Monika Mancuso Claude Lévi-Strauss Monika Mancuso 1 Claude Lévi-Strauss: Tavola rotonda 9 giugno 2010 - Padova Monika Mancuso Mito-logica. La scommessa antropologicofilosofica di Levi-Strauss Premessa Presentare l’antropologia di LeviStrauss appare compito arduo sia per l’infinità dei temi e delle correnti da cui è attraversata, sia per l’ampiezza del progetto antropologico levi-straussiano, la cui vasta influenza si estende su discipline quali la linguistica, l’etnologia, la storia, la psicologia, la critica letteraria, la semiotica, l’arte, la storia delle religioni, la musica. Avvicinandosi quindi al pensiero di Levi-Strauss, il pericolo è quello d’essere investiti dalla molteplicità di stimoli della sua sterminata erudizione. Inevitabile, quindi, l’imbarazzo nella scelta di un percorso che possa restituire, almeno in parte, la complessità del suo pensiero. La scelta è caduta su di una questione che ha accompagnato quasi interamente la sua ricerca etnologica e che possiede un forte sapore filosofico: la riflessione sui miti. La riflessione, cioè, attraverso racconti, immagini, simboli concreti, diversi da cultura a cultura e, nonostante tutto, simili in culture differenti. Prima di calarsi nella questione, non rimane da fare che un’ultima precisazione concernente la seconda parte del titolo scelto per la trattazione qui svolta: perchè ‘scommessa antropologico-filosofica’? Cosa viene posto qui in gioco tanto da risultare una scommessa? La ragione di tale scelta sta nel fatto che il tentativo qui in atto si propone di mostrare come l’antropologia attraverso i miti va ‘fuori di sé’1 per diventare questione filosofica. IL LOGOS DEL MYTHOS O IL MYTHOS DEL LOGOS? LA MITOLOGICA LEVI- STRAUSSIANA Mitologica è il termine con cui Levi-Strauss fa riferimento all’insieme di testi in cui tratta dei miti.2 Mitologico è un termine che etimologicamente riunisce in sé il mythos e il logos, ossia tradizionalmente il racconto e il discorso logico-razionale. Comunemente il mythos designa un racconto fantastico, privo di fondamento reale, contrapposto alle acquisizioni della scienza moderna, che poggerebbe sul logos, sui concetti razionalmente concatenati tra loro e rispondenti al reale, e, in quanto tali, passibili del giudizio di verità. Non si vuole qui fare un’analisi strutturale del mito, né ripercorrere ed enumerare i miti raccolti da Levi-Strauss nel corso della sua ricerca sul campo, operazione questa che richiederebbe ben più di quanto qui concesso. Non si pretende esaustività: solo si vuol tentare di delineare lo sfondo all’interno del quale Levi-Strauss inserisce il suo 2 discorso sul mito. Sfondo che ha caratteri profondamente filosofici, nonostante gli espliciti rifiuti di Levi-Strauss nei confronti della filosofia.3 Se infatti da un lato il nostro si dice contrario ad ogni ‘utilizzazione filosofica dei suoi lavori’ dall’altro ammette che ‘essi potrebbero contribuire (..) ad un rigetto di quello che si intende oggi per filosofico’4 . Seguendo le indicazioni di Umberto Curi, occupatosi a lungo dei ‘miti occidentali’, si provi a concentrare l’attenzione sull’etimologia, sull’etymon, sulla verità, dunque, di mythos e logos. L’analisi di Curi, poggiando le radici su quella heideggeriana, in questo contesto è efficacemente illuminante. Logos deriverebbe da leghein, che significa ‘porre attenzione’, ‘ponderare’, e quindi anche ‘raccogliere’: Logos è la parola nel senso di ciò su cui si è riflettuto e che può essere usato per convincere. Di qui (..) in tempi successivi (..) ciò che è sensato, razionale e consequenziale.5 E mythos? Mythos indicherebbe la parola in modo oggettivo, cioè come equivalente di storia, come indicazione di ciò che è accaduto o sta accadendo: Monika Mancuso La parola che fornisce notizie oggettive e che è investita di una particolare autorità.6 Testimonianza di un simile originario utilizzo sarebbero i poemi omerici: i discorsi di Priamo, re di Troia, sarebbero ‘mythoi’, quelli di Ulisse ‘scaltri e contorti’ ‘logoi’. 7 Inizialmente anche i mythoi possedevano quindi un contenuto di verità essendo narrazione di fatti ed eventi. Solo in un secondo momento, e attraverso un complesso cammino, si è giunti a considerare contrapposti logoi e mythoi, i primi simboli di conoscenza razionale dimostrabile, elementi per eccellenza del discorso filosofico, i secondi racconti fantastici o convinzioni erronee8 da eliminare ed espellere da ogni riflessione razionale. Quale dunque il senso con cui LeviStrauss utilizza il termine ‘mitologica’ per designare il proprio, sterminato, lavoro sui miti? Rispondere qui ad una tale questione significa non soltanto pensare alla possibilità che anche attraverso i racconti sia possibile fare filosofia - considerazione questa piuttosto scontata, dimostrabile e dimostrata anche solo attraverso l’enumerazione di filosofi non accademicamente riconosciuti come tali che si occupano di filosofia –Nietzsche, per esempio - ma anche di pensatori formalmente etichettati come scrittori quali Pirandello, Kafka, Dostoevskij. Cogliere l’appello di una simile domanda significa anche e soprattutto pensare ad un possibile statuto della filosofia, accademicamente relegato alla sola sfera astrattamente intellettualistica e privato di ogni pathos, di ogni riferimento al concreto, alla sensibilità. Sembrerebbe questa la questione che attraversa anche l’intera critica di Levi-Strauss alla filosofia. In L’uomo nudo, l’ultimo dei volumi dedicati ai miti, Levi- Claude Lévi-Strauss Strauss sostiene che: Per troppo tempo la filosofia è riuscita a tenere le scienze umane prigioniere in un circolo chiuso non permettendo loro di vedere altro oggetto di studio per la coscienza se non la coscienza stessa.9 E, poche pagine più in là, continua: I filosofi si preoccupano molto poco dei problemi concreti davanti ai quali l’etnografia stessa ha segnato il passo.10 Quale valore assume, dunque, in tale contesto lo studio dei miti? Cos’è un mito? Qual è la sua definizione? ‘L’analisi mitica’ egli sostiene ‘appare quindi come una tela di penelope’11, un tessuto che si crea e si disfa in continuazione, privo di punto di partenza e punto di arrivo12 in quanto esso ha ‘sempre qualcosa da compiere’13: non gli appartiene alcuna causalità e consequenzialità ma questo non gli impedisce di ‘articolare, organizzare e sfruttare speculativamente il mondo sensibile in termini di sensibile’.14 Nel pensiero mitico ‘filamenti sparsi si saldano, certe lacune si colmano, nuove connessioni si stabiliscono, qualcosa che assomiglia ad un ordine traspare dietro il caos’.15 Pur evidenziando le somiglianze tra i miti americani e quelli greci, quello cui LeviStrauss mira mettendo in campo i miti raccolti nel continente americano non è tanto mostrare come pensino gli uomini, quanto piuttosto come ‘i miti si pensano negli uomini’16, come cioè, vi sia pensiero nell’analisi mitica. Come l’opera musicale anche il mito costituisce un linguaggio che trascende il piano del linguaggio articolato: sono ‘direttori d’orchestra i cui uditori sono i silenziosi esecutori’.17 L’opera musicale e quella mitica non fanno che chiamare in causa, in coloro che le ascoltano, strutture mentali simili grazie alle relazioni esistenti 3 tra le singole parti18 di cui sono composti. Posto che vi sia, il ‘messaggio’ del mito è comunicato dalla sua struttura complessiva, dall’interazione tra i suoi elementi in relazione. Ed è proprio qui che secondo Levi-Strauss appare la filosofia: Il pensiero mitico sorpassa se stesso e contempla, al di là di immagini ancora aderenti all’esperienza concreta, un mondo di concetti (definito) non più dal riferimento a una realtà esterna ma in base alle loro reciproche affinità o incompatibilità manifestate nell’architettura dei simboli.19 Il mito, secondo Levi-Strauss, ha l’obiettivo di superare un’opposizione20 attraverso la struttura delle relazioni contenute in esso. Allo stesso tempo, ‘la particolarità dei miti’21, il motivo per cui l’antropologia stessa dà così tanto spazio allo studio della ‘superstizione’, è: Quella di evocare un passato abolito e di applicarlo come un cifrario della dimensione del presente al fine di svelarvi un senso in cui coincidono le due facce –quella storica e quella strutturaleche l’uomo vede della propria realtà (..).22 Il mito non mira a dipingere, a rappresentare fedelmente la realtà: il suo tentativo, secondo LeviStrauss, è di ‘presentarla’ in maniera dialettica, elaborando ‘a suo modo la teoria di uno stile di vita fra tanti altri possibili ed è come se lo illustrasse con altrettante massime’.23 Interessante è come, secondo LeviStrauss, avvenga tale costruzione di uno stile di vita, questa strutturazione dell’esperienza mitica che suscita in chi ascolta l’attivazione delle medesime strutture di pensiero: Il pensiero mitico da vero bricoleur elabora strutture combinando Claude Lévi-Strauss: Tavola rotonda 9 giugno 2010 - Padova assieme eventi o piuttosto residui di eventi (..) 24 Quanto viene messo in campo è la tecnica del bricolage25, termine quest’ultimo intraducibile ma con il quale Levi-Strauss qualifica non solo il pensiero mitico ma, più in generale il pensiero selvaggio.26 Per assolvere al proprio compito, il bricoleur ha a disposizione una serie di strumenti non direttamente finalizzati allo svolgimento dell’operazione: Nel suo antico significato il verbo bricoler si applica al gioco della palla e del biliardo, alla caccia e all’equitazione ma sempre per evocare un movimento incidente: quello della palla che rimbalza, del cane che si distrae (..) Oggi per bricoleur si intende chi esegue un lavoro con le proprie mani utilizzando mezzi diversi rispetto a quelli usati dall’uomo del mestiere.27 Il pensiero mitico è una ‘sorta di bricolage intellettuale’: il ‘costruttore’ di miti, come fa notare Kirk, fa si che la sua struttura mentale, già presente nella struttura sociale, costruisca i rapporti tra i simboli dando luogo al mito.28 Come per lo scienziato e per il filosofo anche per il costruttore di miti vi è alla base un’esigenza d’ordine e organizzazione del reale. E come per lo scienziato e per il filosofo anche per il costruttore di miti si tratta di ‘stabilire nuove connessioni’, di ‘saldare filamenti sparsi’ attraverso concetti29, elementi peculiari del pensiero mitico. Come i miti anche la ricerca filosofica è ‘in-terminabile’.30 Come il mito, come il pensiero selvaggio e primitivo, anche la riflessione filosofica è bricolage intellettuale. Anch’essa permette di scorgere nuove aperture sul reale, grazie alle diverse modalità di concatenazione tra logoi, così come il racconto, il mythos dà indicazione di una costruzione mentale diversa, di quel che Merleau-Ponty, cui Levi-Strauss dedica il Pensiero Selvaggio31 quale ‘testimonianza di fedeltà, di riconoscenza e di affetto’, chiamerebbe un ‘paesaggio’, uno ‘stile’, una ‘configurazione di un corpo nel mondo’.32 Levi-Strauss può dunque affermare che: La logica del pensiero mitico ci è sembrata altrettanto esigente di quella su cui poggia il pensiero positivo e in fondo poco diversa. La differenza riguarda non tanto la qualità delle operazioni intellettuali, quanto la natura delle cose su cui tali operazioni vertono.33 Quando in questo senso vengono poste sullo stesso piano le due modalità logico-narrative del logos e del mythos, non siamo forse in presenza di una questione eminentemente filosofica? Meglio: non siamo forse di fronte alla questione da cui siamo partiti e cioè che si può fare filosofia anche attraverso mythoi? Levi-Strauss in Antropologia strutturale sostiene che: Forse un giorno scopriremmo che è la stessa logica a funzionare nel pensiero mitico come nel pensiero scientifico.34 Forse, cioè, è possibile fare una mito-logia che passi indifferentemente dai mythoi, dai racconti, ai logoi, ai discorsi razionali, laddove il discorso razionale si arena e non rende possibile un dipanarsi della questione, se non attraverso il riferimento al racconto, alla fabula. il mythos al lavoro. Un esempio di bricolage filosofico. Un ultimo punto, tale solo per l’ordine del discorso che si è fin qui fatto ma che si potrebbe porre in apertura. Un ultimo punto che mostra la figura e il pensiero di LeviStrauss all’opera come eminentemente filosofici. Un ultimo punto che affronterò passando attraverso un mythos, per meglio mettere in atto quella procedura che Levi- 4 Strauss attribuiva al mito, il bricolage, e che si ritiene possa ben descrivere quanto finora fatto, ossia un’operazione che utilizza gli strumenti a disposizione per dimostrare quanto si è posto a tesi, e cioè la valenza filosofica del nostro. Quello che si metterà tra qualche istante in campo è un mythos tipicamente e filosoficamente occidentale. Il racconto proposto è il mito platonico della caverna attraverso la rilettura che di esso ne viene data da Heidegger nel corso tenuto a Friburgo nel 1931/1932 che troviamo oggi nel testo Essenza della verità.35 È noto che Platone stesso, pur essendo tra i primi a considerare fondamentale distinguere tra ‘mythoi che possono essere bugie’ e i logoi ‘che sono discorsi razionalmente dimostrabili’36 faceva assiduamente riferimento ai mythoi, presentando concetti filosofici attraverso immagini. Il mito della caverna è inserito nel libro VII del dialogo La Repubblica. Sembra davvero esemplificativo seguire la suddivisione in quattro stadi del mito che ci restituisce l’analisi di Heidegger.37 Essenziale non è tanto guardare ai singoli stadi, quanto piuttosto, come afferma Heidegger, i ‘passaggi dell’uno all’altro e quindi l’intero cammino che essi formano’.38 Ogni stadio deve essere incluso nel successivo in modo tale che la spiegazione emerga solo nella visione e comprensione totale del mito. Il primo stadio viene qualificato come la ‘situazione dell’uomo nella caverna sotterranea’.39 I movimenti degli uomini sono limitati dalle catene che permettono ai prigionieri di guardare solo davanti a loro, su di un muro, sul quale si proiettano le ombre degli oggetti, posti alle loro spalle. Gli oggetti vengono trasportati lungo un sentiero vicino all’entrata della caverna ma sono per metà nascosti da una bassa balaustra cosicché le ombre sono piuttosto frammentarie. Le voci di coloro che trasportano tali oggetti sono sentite all’interno della caverna come un’eco cosicché questo mondo, che i prigionieri considerano il mondo Monika Mancuso reale, è un universo in realtà fatto di ombre silenziose e parlanti.40 Il passaggio al secondo stadio è definito come ‘una liberazione dell’uomo all’interno della caverna’.41 All’uomo vengono tolte le catene e viene costretto ad alzarsi, girarsi, levare lo sguardo verso la luce. Tutto avviene in modo doloroso e il risultato, sostiene Socrate, è che quest’uomo, costretto a far ciò, non sa che ‘pesci pigliare’ e ritiene ‘che ciò che vedeva prima fosse più svelato di quello che gli viene mostrato adesso’.42 La liberazione fallisce: gli uomini liberati non riescono ad accettare la loro nuova situazione e non comprendono la liberazione stessa, arrivando a negare la nuova realtà vista per tornare alla visione precedente delle cose, considerata ‘più svelata’ rispetto alla nuova.43 Il terzo stadio è ‘l’autentica liberazione dell’uomo verso la luce originaria’.44 Alcuni di questi prigionieri, i filosofi, attraverso un’azione violenta conquistano la libertà e riescono ad uscire dalla caverna e ad ascendere al sole, accedendo alla luce. Se in un primo tempo vengono accecati da questa, in un secondo momento, dopo un adattamento graduale alla luce stessa, si rende possibile la visione diretta degli oggetti di cui prima erano visibili solo le ombre. Ma il mito non si conclude con l’ ‘autentica liberazione’. Essenziale è il quarto stadio, quando dopo la contemplazione del sole da parte di costoro, ‘il prigioniero liberato ridiscende nella caverna’.45 La liberazione non è solo lo scioglimento dalle catene ma l’uscita dalla caverna e l’andare verso il sole, ascesa che ‘esige lavoro e fatica’, ‘sforzo e dolore’.46 Ma essa non termina così. Platone afferma che il compito dei filosofi è Quello di costringere le migliori anime ad accostarsi a quella disciplina che prima abbiamo definita la massima, vedere il bene e fare quell’ascesa. E quando sono salite e l’hanno visto pienamente non dobbiamo permettere lodo ciò che si permette ora (..) rimanere cioè colà Claude Lévi-Strauss (..) senza ridiscendere presso quei prigionieri e partecipare delle fatiche e degli onori del loro mondo a prescindere dalla minore o maggiore loro importanza.47 E continua: Ciascuno deve dunque, a turno, discendere nella dimora comune agli altri e abituarsi a contemplare quegli oggetti tenebrosi. Abituandovi vedrete infinitamente meglio di quelli laggiù (..) perché avrete veduto la verità sul bello, sul giusto, sul bene.48 Tornando laggiù, al buio, si dovrà competere nuovamente con coloro che lì sono prigionieri, che vedono solo ombre, considerate la vera realtà. I filosofi saranno così esposti al ridicolo, oltre che al pericolo di morte quando tenterebbero di liberare i prigionieri dalle catene. E’ questo il destino del filosofo il cui compito è quindi, non tanto quello della contemplazione, come comunemente si pensa, quanto piuttosto quello del ritorno, dopo la contemplazione, nella caverna, dell’azione sul campo. Il filosofo opera sul campo e questo è eminentemente filosofico. E quale esemplificazione della ricerca filosofica stessa come negare che l’intera vita di Levi-Strauss, la sua dedizione alla ricerca sul terreno che, egli ammette, è ‘inizio di ogni carriera etnologica’49 sia un atteggiamento filosofico per eccellenza? Come non trovare nel racconto, nel mito della sua vita, nel voyage philosophique50 delle sue avventure presso i popoli primitivi trascritto in Tristi Tropici, l’espressione filosofica più alta di un modus vivendi che ha riunito, legato assieme (leghein da cui, ricordo, logos) i racconti degli uomini?51 Come non vedere nello stesso LeviStrauss l’incarnazione di una filosofica mitologica? , 5 Note 1 M. Niola, Introduzione. Un astronomo delle costellazioni umane, in AAVV, LeviStrauss fuori di sé, a cura di M. Niola, Quodlibet, Macerata 2008. Niola sottolinea che ‘l’antropologia va fuori di sé per diventare scommessa filosofica’ Cfr. Ivi, p. 10. 2 I testi cui si fa riferimento qui e che, per l’appunto compongono la ‘Mitologica’ sono: Il crudo e il cotto (1964), Dal miele alle ceneri (1966), L’origine delle buone maniere a tavola (1968), L’uomo nudo. 3 La convinzione che sottende tale tentativo è che, in realtà, la filosofia che LeviStrauss rifiuta sarebbe da identificare con una certa pratica del filosofare propria del mondo accademico, priva di qualsiasi riferimento alla realtà, rimprovero alla filosofia rintracciabile in più luoghi dell’opera di LeviStrauss. 4 C. Levi-Strauss, L’homme nu, Librairie Plon, Paris 1971, tr.it. E. Lucarelli, L’uomo nudo, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 601. 5 U. Curi, Miti d’amore. Filosofia dell’eros, Bompiani, Milano 2009, p. 11. 6 Ivi, p. 10. 7 Un altro riferimento a tale questione è reperibile nella medesima conclusione che è possibile ritrovare nell’analisi di Leopardi nello Zibaldone della derivazione latina di favella: ‘Favella e favellare derivano evidentemente da fabula e fabulari mutato al solito il b in v, come da fabula diciamo pure favola; onde è come se dicessimo fabella e fabellare. Qui non c’è niente di notabile o strano: la cosa va da se, e sarà stata notata da tutti gli Etimologi. Ma che ha da far la favella e il favellare col favoleggiare e colle favole? Qui appunto consiste il singolare e l’osservabile in questa derivazione. Perocchè l’antico e primitivo significato di fabula, non era favola, ma discorso, da for faris, quasi piccolo discorso, onde poi si trasferì al significato di ciancia [498 ] nugae, e finalmente di finzione e racconto falso. (..) Poi fu trasferito alla significazione di favola.’ Leopardi continua :’Il detto senso di fabula, fabulator, fabulo, fabulor, confabulor etc. è evidente negli scrittori latini di tutti i buoni secoli, massime però ne’ più antichi e più puri. V. il Forcellini in tutte queste voci. Ma dopo, e massimamente ne’ bassi tempi il significato usuale e comune di fabula nelle scritture non era altro che favola. E tuttavia la nostra lingua ha ritenuto espressamente questa parola (la quale, come ho detto, è la stessa nostra di favella) nel suo antichissimo, primitivo e proprio valore. Certo non è andata a pescare questo significato nelle antichissime memorie, e nei primi scrittori. Bisogna dunque che la detta significazione tal qual era da principio sia pervenuta di mano in mano, e conservata e continuata senza [499 ]interruzione fino alla nascita e alle origini della nostra lingua. Ora ciò non può essere stato se non per mezzo del volgo latino; tanto più che gli scrittori, quando anche avessero conservata in uso la detta significazione sino all’ultimo, non avrebbero mai potuto essi soli comunicarla al volgo, e renderla volgare, usuale, comune, Claude Lévi-Strauss: Tavola rotonda 9 giugno 2010 - Padova propria e primitiva in una lingua nascente, quando il significato più comune di quella parola fosse stato un altro. E tale era infatti appresso gli scrittori. Del resto (..) fabula vuol dire al tempo stesso discorso e favola, e da quel primo significato fu trasferito al secondo così viceversa nella nostra lingua novella e novellare, dal significato di favola o racconto, trasferiti a quello di ciance o di favella, hanno parimente nel tempo stesso il valore di favola e di discorso. V. la Crusca.’ (13. Gen. 1821.). V. p. 871. fine. 8 9 U. Curi, Miti d’amore, cit., p. 12. C. Levi-Strauss, L’uomo nudo, cit. p. 593. Ivi, p. 603. C. Levi-Strauss, Le cru et le cuit, Librairie Plon, Paris 1964, tr.it. A. Bonomi, Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 18. 12 Ivi, p. 19. 13 Ibidem. 14 C. Levi-Strauss, La pensée sauvage, Librairie Plon, Parigi 1962, tr. it. P. Caruso, Il pensiero selvaggio, Il saggiatore, Milano 1964, p. 29. 15 C. Levi-Strauss, Il crudo e il cotto, cit., p. 15. 16 Ivi, p. 27. 17 Ivi, p. 35. 18 Tali singole parti sono definite da LeviStrauss ‘mitemi’, in stretta relazione con i fonemi della lingua: come questi ultimi anche i singoli mitemi di un mito, cioè ogni singolo elemento/ tema, non hanno significato che in rapporto al tutto di cui fan parte. Ed è chiara qui l’influenza della linguistica di De Saussure. 19 C. Levi-Strauss, Mythologiques: Du miel aux cendres, Librairie Plon, Paris 1997, tr. it. A. Bonomi, Dal miele alle ceneri, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 516. 20 C. Levi-Strauss afferma che il migliore sunto di tutte le opposizioni è espressa nell’alternativa posta da Amleto, quella tra essere e non essere, di fronte alla quale l’uomo può ben poco. Riguardo alle antinomie, alle opposizioni, nella parte iniziale di Tristi Tropici afferma che ‘le antinomie statiche intorno alle quali ci consigliavano di costruire le nostre dissertazioni filosofiche (..) si riducevano ad un gioco gratuito’ Cfr. C. Levi-Strauss, Tristes Tropiques, Librairie Plon, Paris 1955, tr. it. B. Garufi, Tristi Tropici, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 47. Affermazione questa che sembrerebbe alludere però ad un ruolo positivo di una dialettica delle antinomie che, in base anche a quanto verrà detto successivamente, potrebbero essere risolte attraverso la tecnica del bricolage. 21 C. Levi-Strauss, Anthropologie structurale deux, Librairie Plon, Paris, 1973, tr. it. di S. Moravia, Antropologia strutturale due, Il Saggiatore, Milano 1978, p. 37. 22 Ibidem. 23 C. Levi-Strauss, L’uomo nudo, cit., p. 299. 10 11 C. Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio, cit., p. 34. 25 Del bricolage Genette sottolinea come ‘questa operazione tipicamente strutturalista (..) è la stessa che l’enologo ritrova quando studia le civiltà primitive a livello dell’invenzione mitologica’. Cfr. G. Genette, Strutturalismo e critica letteraria, in AAVV, Levi-Strauss fuori di sé, cit., p. 113. A proposito della medesima questione J. Derrida sostiene che ‘nel Pensiero selvaggio Levi-Strauss presenta sotto il nome di bricolage quel che si potrebbe definire il discorso di quel metodo’. Cfr. J. Derrida, La struttura, il segno e il gioco nel discorso delle scienze umane, in AAVV, Levi-Strauss fuori di sé, cit., p. 176. 26 Riguardo al pensiero selvaggio, facendo riferimento al testo di Levi-Strauss e Eribon, Niola afferma che in Levi-Strauss esso ‘non si riduce ad un residuo, ad una sopravvivenza della cosiddetta mentalità primitiva ma che è una forma del pensare onnipresente: come lo è il mythos rispetto al logos – si esercita proprio a livello delle qualità sensibili giungendo a costruire su questa base una visione del mondo (..)’. Cfr. M. Niola, Introduzione, in AAVV, Levi-Strauss fuori di sé, cit., p.14. Cfr. anche C. Levi-Strauss – D. Eribon, De près et de loin, Editions Odile Jacob, Paris 1988, tr. it. di M. Celerino, Da vicino e da lontano, Rizzoli, Milano 198, p. 158. 27 C. Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio, cit., p. 29. 28 Kirk afferma: lascia che la struttura della sua mente, già riprodotta nella struttura della società si rifletta nella struttura dei rapporti tra i simboli che egli riunisce nel mito’ cfr. G. S. Kirk, Myth: Its Meaning and Functions in ancient and other Cultures, University of California Press, California, tr. it. B. Fiore, Il mito. Significato e funzioni nella cultura antica e nelle culture altre, Liguori Editore, Napoli 1980, p. 96. 29 C. Levi-Strauss, Il crudo e il cotto, cit., p. 15. 30 Ivi, p. 19. 31 In Elogio dell’Antropologia troviamo un altro riferimento a Merleau-Ponty quando Levi-Strauss si chiede quali siano le ragioni della predilezione che ‘proviamo per quelle società che in mancanza di un termine migliore chiamiamo primitive (..)? La prima confessiamolo è di ordine filosofico. Come ha scritto Merleau-Ponty ‘ogni qualvolta il sociologo (ma in realtà si riferisce all’antropologo) ritorna alle vive fonti del suo sapere (..) fa spontaneamente della filosofia’. Infatti la ricerca sul terreno da cui ha inizio ogni carriera antropologica è madre e matrice del dubbio, atteggiamento filosofico per eccellenza’ Cfr. Elogio dell’antropologia, in Antropologia strutturale due, cit. p. 61. 32 Interessante e complessa è la questione dello ‘stile’ nella filosofia di Merleau-Ponty 24 6 Ovviamente Merleau-Ponty parla dell’individuo, mentre il mythos è per eccellenza quel fenomeno che è privo di soggetto,di centro: il mito è tale perché non possiede autore) La questione dello stile come modalità di approccio all’Essere appare, in particolare, nella Prosa del mondo: secondo Merleau-Ponty, infatti, “Husserl ha introdotto, per tradurre il nostro rapporto originale al mondo la nozione di stile”. Cfr. M. Merleau-Ponty, La prosa del mondo, cit., p. 75. Lo stile non è solo dell’artista e del suo peculiare modo di dipingere: “C’é stile (e quindi significazione) appena ci sono delle figure e degli sfondi (...) vale a dire appena certi elementi del mondo prendono valore di dimensioni secondo le quali ormai noi misuriamo tutto il resto”. Cfr. Ivi, p. 78. Lo stile appare dunque nella visione che noi proponiamo del mondo, racchiude “i nostri rapporti più intimi all’Essere”. Cfr. Ibidem. A chiarire tale nozione, ritroviamo i contributi di diversi critici: B. Andrieu identifica l’idea di stile con una della significazioni attribuite alla nozione di espressione affermando che “l’espressione (...) (è) traccia comunicativa della mia presenza al mondo”. Cfr. B. Andrieu, Le langage entre Chair (Leib) et corps (Körper), in Aa.Vv., MerleauPonty. Le philosophe et son langage, cit., p. 35. (Traduzione mia). B. Pingaud asserisce più esplicitamente che “per Merleau-Ponty lo stile è ciò che, materializzando l’espressione, dandola a vedere, la fa apparire come senso. Lo stile (...) non è una semplice maniera (di dipingere o di dire) (...). Esso prolunga e manifesta il nostro commercio con il mondo”. Cfr. B. Pingaud, Merleau-Ponty, Sartre et la litterature, in Aa. Vv., Merleau-Ponty. Le philosophe et son langage, cit., p. 84, (traduzione mia). M. Collot parla dello stile a proposito del corpo e della percezone come “ una configurazione dell’esperienza, (...) una certa maniera di rapportarsi al mondo”. Cfr. M. Collot, L’oeuvre comme paysage d’une experience, in Aa. Vv., Merleau-Ponty et le litteraire, textes réunis par A. Simon et N. Castin, Paris 1997, p. 32. (Traduzione mia). Infine, anche C. Di Bitonto sottolinea la generalità del concetto merleaupontyano di stile: “per Merleau-Ponty tutto è stile ed espressione, non soltanto a livello dell’arte, della cultura o del comportamento umano ma anche a livello dell’essere organico in generale”. Cfr. C. Di Bitonto, Corporeità e stile in Merleau-Ponty, “Chiasmi international”, n. 4, 2002, p. 165. Lo stile è dunque “veicolo di una comprensione del mondo che si realizza non intellettivamente ma innanzi tutto a partire da ciò che noi siamo con la nostra corporeità e la nostra presa percettiva ed emotiva sul mondo”. Cfr. Ivi, p. 169. Di Bitonto individua inoltre cinque elementi caratterizzanti quella che egli chiama “la costellazione di riferimento riguardo allo stile”. Innanzitutto lo stile come “deformazione coerente” –citazione merleaupontyana di Monika Mancuso Malraux-; in secondo luogo, lo stile come nozione che traduce il nostro rapporto con il mondo; in terzo luogo, Di Bitonto adatta l’idea leibniziana di parte totale al concetto di stile; in quarto luogo, lo stile avrebbe le medesime peculiarità possedute dalle idee sensibili descritte da Proust nella sua opera; infine, si inserisce la questione dello stile nella prospettiva di ricerca di un principium individuationis. Lo stile è sì un primum ma è inosservabile come qualcosa di se stante: si trova sempre all’opera “esso è dynamis, risvolto generale-e-particolare ad un tempo che rivela l’essere quale esso è in realtà”. Cfr. Ivi, p. 179. 33 C. Levi-Strauss, Anthropologie structurale, Librairie Plon, Paris 1964, tr. it. di P. Caruso, Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, 2009, p. 258. 34 Ibidem. 35 M. Heidegger, Von Wesen der Wahreit. Zu Platons Höhlengleichnis und Theätet, Vittorio Klostermann, Frankfurt Am Main 1988, tr. it. F. Volpi, L’essenza della verità. Sul mito della caverna e sul ‘Teeteto’ di Platone, Adelphi Edizioni, Milano 1997. 36 U. Curi, Miti d’amore, p. 12. 37 L’incipit di Heidegger è il seguente: ‘ Ora trattiamo dunque del mito della caverna nella Politeia di platone (libro VII – 514 a -517 a) concependolo come un cenno che ci rimanda nell’essenza della sveltezza (aletheia). Dividiamo il testo in quattro sezioni (A-D) con le quali indichiamo al tempo stesso quattro stadi dell’accadere che viene simboleggiato nel mito’. Cfr. Ivi, p. 45. 38 Ibidem. 39 Ivi, p. 46. 40 ‘È proprio per questo è possibile ora sollevare la domanda (..) su che cosa sia ciò che, in questa situazione è svelato per l’uomo. La risposta è: ciò che egli ha direttamente immediatamente davanti a sé così come si offre senza altre aggiunte o interventi e quindi nella fattispecie le ombre che le cose, illuminate dal fuoco alle sue spalle, proiettano sulla parete davanti a lui’ Cfr. Ivi p. 49. Tale situazione viene definita da Heidegger qualche pagina più in là come l’ ‘immagine della situazione quotidiana dell’uomo che quest’ultimo non è affatto capace di vedere nella sua stupefacente stranezza proprio perché dispone solo del metro della quotidianità’. Cfr. Ivi, p. 52. 41 Ivi, p. 54. 42 Platone, Repubblica, 514 c – 515 e, tr. it. di F. Sartori, Edizioni Laterza, Bari 1999. 43 ‘L’affrancamento dalle catene non è una liberazione effettiva dell’uomo ma rimane esteriore e non coglie l’uomo nel proprio sé’. Cfr. Heidegger, Essenza della verità, cit., p. 61. 44 Ivi, p. 63. 45 Ivi, p. 105. 46 Ivi, p. 67. 47 Platone, Repubblica, 519 d, cit. 48 Ivi, 520 c/d. Claude Lévi-Strauss Levi-Strauss, Elogio dell’antropologia, cit. p. 61. 50 Tristi tropici vengono così definiti da Chiara Vangelista nella sua relazione dal titolo Una lettura etno-storica di Tristi Tropici durante un convegno dedicato alla memoria di LeviStrauss tenutosi a Genova il 21 e il 22 gennaio 2010. Scritto nel 1955 quasi vent’anni dopo il suo primo viaggio in America del Sud, è un testo al quale è difficile attribuire un genere letterario, per la mancanza di scientificità nella stesura, di precisione nella narrazione della storia delle popolazioni raccontate e per la mancanza di attenzione alla lingua portoghese. Vangelista lo definisce un voyage philosophique. 51 Lo stesso Levi-Strauss in Antropologia strutturale due retoricamente chiede: ‘E l’etnologo, che cosa scrive se non confessioni?’. Cfr. Levi-Strauss, Antropologia strutturale due, cit., p. 75. 49 7 Claude Lévi-Strauss: Tavola rotonda 9 giugno 2010 - Padova 8