che la struttura
della sua mente, già riprodotta nella struttura
della società si rifletta nella struttura dei
rapporti tra i simboli che egli riunisce nel mito’
cfr. G. S. Kirk, Myth: Its Meaning and Functions
in ancient and other Cultures, University of
California Press, California, tr. it. B. Fiore, Il
mito. Significato e funzioni nella cultura antica
e nelle culture altre, Liguori Editore, Napoli
1980, p. 96.
29
C. Levi-Strauss, Il crudo e il cotto,
cit., p. 15.
30
Ivi, p. 19.
31
In Elogio dell’Antropologia troviamo
un altro riferimento a Merleau-Ponty quando
Levi-Strauss si chiede quali siano le ragioni
della predilezione che ‘proviamo per quelle
società che in mancanza di un termine migliore
chiamiamo primitive (..)? La prima
confessiamolo è di ordine filosofico. Come ha
scritto Merleau-Ponty ‘ogni qualvolta il
sociologo (ma in realtà si riferisce
all’antropologo) ritorna alle vive fonti del suo
sapere (..) fa spontaneamente della filosofia’.
Infatti la ricerca sul terreno da cui ha inizio ogni
carriera antropologica è madre e matrice del
dubbio, atteggiamento filosofico per eccellenza’
Cfr. Elogio dell’antropologia, in Antropologia
strutturale due, cit. p. 61.
32
Interessante e complessa è la questione
dello ‘stile’ nella filosofia di Merleau-Ponty
24
6
Ovviamente
Merleau-Ponty
parla
dell’individuo, mentre il mythos è per eccellenza
quel fenomeno che è privo di soggetto,di centro:
il mito è tale perché non possiede autore) La
questione dello stile come modalità di approccio
all’Essere appare, in particolare, nella Prosa
del mondo: secondo Merleau-Ponty, infatti,
“Husserl ha introdotto, per tradurre il nostro
rapporto originale al mondo la nozione di stile”.
Cfr. M. Merleau-Ponty, La prosa del mondo,
cit., p. 75. Lo stile non è solo dell’artista e del
suo peculiare modo di dipingere: “C’é stile (e
quindi significazione) appena ci sono delle
figure e degli sfondi (...) vale a dire appena certi
elementi del mondo prendono valore di
dimensioni secondo le quali ormai noi
misuriamo tutto il resto”. Cfr. Ivi, p. 78. Lo stile
appare dunque nella visione che noi proponiamo
del mondo, racchiude “i nostri rapporti più
intimi all’Essere”. Cfr. Ibidem. A chiarire tale
nozione, ritroviamo i contributi di diversi critici:
B. Andrieu identifica l’idea di stile con una della
significazioni attribuite alla nozione di
espressione affermando che “l’espressione (...)
(è) traccia comunicativa della mia presenza al
mondo”. Cfr. B. Andrieu, Le langage entre Chair
(Leib) et corps (Körper), in Aa.Vv., MerleauPonty. Le philosophe et son langage, cit., p. 35.
(Traduzione mia). B. Pingaud asserisce più
esplicitamente che “per Merleau-Ponty lo stile
è ciò che, materializzando l’espressione,
dandola a vedere, la fa apparire come senso.
Lo stile (...) non è una semplice maniera (di
dipingere o di dire) (...). Esso prolunga e
manifesta il nostro commercio con il mondo”.
Cfr. B. Pingaud, Merleau-Ponty, Sartre et la
litterature, in Aa. Vv., Merleau-Ponty. Le
philosophe et son langage, cit., p. 84, (traduzione
mia). M. Collot parla dello stile a proposito del
corpo e della percezone come “ una
configurazione dell’esperienza, (...) una certa
maniera di rapportarsi al mondo”. Cfr. M.
Collot, L’oeuvre comme paysage d’une
experience, in Aa. Vv., Merleau-Ponty et le
litteraire, textes réunis par A. Simon et N. Castin,
Paris 1997, p. 32. (Traduzione mia). Infine,
anche C. Di Bitonto sottolinea la generalità del
concetto merleaupontyano di stile: “per
Merleau-Ponty tutto è stile ed espressione, non
soltanto a livello dell’arte, della cultura o del
comportamento umano ma anche a livello
dell’essere organico in generale”. Cfr. C. Di
Bitonto, Corporeità e stile in Merleau-Ponty,
“Chiasmi international”, n. 4, 2002, p. 165. Lo
stile è dunque “veicolo di una comprensione
del mondo che si realizza non intellettivamente
ma innanzi tutto a partire da ciò che noi siamo
con la nostra corporeità e la nostra presa
percettiva ed emotiva sul mondo”. Cfr. Ivi, p.
169. Di Bitonto individua inoltre cinque elementi
caratterizzanti quella che egli chiama “la
costellazione di riferimento riguardo allo stile”.
Innanzitutto lo stile come “deformazione
coerente” –citazione merleaupontyana di
Monika Mancuso
Malraux-; in secondo luogo, lo stile come
nozione che traduce il nostro rapporto con il
mondo; in terzo luogo, Di Bitonto adatta l’idea
leibniziana di parte totale al concetto di stile;
in quarto luogo, lo stile avrebbe le medesime
peculiarità possedute dalle idee sensibili
descritte da Proust nella sua opera; infine, si
inserisce la questione dello stile nella
prospettiva di ricerca di un principium
individuationis. Lo stile è sì un primum ma è
inosservabile come qualcosa di se stante: si
trova sempre all’opera “esso è dynamis, risvolto
generale-e-particolare ad un tempo che rivela
l’essere quale esso è in realtà”. Cfr. Ivi, p. 179.
33
C. Levi-Strauss, Anthropologie
structurale, Librairie Plon, Paris 1964, tr. it. di
P. Caruso, Antropologia strutturale, Il
Saggiatore, Milano, 2009, p. 258.
34
Ibidem.
35
M. Heidegger, Von Wesen der Wahreit.
Zu Platons Höhlengleichnis und Theätet,
Vittorio Klostermann, Frankfurt Am Main 1988,
tr. it. F. Volpi, L’essenza della verità. Sul mito
della caverna e sul ‘Teeteto’ di Platone, Adelphi
Edizioni, Milano 1997.
36
U. Curi, Miti d’amore, p. 12.
37
L’incipit di Heidegger è il seguente: ‘
Ora trattiamo dunque del mito della caverna
nella Politeia di platone (libro VII – 514 a -517
a) concependolo come un cenno che ci rimanda
nell’essenza della sveltezza (aletheia).
Dividiamo il testo in quattro sezioni (A-D) con
le quali indichiamo al tempo stesso quattro stadi
dell’accadere che viene simboleggiato nel mito’.
Cfr. Ivi, p. 45.
38
Ibidem.
39
Ivi, p. 46.
40
‘È proprio per questo è possibile ora
sollevare la domanda (..) su che cosa sia ciò
che, in questa situazione è svelato per l’uomo.
La risposta è: ciò che egli ha direttamente
immediatamente davanti a sé così come si offre
senza altre aggiunte o interventi e quindi nella
fattispecie le ombre che le cose, illuminate dal
fuoco alle sue spalle, proiettano sulla parete
davanti a lui’ Cfr. Ivi p. 49. Tale situazione viene
definita da Heidegger qualche pagina più in là
come l’ ‘immagine della situazione quotidiana
dell’uomo che quest’ultimo non è affatto capace
di vedere nella sua stupefacente stranezza
proprio perché dispone solo del metro della
quotidianità’. Cfr. Ivi, p. 52.
41
Ivi, p. 54.
42
Platone, Repubblica, 514 c – 515 e, tr.
it. di F. Sartori, Edizioni Laterza, Bari 1999.
43
‘L’affrancamento dalle catene non è
una liberazione effettiva dell’uomo ma rimane
esteriore e non coglie l’uomo nel proprio sé’.
Cfr. Heidegger, Essenza della verità, cit., p. 61.
44
Ivi, p. 63.
45
Ivi, p. 105.
46
Ivi, p. 67.
47
Platone, Repubblica, 519 d, cit.
48
Ivi, 520 c/d.
Claude Lévi-Strauss
Levi-Strauss, Elogio
dell’antropologia, cit. p. 61.
50
Tristi tropici vengono così definiti da
Chiara Vangelista nella sua relazione dal titolo
Una lettura etno-storica di Tristi Tropici durante
un convegno dedicato alla memoria di LeviStrauss tenutosi a Genova il 21 e il 22 gennaio
2010. Scritto nel 1955 quasi vent’anni dopo il
suo primo viaggio in America del Sud, è un testo
al quale è difficile attribuire un genere letterario,
per la mancanza di scientificità nella stesura,
di precisione nella narrazione della storia delle
popolazioni raccontate e per la mancanza di
attenzione alla lingua portoghese. Vangelista lo
definisce un voyage philosophique.
51
Lo stesso Levi-Strauss in Antropologia
strutturale due retoricamente chiede: ‘E
l’etnologo, che cosa scrive se non confessioni?’.
Cfr. Levi-Strauss, Antropologia strutturale due,
cit., p. 75.
49
7
Claude Lévi-Strauss: Tavola rotonda 9 giugno 2010 - Padova
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