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Corriere del Veneto Domenica 16 Marzo 2014
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Cultura
Dietro la mostra Nella pittura tra ’400 e ’500 si impose il magistero di Cima
&Tempo libero
«Un Cinquecento inquieto.
Da Cima da Conegliano al rogo
di Riccardo Perucolo» è la mostra aperta fino all’8 giugno a
Palazzo Sarcinelli di Conegliano (Treviso) e in altri luoghi.
In questa serie di articoli Cesare De Michelis ricostruisce arti e pensiero all’inizio del ’500
in questo angolo di Veneto. Info www.uncinquecentoinquieto.it
di CESARE DE MICHELIS
N
ella piana sopra Treviso, prima delle Dolomiti, a destra e
sinistra del Piave, di fronte al
Montello che coi suoi boschi offriva
a Venezia straordinaria ricchezza
del legname indispensabile per la
sua flotta, si sviluppò dai secoli antichi una molteplicità di insediamenti urbani di piccole e medie dimensioni favoriti dall’abbondanza delle
acque fluviali, dalla mitezza del clima, dalla generosa bellezza del paesaggio collinare, dove esercitarono
un potere feudale nobili famiglie
originarie dei luoghi o là insediatesi dopo importanti acquisizioni,
conducendo frattanto una vita distesa, ricca di gratificanti relazioni
culturali e sociali.
Da Asolo a Maser e poi attorno al
Montello, fino a Cornuda e Montebelluna, per passare finalmente oltre il Piave a Ponte della Priula e risalire, quindi, a Conegliano e più su
a Serravalle, o, invece, scendere a
Oderzo, o, ancora, proseguire a
oriente verso Sacile ormai nel Friuli, l’area pedemontana, oggi al centro di un forsennato sviluppo manifatturiero, godeva di diffuso benessere anche cinque secoli or sono e
condivideva coi centri maggiori
una straordinaria vivacità artistica
Una nuova stagione Francesco da Milano, «Resurrezione di Lazzaro e ingresso di Gesù a Gerusalemme» (Scuola dei Battuti, Conegliano)
Uomo, natura e l’idillio finito
Le conseguenze della ribellione di Lutero
si sentono anche tra i colli di Conegliano
Volge al tramonto il Rinascimento veneto
e culturale, sia accogliendo spiriti illustri in cerca di quiete -l’ozio che
favoriva l’amicizia e gli studi- sia
per iniziativa di qualche talento locale capace di intercettare le più feconde innovazioni del gusto, ben
presenti a Venezia o a Padova dove
si intrecciavano i più avventurosi
itinerari dell’intelligenza e della ricerca.
Nella pittura, a cavallo tra Quattro e Cinquecento, si impose il magistero di Cima da Conegliano, forte della lezione dei Bellini e a lungo
attivo nella Dominante, il quale tuttavia non dimenticò mai la terra d’o-
rigine, tornandovi a più riprese accettando significative commesse
che si trasformarono in altrettante
opere esemplari per chiunque volesse cimentarsi coi colori. Di Cima restano memorabili gli squarci di paesaggio che in ogni occasione illuminano lo sfondo delle sue pale ancorando le sacre figure all’immagine
realistica di uno specifico territorio
e altrettanto i vividi colori degli abiti e dei mantelli che sprizzano luce
e splendore.
La sua morte nel ’17 o ’18 conclude una stagione singolarmente serena, che coincide con il trionfo del Ri-
nascimento veneto e l’affermazione
di una civiltà certa di avere ricomposto in una superiore e armoniosa
unità la lezione della classicità e la
tradizione cristiana, tanto appunto
di immaginare se stessa come il
tempo di un vero e proprio ricominciamento che metteva fine a tutte le
lacerazioni e i tormenti dell’interminabile età di mezzo.
Negli stessi mesi la ribellione di
Lutero con le sferzanti tesi di Wittenberg annunciava clamorosamente la fine di ogni spensieratezza e il
più drammatico scisma della storia
della Chiesa: la pace aveva fine e
con essa ogni rassicurante visione
di un mondo equilibrato e sereno,
si rinnovava lo scontro tra innovazione e tradizione, tra ragione e spirito, tra uomo e natura, e così anche il paesaggi dei colli perdeva
ogni tratto di idillio, mentre si addensavano minacciose le nubi all’orizzonte.
Comincia così una nuova stagione del Cinquecento che diventava
inquieto, come appunto hanno intitolato la loro mostra Giandomenico Romanelli e Giorgio Fossaluzza.
Questa irrequietezza durerà cinquant’anni prima di rassegnarsi a
un nuovo ordine, imposto autoritariamente con feroce violenza e perentoriamente regolato con un rigore dottrinario che non tollerava
obiezioni o incertezze e pretendeva
assoluta ubbidienza: paradossalmente lo scontro di civiltà che attraversò e lacerò anche la società veneta si legge con maggiore evidenza
lontano dai grandi centri, nella pace apparente della quiete campestre, dove cercano conforto e sicurezza molti dei protagonisti della
stagione precedente, renitenti a rassegnarsi di dover anche loro cambiare costumi, comportamenti, valori ed idee.
Sta qui, in questa contraddizione
che dapprima si insinua sottile nella coscienza di ciascuno dei protagonisti e poi un poco alla volta cresce
turbante e angosciosa, per esplodere finalmente tragica nei processi
dell’Inquisizione e nelle tremende
condanne, la ragione del fascino di
questa avventura di cultura e di arte a cui prendono parte i protagonisti di un’epoca come poche altre
gloriosa, costretti dagli eventi a misurare la resistenza delle loro idee,
la forza e il coraggio di animi fino
ad allora viziati da rassicuranti successi.
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