TEATRO GRECO: NOZIONI GENERALI Le feste Le feste in onore di Dioniso in Attica erano suddivise in quattro momenti: - a dicembre-gennaio c’erano le Piccole Dionise, o Dionise Rurali; - tra gennaio e febbraio vi erano le Lenee; - febbraio e marzo erano i mesi delle Antesterie; infine marzo e aprile prevedevano le Grandi Dionise o Dionise Urbane. Probabilmente però il culto di Dioniso veniva già celebrato nel mese di ottobre con la vendemmia, evocativa anche del ritorno di Teseo a Creta e della morte del padre Egeo. Le Dionisie Rurali venivano celebrate nei demi attici, in date diverse, e probabilmente festeggiavano la spillatura del vino novello. Nel V secolo c’erano anche agoni teatrali ben organizzati e nel IV secolo nuovi teatri poterono supportare un maggior numero di presentazioni. In contemporanea a questa festa ad Atene ed Eleusi si festeggiavano Dioniso, Demetra e Persefone in un rituale notturno esclusivo per le donne. Le Lenee erano celebrate ad Atene e prevedevano il culto di una raffigurazione di Dioniso come dio-colonna. Dal 442 a. C. furono istituiti gli agoni teatrali per la commedia e dal 423 a. C. anche per la tragedia. Era un’occasione importante per i comici: erano previsti cinque commediografi con una commedia ciascuno. I tragediografi invece erano due, presentavano due tragedie e nessun dramma satiresco. Le Antesterie si articolavano in tre giorni: veniva spillato il vino nuovo, si banchettava e assisteva alla gara, durante la notte si celebrava lo sposalizio tra la regina e Dioniso, e infine si celebravano i morti e si sacrificava a Hermes Ctonio. Per l’occasione veniva aperto il santuario di Dioniso “alle paludi”. Le Grandi Dionise o Dionise Urbane duravano sei giorni e terminavano le celebrazioni dionisiache invernali. Richiamava anche stranieri del Mediterraneo. I lavori erano fermi, i processi e le confische bloccati, i carcerati liberati su cauzione per partecipare alla festa. Il privato che affittava il teatro alla polis prendeva l’incasso degli spettacoli. Le messe in scena duravano dal mattino al tramonto, ininterrottamente. Probabilmente il primo giorno era riservato a cinque commedie di autori diversi mentre gli altri tre erano dedicati interamente a un solo autore ciascuno con tre tragedie e un dramma satiresco. L’ultima giornata era dedicata alle premiazioni. In luglio veniva proclamato chi si sarebbe dovuto onerare le spese degli spettacoli, un tributo obbligatorio da pagare alla polis che portavano però prestigio al privato; ci si poteva rifiutare indicando però un cittadino più ricco. Gli spettacoli venivano presentati qualche giorno prima dell’inizio dell’agone. La vittoria finale era decretata da una giuria di dieci giudici sorteggiati ognuno da una diversa tribù cittadina. I brogli comportavano pene che annoveravano anche la morte. A fine IV secolo le spese per gli allestimenti teatrali e le varie feste religiose vennero affidate a un funzionario che si avvaleva dei fondi statali. Sembrerebbe che le prime rappresentazioni teatrali si ebbero nell’agorà e non nel teatro di Dioniso. Il teatro A destra e a sinistra dell’orchestra vi erano due passaggi chiamati éisodos: quello di destra doveva portare a un luogo cittadino e quello di sinistra invece verso la campagna o luoghi lontani. Al centro si trovava l’altare di Dioniso. Lo spazio dell’orchestra era delimitato dalla skené. Vi era una sorta di soppalco a cui gli attori potevano accedere per impersonare dèi e demoni o persone che semplicemente dovevano trovarsi su un piano elevato. Le azioni si svolgevano sempre in luoghi esterni, nello spazio pubblico, e ciò che accadeva all’ “interno” veniva solo riportato a voce. Alla fine del III secolo cominciò ad affermarsi un dislivello tra l’orchestra e il piano scenico, un carattere che distingueva il teatro dalle sue origini. Venivano utilizzati macchinari che permettevano una vera e propria discesa degli attori sulla scena come divinità o creature fantastiche. Le “scale di Caronte” erano invece meccanismi che permettevano l’entrata e l’uscita dal pavimento tramite botole che rappresentavano l’Oltretomba ma di cui si sa poco. L’ekkýlema serviva a presentare fuori scena alcuni elementi o rappresentare azioni parallele, ma non si sa come funzionasse e cosa fosse. Vi erano poi delle quinte rudimentali, sempre aggiunte in un secondo tempo rispetto al teatro arcaico, e strumenti che simulassero il rumore del suono. Si utilizzavano veri cavalli e bestie da soma e strutture trainabili che invece rendessero l’idea di una nave. Gli attori recitavano sempre con maschere: ciò permetteva agli attori, esclusivamente maschili, di recitare parti femminili ma anche che una stessa persona recitasse personaggi differenti. Le maschere permettevano l’identificazione certa di uomini e dèi, giovani e vecchi, greci e barbari, nobili e schiavi, profeti e sacerdoti, contadini e marinai e, ovviamente, uomini e donne (le maschere femminili erano più chiare a indicare una carnagione più pallida dovuta alla vita dentro le mura domestiche). Alcune maschere rappresentavano poi particolari stati d’animo dei personaggi, come dolore o malattia o altri mutamenti. Un codice di gesti stereotipato sembrava essere predisposto alla rappresentazione di determinati stati d’animo. Le maschere greche erano dei veri e propri caschi comprensivi di capelli. Canti e danze del coro interrompevano l’azione e suddividevano il dramma in episodi. Il coro entrava a inizio spettacolo e rimaneva sulla scena per tutto il tempo. Poteva interagire con gli attori tramite il capocoro e intervenire con canti o recite all’interno dell’episodio. Il coro era formato da 12 elementi in Eschilo, poi 15 in Sofocle ed Euripide. La commedia prevedeva invece un numero di 24 coreuti. In alcuni casi era presente un secondo coro, talvolta il seguito di uno dei personaggi, che rivestiva una parte minore. I balli tragici erano lenti e maestosi, aumentando il loro ritmo per scene più emotive e dinamiche. Volgare e scomposto era invece il ballo della commedia. Nelle Grandi Dionise i poeti gareggiavano con tre tragedie e infine un dramma satiresco. La trilogia poteva seguire un unico filone oppure no. Dovevano però seguire uno schema al loro interno, alternando parti recitate al canto. Il prologo introduceva lo spettacolo e precedeva l’ingresso del coro, che entrava cantando nel momento chiamato pàrodo. Iniziavano quindi gli episodi in cui era suddivisa l’azione. Il canto poteva essere una botta e risposta tra attore e coro (amebèo) o essere svolto unicamente dall’attore (monodìa); un tipo di canto che indicava la lamentazione funebre o un profondo dolore era detto invece kommós. Durante gli stàsimi del coro gli attori non erano in scena. L’esodo rappresentava il congedo finale di attori e coreuti alla fine dello spettacolo. La tragedia trattava generalmente temi della tradizione epica, evitando la storia contemporanea o altre situazioni che potevano turbare il pubblico per la prossimità con le condizioni attuali. Le saghe rappresentate, essendo tradizionali, erano ben conosciute da tutti: al poeta non si chiedeva di inscenare storie nuove ma di apportarvi messaggi originali e nuove interpretazioni. Le modifiche apportate dall’autore erano quindi facilmente recepibili. La tragedia si faceva portatrice di problemi civili e sociali contemporanei, messaggi etici, politici, religiosi e filosofici. Si esaltava Atene e la sua democrazia, si denigravano le altre città con sistemi politici diversi. Euripide esprimeva con la tragedia le sue posizioni circa decisioni pubbliche gravose da intraprendere. Il dramma satiresco alleggeriva al pubblico la giornata tragica. Era scritto dal poeta tragico (mentre non si mescolavano i generi tragedia e commedia sia negli autori che negli attori). Il coro di satiri presenti nel dramma distrae i protagonisti, rovina la solennità degli eroi, smentiscono la serietà della scena. I balli satireschi erano acrobatici. La commedia era inizialmente considerata un genere inferiore rispetto alla tragedia. Fu ammessa agli agoni delle Grandi Dionise nel 486 a. C. Era caratterizzata da oscenità, derisioni, attacchi personali. L’aspetto prettamente comico era ravvisabile nella trama. Sembrerebbe che si sia formata dalla fusione del genere dorico, che aveva rappresentazioni buffe, con i cori dell’Attica. La commedia greca si distingue in tre fasi: la morte di Aristofane (385 a. C.) determina la fine della commedia antica; alla morte di Alessandro Magno (323 a. C.) si conclude la fase di mezzo; con Menandro abbiamo il massimo esponente della commedia nuova. Un tipo di commedia antica ridicolizzava i tipi umani ed era ambientata in paesi fantastici oppure seguiva il filone giambico; la commedia impegnata ribaltava invece la vita della polis. Era usuale l’attacco a personaggi noti. Dopo il prologo introduttivo entrava il coro, quindi cominciava un duello verbale (anche tra attore e coro) e il coro si faceva portavoce dell’autore con riflessioni di stampo politico, religioso, sociale e culturale. Nella seconda parte si svolgono gli episodi che articolano la trama in cui l’eroe si scontra con altri personaggi fino all’esodo, in cui ognuno abbandona la scena. La sconfitta ateniese nella guerra del Peloponneso e la fine della libertà politica portarono a un impoverimento nella produzione della commedia antica, che andò perdendo le sue peculiarità. La commedia di mezzo non affronta questioni politiche, anche se a volte si avvale di personaggi del tempo. La parodia si concentra prettamente sulla mitologia e sulle tragedie che la rappresentano, con una grande attenzione al soggetto di Polifemo e alla sua arte culinaria. Si parla anche di sentimento amoroso guardando ad esso come un qualcosa capace di influire sugli eventi e di sviluppare le azioni. Compaiono poi stereotipi di personaggi quali l’etera, il soldato spaccone, il lenone avido e spietato, il cuoco vanitoso, la mezzana spregiudicata, il servo astuto. Le oscenità e i costumi esagerati della commedia arcaica scompaiono in favore di una rappresentazione più vicina al quotidiano. Menandro fu un esponente della commedia nuova. Politicamente, le polis hanno lasciato il posto alle monarchie elleniche. La figura dell’intellettuale perdeva la funzione di farsi voce della collettività e la letteratura era intrattenimento e non più educatrice. Il nucleo a cui si rivolgeva era quello della famiglia, e il ridimensionamento del nucleo preso in considerazione si manifesta anche attraverso la riduzione del coro: danze e canti scandivano la divisione in 5 atti (che divenne poi canonica) ma la loro inerenza con lo spettacolo era irrilevante, al punto che spesso non era il poeta ad occuparsene.