Linee guida TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Edizione 2015 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Coordinatore Daniele Santini Oncologia Medica - Università Campus Bio-Medico - Roma Segretario Gaetano Lanzetta Oncologia Medica - Casa di Cura I.N.I. Grottaferrata Roma Estensori Alfredo Berruti Oncologia Medica - Università di Brescia Francesco Bertoldo Vincenzo Denaro Toni Ibrahim Sara Ramella Carla Ripamonti Revisori Servizio Malattie e Metabolismo Minerale - Università degli studi Verona Ortopedia e Traumatologia - Policlinico Universitario Campus BioMedico - Roma Osteoncologia - Ist. Tumori della Romagna - Meldola (FC) Radioterapia Oncologica - Policlinico Universitario Campus BioMedico - Roma Cure di Supporto al Paziente Oncologico - Fondazione Istituto Nazionale Tumori - Milano Oncologia Medica - A. O. Treviglio-Caravaggio Treviglio (BG) Clinica Oncologia Medica - A.O. U. Umberto I Lancisi-Salesi - Ancona Ortopedia Oncologica e Ricostruttiva - Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi - Firenze Radioterapia Oncologica - Azienda Ospedaliera S. Maria - Terni Sandro Barni AIOM Rossana Berardi ISO Rodolfo Capanna SIOT Ernesto Maranzano AIRO Andrea Piccioli SIOT Ortopedia Oncologia - Policlinico Umberto I - Roma Roberto Sabbatini AIOM Oncologia - A.O. Univ. Policlinico - Modena 2 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Indice 1. 2. 3. 4. 5. 7. 8. 9. 10 11. 12. 13. 14. 15. Introduzione ................................................................................................................................ 6 Obiettivi del trattamento delle metastasi ossee: prevenzione degli SREs, controllo del dolore e aumento di sopravvivenza .......................................................................................................... 7 Gli end-point di efficacia nel trattamento delle metastasi ossee: quality of life, bone markers . 8 Bone Taget Therapy ................................................................................................................... 9 I bifosfonati e la safety ............................................................................................................. 62 Il trattamento farmacologico del dolore da metastasi ossee ..................................................... 71 Bifosfonati e sopravvivenza .................................................................................................... 73 Il ruolo dei bisfosfonati nel paziente anziano e/o con comorbidità .......................................... 80 L’uso dei bifosfonati in associazione con le terapie specifiche (chemioterapia, radioterapia, farmaci biologici) ..................................................................................................................... 82 Le nuove molecole.................................................................................................................... 84 Il ruolo della chirurgia ortopedica delle metastasi ossee .......................................................... 88 Il ruolo della radioterapia nel trattamento delle metastasi ossee ............................................ 103 Figure ...................................................................................................................................... 129 Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE ........................................................... 133 Allegato: Tabelle GRADE evidence profile 3 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Formulazione dei quesiti e delle raccomandazioni SIGN La formulazione del quesito sul quale si andrà a porre la raccomandazione clinica non dovrebbe essere generico (del tipo: “qual è il ruolo di xxx nel trattamento…”), bensì aderente alla strutturazione P.I.C.O. e cioè: “Nei pazienti con (menzionare le specifiche caratteristiche di malattia, stadio, ecc.)……….. il trattamento con (descrivere l’intervento terapeutico oggetto del quesito)…………………. è suscettibile di impiego in alternativa a….. (descrivere il trattamento altrimenti considerato in alternativa all’intervento in esame)?” Le raccomandazioni vengono presentate in tabelle. Nel caso delle raccomandazioni prodotte con metodologia SIGN (Scottish Intercollegiate Guidelines Network), la riga d’intestazione della tabella è verde, mentre è in arancione nel caso di applicazione del metodo GRADE (v. capitolo specifico). Qualità dell’evidenza SIGN (1) Raccomandazione clinica (3) Forza della raccomandazione clinica (2) B Nel paziente oncologico in fase avanzata di malattia, con dolore di diversa etiologia, la somministrazione di FANS e paracetamolo dovrebbe essere effettuata per periodi limitati e con attenzione ai possibili effetti collaterali. Positiva debole (1) Qualità dell’evidenza SIGN Nell’approccio SIGN, la qualità delle evidenze (singoli studi / metanalisi…) a sostegno della raccomandazione viene valutata tenendo conto sia del disegno dello studio sia di come esso è stato condotto: il Livello di Evidenza viene riportato nel testo a lato della descrizione degli studi ritenuti rilevanti a sostegno o contro uno specifico intervento. I livelli di evidenza dovranno essere precisati (e riportati nel testo) solo per le evidenze (studi) che sostengono la raccomandazione clinica e che contribuiscono a formare il giudizio della Qualità delle Evidenze SIGN. Livelli di Evidenza SIGN 1 Revisioni sistematiche e meta-analisi di RCT o singoli RCT 1 ++ 1+ 1- Rischio di bias molto basso. Rischio di bias basso. Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili. Revisioni sistematiche e meta-analisi di studi epidemiologici di caso/controllo o di coorte o singoli studi di caso/controllo o di coorte. Rischio di bias molto basso, probabilità molto bassa di fattori confondenti, elevata probabilità di relazione causale tra intervento e effetto. Rischio di bias basso, bassa probabilità presenza fattori di confondimento, moderata probabilità di relazione causale tra intervento e effetto. Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili, esiste un elevato rischio che la relazione intervento/effetto non sia causale. 2 2 ++ 2+ 23 Disegni di studio non analitici come report di casi e serie di casi. 4 Expert opinion. 4 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE La Qualità Globale delle Evidenze SIGN viene quindi riportata con lettere (A, B, C ,D) che sintetizzano il disegno dei singoli studi, unitamente all’indicazione sulla diretta applicabilità delle evidenze e alla eventuale estrapolazione delle stesse dalla casistica globale. Ogni lettera indica la “fiducia” nell’intero corpo delle evidenze valutate che sostengono la raccomandazione; NON riflettono sempre l’importanza clinica della raccomandazione e NON sono sinonimo della forza della raccomandazione clinica Qualità Globale delle Evidenze SIGN A B Almeno una meta-analisi o revisione sistematica o RCT valutato 1++ e direttamente applicabile alla popolazione target oppure Il corpo delle evidenze disponibili consiste principalmente in studi valutati 1+ direttamente applicabili alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto Il corpo delle evidenze include studi valutati 2++ con risultati applicabili direttamente alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto. Evidenze estrapolate da studi valutati 1++ o 1+ C Il corpo delle evidenze include studi valutati 2+ con risultati applicabili direttamente alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto. Evidenze estrapolate da studi valutati 2++ Evidenze di livello 3 o 4 D Evidenze estrapolate da studi valutati 2+ (2) LA RACCOMANDAZIONE CLINICA Deve esprimere l’importanza clinica di un intervento/procedura. Dovrebbe essere formulata sulla base del P.I.C.O. del quesito (popolazione, intervento, confronto, outcome). In alcuni casi può contenere delle specifiche per i sottogruppi, indicate con il simbolo √. La forza della raccomandazione clinica viene graduata in base all’importanza clinica, su 4 livelli: Forza della raccomandazione Terminologia Significato clinica Positiva Forte Positiva Debole Negativa Debole Negativa Forte “Nei pazienti con (criteri di selezio-ne) l’intervento xxx dovrebbe es-sere preso inconsiderazione come opzione terapeutica di prima inten-zione” “Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx può essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in alternativa a yyy” “Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx non dovrebbe essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in alternativa a yyy” “Nei pazienti con (criteri di selezio-ne) l’intervento xxx non deve es-sere preso inconsiderazione come opzione terapeutica di prima inten-zione” 5 L’intervento in esame dovrebbe essere conside-rato come prima opzione terapeutica (evidenza che i benefici sono prevalenti sui danni) L’intervento in esame può essere considerato come opzione di prima intenzione, consapevoli dell’esistenza di alternative ugualmente proponibili (incertezza riguardo alla prevalenza dei benefici sui danni) L’intervento in esame non dovrebbe essere considerato come opzione di prima intenzione; esso potrebbe comunque essere suscettibile di impiego in casi altamente selezionati e previa completa condivisione con il paziente (incertezza riguardo alla prevalenza dei danni sui benefici) L’intervento in esame non deve essere in alcun caso preso in considerazione (evidenza che i danni sono prevalenti sui benefici) LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 1. Introduzione Daniele Santini L’osso rappresenta la terza sede più comune di metastasi, preceduto solo da polmone e fegato. In Italia è possibile stimare un’incidenza annuale di metastasi ossee di circa 35.000 nuovi casi /anno. Circa l’80% delle metastasi scheletriche è sostenuto dai tumori della mammella, della prostata, del polmone, del rene e della tiroide (1). Si sta osservando inoltre un progressivo aumento di incidenza delle metastasi ossee correlato al fatto che il malato oncologico grazie a terapie più efficaci vive più a lungo (1). Circa il 25% dei pazienti con metastasi ossee rimane asintomatico, la diagnosi viene fatta con esami eseguiti per altri motivi o durante la stadiazione del tumore primitivo. Nel restante 75% le localizzazioni ossee sono responsabili, dal punto di vista clinico, di una serie di complicanze, definite eventi scheletrici correlati (SRE) (2,3). Gli SRE sono, secondo le linee guida internazionali, la frattura patologica, la radioterapia su un segmento osseo, la chirurgia ortopedica, la compressione midollare e l’ipercalcemia. La frequenza degli eventi scheletrici dipende dalla natura osteolitica od osteoaddensante delle lesioni ossee, dalla loro sede e numero, dalla gestione e dal trattamento delle complicanze stesse. Il dolore è il sintomo più frequente (2,3). Gli eventi scheletrici e il dolore hanno dimostrato in diversi studi di peggiorare in maniera significativa la qualità di vita del paziente, riducendone l’autonomia funzionale e peggiorando lo stato psico-emozionale dello stesso. Inoltre sono ormai chiare le evidenze cliniche di una correlazione diretta tra eventi scheletrici ed incremento della mortalità nel tumore della mammella, della prostata, del polmone e nel mieloma multiplo. Infine la gestione del paziente con metastasi ossee e delle sue complicanze rappresenta un problema centrale anche da un punto di vista della spesa sanitaria (4,5). Per tutti questi motivi riteniamo che sia giunto il giusto momento per la stesura delle prime linee guida nazionali sulle metastasi ossee che auspichiamo potranno divenire un utile strumento nella pratica clinica dell’operatore sanitario (oncologo medico, radioterapista, ortopedico) che si trova a gestire e trattare il paziente oncologico con metastasi ossee. La stesura delle presenti linee guida è stata basata sull’ausilio: Delle linee guida e raccomandazioni già pubblicate da parte di altre organizzazioni scientifiche internazionali (American Society of Clinical Oncology; Guidance on the use of bisphosphonates in solid tumours: recommendations international expert panel by M Aapro et al.; Chocrane network reviews; Practical guidance for the management of aromatase inhibitor-associated bone loss by Hadji P et al.; European Organization for Research and Treatment of Cancer); Di un’estesa ed aggiornata valutazione critica della letteratura pubblicata sull’argomento mediante una ricerca bibliografica sui più comuni motori di ricerca medica per i full Paper e sui siti online dei meeting internazionali per gli abstract. Ogni affermazione è stata supportata da almeno una referenza bibliografica, aggiornata a Giugno 2013 e, quando possibile e necessario, è stato formulato il livello di prove di efficacia e di forza delle raccomandazioni, secondo il metodo SIGN Take home message: L’incidenza delle metastasi ossee secondarie a tumori solidi è in costante aumento. Le metastasi ossee causano importanti complicanze (SREs), con conseguente peggioramento della qualità di vita e incremento della mortalità. Pertanto si è ritenuta indicata la stesura di aggiornate Linee Guida che diano indicazioni e direttive riguardanti la gestione del paziente con metastasi ossee. Metodo utilizzato SIGN. Bibliografia 1. Tubiana-Hulin M.Incidence, prevalence and distribution of bone metastases. Bone. 1991;12 Suppl 1:S9-10. 2. Coleman RE. Clinical features of metastatic bone disease and risk of skeletal morbidity. Clin Cancer Res. 2006 Oct 15;12(20 Pt 2):6243s-6249s. 3. Coleman RE. Skeletal complications of malignancy. Cancer. 1997 Oct 15;80(8 Suppl):1588-94. 6 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 4. Weinfurt KP, Li Y, Castel LD, Saad F, Timbie JW, Glendenning GA, Schulman KA. The significance of skeletalrelated events for the health-related quality of life of patients with metastatic prostate cancer. Ann Oncol. 2005 Apr;16(4):579-84. 5. Zeliadt SB, Penson DF. Pharmacoeconomics of available treatment options for metastatic prostate cancer. Pharmacoeconomics. 2007;25(4):309-27. 2. Obiettivi del trattamento delle metastasi ossee: prevenzione degli SREs, controllo del dolore e aumento di sopravvivenza Daniele Santini, Vladimir Virzì, Maria Elisabetta Fratto Le metastasi ossee sono associate ad una importante morbilità scheletrica, come dolore osseo severo che può richiedere terapia antidolorifica o radiante palliativa, fratture patologiche, compressione del midollo spinale o delle radici nervose e ipercalcemia maligna. Tutti questi eventi riducono la qualità di vita dei pazienti. Sono quindi necessarie terapie efficaci che riducano e ritardino queste complicanze scheletriche. Gli approcci tradizionali per il trattamento di questi pazienti comprendono le terapie antineoplastiche (chemioterapie o terapie biologiche), radioterapia, chirurgia ortopedica, che possono essere somministrate in associazione con le terapie di supporto o palliative. In aggiunta a queste terapie, in questi ultimi anni si stanno utilizzando i bifosfonati come opzione terapeutica efficace nella prevenzione delle complicanze scheletriche associate alle metastasi ossee. Il principale obiettivo della terapia delle metastasi ossee è di prevenire gli eventi scheletrici correlati alle metastasi ossee (SREs), che sono: fratture, ipercalcemia maligna, compressione del midollo spinale, necessità di radioterapia antalgica e chirurgia ossea decompressiva [1]. Ma la terapia delle metastasi ossee è anche diretta a ridurre il dolore secondario alla malattia ossea metastatica e possibilmente ad aumentare la sopravvivenza dei pazienti con metastasi ossee. Per verificare l’efficacia dei bifosfonati nel raggiungimento di tali obiettivi vengono utilizzati obiettivi specifici di efficacia. Ad esempio, il numero di pazienti con il primo SRE o il tempo al primo SRE sono end-points oggettivi che forniscono valutazioni dell’efficacia del trattamento [2], anche se tali parametri forniscono informazioni solo sul primo evento, non considerando i dati su tutti gli eventi successivi. Il tasso di morbilità scheletrica (SMR) o il tasso di morbilità scheletrica periodica (SMPR) sono end-points che valutano il numero di eventi che insorgono in un determinato periodo di tempo (es. eventi/anno). Tali parametri valutano l’insorgenza di multipli eventi scheletrici, prendendo in considerazione il tempo tra ogni evento successivo; comunque l’evidenza clinica suggerisce che i pazienti con metastasi ossee mostrano variazioni considerevoli del numero di eventi scheletrici e dell’intervallo di tempo in cui essi possono insorgere [3]. Le analisi di regressione, come l’analisi di Andersen-Gill, considerano tutti gli eventi così come il tempo tra gli eventi, considerando anche le variazioni tra diversi pazienti e nello stesso paziente [4]. L’analisi di Poisson, non considerando i tassi di eventi non costanti, è soggetta agli stessi limiti delle altre analisi. Al contrario l’analisi di eventi multipli fornisce una valutazione complessiva della morbilità scheletrica durante l’intero periodo del follow-up. Insieme, tutte queste analisi statistiche forniscono una valutazione complessiva del beneficio clinico dei farmaci a target osseo nei pazienti con metastasi ossee. Per quanto riguarda il controllo del dolore, vi è evidenza di grado 1 che gli amino-bifosfonati e il denosumab sono risultati efficaci nel ridurre il dolore nei tumori solidi e nel mieloma. Studi hanno inoltre confermato che il controllo del dolore e del turnover sono correlati e che solo i soggetti che normalizzano il turnover ottengono un significativo miglioramento [5]. Un altro obiettivo della terapia delle metastasi ossee è l’incremento della sopravvivenza del paziente metastatico. I bifosfonati e il denosumab, riducendo gli SREs e il dolore dei pazienti con malattia ossea metastatica, potrebbero rilevarsi efficaci nel raggiungimento di tale obiettivo. Take home message: Gli obiettivi del trattamento delle metastasi ossee sono la riduzione di incidenza e il ritardo della comparsa degli SRE. La diretta consequenza della riduzione degli SRE è rappresentata da un miglioramento della qualità di vita, del dolore e, in alcuni casi, un incremento della sopravvivenza. 7 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Bibliografia 1. Santini D, Fratto ME, Vincenzi B, et al.: Zoledronic acid in the management of metastatic bone disease. Expert Opin Biol Ther, 2006; 6(12):1333-1348. 2. Williams G, Pazdur R, Temple R: Assessing tumor-related signs and symptoms to support cancer drug approval. J. Biopharm. Stat. (2004) 14:5-21. 3 Major PP, Cook RJ, Chen BL et al.: Survival-adjusted cumulative event analysis of skeletal-related events in patients with cancer metastatic to bone in trials of zoledronic acid. Presented at: What is new in bisphosphonates? Seventh workshop on bisphosphonates. From the laboratory to the patient. Davos, Switzerland (24 – 26 March 2004). 4. Andersen PK, Gill RD: Cox’s regression model for counting processes: a large sample study. Ann. Stat. (1982) 10:1100-1120. 5. Jagdev SP, Purohit OP et al (2001) Comparison of the effects of intravenous pamidronate and oral clodronate on symptoms and bone resorption in patients with metastatic bone disease.Ann Oncol 12:1433-1438 3. Gli end-point di efficacia nel trattamento delle metastasi ossee: quality of life, bone markers Daniele Santini, Vladimir Virzì, Maria Elisabetta Fratto Vi è massima evidenza che gli aminobifosfonati siano efficaci nel ridurre la morbilità scheletrica in corso di malattia metastatica ossea, pertanto questi farmaci vengono correntemente utilizzati per il trattamento delle metastasi scheletriche. Con l’incremento dell’utilizzo di tali farmaci, si rendono sempre più necessari parametri surrogati per una valutazione di risposta individuale alla terapia. Ciò permetterebbe di ottimizzare e individualizzare il trattamento con bifosfonati. La malattia metastatica scheletrica si associa invariabilmente a una sintomatologia dolorosa generalmente intensa, di difficile controllo e gravata da un’importante compromissione della qualità di vita del paziente. Infatti la presenza delle metastasi ossee compromette la qualità di vita sia perché spesso le complicanze secondarie alle metastasi ossee necessitano di chirurgia ortopedica, radioterapia e di ricoveri ospedalieri, sia a causa del dolore osseo ad esse correlato. Il controllo del dolore, pertanto, diventa in questi pazienti un endpoint prioritario e la qualità di vita del paziente rappresenta l’end-point di efficacia del trattamento delle metastasi ossee La valutazione clinica del dolore è essenziale sia per decidere l’approccio diagnostico volto a comprenderne le cause e la fisiopatologia, sia per definire la strategia terapeutica. La severità del dolore può esser valutata con numerosi metodi: scale di intensità, di sollievo e questionari multidimensionali. Le scale di intensità si distinguono in scale analogiche visive (VAS), scale numeriche (NRS) e scale verbali (VRS). Per una valutazione multidimensionale del dolore oncologico sono disponibili diversi questionari; i più conosciuti sono: il McGill Pain Questionnaire, il Brief Pain Inventory e la Memorial Pain Assessment Card. Evidenze sempre maggiori mostrano come la valutazione dei bone markers possa essere considerato un end-point prognostico ma non vi è per ora dimostrazione che sia anche un parametro di efficacia del trattamento delle metastasi ossee. Poichè il livello di turnover osseo condiziona l’evoluzione clinica delle metastasi ossee, i marcatori di riassorbimento e di neoformazione ossea possono essere utilizzati come parametri correlati alla prognosi scheletrica e alla sopravvivenza dei pazienti con metastasi ossee ma non possono essere impiegati come parametri surrogati di efficacia del trattamento con bifosfonati delle metastasi [1]. I marcatori del turnover osseo possono essere divisi in marcatori di neoformazione ossea e in marcatori di riassorbimento osseo. I marcatori di neoformazione ossea, come la fosfatasi alcalina ossea specifica e l’osteocalcina sono aumentati nei pazienti con metastasi ossee, ma variazioni della loro concentrazione possono essere difficili da interpretare in quanto possono essere secondari a modificazioni della massa ossea. Risulta pertanto essere più interessante la valutazione dei rapporti tra i diversi marcatori piuttosto che l’analisi dei valori dei singoli marcatori [2]. Per quanto riguarda i marcatori di riassorbimento osseo, essi riflettono l’iperattività dell’attività osteoclastica presente nelle metastasi ossee, con secondario incremento della proteolisi della matrice organica e rilascio di calcio, fosfato e dei prodotti di degradazione del collagene nel sangue. I principali marcatori di riassorbimento sono: l’idrossiprolina urinaria, la piridinolina e la deossipiridinolina, i telopeptidi N-terminale urinario e sierico e C-Terminale sierico del procollagene di tipo I e l’escrezione urinaria di calcio [3]. 8 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Diversi studi mostrano che i marcatori ossei circolanti, specialmente l’N-Telopeptide urinario (uNTX), correlano con l’estensione dell’interessamento osseo e la progressione di malattia a livello osseo [4], ma anche con la capacità dei bifosfonati di ritardare o ridurre l’incidenza di eventi scheletrici [5] . Ulteriori studi sono in corso per meglio definire il ruolo dei marcatori di riassorbimento osseo nei pazienti con malattia ossea metastatica. Take home message: Per l’ottimizzazione e l’individualizzazione della terapia con bifosfonati la qualità di vita e i marcatori di riassorbimento e neoformazione ossea possono essere validamente impegati come parametri prognostici ma non possono essere utilizzati, con lo stesso livello di evidenza, come parametri surrogati di efficacia. Bibliografia 1. Brown JE et al (2005) Bone turnover markers as predictor of skeletal complications in prostate cancer, lung cancer and other solid tumors. J Nat Cancer Inst 97:59-69 2. Coleman RE, Whitaker KB, Moss D, et al. Biochemical prediction of response of bone metastases to treatment. Br J Cancer 1988; 58: 205–10. 3. Assessment of therapeutic response in patients with metastatic bone disease. Clamp A, Danson S, Nguyen H, Cole D, Clemons M. Lancet Oncol. 2004 Oct;5(10):607-16 4. Costa L, Demers LM, Gouveia- Oliveira A, et al: Prospective evaluation of the peptide-bound collagen Type I crosslinks N-telopeptide and C-telopeptide in predicting bone metastases status. J Clin Oncol, 2002; 20: 850–856. 5. Brown J, Cook R, Coleman RE, et al: The role of bone turnover markers in predicting clinical events in metastatic bone disease. Proc. Am. Soc Clin Oncol, 2003; 22:738. 4. Bone Taget Therapy MALATTIA METASTATICA A. 1 Carcinoma mammario Francesco Bertoldo Indici di efficacia Numerosi RCT e metanalisi hanno documentato l’efficacia dei bisfosfonati nel trattamento delle metastasi scheletriche in donne affette da carcinoma della mammella (1). Come indici di efficacia nei RCT per i vari bisfosfonati sono stati utilizzati diversi end point (2) (TAB. 2). Gli end point primari nei vari RCT sono molto eterogenei. Per il clodronato è stato usato il numero di CS (3) ed il numero di nuove CS (4). Per il pamidronato è stato utilizzata la frequenza di nuove CS (eventi/per anno) (5, 6), per l’ibandronato la SMPR (numero di eventi che occorrono in determinato intervallo di tempo (12 settimane) (7, 8), per l’ac.zoledronico la proporzione di soggetti che incorrevano in almeno una CS (9) e nella frequenza di CS (10). La frequenza degli eventi scheletrici (Skeletal Event Rate) è stata riportata come proporzione cumulativa degli eventi negli studi con il clodronato (3, 11) o come numero totale degli eventi per il pamidronato (12) oppure infine come numero di eventi/per anno (10). Tra gli end point secondari vengono variamente riportati negli studi il tempo di comparsa della prima CS, l’incidenza media delle CS, la multiple event analysis secondo Anderson-Gill, il dolore (utilizzando diverse scale), la sopravvivenza e la qualità di vita (QoL). Nella metanalisi di Pavlakis e coll. i dati di efficacia sono stati resi omogenei e paragonati esprimendoli come Rischio Relativo (RR) di sviluppare un evento scheletrico in corso di terapia con BP rispetto al placebo (Tab 3) (1). Va tenuto peraltro in considerazione del limite dei confronti indiretti tra RCT diversi. 9 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 2. Bisfosfonati 2.1 Effetto dei bisfosfonati sulle complicanze scheletriche L’efficacia dei bisfosfonati è stata dimostrata in donne con carcinoma della mammella e metastasi ossee. L’efficacia è stata dimostrata nella riduzione del rischio di sviluppare complicanze scheletriche e secondariamente nel ritardare la comparsa della complicanza scheletrica. Un’ampia metanalisi (13) ha documentato che, confrontati con il placebo, i bisfosfonati riducono il rischio di fratture non vertebrali (OR 0.80; 95% CI :0.64-0.99), di tutte le fratture (OR 0.75; 95%CI 0.61-0.93), di necessità di radioterapia (OR 0.65; 95% CI 0.54-0.79), di interventi di ortopedia (OR 0.59; 95% CI 0.430.83), e di ipercalcemia (OR 0.43; 95% CI 0.29-0.63). Livello di evidenza SIGN 1++. In nove studi con inclusione di 2.189 donne con carcinoma della mammella avanzato e metastasi scheletriche evidenziate radiograficamente o con scintigrafia, il trattamento con BP ha indotto un riduzione del 21% (RR 0.79%; 95% CI 0.74-0.86) del rischio di incorrere in una complicanza scheletrica. Se si esclude l’ipercalcemia dal raggruppamento delle complicanze scheletriche, la riduzione del rischio è del 15% (RR 0.85%; 95% CI 0.79-0.91). (1) Livello di evidenza SIGN 1++. La frequenza degli eventi scheletrici (Skeletal Event Rate) è riportata in maniera eterogenea tra gli studi. Per clodronato, ibandronato ev e os, pamidronato e zoledronato (circa 3486 donne trattate complessivamente) vi è stata una significativa riduzione media della frequenza di eventi del 28% (tra 14% ed il 48%). Nello studio compartivo di non inferiorità tra zoledronato 4 mg e pamidronato 90 mg analizzando il numero di eventi per anno (esclusa l’ipercalcemia) non vi era una significativa differenza (0.9 per zoledronato e 1,49 per pamidronato; p 0.125) ma analizzando la Multiple Event Analysis con il metodo Anderso-Gill, lo zoledronato riduce del 20% rispetto al pamidronato il rischio di eventi scheletrici (RR 0.80,95% CI 0.66-0.99 p 0.025). Il tempo di comparsa di una complicanza scheletrica rappresenta un end point secondario degli studi ma un importante parametro di efficacia nella clinica. Negli studi con clodronato orale, pamidronato, ibandronato endovenoso e zoledronato verso placebo vi era una significativo ritardo di comparsa del primo evento scheletrico rispetto al gruppo placebo (rapporto BP/PL tra 1.34 e 2.02) (1). Nello studio comparativo tra zoledronato e pamidronato (19) non vi erano differenze significative nel tempo di comparsa dell’evento scheletrico. In un sottogruppo di pazienti con solo metastasi litiche e nel sottogruppo di pazienti trattate con terapia ormonale lo zoledronato aumentava significativamente il tempo di comparsa della prima complicanze scheletrica (136 giorni e 45 giorni rispettivamente) (p< 0.01) (1, 9). Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica A L’uso dei bisfosfonati ibandronato, pamidronato e zoledronato è raccomandato in donne con carcinoma della mammella e metastasi ossee in quanto è in grado di ridurre il numero di eventi scheletrici e ritardarne significativamente la comparsa. Positiva forte Gli effetti dei BP sulle CS sembrano essere tempo-dipendenti (14) Livello di evidenza SIGN 1+. I BP hanno dimostrato efficacia dopo almeno 6 mesi di trattamento e dopo 12 mesi per quanto riguarda gli interventi ortopedici. 10 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 2.2 Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B In base all’effetto tempo-dipendente sulle complicanze scheletriche, si dovrebbe valutare l’opportunità di iniziare il trattamento in base all’aspettativa di vita del paziente Positiva debole Effetto dei bisfosfonati sul dolore e qualità di vita L’effetto sul dolore è tra gli end point secondari ma riveste una notevole importanza clinica. Il controllo del dolore è un componente fondamentale della qualità della vita del paziente. L’effetto dei bisfosfonati sul dolore in corso di trattamento per metastasi ossee nel carcinoma della mammella è stato dimostrato, dove esplorato, nella maggioranza dei RCT, con i diversi tipi di disfosfonati e con le formulazioni, orale ed endovenosa (1, 15, 16) Livello di Evidenza SIGN 1+. I dati sono stati raccolti nei diversi RCT con una notevole eterogeneità di strumenti di valutazione e scale (2). Un significativo effetto sul dolore e sulla riduzione dell’uso di analgesici è stato documentato in numerosi RCT con pamidronato (5, 6, 17). I due studi compartivi tra pamidronato e clodronato si è documenato il vantaggio del primo nel ridurre il dolore (18). In tre RCT l’ibandronato sia in formulazione orale che endovenosa, ha dimostrato di ridurre durante i due anni di trattamento lo score del dolore (19). In un piccolo studio pilota, dosi intensive di ibandronato (4 mg ev per 4 giorni consecutivi) riduceva in 7 giorni il dolore in soggetti non responsivi alla morfina (19). Per lo zoledronato non vi era una significativa differenza rispetto al gruppo trattato con pamidronato. In questo studio tuttavia l’uso di analgesici rimase stabile per il periodo di osservazione. L’effetto analgesico è stato rilevato anche in alcuni studi in aperto (20, 21). I bisfosfonati non vanno considerati come alternativa alla terapia antidolorifica (scala OMS) , ma vanno affiancati ad essa secondo le indicazioni OMS (23, 24) ed in accordo con le linee guida ASCO 2003 (25) . La qualità della vita (QoL) è stato posto come end point secondario nella valutazione di efficacia dei BP nel trattamento delle donne con carcinoma della mammella e metastasi ossee. Il mantenimento della mobilità, dell’autosufficienza, il controllo del dolore sono componenti fondamentali della QoL e sono legate alla riduzione delle complicanze scheletriche (17, 22). L’end point QoL è stato esplorato con diversi strumenti non standardizzati in diversi studi (1). Livello di Evidenza SIGN 1+. Si rileva quindi la necessità di adottare uno strumento per l’esplorazione della QoL più idoneo, standardizzato e finalizzato alla pazienti con metastasi ossee (2). Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B I BP non dovrebbero sostituire la terapia antalgica e non costituiscono la prima scelta nella terapia del dolore da metastasi scheletriche Negativa debole 2.3 La scelta del tipo di bisfosfonato La scelta del tipo di bisfosfonato da utilizzare è legata a diverse valutazioni: dati di evidenza di superiorità basati su studi di comparazione diretta, aspetti relativi al paziente come la compliance, la preferenza del soggetto e la situazione clinica (ad esempio la possibilità di rispettare alcune regole per l’assunzione orale), la presenza di effetti collaterali ed infine la valutazione di mancata o insufficiente risposta ad un BP. La definizione di una maggior efficacia di una farmaco rispetto all’altro si basa su prove di evidenza derivanti da confronti diretti in RCT. La comparazione di risultati ottenuti da studi verso placebo soffrono di considerevoli limiti per la diversità della popolazione selezionata, degli end point e di aspetti metodologici. 11 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Studi di comparazione diretta hanno dimostrato la superiorità del pamidronato (90 mg) rispetto al clodronato sul controllo del dolore (18). Nello studio di comparazione tra zoledronato e pamidronato con analisi post hoc, lo zoledronato è risultato superiore al pamidronato in una sottopolazione con metastasi litica, condizionando un maggior tempo di comparsa dei CS (310 vs 174 giorni, p= 0.013) e nel gruppo di donne in terapia ormonale (310 vs 174 giorni, p 0.013) (1, 26). Un possibile vantaggio dello zoledronato rispetto al pamidronato è stato evidenziato mediante Multiple Events Analysis (Anderson-Gill), con una riduzione maggiore del 20% del rischio di Cs (1, 26). Sono in corso due RCT di fase III di comparazione diretta tra ibandronato e zoledronato (27, 28). Lo zoledronato ed il pamidronato sono gli unici amino-bisfosfonati che hanno documentata efficacia su tutti gli end-point. (7, 9, 10, 29). L’efficacia dell’ibandronato per via endovenosa (6 mg/1fl ogni 21-28) sembra superiore a quella della formulazione orale (50 mg/die) (1) In una recente metanalisi della Cochrane (1) sono stati analizzati 34 RCT. In 9 studi (2806 pazienti affette da carcinoma della mammella e metastasi ossee) l'uso dei Bisofosofnati rispetto al placebo ha ridotto significativamente il richio di SRE del 15% (RR0.85%; IC 95% 0.77-0.94, p <0.001). Il beneficio era evidentee per ac zoledronico (RR 0.59), per pamidronato (RR 0.77) e per ibandronato e.v. (RR 0.80) Livello di Evidenza SIGN 1++. Nella Tabella 3 sono riportati i relativi benefici sul rischio di complicanze scheletriche, espressi con RR (95% IC) e riduzione del rischio (%, RRR), e l’incremento percentuale del tempo di comparsa della complicanza rispetto al placebo (1). In nessuno studio con bisofosfonato in questo setting viene riportato un aumento della soppravvinenza. Le linee guida ASCO aggiornate al 2011 (25) consigliano l’uso tra gli aminobisfosfonati di pamidronato e zoledronato.Tuttavia non esprimo alcun giudizio di superiorità tra ac zoledronico, pamidronato e denosumab. Le linee guida ESMO 2011 (30.) indicano una scelta tra i farmaci guidata dalla caratteristiche individulai del paziente, come tollerabilità compliance e costi. Le linee guida Cancer Care Ontario aggiornate al 2004 (31) suggeriscono di iniziare con pamidronato e clodronato per passare, in caso di inadeguata risposta, a zoledronato. La SIOG (International Society of Geriatric Oncology) consiglia nel paziente anziano con dolore ed impossibilità di muoversi di iniziare con le fromulazioni orali di ibandronato o clodronato per passare a quelle endovenosa di pamidronato o zoledronato qualora migliorasse la sua mobilità o ci fossero problemi di compliance o di rispetto dell regole di assunzione (23). Recentemente un panel di esperti suggerisce come migliore la scelta di utilizzare BP per via endovenosa, per ovviare alle problematiche di compliance, aderenza e penitenza alla terapia, corretta assunzione ed intolleranza gastrointestinale legata all’assunzione orale (32) Livello di Evidenza SIGN 4. Non vi sono evidenze che dimostrino che il passaggio da un aminoBP ad un altro migliori l’effetto sulle complicanze scheletriche. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D Si suggerisce di utilizzare un aminobisfosfonato per via endovenosa, tranne in particolari condizioni di trasportabilità o mobilità del paziente. Positiva debole Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D La scelta del bisfosfonato deve tenere conto delle condizioni (mobilità, trasportabilità) e preferenze del paziente che ne condizionano la compliance Positiva debole 12 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE In Italia sono registrati dal SSN con l’indicazione metastasi ossee da carcinoma della mammella il clodronato, un non-aminobisfosfonato (I° generazione), due aminobisfosfonati di seconda generazione, il pamidronato e ibandronato, e un amionobosfosfonato di terza generazione, l’ac. Zoledronico. Per il clodronato e ibandronato sono disponibili in Italia sia la formulazione orale che quella per infusione endovenosa. Nella tabella 1 sono riportate le posologie e la schedula di trattamento con i diversi BP e le diverse formulazioni. 3. Denosumab Sono stati recentemente pubblicati i risultati di uno studio prospettico randomizzato in doppio cieco che ha voluto testare l’efficacia di denosumab somministrato sottocute alla dose di 120 mg + placebo per via endovenosa ogni 28 giorni versus acido zoledronico somministrato per via endovenosa + placebo sottocute in 1026 pazienti affetti da carcinoma della mammella in fase metastatica a livello scheletrico [36]. L’obiettivo primario di questo studio è stato dimostrare la non inferiorità in termini di tempo all’insorgenza del primo evento scheletrico avverso (end point complesso comprendente le fratture patologiche, compressione midollare, necessità di radioterapia e/o di chirurgia). Obiettivo secondario era di testare la superiorità di denosumab versus acido zoledronico nel ritardare la comparsa del primo evento scheletrico. In questo studio denosumab ha dimostrato di prolungare significativamente il tempo al primo SRE rispetto all’acido zoledronico (HR 0.82; 95%CI: 0.71–0.95; p [non inferiorità] < 0.0001, p [superiorità] =0.01). Tra gli obiettivi secondari vi era anche la valutazione della superiorità di denosumab rispetto ad acido zoledronico nel ritardare la comparsa del primo e dei successivi SRE. Tale obiettivo è stato raggiunto (HR 0.77; 95%CI: 0.66–0.89; p [superiorità] =0.01) ( Livello di Evidenza SIGN 1++) 3.1 Progressione scheletrica e Soppravvivenza globale Nello studio randomizzato [36), Denosumab non ha dimostrato alcuna differenza rispetto ad acido zoledronico in termini intervallo libero da progressione: HR 1.06 (95% IC 0.89–1.11; p=0.93) (Livello di Evidenza SIGN 1+). Nello studio randomizzato di denosumab versus acido zoledronico [36], la sopravvivenza globale è risultata sovrapponibile in entrambi i bracci di trattamento: HR 0.95 (95% IC: 0.81–1.11; p=0.49). (Livello di Evidenza SIGN 1+). 3.2 Dolore e qualità di vita Dall’analisi integrata dei tre RCT identici di confronto tra denosumab e ac zoledronico nel trattamento di pazienti con metastasi ossee (5544 pazienti di cui 2046 con cr. della mammella) ,denosumab ritarda di 1.8 mesi rispetto ad ac zoledronico l’incremento del dolore da assente/lieve a moderato/severo.L’utilizzo di oppiodi maggiori e il peggioramento della qualità della vita erano meno frequenti.(37). (Livello di Evidenza SIGN 1++). 3.3 Raccomandazioni Circa la scelta tra ac zoledronico e denosumab nella prevenzione degli SRE le linee guida ASCO sostengo che non vi siano le evidenze per preferire l’uno all’altro (38). Le linee guida ESMO, sebbene definiscano la scelta ancora aperta, sottolineano come l’evidenza di superiorità del denosumab su ac zoledronico sia assai maggiore di quella riconosciuta per ac zoledronico sugli altri bisfosofnati, in particolare su pamidronato(39).AIOM ha affrontato, secondo la metodologia Grade, la domanda “Nelle pazienti affette da carcinoma mammario con metastasi ossee alla prima diagnosi è raccomandabile l’impiego di denosumab verso bifosfonati?”, con risposta positiva (vedi capitolo 12). 13 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Circa la durata del trattamento e la possibilità di modificare la schedula di trattamento, come ipotizzato dallo studio ZOOM per ac zoledronico, le caratteristiche farmacodinamiche/farmacocinetiche di denosumab non permettono di prevedere sospensioni o interruzioni a scapito di una perdita di efficacia (40,41). Tra gli eventi avversi più comuni emersi dai RCT in corso di trattamento con denosumab vi è l’ipocalcemia. L’incidenza di ipocalcemia di grado superiore a 2 era 8.4% nel braccio trattato con denosumab contro 6.2% riscontrata nel braccio trattato con ac zoledronico (42). L’incidenza era maggiore nei primi sei mesi di trattamento e nei pazienti non adeguatamente supplementari con vitamina D.(42) Inoltre apparentemente il rischio di ipocalcemia sembra maggiore se il paziente non è stato già precedentemente trattato con bisfosfonati (43). Qualità Globale delle evidenze GRADE Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica Nelle pazienti affetta da carcinoma mammario con metastasi ossee alla prima diagnosi il trattamento con denosumab può essere utilizzato Moderata *La valutazione complessiva della qualità delle evidenze ad oggi disponibili circa “l’efficacia di denosumab in pazienti affetta da carcinoma mammario con metastasi ossee alla prima diagnosi”, la valutazione del rapporto tra i benefici ed i danni correlati e la formulazione della raccomandazione relativa al quesito posto, sono state analizzate secondo metodologia GRADE (vedere capitolo 12). Positiva debole Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B Il Denosumab come i Bisfosofnati può trovare impiego per il controllo del dolore in pazienti con metastasi ossee da carcinoma delle mammella e pare più efficace dell’acido zoledronico nel ritardare la progressione del dolore. Come per i BP non può sostituire i farmaci analgesici. Positiva debole Take home message: I bisfosfonati sono efficaci nel ridurre le complicanze scheletriche, nel ritardare il tempo di comparsa delle complicanze scheletriche e nel ridurre il dolore osseo in pazienti con metastasi ossee secondarie a carcinoma mammario. Il Denosumab è una valida alternativa all’uso dei bisfosfonati per quanto riguarda la prevenzione delle complicanze scheletriche. Il Denosumab è superiore all’acido zoledronico in termini di ritardo della comparsa del primo e dei successivi SRE. Bibliografia 1. Pavlakis N, Schmidt RL, Stockler M. Bisphosphonates for breast cancer. Cochrane Database of Systematic Review 2005,Issue 3, art. No.: CD003474.DOI:10.1002/14651858.CD003474.pub2. 2. Clemons M, Dranitsaris G, Cole D et al. Too much, too little, too late to start again? Assessing the efficacy of bisphosphonates in patients with bone metastases from breast cancer. The Oncologist 2006; 11:227-233. 3. Kristensen B, Ejlertsen B, Groenvold M et al. Oral clodronate in breast cancer patients with bone metastase: a randomized study. J Int Med 1999; 246: 67-74. 14 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 4. Tubiana-Hulin M, Beuzeboc P, Mauriac L et al. Double-blinded controlled study comparino clodronate versus placebo in patients with breast cancer bone metastases. Bull Cancer 2001; 88: 701-707. 5. Hortobagyi GN, Theriault RL, Lipton A et al. Long term prevention of skeletal complications of metastatic breast cancer with pamidronate. Protocol 19 Aredia breast Cancer Study Group. J Clin Oncol 1998; 16: 2038-2044. 6. Theriault RL, Lipton A, Hortobagyi GN et al. Pamidronate reduces skeletal morbidity in women with advanced breast cancer and lytic bone lesions: a randomized, placebo-controlled trial. Protocol 18 Aredia Breast Cancer Study Group. J Clin Oncol 1999; 17: 846-854. 7. Body JJ, Diel lJ, Lichinitser MR et al. 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Bifosfonati registrati in Italia per il trattamento delle metastasi scheletriche da carcinoma della mammella. Dosi e regimi terapeutici. BISFOSFONATI Clodronato Pamidronato Ibandronato Ac zoledronico Classe Non N-BP N-BP 2° generazione N-BP 2° generazione N-BP 3° generazione Via* Dose Frequenza OS I.V. 800 mg 900mg 2 cp/die 3-4 settimane I.V. 90 mg 3-4 settimane OS I.V 50 mg 6 mg 1cp/die 3-4 settimane I.V 4 mg 3-4 settimane * La somministrazione per os dei BP necessita, per un adeguato assorbimento, che vengano assunti al mattino a digiuno solo con acqua e venga rispettato il digiuno per circa un’ora in stazione eretta. La somministrazione endovenosa per clodronato e pamidronato richiede un tempo di infusione di 2 ore. Per ac zoledronico ed ibandronato infusione per 15 minuti. 16 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Tabella 2. Valutazione di efficacia del trattamento con BP del carcinoma della mammella nei RCT (A) Obiettivo Indice Prevenzione delle CS 1 Percentuale di soggetti con > 1 CS Prolungamento del tempo di insorgenza delle CS Tempo al primo evento Riduzione della incidenza di CS SMR o SMPR 2 Riduzione del numero di CS e/o posticipo dell’insorgenza (riduzione della morbilità scheletrica complessiva) Multiple Event Analyses 3 1) CS: Complicanza scheletrica. La definizione CS raggruppa diversi eventi scheletrici. Negli studi con clodronato: fratture, radioterapia ed ipercalcemia: Negli studi con pamidronato/zoledronato: fratture, radioterapia, interventi ortopedici, compresione midollare ed ipercalcemia. Negli studi con ibandronato: fratture, radioterapia e interventi ortopedici. 2) SMR: eventi per anno. SMPR numero di eventi che occorrono in determinato intervallo di tempo (12 settimane). 3) Raccoglie tutti gli eventi scheletrici e i tempi di comparsa dall’inizio dello studio per tutta la durata dell’osservazione (analisi di Anderson-Gill). Tabella 3. Dati di efficacia per singolo BP. RR esprime il rischio relativo e RRR la riduzione del rischio di sviluppare una complicanza scheletrica (CS) in corso di terapia con BP in donne con metastasi ossee da carcinoma della mammella (verso placebo) (1). E’ riportata l’incremento (%) del tempo di comparsa della CS rispetto al placebo. RRR per %Tempo di comparsa CS CS (no. giorni vs (%) placebo) Bifosfonato Studio RR per CS (CI 95%) Ac zoledronico Kohono et al (10) 0.59 (0.42,0,82) 41% 110 % (NR vs 52) Pamidronato Hortobagyi et al (5) Theriault et al (6) 0.77 (0.69-0.87) 33 % 39 % (21.0 vs 15.1) Ibandronato ev Body et al. (7) 0.80 (0.67-0.96) 20 % 53 % (11.8 vs 7.7) Ibandronato os Body et al (8) 0.86 ((0.73-0.02) 14 % 39 % (90.3 vs 64.9) Clodronato Kristensen (3) 0.69 (040-1.20) 31 % Clodronato Paterson et al (9) 0..83 (0.68-1.02) 17 % 2% ( 9.9 vs 4.9) Clodronato Tubiana –Hullin et al (4) 0.92 (0.92-1.19) 8% 36% (8.7 vs 6.4) 0. 85 (0.77-0.94) 15% Metanalisi di tutti gli studi 17 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE B. Carcinoma prostatico Alfredo Berruti 1. Premessa Il carcinoma prostatico è la neoplasia maligna più frequente nel maschio adulto nei paesi occidentali. Tale neoplasia è caratterizzata da una particolare propensione a metastatizzare a livello scheletrico. Più dell’80% dei pazienti con malattia metastatica presenta lesioni secondarie scheletriche[1]. Le metastasi ossee da carcinoma prostatico sono tipicamente addensanti. Numerose evidenze biologiche e cliniche hanno dimostrato che, a dispetto del loro aspetto radiologico, le metastasi ossee addensanti da carcinoma prostatico presentano al loro interno una componente litica e sono pertanto a rischio di complicanze scheletriche in misura paragonabile a quella di pazienti con metastasi osteolitiche. Circa il 40% dei pazienti con carcinoma prostatico metastatico va incontro a fratture patologiche, compressione midollare e, più raramente, ipercalcemia [2]. Tale eventi avversi sono relativamente rari fintanto che la neoplasia è responsiva all’androgeno deprivazione mentre diventano molto più frequenti nel paziente con malattia ormonorefrattaria. In tale condizione clinica, gli effetti dell’osteolisi indotta dalla progressione ossea di malattia vanno ad aggiungersi all’osteoporosi indotta dalle terapie ormonali intraprese [2]. Sulla base di queste premesse si evince un forte razionale all’impiego di bisfosfonati ed altri farmaci inibenti l’attività osteoclastica. Tali farmaci nel paziente con carcinoma prostatico metastastatico all’osso possono essere impiegati per prevenire le complicanze scheletriche, ritardare la progressione ossea di malattia e controllare il dolore osseo. Poiché l’efficacia delle terapie antineoplastiche specifiche, ormonoterapia di II linea e chemioterapia, è limitata in questa popolazione di pazienti gli interventi di tipo palliativo hanno una grande importanza. I risultati degli studi clinici randomizzati in cui il trattamento con bisfosfonati è stato confrontato con un gruppo di controllo (placebo o in aperto) sono stati recentemente riassunti in una metanalisi [3]. Obiettivo primario di questa metanalisi è stato la valutazione dell’effetto analgesico dei bisfosfonati. Complessivamente 10 studi sono stati analizzati, in uno studio è stato utilizzato l’etidronato [4], 7 studi hanno impiegato il clodronato[5-11], uno il pamidronato[12] e uno l’acido zoledronico[13]. In 4 studi è stata impiegata la formulazione orale[4-6,10], in 5 studi la somministrazione endovenosa[5,9,11,13], in uno studio il clodronato è stato impiegato sia in forma orale che endovenosa [8]. L’obiettivo primario era il controllo del dolore in 7 studi[4-6,8,9,11,12], l’effetto sui marcatori di turnover osseo in 1 studio[7]. In 2 studi l’obiettivo primario era la proporzione di complicanze scheletriche [10,13], in uno di questi le complicanze scheletriche e la progressione ossea venivano inclusi in un unico end-point [10]. In 9 studi la popolazione dei pazienti era affetta da malattia ormono-refrattaria [4-9, 11-13] in 1 studio [10] i pazienti erano stati selezionati per avere malattia ormonosensibile in risposta all’ormonoterapia di prima linea. Più recentemente sono stati pubblicati i risultati di uno studio prospettico randomizzato in doppio cieco che ha voluto testare l’efficacia di denosumab somministrato sottocute alla dose di 120 mg + placebo per via endovenosa ogni 28 giorni versus acido zoledronico somministrato per via endovenosa + placebo sottocute in 1904 pazienti affetti da neoplasia prostatica ormonorefrattaria in fase metastatica a livello scheletrico [14]. L’obiettivo primario di questo studio è stato dimostrare la non inferiorità in termini di tempo all’insorgenza del primo evento scheletrico avverso (end point complesso comprendente le fratture patologiche, compressione midollare, necessità di radioterapia e/o di chirurgia). Obiettivo secondario testare la superiorità di denosumab versus acido zoledronico nel ritardare la comparsa del primo evento scheletrico. 2. Evidenze 2.1 Eventi scheletrici avversi Per quanto riguarda gli studi confrontanti l’efficacia di bisfosfonati versus placebo, nei tre studi randomizzati che hanno valutato l’incidenza delle complicanze scheletriche [10,11,13], definite come fratture patologiche, compressioni midollari, ipercalcemia, necessità di radioterapia palliativa o di chirurgia ortopedica e 18 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE progressione a livello osseo (quest’ultimo valutato in un solo studio), complessivamente la proporzione di eventi scheletrici avversi è stata 37.8% nei pazienti trattati con bisfosfonati e 43.0% nel gruppo di controllo, con una differenza in termini di rischio assoluto del 5.2%.a favore dei pazienti trattati con bisfosfonati. Gli odds ratio (OR) di tali studi presi singolarmente andavano da 0.71 a 0.98 con un test di eterogeneità non significativo (p=0.55) a sottolineare la non difformità dei risultati raggiunti. L’OR globale è stato 0.79 (95% Intervallo di confidenza (IC): 0.62-1, p=0.05) (Livello di Evidenza SIGN 1++). Nello studio di confronto di efficacia fra denosumab ed acido zoledronico, denosumab ha dimostrato di prolungare significativamente il tempo al primo SRE rispetto all’acido zoledronico (HR 0.82; 95%CI: 0.71– 0.95; p [non inferiorità] =0.0002, p [superiorità] =0.008) [14] (Livello di Evidenza SIGN 1++). 2.2 Dolore osseo Cinque studi [4,6,7,11] hanno riportato la proporzione di pazienti con riduzione del dolore osseo dopo trattamento con bisfosfonati. Globalmente la proporzione di risposte in termini di dolore osseo è stata 27.9% nel gruppo di pazienti trattati con bisfosfonati e 21.1% nel gruppo di controllo con una differenza in termini di rischio assoluto del 6.8%. L’OR individuale variava tra 1.32 e 2.13 mentre l’OR globale a favore del trattamento con bisfosfonati era 1.54 (95% CI 0.97-2.44, p=0.07) (Livello di Evidenza SIGN 1++) Non è stata riscontrata differenza in termini di riduzione del consumo dei farmaci antidolorifici fra i gruppi di trattamento. Questi studi sono gravati da una proporzione elevata di pazienti non valutabili (10% circa). Restringendo l’analisi ai pazienti valutabili l’OR globale diventava significativo: 1.64 (95% IC of 1.02 to 2.61, P = 0.04). In questi studi il dolore osseo è stato valutato con scale differenti e questo costituisce un limite importante. L’assenza di standardizzazione del dolore osseo limita infatti il confronto fra i vari studi e la generalizzabilità dei risultati. Il dolore osseo non rientrava fra gli obiettivi secondari per misurare l’efficacia di denosumab versus acido zoledronico. Tuttavia il dolore osseo definito come evento avverso è risultato sovrapponibile in entrambi i bracci di trattamento: 26% nel braccio acido zoledronico e 25% nel braccio denosumab (p=0.63). (Livello di Evidenza SIGN 1+). 2.3 Progressione di malattia Due studi randomizzati utilizzanti bisfosfonati [10,11] hanno riportato la proporzione di pazienti con progressione di malattia. Gli OR individuali erano 0.85 e 0.66, rispettivamente. L’OR globale è stato 0.76 (95% IC: 0.53-1.08, p=0.12) (Livello di Evidenza SIGN 1+). Nell’unico studio randomizzato [14], Denosumab non ha dimostrato alcuna differenza rispetto ad acido zoledronico in termini intervallo libero da progressione: HR 1.06 (95% IC 0.95–1.18; p=0.30) (Livello di Evidenza SIGN 1+). 2.4 Sopravvivenza globale Cinque studi randomizzati utilizzanti bisfosfonati (6,10-13) hanno riportato il confronto in termini di sopravvivenza globale. Gli OR individuali andavano da 0.69 a 1.83 con un OR globale di 0.82 (95% IC: 0.61-1.11, p=0.21) (Livello di Evidenza SIGN 1+). Nello studio randomizzato di denosumab versus acido zoledronico [14], la sopravvivenza globale è risultata sovrapponibile in entrambi i bracci di trattamento: HR 1.03 (95% IC: 0.91–1.17; p=0.65). (Livello di Evidenza SIGN 1+). 3. Raccomandazioni Bisfosfonati e denosumab sono efficaci nel ridurre le complicanze scheletriche di pazienti con metastasi ossee da carcinoma prostatico ormonorefrattario. L’acido Zoledronico, che ha dimostrato di essere efficace nel prevenire gli eventi scheletrici avversi in uno studio prospettico randomizzato in doppio cieco, avente come obiettivo primario la proporzione di complicanze scheletriche nel braccio trattato vs il braccio placebo, è da considerasi il bisfosfonato di scelta in questa patologia. Uno studio randomizzato mostra una maggiore efficacia di denosumab versus acido zoledronico nel prevenire gli eventi scheletrici avversi. 19 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE I bisfosfonati e il denosumab possono essere efficaci nel controllo del dolore ma non possono sostituire i farmaci analgesici Nel paziente con malattia ormonosensibile i dati disponibili riguardano due studi prospettico randomizzati che hanno testato rispettivamente il clodronato orale vs placebo [10] (Livello di Evidenza SIGN 1+) ed acido zoledronico versus placebo (17). Il primo studio ha mostrato un vantaggio non significativo a favore di clodronato nel prevenire la comparsa di progressione sintomatica ossea (includendo in questo end point complicanze scheletriche e progressione di malattia a livello osseo). Il secondo studio non ha mostrato alcuna vantaggio di acido zoledronico iniziato nella malattia ormonosensibile rispetto alla somministrazione nella malattia resistente alla castrazione. Ancorché vi sia un chiaro razionale, i dati disponibili non consentono di raccomandare l’uso dei bisfosfonati nel paziente con metastasi ossee da carcinoma prostatico ormonosensibile. L’uso di questi farmaci in questo contesto deve essere valutato caso per caso. La somministrazione di acido zoledronico a scopo adiuvante in pazienti con malattia ormono sensibile ad alto rischio non è raccomandata. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica A L’uso dei bisfosfonati e di Denosumab è raccomandato in pazienti con metastasi ossee da carcinoma prostatico resistente alla castrazione, in quanto in grado di ritardare la comparsa di eventi scheletrici. Positiva forte Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B Bisfosfonati e Denosumab possono trovare impiego per il controllo del dolore in pazienti con metastasi ossee da carcinoma prostatico resistente alla castrazione, ma non possono sostituire i farmaci analgesici. Positiva debole Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B Il denosumab potrebbe essere impiegato nel paziente con metastasi ossee da carcinoma prostatico ormono-sensibile. Positiva debole Take home message: I bisfosfonati (ac. zoledronico) sono efficaci nel ridurre e ritardare le complicanze scheletriche di pazienti con metastasi ossee da carcinoma prostatico refrattario alla castrazione e possono essere efficaci nel controllare parzialmente il dolore osseo. Il Denosumab è una valida alternativa all’uso dei bisfosfonati per quanto riguarda la prevenzione delle complicanze scheletriche nel paziente con malattia refrattaria alla castrazione 20 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. C. Mundy GR. Metastasis to bone: causes, consequences and therapeutic opportunities. Nat Rev Cancer 2: 584–593, 2002. Berruti A, Tucci M, Mosca A, Tarabuzzi R, Gorzegno G, Terrone C, Vana F, Lamanna G, Tampellini M, Porpiglia F, Angeli A, Scarpa RM, Dogliotti L. Predictive factors for skeletal complications in hormone-refractory prostate cancer patients with metastatic bone disease. Br J Cancer 93: 633-638, 2005. Yuen KK, Shelley M, Sze WM, Wilt T, Mason MD. Bisphosphonates for advanced prostate cancer (Review). The Cochrane collaboration 2008. Smith JA Jr. Palliation of painful bone metastases from prostate cancer using sodium etidronate: results of a randomized, prospective, double-blind, placebo-controlled study. J Urol;141: 85–87, 1989. Adami S, Mian M. Clodronate therapy of metastatic bone disease in patients with prostatic carcinoma. Recent Results in Cancer Research 116: 67-72 1989;116:67–72. Elomma I, Kylmata T, Tammela T, Vitanen J, Ottelin M, Ruutu K, Jauhiainen M, Ala-Opas M, Roos L, Seppanen J, Alfthan O. Effect of oral clodronate on bone pain: A controlled study in patients with metastatic prostate cancer. Int J Urol and Nephrol 24: 159–166, 1992. Kylmala T, Tammela T, Risteli L, Risteli J, Taube T, Elomma I. Evaluation of the effect of oral clodronate on skeletal metastases with type I collagen metabolites. A controlled trial of the Finnish Prostate Cancer Group. Eur J Cancer 29A: 821–825, 1993. Kylmala T, Taube T, Tammela TL. Concomitant i.v. and oral clodronate in the relief of bone pain: A double-blind placebo-controlled study in patients with metastatic prostate cancer. Br J Cancer 76:939–942, 1997. Strang P,Nilsson S, Brandstedt S. The analgesic efficacy of clodronate compared with placebo in patients with painful bone metastases from prostatic cancer. Anticancer Res 17:4717–4721, 1997. Dearnaley DP, Sydes MR, Mason MD, Stott M, Powell CS, Robinson ACR, Thompson PM, Moffat LE, Naylor SL, Parmar MKB. A double-blind, placebo-controlled, randomised trial of oral sodium clodronate formetastatic prostate cancer (MRCPRO5Trial). J Natl Cancer Inst, 95: 1300-1311, 2003. Ernst DS, Tannock IF, Winquist EW, Venner PM, Reyno L, Moore MJ,Chik,Ding K,ElliotC, ParulekarW. Randomized, double-blind, controlled trial of mitoxantron/prednisone and clodronate versus mitoxantrone/ prednisone and placebo in patiens with hormone-refractory prostate cancer and pain. J Clin Oncol 21:3335–3342, 2003. Small EJ, Matthew RS, Seaman JJ, Petrone S, Kowalski MO. Combined analysis of two multicenter, randomized, placebo-controlled studies of pamidronate disodium for the palliation of bone pain in men with metastatic prostatic cancer. J Clin Oncol 21: 4277–4284, 2003. Saad F, Gleason DM, Murray R. A randomized, placebo-controlled trial of zoledronic acid in patients with hormone-refractory metastatic prostate carcinoma. J Natl Cancer Inst 94: 1458-1468, 2002. Fizazi K, Carducci M, Smith M, Damião R, Brown J, Karsh L, Milecki P, Shore N, Rader M, Wang H, Jiang Q, Tadros S, Dansey R, Goessl C. Denosumab versus zoledronic acid for treatment of bone metastases in men with castration-resistant prostate cancer: a randomised, double-blind study. Lancet 377: 813-22, 2011. Carcinoma polmonare Alfredo Berruti 1. Premessa Il carcinoma del polmone non a piccole cellule metastatizza frequentemente a livello osseo. Studi autoptici hanno evidenziato metastasi ossee nel 30-55% dei pazienti deceduti per questa malattia [1]. Caratteristiche peculiari delle lesioni ossee da carcinoma polmonare non a piccole cellule sono la dolorabilità, un dolore importante accompagna i pazienti con ca polmone molto spesso e probabilmente molto più frequentemente dei pazienti con carcinoma mammario e prostatico [2], l’elevata frequenza di ipercalcemia soprattutto in presenza di istotipo squamoso e la prognosi infausta, la mediana di sopravvivenza si aggira intorno ai 6-7 mesi. Vi è pertanto un forte razionale all’impiego di farmaci inibitori dell’osteolisi per la prevenzione delle complicanze scheletriche (fratture, compressione midollare, ipercalcemia) e il controllo del dolore. 21 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 2. Evidenze Non esistono studi randomizzati pubblicati che abbiano valutato l’efficacia dei bisfosfonati in pazienti con metastasi ossee da carcinoma del polmone. Due studi randomizzati hanno valutato l’efficacia di acido zoledronico versus placebo e di denosumab versus acido zoledronico in pazienti con diversa istologia primitiva non comprendente tumori mammari e prostatici che includeva altresì pazienti con carcinoma non a piccole cellule del polmone [3,4, 5]. Nel primo di questi, nel sottoinsieme di 280 pazienti con carcinoma polmonare randomizzati a ricevere acido zoledronico 4 mg o placebo, la somministrazione di acido zoledronico ha condotto ad una lieve, non significativa diminuzione della proporzione di complicanze scheletriche rispetto al placebo (45% vs 42%, differenza assoluta 3%, p=0.55). Alla “multi event analysis” secondo Andersen e Gill, obiettivo secondario pre-pianificato, che tiene conto non solo del primo evento scheletrico ma anche di quelli successivi al primo e del tempo intercorrente tra un evento e l’altro, la riduzione del rischio di complicanze scheletriche è stata del 30% circa [Hazard Ratio 0.706, p=0.036) (Livello di Evidenza SIGN 1+). In questo studio l’acido zoledronico non ha condotto ad un vantaggio significativo in termini di riduzione del dolore e miglioramento della qualità di vita. Per quanto riguarda lo studio denosumab versus acido zoledronico [5], un’analisi nel sottogruppo di 702 pazienti con carcinoma del polmone non a piccole cellule il denosumab si è dimostrato non inferiore ad acido zoledronico per quanto riguarda il tempo alla comparsa del primo evento scheletrico (HR 0.84, 95% IC, 0.64-1.10, p=0.20) (Livello di Evidenza SIGN 1+). 3. Raccomandazioni I bisfosfonati (acido zoledronico) possono essere presi in considerazione nel trattamento di pazienti con metastasi ossee da carcinoma del polmone con l’obiettivo di ridurre la probabilità di andare incontro a complicanze scheletriche e controllare il dolore. Occorre tuttavia considerare come la cattiva prognosi di questi pazienti possa rendere non strettamente necessario il loro impiego in tutti i pazienti e quindi occorre fare una attenta selezione di costi e benefici. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B L’uso dei bisfosfonati può essere preso in considerazione in pazienti con metastasi ossee da carcinoma polmonare con l’obiettivo di ridurre la probabilità di andare incontro a complicanze scheletriche e controllare il dolore Positiva debole Denosumab può essere una valida alternativa ai bisfosfonati per la prevenzione delle complicanze scheletriche. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B Il denosumab può essere preso in considerazione in pazienti con metastasi ossee da carcinoma polmonare per la prevenzione delle complicanze scheletriche. Positiva debole 22 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Take home message: I bisfosfonati (ac. zoledronico) possono essere impiegati nel trattamento di pazienti con metastasi ossee da carcinoma del polmone allo scopo di prevenire e ritardare le complicanze scheletriche e controllare il dolore sosseo. Denosumab è una valida alternativa all’acido zoledronico per quanto attiene la prevenzione delle complicanze scheletriche. Bibliografia 1. Sekine I, Sumi M, Saijo N. Local control of regional and metastatic lesions and indication for systemic chemotherapy in patients with non-small cell lung cancer. Oncologist.;13 Suppl 1:21-27, 2008. 2. Berruti A, Dogliotti L, Gorzegno G, Torta M, Tampellini M, Tucci M, Cerutti S, Frezet MM, Stivanello M, Sacchetto G, Angeli A. Differential patterns of bone turnover in relation to bone pain and disease extent in bone in cancer patients with skeletal metastases. Clin Chem. Aug;45: 1240-1247, 1999. 3. Rosen LS, Gordon D, Tchekmedyian NS, Yanagihara R, Hirsh V, Krzakowski M, Pawlicki M, De Souza P, Zheng M, Urbanowitz G, Reitsma D, Seaman J. Long-term efficacy and safety of zoledronic acid in the treatment of skeletal metastases in patients with nonsmall cell lung carcinoma and other solid tumors: a randomized, Phase III, double-blind, placebo-controlled trial. Cancer: 2613-2621, 2004. 4. Rosen LS, Gordon D, Tchekmedyian S, Yanagihara R, Hirsh V, Krzakowski M, Pawlicki M, de Souza P, Zheng M, Urbanowitz G, Reitsma D, Seaman JJ. Zoledronic acid versus placebo in the treatment of skeletal metastases in patients with lung cancer and other solid tumors: a phase III, double-blind, randomized trial--the Zoledronic Acid Lung Cancer and Other Solid Tumors Study Group. J Clin Oncol. 21: 3150-3157, 2003. 5. Henry DH, Costa L, Goldwasser F, Hirsh V, Hungria V, Prausova J, Scagliotti GV, Sleeboom H, Spencer A, Vadhan-Raj S, von Moos R, Willenbacher W, Woll PJ, Wang J, Jiang Q, Jun S, Dansey R, Yeh H.Randomized, double-blind study of denosumab versus zoledronic acid in the treatment of bone metastases in patients with advanced cancer (excluding breast and prostate cancer) or multiple myeloma. J Clin Oncol. 29: 1125-1132, 2011. 6. Scagliotti GV, et al; JTO 2011 (IASLC abs) D. Carcinoma renale Alfredo Berruti 1. Premessa Il carcinoma renale metastatizza frequentemente all’osso, in una casistica recentemente pubblicata il 30% circa dei pazienti con diagnosi di carcinoma renale ha sviluppato metastasi ossee nell’arco di 5 anni [1]. Le metastasi ossee da carcinoma renale sono prevalentemente litiche. Il paziente con metastasi ossee da carcinoma renale è pertanto a rischio elevato di dolore osseo importante e complicanze scheletriche come fratture patologiche e compressione midollare. Poiché il carcinoma renale notoriamente produce l’ormone paratiroideo simile (PTHrP) [2], i pazienti con carcinoma renale metastatico vanno frequentemente incontro a ipercalcemia, Vi è pertanto un forte razionale per l’uso dei bisfosfonati, così come di altri farmaci inibenti l’attività osteoclastica, in questo contesto clinico. 2. Evidenze A tutt’oggi non vi sono studi randomizzati che abbiano indagato specificamente l’efficacia di farmaci inbitori dell’osteolisi in pazienti con carcinoma renale. In uno studio prospettico randomizzato è stata valutata l’efficacia della somministrazione di acido zoledronico versus placebo in pazienti con metastasi ossee da carcinoma del polmone e altri istotipi fra cui il carcinoma renale [3]. I dati dei 74 pazienti portatori di carcinoma renale randomizzati ad effettuare acido zoledronico (55) o placebo (19) sono stati analizzati separatamente [4]. Rispetto al placebo, i pazienti che hanno ricevuto acido zoledronico (4 mg ogni 21 giorni per 9 mesi) sono andati incontro ad una minore frequenza di complicanze scheletriche (74% vs 37%, p=0.015) con una riduzione assoluta del 37%. Il tempo mediano alla comparsa del primo evento scheletrico avverso è stato di 424 giorni nei pazienti randomizzati ad effettuare acido zoledronico versus 72 giorni dei pazienti randomizzati a ricevere placebo (P=0.007) (Livello di Evidenza SIGN 1) 23 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE L’efficacia di denosumab versus acido zoledronico nel ritardare la comparsa del primo evento scheletrico in pazienti con istotipi diversi da carcinoma mammario, polmonare, prostatico e mieloma multiplo è stata testata in 904 pazienti [5]. Questi casi rappresentano un sottogruppo nell’ambito di uno studio prospettico randomizzato che includeva anche pazienti con carcinoma polmonare e mieloma multiplo. In questo sottogruppo il denosumab si è dimostrato non inferiore all’acido zoledronico nel ritardare la comparsa del primo evento scheletrico (HR 0.79, 95% IC, 0.62-0.99; p=0.04). (Livello di Evidenza SIGN 1+). 3. Raccomandazioni Le evidenze di efficacia dei bisfosfonati nel trattamento di pazienti con metastasi ossee da carcinoma renale sono limitate ad una analisi per sottogruppi nell’ambito di un unico studio prospettico randomizzato. Il forte razionale per l’impiego di tali farmaci in questo contesto e i risultati comunque ottenuti suggeriscono l’impiego di acido zoledronico alla dose di 4 mg per via endovenosa ogni 21 giorni per la prevenzione delle complicanze scheletriche. Il denosumab sembra non essere inferiore all’acido zoledronico anche in questo setting di pazienti. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B L’uso dei bisfosfonati può essere preso in considerazione in pazienti con metastasi ossee da carcinoma renale con l’obiettivo di prevenire o ritardare l’insorgenza delle complicanze scheletriche Positiva debole Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B Il denosumab può essere preso in considerazione in pazienti con metastasi ossee da carcinoma renale con l’obiettivo di prevenire o ritardare l’insorgenza delle complicanze scheletriche Positiva debole Take home message: I bisfosfonati (ac. zoledronico) possono essere efficaci nel prevenire e ritardare l’insorgenza di complicanze scheletriche in pazienti con carcinoma renale metastatico a livello osseo. Il denosumab sembra non essere inferiore all’acido zoledronico anche in questo setting di pazienti. Bibliografia 1. Zekri J, Ahmed N, Coleman RE, Hancock BW. The skeletal metastatic complications of renal cell carcinoma. Int J Oncol 19: 379–382, 2001. 2. Clines GA, Guise TA. Hypercalcaemia of malignancy and basic research on mechanisms responsible for osteolytic and osteoblastic metastasis to bone. Endocr Relat Cancer 12: 549-583, 2005. 3. Rosen LS, Gordon D, Tchekmedyian NS, Yanagihara R, Hirsh V, Krzakowski M, Pawlicki M, De Souza P, Zheng M, Urbanowitz G, Reitsma D, Seaman J. Zoledronic acid versus placebo in the treatment of skeletal metastases in patients with lung cancer and other solid tumors: a phase III, double-blind, randomised trial—the Zoledronic Acid Lung Cancer and Other Solid Tumors Study Group. J Clin Oncol 21:3150–3157, 2003. 4. Lipton A, Zheng M, Seaman J. Zoledronic acid delays the onset of skeletal-related events and progression of skeletal disease in patients with advanced renal cell carcinoma. Cancer. 98: 962-969, 2003. 24 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 5. Henry DH, Costa L, Goldwasser F, Hirsh V, Hungria V, Prausova J, Scagliotti GV, Sleeboom H, Spencer A, Vadhan-Raj S, von Moos R, Willenbacher W, Woll PJ, Wang J, Jiang Q, Jun S, Dansey R, Yeh H.Randomized, double-blind study of denosumab versus zoledronic acid in the treatment of bone metastases in patients with advanced cancer (excluding breast and prostate cancer) or multiple myeloma. J Clin Oncol. 29: 1125-1132, 2011. E. Metastasi ossee da carcinomi diversi da mammella, prostata, polmone e rene Alfredo Berruti 1. Premessa Quasi tutti i tumori epiteliali possono metastatizzare allo scheletro durante la loro storia naturale. Per tutti i pazienti con metastasi ossee vi è un forte razionale per l’impiego dei bisfosfonati per ottenere un miglioramento del dolore osseo e prevenire le complicanze scheletriche caratterizzate da fratture patologiche, compressione midollare e ipercalcemia. Le neoplasie diverse dai carcinomi del polmone, della prostata, della mammella e del rene hanno una minor probabilità di colonizzare il microambiente osseo per questo motivo non vi sono studi di efficacia dei bisfosfonati per ogni singola patologia neoplastica. 2. Evidenze Uno studio prospettico randomizzato ha valutato l’efficacia della somministrazione di acido zoledronico versus placebo [1] in pazienti con metastasi ossee da istotipi diversi dal carcinoma mammario, prostatico, polmonare e mieloma multiplo. 143 pazienti sono stati randomizzati a ricevere acido zoledronico (4 mg o 8 mg ogni 21 giorni) oppure placebo. In questo gruppo eterogeneo l’acido zoledronico si è mostrato efficace nel ridurre la proporzione di complicanze scheletriche (33% vs 43%, p=0.11) rispetto al placebo con una riduzione del rischio assoluto pari al 10%. L’acido zoledronico ha altresì mostrato di aumentare il tempo alla comparsa del primo evento scheletrico avverso rispetto al placebo (mediana 314 giorni versus 168 giorni, rispettivamente, p=0.051). (Livello di Evidenza SIGN 1+). Zaghloul MS et al. [2] hanno riportato i risultati di uno studio clinico randomizzato in pazienti affetti da neoplasia vescicale con metastasi ossee di confronto tra acido zoledronico e placebo. Gli obiettivi primari erano l’incidenza di SRE, il tempo alla comparsa del primo SRE e la sopravvivenza a 1 anno. Il numero medio per paziente di SRE è risultato significativamente inferiore nel gruppo di pazienti trattato con acido zoledronico (P=0.001), cosi come il tempo mediano alla comparsa del primo SRE è risultato significativamente superiore nel braccio di trattamento con il bifosfonato (56 verso 115 giorni) (P=0.0004). Infine, l’acido zoledronico ha dimostrato di incrementare in maniera significativa la sopravvivenza a 1 anno (30% verso 5%) (P=0.02). (Livello di Evidenza SIGN 1+). L’efficacia di denosumab versus acido zoledronico nel ritardare la comparsa del primo evento scheletrico in pazienti con istotipi diversi da carcinoma mammario, polmonare, prostatico e mieloma multiplo è stata testata in 904 pazienti [3]. Questi casi rappresentano un sottogruppo nell’ambito di uno studio prospettico randomizzato che includeva anche pazienti con carcinoma polmonare e mieloma multiplo. In questo sottogruppo il denosumab si è dimostrato non inferiore all’acido zoledronico nel ritardare la comparsa del primo evento scheletrico (HR 0.79, 95% IC, 0.62-0.99; p=0.04). (Livello di evidenza 1+; grado raccomandazione positiva forte). (Livello di Evidenza SIGN 1+). 3. Raccomandazioni Pur in presenza di evidenze limitate riguardanti l’efficacia dei bisfosfonati e denosumab in pazienti con metastasi ossee da neoplasia diversa dai carcinomi mammario, renale, polmonare e prostatico, sulla base di un forte razionale, si ritiene utile la somministrazione di questi farmaci per prevenire o ritardare l’insorgenza di complicanze scheletriche. 25 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B L’uso dei bisfosfonati può essere preso in considerazione in pazienti con metastasi ossee da neoplasia diversa dai carcinomi mammario, renale, polmonare e prostatico con l’obiettivo di prevenire o ritardare l’insorgenza delle complicanze scheletriche Positiva debole Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B Il denosumab può essere preso in considerazione in pazienti con metastasi ossee da neoplasia diversa dai carcinomi mammario, renale, polmonare e prostatico con l’obiettivo di prevenire o ritardare l’insorgenza delle complicanze scheletriche. Positiva debole Take home message: I bisfosfonati (ac. zoledronico) e denosumab possono essere efficaci nel prevenire e ritardare l’insorgenza di complicanze scheletriche in pazienti con metastasi ossee diversi da carcinoma prostatico, mammario, polmonare e renale. Bibliografia 1. 2. 3. F. Rosen LS, Gordon D, Tchekmedyian NS, Yanagihara R, Hirsh V, Krzakowski M, Pawlicki M, De Souza P, Zheng M, Urbanowitz G, Reitsma D, Seaman J. Zoledronic acid versus placebo in the treatment of skeletal metastases in patients with lung cancer and other solid tumors: a phase III, double-blind, randomised trial—the Zoledronic Acid Lung Cancer and Other Solid Tumors Study Group. J Clin Oncol 21:3150–3157, 2003. Zaghloul MS, Boutrus R, El-Hossieny H, Kader YA, El-Attar I, Nazmy M. A prospective, randomized, placebocontrolled trial of zoledronic acid in bony metastatic bladder cancer. Int J Clin Oncol. 2010 in press. Henry DH, Costa L, Goldwasser F, Hirsh V, Hungria V, Prausova J, Scagliotti GV, Sleeboom H, Spencer A, Vadhan-Raj S, von Moos R, Willenbacher W, Woll PJ, Wang J, Jiang Q, Jun S, Dansey R, Yeh H.Randomized, double-blind study of denosumab versus zoledronic acid in the treatment of bone metastases in patients with advanced cancer (excluding breast and prostate cancer) or multiple myeloma. J Clin Oncol. 29: 1125-1132, 2011. Durata della terapia nella malattia metastatica Toni Ibrahim La durata ottimale del trattamento non è stata stabilita, il beneficio dello Zoledronato e dell’Ibandronato riportato negli studi è per un periodo di trattamento di 2 anni [1-4]. Inoltre il proseguimento della terapia con acido Zoledronico dopo la comparsa di un evento scheletrico ha portato ad una riduzione, statisticamente significativa, nella comparsa di successivi eventi [2,5]. Dati riportati in uno studio osservazionale [9] (Livello di Evidenza SIGN 3) hanno mostrato che la terapia con Acido zoledronico nelle metastasi ossee da tumori solidi per una durata superiore ai due anni, è associata ad un tasso basso di SRE con profilo di sicurezza accettabile. Inoltre la sospensione dello Zoledronato è associato a maggior rischio di SRE. 26 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE All’ASCO 2010, Winters J.P. et al (27) hanno riportato i risultati di una analisi retrospettiva su 92 pazienti con metastasi ossee da tumori solidi e con Mieloma Multiplo trattati con pamidronato o Zoledronato per oltre 2 anni (durata media di 36 mesi) con profilo di tossicità buono e maggior rischio di SRE nei primi due anni di trattamento. Negli studi clinici la durata delle terapie variava da 12 settimane in una prima fase di studio del denosumab (33) a 96 settimane per i bisfosfonati (34-37) e fino a circa 34 mesi in studi di fase III di denosumab come nel tumore mammario e prostatico (38, 39). Questi studi non hanno fornito dati riguardanti la durata ottimale del trattamento e soprattutto il confronto tra terapia continuativa o interrotta. (Livello di Evidenza SIGN 1+). Di conseguenza, la durata consigliata per la terapia target all’osso, in assenza di sufficienti dati, è di almeno 2 anni sospendendo il trattamento in caso di peggioramento del Performance Status. Il proseguimento del trattamento è consigliato tenendo conto dei rischi di sviluppo di eventi scheletrici, della tollerabilità e delle condizioni generali [6,10,31,43]. Ulteriori studi sono utili per migliore definizione della durata del trattamento, in particolare per il denosumab in assenza di accumulo del farmaco stesso nel tessuto osseo rispetto i bisfosfonati. Tali studi devono tenere conto non solo della riduzione degli SRE, ma anche dei rischi/benefici globali del trattamento. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D La durata consigliata in fase metastatica per la terapia target all’osso è di almeno 2 anni. Positiva debole G. Quando iniziare la terapia nella malattia metastatica Toni Ibrahim Dagli studi si evince che il tempo medio alla comparsa del primo evento scheletrico correlato dalla diagnosi di metastasi ossee è inferiore a 12 mesi, esempio nel tumore mammario è di 7 mesi, in assenza di terapia target all’osso (10, 32). (Livello di Evidenza SIGN 1+). Inoltre il beneficio dei farmaci target all’osso sulla prevenzione degli eventi scheletrici si è rivelato efficace nel ritardare sia il primo evento che i successivi. Inoltre la presenza di un evento scheletrico aumento la comparsa di ulteriori eventi (10). Per tutto questo, viene consigliato, in assenza di dati di confronto in letteratura, e allo scopo di interrompere il ciclo vizioso a livello osseo responsabile del danno (30) e di mantenere la salute dell’osso che può essere alterata dai trattamenti antitumorali stessi (ormonoterapiachemioterapia) (vedi capitolo corrispondente) di iniziare tale trattamento al momento dell’evidenza radiologica di metastasi ossee (scintigrafia ossea o PET captanti con conferma morfologica di almeno una lesione ossea – con Rx o TC o RMN) in assenza di sintomi [6,10-12]. (Livello di Evidenza SIGN 4). Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D La terapia target all’osso dovrebbe essere iniziata al momento dell’evidenza radiologica di metastasi ossee in assenza di sintomi. Positiva forte 27 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE H. Dosi e schedule nella malattia metastatica Toni Ibrahim Le dosi e le schedule riportate di seguito sono quelle standard consigliate dagli studi clinici e dagli enti regolatori del farmaco [10,13-15]. • Pamidronato: 90 mg in 1-2 ore di infusione ogni 4 settimane. • Zoledronato: 4 mg in 15 minuti di infusione ogni 3-4 settimane. • Ibandronato: 6 mg in infusione endovenosa di almeno 15 minuti ogni 3-4 settimane. - 50 mg al giorno per os. Le compresse devono essere assunte dopo un digiuno notturno (di almeno 6 ore) e prima dell’assunzione di cibi e bevande al mattino (almeno 30 minuti). • Denosumab: 120 mg sottocute ogni 4 settimane. I dosaggi riportati, in particolare per i bisfosfonati come l’Acido Zoledronico sono da adeguare in alcuni casi alle condizioni del paziente ed in particolare della funzionalità renale. Per questo è utile il dosaggio del Clearence della creatinina prima dell’inizio del trattamento e successivamente prima di ogni somministrazione della creatinina e della calcemia (vedi safety). Sono in corso diversi studi con schedule diverse da quelle riportate sopra, allo scopo di verificare se la densità di dose anche in base al turn over osseo o alla durata del trattamento può influire il risultato. Il primo studio multicentrico è lo studio ZOOM italiano (Livello di Evidenza SIGN 1+) ed è stato pubblicato nel 2013 su lancet Oncology (40). Lo studio ha incluso pazienti con metastasi ossee da carcinoma mammario, confrontando l’Acido Zoledronico mensile con una schedula ogni 12 settimane dopo 9-12 somministrazioni con la schedula standard mensile. La schedula sperimentale si è dimostrata non inferiore a quella standard nell’obiettivo primario, il numero degli eventi scheletrici per paziente all’anno (Skeletal Morbidity Rate). Non è stata dimostrata alcuna differenza in termini di safety. Un analogo studio come disegno (Optimize 2) (42) è stato presentato all’ASCO 2014, confermando la non differnza nell’obiettivo primario (SRE Rate) tra i due bracci e negli obiettivi secondari (tempo al primo SRE e SMR oltre che la sicurezza). Entrambi gli studi hanno diminuito il numero dei pazienti pre-pianificato con allungamento del limite di tollerabilità per la non inferiorità. La nuova schedula di Acido Zoledronico ogni 3 mesi dopo almeno 9-12 somministrazioni della schedula mensile nel tumore della mammella, può rappresentare oggi un'alternativa terapeutica, in particolare nei pazienti con buon controllo della malattia ossea. Durante il recente ASCO 2015 è stato presentato un nuovo studio di fase III randomizzato (CALGB 70604) di non inferiorità in cui nel tumore della mammella, prostata e mieloma in fase metastatica i paziernti sono stati randomizzati a ricevere acido zoledronico ogni mese o ogni 3 mesi. La percentuale di pazienti con almeno 1 SRE è stata sovrapponibile per entrambi i bracci di trattamento, cosi come il tempo al primo SRE, la SMR (skeletal morbidity rate) e il dolore. Inoltre la non inferiorità è stata dimostrata per ogni tipo di neoplasia (mammella, prostata, mieloma) [44] Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica A L’acido zoledronico nel tumore della mammella, della prostata e nel mieloma in fase metastatica può essere somministrato ogni 3 mesi dopo 9-12 somministrazioni mensili o anche dall’inizio della terapia. Questa schedula rappresenta attualmente una valida alternativa alla classica schedula mensile Positiva debole 28 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE I. Scelta della via di somministrazione Toni Ibrahim La scelta della via di somministrazione deve tenere conto principalmente dell’efficacia del farmaco da prescrivere (vedi paragrafi precedenti). Invece, nei casi di uguale efficacia, bisogna tenere conto dei seguenti punti: a. La somministrazione orale [16-19]: • Richiede misure precauzionali per favorire l’assorbimento e ridurre gli effetti collaterali: il digiuno e la posizione eretta; • Richiede una funzionalità oro-gastro-intestinale nella norma; • Richiede maggior collaborazione del paziente e aderenza al trattamento; • Richiede minore coinvolgimento e di conseguenza minore controllo da parte del personale Sanitario; • Presenta maggiori effetti collaterali a livello del tratto gastro-intestinale. b. La somministrazione endovenosa [20, 21]: • Richiede l’accesso del paziente alla struttura ospedaliera (anche se in alcune realtà si esegue a domicilio); • Richiede l’accesso venoso; • Richiede maggior coinvolgimento e di conseguenza maggior controllo da parte del personale sanitario; • Può essere infusa con altri trattamenti antineoplastici; • Presenta maggiore comparsa di sindrome similinfluenzale; • Richiede maggiore monitoraggio della funzionalità renale. Al momento non ci sono degli studi che confrontano la via sottocutanea con quella endovenosa o orale in termini di compliance del paziente. A. L’approccio multidisciplinare al paziente con metastasi ossee Toni Ibrahim Le metastasi ossee sono la causa maggiore di morbilità nei pazienti con cancro per due motivi, uno epidemiologico e l’altro clinico. Oltre al sintomo dolore, durante la storia naturale di questi pazienti possono comparire altre complicanze gravi tra le quali la frattura patologica, la compressione midollare, l’ipercalcemia e la soppressione midollare. Queste complicanze peggiorano la qualità di vita dei pazienti, diminuiscono le possibilità terapeutiche e di conseguenza peggiorano la prognosi [22,23]. Oltre la sede e il tipo delle metastasi, anche la terapia soprattutto quella di tipo preventivo influisce sulla frequenza di queste complicanze. Per questo è utile la creazione di modelli organizzativi nei quali l’interdisciplinarietà degli interventi diagnostico-terapeutici e riabilitativi, soprattutto di tipo preventivo, trovi una concretezza operativa allo scopo di ridurre i disagi psico-fisici dovuti alla malattia, ma soprattutto allo scopo di ridurre la stessa frammentazione nell’approccio al paziente con metastasi ossee. Tali modelli devono coinvolgere, oltre all’oncologo che ha in cura il paziente, anche il palliativista, il radioterapista, l’ortopedico, il neurochirurgo, il medico nucleare, il radiologo diagnosta e interventista, il fisiatra e altre figure come l’infermiere professionale e il data manager. Questo è stato possibile grazie ad un processo educazionale iniziato nel lontano 2000 e che è tuttora in corso, rappresentando in Italia e nel mondo una vera e propria rivoluzione culturale, formativa e assistenziale nell’ambito della patologia ossea oncologica dando origine ad una nuova disciplina in oncologia che è l’Osteoncologia. Questa si occupa dei tumori primitivi e secondari dell’osso, oltre che della salute dell’osso in corso dei trattamenti antitumorali. L’obiettivo principale di questo progetto è quello di creare delle strutture (Centri di Osteoncologia), nelle quali la multidisciplinarietà degli interventi di ricerca, diagnosticoterapeutici e riabilitativi trovi una concretezza operativa e l’attivazione di percorsi formativi, anche 29 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE universitari, che favoriscano la crescita culturale e scientifica di nuove figure professionali particolarmente qualificati in osteoncologia (Osteoncologi). Il progetto ha realizzato corsi formativi multidisciplinari teoricopratici nazionali ed internazionali, fino all’attivazione di un master universitario di 2° livello di Osteoncologia presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e un Dottorato di Ricerca in Patologia Osteoncologica presso l’Università Campus Biomedico di Roma. Durante questo periodo sono stati realizzati dei centri di Osteoncologia presso ospedali e università italiane, la pubblicazione di tre testi sulla patologia ossea oncologica sia in lingua italiana che inglese (24-26) ed è stata fondata una società scientifica nel luglio del 2008: Italian Society of Osteoncology e da ultimo la fondazione del Registro Nazionale delle Metastasi Ossee presso L’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori a Meldola (Forlì-Cesena) . I primi risultati sull’approccio multidisciplinare nell’ambito di Centri di Osteoncologia comincia a essere segnalato da parte dei pazienti (livello di soddisfazione alto, molto utile questo approccio e no disagio dalla presenza di diverse figure) [28,29]. Uno studio (41) svolto dai colleghi torinese dell’Ospedale S Giovanni Battista in collaborazione con l’Università Bocconi ha mostrato che il percorso interdisciplinare presenta una riduzione del costo medio di circa 225 euro rispetto a quello monodisciplinare. Tale approccio multidisciplinare ha permesso di identificare ed applicare iter diagnostico-terapeutici più appropriati ed una maggiore competenza e flessibilità in termini di personalizzazione delle cure. Take home message: La durata della terapia target all’osso, in assenza di controindicazioni, dovrebbe essere almeno 2 anni e deve essere iniziata all’evidenza radiologica di metastasi ossee anche in assenza di sintomi. L’acido zoledronico ogni 3 mesi dopo 9/12 mensili nel tumore mammario rappresenta un’alternativa terapeutica. Si consiglia un percorso interdisciplinare al paziente con metastasi ossee. Bibliografia 1. Rosen LS, Gordon D, Kaminski M et al., Long-term efficacy and safety of zoledronic acid compared with pamidronate disodium in the treatment of skeletal complications in patients with advanced multiple myeloma or breast carcinoma: a randomized, double-blind, multicenter, comparative trial, Cancer 2003. 2. Saad F, Gleason DM, Murray R et al., Long-term efficacy of zoledronic acid for the prevention of skeletal complications in patients with metastatic hormone-refractory prostate cancer, J Natl Cancer Inst 2004 3. Rosen LS, Gordon D, Tchekmedyian S et al., Zoledronic acid versus placebo in the treatment of skeletal metastases in patients with lung cancer and other solid tumors: a phase III, double-blind, randomized trial. The Zoledronic Acid Lung Cancer and Other Solid Tumors Study Group, J Clin Oncol 2003. 4. Body JJ, Mancini I, Bisphosphonates for cancer patients: why, how and when?, Supp Cancer Care 2002. 5. Hirsh V, Tchekmedyian S, Rosen LS et al., Clinical benefit of Zoledronic acid in patients with lung cancer and other solid tumors: analysis based on history of skeletal complications, Clin Long Cancer 2004. 6. Aapro M, Abrahamsson PA, Body JJ et al., Guidance on the use of bisphosphonate in solid tumors: recommendations of an international expert panel, Ann Oncol 2008. 7. Clemons MJ, Dranitsaris G, Ooi WS et al., Phase II trial evaluating the palliative benefit of second line Zoledronic acid in breast cancer patients with either a skeletal-related event or progressive bone metastases despite first-line bisphosphonate therapy, J Clin Oncol 2006. 8. Clemons M, Dranitsaris G, Ooi WS, COle DE, A phase II trial evaluating the palliative benefit of second line oral ibandronate in breast cancer patients with either a skeletal related event (SRE) or progressive bone metastases (BM) despite standard bisphosphonate (BP) therapy, Breast Cancer Res Treat 2007. 9. Van den Wyngaert T1, Delforge M, Doyen C, Duck L, Wouters K, Delabaye I, Wouters C, Wildiers H. Prospective observational study of treatment pattern, effectiveness and safety of zoledronic acid therapy beyond 24 months in patients with multiple myeloma or bone metastases from solid tumors. Support Care Cancer. 2013 Dec;21(12):3483-90. 10. Wong MHF, Stockler MR, Pavlakis N. The Cochrane Database of Systematic Reviews, Bisphosphonates and other bone agents for breast cancer. 2012 11. Yven KY, The Cochrane Database of Systematic Reviews, Bisphosphonates for prostate cancer 2006. 12. Hillner BE, Ingle JN, Chlebowski RT et al., American Society of Clinical Oncology, 2003 Update on the Role of Bisphosphonates and Bone Health Issues in Women with Breast Cancer, J Clin Oncol 2003. 30 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 13. Rosen LS, Gordon D, Antoni BS et al., Zoledronic Acid versus pamidronate in the treatment of skeletal metastases in patients with breast cancer or osteolytic lesions of multiple myeloma a phase III, double blind, comparative trial, Cancer Journal 2001. 14. Body JJ, Diel JJ, Lichinistser MR, Intravenous ibandronate reduces the incidence of skeletal complications in patients with breast cancer and bone metastases, Ann Oncol 2003. 15. Body JJ, Diel JJ, Lichinistser MR, Oral ibandronate reduces the risk of skeletal complications in breast cancer patients with metastatic bone disease: results for two randomized placebo-controlled phase III studies, Br J Cancer 2004 16. Summary of product characteristic (Sm PC) Clodronate, Benefos, Swissmedic (50957, 50958), 2006, http://kompedium.ch/search.aspx?lang=de. 17. Summary of product characteristic (Sm PC) Ibandronate, Bondronat, Swissmedic (53626, 56360, 57424), 2006, http://kompedium.ch/search.aspx?lang=de. 18. 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Amadori D., Cascinu S., Conte P.F., Osteoncologia, un approccio multidisciplinare, Ed. Excerpta Medica 2003. 25. Amadori D., Castoldi G., Fabbri M., Ibrahim T., Mannella P., Rigolin G.M., Santellari P.N., Metastasi Ossee, Ed. Medical Communications 2003. 26. Amadori D., Cascinu S., Conte P.F., Ibrahim T. Osteoncology Textbook, Ed Poletto, 2010 27. J. P. Winters, M. H. Fekrazad, E. H. Gilliam, S. Lee, K. Choi, M. Royce. Efficacy and safety of intravenous bisphosphonates beyond two years of use. J Clin Oncol 28, 2010 (suppl; abstr e 19619). 28. Ibrahim T. et al., Multidisciplinary Osteo-Oncology Center for the management of bone metastases, J Clin Oncol, 2008 (Suppl; Abs. n° 20694). 29. Ibrahim T, Flamini E, Fabbri L, Serra P, Mercatali L, Ricci R, Sacanna E, Falasconi MC, Casadei R, Galassi R, Giannini M, Bazzocchi O, Calzolari F, Nunziatini R, Gaudio M, Maltoni M, Amadori D. Multidisciplinary approach to the treatment of bone metastases: Osteo-Oncology Center, a new organizational model. Tumori, 95(3):291-7, 2009 30. Kinnane N. Burden of bone disease. Eur J Oncol Nurs11, Suppl 2:S28-31, 2007 31. Van Poznak CH, Temin S, Yee GC et al. American Society of Clinical Oncology Clinical Practice Guideline Update on the Role of Bone-Modifying Agents in Metastatic Breast Cancer. J Clin Oncol 2011 32. Jensen A, Jacobsen JB, Nørgaard M et al. Incidence of bone metastases and skeletal-related events in breast cancer patients: a population-based cohort study in Denmark Danish National Patient Registry 1999- 2007. BMC Cancer 2011 33. Body JJ, Facon T, Coleman RE, et al: A study of the biological receptor activator of nuclear FactorkappaB ligand inhibitor, denosumab, in patients with multiple myeloma or bone metastases from breast cancer. Clin Cancer Res 12:1221-1228, 2006 34. Rosen LS, Gordon D, Kaminski M, et al: Long-term efficacy and safety of zoledronic acid compared with pamidronate disodium in the treatment of skeletal complications in patients with advanced multiple myeloma or breast carcinoma: A randomized, double-blind, multicenter, comparative trial. Cancer 98:1735-1744, 2003 35. Body JJ, Diel IJ, Lichinitzer M, et al: Oral ibandronate reduces the risk of skeletal complications in breast cancer patients with metastatic bone disease: Results from two randomized, placebo-controlled phase III studies. Br J Cancer 90:1133-1137, 2004 36. Heras P, Kritikos K, Hatzopoulos A, et al: Heras P, Kritikos K, Hatzopoulos A, et al: Efficacy of ibandronate for the treatment of skeletal events in patients with metastatic breast cancer. Eur J Cancer Care (Engl) 18:653-656, 2009 37. Body JJ, Diel IJ, Lichinitser MR, et al: Intravenous ibandronate reduces the incidence of skeletal complications in patients with breast cancer and bone metastases. Ann Oncol 14:1399-1405, 2003 31 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 38. Stopeck AT, Lipton A, Body JJ et al. Denosumab compared with zoledronic acid for the treatment of bone metastases in patients with advanced breast cancer: A randomized, double-blind study. J Clin Oncol 28:5132-5139, 2010 39. Fizazi K, Carducci M, Smith M et al. Denosumab versus zoledronic acid for treatment of bone metastases in men with castration-resistant prostate cancer: a randomised, double-blind study. Lancet 2011 40. Amadori D, Aglietta M, Alessi B, Gianni L, Ibrahim T, Farina G, Gaion F, Bertoldo F, Santini D, Rondena R, Bogani P, Ripamonti CI. Efficacy and safety of 12-weekly versus 4-weekly zoledronic acid for prolonged treatment of patients with bone metastases from breast cancer (ZOOM): a phase 3, open-label, randomised, non-inferiority trial. Lancet Oncol Volume 14, Issue 7, June 2013, Pages 663-670 41. Colangelo I, Ferracini R, Tozzi V. Il percorso assistenziale in osteoncologia: l’esperienza del gruppo integrato di cure dell’Azienda ospedaliera S. Giovanni Battista. Mecosan – Management ed economioa sanitaria- N.57- 2006 42. Gabriel N. Hortobagyi, Allan Lipton, Helen K. Chew, William John Gradishar, Nicholas P. Sauter, Ramon W. Mohanlal, Ming Zheng, Beth McGrain, Catherine Van Poznak. Efficacy and safety of continued zoledronic acid every 4 weeks versus every 12 weeks in women with bone metastases from breast cancer: Results of the OPTIMIZE-2 trial. J Clin Oncol 32:5s, 2014 (suppl; abstr LBA9500^) 43. .Blanchette PS, Pritchard KI. The Role of Bisphosphonates in Early- and Advanced-Stage Breast Cancer: Have We Finally Optimized Care?. Cancer Network (http://www.cancernetwork.com) 2015 44. Andrew Louis Himelstein, Rui Qin, Paul J. Novotny et al. CALGB 70604 (Alliance): A randomized phase III study of standard dosing vs. longer interval dosing of zoledronic acid in metastatic cancer. J Clin Oncol 33, 2015 (suppl; abstr 9501) M. Supplementazione di calcio e vitamina D durante trattamento con farmaci inibenti l’attività osteoclastica Alfredo Berruti 1. Premessa L’ipovitaminosi D è frequente nella popolazione generale e riguarda non solo le persone anziane [1]. Valutazioni di vitamina D nel paziente oncologico hanno dimostrato una elevata prevalenza di questa malattia carenziale. Livelli normali di vitamina D si intendono concentrazioni uguali o superiori a 30 ng/ml, livelli circolanti di vitamina D inferiori a 30 ng/ml ma superiori a 10 ng/ml indicano insufficienza e valori inferiori a 10 ng/ml indicano invece una deficienza dell’ormone [1,2]. In una valutazione seriata in pazienti con carcinoma mammario, circa il 70-80 dei casi presentava livelli subottimali circolanti di questo ormone [3]. L’ipovitaminosi D conduce ad un ridotto assorbimento intestinale di calcio, si associa ad un aumentato turnover osseo e ad una riduzione delle forza muscolare aumentando il rischio di caduta [1]. Quando ad un paziente con ipovitaminosi D viene somministrato un potente bisfosfonato per via endovenosa vi è rischio di ipocalcemia, in taluni casi anche severa e sintomatica [4,5]. Durante trattamento con bisfosfonati è pertanto indispensabile una supplementazione di calcio e vitamina D. Le dosi giornaliere di calcio e vitamina D raccomandate durante un trattamento con acido zoledronico o denosumab sono 500 mg e 400 UI, rispettivamente [6]. Occorre tuttavia sottolineare come tale dose sia stata decisa empiricamente sulla base di quello che si riteneva fosse il fabbisogno giornaliero di una persona adulta di età superiore a 60 anni al momento in cui questi studi sono stati disegnati. Oggi si ritiene che tale supplementazione sia insufficiente e si consigliano dosi giornaliere almeno doppie (1000 UI di vitamina D e 1000-1200 mg di calcio) allo scopo di prevenire l’ipovitaminosi D [1,2,7]. Da ciò ne deriva che probabilmente eventuali ipovitaminosi D nei pazienti randomizzati negli studi clinici con bisfosfonati e denosumab non siano state adeguatamente corrette in molti casi. 2. Evidenze Vi sono motivazioni teoriche che suggeriscono come un’ipovitaminosi D possa limitare l’efficacia dei bisfosfonati e denosumab: 1) la vitamina D ha dimostrato avere effetti antiproliferativi nei confronti di svariate neoplasie [1], favorendo potenzialmente quindi la progressione di malattia, 2) il paziente con ipovitaminosi D può andare incontro a ipocalcemia a seguito della somministrazione di farmaci inibenti 32 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE l’attività osteoclastica e quindi ad iperparatiroidismo secondario. Il paratormone stimola l’attività osteoclastica limitando potenzialmente l’efficacia di questi farmaci nella prevenzione delle complicanze scheletriche. Il paratormone può aumentare la disponibilità di fattori di crescita nel microambiente osseo favorendo la progressione ossea di malattia, inoltre il paratormone è molto simile al PTHrP, uno dei più potenti fattori di crescita, e si lega allo stesso recettore presente nella maggior parte delle cellule neoplastiche. Purtroppo in nessuno studio randomizzato, in cui sono stati impiegati i bisfosfonati o denosumab, sono stati valutati i livelli circolanti di vitamina D. Negli studi registrativi in cui l’acido zoledronico è stato randomizzato versus placebo o pamidronato è stato effettuato un monitoraggio trimestrale di calcemia e paratormone. In una analisi esplorativa recentemente pubblicata [8], livelli elevati di paratormone in condizioni basali e durante terapia con acido zoledronico in pazienti con metastasi ossee da carcinoma prostatico hanno mostrato di correlare direttamente con la probabilità di andare incontro a morte. Questi dati devono essere interpretati con molta cautela in quanto si riferiscono ad una analisi per sottogruppi non pianificata all’inizio dello studio e non possono essere generalizzabili (Livello di Evidenza SIGN 3). Tuttavia, poiché l’iperparatiroidismo secondario indotto da acido zoledronico è verosimilmente in gran parte dovuto ad una relativa carenza di vitamina D, questi dati suggeriscono come una adeguata supplementazione di vitamina D possa migliorare l’efficacia dei farmaci anti osteolitici nel trattamento di pazienti con metastasi ossee. 3. Raccomandazioni Quantunque oggi non vi siano elementi sufficienti per supportare in generale la supplementazione di vitamina D in pazienti oncologici al di fuori di studi controllati [9], sulla base di quanto su descritto, è invece raccomandabile una supplementazione di calcio e vitamina D in tutti i pazienti con metastasi ossee che debbano effettuare un trattamento con bisfosfonati o denosumab. Non vi sono dati sul dosaggio adeguato, occorre tuttavia considerare che la dose giornaliera raccomandata nel foglietto illustrativo di tali farmaci (400 UI di vitamina D e 500 mg di calcio) possa non essere adeguata poiché la supplementazione consigliata oggi in un soggetto di età superiore a 60 anni per la prevenzione dell’ipovitaminosi D prevede un dosaggio ALMENO doppio sia di calcio che di vitamina D. E’ consigliabile comunque correggere ipocalcemie severe anche se asintomatiche durante trattamento con potenti bisfosfonati o denosumab con dosi adeguate di vitamina D in quanto potenzialmente in grado di limitare l’efficacia di tali farmaci. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D In tutti i pazienti con metastasi ossee che debbano effettuare un trattamento con bisfosfonati o denosumab è raccomandabile una supplementazione di calcio e vitamina D Positiva forte D Si raccomanda di effettuare la supplementazione di calcio e vitamina D a dosi di almeno 1000-1200 UI al giorno di vitamina D e di 500 mg al giorno di calcio, possibilmente in formulazioni farmaceutiche separate Positiva forte D Si raccomanda di correggere ipocalcemie severe anche se asintomatiche durante trattamento con bisfosfonati o denosumab con dosi adeguate di vitamina D Positiva forte 33 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Take home message: A tutti i pazienti che effettuano bisfosfonati per via endovenosa o orale e denosumab per via sottocutanea è raccomandata una supplementazione di calcio e vitamina D. E’ consigliabile somministrare a tutti i pazienti oncologici che devono iniziare una terapia con bifosfonati una dose di almeno 1000-1200 UI al giorno di vitamina D e di 500 mg al giorno di calcio, possibilmente in formulazioni farmaceutiche separate. Utile monitoraggio di calcemia (ionizzata o corretta per albumina) durante il trattamento con bisfosfonati o denosumab al fine di correggere valori ipocalcemici severi. Bibliografia 1. Holick MF. Vitamin D deficiency. N Engl J Med 357: 266-281, 2007. 2. Mosekilde L. Vitamin D and the elderly. Clin Endocrinol 62: 265–281, 2005. 3. Goodwin PJ., Ennis M., Pritchard KI., Koo J, Hood N. Frequency of vitamin D (Vit D) deficiency at breast cancer (BC) diagnosis and association with risk of distant recurrence and death in a prospective cohort study of T1-3, N0-1, M0 BC. Proc ASCO 2008, Abstract No. 511. 4. Breen TL, Shane E. Prolonged hypocalcemia after treatment with zoledronic acid in a patient with prostate cancer and vitamin D deficiency. J Clin Oncol. 15: 1531-1532, 2004. 5. Rosen CJ, Brown S. Severe hypocalcemia after intravenous bisphosphonate therapy in occult vitamin D deficiency. N Engl J Med. 348: 1503-1504, 2003. 6. Tanvetyanon T, Stiff PJ. Management of the adverse effects associated with intravenous bisphosphonates. Ann Oncol. 17: 897-907, 2006. 7. Schwalfenberg G. Not enough vitamin D. Health consequences for Canadians. Can Fam Physician 53:841-854.2007 8. Berruti A, Cook R, Saad F, Buttigliero C, Lipton A, Tampellini M, Lee KA, Coleman RE, Smith MR. Prognostic Role of Serum Parathyroid Hormone Levels in Advanced Prostate Cancer Patients Undergoing Zoledronic Acid Administration. Oncologist. 17(5):645-52. 2012. 9. Buttigliero C, Monagheddu C, Petroni P, Saini A, Dogliotti L, Ciccone G, Berruti A. Prognostic role of vitamin d status and efficacy of vitamin D supplementation in cancer patients: a systematic review. Oncologist.;16: 12151227, 2011 N. Ruolo dei marcatori di turn-over dell’efficacia dei bisfosfonati osseo nel monitoraggio Alfredo Berruti I bisfosfonati e denosumab sono farmaci efficaci nella prevenzione delle complicanze scheletriche in pazienti con metastasi ossee. Non tutti i pazienti tuttavia beneficiano da questi farmaci ed altri inizialmente responsivi possono andare incontro all’evento scheletrico avverso in un secondo momento. Da tutto questo si evince l’importanza di aver a disposizione end point intermedi o surrogati che possano predire dopo breve periodo di trattamento l’efficacia di tali farmaci. I parametri clinici, come il controllo del dolore, non possono essere impiegati in questo senso in quanto l’effetto antidolorifico di questi farmaci è spesso indipendente rispetto alla prevenzione delle complicanze. Poiché i bisfosfonati e denosumab inibiscono profondamente il metabolismo osseo, i marcatori di turnover osseo si prestano per essere i primi parametri surrogati di efficacia. Poiché il target del trattamento con questi farmaci sono gli osteoclasti, i marcatori di lisi del collagene rappresentano i primi potenziali marcatori surrogati. Gli studi principali e più importanti sul ruolo predittivo di efficacia dei marcatori di lisi del collagene sono stati condotti nell’ambito dei pazienti randomizzati negli studi registrativi di confronto fra acido zoledronico e pamidronato o placebo. In tutti questi studi, infatti, i livelli urinari di NTX (frammento poliaminoacidico N terminale del collagene di tipo I) sono stati monitorati ogni 3 mesi circa in tutti i pazienti. I risultati ottenuti sono stati i seguenti: 1) pazienti affetti da metastasi ossee da carcinoma prostatico, carcinoma del polmone e altri istotipi minori, randomizzati nel braccio placebo e con livelli basali elevati di NTX hanno mostrato una significativa maggiore probabilità di andare incontro a complicanze scheletriche, progressione ossea di malattia e morte rispetto a pazienti con livelli normali [1] (Livello di Evidenza SIGN 3); 34 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 2) Livelli elevati di NTX in condizioni basali di pazienti con carcinoma della mammella, carcinoma della prostata, carcinoma del polmone e altri istotipi minori, randomizzati a ricevere acido zoledronico, hanno mostrato una correlazione diretta con la probabilità di andare incontro a complicanze scheletriche, progressione ossea di malattia, morte rispetto a pazienti con livelli basali bassi [2] (Livello di Evidenza SIGN 3); 3) Pazienti con carcinoma della mammella e livelli basali elevati di NTX che si sono normalizzati dopo 3 mesi di trattamento con acido zoledronico hanno mostrato minore probabilità di andare incontro a complicanze scheletriche, progressione ossea di malattia e morte rispetto alle pazienti che hanno mantenuto livelli elevati durante la terapia [3] (Livello di Evidenza SIGN 3). Questi dati dimostrano che i valori basali di NTX e la discesa di tale marcatore dopo acido zoledronico predicono l’insorgenza di tutti gli eventi avversi a cui può andare incontro un paziente con metastasi ossee. La domanda che ci si deve porre è se l’NTX possa essere utilizzato come end point surrogato di efficacia dell’acido zoledronico in pazienti con metastasi ossee. I criteri della “surrogacy sono stati definiti da Prentice e collaboratori [4]. Sulla base dei risultati su descritti l’NTX soddisfa 3 dei criteri per definire un end point surrogato in quanto: 1) in condizioni basali correla con l’end point primario (in questo caso le complicanze scheletriche o la progressione ossea di malattia, o la sopravvivenza); 2) le variazioni di NTX durante il trattamento sono significativamente influenzate dal trattamento stesso; 3) la discesa dell’NTX durante trattamento con acido zoledronico correla con i parametri di efficacia (riduzione delle complicanze scheletriche, aumento del tempo a progressione ossea di malattia, aumento della sopravvivenza globale). Tuttavia per poter utilizzare la discesa dell’NTX come end point surrogato nella pratica clinica è necessario dimostrare che, correggendo per l’end point surrogato (cioè la discesa del NTX), l’effetto del trattamento (cioè dell’acido zoledronico) sugli end point primari (eventi scheletrici, progressione ossea e morte) scompare. In altre parole occorre dimostrare in analisi multivariata che, per esempio, quando si corregge per la discesa di NTX, l’effetto di acido zoledronico sulla prevenzione delle complicanze scheletriche perde di significatività. Il che equivale a dire che è attraverso l’inibizione dell’osteolisi di cui NTX è espressione che l’acido zoledronico è efficace. In assenza di questa dimostrazione non è per ora possibile utilizzare l’NTX come parametro surrogato di efficacia della somministrazione di acido zoledronico in pazienti con metastasi ossee. Per quanto riguarda denosumab, l’osservazione che tale farmaco sia in grado di indurre una maggior riduzione dei livelli di NTX rispetto ad acido zoledronico nello studio in cui si dimostra una sua maggior efficacia nella prevenzione degli eventi scheletrici è suggestivo delle potenzialità di NTX come parametro surrogato di efficacia, tuttavia anche per denosumab manca la dimostrazione della “surrogacy”. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D In pazienti con metastasi ossee, l’impiego di NTX come parametro surrogato di efficacia della terapia non è raccomandabile Negativa debole Take home message: valori basali di NTX e variazioni di NTX dopo acido zoledronico o denosumab correlano con l’efficacia di tali farmaci. A tutt’oggi tuttavia l’NTX non possiede tutti i requisiti per poter essere considerato un valido end point surrogato di efficacia dei farmaci inibitori del riassorbimento osseo nel trattamento di pazienti con metastasi ossee. 35 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Bibliografia 1. Brown JE, Cook RJ, Major P, Lipton A, Saad F, Smith M, Lee KA, Zheng M, Hei YJ, Coleman RE. Bone Turnover Markers as Predictors of Skeletal Complications in Prostate Cancer, Lung Cancer, and Other Solid Tumors. J Natl Cancer Inst 97:59–69, 2005. 2. Coleman RE, Major P, Lipton A, Brown JE, Lee KA, Smith M, Saad F, Zheng M, Hei YJ, Seaman J, Cook RJ. Predictive Value of Bone Resorption and Formation Markers in Cancer Patients With Bone Metastases Receiving the Bisphosphonate Zoledronic Acid. J Clin Oncol 23:4925-4935, 2005. 3. Lipton A, Cook RJ, Major P, Smith MR, Coleman RE. Zoledronic Acid and Survival in Breast Cancer Patients with Bone Metastases and Elevated Markers of Osteoclast Activity. Oncologist 12:1035–1043, 2007. 4. Prentice RL. Surrogate endpoints in clinical trials: definition and operational criteria. Stat Med 8: 431-440, 1989. 5. Fizazi K, Carducci M, Smith M, Damião R, Brown J, Karsh L, Milecki P, Shore N, Rader M, Wang H, Jiang Q, Tadros S, Dansey R, Goessl C. Denosumab versus zoledronic acid for treatment of bone metastases in men with castration-resistant prostate cancer: a randomised, double-blind study. Lancet 377: 813-22, 2011. O. Il ruolo delle bone target therapy nel miglioramento della QoL e nel trattamento del dolore Carla Ripamonti I bisfosfonati sono gli agenti più efficaci per il trattamento e/o la prevenzione delle complicanze da metastasi ossee e sono il trattamento standard per queste indicazioni. Diversi studi indicano come i bisfosfonati siano in grado di offrire significativi e duraturi miglioramenti del dolore osseo. Questo è stato dimostrato in numerosi studi adeguatamente dimensionati, a prescindere degli strumenti di misura utilizzati per rilevare questo tipo di effetti. (Livello di Evidenza SIGN 1+). Oltre ad un controllo del dolore a lungo termine dovuto ai benefici effetti sull’integrità ossea, i BP sembrano esercitare effetti analgesici anche sul dolore non responsivo ad alte dosi di oppioidi analgesici quando somministrati con una dose di carico (Livello di Evidenza SIGN 3). Per quanto riguarda la scelta del BP da somministrare, bisogna basarsi sull’effetto di tali composti sulla prevenzione degli eventi scheletrici, che è il principale scopo della loro somministrazione nei pazienti con metastasi ossee. Per quanto riguarda i pazienti con carcinoma mammario, esistono possibilità di trattamento con diversi tipi di bisfosfonato (pamidronato, acido zoledronico e ibandronato). Nei pazienti con mieloma multiplo, pamidronato e acido zoledronico sono i due bisfosfonati raccomandati. Nelle altre patologie solide, l’unico bisfosfonato con indicazione d’uso è attualmente l’acido zoledronico. La somministrazione di a.zoledronico ha mostrato ridurre in modo significativo anche il dolore incidente che è il dolore di particolare rilevanza nei pazienti con metastasi ossee da carcinoma mammario e prostatico nella fase di mobilizzazione. Sebbene schemi di trattamento con dosi intensive abbiano dato risultati incoraggianti in pazienti con carcinoma mammario trattate con ibandronato in studi pilota, tale approccio è in corso di sperimentazione clinica e non è da intraprendere al di fuori di studi sperimentali. La somministrazione intensiva di ibandronato (cui viene fatta seguire la terapia di mantenimento con farmaco orale o iniettabile) è attualmente in sperimentazione clinica di fase III in pazienti metastatici con dolore osseo da moderato a severo, in doppio-cieco in confronto con acido zoledronico (e.v. 4 mg ogni 4 settimane) Confronti oggettivi tra i diversi BP in termini di miglioramento della qualità della vita e dell’analgesia sono complicati dalle differenze fra gli studi, in termini di sistemi di misurazione ed analisi statistiche. Solo studi prospettici comparativi potranno dare una risposta definitiva in questi termini. Solo un numero limitato di studi dimostra significativi miglioramenti della qualità della vita, che viene per lo più mantenuta nel tempo, senza ulteriori peggioramenti (Livello di Evidenza SIGN 1+). 36 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Tuttavia non essendoci studi che misurano la qualità della vita come end-point primario con strumenti di valutazione standardizzati, la scelta del trattamento con BP è legata all’effetto di questi farmaci sulla prevenzione degli eventi scheletrici. Una recente analisi integrata dei tre studi di fase III di confronto tra denosumab e acido zoledronico ha confrontato i due farmaci in termini di prevenzione della progressione del dolore e di miglioramento della qualità di vita. Per entrambi i parametri il denosumab ha dimostrato una superiorità statisticamente significativa rispetto all’acido zoledronico (Livello di Evidenza SIGN 1++). Va infine sottolineato che nella maggior parte degli studi, il consumo di analgesici si è mantenuto quasi sempre invariato tra i pazienti trattati con BP e quelli non trattati, indicando chiaramente che i BP non sostituiscono la terapia anti-dolorifica convenzionale ma contribuiscono con effetto additivo co-analgesico. Raccomandazioni Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D In assenza di studi che misurano la qualità della vita come end-point primario con strumenti di valutazione standardizzati, la scelta del trattamento bone-targeted è legata all’effetto di questi farmaci sulla prevenzione degli eventi scheletrici. Positiva forte Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B Bisfosfonati e Denosumab possono trovare impiego per il controllo del dolore in pazienti con metastasi ossee da carcinoma prostatico ormonorefrattario, ma non possono sostituire i farmaci analgesici. Positiva debole Take home message: I bisfosfonati sono efficaci nel ridurre il dolore scheletrico, ma non possono essere considerati sostitutivi dei comuni analgesici. Gli studi di fase III con denosumab confrontato con acido zoledronico hanno dimostrato una superiorità del primo anche in termnini di riduzione del dolore e mantenimento della qualità di vita (analisi integrata di studi randomizzati). Bibliografia 1. 2. 3. Berenson JR, Lichenstein A, Porter L, et al.. Efficacy of pamidronate in reducing skeletal events in patients with advanced multiple myeloma. N Engl J Med. 1996;334:488–493. Body JJ et al. Intravenous ibandronate reduces the incidence of skeletal complications in patients with breast cancer and bone metastases. Ann Oncol. 2003 Sep;14(9):1399-405. Clemons MJ, Dranitsaris G, Ooi WS, Yogendran G, Sukovic T, Wong BY, Verma S, Pritchard KI, Trudeau M, Cole DE (2006) Phase II trial evaluating the palliative benefit of second-line zoledronic 37 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. acid in breast cancer patients with either a skeletal-related event or progressive bone metastases despite first-line bisphosphonate therapy. J Clin Oncol 24(30):4895–4900 Conte PF, Latreille L, Mauriac L, Calabresi F, Santos R, Campos D, Bonneterre J, Francini G, Ford JM (1996) Delay in progression of bone metastases in breast cancer patients treated with intravenous pamidronate: results from a multinational randomized controlled trial. J Clin Oncol 14(9):2352–2359 Diel IJ et al., Improved quality of life after long-term treatment with the bisphosphonate ibandronate inpatients with metastatic bone disease due to breast cancer. 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Combined analysis of two multicenter, 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 5. randomized, placebo-controlled studies of pamidronate disodium for the palliation of bone pain in men with metastatic prostate cancer. J Clin Oncol. 2003;21:4277–4284. Thürlimann B, Morant R, Jungi WF, Radziwill A (1994) Pamidronate for pain control in patients with malignant osteolytic bone disease: a prospective dose-effect study. Support Care Cancer 2(1):61–65 Tubiana-Hulin M, Beuzeboc P, mauriac L., et al. (2001) Double-blinded controlled study comparing clodronate versus placebo in patients with breast bone metastases Bull Cancer 88:701-707. Vogel CL, Yanagihara RH, Wood AJ, Schnell FM, Henderson C, Kaplan BH, Purdy MH, Orlowski R, Decker JL, Lacerna L, Hohneker JA (2004) Safety and pain palliation of zoledronic acid in patients with breast cancer, prostate cancer, or multiple myeloma who previously received bisphosphonate therapy. Oncologist 9(6):687–695 Wardley A, Davidson N, Barrett-Lee P, Hong A, Mansi J, Dodwell D, Murphy R, Mason T, Cameron D (2005) Zoledronic acid significantly improves pain scores and quality of life in breast cancer patients with bone metastases: a randomised crossover study of community vs. hospital bisphosphonate administration. Br J Cancer 92(10):1869–1876 Weinfurt Kp, Li Y, Castel LD, et al. The significance of skeletal-related events for the health-related quality of life of patients with metastatic prostate cancer. Ann Oncolol 2005; 16:579-84 Ripamonti CI, Santini D, Maranzano E, Berti M & Roila of behalf of the ESMO Guidelines Working Group. Management of cancer pain: ESMO Clinical Practice Guidelines. Ann Oncol. 2012 von Moos R, Body JJ, Egerdie B et al. Pain and health-related quality of life in patients with advanced solid tumours and bone metastases: integrated results from three randomized, double-blind studies of denosumab and zoledronic acid. Support Care Cancer. 2013 Aug 22. [Epub ahead of print] La prevenzione ed trattamento della CTIBL Francesco Bertoldo 1. Introduzione 1.1 Definizione di osteoporosi La CTIBL è una forma particolare di osteoporosi caratterizzata da una elevata velocità di perdita di massa ossea (rispetto alla forma postmenopausale). L’osteoporosi è definita come una malattia dello scheletro che ne determina la fragilità attraverso la compromissione sia della quantità di massa ossea che per alterazioni qualitative relative amodificazioni della geometria scheletrica (soprattutto a carico dell’osso corticale), della microarchitettura trabecolare (soprattutto a livello vertebrale) e della qualità del collageno. La perdita di massa ossea e la alterazioni qualitative avvengono in maniera totalmente asintomatica. Solo la frattura è la manifestazione clinica evidente. Le fratture avvengono per traumi non efficienti (ovvero la caduta dalla stazione eretta) oppure anche in assenza di traumi. Le fratture vertebrali (che sono in assoluto le più frequenti) sono nel 60% dei casi totalmente asintomatiche (vengono definite morfometriche in quanto identificabile solo mediante valutazione semiquantitaiva della radiografia della colonna). Le fratture osteoporotiche, anche quelle vertebrali asintomatiche, determinano un significativo e rapido incremento del rischio fratturativo, un deterioramento della qualità della vita, ed un significativo impatto sulla morbidità e mortalità. [1,2,3,4] 1.2 La valutazione della massa ossea La valutazione della massa ossea è finalizzata alla stima del rischio fratturativo in quanto la massa ossea è uno dei maggiori determinanti della resistenza meccanica dello scheletro. Il gold standard attuale della misurazione della massa ossea è la tecnica DEXA (Dual Energy X Ray Absorptiometry) che esprime il grado di attenuazione del fascio di raggi attraverso il segmento scheletrico (espressa in gr/cm2). 39 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE La scansione potrà essere effettuata a livello vertebrale o femorale. Il rischio fratturativo può essere valutato anche mediante altre tecniche come l’indagine ultrasonografica (QUS= quantitative ultrasound measurement) a livello del calcagno o delle falangi (valore espresso come attenuazione del fascio ultrasonografico) o mediante TAC a livello vertebrale(mg/cm3). Quest’ultima metodica non ha ancora sufficienti documentazioni intermini di predittività del rischio fratturativo e perciò il suo utilizzo diagnostico non è giustificato. Inoltre non è utilizzabile per il follow up. [5] Con la DEXA e QUS il valore verrà espresso nel referto in due modalità diverse.Il T-score (ovvero il numero di deviazioni standard rispetto al valore del giovane adulto) e lo Z-score (ovvero il valore in termini di DS rispetto ai soggetti sani di pari età). Il T-score viene utilizzato per la stima del rischio fratturativo. Il rischio fratturativo circa raddoppia per ogni deviazione DS di calo. Operativamente un valore di T-score inferiore o uguale a - 2.5 viene definito osteoporosi, tra -1 e -2.5 osteopenia e superiore a -1 normale. Per le tecniche ultrasonografiche solo quella del calcagno corrisponde come valori di T-score a quelli della DEXA. Per la QUS delle falangi la soglia diagnostica di osteoporosi del T-score è di -4 DS. La tecnica ad QUS non è indicata per il follow up della massa ossea ed il monitoraggio dell’effetto terapeutico [5]. La prescrivibilità dell’esame densitometrico DEXA per la valutazione della BMD è regolato a livello nazionale dai criteri LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) 1.3 Interpretazione ed utilizzo dei valori di T- Score La diagnosi di osteoporosi oggi può essere fatta in presenza di una frattura da fragilità o, in assenza di una frattura, mediante la valutazione della massa ossea che ne predice il rischio. Nel 1994 l’OMS aveva definito a rischio di frattura un valore di massa ossea misurata mediante DXA (BMD) uguale o inferiore a -2.5 di T-score. Tale valore oggi è comunemente utilizzato anche come soglia terapeutica. Le linee guida ASCO 2003 nell’algoritmo di intervento si riferiscono a questa definizione. Attualmente tale valutazione è stata ampiamente rivista alla luce di due fattori: il primo che il test DEXA ha una elevata specificità ma bassa sensibilità. Infatti oltre circa il 65% delle fratture avviene con una BMD T score<-2,5 cioè in donne non osteoporotiche e il 52% delle fratture avviene in donne considerate solo osteopeniche (T-score tra -1 e -2,5 DS) [6]. In secondo luogo oggi il rischio assoluto di frattura a 10 anni è stato stabilito mettendo in relazione il T-score con l’età. A parità di rischio, aumentando l’età aumenta il valore soglia di T-score (ad esempio una rischio di frattura del 18% a 50 anni si raggiunge con un T-score di -2.5 , a 70 anni con un T-score di -1.5) [2,7]. Inoltre nella valutazione del rischio di frattura oggi vanno considerati, in una valutazione intergrata, oltre alla BMD alcuni fattori di rischio BMD indipendenti, quali appunto l’età , la terapia steroidea, il BMI, la storia familiare di frattura di femore o di vertebra, la storia personale dopo i 50 anni di fratture, il fumo e l’alcol [2,8]. L’OMS ha costruito una carta del rischio che prevede l’integrazione di tali fattori con algoritmi, tenendo conto anche delle diversità nazionali [9]). Il rapporto tra età, T-score e probabilità di frattura è illustrato nella tabella 2A. mentre il rapporto con il numero di fattori di rischio e T.score nella tabella 2B. [2] Nella tabella 1 sono riassunte le procedure ambulatoriali essenziali per la diagnosi di osteoporosi e per la definizione della soglia di intervento [2]. (Livello di Evidenza SIGN 4) 1.4 Fattori di rischio per frattura indipendenti dalla BMD Età: Dopo la menopausa il declino della produzione estrogenica causa una rapida perdita di massa ossea pari all’1-2% all’anno [10]. L’incidenza fratturativa è più elevata nelle donne al di sopra dei 60 anni di età e l’età sopra i 60 anni raddoppia il rischio di frattura rispetto all’eta < 60 anni [11]. In termini di rischio assoluto di frattura a 10 anni al crescere dell’età si riduce la soglia densitometrica di frattura, per cui dopo i 65 anni il rischio fratturativo diventa significativo anche per valori di T-score compresi tra -1 e -2.5 (definibili come osteopenia) [2]. Le fratture: Tra i fattori di rischio per fratture si segnala la presenza di fratture osteoporotiche che costituiscono il miglior criterio di diagnosi ed il miglior predittore di rischio futuro. Le fratture tipiche dell’osteoporosi sono a carico del radio, delle vertebre e del femore, ma in teoria qualunque segmento 40 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE scheletrico può incorrere in una frattura da fragilità. Le più comuni fratture osteoporotiche sono a carico dei corpi vertebrali (tipicamente tra T6 e L2). Il numero di fratture vertebrali e la loro gravità (gradi da 1 a 3 con valutazione semiquantitativa secondo Genant (vedi schema, FIG 1) correlano con il rischio [12]. Ogni frattura predice il rischio di altre fratture [8,12]. Una frattura vertebrale raddoppia il rischio di avere una qualsiasi altra frattura nel primo anno [3]. Tipicamente il 50% delle fratture vertebrali sono totalmente asintomatiche o presentano sintomi talmente aspecifici che difficilmente vengono attribuiti all’evento fratturativo. Inoltre sono raramente associate ad un evento traumatico. Ciò comporta che siano totalmente misconosciute e vadano perciò ricercate ad hoc, mediante RX [2]. I corticosteroidi: Non esiste un dosaggio sicuro di corticosteroide e anche se in maniera meno definita anche la terapia steroidea topica per le patologie respiratorie determina effetti negativi sull’osseo. Oggi la soglia di rischio fratturativo per la terapia steroidea è stabilita a 5 mg PN/equivalenti per almeno 3 mesi. Il rischio fratturativo avviene indipendentemente dalle alterazioni della BMD. Anche a bassi dosaggi il cortisone aumenta il rischio di una qualsiasi frattura del 39% e raddoppia il rischio di incorrere in una frattura di femore [2,9]. Il peso: Un basso valore di BMI (inferiore a 20 kg/m2) è un fattori di rischio significativo per frattura di femore. Il rischio aumenta di circa due volte se si confrontano soggetti con BMI di 25 e 20 kg/m2. Peraltro il sovrappeso non è un fattore protettivo [9]. La familiarità per fratture osteoporotiche: La storia familiare di fratture femorali e vertebrali è un significativo fattore di rischio per fratture da fragilità. L’associazione familiare per fratture osteoporotiche è molto più forte di quella per cardiopatia ischemica. Ad un’ampia metanalisi emerge che un’anamnesi familiare positiva per frattura di femore è associata ad un aumento del 34% del rischio di incorrere in una frattura qualsiasi e del 75% quella di femore [13]. Il fumo: il fumo aumenta il rischio di frattura del femore del 50 % nelle donne in postmenopausa come dimostrato da una analisi di 29 studi comprendenti più di 10000 pazienti fumatori e non. L’aumento del rischio fratturativo non è appannaggio esclusivo dei fumatori abituali. Si è infatti registrato un aumento dell’incidenza di frattura del femore del 42% anche in donne che avevano abbandonato l’abitudine tabagica e il rischio è indipendente da età e BMD [14] ALGORITMO PER IL CALCOLO DEL RISCHIO. Sono attualmente disponbili on-line algoritmi matematici per il calcolo del rischio assoluto di frattura a 10 anni (sia per le fratture di femore che per le fratture scheletriche maggiori). I due più utilizzati sono il FRAX (www.shef.ac.uk/FRAX) disponbile per ogni nazione ed il De-Fra (solo Italia) che deriva dal FRAX (https://defra-osteoporosi.it/ ). La differenza sostanziale tra i due è che nel FRAX alcuni fattori di rischio, che in realà hanno un peso graduabile, sono inseribili come dicotomici mentre nel DeFRA il loro peso cambia con la severità del fattore di rischio ( ad esempio le fratture : si/ no nel FRAX , numero di fratture nel DeFRA, e cosi per fumo, alcol, dose di steroidi). Come soglia di rischio per intervento terapeutico viene comunemente accettata 3% per femore e 10% per le altre fratture. In entrambi gli algoritmi l’utilizzo della terapia ormonale adiuvante come variabile di rischio non è considerata e attualmente per entrambi gli algoritmi validati per l’osteoporosi postmenopausale e maschile, sembra che vi sia una sostanziale sottostima del reale rischio fratturativo. A breve il DeFRA verrà implementato con questa specifica variabile. Entrambi gli algoritmi non sono validati per il monitoraggio della terapia. 41 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 2. La perdita di massa ossea e rischio fratturativo nella terapia ormonale adiuvante. 2.1 Rischio fratturativo nelle donne con neoplasia mammaria Le pazienti con neoplasia mammaria presentano una condizione di particolare rischio fratturativo rispetto alle coetanee sane [15]. Circa il 60% delle donne che incorrono in una neoplasia mammaria hanno più di 60 anni ed una elevata percentuale sopravvive a lungo. La velocità di perdita di massa ossea è significativamente maggiore rispetto alla donne in menopausa fisiologica per l’effetto di una combinazione di molteplici fattori, spesso iatrogeni (menopausa indotta da chemioterapia, GnRH , inibitori dell’aromatasi) [16]. Inoltre andranno considerati altri fattori aggiuntivi indipendenti dalla neoplasia e dal suo trattamento come ad esempio l’ipovitaminosi D o patologie /terapie concomitanti che interferiscano sul metabolismo osseo (ad esempio i corticosteroidi) [17]. Neoplasia mammaria in premenopausa: effetti della terapia ormonale adiuvante e menopausa indotta da chemioterapia L’approccio terapeutico corrente alla donna con carcinoma della mammella in premenopausa prevede chemioterapia, terapia ormanale adiuvante o entambi (eventualmente associata a target therapy se indicata). Alcune di queste terapie possono indurrre menopausa o specificatamente essere deputate a indurre un profondo stabile ipogonadismo tissutale. Ciòinduce un’importante e accelerata perdita di massa osse e rischio di frattura. La velocità di perdita, comunque sia indotto l’ipogonadsmo, è molto superiore a quella indotta da inibitori dell’aromatasi nelle donne gia in postmenopausale (71). Tra i maggiori preditori di menopausa da chemioterapia vi è l’età ed il tipo di protocollo di trattamento. La menopusa si instaura nel 6085% circa delle donne che ricevono CMF ed nel 50% che ricevono FAC, con un’incidenza età-specifica del 33% tra i 30-39 anni, 96% tra 40-49 anni e 100% per donne sopra i 50 anni (72). Va segnalato che alte dosi di steroidi vengono associate ai cicli di chemioterpia aggiungendo un altro fattore osteopenizzante. Numerosi studi hanno esaminato la velocità di perdita di BMD nel primo e secondo anno dopo l’inizio della chemioterapia (73). La velocità di perdita è di circa il 5-6% al primo anno e del 6% al secondo anno a livello della colonna e 2,5% al femore (circa 3 volte superiore per entrambi i siti a quella registata nella menopausa spontanea). E’ di notevole interesse l’osservazione che donne sottoposte a chemioterapia ma che non incorrono in menopausa subiscono comunque una perdita di BMD del 4% circa a livello vertebrale (dopo 4-6 cicli di chemioterapia) indipendentemente dall’età e dal tipo di chemioterapia, indicando un effetto tossico sull’osso indipendente dall’azione di danno ovarico (74). La soppressione ovarica con LHRH agonisti come il goserelin viene utilizzato in associazione con tamoxifene, ed oggi anche con innibitori dell’aromatasi in donne in premenopausa con carcinoma della mammella e recettori per estrogeni positivi. Nello studio ZEBRA (Zoladex Early Breast Cancer Research Association) su 1640 donne l’amenorrea venne riportata nel 95% di quelle che ricevevano Goserelin rispetto al 59% di quelle che ricevevano CMF. Entrambi i trattamenti inducevano una perdita di BMD pari a -10% per il Goserelin contro -6% per il CMF alla colonna e del -6.4% per il Goserelin contro il -4.5 per il CMF al femore. (75.). Nello studio ABCSG—12 le donne in premenopausa trattate con GnRH e anastrazolo presentavano una perdita di BMD alla colonna del 7%/anno e il 56% di esse risultava con valori di T-score tra -1 e -2.5 e 25% con T score <-2.5 dopo 3 anni. Le donne trattate con GnRH e tamoxifene presentavano una perdita di BD del 5%/anno e il 46% di esse risultava osteopenico a 3 anni (26). La valutazione del rischio fratturatvo nelle donne in premenopausa che vanno incontro ad amenorrea iatrogena è di difficile valutazione ed il rischio non è stato ancora studiato sistematicamente. L’effetto comunque di una menopausa precoce si riflette sul rischo fratturativo sia a breve che a lungo termine (76). La menopausa precoce costituisce uno dei principali determinanti non solo di frattura ma anche di mortalità (77,78). I fattori di rischio per frattura, indipendenti dalla BMD (terapia steroidea, familiratità per fratture d fragilità, fratture prevalenti, fumo, alcol et) sono validati per le donne in postmenopasua, anche se 42 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE ragionevolmente possono costituire un ovvio fattore di rischio aggiuntivo anche in questa popolazione. Lo stesso algoritmo FRAX per i calcolo del rischio assoluto a 10 anni per frattura, oltre a non prevedere tra i fattori di rischio la terapia adiuvante ormonale o la menopausa preoce, non è applicabile in questa specifica popolazione. La BMD (oltre a non essere in genere eseguita in queste donne) presenta dei limiti interpretativi. Innanzitutto sembra che sia la velocità di perdita, tra le più elevate in queso setting di pazienti, più che il valore assoluto di BMD, , che si correli indipendentemente al rischio fratturavo (79,80) ,anche se l’associazione non è ancora ben definita (81.) A supporto del fatto che sia l’elevata velocità di perdita che induca il rischio fratturativo vi è l’associazione tra gli elevati livelli di turnover osseo, che è il determinante della velocità di perdita, e le fratture e come sia la soppressione del turnover osseo che spiega buona parte dell’effetto antifratturativo dei bisfosfonati e denosumab.(82). Il FRAX o altri algoritmi non prevedono nè la velocità di perdita di BMD nè il parametro di turnover osseo per la stima del rischio. Infine va considerato che poiché si tratta di donne di età media inferiore a 50 anni, non va utilizzato il T-score ma lo Z-score, ovvero il numero di SD rispetto ai soggei sani di pari età (83). La stessa associazione tra T-score o Z-score e frattura in questa popolazione di donne non è ben definita. Neoplasia mammaria in postmenopausa: effetti degli inibitori dell’aromatasi sulla massa ossea e sul rischio fratturativo Numerosi studi hanno dimostrato che entrambe le classi di AI aumentano la perdita di massa ossea e il rischio fratturativo. Lo studio ATAC (Arimidex Tamoxifen Alone or in Combination) [18] ha comparato 5 anni di terapia con AI con 5 anni con tamoxifene. L’incidenza fratturativa è risultata significativamente aumentata nel primo gruppo (11% contro 7,7%; P<0,0001). Già dopo i primi due anni di terapia con anastrozolo si è registrata una perdita di massa ossea lombare del 4,1% e del 3,9% a livello del collo femorale rispetto alla terapia con tamoxifene (P<0,001). Inoltre si è rilevato un calo significativo della BMD anche dopo 5 anni di trattamento con una perdita di circa l’8% di BMD sia alla colonna che al femore nel gruppo trattato con AI rispetto al gruppo trattato con tamoxifene (P<0,0001). Lo studio BIG 1-98 (Breast International Group 1-98) [19] ha comparato letrozolo e tamoxifene, rilevando dopo 26 mesi di follow up, un’incidenza fratturativa significativamente superiore nelle pazienti trattate con letrozolo (5,7% verso 4%; P<0,0001). Nello studio IES (Intergroup Exemestane Study) [20] le pazienti venivano randomizzate in due gruppi. Nel primo gruppo le pazienti venivano messe in terapia con exemestane dopo 2 o 3 anni di terapia con tamoxifene, nel secondo gruppo proseguivano il trattamento con tamoxifene. Dopo 56 mesi di osservazione l’incidenza fratturativa del primo gruppo era significativamente superiore a quella del secondo gruppo (7% verso 4,9%; P=0,003). Infine lo studio MA-17 (National Cancer Institute of Canada Clinical Trias Group) ha arruolato 5187 donne che avevano assunto tamoxifene per 5 anni e le ha randomizzate ad assumere per altri 5 anni letrozolo o placebo. Nei primi 30 mesi di osservazione è stato registrato un significativo aumento nelle nuove diagnosi di osteoporosi (8,1% verso 6%; P=0,003) e nell’incidenza fratturativa (5,3% verso 4,6%) nel gruppo che assumeva letrozolo rispetto al placebo. Dopo 24 mesi di terapia si registrava un significativo calo della BMD sia a livello della colonna (-5,4% verso-0,7%; P=0,008) che del femore (-3,6% contro -0,7%; P=0,044) nelle pazienti che assumevano letrozolo rispetto al placebo [21]. Tutti questi studi dimostrano che gli inibitori dell’aromatasi, sia steroidei che non steroidei inducono una significativa perdita di massa ossea e aumentano il rischio fratturativo. Infatti la percentuale di fratture annua registrata nei pazienti che assumevano anastrozolo nello studio ATAC è quasi due volte superiore a quella registrata in donne sane in postmenopausa correlabili per età affette da osteopenia. Alla sospensione del trattamento con anastrazolo vi è un trend in diminuzione della frequenza di fratture [22]. Va infine segnalato che la valutazione delle fratture in tutti gli studi sopra citati è relativa alle fratture cliniche soprattutto nonvertebrali e riportate non tanto come end –point prepianificati ma rilevate come avventi avversi e quindi potenzialmente sottostimate. Le fratture vertebrali nell’osteoporosi sono in realtà le più frequenti e nel 5060% dei casi sono asintomatiche per cui vanno programmati controlli radiografici mirati per identificarle. E’probabile quindi che la reale incidenza fratturativa sia sottostimata. Nel trial ABCSG-18 [94] dove donne che iniziavano o erano in trattamento con inibitori dell’aromatasi da un anno venivano randomizzate a 43 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE placebo/denosumab 60 mg/6 mesi, il rate di fratture cliniche nel gruppo placebo era del 10% a 3 anni, 16% a 5 anni e 26% a 7 anni di follow up, valori che superano di gran lunga quelli riportati da altri studi. 2.2 Perdita di massa ossea e rischio fratturativo nei maschi in blocco androgenico per carcinoma della prostata Il cosidetto “blocco androgenico” include l’orchiectomia, la somministrazione di GnRH o la somministrazione di GnRH associato ad un antiandrogeno. Il blocco ormonale determina una marcata soppressione dei livelli circolanti di testosterone (circa dell’80%) ma soprattutto in marcato ipoestrogenismo tissutale (con inibizione fino al circa 90%) [46]. La terapia, combinata con l’età (con associati deficit di GH, DHEAS e vit D) ed altri fattori come la sarcopenia, contribuiscono ad instaurare una condizione di elevato turnover osseo. La velocità di perdita di massa ossea è molto elevata (circa il 4% anno a livello della colonna) ed è ad esempio circa il quattro volte quella rilevata in donne in menopausa e circa due volte quella indotta da inibitori dell’aromatasi. Va inoltre considerato che l’età media dei pazienti che vengono posti in terapia con androgeno-soppressione coincide con il picco di prevalenza dell’osteoporosi maschile. Circa 1.5 milioni di Americani maschi soffrono di osteoporosi dai 65 anni in poi [47] ed una elevata percentuale di soggetti presenta già una ridotta massa ossea o fratture alla diagnosi di carcinoma della prostata [48,49]. Una percentuale elevata, che in alcune casistiche arriva al 60 %, di soggetti presenta inoltre alla diagnosi una severa ipovitaminosi D [50]. L’ipogonadismo indotto dalla terapia aumenta la sensibilità dello scheletro al PTH, e questi pazienti con iperparatiriodismo secondario al deficit di vitamina D subiscono un’amplificazione della perdita di massa ossea [51]. In studi retrospettivi la prevalenza di fratture da fragilità era del 6-13% in due anni di osservazione [52,53]. Il rischio relativo di frattura osteoporotica aggiustato per i fattori confondenti, in pazienti maschi trattati con blocco-ormonale è circa 4 volte maggiore dei soggetti sani di pati età (risk ratio 3.6, CI 1.6-7.7) [54]. Le fratture osteoporotiche, soprattutto quelle vertebrali, sono spesso asintomatiche o paucisintomatiche e pertanto oltre a rimanere misconosciute vengono considerate prive di un peso clinico e prognostico. In realtà le fratture, non solo quelle femorali ma anche quelle vertebrali, determinano un aumento della morbilità correlata e della mortalità in maniera molto più importante nel maschio che nella femminia [55,56]. Nel paziente con carcinoma della prostata e ormono-sopressione la presenza di una frattura osteoporotica condiziona la sopravvivenza (RR 7.4 CI: 6.1-8.7) quasi come la presenza di una metastasi ossea (RR 9.5 CI 95%: 8.0-10.5) e più del livello di PSA (2.8 CI 95%: 0.8-4.8) [57]. La coscienza dell’impatto della bone health anche nel soggetto maschio ed il corretto e tempestivo risconoscimento del rischio fratturativo sono oggi elementi irrinunciabili per l’impostazione della prevenzione della perdita di BMD e della riduzione del rischio di frattura. I recenti dati emersi dallo studio con denosumab per la prevenzione della perdita di massa ossea e riduzione del rischio fratturativo vertebrale in maschio con carcinoma della prostata in terapia ormonale soppressiva hanno messo particolarmente in evidenza il rapporto tra livelli di BMD e rischio fratturativo in questo particolare setting di pazienti. La popolazione studiata al momento dell’arruolamento avevano un livello basale di massa ossea medio di -0.3+1.8 T-score e al femore -0.9+-1.0 T-score,quindi sostanzialmente normali. Solo il 15% circa della popolazione studiata aveva un valore di T-score inferiore a -2.5 T-score in uno qulunque dei due siti. Nel braccio placebo dello studio (734 maschi trattati solo con supplementi di calcio e vitamina D) si verificava una riduzione a 24 mesi del 1% a livello della colonna vertebrale e del 2.5% a livello del femore. A fronte di una massa ossea relativamente normale ed una perdita modesta di BMD, già al primo anno il rischio cumulativo di nuove fratture vertebrali era del +1.9%, del 3.3% al secondo e del 3.9% al terzo anno di follow up. Questo chiaramente insegna come si debbano considerarae a rischio fraturativo anche soggetti con massa ossea relativamente buona e con perdita di massa ossea relativamente ridotta. (vedi algoritmo decisionale) (58) Si sottolinea, a proposito dell’interpretazione del valore del T-score nel maschio, che attualmente anche, se il problema è dibattuto in quanto vi sono dati che suggeriscono che la soglia fratturativa nel maschio coincida con quella della femmina, si consiglia di utilizzare il valore di T-score specifico (per il range di normalità del maschio) [5]. Le attuali linee guida della International Society of Clinical Densitometry [5] indica come 44 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE prioritaria l’esecuzione di un esame DEXA o QUS nei soggetti sottoposti a terapie che inducono perdita di massa ossea, soggetti sotto i 70 anni con fattori di rischio per frattura e tutti i soggetti sopra i 70. Queste indicazioni sono recepite dai criteri LEA che vanno specificati al momento della rischiesta. 3.La terapia e la prevenzione della CTIBL nei pazienti in terapia ormonale adiuvante I farmaci utilizzati per il trattamento di varie forme di osteoporosi da quella menopausale, a quella cortisonica, a quella del maschio si dividono fondamentalmente in due categorie: gli inbitori del riassorbimento osseo, che agiscono prevalentemente inibendo l’attività osteoclastica e i cosiddetti anabolici, che stimolano la neoformazione agendo sugli osteoblasti. Tra gli inibitori del riassorbimento osseo sono registrati per il trattamento dell’osteoporosi gli amonobifosfonati (alendronato, ibandronato, risedronato e zoledronato), gli estrogeni ed i SERM (raloxifene) e il denosumab (ac anti RANKL). Tra gli anabolizzanti, il teriparatide ed il PTH 1-84. Il ranelato di stronzio presenta un meccanismo d’azione in parte stimolate gli osteoblasti in parte inibente gli osteoclasti. Per tutti questi farmaci l’indicazione (e la rimborsabilità in Italia mediante nota 79) per il trattamento dell’osteoporosi si basa sulla dimostrata efficacia nel ridurre il rischio fratturativo in pazienti con osteoporosi con e senza fratture prevalenti [2]. Il raloxifene è efficace nel ridurre il rischio di fratture vertebrali in donne in postmenopausa. La sua azione a livello della mammella è simile a quella del tamoxifene. Tuttavia la sua associazione agli inibitori dell’aromatasi per contrastarne l’effetto osteopenizzante, non è indicata come indicato dallo studio ATAC [18]. I farmaci anabolizzanti come il PTH ed il teripartide, stimolano il turnover osseo e sono controindicati in corso di neoplasia. Per il ranelato di stronzio non vi sono esperienze nel trattamento dell’osteoporosi in pazienti con neoplasia della mammella o oltre forme di neoplasia. In base anche al fatto che il meccanismo d’azione non è completamente delucidato ed la presenza di un relativo rischio di tromboembolismo, non ne è attualmente consigliabile l’uso in questo campo. Gli aminobisfosfonati hanno rappresentano fino ad oggi la prima scelta nel trattamento delle situazioni ad elevata attività osteoclastica come l’osteoporosi, l’iperparatiroidismo, il morbo di Paget e le metastasi ossee. Essi rappresentano i farmaci che riducono maggiormente il rischio fratturativo nell’osteoporosi (mediamente del 50% il rischio di nuove fratture vertebrali e 20-30% quelle non vertebrali incluse quelle femorali). Essi presentano un razionale molte forte nelle pazienti con perdita di massa ossea indotta dai trattamenti per il carcinoma della mammella [30]. Infatti sono in grado di normalizzare il turnover osseo, tipicamente molto elevato in questo tipo di soggetti e di prevenire la perdita di massa ossea. Per effetto della combinazione di entrambi gli effetti (sul turnover e massa ossea) sono in grado di ridurre significativamente il rischio di fratture, che rappresenta l’unico evento clinicamente rilevante dell’osteoporosi [2,23,31]. Il denosumab è il farmaco più recente studiato nell’osteoporosi. E’ un anticorpo monoclonale umano contro RANKL ed inibisce la differenziazione osteclastica, inibendo il turnover osseo. Esso, alla dose di 60 mg/sc/ogni 6 mesi, è in grado di inibire molto più velocemente e rapidamente il turnover osseo dei bisfosfonati: A differenza di questi ultimi l’effetto risulta essere rapidamente perso alla sospensione del farmaco con un importante rebound del turnover osseo stesso e progressiva perdita del beneficio in termni di BMD. Il farmaco determina nell’osteoporosi postmenopausale (la prima indicazione per cui è stato recentemente registrato da FDA e EMEA) un rapido e continuo incremento della massa ossea con una rapida e profonda soppressione del turnover osseo. Ciò determina una significativa e rapida riduzione del rischio di fratture vertebrali, femorali e non-vertebrali. (32) Nella CTIBL si possono riconoscere due obbiettivi terapeutici: la riduzione del rischio di frattura in pazienti già osteoporotici o che hanno già sperimentato una frattura o la prevenzione della perdita di massa ossea e del rischio di frattura in pazienti non ancora a rischio di frattura con normali livelli di massa ossea e che inizano un trattamento con inibitori dell'aromatasi, GnRH o blocco androgenico [2]. La categoria di farmaci che viene considerata idonea ad entrambi gli obiettivi nelle pazienti affette da carcinoma della mammella sono gli aminobisfosfonati (bisfosfonati di seconda e terza generazione) ed il 45 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE denosumab. I bisfosofonati sono in assoluto i più studiati in questo campo [23,25,28,31]. Anche nella recente revisione delle linee guida ESMO gli aminobisfosfonati ed il denosumab sono consigliati nella prevenzione della perdita di massa ossea con livello di evidenza 1 e raccomandati con livello A sia nelle donne con menopausa prematura secondaria a chemioterapia sia in donne in postmenopausa trattate con inibitori dell’aromatasi (24). a. Donne in postmenopausa ed in terapia ormonale adiuvante Gli amino bisfosfonati (alendronato, risedronato, ibandronato, zoledronato) sono efficaci nel ridurre il rischio di fratture vertebrali (riduzione del 50% circa) e non vertebrali (riduzione del 25-30%) nelle donne con osteoporosi postmenopausale e per tale indicazione sono registrati in Europa e negli USA. I farmaci, le posologie e l’effetto sulle fratture sono riportati nella tabella 2 [2]. Non vi sono dati con gli aminobisfosfonati in trail che avessero come endpoint la riduzione dell’incidenza di nuove fratture in donne in pre- o postmenopausa con carcinoma della mammella. Tuttavia da un lato essi rappresentano tra le migliori risorse oggi disponibili per questo obiettivo e dall’altro non vi è alcuna ragione per ritenere, da un punto di vista biologico, che vi siano differenze tra l’osteoporosi postmenopausale e quella delle donne con carcinoma della mammella. Infine molti aminobisfosfonati hanno dimostro di ridurre ugualmente il rischio fratturativo in differenti tipi di osteoporosi come nel maschio, in quella da cortisonici, nei soggetti ad alto e basso rischio frattuativo [33-35]. Infine alcuni bisfosfonati efficaci nel ridurre il rischio fratturativo nell’osteoporosi postmenopausale, come il risedronato, alendronato ed ibandronato, hanno dimostrato di determinare un sovrapponibile effetto sulla BMD in donne in trattamento con inbitori dell’aromatasi rispetto a quelli con osteoporosi postmenopausale. La BMD viene accettata dalle agenzie regolatorie (EMEA, FDA) per essere utilizzata negli studi di bridgning come surrogato di efficacia antifratturativa [36-39]. (Livello di Evidenza SIGN 1++) Nello studio SABRE (studio di fase III/IV) 234 pazienti con carcinoma della mammella in trattamento adiuvante con inibitori dell’aromatasi (anastrozolo) sono state stratificate al basale in tre condizioni di rischio: basso rischio se T-score maggiore o uguale a -1, rischio medio se T-score era compreso tra -1 e -2, alto rischio se T-score inferiore a -2. Le donne a basso rischio assumevano sono anastrozole, le donne ad alto rischio venivano trattate subito con risedronato 35 mg settimana, le donne a medio rischio venivano randomizzate tra risedronato e placebo. L’end point primario era la variazione della BMD della colonna. Le donne a medio o alto rischio che assumevano risedronato incrementavano la BMD a 12 mesi (+3.4% e +1.2% vs basale rispettivamente) mentre nel gruppo a medio e basso rischio che non assumevano risedronato la BMD calava del 1.2% e 0.6% rispettivamente dopo un anno [35]. Questo studio presenta interessanti dati sulla possibile scelta della soglia di intervento. Nello studio REBECCA il gruppo che assumeva inibitori del’aromatasi e risedronato 35 mg/settimana dimezzava la perdita di BMD rispetto alle donne che non assumenvano risedronato [37]. L’ibandronato (150 mg/mese) associato ad anastrozolo nello studio ARIBON determinava un incremento della BMD del 2.78% a livello della colonna e del 1.35% a livello femorale ripetto ad una perdita nel gruppo placebo del -2.61% e del -2.34 rispettivamente alla colonna ed al femore [38]. Il farmaco piu estensivamente studiato è l’ac zoledronico. Nei tre studi Zometa-Femara Adjuvant Synergy Trials (Z-Fast/ZO-Fast/E-ZOFast) circa 1700 donne in postmenopausa in terapia con letrozolo con BMD normale o > -2 Tscore sono state randomizzate per ricevere ac zoledronico 4 mg ogni 6 mesi fin dall’inizio o dopo che il T-score fosse sceso sotto -2, o dopo una frattura. Nello studio Z-FAST a 12 mesi, le donne trattate up-front con acido zoeldronico avevano un significativo incremento della BMD sia a livello vertebrale che femorale, mentre quelle trattate solo dopo il riscontro o di una frattura o di una significativa perdita di BMDe avevano una perdita di BMD a livello vertebrale e femorale. Risultati analoghi si sono ottenuti nello studio ZO-Fast e E-ZOfast a 12 e 24 mesi di terapia. [27]. (Livello di Evidenza SIGN 1+) Sono attualmente in corso altri studi con end point la prevenzione della perdita di BMD con risedronato ed alendronato. I bisfosfonati se utilizzati con l’indicazione della prevenzione primaria delle fratture sono rimborsabili dal SSN secondo i criteri della Nota AIFA 79 (revisione 2015) (vedi paragrafo sulla prescrivibilità). 46 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Analogamente a quanto detto per i bisfosfonati, il denosumab 60 mg/ 6 mesi (Prolia) è stato registrato da EMA e FDA per la riduzione del rischio fratturativo nell'osteoprosi postmenopausale in quanto in grado di ridurre significativamnete le fratture vertebrali. Il denosumab nella osteoporosi postmenopausale ha evidenziato una significativa attività antifratturativa rispetto al placebo con una riduzione del Rischio Relativo(RRR) del 68% (2.3% vs /.2% HR 0.32 IC95% 0.26-0.41) per le fratture vertebrali apprezzabili radiologicamente, un RRR del 20% (6.5% vs 8.0%, HR 0.80 (IC 95% 0.67-0.95) per le fratture non vertebrali ed un RRR del 40% (0.7% vs 1.2%,HR 0.60, IC95% 0.37-0.97) per le fratture di femore nei tre anni di studio. (Livello di Evidenza SIGN 1++) Il denosumab inoltre, a differenza dei bisofosfonati, è stato studiato anche non solo nella prevenzione della CTIBL ma anche delle fratture cliniche e vertebrale nelle donne che assumenvano trattamento con inibitori dell’aromatasi. Attualmente è l’unico farmaco antiriassorbitivo ad avere dati diretti di attività antifratturativa in questo specifico setting di pazienti. Circa 250 donne sono state randomizzate ad assumere placebo o denosumab 60 mg/sc/sei mesi. L’end point primario era la variazione della BMD a livello della colonna a 12 mesi. Lo studio si è protratto per 24 mesi. Vi è stato un incremento della BMD significativo rispetto al placebo già al primo mese non solo alla colonna ma anche al femore e radio. A 12 mesi alla colonna l’incremento era del 5.5% e del 7.6% a 24 mesi (tra i più alti registrati). Tale incremento è stato osservato in tutte le sedi scheletriche valutate e in tutti i sottogruppi di pazienti analizzati (T-score basale, precedente terapia con tamoxifene, intervallo dalla menopausa) Non vi era una sostanziale differenza di risultato suddividendo le donne in quelle con più di 6 mesi e quelle con meno di 6 mesi di trattamento con inibitori dell’aromatasi. Nello studio ABCSG donne che iniziavano o erano in terapia da non più di due anni con inibitori dell’aromatasi venivano randomizzate a ricevere denosumab 60 mg/6 mesi o placebo. Il rate per la prima frattura sintomatica (escluse cranio e mascellari, dita di mani e piedi), end point primario della studio, nel braccio trattato con placebo era 26.2% e nel braccio denosumab 11.1% (HR 0.50: 95%CI 0.39-0.65, p<0.0001). L’effetto antifratturativo di denosumab era simile < 60 e > 70 anni, in chi aveva BMD T-score <1 o >-1 all’ inizio della studio, in chi aveva o no iniziato inibitori dell’aromatsi all’inizio dello studio. Il denosumab risultava efficace anche nel ridurre le nuove fratture vertebrali morfometriche (OR 0.53; 95%CI 0.33-0.85) ed il peggioramento delle precedenti (OR 0.54; 95% CI 0.34-0.84). [93] Livello di Evidenza SIGN 1++) Considerando che la terapia ormonale è mediamente protratta per 5 anni e' particolarmente interessante sottolineare come nell'estensione dello studio a 5 anni il denosumab ha indotto ulteriori consistenti incrementi della BMD ( +13.7% alla colonna e + 7% al femore totale). Livello di Evidenza SIGN 1++) I criteri di prescrivibilità e rimborsabilità sono descritti nel paragrafo specifico. 3.2 La terapia e la prevenzione della CTIBL nelle donne in premenopausa in terapia ormonale adiuvante o menopausa da chemioterapia Lo studio ABCSG-12 circa 400 donne con carcinoma della mammella trattate con GnRH e tamoxifene o anastrozolo venivano randomizzate per ricevere zoledronato 4 mg ogni 6 mesi [26]. Nelle donne non trattate con acido zoledronico vi era una sostanziale perdita di massa ossea con una riduzione a 3 anni del 16% con anastrozole e del 8% con tamoxifene. Il trattamento preventivo con ac zoledronico ha determinato in entrambi i gruppi una prevenzione della perdita. Lo studio non aveva come end point l’incidenza fratturativa (26). Nelle pazienti randomizzate a ricevere ac zoledronico si osservava (end point primario) un aumento della sopravvivenza e della DFS (26). Lo studio ProBOne II ha come end point la prevenzione della perdita di BMD associando ac zoledronico 4mg/3 mesi alla chemioterapia adiuvante. Le donne non tattate con ac zoledronico perdevano circa il 6% della BMD basale in 24 mesi mentre quelle trattate con ac zoeldronico noon solo non perdevano massa ossea ma la incrementavano del 3.2% circa, con una persistene soppressione del turnover osseo. (84.). In un RCT 112 donne premenopausali di oltre 40 anni che iniziavano chemioterapia con adriamicina, ciclofosfamide e taxano venivano randomizzate a ricevere ac zoledronico in up front (4mg/6 mesi) oppure 47 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE dopo una frattura o se BMD > -2.5T score. Nel gruppo trattato in up front a 12 mesi la BMD della colonna e quella femorale era aumentata del + 1.1% rispetto al basale mentre nel gruppo delayed si registrava un calo rispettivamente del -7.5% e del -3.4%. (85.). Risultati sovrapponibili si sono registrati nello studio CALGB 79809 con un l’utilizzo di ac zoledronico 4 mg/ 3 mesi randomizzando le donne in terapia upfront e delayed (86.). Questi dati, analogamente a quelli riportati dagli studi Z-,ZO- e E-ZO FAST in postmenopausa , indicano come un trattamento con un inibitore del riassorbimento osseo sia significativamente più utile se iniziato in concomitanza con la chemioterapia e/o la terapia ormonale adiuvante piuttosto che dopo aver documentato una frattura o una significativa riduzione della BMD. In un RCT in donne in premenopausa che ricevevano chemioterapia adiuvante sono state randomizzate a ricevere risedronato (30 mg /die per 15 gg e 10 settimane senza, per 8 cicli) o placebo. Le alte dosi di risedronato (la dose standard è 35 mg/ settimana) prevenivano a 2 anni la perdita di BMD alla colonna e femore (87). In un RCT simile come protocollo il risedronato veniva somminstrato a 35 mg /settimana (dose efficace nell’osteoporosi postmenopausale). A questo dosaggio non vi erano differenze significative nella perdita di massa ossea vertebrale e femorale rispetto al placebo, indicando che bisfosfonati non particolamente potenti richiedano dosaggi superiori a quelli risultati utili nelle donne in postmenopausa (88). 3.3 La terapia e la prevenzione della CTIBL nel maschio con carcinoma della prostata. Per i bisfosfonati non vi sono studi che abbiano valutato la riduzione del rischio fratturativo specificatamente nel maschio con carcinoma della prostata in blocco ormonale, per cui tutte le evidenze sull’efficacia antifratturativa dei bisofsfonati nel maschio derivano da studi fatti nell’osteoporosi maschile età-correlata. L’alendronato è in grado di ridurre significativamente il rischio fratturativo tra il 60% e 80% circa (fratture vertebrali) nel maschio con osteoporosi età correlata e nell’osteoporosi cortisonica. Il risultato è sostanzialmente indipendente dai livelli di testosterone [59,60]. Il risedronato (alla dose di 35 mg /settimana) è stato studiato in maschio con osteoporosi ed ha dimostrato di poter ridurre del 60% dopo un anno di trattamento il rischio di nuove fratture vertebrali [61,62]. (Livello di Evidenza SIGN 3). In uno studio randomizzato controllato, 112 uomini in blocco androgenico per carcinoma della prostata, sono stati trattati con alendronato (70 mg 1 cp/settimana). Dopo un anno la BMD era aumentata del 3.7% a livello della colonna e del 1.6% a livello del collo femorale nel gruppo trattato rispetto ad un calo del -1.4% e del 0.7% a livello della colonna e femore rispettivamente nel gruppo placebo [64] (Livello di Evidenza SIGN 1+). L’aumento della massa ossea era sovrapponibile a quanto riscontrato negli studi nei maschi eugonadici. Anche il risedronato 35 mg/settimana somministrato dopo circa 42 mesi di blocco ormonale era in grado di mantenere la massa ossea femorale e determinare un significativo incremento di quella vertebrale [65Il pamidronato (60 mg/ogni 3 mesi), in un piccolo studio (47 soggetti con cancro della prostata non metastatico) randomizzato controllato si è dimostrato in grado di prevenire la perdita di massa ossea in un anno di trattamenton [66] (Livello di Evidenza SIGN 1+). L’acido zoledronico alla dose di 4mg/ogni 3 mesi somministrato all’inizio del blocco androgenico ha determinato dopo un anno di terapia un significativo incremento della BMD a livello della colonna (+5.3%) rispetto ad un calo del 2% nel gruppo placebo in un gruppo di 106 maschi affetti da neoplasia prostatico in blocco ormonale [67,68]. L’effetto preventivo sulla perdita di BMD è stato esplorato anche con dosi inferiori di zoledronato (4mg all’anno). I pazienti erano in blocco androgenico in media da un anno. Tutti i pazienti studiati avevano una BMD superiore a -2.5 T score. La massa ossea aumentava rispetto al basale nel gruppo trattato con una significativa differenza rispetto al placebo pari al +7.1% a livello della colonna e del 2.6% a livello del femore [69]. L’effetto sulla BMD era sovrapponibile a quello ottenuto con la dose 4mg ogni 3 mesi. (Livello di Evidenza SIGN 1+) I dati nel complesso indicano la possibilità di intervenire utilizzando gli aminobisfosfonati per prevenire la perdita e recuperare almeno in parte la BMD persa, anche dopo che il blocco ormonale sia già stato iniziato. Non c’è attualmente evidenza per definire quale sia il miglior bisfosfonato da utilizzare anche se alendronato (70 m /settimana), risedronato (35 mg/settimana) e ac zoledronico (4m ev /anno) sono i più studiati] (Livello di Evidenza SIGN 3). 48 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Attualmente l’unico farmaco con evidenza diretta di riduzione del rischio fratturativo in questo specifica setting di pazienti è il denosumab. I risultati derivano da uno studio controllato randomizzato di fase III in cui 1468 soggetti affetti da carcinoma della prostata non metastatici in trattamento ormonale soppressivo sono stati randomizzati ad assumere placebo (734 pazienti) o denosumab 60 mg/sc/ogni 6 mesi. L’end point primario dello studio era la variazione della BMD alla colonna a 24 mesi, tra gli end point secondari vi erano le variazioni di BMD al femore e radio e riduzione dell’incidenza di nuove fratture vertebrali. Lo studio si è protratto per 36 mesi. Il 25% circa dei pazienti trattati era in terapia con blocco androgenico da meno di 6 mesi. A 24 mesi (end pint primario) il gruppo trattato con denosumab presentava un incremento significativo della BMD alla colonna del 6.7%, a livello del femore del 4.8%, a livello del radio del 5.5% verso il gruppo placebo. (Livello di Evidenza SIGN 1++). Vi era una riduzione significativa dell’incidenza cumulativa delle fratture vertebrali (end point secondario) già al primo anno di trattamento (0.3% gruppo denosumab vs 1.9% gruppo placebo). A 36 mesi vi era una riduzione del 62% del rischio fratturativi nel gruppo denosumab vs placebo (RR 0.38; 95 IC 0.19-0.78,p 0.006). Per le fratture non vertebrali vi era un trend di riduzione dell’incidenza nel gruppo denosumab ma non significativo. I farmaco è stato ben tollerato senza significative differenze di incidenza di effetti collaterali. (58). (Livello di Evidenza SIGN 1++) Vi sono risulati preliminari da un recente sudio randomizzato controllato di fase III con toremifene versus placebo che dimostrano come vi sia un significativo vantaggio con il farmaco attivo nella riduzione del rischio fratturativo e nell’incremento di BMD (63) 4. Quando iniziare la terapia con inibitori del riassorbimento osseo In tutti i pazienti (maschi e femmine) a rischio di CTIBL andranno indagati i fattori di rischio per frattura (vedi paragrafo 1.4), valutato l’intake alimentare di calcio ed eventualmente corretto ( fabbisogno /die medio 1000 mg/die) e corretta, se presente, l’ ipovitaminosi D .Andrà ricercata attivamente la presenza di fratture vertebrali morfometriche ( asintomatiche) mediante Radiografia della colonna dorso lombare o morfometria DXA (vedi fig. 1). La menopausa precoce, ovvero prima dei 45 anni, secondaria al trattamento chemioterapico o a seguito della trattamento con GnRH è un’indicazione all’esecuzione della densitometria DXA e rappresenta un fattore di rischio indipendente per frattura [2, 23]. Questo concetto è sottolineato anche nelle recenti linee guida ESMO. ( 24) La condizione in Italia rientra nei criteri LEA per la densitometria (menopausa precoce, ipogonadismo) [23]. Si segnala che un elevata percentuale di donne in postmenopausa che iniziano inibitori dell’aromatasi e maschi che iniziano blocco androgenico presentano fattori di rischio per frattura (indipendentemente dalla neoplasia) e hanno già osteoporosi e fratture. In donne che iniziano inibitori dell’ aromatasi la prevalenza di osteoporosi è del 11.2%, per quelle che iniziano tamoxifene è del 21%, la prevalenza di fratture è del 16.3%, di fratture severe 5% (89).In maschi con carcinoma della prostata che iniziano il blocco la prevalenza di osteoporosi e osteopenia va dal 60-80% e soggetti ad alto rischio fratturativo hanno un maggior rischio fratturtivo dopo aver inizato blocco androgenico (90,91) In considerazione di ciò e che i migliori benefici sono ottenuti utilizzando i bisfosfonati in prevenzione (up front, ovvero dati all’inizio del trattamento) si ritiene utile che la valutazione della situazione osteometabolica e la terapia venga fatta prima di inziare il trattamento adiuvante o almeno entro i primi 3-4 mesi [27, 23]. Il risultato dello studio ABCSG-18 [93] indica chiaramente come l’incidenza di fratture cliniche vertebrali e non vertebrali sia elevato anche nelle donne con BMD normale e come il beneficio antifratturativo sia simile in donne con BMD normale (T-score < -1) o ridotta (T-score >- 1). In considerazione dei benefici e dell’importanza del trattamento con AI e del bocco androgneico e delle possibilità terapeutiche per l’osso, la decisione di instaurare un trattamento con AI o blocco androgenico non deve esser condizionata dalla situazione scheletrica. 49 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Linee guida internazionali riportano diverse soglie di intervento basate su T-score. L’UK Expert Group accomuna donne in premenopausa con ovariectomia, menopausa indotta da chemioterapia ( GnRH (+/inibitori aromatasi) e donne in postmenopausa in inibitori dell’aromatasi. La presenza di una frattura da fragilità o un T-score > -1 se in terapia con inibitori dell’aromatasi indica linizio del trattamento con inibitori del riassorbimento osseo. In assenza di inibitori dell’aromatasi si inizia se T Score > -2. Anche ASCO utilizza la soglia basata sul T-score. Le donne in premenopausa o in postmenopusa con inibitori dell’aromatasi vengono considerate ad alto rischio e viene utilizzato un T-score >-2.5 per l’inizio del trattamento score. Le linee guida ESMO pongono un cutt-of di massa ossea pari a T score >-2 o della presenza i due fattori di rischio (paragrafo 1.4) o di un fattore di rischio e T-score >-1.5. (23,25,28). Per le donne in premenopausa il T-score non è utilizzabile ed è più appropriato lo Z-score. Uno Z-score > -1 o una velocità di perdita > 5% viene considerato un criterio per iniziare il trattamento con inibitori del riassorbimento osseo ( 92) Tuttavia in considerazione dei seguenti fattori analizzati nel testo : La mancanza di una evidenza di una soglia di T-score validata (generalmente definita su expert opinion) La bassa (e non validata) predittività della BMD sul rischio di frattura in questo setting di pazienti Una velocità di perdita perticolarmente elevata in tutte le forme di osteoporosi indotta da terapia ormonale adiuvante, come fattore di rischio indipendente Una elevatissima prevalenza di osteoporosi/fratture e/o altri fattori di rischio per frattura in pazienti con neoplasia della mammella e prostata L’evidenza forte che sia nel maschio che nella femmina (in pre- e postmenopausa) la terapia con inibitori del riassorbimento è più efficace se utilizzata up-front anzichè dopo una frattura o perdita di BMD L’evidenza che la riduzione del rischio fratturativo (con Denosumab) prescinde dai livelli di BMD al momeno dell’inizo della terapia antiriassorbitiva L’evidenza che la terapia con farmaci per osteoporosi aumenta la sopravvivenza (soprattutto in menopausa) Si propone di estendere quanto proposto ai soggetti sopra i 70 anni nelle precendeti linee guida AIOM 2013 ovvero di iniziare trattamento denosumab 60 mg/ ogni 6 mesi o alternativamente bisfosfonati alle dosi utilizzate nell’osteoporosi postmenopausale e maschile, a prescindere dai livelli di massa ossea ed altri fattori di rischio. Ciò vale per le donne che iniziano terapia ormonale adiuvante o che hanno menopausa indotta da chemioterapia (indipendentemente dall’età) e ai maschi che iniziano blocco androgenico dopo i 50 anni. 4.1 Quanto proseguire la terapia con bisfosfonati e denosumab La durata ottimale del trattamento con bisfosfonati o denosumab nell’osteoporosi postmenopausale non è definita e tanto meno per quella nelle donne con carcinoma della mammella o maschi con carcinoma della prostata. L’efficacia antifratturativa con aminobisfosfonati e denosumab si ottiene molto precocemente e comunque già entro il primo anno di terapia. L’efficacia antifratturativa inoltre si mantiene per tutta al durata della terapia (studi a 5, 7 e 10 anni) [33]. Per le donne con carcinoma dalla mammella e nel maschio ragionevolamente si può consigliare che vada proseguita almeno per il periodo di trattamento con GnRH e /o AI e blocco androgenico (Livello di Evidenza SIGN 4) I dati a supporto di tale raccomandazione sono indiretti. I dati relativi alla prosecuzione dello studio ATAC suggerirebbero che alla sospensione del trattamento con anastrozolo ci sia una relativa riduzione del rischio fratturativo [22]. Recentemente è stato documentato che nei 3 anni successivi alla sospensione degli inibiitori dell’aromatsi la frequenza di fratture è del 12% per le donne in pre-meopausa e del 15% per quelle in postmenopausa (76). Tali dati andranno confermati da ulteriori studi. Va comunque considerato che la durata dell’effetto antifratturativo dei bisfosfonati si estende oltre il periodo di reale assunzione del farmaco. La persistenza dell’effetto antiriassorbitivo per un certo periodo di tempo dipende però dal famaco utilizzato e non è estensibile a tutti i farmaci: è consistente per alendronato e ac zoledronico, piuttosto breve per risedronato e ibandronato, non presente per denosumab (44). 50 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Il profilo di rischio fratturativo, definito dalla presenza di altri fattori di rischio e/o nuove fratture, al termine del trattamento adiuvante, potrebbe indicare la prosecuzione della terapia con bisfosfonati o denosumab [34]. Sicuramente andrà mentenuta la supplementazione con calcio e Vitamina D. Anche per denosumab non vi sono evidenze di quanto sia necessario protrarre la terapia. I dati riportati in letteratura relativi al’uso di denosumab nell’osteoprosi postmenopausale descrivono che un trattamento protratto per 8 anni mantiene inalterata l’efficacia antifratturaiva e mantiene un bilancio scheletrico postivo con un incremento lineare della BMD. Per il denosumab va considerato inoltre che al momento della sospensione vi è un rebound del turonver osseo che aumenta in maniera significativa ed induce ad una relativamente rapida perdita di parte della massa ossea guadagnata durante il trattameto attivo. E possibile che si debba pianificare uno shift ad altri farmaci (ad esempio bisfosfonati) per mantenere il guadagno clinico (45). (Livello di Evidenza SIGN 4) 4.2 La situazione prescrittiva in Italia Attualmente nessun farmaco antiriassorbitivo (amino-bisfosfonato o denosumab) è stato registrato con l’indicazione specifica della prevenzione dell’osteoporosi indotta da inibitori dell’aromatasi o da soppressione ovarica. Tuttavia su questo tema,relativamente al denosumab, l’EMA si è espressa definendo la situazione delle donne in trattamento con terapia ormonale adiuvante non diversa da quelle postmenopausali e quindi non necessaria un ‘indicazione ad hoc (CHMP Assessment Report for Prolia 2010, EMEA/H/C 001120,pg 34). Per l’osteoporosi e il rischio fratturativo da blocco androgenico è stato registato il denosumab 60 mg/sc/ ogni 6 mesi. La rimborsabilità è prevista dalla recente revisione della nota AIFA n°.79, che regola appunto la rimborsabilità dei famraci per la prevenzione delle fratture da osteoporosi. - La revisione prevederà:la rimborsabilità per le donne che inizino o siano in corso di trattamento ormonale adiuvante ( con inibitori aromatasi, tamoxifene , GnRH o combinazioni di questi) indipendentemente dall’età purchè in condizioni di menopausa spontanea o indotta. La rimborsabilità riguarda i seguenti farmaci : alendronato 70 mg /settimana, risedronato 35 mg /settimana o 75 mg 2 cp/mese, , ac zoledronico 5 mg / anno, denosumab 60 mg / sc/6 mesi (piano terapeutico on-line). Il teriparatide e ranelato di stronzio non sono utilizzabili in pazienti con neoplasia per motivi di sicurezza ( rischio oncologico e rischio trombo embolico e cardiovascolare rispettivamente) - Per i maschi di età pari o superiore a 50 anni con carcinoma della prostata ormanosensibile in blocco androgenico la rimborsabilità è prevista per i seguenti farmaci: alendronato 70 mg /settimana, risedronato 35 mg /settimana o 75 mg 2 cp/mese, ac zoledronico 5 mg / anno, denosumab 60 mg / sc/6 mesi (con piano terapeutico on-line). Sia per i maschi che per le femmine la rimborsabilità è prevista per tutta la durata del trattamento con terapia ormonale adiuvante. (Nota 79 gazzetta ufficiale 20.5. 2015 n.115) - Per le donne giovani in premenopausa che vanno in menopausa per effetto della chemioterapia ma non devono fare terapia ormonale adiuvante (triplo negative e per le donne in postmenopausa che non hanno indicazione per la terapia ormonale adiuvante) : Esse non rientano in una specifica categoria di rimborsabilà pur avendo potenzialmente la necessità di trattamento e le evidenza che un trattamento precoce previene la perdita di massa ossea (vedi sopra). In questi due casi per l’accesso alla rimborsabilità attraverso la nuova nota 79 (gazzetta ufficiale 20.5 2015 n.115) dovranno rientrare nei medesimi criteri validi anche per l’osteoporosi postmenopausale . 51 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 5. Sinossi delle raccomandazioni 1. Il marcato ipoestrogenismo in donne con carcinoma della mammella indotto dalla soppressione ovarica in premenopausa e dalla terapia adiuvante ormonale in postmenopausa e in maschi con carcinoma della prostata secondario dalla terapia ormonale, induce una importante accelerazione della perdita di massa ossea ed aumenta rapidamente il rischio fratturativo 2. Tra le varie sottopopolazioni (maschi, donne in premenopausa, donne in menopausa) e le diverse tipologie di blocco ormonale (menopausa indotta da chemioterapia, GNrH da solo o con tamoxifene o inibitori dell’aromatasi, inibitori dell’aromatasi, blocco andrognenico) vi è una consistente differenza di velocità di perdita di massa ossea. Le categorie a maggior rischio di osteoporosi e di frattura da fragilià, sono in ordine decrescente: donne in premenopausa con menopausa da chemioterapia o trattate con GnRH (con o senza inbitori dell’aromatsi), Maschi in blocco androgenico, donne che passano da tamoxifene a inibitori dell’aromatasi, donne in inbitori dell’aromatasi, soprattutto se di età < 70 anni. 3. Data l’elevata prevalenza di fattori di rischio per frattura, indipendentemente dalla terapia ormonale e data l’elevata prevalenza di fratture vertebrali già presenti al momento della diagnosi di neoplasia tutti i soggetti con tumore della mammella e della prostata vanno indagati per la presenza di fratture vertebrali asintomatiche (morfometriche). 4. Il momento per iniziare il trattamento per prevenire la CTIBL e le fratture ad essa correlate (soglia di intervento) non è univocamente definito a livello internazionale.Nel tempo si è guadagnato un livello sempre più conservativo fino a non considerare livelli di BMD particolarmente ridotti (ad esempio T score < -1, quindi al limite della normalità) soprattutto se presenti altri fattori di rischio. In considerazione della velocità di perdità di massa ossea, della rapidità di insorgenza del picco di rischio fratturativo, il debole carattere predittivo della BMD sul rischio di frattura, le evidenze di un maggior vantaggio ( almeno sulla BMD ) se i bone modifying agent sono iniziati consensualmente all’inizio della terapia ormonale, si ritiene di consigliare un uso di bisfosfonati o denosumab in prevenzione ovvero all’inizio della terapia ormanale adiuvante o l’inizio dell’amenorrea indotta da cehmioterapia 5. Gli aminobisfosfonati ed il denosumab rappresentano la categoria di farmaci di prima scelta nella gestione della bone health della donna con carcinoma della mammella e del maschio con carcinoma della prostata in bocco ormonale, in quanto in grado di prevenire e recuperare BMD in corso di trattamento ormonale adiuvante. L’efficacia antifratturativa è stata dimostata direttamente solo per denosumab sia nel carcinoma della prostata in fase ormonosensibile a livello vertebrale sia nelle donne in postmenopausa in terapia con inibitori dell’aromatasi per tutte le fratture cliniche (vertebrali e non vertebrali). In tutte le altre condizioni (donne in pre-menopausa in terapia con GnRH agonisti, donne in menopausa da chemioterapia) si è solo valutata la risposta in termini di BMD. Tuttavia l’entità dell’effetto sulla BMD nella CTIBL ai medesimi dosaggi utilizzati nell’osteoporosi postmenopausale o maschile, è stata sovrapponibile lasciando supporre un medesimo effetto antifratturativo. Qualità dell’evidenza SIGN B B B Raccomandazione clinica I bisfosfonati possono essere impiegati allo scopo di prevenire la perdita di massa ossea e ridurre il rischio di frattura in pazienti con cancro della mammella e cancro della prostata. Denosumab dovrebbe essere impiegato allo scopo di prevenire la perdita di massa ossea e ridurre il rischio di frattura in pazienti con cancro della mammella Denosumab dovrebbe essere impiegato come terapia di prima scelta allo scopo di prevenire la perdita di massa ossea e ridurre il rischio di frattura in pazienti con cancro della prostata. 52 Forza della raccomandazione clinica Positiva Debole Positiva Forte Positiva Forte LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Qualità Globale delle evidenze GRADE Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica Nelle pazienti in post-menopausa operate per carcinoma mammario in trattamento con inibitori dell’aromatasi il trattamento con denosumab può essere utilizzato in alternativa ai bisfosfonati allo scopo di prevenire la CITBL. Bassa *La valutazione complessiva della qualità delle evidenze ad oggi disponibili circa “l’efficacia di denosumab in pazienti in post-menopausa operate per carcinoma mammario in trattamento con inibitori dell’aromatasi”, la valutazione del rapporto tra i benefici ed i danni correlati e la formulazione della raccomandazione relativa al quesito posto, sono state analizzate secondo metodologia GRADE (vedere capitolo 12). Positiva Debole 6. La durata della terapia con antiriassorbitivi (bisfosfonati o denosumab) nella CTIBL. Alcuni dati inidcano un relativo calo dell’incidenza di fratture nei primi anni dopo la sospensione della terapia con inbitori dell’aromatasi anche se l’incidenza rimane maggiore rispetto alle donne non affette da neopasia della mammella soprattutto per le donne piu anziane. E’ indicata una valutazione attenta del rischio fratturativo (e non solo della BMD) alla fine della terapia ormonale adiuvante per decidere se proseguire comunque il trattamento con denosumab o bisofosfonati. La terapia con bisfosfonati e denosumab andrà pertanto proseguita almeno per la durata della terapia ormonale adiuvante. La persistenza dell’effetto antiriassorbitivo per un certo perdiodo di tempo dipende dal famaco utilizzato e non è estensibile a tutti i farmaci: è consistente per alendronato e ac zoledronico, piuttosto breve per risedronato e ibandronato, non presente per denosumab Qualità dell’evidenza SIGN B C Raccomandazione clinica La terapia con antiriassorbitivi (bisfosfonati o denosumab) deve cominciare possibilmente con l‘inizio della terapia ormonale adiuvante o con l’inizio della amenorrea indotta da chemioterapia La durata della terapia con antiriassorbitivi (bisfosfonati o denosumab) dovrebbe corrispondere almeno al tempo di somministrazione della terapia adiuvante antineoplastica 53 Forza della raccomandazione clinica Positiva forte Positiva Debole LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Tabella 1 - Procedure ambulatoriali per la valutazione di un paziente con sospetta osteoporosi * Procedure di I livello (Routine) Anamnesi (fattori di rischio, farmaci) Esame obiettivo (misuarare l’altezza) Esami bioumorali: calcio, albumina, ALP, VES, profilo proteico Radiografia laterale della colonna dorsale e lombare (per identificazione semiqiuantitativa delle fratture vertebrali) DXA (lombare e femorale) o eventualmente QUS Procedure II livello Maker turnover osseo Profilo ormonale (dosaggio vit D, PTH, TSH, calcioe screaione urinaria) Radiografia laterale della colonna dorale e lombare o MXA (valutazione DXA delle fratture morfometriche) (fig 1) * Linee Guida SIOMMMS, modificata da (2) Tabella 2. Schema riassuntivo dei farmaci utilizzabili nel maschio e nella femmina in terapia ormonale adiuvante e per i quali è prevista la rimborsabilità dalla nota AIFA 79 (Gazzetta Uff, 20.5.15 n.115 BP os Schema posologico Indicazioni Rimborsabilità Alendronato 70mg/settimana OP,OM,OC,CTIBL Nota 79 Risedronato 35mg/settimana OP,OM,OC, CTIBL Nota 79 75mg/2cp mese OP,OM,OC,CTIBL Nota 79 60 mg/6 mesi OP, CTIBL Nota 79 Denosumab (piano terapeutico) Zoledronato 5 mg/un anno OP,OC,OM , CTIBL Fascia H OP Osteoporosi Postmenopausale, OM Osteoporosi Maschile, OC Osteoporosi Cortisonica,CTIBL Cancer Treatment Induced Bone Loss o osteoporosi da terapia ormonale adiuvante 54 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE VALUTAZIONE MORFOMETRICA SEMIQUANTITITVA DELLE FRATTURE VERTEBRALI Normale (Grade 0) Frattura a cuneo Frattura biconcava Schiacciamento Frattura lieve (Grado 1, ~20-25%) Frattura moderata (Grado 2, ~25-40%) Frattura severa (Grado 3, ~40%) Figura 1 – Gnant HK. Whu CY L Bone Miner Res 1993; 8: 1137-1148 Genant HK. Whu CY J Bone Miner Res 1993;8:1137-1148 FIG 1 55 56 Denosumab Alendronato (+/- vit.D) Risedronato, Zoledronato corso con blocco ormonale adiuvante Trattamento in * In merito alla eleggibilità si intende almeno un criterio tra quelli indicati in parentesi II scelta: Denosumab I scelta: Alendronato (+/- vit.D) Risedronato, Zoledronato equivalenti di altri corticosteroidi Trattamento > 3 mesi, anche solo in previsione, con prednisone > 5 mg/die o II scelta: Denosumab, Zoledronato, Ibandronato, Raloxifene, Bazedoxifene III scelta: Stronzio ranelato Tscore BMD colonna o femore < - 4 Comorbilità a rischio di frattura* (AR ed altre connettiviti, diabete, BPCO, MICI, AIDS, Parkinson, sclerosi multipla, grave disabilità motoria I scelta: Alendronato (+/vit. D), Risedronato Storia familiare di fratture vertebrali e/o di femore Tscore BMD colonna o femore < - 3 Prevenzione primaria in donne in menopausa o maschi > 50 anni con rischio di frattura elevato * * Algoritmo per la l’applicazione in PREVENZIONE PRIMARIA della nota AIFA 79 (rimborsabilità farmaci per la prevenzione e la terapia dell’osteoporosi LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 57 > 3 fratture * In merito alla eleggibilità si intende almeno un criterio tra quelli indicati in parentesi III scelta: Stronzio ranelato II scelta: Denosumab, Ibandronato, Raloxifene, Bazedoxifene * 1 o 2 fratture I scelta: Alendronato (+/- vit. D), Risedronato, Zoledronato T score BMD colonna o femore < - 3 Fratture non vertebrali, non femorali > 1 frattura + trattamento > 12 mesi con dosi di prednisone o equivalenti > 5 mg/die III scelta: Stronzio ranelato I scelta: Alendronato (+/vit. D), Risedronato, Ibandronato II scelta: Denosumab, Zoledronato I scelta: Teriparatide Nuova frattura nonostante trattamento in nota 79 da almeno 1 anno Fratture vertebrali o femorali Prevenzione secondaria in donne in postmenopausa e uomini >50 anni con pregresse fratture osteoporotiche * > 1 frattura + Tscore BMD conlonna o femore < - 4 Algoritmo per la l’applicazione in PREVENZIONE SECONDARIA della nota AIFA 79 (rimborsabilità farmaci per la prevenzione e la terapia dell’osteoporosi LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Bibliografia 1. Osteoporosis prevention, diagnosis and therapy. NIH Consesus Statement. 2000; 17: 1-45. 2. Kanis JA, Burlet N, Cooper C, Delmas PD, Reginster JY, Borgstrom F, Rizzoli R; European Society for Clinical and Economic Aspects of Osteoporosis and Osteoarthritis (ESCEO). European guidance for the diagnosis and management of osteoporosis in postmenopausal women. Osteoporos Int. 2008 ,19(4):399-428 3. 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La frequenza di eventi avversi nel caso di a. zoledronico si basa principalmente su dati estrapolati dagli studi di fase III e su dati retrospettivi di ampi database in cui sono stati registrati più frequentemente casi di sindrome simil-influenzale (9%) accompagnata da febbre (7.2%), dolore osseo (9.1%), astenia (4.1%) e rigidità (2.9%). Casi occasionali di artralgia e mialgia sono stati riportati nel 3% dei casi. La riduzione dell’escrezione renale di calcio si è spesso tradotta in diminuiti livelli ematici di fosfati che si manifesta in modo asintomatico nel 20% dei pazienti trattati senza richiedere trattamenti specifici. Analogamente, casi di ipocalcemia asintomatica sono stati osservati nel 3% dei pazienti. Reazioni di tipo gastrointestinale, quali nausea (5.6%) e vomito (2.8%) possono manifestarsi, così come reazioni al sito di inoculo, che consistono in gonfiore, arrossamento e dolore nell’1% dei casi. La somministrazione di acido zoledronico si accompagna ad anoressia nell’1.5% dei casi. A questo, si accompagnano casi di insufficienza renale registrati nel 2.3% dei pazienti e di anemia (5.2% vs 4.2% nei bracci placebo). Durante gli studi di fase III non sono stati osservati aumenti cumulativi di EA di alcun tipo in seguito a trattamenti a lungo termine (2 anni) con a. zoledronico (1-3). Dati recenti, osservati in studi clinici controllati in pazienti con tumori solidi (trial che hanno valutato l’efficacia di Denosumab verso acido zoledronico) (4,5) ed ematologici (studio Myeloma IX) (6,7) hanno confermato il profilo di sicurezza conosciuto per acido zoledronico. Oggi questo dato risulta essere ancora piu’ importante dal momento che le attuali linee guida internazionali (8,9) prendono in considerazone la possibilità di prolungare il trattamento con bisfosfonati per le pazienti che ne possono beneficiare. Lo studio di Dincer (10) ha valutato il profilo di sicurezza di a. zoledronico in pazienti con metastasi ossee trattati per più di 24 mesi. Anche in questo studio, non sono stati osservati sindromi nefrotossiche o proteinuria, né diminuzioni significative della clearance della creatinina. Inoltre, non sono state evidenziate alterazioni significative di tipo ematologico o epatico. Recentemente è stata pubblicata una analisi retrospettiva su circa 240 pazienti trattati con acido zoledronio. I risultati hanno mostrato un aumento dei valori di creatinina serica in linea con quanto riportato nei trial registrativi condotti su piu’ di 3000 pazienti (11). Studi piu recenti, in pazienti con mieloma multiplo (studio Myeloma IX) (6,7) mostrano a 5 anni di trattamento continuativo con acido zoledronico o clodronato un buon profilo di sicurezza a fronte di un aumento statisticamente significativo in OS e riduzione consistente e statisticamente significativa degli SRE fino a 5 anni per i pazienti trattati con acido zoledronico. Nel caso del pamidronato le reazioni avverse sono solitamente modeste e transitorie. Le reazioni piu’ comuni sono di ipocalcemia sintomatica e febbre generalmente entro 48 ore dall’infusione. Questa si accompagna a sintomi simil-influenzali, talvolta accompagnati da malessere, brividi, fatica e vampate. Sono state occasionalmente osservate reazioni in sede di infusione, quali dolore, arrossamento, gonfiore, indurimento, flebite o tromboflebite. A livello dell’apparato muscolo-scheletrico si manifestano invece dolori ossei transitori, artralgia, mialgia, dolori generalizzati. Nausea e vomito si manifestano solo occasionalmente così come il mal di testa e linfocitopenie. Per quanto riguarda la variazion dei parametri biochimici, invece, sono frequenti ipocalcemia, ipofosfatemia e occasionale l’ipomagnesemia. Per quanto riguarda l’ibandronato iniettabile i dati sul profilo di sicurezza estrapolati dal principale studio di fase III (n=152 pazienti trattati), riportano tra gli eventi avversi comuni (<1% e <10%) significativamente più frequenti nei pazienti trattati con il farmaco rispetto al placebo episodi di cefalea, vertigini, diarrea, dispepsia, vomito, dolori gastrointestinali, mal di gola, mialgia, astenia, sindromi simil-influenzale per lo più nei primi 3 giorni dall’infusione (12,13). In conclusione, gli studi di fase III con acido zoledronico 4 mg e.v. ed ibandronato (6 mg e.v. e 50mg per os) confermano un buon profilo di sicurezza a 2 anni dall’inizio del trattamento. Stanno aumentando il numero di evidenze cliniche che dimostrao un buon profilo di sicurezza anche oltre il secondo anno di studio. 62 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE A. Safety renale Tra i pazienti con metastasi ossee trattati con 4 mg di a. zoledronico negli studi di fase III, l’incidenza di aumenti clinicamente rilevanti della creatininemia è molto bassa (1-3,14). Dosi di a. zoledronico superiori a 4 mg e tempi di infusione < 15 min sono stati valutati in studi clinici, ma tali condizioni non permettono di garantire la medesima sicurezza a livello renale della somministrazione di 4 mg in almeno 15 min. Pazienti con livelli basali di clearance della creatinina inferiori a 30 mL/min sono stati esclusi dagli studi di fase III con a. zoledronico (1-3), pertanto il trattamento con acido zoledronico in pazienti con funzionalità renale compromessa, (clearance della creatinina < 30 mL/min) non è raccomandato. In corso di trattamento, anche laddove siano stati osservati aumenti di creatinina, fra le pazienti con carcinoma mammario trattate con 4 mg/3-4 settimane per 2 anni non sono stati osservati incrementi di grado severo (1,3). In questo contesto, la percentuale di pazienti con aumenti della creatinina serica ed i tempi di tale aumento sono risultati simili tra a. zoledronico e placebo (1-3,14,15). Nel carcinoma della prostata la percentuale totale dei pazienti in cui è stato osservato un aumento di creatinina serica è confrontabile tra gruppo di trattamento e di controllo, ad indicare un rischio comparabile di sviluppare alterazioni della funzionalità renale (1-3,14,16). Nel tumore del polmone o altri tumori solidi trattati con a. zoledronico (4 mg fino a 21 mesi), l’1.8% dei pazienti ha sviluppato aumenti di creatinina di grado 3 or 4 (2). Tuttavia, la stessa percentuale di aumentati livelli di creatininemia è stata osservata anche nel placebo, anche se la percentuale di eventi clinicamenti rilevanti era leggermente maggiore nel braccio di trattamento (1-3,14), con un valore di rischio relativo di 1.587 (p = 0.228) (2). In aggiunta a questi dati, sono disponibili risultati retrospettivi per trattamenti con a. zoledronico che perdurano per più di 2 anni (17,18). In uno di questi studi è stato riportato il profilo di sicurezza di a.zoledronico e pamidronato somministrati per un tempo medio di 3.6 anni in pazienti con mieloma multiplo o carcinoma mammario (n = 22). Non sono stati osservati particolari alterazioni dei valori di laboratorio, includendo composizione chimica, livelli di calcio e indici di funzionalità renale. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D Si raccomanda di monitorare la funzionalità renale durante il trattamento con BP per via endovenosa. Positiva forte D Nei pazienti con funzionalità renale compromessa si consiglia di iniziare il trattamento con acido zoledronico con adeguate riduzioni della dose. Positiva forte D Nel caso sia necessario interrompere la terapia con acido zoledronico a causa di insufficienza renale severa, il trattamento può essere ripreso quando i livelli di creatininemia rientrano entro una variazione di non più del 10% dei valori normali. Positiva forte D In corso di trattamento con BP per via endovenosa è necessario monitorare i pazienti per segni e sintomi di sbilancio degli elettroliti. Positiva forte 63 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE B. ONJ: raccomandazioni in termini di diagnosi, comportamento nei riguardi dei BPs e denosumab, prevenzione e trattamento dell’ONJ L’osteonecrosi della mandibola (ONJ) è stata descritta per la prima volta in pazienti trattati per patologie oncologiche con terapie sistemiche comprendenti i BP nel 2003 ed è caratterizzata dalla comparsa di osso esposto nella cavità orale. La mandibola e, meno frequentemente, la mascella sono i siti di elezione per la comparsa di tali lesioni; infatti, non ci sono al momento segnalazioni di altri segmenti ossei coinvolti in fenomeni di osteonecrosi in pazienti che assumono BP. Le ragioni di questa peculiare distribuzione topografica e dei meccanismi biologici alla base di questo fenomeno sono tuttora sconosciuti. (23). Si può tuttavia ipotizzare che il coinvolgimento esclusivo dell’osso mandibolare e mascellare sia riconducibile alle caratteristiche fisiologiche di queste ossa e alla frequenza di patologie orali e di interventi conseguenti. Il coinvolgimento dei BP si ritiene invece riconducibile al loro effetto di inibizione del rimodellamento osseo e dell’angiogenesi, con probabile contributo aggravante da parte degli agenti infettivi (24) . La frequenza di ONJ è stata stimata in varie popolazioni di pazienti oncologici. Un’analisi retrospettiva eseguita dall’ MD Anderson su 3994 pazienti trattati con terapie anti-tumorali, ha stimato una frequenza complessiva pari allo 0.73% (25). Nelle pazienti con carcinoma mammario la frequenza stimata è dell’ 1.2% e nei malati di mieloma multiplo del 2.4%. In tale studio non sono stati individuati casi di ONJ in pazienti con tumori del polmone, del rene o della prostata. Allo stato attuale, il calcolo della frequenza di ONJ è ancora difficoltoso e controverso, con dati derivati per lo più da analisi retrospettive su campioni selezionati. Misure più valide della frequenza di ONJ nei pazienti oncologici trattati con BP in combinazione con altri farmaci antitumorali deriveranno da studi prospettici a lungo termine che sono attualmente ancora in corso. Anche per quanto riguarda i fattori di rischio, non esiste ancora un quadro completo. Sono stati correlati con lo sviluppo di ONJ, la radioterapia di tumori della testa e del collo (osteoradionecrosi), malattia periodontale, chirurgie dell’osso mascellare, la presenza di regioni edentule e di protesi, in particolare quando non congrue e traumatizzanti (26). Tra i fattori di rischio, viene considerato anche il trattamento per via sistemica soprattutto se prolungato con BP (27,28). Tuttavia, la concomitante chirurgia dento-alveolare e patologie del cavo orale rappresentano i principali fattori di rischio. Chirurgie orali (implantologie e chirurgie periapicali) aumentano il rischio di ONJ di ben sette volte, così come concomitanti squilibri della salute orale (es. flogosi dentali e ascessi dentali/ perioddontali). Inoltre, l’ONJ compare più di frequente in zone in cui una sottile mucosa ricopre prominenze ossee, come tori e creste miloioidi. Ulteriori fattori di rischio per l’insorgenza di ONJ nei pazienti oncologici sembrano essere rappresentati dalla malattia neoplastica stessa, dalla chemioterapia, dalle terapie concomitanti con corticosteroidi e da infezioni loco-regionali o sistemiche (24) . Esistono infine rischi legati all’istologia tumorale, all’età e alla razza. Infatti, il mieloma multiplo è più spesso associato ad ONJ rispetto agli altri tumori solidi (29). Questo potrebbe essere correlato al trattamento concomitante con agenti anti-angiogenici (talidomide e corticosteroidi), anche se il coinvolgimento di questi composti va ancora confermato. Recentemente è stata pubblicata una analisi retrospettiva effettuata su un elevato numero di pazienti nella quale si valuta se la somministrazione concomitante di bisfosfonati e bevacizumab possa influire sull’incidenza di ONJ. I risultati dell’analisi non hanno mostrato un aumento significativo dei casi di ONJ. Ulteriori studi sono infine necessari per confermare il ruolo di altri fattori per cui si sono raccolte evidenze preliminari di coinvolgimento, quali corticosteroidi, chemioterapici, diabete, scarsa igiene orale, disturbi vascolari, abuso di alcol, tabagismo, malnutrizione ed obesità (26). In una analisi retrospettiva su 567 casi Vescovi et al (30) hanno studiato le differenze tra le varianti di ONJ in pazienti sottoposti a chirurgia dentale verso quelle non sottoposte ad alcuna chirurgia dentale. In 205 casi (36.2%) di ONJnessuna chirurgia era stata praticata vs 362 casi (63.8%) di forme in seguito a procedure invasive locali causate da estrazione dentale in 361 casi e implantologia in un solo caso. Lo studio sottolinea la importanza di una stretta collaborazione tra oncologi ed odontoiatri per una diagnosi precoce di ONJ e/o di pazienti a rischio di sviluppare ONJ Recentemente tre studi di confronto tra denosumab alla dose di 120 mg s.c. o acido zoledronico alla dose di 4 mg i.v. ogni 28 giorni, sono stati condotti in pazienti con tumore prostatico ormone-resistente (4), in pazienti con metastasi ossee da tumore avanzato e mieloma (escluso tumore della mammella e della prostata) (31) ed in pazienti con tumore della mammella in fase avanzata (5). 64 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Saad et al. (32) in una analisi combinata hanno valutato la incidenza della ONJ, dei fattori di rischio e delle conseguenze nei pazienti arruali in uno dei tre studi di fase III, paralleli, in doppio cieco, double dummy. Tutti i pazienti degli studi erano sttai sottoposti ad uno screening della cavita’ orale prima di iniziare il trattamento ed ogni 6 mesi. Dei 5723 pazienti arruolati, ad 89 (1.6%) pazienti e’ stata diagnosticata la ONJ; 37 (1.3%) ricevevano acido zoledronico e 52 (1.8%) riceveva denosumab (P= 0.13). La estrazione dentale era riportata nel 61.8% dei pazienti con ONJ. Il trattamento e’ stato conservativo in > 95% dei pazienti. La guarigione (al momento della analisi) si era verificata in oltre 1/3 dei pazienti (29.7% per l’acido zoledronico e 40.4% per il denosumab). 1. Diagnosi Allo stato attuale delle conoscenze, per la diagnosi di ONJ si fa riferimento alla pubblicazione di Weitzman (33), in cui mediante un approccio a due stadi, si considerano: 1) Caratteristiche cliniche: osso esposto nell’area maxillofacciale che si manifesta spontaneamente o in concomitanza con interventi chirurgici nel cavo orale, senza evidenza di riparo della mucosa. 2) Diagnosi sull’evidenza: mancata evidenza di riparo della mucosa dopo 6 settimane di valutazioni e trattamenti dentari adeguati e in assenza di evidenze di malattia metastatica alla mandibola o di osteoradionecrosi. L’ONJ può rimanere asintomatica per settimane o addirittura mesi ed è generalmente identificata unicamente da un punto di vista clinico, in termini di comparsa di osso esposto nel cavo orale. Tali lesioni diventano sintomatiche in presenza di infezioni secondarie o nel caso di trauma ai tessuti molli adiacenti o opposti causate dalla superficie irregolare dell’osso esposto. Segni e sintomi dell’ONJ comprendono gonfiore e infiammazione dei tessuti molli, perdita di denti precedentemente stabili, presenza di sostanza purulenta ed osso esposto nel sito di precedenti interventi di chirurgia orale. Dolore localizzato e difficoltà a nutrirsi e a parlare sono i sintomi più comuni, eventualmente accompagnati da disestesia nel caso siano coinvolti anche dei nervi (26). La progressione dell’ONJ risulta in esposizioni estese dell’osso, deiscenza, sequestro dell’osso, osteomielite acuta e fratture patologiche. Nel caso di sospetta diagnosi di ONJ, sono necessari esami ortopantotomografici per escludere altre cause (cisti, denti inclusi o lesioni metastatiche). Segni radiografici caratteristici riguardano la presenza di lesioni osteolitiche consistenti con la perdita ossea. Tuttavia, bisogna tener conto che le alterazioni allo stato iniziale spesso non sono rilevabili radiologicamente (26). Biopsie sono consigliate solo per escludere lesioni metastatiche; il beneficio di una biopsia confermata, infatti, non prevale sul rischio di causare ulteriore danno all’osso esacerbando il quadro di ONJ. In tal caso, è bene effettuare delle colture microbiche (aerobiche ed anaerobiche) per identificare i patogeni che sono potenziali cause di infezioni secondarie. Va sottolineato che infezioni da Actinomyces sono spesso presenti (26). 2. Stadiazione Sono attualmente in uso due criteri di stadiazione dell’ONJ, uno basato sulla severità dei sintomi e l’altro sulle dimensioni delle lesioni (33): Grado Severità sintomi 1 Asintomatico 2 Lieve 3 Moderato 4 Severo 65 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Grado Dimensioni (diametro) 1A Singola lesione 0.5 cm 1B Lesioni multiple, la maggiore <0.5 cm 2A Singola lesione 0.5-0.99 cm 2B Multiple lesioni , la maggiore 0.5-0.99 cm 3A Singola lesione 1-2 cm 3B Multiple lesioni, la maggiore 1-2 vm 4A Singola lesione >2 cm 4B Multiple lesioni, la maggiore> 2cm 3. Trattamento Allo stato attuale non esiste un unico approccio terapeutico che possa definirsi risolutivo per il trattamento dell’ONJ. Pertanto, un consulto tra chirurgo maxillofacciale, oncologo e dentista è fortemente consigliato, poiché la stretta combinazione delle cure dentarie ed oncologiche è critica per ottenere una cura ottimale dell’ONJ e della patologia neoplastica di base. Al momento in generale si interviene soprattutto con terapie di supporto, volte al controllo del dolore e al contenimento delle infezioni concomitanti e del progredire della malattia, con un approccio il più possibile conservativo (26). Questo comprende trattamento di supporto con antibiotici (possibilmente dopo isolamento dei patogeni), sciacqui orali, controllo del dolore e courretage meccanico limitato eseguito da odontoiatri professionisti (33) e sotto trattamento antibiotico, riservando interventi chirurgici più aggressivi alla minoranza di pazienti sintomatici con qualità della vita pesantemente compromessa. Per quanto riguarda gli antibiotici la penicillina risulta essere un farmaco molto utilizzato insieme all’ azitromicina, da combinarsi eventualmente con il metronidazolo nei pazienti con infezioni refrattarie. Nei pazienti allergici alla penicillina si può ricorrere ad un chinolone come antibiotico di seconda linea (26). I pazienti devono essere controllati ogni 3 mesi o più di frequente nel caso di peggioramento dei sintomi (26). Non sono al momento disponibili dati prospettici che indichino se la sospensione del trattamento con BP al momento della diagnosi di ONJ conclamata sia di beneficio. Infatti, a causa dell’incorporazione dei BP nella matrice ossea, la sospensione dei BP potrebbe non risultare in alcun beneficio. Pertanto, un’attenta valutazione dei potenziali rischi e benefici andrebbe discussa con un approccio multidisciplinare fra oncologi, odontoiatri e chirurghi maxillofacciali e condivisa con il paziente. Recentemente sono stati presentati i dati riferiti al trattamento con ozono medicale per lesioni osteonecrotiche in pazienti precedentemente trattati con Bisfosfonati. Il trattamento con un gel addizionato all’ozono medicale (per lesioni inferiori a 2.5 cm) o con ozono medicale insufflato (per lesioni dimesionalmente maggiori) ha dimostrato una elevata percentuale di guarigione con espulsione dell’osso necrotico e completa riepitelizzazione. Lo studio pur essendo scientificamente debole (ridotto numero di pazienti) mostra una forte evidenza clinica che necessita di essere supportato con uno studio adeguatamente dimensionato (34,35). 4. Prevenzione La difficoltà nel curare l’ONJ rendono la sua prevenzione un obiettivo primario. Infatti, risultati ottenuti in recenti studi prospettici sottolineano l’importanza di interventi odontoiatrici preventivi prima di iniziare il trattamento con acido zoledronico (36). L’impatto della prevenzione nel ridurre l’incidenza di ONJ nei pazienti oncologici trattati con BP, è stata recentemente dimostrata in uno studio in cui è stato confrontato il numero di casi di ONJ osservati retrospettivamente in un gruppo di pazienti trattati con BP dal 1999 al 2007 (n=812), per i quali non erano state adottate particolari cure preventive in termini di esame e bonifica del 66 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE cavo orale, e quelli registrati prospetticamente in un gruppo di pazienti (n=154) arruolati dal 2005 e sottoposti a cure odontoiatriche preventive (28). In questo setting, l’incidenza di ONJ osservata nel gruppo che non è stato sottoposto a misure di prevenzione corrisponde a 27/812 casi (3,3%). Nei pazienti in cui sono state adottate adeguate misure preventive, invece, l’incidenza si è ridotta ad 1/154 (0.6%), il che corrisponde ad una riduzione del rischio di sviluppare ONJ del 75%. Questi dati hanno dimostrato per la prima volta come sia necessario che i pazienti candidati a terapia con BP, ma anche con denosumab, eseguano una visita odontoiatrica di routine prima di iniziare la terapia. Ulteriori dati clinici sono stati pubblicati più recentemente e confermano a necessità della prevenzione odontoiatrica prima di inizare il trattamento con BP (37-39). Qualora l’odontoiatra individui la necessità di effettuare procedure dentoalveolari di vario tipo, è bene che queste vengano intraprese e risolte prima di iniziare il trattamento con BP, provvedendo all’estrazione dei denti malati ritenuti non recuperabili. Nel caso di protesi dentarie, queste vanno esaminate accuratamente per controllarne il potenziale lesivo sui tessuti molli, in modo da ripararle se necessario. Inoltre, è indispensabile una pulizia anche profonda del cavo orale. Tutti questi interventi devono essere accompagnati da terapia antibiotica. Oltre alle misure preventive da adottare prima dell’inizio del trattamento con BP o con denosumab è necessario rivalutare la salute orale dei pazienti in trattamento con BP durante il corso della terapia. E’ fondamentale che il paziente sia istruito a riportare immediatamente al clinico qualsiasi cambiamento avverta a livello della cavità orale. 5. Interventi odontoiatrici in corso di terapia con aminobifosfonati per via endovenosa Nel caso si rendano necessari interventi curativi e di ripristino dell’igiene orale, si suggerisce di intraprendere interventi conservativi, adottando le più recenti tecniche meno invasive. Laddove siano necessarie estrazioni si suggerisce, se possibile, di sostituirle con terapie endodontiche. Potrebbe rendersi necessario eseguire l’amputazione della corona seguita da terapia endodontica per evitare l’estrazione ed il potenziale sviluppo di ONJ. Chirurgie elettive della mandibola, compresi gli impianti dentali, andrebbero evitate. In ogni caso, qualsiasi tipo di intervento va accompagnato da terapia antibiotica (40). Nel caso di interventi non invasivi non è necessario interrompere il trattamento con BP, mentre si consiglia di sospenderlo nel caso di interventi chirurgici fino alla guarigione delle ferite (33). Tuttavia, data la lunga emivita dei BP, tale raccomandazione non è condivisa dalla totalità degli odontoiatri che si occupano specificamente di prevenzione dell’ONJ. La continuazione della terapia è da considerare anche in questo caso, se il rischio di contrarre eventi scheletrici è molto alto. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D Un consulto tra chirurgo maxillofacciale, oncologo e dentista è fortemente consigliato, poiché la stretta combinazione delle cure dentarie ed oncologiche è critica per ottenere una cura ottimale dell’ONJ e della patologia neoplastica di base. Positiva forte D Si raccomanda di effettuare procedure dentoalveolari di tipo preventivo prima di iniziare il trattamento con BP. Positiva forte 67 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE C. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D Nel caso si rendano necessari interventi curativi e di ripristino dell’igiene orale in corso di trattamento con BP, si suggerisce di intraprendere interventi conservativi, adottando le più recenti tecniche meno invasive. Positiva forte Eventi avversi rari In questa classe di farmaci sono state riportate complicanze di tipo oculistico in pazienti trattati con BP per via endovenosa, soprattutto pamidronato, con un tasso di incidenza pari allo 0.05% (21). La congiuntivite è la complicazione oculistica più frequente, seguita da uveiti, scleriti, episcleriti, edema della palpebra, infiammazione oribitale e paralisi del nervo craniale. Tipicamente, le complicazioni oculari si manifestano entro le 48h seguenti l’infusione del BP e solitamente dopo la prima o seconda somministrazione. La continuazione o sospensione del trattamento con BP dipende dalla precisa diagnosi dell’evento avverso oculistico; pertanto, è necessaria una valutazione oftalmologica (41). Pazienti per cui è stata fatta diagnosi di congiuntiviti ed episcleriti hanno una buona prognosi e pertanto possono continuare il trattamento con BP. Pazienti con uveiti o infiammazione orbitale potrebbero richiedere il ricovero e la sospensione del trattamento con BP affinché la complicanza si risolva. Pazienti con scleriti devono sospendere il trattamento con BP affinché si risolva l’infiammazione. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D La continuazione o meno della terapia con BP in caso di complicazioni oculari è subordinata una valutazione oftalmologica Positiva forte Take home message: I bisfosfonati sono farmaci ben tollerati e con effetti collaterali prevedibili, tra cui la sindrome similinfluenzale e l’ipocalcemia. La terapia con bisfosfonati può modificare la funzione renale, pertanto è fondamentale monitorare la funzionalità renale prima e durante il trattamento. L’osteonecrosi della mandibola è una complicanza non frequente ma severa, che si verifica in corso di terapia con bisfosfonati o con denosumab, che necessita di una integrazione multidisciplinare tra diversi specialisti (es. oncologi, dentisti, chirurghi maxillofacciali). Bibliografia 1. 2. 3. 4. 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(2003) 348(12):1187-1188. 70 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 7. Il trattamento farmacologico del dolore da metastasi ossee Carla Ripamonti Il dolore osseo da cancro e’ una manifestazione devastante del cancro metastatico ed è spesso uno dei sintomi piu’ comuni riferiti dai pazienti [1]. Il carcinoma mammario e prostatico metastatici sono i principali contribuenti alla prevalenza del dolore osseo da cancro poiche’ le metastasi ossee sono presenti in oltre il 90% dei pazienti con queste patologie [2]. Il dolore da metastasi ossee è caratterizzato dalla presenza prevalente di dolore intenso durante il movimento anche di modesta entità come il tossire, il girarsi nel letto, il muovere gli arti. La presenza di allodinia meccanica in alcune sedi metastatiche è la percezione dolorosa di stimoli meccanici che non sono normalmente percepiti come dolorosi [3]. Il beneficio clinico delle terapie sintomatiche nei pazienti con cancro deve essere valutato sulla base di misure soggettive dei sintomi, della qualità di vita [4-7] e del performance status oltre al giudizio di efficacia fornito dal paziente. Esistono delle scale unidimensionali che misurano esclusivamente l’intensità del dolore (analogiche visive, numeriche, verbali) [6] (allegato 1) e scale multidimensionali che valutano anche altri aspetti della vita del paziente [es Edmonton Symptom Assessment System ESAS (allegato 2) [5], Brief Pain Inventory BPI (allegato 3)] [6]. Trattamento farmacologico analgesico Non esistono in letteratura linee guida di trattamento farmacologico specifico nei pazienti con metastasi ossee. Quindi, per quanto riguarda il trattamento del dolore da cancro con farmaci analgesici ci riferiamo alle linee guida e raccomandazioni pratiche della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) (7,8) e le linee guida della European Society Medical Oncology (ESMO) [9,10]. Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per il trattamento del dolore da cancro, suggeriscono un approccio sequenziale a tre scalini. La sequenza prevede il passaggio da farmaci per il dolore lieve (non oppioidi) a farmaci per il dolore lieve-moderato (oppioidi deboli) a farmaci per il dolore moderato-severo (oppioidi forti), in funzione della persistenza del dolore e della sua intensità (Tabella 1). 3 ° Gradino Oppioidi per il dolore moderatosevero (Morfina, metadone, fentanyl, buprenorfina, ossicodone, idromorfone) ± non-oppioidi/ adiuvanti 2 ° Gradino Oppioidi per il dolore lieve-moderato (codeina, tramadolo, ossicodone + paracetamolo*) ± non-oppioidi/ adiuvanti 1° Gradino Non oppioidi per il dolore lieve (paracetamolo, aspirina, FANS) ± adiuvanti Tabella 1 : linee guida OMS *l’ossicodone, quando usato a basse dosi (5 mg) in associazione al paracetamolo (325 mg) può rientrare nel 2° gradino, a dosi superiori rientra nel 3° gradino. La tabella mostra la scala dell’OMS e i farmaci disponibili attualmente in Italia. Ad ogni gradino possono essere associati i farmaci adiuvanti. 71 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE I farmaci non-oppioidi, oppioidi e adiuvanti (cortisonici, antiepilettici, anestetici locali, antidepressivi) sono somministrati singolarmente o in associazione secondo il tipo e l’intensità della sintomatologia dolorosa. Gli antinfiammatori sono raccomandati come primo scalino della scala analgesica dell’OMS o in associazione agli oppioidi per dolore di intensità più severa. Sono inoltre ritenuti particolarmente efficaci nel dolore da metastasi ossee per il loro effetto inibitorio sulla ciclo-ossigenasi e quindi sulla sintesi delle prostaglandine [11]. Una revisione sistematica eseguita nel 2001 ha esaminato 13 trials clinici randomizzati che confrontavano FANS o paracetamolo versus oppioidi minori (in particolare la codeina) da soli o associati nel dolore da cancro [12]. Questi studi non dimostrano una chiara differenza nell’efficacia dei farmaci del 1° e 2° gradino e non permettono di concludere sui benefici dell’aggiunta degli oppioidi minori (in particolare della codeina, soprattutto se sottodosata) rispetto al solo paracetamolo o ai FANS. (Livello di Evidenza SIGN 1++). Gli oppioidi analgesici indicati per il trattamento del dolore da cancro di intensità lieve-moderata sono: codeina, tramadolo e destropropossifene. Nonostante la carenza di evidenze, lo Scottish Intercollegiate Guidelines Network (SIGN) conclude che il tramadolo non ha sostanziali vantaggi clinici rispetto ad altri oppioidi del 2° gradino [13] (Livello di Evidenza SIGN 4). Uno studio pubblicato nel 2005 ha mostrato che il salto del 2° gradino si associa ad una riduzione delle giornate con dolore più intenso, ma con un’aumentata incidenza degli effetti collaterali [14] (Livello di Evidenza SIGN 3). I farmaci disponibili per il trattamento del dolore da moderato a severo sono: morfina, metadone, ossicodone, idromorfone, fentanyl, buprenorfina. Per l’utilizzo di tali farmaci si può fare riferimento alle raccomandazioni dell’ESMO (10) (Livello di Evidenza SIGN 4). Secondo l’OMS, una efficace terapia analgesica deve possedere i seguenti requisiti: - Prevenire l’insorgenza del dolore. Per questo motivo i farmaci non devono essere assunti al bisogno, ma a “orari regolari”, tenuto conto della loro emivita plasmatica, biodisponibilità e durata d’azione. La somministrazione al bisogno deve essere riservata per trattare il dolore che sopraggiunge nonostante il paziente sia già in trattamento con farmaci somministrati ad intervalli prefissati (breakthrough pain). - Essere di semplice somministrazione. Per questo motivo la somministrazione orale è ritenuta la migliore. - Essere modificata con tempestività quando l’analgesico cessa di essere efficace. - Essere personalizzata per quanto riguarda i dosaggi, le vie di somministrazione ed il tipo di farmaco utilizzato. Un approccio farmacologico al dolore, basato prevalentemente sull’uso corretto degli oppioidi analgesici, consente di controllare il sintomo in oltre il 90% dei casi [15] (Livello di Evidenza SIGN 1++). Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D Il trattamento del dolore da metastasi ossee deve essere basato prevalentemente sull’uso corretto degli oppioidi analgesici (sec. Linee Guida ESMO) Positiva forte Take home message: Non esistono linee guida specifiche riguardanti il dolore da metastasi ossee, pertanto vengono utilizzate le linee guida per la gestione del dolore neoplastico. Bibliografia 1. 2. 3. 4. Mercadante S. Malignant bone pain: pathophysiology and treatment. 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Evidenze cliniche da analisi retrospettive di studi randomizzati di Fase III La prima analisi retrospettiva preliminare sul tasso di sopravvivenza è stata effettuata in pazienti con mieloma multiplo (N=209) inclusi in uno studio prospettico di Fase III che confrontava l’effetto di acido zoledronico 4 mg (N=107) versus pamidronato 90 mg (N=102) [1]. In questa analisi i pazienti erano retrospettivamente stratificati in base alla presenza di livelli bassi (<146 U/I) o elevati (> 146 U/L) di fosfatasi alcalina ossea. Nei pazienti con elevata fosfatasi alcalina ossea, il trattamento con acido zoledronico aumentava significativamente la sopravvivenza rispetto al pamidronato (82% versus 55%; P = 0.048). Questa analisi quindi suggerisce che il trattamento con acido zoledronico è più efficace nei pazienti con elevata fosfatasi alcalina ossea, indice di malattia osteolitica più aggressiva e prognosi più severa [2]. A confermare un possibile impatto sulla sopravvivenza dell’acido zoledronico è stata condotta un’analisi retrospettiva su pazienti con metastasi ossee da tumore polmonare con elevati livelli basali di N-telopeptide urinario che erano stati inclusi in uno studio randomizzato di Fase III [3]. In questo studio, i pazienti sono stati randomizzati a ricevere acido zoledronico 4 mg o placebo per 21 mesi totali. Tra i pazienti con livelli elevati di N-Telopeptide urinario (N=144), l’analisi retrospettiva ha mostrato che il tasso di rischio di morte era ridotto del 35% nei pazienti trattati con acido zoledronico rispetto al placebo (P = 0.0244). Il tasso di rischio di morte nei pazienti con fosfatasi alcalina e N-Telopeptide entrambi elevati (N=97) era significativamente ridotto del 46% nei pazienti che ricevevano acido zoledronico (P = 0.0059). Anche questo studio suggerisce che nei pazienti con elevati livelli di riassorbimento osseo e aumentato rischio di eventi scheletrici e morte, la somministrazione di acido zoledronico è in grado di ritardare la progressione delle lesioni ossee e di ridurre il rischio di morte [4]. Un’altra analisi retrospettiva ha valutato la riduzione del rischio di progressione di malattia in una sottopopolazione di pazienti con metastasi ossee da tumore mammario trattate con acido zoledronico versus pamidronato e stratificate in base al Brief Pain Inventory e in base al tempo della diagnosi iniziale di metastasi ossee. Questo studio ha dimostrato che le pazienti che avevano sviluppato metastasi ossee entro 3 anni dalla diagnosi di tumore mammario e quelle con un Brief Pain Inventory >3.0 trattate con acido zoledronico avevano un rischio ridotto di progressione di malattia rispetto al pamidronato (P=0.021 e P=0.009 rispettivamente) [5]. Cook RJ et al. [6] hanno presentato all’ASCO 2008 la prima metanalisi della letteratura che ha incluso 1345 pazienti affetti da tumori solidi diversi metastatici a livello osseo inclusi in 3 studi di fase III randomizzati. La metanalisi ha evidenziato 73 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE chiaramente come l’acido zoledronico sia in grado di aumentare in maniera statisticamente significativa la sopravvivenza rispetto al placebo nel sottogruppo di pazienti con elevati livelli basale pretrattamento di NTX, cioè prorpio in quei pazienti, che per l’elevato turnover osseo, presentano un maggiore rischio di SRE. Inoltre, Lipton e colleghi hanno condotto un’analisi retrospettiva di 3 studi clinici randomizzati di Fase III per valutare se la riduzione dei livelli di N-Telopeptide urinario dopo acido zoledronico corrispondeva a una diminuito rischio di eventi scheletrici e morte. In questo studio sono stati misurati i livelli di N-Telopeptide urinario basali e quelli dopo 3 mesi di trattamento di pazienti con metastasi ossee da tumore mammario (N = 379), da tumore della prostata ormono-resistente (n = 314) o da tumore del polmone o altri tumori solidi (n = 204) che avevano ricevuto acido zoledronico per 24 mesi totali. Considerando tutti i pazienti, la normalizzazione dell’N-Telopeptide Urinario è risultata correlata con un rischio ridotto di morte e di un primo evento scheletrico rispetto a coloro il cui N-Telopeptide non si normalizzava. Infatti, nel sottogruppo con normalizzazione dell’N-Telopeptide, il rischio di morte era ridotto del 48% nei pazienti con tumore mammario (P =0.017), del 59% nei pazienti con tumore prostatico (P <0.001) e del 57% nei pazienti con altri tumori solidi (P =0.0116). [7]. La Tabella 3 mostra i risultati delle analisi retrospettive di studi prospettici di Fase III sull’efficacia della somministrazione dei bifosfonati in pazienti oncologici in termini di sopravvivenza. 2. Prime evidenze cliniche da studi prospettici Uno studio aperto prospettico randomizzato di Mystakidou e colleghi ha valutato l’effetto dell’acido zoledronico sulla prevenzione di metastasi ossee in pazienti con tumori solidi senza metastasi ossee al tempo della randomizzazione. Quaranta pazienti sono stati randomizzati a ricevere acido zoledronico (4 mg ogni 28 giorni) o nessun trattamento. La percentuale di pazienti liberi da metastasi ossee a 12 mesi è stata del 60% nel braccio che aveva ricevuto acido zoledronico e del 10% nel gruppo di controllo (p<0.0005), mentre le percentuali a 18 mesi sono state rispettivamente del 20% e del 5% rispettivamente (p=0.0002) [8]. Questo studio preliminare appare molto promettente, sebbene siano stati inclusi solo pochi pazienti con differenti patologie. In un’analisi esplorativa di uno studio prospettico, Saad e colleghi hanno dimostrato per la prima volta che la somministrazione di acido zoledronico, confrontato con il placebo, è in grado di determinare un incremento non statisticamente significativo della sopravvivenza in pazienti con metastasi ossee da tumore della prostata (18.2 mesi versus 15.6 mesi, rispettivamente) [9]. I limiti di questi dati derivano dalla natura esplorativa di questa analisi e dalla mancanza di un disegno statistico con scopo di valutare la sopravvivenza dei pazienti. In un altro studio, Lipton e colleghi hanno valutato l’efficacia e la sicurezza della somministrazione di acido zoledronico in pazienti con metastasi ossee da tumore renale. Settantaquattro pazienti sono stati randomizzati a ricevere acido zoledronico o placebo in concomitanza con la terapia antineoplastica ogni 3 settimane per 9 mesi. Il tempo mediano di progressione delle lesioni ossee è risultato significativamente più lungo nei pazienti trattati con acido zoledronico (P = 0.014). In questo studio si sono ottenuti risultati interessanti anche per quanto riguarda la sopravvivenza mediana, infatti la somministrazione di acido zoledronico ha dimostrato aumentare la sopravvivenza mediana di 131 giorni rispetto al placebo (11.5 versus 7.2 mesi; p= 0,104) [10]. L’assenza di significatività di tale valore è probabilmente dovuta al piccolo numero di pazienti valutati e alla mancanza di un disegno statistico con scopo di valutare la sopravvivenza. All’ASCO del 2008, M. S. Zaghloul et al. [11] hanno riportato i risultati di uno studio clinico randomizzato in pazienti affetti da neoplasia vescicale con metastasi ossee di confronto tra acido zoledronico e placebo. Tra gli obiettivi primari è stata considerata la sopravvivenza a 1 anno. L’acido zoledronico ha dimostrato di incrementare in maniera significativa la sopravvivenza a 1 anno rispetto al placebo (30% verso 5%) (P=0.02). Recentemente, Aviles e colleghi hanno condotto uno studio clinico specificamente disegnato allo scopo di valutare la sopravvivenza in pazienti con mieloma multiplo non precedentemente trattati. In tale studio novantaquattro pazienti sono stati randomizzati a ricevere un programma convenzionale di chemioterapia più acido zoledronico (4 mg ogni 28 giorni) (n= 48) oppure solo il medesimo trattamento convenzionale (gruppo di controllo) (n= 46). La sopravvivenza libera da eventi scheletrici, dopo un follow-up mediano di 49.6 mesi, è risultata essere dell’80% nel gruppo di pazienti che avevano ricevuto acido zoledronico e del 52% nel gruppo di controllo (p < 0.01). La sopravvivenza globale a 74 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 5 anni è risultata essere dell’80% nel gruppo di pazienti che avevano ricevuto acido zoledronico e del 46% nel gruppo di controllo (p < 0.01) [12]. Ulteriori studi prospettici specificatamente disegnati per la valutazione dell’impatto dei bifosfonati sulla sopravvivenza sono necessari per la creazione di chiare linee guida che possano essere utilizzate da tutti i clinici. Attualmente sulla base della disamina della letteratura l’utilizzazione dei bifosfonati allo scopo di aumentare la sopravvivenza mediana nei pazienti affetti da tumori solidi in fase metastatica NON È RACCOMANDATO, anche se sono sempre più numerose le evidenze derivanti da analisi retrospettive di studi prospettici e da analisi preliminari di studi prospettici che suggeriscono una probabile futura influenza dei bifosfonati ed, in particolare dell’acido zoledronico, sulla sopravvivenza dei pazienti. Probabilmente l’incremento della sopravvivenza riscontrato nei pazienti metastatici trattati con acido zoledronico è in parte mediato dalla riduzione significativa degli eventi scheletrici. 3. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B Nei pazienti affetti da tumori solidi in fase metastatica i bisfosfonati non dovrebbero essere utilizzati con l’obiettivo terapeutico di aumentare la sopravvivenza mediana Negativa debole Prime evidenze del ruolo dei bifosfonati e del denosumab nel ridurre il rischio di ripresa di malattia: studi clinici randomizzati nel setting adiuvante Il ruolo dei bifosfonati come terapia adiuvante nella prevenzione delle metastasi ossee è ancora in fase di studio, infatti sono in corso diversi studi prospettici per valutarne l’efficacia. Inizialmente sono stati effettuati diversi trials clinici che hanno valutato il ruolo del clodronato. Specificatamente, Diel IJ e colleghi hanno randomizzato 302 pazienti con neoplasia mammaria e cellule tumorali nel midollo osseo a ricevere clodronato (1600 mg/die per 2 anni) o nessun trattamento. Tale studio ha dimostrato che il clodronato è in grado di ridurre l’incidenza e il numero di metastasi ossee e viscerali nelle donne con tumore mammario ad alto rischio di ripresa di malattia [13]. Anche Powles e colleghi hanno dimostrato l’efficacia del clodronato (1,600 mg/die) nella prevenzione delle metastasi ossee in pazienti con storia di neoplasia mammaria [14]. Al contrario, Saarto e colleghi hanno dimostrato che il clodronato non ha effetto sulla sopravvivenza globale [15]. Jaschke A e colleghi hanno anche dimostrato una riduzione significativa dell’incidenza di metastasi ossee in pazienti con storia di tumore mammario e micrometastasi a livello del midollo osseo trattate con clodronato versus placebo dopo 3 anni di follow-up [16]. Recentemente, una metanalisi effettuata in pazienti con storia di tumore mammario non ha evidenziato nessun beneficio significativo sulla sopravvivenza nelle pazienti che ricevevano terapia orale con clodronato [17]. In pazienti con neoplasia prostatica non metastatica, Mason e colleghi hanno dimostrato che la somministrazione di clodronato versus placebo non aumenta la sopravvivenza libera da metastasi ossee e la sopravvivenza globale, perciò non è in grado di modificare la storia naturale dei pazienti con neoplasia prostatica [18]. Specificatamente, studi prospettici sono stati disegnati e sono in corso con lo scopo di valutare il ruolo di acido zoledronico e di altri bifosfonati come terapia adiuvante in diversi tumori. Lo studio “AZURE” (Acido Zoledronico per la Prevenzione delle metastasi ossee nel tumore mammario) è stato disegnato per pazienti con neoplasia mammaria (Stadio I-III). 3360 pazienti sono state reclutate, l’obiettivo primario è la sopravvivenza libera da malattia e gli obiettivi secondari sono il tempo alla comparsa di metastasi ossee e a distanza, il tempo alla comparsa di eventi scheletrici e la sopravvivenza globale. Le pazienti sono state 75 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE randomizzate a ricevere la chemioterapia sistemica standard +/- acido zoledronico. La prima analisi riguardante la sicurezza dei farmaci ha dimostrato che la combinazione è ben tollerata, senza differenze statisticamente significative nel profilo o nella severità degli effetti collaterali tra i gruppi [19]. Per quanto riguarda i pazienti con tumore prostatico, lo studio EAU-ZEUS è stato disegnato per valutare se la precoce somministrazione di acido zoledronico in pazienti ad alto rischio (Gleason Score > 8 e/o presenza di linfonodi positivi e/o PSA>20 alla diagnosi) è in grado di prevenire o ritardare la comparsa di metastasi ossee. 1420 pazienti sono stati reclutati. Gli obiettivi sono: tempo alla comparsa di metastasi ossee, tempo di raddoppiamento del PSA, studi sui marcatori di riassorbimento osseo. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere acido zoledronico ogni 3 mesi per 48 mesi totali o nessun trattamento (gruppo di controllo). Anche lo studio RADAR ha incluso pazienti con tumore prostatico ad alto rischio (pT2b - 4 o pT2a con Gleason score ≥7 e PSA≥ 10). Questo trial è stato disegnato per valutare se la terapia antiandrogenetica in associazione a radioterapia per 18 mesi è superiore a 6 mesi di terapia antiandrogenetica prima e durante la radioterapia e se la terapia con acido zoledronico per 18 mesi è efficace nella prevenzione della massa ossea indotta dalla terapia antiandrogenetica e delle metastasi ossee. Il reclutamento è iniziato nel 2004 e dovrebbe includere 1000 pazienti. Lo studio 2419 è stato disegnato per valutare l’efficacia dell’acido zoledronico nella prevenzione e nel ritardo alla comparsa di metastasi ossee in pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule. I pazienti riceveranno acido zoledronico (4 mg ogni 3-4 settimane) versus un gruppo di controllo (no acido zoledronico) associato a Calcio (500 mg/die) e Vitamina D (400-500 UI) in entrambi i gruppi. Recentemente, Winter et al. [20] hanno presentato i dati preliminary della sottopopolazione di pazienti inclusa nello studio AZURE che hanno ricevuto il trattamento in un setting neoadiuvante. 205 pazienti erano stati randomizzati a ricevere la sola chemioterapia oppure la medesima chemioterapia più l’acido zoledronico. L’aggiunta dell’acido zoledronico ha determinato una riduzione significativa rispetto alla sola chemioterapia del tumor burden al momento della chirurgia (p=0.002) e un incremento della percentuale di risposte complete patologiche (5.8% and 10.9%, p=0.033). Diversi studi di fase III sono stati disegnati allo scopo di valutare l’efficacia dei bifosfonati nella prevenzione della perdita di tessuto osseo indotta da trattamenti antineoplastici (ormonoterapia e/o chemioterapia). Tra questi, gli studi E/Z/ZO-FAST, oltre a valutare la BMD dei pazienti in terapia con inibitori dell’aromatasi, prevedevano, tra gli obiettivi secondari, la il confronto della sopravvivenza libera da malattia tra pazienti trattatio o no con acido zoledronico. L’analisi dello ZO-FAST con un follow up di 48 mesi [21] ha evidenziato una riduzione statisticamente significativa del numero delle ricadute di malattia (32 eventi verso 53 eventi) e un incremento significativo della sopravvivenza libera da malattia (p=0.0159) nel gruppo trattato con il bifosfonato sin dall’inizio. I risultati di questi studi e di altri simili in corso sull’impatto dei bifosfonati nel setting adiuvante saranno di grande interesse per stabilirne il ruolo in sottogruppi specifici di pazienti. ABCSG-12 è un trial prospettico randomizzato che valuta l’efficacia dell’utilizzo di acido zoledronico adiuvante in donne con tumore mammario endocrino-responsivo che ricevono goserelin + tamoxifene/anastrozolo. Il reclutamento di 1801 pazienti è terminato nel 2006 e la sopravvivenza libera da eventi è l’obiettivo primario. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere: tamoxifene, tamoxifene + acido zoledronico, anastrozolo o anastrozolo + acido zoledronico. I risultati in termini di sopravvivenza, con un follow up mediano di 5 anni, sono stati presentati quest’anno in sessione plenaria da M. Gnant all’ASCO [22]. A tale riguardo l’aggiunta dell’acido zoledronico alla terapia ormonale ha dimostrato di prolungare in maniera statisticamente significativa la disease free servival (DFS) e la relapse free serviva (RFS) delle pazienti rispetto alla sola terapia ormonale. In particolare, la riduzione degli eventi di ripresa di malattia è stata riscontrata sia a livello scheletrico che a livello extrascheletrico. Infine, l’aggiunta del bifosfonato ha prodotto anche un trend di incremento della sopravvivenza. Questi risultati statisticamente significativi sono stati confermati anche ad un follow up di 62 [23]. 76 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE I risultati definitivi dello studio AZURE sono stati recentemente pubblicati sul NEJM [24]. L’obiettivo primario dello studio non è stato raggiunto, nel senso che l’aggiunta dell’acido zoledronico non ha mostrato nell’intera popolazione di incrementare in maniera significativa la DFS quando confrontato con la sola terapia standard (HR 0.98; 95% [CI], 0.85 a 1.13; P=0.79). Un’analisi preplanned eseguita con lo scopo di valutare la DFS e la OS nelle sottopopolazioni in premenopausa o in post-menopausa da meno o da più di 5 anni ha evidenziato che l’aggiunta dell’acido zoledronico alla terapia standard è stata capace di incrementare in maniera significativa sia la DFS (HR:0.75 p:0.02) che la OS (HR:0.71 p: 0.017) nella sottopopolazione di donne in menopausa da più di 5 anni o con età superiore a 60 anni. Attualmente sulla base della disamina della letteratura l’utilizzazione dei bifosfonati allo scopo di aumentare la sopravvivenza libera da malattia nel setting adiuvante nel tumore prostatico e nel tumore polmonare non può essere raccomandata, rimanendo in attesa dei risultati degli studi in corso. L’utilizzazione dell’acido zoledronico allo scopo di aumentare la sopravvivenza libera da malattia nel setting adiuvante nelle pazienti con tumore mammario e recettori positivi in pre e post menopausa in corso di ormonoterapia può essere giustificato sulla base dei dati presentati. Nella stessa direzione sono le raccomandazioni ESMO recentemente pubblicate su Ann Oncology (Aebi S et al. Ann Oncol, 2011). [25] Uno studio recente pubblicato da Smith su Lancet nel 2012 ha dimostrato chiaramente che il denosumab somministrato alla dose di 120 mg ogni mese nei pazienti affetti da neoplasia prostatica resistente alla castrazione e con PSA rising syndrome, in assenza di metastasi ossee, è capace di ritardare la comparsa delle metastasi ossee in media di 3.5 mesi rispetto al placebo (25). (Livello di Evidenza SIGN 1+) L’uso del denosumab per ritardare la comparsa di metastasi ossee nel tumore della prostata resistente alla castrazione può quindi essere giustificato (anche se non rimborsabile in Italia) Recentemente, allo scopo di valutare l’impatto dei bisfosfonati in adiuvante nella neoplasia della mammella, l’Early Breast Cancer Trials Collaborative Group (EBCTCG) ha condotto una metanalisi su dati individuali che ha incluso i dati di più di 18,766donne incluse in 26 trial randomizzati di terapia adiuvante con bisfosfonati (26). La maggior parte di queste pazienti avevano ricevuto clodronato per os o acido zoledronico 4 mg endovena ogni 6 mesi. Nelle donne in post-menopausa i bisfosfonati hanno dimostrato di incrementare in maniera significativa il tempo alla comparsa di metastasi ossee (RR=0.72; 95%CI 0.74-0.92, 2p=<0.001), ma anche la disease free survival globale (RR=0.82; 95%CI 0.73-0.93, 2p=0.001) e la mortalità da tumore della mammella mortality (RR=0.82; 95%CI 0.73-0.93, 2p=.002). Questo effetto sulla mortalità è risultato indipendente dallo stato recettoriale, dal grading, dallo stato linfonodale, dall’uso della chemioterapia adiuvante e dal tipo di bisfosfonato utilizzato (amino versus non amino bisfosfonato) Qualità dell’evidenza SIGN B A B Raccomandazione clinica Nei pazienti affetti da tumore prostatico e tumore polmonare, i bisfosfonati non devono essere utilizzati con l’obiettivo terapeutico di aumentare la sopravvivenza libera da malattia nel setting adiuvante Nelle pazienti affetti da tumore mammario in fase postmenopausale, l’acido zoledronico o il clodronato possono essere utilizzati con l’obiettivo terapeutico di aumentare la sopravvivenza libera da malattia e di ridurre la mortalità nel setting adiuvante Nei pazienti affetti da tumore prostatico resistente alla castrazione senza localizzazioni scheletriche, denosumab può essere utilizzato con l’obiettivo terapeutico di ritardare la comparsa di metastasi ossee 77 Forza della raccomandazione clinica Negativa forte Positiva debole Positiva debole LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Take home message: Evidenze cliniche da analisi di studi randomizzati di Fase III ed evidenze preliminari di studi prospettici hanno dimostrato che l’utilizzo di bifosfonati in pazienti con metastasi ossee è in grado di aumentare la sopravvivenza, soprattutto nei pazienti che presentino una normalizzazione dei marcatori di riassorbimento osseo durante la terapia e nei pazienti che presentino all’inizio della terapia livelli elevati di NTX urinario e/o CTX sierico. L’utilizzazione dell’acido zoledronico allo scopo di aumentare la sopravvivenza libera da malattia nel setting adiuvante nelle pazienti con tumore mammario e recettori positivi in pre e post menopausa in corso di ormonoterapia può essere giustificato sulla base dei dati presentati (anche se il loro uso non è registrato in Italia). L’uso del denosumab per ritardare la comparsa di metastasi ossee nel tumore della prostata resistente alla castrazione può essere giustificato (anche se non rimborsabile in Italia) Bibliografia 1. Berenson JR, Rosen LS, Howell A, et al.: Zoledronic acid reduces skeletal-related events in patients with osteolytic metastases. Cancer, 2001; 91(7):1191-200. 2. Dimopoulos M, Berenson J, Shirina N and Chen YM.: Survival in patients with multiple myeloma receiving zoledronic acid: Stratification by baseline bone alkaline phosphatase levels. Proc. Am. Soc Clin Oncol 2006. (Abstr 750). 3. 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Effects of bisphosphonate treatment on recurrence and cause-specific mortality in women with early breast cancer: a meta-analysis of individual patient data from randomised trials. In Program and Abstracts of the 2013 San Antonio Breast Cancer Symposium, San Antonio, Texas, 10–14 December 2013. Abstract S4–07, AACR. 79 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 9. Il ruolo dei bisfosfonati nel paziente anziano e/o con comorbidità Carla Ripamonti I pazienti anziani hanno più frequenti comorbidità a livello di funzionalità renale, sistema cardiovascolare, funzioni metaboliche e cognitive. Mentre non esistono evidenze di peggioramento delle comorbidità associate al trattamento con BP, l’unica relazione accertata è con la funzionalità renale. L’a. zoledronico, l’ibandronato ed il pamidronato possono contribuire efficacemente a ridurre il dolore osseo in questa tipologia di pazienti (Livello di Evidenza SIGN 4). Molti pazienti anziani presentano funzionalità renale ridotta o insufficiente (clearance creatinina <60 mL/min) e potrebbero essere a maggior rischio di tossicità renale. Inoltre, potrebbero presentare insufficienza renale correlata alla patologia neoplastica di base (specialmente in caso di mieloma multiplo) (H. Goldschmidt, 2000). Infine, terapie concomitanti per il trattamento del tumore, quali la chemioterapia, l’assunzione di FANS a scopo analgesico, o con anti-ipertensivi, anti-diabetici e ipocolesterolemizzanti, hanno potenziali effetti nefrotossici (W.P. Patterson, 1992). Quindi, in questi pazienti è necessario uno stretto monitoraggio della funzionalità renale (Body JJ et al, 2007) nonché il controllo e l’ottimizzazione dello stato di idratazione (Livello di Evidenza SIGN 4). Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D Nei pazienti anziani in trattamento con BP è necessario uno stretto monitoraggio della funzionalità renale nonché il controllo e l’ottimizzazione dello stato di idratazione Positiva forte Nel caso di metastasi da carcinoma mammario, se il paziente con forti dolori non riesce a muoversi facilmente, è più pratico intraprendere il trattamento a domicilio con un BP orale (ad es. ibandronato or clodronato) in associazione con farmaci analgesici, per poi passare ad una formulazione iniettabile in ospedale non appena il recupero della mobilità lo consente o se la compliance verso la formulazione orale è dubbia. (Livello di Evidenza SIGN 4). Negli altri tipi di malattia, l’unico bifosfonato con indicazione è l’a. zoledronico. Relativamente al rischio di ONJ nei pazienti anziani si deve considerare anche quello derivante dalla maggiore suscettibilità a sviluppare patologie del cavo orale. Inoltre, in aggiunta alle raccomandazioni che valgono per tutti i pazienti, è necessario verificare se ci siano aree di mucosa danneggiata dall’uso di protesi dentarie (Livello di Evidenza SIGN 4). Nei pazienti anziani, la più frequente presenza di effetti collaterali del tratto gastrointestinale e la difficoltà a deglutire le capsule o le tavolette di grosse dimensioni più volte al giorno contribuiscono a limitare la compliance dei pazienti verso il clodronato orale (Livello di Evidenza SIGN 4). Take home message: C’è indicazione all’utilizzo dei bifosfonati nel paziente anziano, anche se bisogna porre particolare attenzione alle comorbidità del paziente e agli effetti collaterali relativi a tali farmaci, soprattutto a livello renale. 80 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. Aredia® (pamidronate). SmPC. Novartis Pharmaceuticals UK. 4 January 2005 S. Atula, T. Powles and A. 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Di Mari et al., Safety of long-term administration of bisphosphonates in elderly cancer patients, Oncology 67 (2004), pp. 112–116. 81 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 10 L’uso dei bifosfonati in associazione con le terapie specifiche (chemioterapia, radioterapia, farmaci biologici) Daniele Santini, Vladimir Virzì, Maria Elisabetta Fratto Diversi studi preclinici hanno dimostrato l’attività antitumorale dei bifosfonati e diversi dati su modelli animali suggeriscono che gli amino-bifosfonati hanno la capacità di rallentare la progressione di malattia a livello scheletrico oltre che prevenire l’insorgenza di metastasi ossee [1]. Ulteriori studi hanno valutato l’eventuale ruolo sinergico tra bifosfonati e farmaci chemioterapici. La maggior parte di questi studi e i dati più convincenti sono stati riportati utilizzando l’acido zoledronico. Kimura et al hanno dimostrato il decremento della crescita cellulare di linee leucemiche quando sottoposte ad esposizione concomitante di acido Zoledronico con vari chemioterapici [2]. Lo stesso risultato, ma con diverse linee cellulari, è stato evidenziato dagli ulteriori studi [3- 7]. Tali dati potrebbero rappresentare la base per lo sviluppo di trials con modelli clinici [8-13]. Alcuni studi clinici di fase II hanno valutato l’associazione tra bifosfonati e agenti chemioterapici. Alcuni di questi studi sono attualmente disponibili solo in forma di abstracts [14, 15]. La maggior parte di questi studi riguardavano pazienti affetti da neoplasie della prostata in fase ormonoresistente [16-18]. L’acido Zoledronico e gli altri aminobifosfonati sono stati testati insieme a diversi farmaci biologici al fine di valutare un eventuale ruolo sinergico di inibizione del processo di isoprenilazione. Alcuni studi clinici di fase II hanno indagato l’attività dell’associazione tra aminobifosfonati ed agenti biologici. In particolare è stato valutato ruolo sinergico in neoplasie ematologiche come leucemia mieloide cronica e mieloma multiplo [19, 20]. Ulteriori studi sono in corso per valutare l’attività dell’associazione nelle neoplasie solide. Il sinergismo tra bifosfonati e trattamento radioterapico è stato ed è oggetto di studio. In particolare due studi dimostrano l’efficacia di tale associazione in termini di ritardo di insorgenza di eventi scheletrici e di riconsolidamento della normale microarchitettura ossea [21,22]. Take home message: Sono in corso studi che stanno valutando il sinergismo tra bifosfonati e farmaci chemioterapici, agenti biologici e radioterapia, ma ad oggi non ci sono ancora evidenze derivanti da studi clinici randomizzati di Fase III. Bibliografia 1. Roelofs AJ, Thompson K, Gordon S, et al: Molecular mechanisms of action of bisphosphonates: current status. 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Modulation of bone microenvironment with zoledronate enhances the therapeutic effects of STI571 and paclitaxel against experimental bone metastasis of human prostate cancer. Cancer Res, 2005; 65:3707-15. 11. Budman DR, Calabro A: Zoledronic acid (Zometa) enhances the cytotoxic effect of gemcitabine and fluvastatin: in vitro isobologram studies with conventional and nonconventional cytotoxic agents. Oncology, 2006;70(2):147-53. 12. Yildiz M, Celik-Ozenci C, Akan S, et al: Zoledronic acid is synergic with vinblastine to induce apoptosis in a multidrug resistance protein-1 dependent way: an in vitro study. Cell Biol Int, 2006;30(3):278-82. 13. Ozturk OH, Bozcuk H, Burgucu D, et al: Cisplatin cytotoxicity is enhanced with zoledronic acid in A549 lung cancer cell line: preliminary results of an in vitro study. Cell Biol Int, 2007;31(9):1069-71. 14. El-Mabhouh AA, Mercer JR. 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Manas A, Casas F et al: Randomised study of single dose (8 Gy vs. 6 Gy) of analgesic radiotherapy plus zoledronic acid in patients with bone metastases. Clin Transl Oncol. 2008 May;10(5):281-7. 22. Arrington SA, Damron TA, Mann KA, Allen Mj: Concurrent administration of zoledronic acid and irradiation leads to improved bone density, biomechanical strength, and microarchitecture in a mouse model of tumor-induced osteolysis. J Surg Oncol. 2008 Mar 1;97(3):284-90. 23. Aebi S, Davidson T, Gruber G, Castiglione M; ESMO Guidelines Working Group. Primary breast cancer: ESMOclinical practice guidelines for diagnosis, treatment and follow up nAnn Oncol. 2010 May;21 Suppl 5:v9-14 83 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 11. Le nuove molecole 1. Denosumab (raccomandazioni) Daniele Santini e Alfredo Berruti Il Pathway RANK/RANKL/OPG svolge un ruolo chiave nella modulazione della fase finale dell’osteoclastogenesi partecipando alla regolazione riassorbimento osseo. In particolare, il ligando RANK (receptor activator of NF kappa B), appartenente alla superfamiglia del TNF, è il mediatore essenziale della formazione, funzione e sopravvivenza dell’osteoclasto. RANKL è espresso sia in una forma di membrana sulla superficie di cellule stromali/osteoblastiche sia in una forma solubile, che legandosi al suo recettore RANK, espresso sulle cellule della linea osteoclastica, stimola l’attivazione e la differenziazione degli osteoclasti e ne inibisce l’apoptosi. L’osteoprotegerina (OPG) è invece in grado di legare RANK-L e di inibirne la funzione, portando cosi ad una inibizione del riassorbimento osseo. L'incremento del rapporto RANK-ligand/OPG è alla base dell’incremento del riassorbimento osseo, fenomeno che si verifica nell’osteoporosi indotta da trattamenti antineoplastici, ma che costituisce anche un fenomeno importante nella formazione delle metastasi ossee e nel loro mentenimento [1]. Inoltre, esistono delle prime evidenze che mostrano come, in alcuni istotipi tumorali nell’uomo, l’espressione di RANK/RANKL sia presente anche sulle cellule tumorali e sia incrementata a livello delle metastasi ossee rispetto alla corrispondente neoplasia primitiva [2]. E’ stato dimostrato inoltre che RANKL dirige la migrazione delle cellule tumorali epiteliali a organi distanti (le ossa) se le cellule in questione sono dotate dello specifico recettore RANK [3]. Recentemente è stato sintetizzato un anticorpo monoclonale interamente umanizzato, il Denosumab, noto anche come AMG 162, che ha la capacità di legarsi a RANKL con alta affinità e specificità, e di inibire consequentemente l’azione di RANKL. Nelle donne in post-menopausa con ridotta massa ossea, il Denosumab ha dimostrato di aumentare la densità minerale ossea e di ridurre il riassorbimento osseo. Questi dati preliminari hanno indicato che Denosumab potrebbe rappresentare un trattamento efficace nell’osteoporosi [4]. Attualmente numerosi sono i trial clinici di Fase II e III sull’utilizzo del denosumab in oncologia. In particolare lo sviluppo attuale di questa molecola in oncologia prevede lo studio della stessa nella prevenzione degli eventi scheletrici del pazienti in fase metastatica, la prevenzione della perdita di densità minerale ossea in pazienti sottoposti a trattamenti antineoplastici potenzialmente in grado di indurre osteopenia/osteoporosi (CTIBL) e la prevenzione della comparsa di metastasi scheletriche ed extrascheletriche quando utilizzata nel setting della terapia adiuvante. Setting Metastatico Nel setting dei pazienti con malattia ossea metastatica sono stati pubblicati tre trial clinici, entrambi di Fase II randomizzati. Il primo studio clinico pubblicato da JJ Body su clinical cancer Res (2006) [5] ha dimostrato come una singola dose per via sottocutanea di denosumab in pazienti affetti da mieloma multiplo e in pazienti con neoplasia mammaria in fase metastatica scheletrica sia ben tollerata e sia capace di ridurre in maniera significativa i livelli dei marcatori di riassorbimento osseo per una durata di almeno 84 giorni. Tale riduzione è risultata essere almeno pari in magnitudine, ma più duratura rispetto alla riduzione che si osserva dopo somministrazione di una singola dose di pamidronato. Il secondo studio di fase II randomizzato è stato pubblicato da A Lipton su Journal Clinical Oncology (2007) [6]. In questo trial sono state incluse 255 pazienti affette da carcinoma mammario con metastasi ossee randomizzate a ricevere denosumab per via sottocutanea oppure acido zoledronico per via endovenosa. Il denosumab ha dimostrato di sopprimere i livelli dei marcatori di riassorbimento osseo e di ridurre l’incidenza di eventi scheletrici in egual misura rispetto all’aminobifosfonato. Infine, K Fizazi et al. [7] ha pubblicato nel 2009 i risultati finali di uno studio di fase II randomizzato in cui sono stati inclusi pazienti affetti da tumore prostatico, tumore mammario ed altre neoplasie con metastasi ossee che non avevano presentato una soppressione dei livelli di NTX urinario durante una precedente terapia con aminobifosfonati. 84 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Questi pazienti sono stati randomizzati a ricevere denosumab oppure a continuare lo stesso aminobifosfonato ricevuto prima dell’entrata nello studio. Dopo 13 settimane di trattamento il denosumab ha determinato una normalizzazione dei livelli di NTX urinario in una percentuale di pazienti significativamente superiore e una riduzione degli eventi scheletrici maggiore rispetto a quanto ottenuto con il la continuazione del bifosfonato. Recentemente sono stati pubblicati tre studi clinici di fase III randomizzati che avevano l’obiettivo di confrontare l’efficacia del denosumab con quella dell’acido zoledronico nel setting metastatico del tumore della mammella, dei tumori solidi (eccetto mammella e prostata) e del tumore della prostata. [8, 9, 10]. Lo studio effettuato in pazienti con malattia mammaria metastatica a livello scheletrico ha randomizzato 2049 pazienti a ricevere denosumab alla dose di 120 mg sc ogni 28 giorni + placebo per via ev oppure acido zoledronico alla dose di 4 mg ogni 28 giorni per via ev + placebo per via sc. Per tutti i pazienti era prevista la supplementazione con vitamina D e calcio. In queso studio, disegnato per dimostrare come obiettivo primario la non inferiorità e come obiettivo secondario la superiorità, il denosumab ha dimostrato di ritardare il tempo al primo SRE in maniera non inferiore all’acido zoledronico (HR 0.82; 95%CI: 0.71–0.95; p<0.0001) (obiettivo primario). Anche gli obiettivi secondari sono stati raggiunti in termini di superiorità del tempo al primo SRE (p=0.01) e di superiorità del tempo al primo e ai successivi eventi scheletrici (HR: 0.77; 95%CI: 0.66, 0.89; P = 0.001) [8]. Il secondo studio di fase III [9] [11] ha incluso 1176 pazienti affetti da neoplasie solide in fase metastatica a livello scheletrico (eccetto mammella e prostata, principalmente tumore del polmone) e da mieloma multiplo (circa il 10% dei pazienti). Il disegno dello studio e gli obiettivi primario e secondari sono perfettamente sovrapponibili a quelli dello studio sul tumore mammario. In questo studio non si evincono i dati parziali relativi ai diversi sottogruppi divisi per patologia primitiva. I risultati della casistica globale hanno mostrato una non inferiorità e vantaggio di denosumab versus acido zoledronico i termini di tempo alla comparsa del primo evento scheletrico avverso, HR 0.84 (95% CI 0.710.98, p=0.0007 in analisi umivarita, p=0.06 in analisi multivariata). Infine, il terzo studio di fase III ha incluso 1901 pazienti affetti da neoplasia prostatica ormonorefrattaria in fase metastatica a livello scheletrico. Anche questo studio presenta il medesimo disegno e i medesimi obiettivi primario e secondari degli studi precedenti. L’obiettivo primario è stato raggiunto: il denosumab si è dimostrato non inferiore rispetto all’acido zoledronico per quanto riguarda il tempo al primo SRE (HR: 0.82; 95% CI: 0.71-0.95; p = 0.0002). Anche gli obiettivi secondari sono stati a favore del denosumab, sia in termini di superiorità del tempo al primo SRE (p = 0.008) che in termini di superiorità del tempo al primo e ai successivi SRE (HR: 0.82; 95% CI: 0.71, 0.94; P = 0.008) [10]. Per ciò che riguarda la safety, ill denosumab ha mostrato un profilo di tollerabilità comparabile con quello dell’acido zoledronico. L’incidenza dell’osteonecrosi della mandibola non è risultata significativamente differente rispetto a quella riscontrata nei pazienti trattati con acido zoledronico, anche se si è osservato in tutti e tre gli studi un trend di incremento di incidenza nel braccio di trattamento con denosumab. Take home messages: Denosumab nella malattia metastatica Tumore della mammella: - Denosumab è una valida alternativa all’uso dei bisfosfonati per quanto riguarda la prevenzione delle complicanze scheletriche (Livello di Evidenza SIGN 1++ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico) - Il denosumab è superiore all’acido zoledronico in termini di tempo al primo SRE e di tempo al primo e ai successivi SRE (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico) Tumore del polmone: - Denosumab è una valida alternativa all’uso dell’acido zoledronico per quanto riguarda la prevenzione delle complicanze scheletriche (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico) - Il denosumab è superiore all’acido zoledronico in termini di tempo al primo SRE e di tempo al primo e ai successivi SRE (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico) Tumore della prostata: - Denosumab è una valida alternativa all’uso dell’acido zoledronico per quanto riguarda la prevenzione delle complicanze scheletriche nel paziente con malattia refrattaria alla (Livello di Evidenza SIGN 1++ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico) 85 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE - Il denosumab è superiore all’acido zoledronico in termini di tempo al primo SRE e di tempo al primo e ai successivi SRE (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico) Safety: - L’incidenza di ONJ durante il trattamento con denosumab è almeno pari a quella riscontratta durante il trattamento con acido zoledronico (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico) - L’incidenza di ipocalcemia sintomatica e asintomatica durante il trattamento con denosumab è superiore a quella durante il trattamento con acido (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico) Altri Setting: v. capitolo sulla CTIBL (F. Bertoldo) Diversi sono gli studi clinici ongoing miranti a valutare l’efficacia di denosumab nella prevenzione della CTIBL, sia nelle pazienti con tumore mammario che nei pazienti con tumore prostatico sottoposti a terapia ormonale. In particolare, all’ultimo ASCO (2008) GK Ellis et al. [12] ha presentato l’analisi finale di uno studio di fase III randomizzato di donne affette da neoplasia mammaria non metastatica in trattamento con un inibitore dell’aromatasi. 125 donne sono state randomizzate a ricevere vitamina D, calcio + placebo e 127 donne la medesima supplementazione + il denosumab per via sottocutanea alla dose di 60 mg ogni 6 mesi per due anni. L’analisi dei risultati a 12 mesi ha evidenziato che il denosumab confrontato con il placebo è stato in grado di determinare un incremento consistente della bone mineral density (BMD) rispetto ai valori basali. Tale incremento è stato osservato in tutte le sedi scheletriche valutate e in tutti i sottogruppi di pazienti analizzati (T score basale, precedente terapia con tamoxifene, intervallo dalla menopausa). Questo studio rappresenta un passo in avanti per una possibile futura indicazione del denosumab nella prevenzione della CTIBL. Gli studi clinici di prevenzione della CTIBL nei pazienti con tumore prostatico ormonosensibile e ormono-resistente sono ancora in corso e i risultati delle prime interim analysis sono attesi a breve. All’ASCO del 2009 Smith MR et al. [13] hanno presentato l’analisi a 24 e 36 mesi di due trial di fase III di prevenzione della CTIBL, rispettivamente, nel tumore mammario in trattamento con inibitori dell’aromatasi e prostatico in trattamento con deprivazione androgenica. Entrambi i trial evidenziano come il denosumab sia in grado di incrementare rispetto al placebo la BMD a livello lombare, del bacino e del 1/3 distale del radio. Nel mese di agosto del 2009 Smith MR et al. hanno pubblicato sul NEJM i dati definitivi a 36 mesi dello studio di fase III nel tumore della prostata. Per la prima volta, per un farmaco antiosteoporotico utilizzato nella prevenzione della CTIBL, il denosumab ha dimostrato di essere in grado di ridurre in maniera significativa (8% versus 17%) l’incidenza delle fratture rispetto al braccio trattato con placebo [14]. Infine all’ASCO del 2009 [15] è stato presentato uno studio di fase II “proof of concept” che ha incluso pazienti affetti da tumore a cellule giganti trattati con il denosumab (120 mg sottocute una volta al mese con due loading dose durante il primo mese all’8 e 15 giorno). Il tumore a cellule giganti (4-10% dei tumori primitivi dell’osso) è un tumore osteolitico che insorge frequentemente a carico delle epifisi prossimali delle ossa lunghe dello scheletro di adulti, e che può dare frequentemente SRE, può infiltrare i tessuti molli e può facilmente recidivare localmente, talora può dare metastasi polmonari. In questo studio l’86% dei pazienti con tumore a cellule giganti non resecabile ha presentato una risposta istologica e clinica di malattia. Il denosumab potrebbe a breve ricevere dalla FDA la registrazione per questa specifica indicazione. In conclusione, il denosumab rappresenta il primo esempio di target therapy nello spettro dei farmaci utilizzati per il trattamento della malattia scheletrica in pazienti oncologici. Tale molecola rappresenterà probabilmente in un prossimo futuro una scelta terapeutica adeguata nella prevenzione degli eventi scheletrici in alternativa ai bifosfonati o in pazienti selezionati. Bibliografia 1. 2. 3. 4. Vega D, Maalouf NM, Sakhaee K. CLINICAL Review #: the role of receptor activator of nuclear factor-kappaB (RANK)/RANK ligand/osteoprotegerin: clinical implications. J Clin Endocrinol Metab. 2007 Dec;92(12):4514-21 Chen et al, Cancer, 2006 Jones DH, Nakashima T, Sanchez OH, et al: Regulation of cancer cell migration and bone metastasis by RANKL. Nature 440:692-696, 2006. McClung MR et al, N Engl J Med 2006; 354: 821-831 86 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Body JJ et al. Clin Cancer Res. 2006 Feb 15;12(4):1221-8. A Lipton et al, J Clin Oncol. 2007 Oct 1;25(28):4431-7 Fizazi K, Lipton A, Mariette X, Body JJ, Rahim Y, Gralow JR, Gao G, Wu L, Sohn W, Jun S. Randomized phase II trial of denosumab in patients with bone metastases from prostate cancer, breast cancer, or other neoplasms after intravenous. J Clin Oncol. 2009 Apr 1;27(10):1564-71. Stopeck A., Lipton A, Body JJet al. Denosumab compared with zoledronic acid for the treatment of bone metastases in patients with advanced breast cancer: a randomized, double-blind study. Clin Oncol. 2010 Dec 10;28(35):5132-9 Henry DH, Costa L, Goldwasser F, Hirsh V, Hungria V, Prausova J, Scagliotti GV, Sleeboom H, Spencer A, Vadhan-Raj S, von Moos R, Willenbacher W, Woll PJ, Wang J, Jiang Q, Jun S, Dansey R, Yeh H.Randomized, double-blind study of denosumab versus zoledronic acid in the treatment of bone metastases in patients with advanced cancer (excluding breast and prostate cancer) or multiple myeloma. J Clin Oncol. 29: 1125-1132, 2011. Fizazi K, Carducci M, Smith M, Damião R, Brown J, Karsh L, Milecki P, Shore N, Rader M, Wang H, Jiang Q, Tadros S, Dansey R, Goessl C. Denosumab versus zoledronic acid for treatment of bone metastases in men with castration-resistant prostate cancer: a randomised, double-blind study. Lancet 377: 813-22, 2011. S. Vadhan-Raj, D. H. Henry, R. von Moos, et al. 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Denosumab for the treatment of giant cell tumor (GCT) of bone: Final results from a proof-of-concept, phase II study. J Clin Oncol 27:15s, 2009 (suppl; abstr 10510). 2. Nuove molecole nella terapia delle metastasi ossee Attualmente sono in diverse fasi di sperimentazione clinica numerose molecole con effetti diretti o indiretti sull’evoluzione delle metastasi ossee da tumori solidi. Alcune di queste molecole sono capaci di agire direttamente sul riassorbimento osseo avendo come target cellule specifiche dell’osso come osteoclasti, osteoblasti, osteociti o pathway molecolari che regolano la funzione di queste cellule. In questo gruppo di farmaci possiamo comprendere lo stesso denosumab, ma anche gli inibitori del recettore A dell’endotelina 1 (espresso anche dagli osteoblasti), gli inibitori della catepsina K (prodotta dagli osteoclasti, ma anche dalle cellule tumorali metastatiche all’osso), i farmaci che interferiscono con il pathway wnt/dkk1 (che regola tra l’altro la funzione degli osteoblasti), gli inibitori di src (tirosin kinasi non recettoriale che sta a valle del recettore rank e che contribuisce a regolare la funzione riassorbitiva degli osteoclasti, ma anche la funzione di distruzione della matrice ossea da parte delle cellule tumorali) (1). Altre molecole in sperimentazione avanzata sull’uomo, pur avendo come target la cellula tumorale e non il microambiente osseo, hanno dimostrato oltre che un miglioramento della sopravvivenza, di essere anche capaci di modificare la storia naturale delle metastasi ossee, determinando un ritardo della comparsa degli SRE, una riduzione del dolore osseo e il miglioramento della qualità di vita. In questo gruppo di farmaci possiamo annoverare come maggiore esempio l’abiraterone, un inibitore selettivo di CYP17-alfa idrossilasi, capace di inibire la produzione degli androgeni a livello della stessa cellula tumorale e che ha dimostrato, dopo trattamento con docetaxel, di aumentare la sopravvivenza dei pazienti affetti da tumore della prostata in fase di resistenza alla castrazione, ma anche di ridurre l’incidenza e ritardare la comparsa delle complicanze scheletriche correlate alle metastasi ossee ed, infine, di migliorare la qualità di vita “scheletrica” (2). In particolare l’abiraterone + prednisone ha dimostrato rispetto al solo prednisone di ritardare la comparsa degli SRE di 4.7 mesi (HR:0.615) nei pazienti trattati con docetaxel (2) e di ritardare la progressione scheletrica e il tempo all’uso degli analgesici oppioidi nei pazienti non pretrattati con docetaxel (3) (Livello di Evidenza SIGN 1+). 87 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Nuovi altri farmaci sono in sperimentazione nel tumore della prostata metastatico con potenziale effetto terapeutico anche sulle metastasi ossee (enzalutamide, cabozantinib, ecc.). In particolare l’enzalutamide (MDV 3100) è un farmaco di ultima generazione capace di legare il recettore per gli androgeni, di impedirne il trasporto a livello nucleare e la sua funzione de-regolatrice sul DNA. Tale farmaco ha recentemente dimostrato di incrementare la sopravvivenza e di ritardare la comparsa di eventi scheletrici (di 3.4 mesi rispetto al placebo; HR0.621) nel paziente affetto da neoplasia prostatica metastatica in fase di resistenza alla castrazione dopo trattamento con docetaxel (4) (Livello di Evidenza SIGN 1+). Infine, il cabozantinib rappresenta il primo esempio di un farmaco a target molecolare attivo nel tumore della prostata, è un inibitore di c-met e del pathway di VEGF che ha dimostrato di indurre un elevato tasso di risposte obiettive a livello delle metastasi ossee di pazienti affetti da neoplasia prostatica in fase di resistenza alla castrazione (5). Bibliografia 1. Santini D, Galluzzo S, Zoccoli A, et al. New molecular targets in bone metastases. Cancer Treat Rev. 2010 2. Fizazi K et al. Abiraterone acetate for treatment of metastatic castration-resistant prostate cancer: final overall survival analysis of the COU-AA-301 randomised, double-blind, placebo-controlled phase 3 study. Lancet Oncol. 2012 3. Ryan CG et al., Abiraterone in metastatic prostate cancer without previous chemotherapy. NEJM, 2013 4. Scher HI et al. Increased survival with enzalutamide in prostate cancer after chemotherapy NEJM, 2012 5. Smith DC et al. Cabozantinib in Patients With Advanced Prostate Cancer: Results of a Phase II Randomized Discontinuation Trial. JCO, 2013 12. Il ruolo della chirurgia ortopedica delle metastasi ossee Vincenzo Denaro, Alberto Di Martino, Mattia Loppini, Nicola Papapietro 1. Introduzione Negli ultimi anni, il miglioramento delle terapie integrate delle neoplasie primitive e la maggiore sopravvivenza dei pazienti oncologici ha determinato un progressivo aumento del numero di pazienti affetti da malattia metastatica dell’osso. La comparsa di una metastasi scheletrica rappresenta un evento grave con influenza negativa sulla prognosi del malato, soprattutto se la lesione richiede un trattamento chirurgico [1]. Nel periodo compreso tra il 2002 ed il 2008, in casistiche di carcinomi non metastatici ed a basso rischio di recidiva, l’American Cancer Society (ACS) ha riportato una sopravvivenza a 5 anni del 100% nel carcinoma della prostata e della tiroide, del 98% nella mammella, del 91% nel rene e del 52% nel polmone. Nei tumori metastatici già all’esordio, la sopravvivenza a 5 anni si riduce al 54% nel tumore della tiroide, al 28% nel carcinoma prostatico, al 24% nel carcinoma mammario, al 12% nel tumore renale e 4% nel tumore polmonare [2]. Nonostante la diagnosi di metastasi ossea sia un fattore prognostico negativo per la sopravvivenza, il paziente affetto da malattia metastatica può tuttavia sopravvivere a lungo, avendo però una riduzione della qualità della vita. Infatti, solo in alcuni casi le lesioni ossee sono asintomatiche, mentre più frequentemente si associano a dolore e possono complicarsi con i cosiddetti “eventi scheletrici” (Skeletal Related Events SRE) quali le fratture patologiche e le “impending fractures”, le compressioni midollari e l’ipercalcemia. Il trattamento delle lesioni metastatiche all’osso richiede un approccio multidisciplinare integrato, che vede il chirurgo ortopedico al fianco del radiologo, del radioterapista, dell’oncologo medico e dello specialista in terapia del dolore al fine di determinare il miglior trattamento specifico per il singolo paziente e il timing della chirurgia, in casi in cui sia indicata. Gli obiettivi principali del trattamento delle metastasi scheletriche sono: la prevenzione e la cura delle fratture patologiche delle ossa lunghe; la prevenzione e la cura della compressione midollare spinale; il controllo del dolore; garantire una qualità di vita il migliore possibile; preservare o ripristinare la funzione articolare e la stabilità segmentaria; ottenere il controllo locale della lesione metastatica. 88 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE La diagnostica strumentale del paziente oncologico con metastasi ossea, ai fini di poter impostare un corretto iter terapeutico, deve tener conto di alcuni esami diagnostici fondamentali. Se la neoplasia primitiva è già nota, il protocollo diagnostico include: a) Esame radiografico standard del segmento scheletrico coinvolto; b) Scintigrafia scheletrica total-body per valutare il numero delle lesioni scheletriche (se il paziente non ne ha a disposizione una eseguita meno di 6 mesi prima); c) Tomografia computerizzata (TC) total body con mezzo di contrasto per la determinazione delle eventuali metastasi viscerali. Questo esame può essere sostituito dalla PET con FDG; d) Risonanza magnetica (RM) con o senza mezzo di contrasto dell’intero segmento scheletrico coinvolto per valutare la reale estensione della lesione lungo la diafisi e nella metaepifisi, e l’eventuale coinvolgimento dell’acetabolo, nelle lesioni dell’anca. Nel caso di lesioni vertebrali la RM deve riguardare il rachide in toto, perché sono frequenti le lesioni vertebrali multiple contestuali, anche non necessariamente captanti alla scintigrafia. Il protocollo generale di stadiazione (Rx, Scintigrafia e TC total body) è lo stesso per tutte le lesioni metastatiche e si propone di determinare la sede della lesione, il numero di metastasi ossee ed il numero di metastasi viscerali. Si raccomanda, come protocollo corretto, di eseguire una biopsia della lesione ossea all’atto dell’intervento chirurgico. Inoltre, in presenza di dubbio di tumore primitivo, si raccomanda di eseguire la sola biopsia in attesa dell’istologia definitiva. In caso di lesioni vertebrali, è necessario eseguire un’agobiopsia TC guidata o a guida fluoroscopica transpeduncolare della lesione ai fini diagnostici. Si raccomanda di evitare l’agoaspirato perché sull’osso non è, di solito, in grado di fornire materiale sufficiente al patologo per formulare la corretta diagnosi. In considerazione della mancanza di trial randomizzati, i livelli di evidenza esposti in queste linee guida per determinati trattamenti chirurgici e non sono relativamente bassi; ciononostante, mentre le indicazioni all’intervento sono ormai standardizzate, le tecniche chirurgiche sono più difficilmente standardizzabili, richiedendo una versatilità chirurgica in grado di utilizzare le tecniche, i mezzi di sintesi e le protesi di volta in volta più adeguate allo specifico paziente [2, 3]. Di seguito, verranno trattate le indicazioni alle diverse tecniche chirurgiche che non saranno descritte in dettaglio, in quanto l’esposizione dell’aspetto tecnico chirurgico esula dagli obiettivi di queste linee guida. Abbiamo riportato l’efficacia delle tecniche per il trattamento delle metastasi dello scheletro appendicolare e dei cingoli pelvico e scapolare confermate dalla nostra esperienza clinica personale e da quanto viene fatto a livello nazionale ed internazionale, e tenuto conto delle Linee Guida della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia [4, 5] cui abbiamo collaborato. Allo stesso modo abbiamo selezionato per il trattamento delle metastasi vertebrali i lavori più importanti a livello internazionale confrontati con la nostra esperienza trentennale clinico-chirurgica sull’argomento e le Linee Guida della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia [6, 7], cui abbiamo collaborato. 2. Fattori prognostici La prognosi del paziente con metastasi ossee rappresenta un fattore cruciale per determinare l’operabilità e la tipologia dell’intervento chirurgico. Per eseguire un trattamento adeguato dei pazienti con lesioni metastatiche dello scheletro appendicolare e dei cingoli, è necessario prendere in considerazione i principali fattori prognostici della malattia metastatica: Le caratteristiche biologiche: l’aspettativa di sopravvivenza (tipo di tumore primitivo); l’estensione della malattia (lesione ossea unica o multipla, presenza di eventuali lesioni viscerali); le condizioni generali del paziente (performance status); l’intervallo libero da malattia. Le caratteristiche biomeccaniche: presenza o rischio di frattura patologica nelle ossa lunghe principali (sede e dimensioni della lesione; tipo di lesione litica o addensante); sensibilità prevista alle terapie non chirurgiche (chemioterapia, radioterapia, ormonoterapia etc.). Il tipo di tumore primitivo è il fattore prognostico più importante perché determina l’aggressività biologica della malattia. Recentemente, Forsberg et al. [8] hanno proposto un classificazione basata sull’aggressività 89 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE del tumore primitivo: neoplasie a crescita lenta (mammella, prostata, rene, luntiroide, mieloma e linfoma); a crescita intermedia (sarcomi e altri carcinomi); a crescita rapida (polmone, stomaco, fegato e melanoma). L’estensione della malattia scheletrica è un fattore critico nella scelta del tipo di chirurgia. I pazienti con metastasi singola da tumore con buona prognosi possono sopravvivere a lungo ed il trattamento chirurgico in questi casi deve comprendere l’asportazione della lesione metastatica e la ricostruzione con metodiche adatte a durare nel tempo. La frattura patologica è un evento avverso di grande impatto su qualità di vita e prognosi del malato oncologico. Il tessuto osseo in questi casi ha scarsa capacità di guarigione, quindi la finalità del trattamento non è la consolidazione della frattura, ma ottenere un segmento osseo stabile in grado di resistere alle forze applicate ad esso sia in flessione che in torsione in modo da permettere immediatamente il carico e la deambulazione [9]. In una casistica mista per tipo di tumore primitivo, Gainor et al. hanno riportato un tasso medio di guarigione della frattura patologica del 35% [10]. Le fratture patologiche da carcinoma della mammella e mieloma hanno mostrato la maggiore possibilità di consolidazione. La bassa percentuale di guarigione delle fratture su metastasi nonostante le terapie non chirurgiche mette in evidenza l’importanza di eseguire una ricostruzione stabile e resistente nel tempo nel caso sia prevista una lunga sopravvivenza del paziente e nelle sedi anatomiche più sottoposte a stress meccanici (Livello di evidenza III; Forza di raccomandazione A). La lesione a rischio di frattura patologica (“impending fracture”) è un altro fattore prognostico di notevole impatto. E’ stato infatti dimostrato che il trattamento chirurgico preventivo, rispetto a quello post-frattura, migliora la prognosi del paziente e riduce l’impatto della lesione metastatica sulla sua qualità di vita [11, 12]. I criteri di Mirels [13] rappresentano il sistema di valutazione del rischio di frattura più noto per lo scheletro appendicolare. Si tratta di un sistema a punteggio che tiene conto della sede anatomica, del grado del dolore, dell’aspetto radiografico (litico, misto, addensante) e della dimensione della lesione rispetto al diametro del segmento osseo. Tuttavia, Van der Linden et al. [14] hanno dimostrato che i parametri più significativi sono una osteolisi superiore a 50% del diametro osseo o della circonferenza ossea, una sua estensione longitudinale maggiore di 25-30 mm, il dolore (in particolare sotto carico) (Livello di evidenza IV; Forza di raccomandazione B). Nel corso delle ultime due decadi, diversi autori hanno proposto fattori prognostici e sistemi a punteggio per la stadiazione del paziente con metastasi ossee da carcinoma. Bohm et al. [15] hanno dimostrato che fattori prognostici significativi per la sopravvivenza sono il tipo di tumore primitivo, la presenza di metastasi viscerali, la frattura patologica e l’intervallo libero tra il tumore primitivo e la metastasi (> 3 anni). Katagiri et al. [16] hanno identificato quali fattori prognostici il tipo di tumore primitivo, le condizioni generali del paziente (Eastern Cooperative Oncology Group score), le metastasi viscerali e/o cerebrali, la lesione scheletrica solitaria o multipla, la precedente chemioterapia. Hansen et al. [11] attraverso una analisi dei dati raccolti dallo “Scandinavian Sarcoma Group” hanno identificato quali fattori prognostici significativi per la sopravvivenza il tipo di tumore primitivo, la frattura patologica, le metastasi viscerali, il valore di emoglobina preoperatorio < 7g/dl, e le condizioni generali del paziente (secondo Karnovsky). Nathan et al. [17] hanno identificato come fattori prognostici indipendentemente significativi per la sopravvivenza, la diagnosi del tumore primitivo, l’ECOG “performance status”, il numero di metastasi ossee, la presenza di metastasi viscerali, il valore di emoglobina, e la stima preoperatoria di sopravvivenza da parte del chirurgo. Recentemente, Forsberg et al. hanno sviluppato due reti Bayesiane definite “Bayesian-Estimated Tools for Survival (BETS) models” per identificare fattori prognostici che influenzano la sopravvivenza postoperatoria di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico per metastasi ossee delle estremità. I parametri risultati significativi per la sopravvivenza a 3 mesi sono stati: la stima preoperatoria di sopravvivenza da parte del chirurgo ortopedico esperto; la concentrazione preoperatoria di emoglobina; la conta preoperatoria dei linfociti; ECOG “performance status”; presenza di frattura patologica completa. 90 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE I parametri risultati significativi per la sopravvivenza a 12 mesi sono stati: ECOG “performance status”; presenza di frattura patologica completa; il numero di metastasi ossee; la diagnosi del tumore primitivo [8, 18, 19]. Tale modello è stato validato in uno studio multicentrico italiano [20]. 3. Lesioni metastatiche dello scheletro appendicolare e dei cingoli pelvico e scapolare Sulla base delle caratteristiche biologiche e biomeccaniche della lesione, i pazienti con metastasi ossee da carcinoma degli arti e dei cingoli possono essere suddivisi in quattro classi [21] (Tab.1). Tabella 1: classi di pazienti con metastasi ossee degli arti e dei cingoli CLASSE I CLASSE II CLASSE III CLASSE IV Metastasi ossee solitarie Tumore primitivo a buona prognosi: mammella (casi selezionati), prostata (casi selezionati), rene, tiroide diff. Intervallo libero da malattia >3 anni • Frattura patologica nelle ossa lunghe principali (omero, radio, ulna, femore e tibia) • Rischio imminente di frattura patologica in ossa principali sotto carico. Le regioni più a rischio in tale segmento sono il collo del femore, la regione sottotrocanterica e sovra condiloidea. Il rischio imminente di frattura è valutato in base ai parametri proposti in letteratura: a) lesione litica della corticale ≥ 2,5 cm; b) distruzione della corticale ≥ 50% del diametro; c) dolore persistente o progressione della lesione dopo radioterapia e/o chemioterapia [13]. Le dimensioni critiche per una lesione a rischio di frattura sono >30mm di coinvolgimento corticale assiale e >50% di estensione corticale circonferenziale [14]. • Lesioni metastatiche osteoblastiche • Lesioni osteolitiche o miste in ossa non sottoposti a carico (perone, coste, clavicola) • Lesioni osteolitiche nelle ossa lunghe non a rischio imminente di frattura • Lesioni dell’ala iliaca, dell’arco pelvico anteriore o della scapola (eccetto classe 1) • Pazienti in cui l’estensione della lesione richiederebbe l’amputazione dell’arto STRATEGIA CHIRURGICA Classe I L’obiettivo del trattamento chirurgico nei pazienti di classe I deve essere l’asportazione della lesione metastatica con radicalità chirurgica (margini adeguati), cui segue la ricostruzione stabile del segmento operato. Le metastasi solitarie hanno una miglior prognosi se comparse dopo un lungo intervallo di tempo dalla ablazione del tumore primitivo. Non è stata rilevata differenza in termini di sopravvivenza tra l’escissione con margini ampi, marginali o intralesionali [22, 23] (Livello di evidenza IV; Forza di raccomandazione A). L’intervento di resezione articolare o intercalare deve essere seguito dalla ricostruzione con sistemi protesici modulari cementati e spaziatori intercalari. Le lesioni metastatiche solitarie delle ossa spendibili (perone, coste, clavicola, ulna distale) possono essere facilmente resecate senza alcuna limitazione funzionale residua. Nelle lesioni di classe I della scapola è indicato eseguire una scapulectomia totale che determina la perdita della funzione in abduzione ed elevazione della spalla. Nelle lesioni classe I del bacino è indicata l’asportazione del tumore con o senza ricostruzione in relazione all’interessamento acetabolare ed al mantenimento della continuità sacroiliaca. Classi II e III Le modalità di trattamento sono strettamente dipendenti dal segmento osseo interessato, dalla sede della lesione metastatica a livello delle ossa lunghe: 91 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Metaepifisi: Omero e femore prossimale: aree considerate ad elevato rischio di fallimento meccanico: è indicata la resezione e la ricostruzione con protesi modulari cementate + radioterapia postoperatoria (Livello di evidenza; IV; Forza raccomandazione: A). Gomito, ginocchio e tibiotarsica: o Quando meno della metà della metaepifisi è coinvolta dalla lesione: asportazione intralesionale del tumore (curettage) + riempimento con cemento acrilico ed osteosintesi con placca ± adiuvanti locali (ad es crioterapia o fenolo) + radioterapia postoperatoria. o Nel caso in cui sia coinvolta più della metà della metaepifisi o vi sia un coinvolgimento articolare: resezione intra-articolare del segmento interessato e ricostruzione con protesi modulari cementate dell’omero distale, del femore distale o della tibia prossimale o l’esecuzione di una artrodesi alla tibiotarsica. (Livello di evidenza; IV; Forza raccomandazione: A) Diafisi: Il trattamento è strettamente dipendente da fattori biomeccanici e biologici relativi alla lesione (vengono considerati classicamente l’aspettativa di sopravvivenza, la sede e le dimensioni della lesione e la sensibilità del tumore primitivo alle terapie adiuvanti). In considerazione di questi fattori, il trattamento è estremamente variabile e può andare da una osteosintesi semplice (con chiodo endomidollare bloccato o placca e cemento) ad una osteosintesi rinforzata con chiodo endomidollare e cemento fino alla resezione della lesione e ricostruzione con sistemi protesici modulari cementati nei pazienti con lesioni a maggiore aggressività locale e che sono scarsamente radio-chemiosensibili (Livello di evidenza; IV; Forza raccomandazione: A). È inoltre importante considerare le condizioni generali del paziente secondo il Karnosky Performance Score [24]. Classe IV I pazienti di classe IV devono essere considerati per eseguire terapie non chirurgiche (chemioterapia, radioterapia, terapia ormonale etc.) ed in caso di fallimento meccanico (frattura patologica o progressione di malattia con lesione a rischio di frattura) o di dolore persistente dopo le terapie, vengono considerati per il trattamento chirurgico (Livello di evidenza: V; Forza raccomandazione: B). In considerazione del protocollo proposto da Capanna e Campanacci per il trattamento delle metastasi ossee [21] e delle evidenze della letteratura più recente [25-31], il Gruppo di studio SIOT sulle Metastasi Ossee ha elaborato un nuovo algoritmo terapeutico per il trattamento delle metastasi dello scheletro appendicolare [5]. Tale algoritmo è stato proposto per le metastasi osteolitiche o miste delle ossa lunghe portanti. Il primo fattore considerato in questo algoritmo è l’operabilità del paziente sulla base dell’ASA score assegnato dall’anestesista. Il punteggio totale è compreso tra 1 e 5, con valori da 1 a 3 che indicano l’operabilità del paziente e valori di 4 o 5 che indicano malati generalmente non candidabili all’intervento chirurgico. Successivamente, i parametri su cui si basa la scelta teraputica includono: la presenza di una frattura patologica o “impending fracture”, la metastasi solitaria da neoplasia a buona prognosi (carcinoma renale o tiroideo), la sede della lesione (metaepifisi o diafisi), la sensibilità alle terapie non chirurgiche, e l’aspettativa di sopravvivenza. I possibili approcci terapeutici previsti da questo algoritmo sono: la chirurgia escissionale, caratterizata da resezione e protesi oppure osteosintesi rinforzata con cemento; l’osteosintesi semplice; le terapie adiuvanti non chirurgiche; le terapie mininvasive; e/o la terapia del dolore. 92 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE In generale, in base alla localizzazione ed ai fattori prognostici: Nelle lesioni meta-epifisarie, il trattamento chirurgico deve essere di tipo escissionale, ottenendo l’asportazione della lesione metastatica con margini possibilmente ampi (ma non necessariamente, vedi frattura patologica), seguito dalla ricostruzione con protesi articolari, in caso di lesione solitaria da neoplasia a buona prognosi o frattura patologica/”impending fracture” in paziente con buona prognosi affetto da neoplasia scarsamente responsiva alle terapie adiuvanti. Solo in casi selezionati (paziente a scarsa prognosi) può essere considerata la ricostruzione con placca e cemento (Livello di evidenza; III; Forza raccomandazione: A). Nelle lesioni diafisarie, il trattamento chirurgico deve essere di tipo escissionale, seguito da una ricostruzione segmentale con osteosintesi e cemento oppure spaziatori intercalari, in caso di lesione solitaria da neoplasia a buona prognosi o frattura patologica/“impending fracture” in paziente con buona prognosi affetto da neoplasia scarsamente responsiva alle terapie adiuvanti (Livello di evidenza; IV; Forza raccomandazione: A). Nelle lesioni diafisarie, il trattamento chirurgico è caratterizzato dalla sola stabilizzazione del segmento osseo con osteosintesi con chiodo bloccato, nel femore, tibia e omero, oppure con placca e cemento nelle lesioni dell’avambraccio, in caso di frattura patologica/“impending fracture” in paziente con buona prognosi affetto da neoplasia responsiva alle terapie adiuvanti oppure paziente con scarsa prognosi (Livello di evidenza: III; Forza raccomandazione: A). Nei pazienti non elegibili per il trattamento chirurgico deve essere considerato l’utilizzo di terapie miniinvasive [5] (termoablazione con radiofrequenze o microonde, crioablazione, chirurgia focalizzata ad ultrasuoni, embolizzazione, alcoolizzazione ed elettrochemioterapia) al fine di ottenere un controllo del dolore altrimenti non responsivo ai trattamenti convenzionali quali la terapia del dolore e i trattamenti non chirurgici (Livello di evidenza: V; Forza raccomandazione: B). Bacino La pelvi rappresenta una delle localizzazioni interessate più di frequente da lesioni metastatiche da carcinoma. Una valutazione radiologica adeguata rappresenta un momento fondamentale per la definizione del trattamento chirurgico: la TC e la RM sono gli esami più importanti per stabilire l’integrità del segmento osseo e la reale estensione della lesione, particolarmente per localizzazioni periacetabolari. Il trattamento delle metastasi ossee del bacino è determinato da fattori quali la prognosi del paziente, secondo la classificazione di Capanna (Tabella 2); il sito di metastasi, secondo la classificazione di Enneking (Tabella 3); e la riserva ossea in sede periacetabolare [32]. Tabella 2. Classi di pazienti con metastasi pelviche secondo la classificazione di Capanna Classi Caratteristiche Lesione solitaria; buona prognosi (tumore della tiroide ben differenziato, prostata, mammella 1 sensibile a terapie adiuvanti, retto, a cellule chiare del rene, linfoma e mieloma); intervallo di insorgenza della metastasi maggiore di 3 anni dalla diagnosi del tumore primitivo 2 Frattura patologica in regione periacetabolare 3 Lesione osteolitica sopra-acetabolare 4 Lesioni osteoblastiche multiple; lesioni osteolitiche o miste nell’ala iliaca e nella pelvi anteriore; piccole lesioni osteolitiche in regione periacetabolare 93 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Tabella 3. Regioni della pelvi secondo la classificazione di Enneking Zone Segmento osseo Note Zona 1 Ala iliaca Zona non di carico, osso spendibile Zona 2 Osso periacetabolare Zona periarticolare e articolare, alto richio di fallimento meccanico Zona 3 Branche pubica e ischiatica Zona non di carico, osso spendibile Zona 4 Sacro - In generale, i pazienti di classe 1, 2 e 3 di Capanna possono essere considerati per ricevere inizialmente un trattamento chirurgico e successivamente essere valutati dall’oncologo e dal radioterapista per i trattamenti adiuvanti. Al contrario, i pazienti di classe 4 dovrebbero prima essere trattati con terapie non chirurgiche quali chemioterapia, ormonoterapia e/o radioterapia. La divisione in zone secondo Enneking aiuta successivamente il chirurgo nel decidere la tipologia di intervento chirurgico. È qui importante ricordare che le tecniche di chirurgia ricostruttiva della pelvi sono complesse e non esenti da complicanze anche gravi in tutte le casistiche; pertanto l’accurata selezione costituisce la vera chiave di volta nel successo di queste metodiche che si propongono finalità curative, così come per i tumori primitivi dello scheletro, mirate ad ottenere il controllo locale della malattia ed il ripristino della funzionalità articolare. Classe 1 I pazienti di classe 1 sono affetti da singola metastasi e hanno una buona prognosi. Per tale motivo, la metastasi deve essere trattata come un tumore primitivo con l’obiettivo di ottenere un risultato a lungo termine, sia oncologico che meccanico (Livello di Evidenza 3). Al fine di ottenere un controllo della malattia, le resezione chirurgica deve essere radicale, in quanto il curettage è associato ad alta mortalità e ridotta sopravvivenza [33-35]. Sebbene gli interventi di resezione radicale nella regione pelvica siano associati a un alto tasso di complicanze, le metastasi pelviche determinano una significativa riduzione della qualità di vita del paziente sia in termini funzionali che relazionali. Di contro il trattamento delle metastasi ossee pelviche si associa ad un miglioramento significativo delle qualità di vita del paziente [36, 37]. Classe 2 e 3 I pazienti di classe 2 sono affetti da una frattura patologica, mentre quelli di classe 3 sono ad alto rischio di frattura. Pertanto l’obiettivo del trattamento chirurgico è di prevenire l’insorgenza di una frattura patologica oppure di ripristinare l’integrità meccanica e la funzione della pelvi. La distruzione dell’osso subcondrale e la protrusione acetabolare rendono necessaria la sostituzione protesica che deve essere eseguita utilizzando speciali componenti di rinforzo (fili o barre metallici; anelli avvitati e cementati; componenti acetabolari cementati a ritenzione totale o a doppia motilità) oppure megaprotesi custom-made o modulari (Livello di Evidenza 4). Nei pazienti di classe 2 e 3, l’angiografia preoperatoria con embolizzazione selettiva è consigliata nelle lesioni molto vascolarizzate [38, 39]. La radioterapia postoperatoria può essere evitata in caso di resezione con ampi margini, al contrario deve essere eseguita in caso di asportazioni intralesionali o marginali oppure in caso di frattura patologica. Il dosaggio suggerito è di 3000 – 5000 cGy [32]. Il tipo di procedura chirurgica è determinato dalla riserva ossea in sede periacetabolare secondo la classificazione di Harrington. Classe 4 I pazienti di classe 4 sono affetti da lesioni osteoblastiche multiple in qualsiasi sede oppure osteolitiche o miste in zone non di carico (zone 1 e 3 di Enneking) che non soddisfano i criteri della classe 1. Il trattamento suggerito è di tipo conservativo con l’utilizzo di chemioterapia, ormonoterapia e/o radioterapia secondo la diagnosi (Livello di Evidenza 3). 94 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Nella regione periacetabolare invece, un trattamento conservativo non chirurgico è indicato nelle lesioni osteoblastiche e miste quando è prevista una buona risposta alle terapie adiuvanti (RT/CT) (carcinoma della mammella, tiroide, prostata oppure mieloma e linfoma) (Livello di Evidenza 3). Il carico deve essere proibito per tutta la durata del trattamento radiante al fine di ridurre il rischio di frattura iatrogena [40]. Sebbene la radioterapia possa essere utilizzata come trattamento palliativo per il controllo del dolore, alcuni pazienti non riscontrano alcun beneficio oppure hanno una recrudescenza della sintomatologia in corrispondenza di una sede precedentemente radiotrattata. In questi pazienti, al fine di controllare il dolore, dovrebbero essere considerati altri trattamenti percutanei quali alcolizzazione, termoablazione, crioablazione, radioablazione ed elettrochemioterapia [32]. Il ruolo del curettage: Il trattamento locale della lesione con curettage, mira ad eseguire un adeguato “debulking” della lesione scheletrica. Tale metodica influenza sia le caratteristiche biologiche della neoplasia, riducendo il dolore locale per riduzione della massa neoplastica, sia le caratteristiche meccaniche, in quanto asportando anche tessuto osseo perilesionale riduce di per sé la resistenza meccanica del segmento scheletrico. L'azoto liquido e il fenolo sono due sostanze adiuvanti che potenziano l’effetto citotossico del curettage, per danno fisico sulle cellule tumorali ma anche su quelle sane. Per questo motivo, al curettage deve seguire un adeguato riempimento della cavità residua con utilizzo di cemento acrilico, che possiede elevate proprietà di resistenza meccanica, garantendo adeguato sostegno all'osso dopo il curettage. In casi selezionati il cemento può essere addizionato a farmaci antiblastici per potenziare l'effetto citotossico locale [41]. 4. Lesioni metastatiche vertebrali La colonna vertebrale rappresenta la localizzazione più frequente di metastasi dello scheletro [42]. I corpi vertebrali sono solitamente raggiunti per via ematogena con un interessamento della porzione posteriore. Successivamente, la sostituzione neoplastica del tessuto osseo coinvolge la porzione anteriore del corpo vertebrale e le strutture posteriori con conseguente perdita di stabilità nel segmento interessato ed eventuale compressione delle strutture nervose intracanalari [43]. Il corretto approccio terapeutico delle metastasi vertebrali è fondamentale in quanto tali lesioni oltre a determinare un deterioramento della qualità di vita, possono essere la causa diretta o indiretta del decesso di questi pazienti. Attualmente, l’approccio al paziente affetto da metastasi vertebrali deve essere rigorosamente multidisciplinare con coinvolgimento di figure professionali quali l’oncologo, il radioterapista, il chirurgo ortopedico e lo specialista in terapia del dolore. In tal modo è possibile garantire al paziente il miglior percorso terapeutico possibile. Il tipo di trattamento può essere incruento oppure chirurgico secondo il quadro clinico locale e generale del paziente. I parametri che devono essere considerati includono: le condizioni generali del paziente, valutate secondo la scala ASA (grado da 1 a 5); la sensibilità dell’istotipo ai trattamenti adiuvanti; l’entità del danno neurologico; l’instabilità del rachide e il rischio di frattura patologica; la diffusione scheletrica e viscerale della malattia [6, 44]. La grande maggioranza delle metastasi vertebrali è suscettibile di trattamento incruento. La radioterapia (con associato uso di ortesi) è indicata come terapia di prima linea in caso di tumori radiosensibili, lesioni stabili, assenza di deficit neurologico oppure deficit neurologico completo e irreversibile, indipendentemente dall’operabilità secondo la scala ASA. Inoltre, la radioterapia è indicata in caso di paziente con ridotta aspettativa di vita o non operabile, in caso di tumori radiosensibili (Tab. 4) [45, 46] (Livello di Evidenza: 3; Forza Raccomandazione: Positiva Debole). Tale approccio può essere associato a terapie oncologiche mediche sulla base della sensibilità dell’istotipo tumorale. Se il paziente non è operabile e l’istotipo tumorale non è sensibile alle terapie oncologiche mediche o radioterapiche, si devono considerare la terapia del dolore ed eventuali trattamenti palliativi quali la vertebroplastica e l’embolizzazione [6]. Il trattamento chirurgico delle metastasi vertebrali è indicato in caso di dolore intrattabile, comparsa di deficit neurologici (dovuti alla compressione delle strutture mielo-radicolari da parte della massa neoplastica oppure dalla frattura patologica), instabilità spinale segmentaria con dolore meccanico ingravescente e/o 95 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE deficit neurologico e il fallimento di precedenti trattamenti (Tab. 2) [47, 48]. Infine, la chirurgia è indicata in pazienti con ottima prognosi e stato generale e con lesione metastatica isolata. In questi casi la lesione viene trattata come un tumore primitivo dello scheletro con exeresi completa [49] (Livello di Evidenza: 3; Forza Raccomandazione: Positiva Debole). Tabella 4: Indicazioni relative per chirurgia o RT come trattamento primario in caso di frattura vertebrale patologica [50] Terapia Radiante Chirurgia Frammento osseo retropulso che provoca compressione Tumore radiosensibile neurale Tumore moderatamente radioresponsivo in Deformità spinale che provoca dolore e/o compressione pazienti con minimo deficit neurologico/dolore neurologica limitato Compressione epidurale isolata Instabilità spinale Dolore localizzato Deficit neurologico progressivo Non risposta alla radioterapia: recidiva/nuovo deficit Aspettativa di vita < 3 mesi durante RT Pz non candidabile all’intervento Primitività sconosciuta Deficit neurologico completo TRATTAMENTI CHIRURGICI La chirurgia ha l’obiettivo di garantire un controllo locale della malattia. Si esegue come unico trattamento in caso di lesioni resistenti a trattamenti radioterapici e oncologici oppure in associazione ad altri trattamenti. Il controllo locale ha come scopo la remissione della sintomatologia algica, la prevenzione del deterioramento delle funzioni neurologiche ed eventuale miglioramento e la stabilizzazione della colonna. La chirurgia delle metastasi vertebrali può essere classificata come terapia palliativa, adiuvante o escissionale [51] e può essere eseguita con accesso anteriore, posteriore o combinato [52, 53]. Chirurgia palliativa Il trattamento chirurgico a scopo palliativo ha come obiettivi la remissione dei sintomi del paziente e la prevenzione di complicanze quali frattura patologica, instabilità segmentaria e/o deficit neurologico. Solitamente, è indicato in pazienti con prognosi scarsa. Se il paziente è operabile, la decompressione con stabilizzazione è indicata in caso di danno midollare acuto e ingravescente per compressione da parte della massa neoplastica o frattura patologica anche se l’istotipo è sensibile alle terapie oncologiche mediche o radioterapiche; frattura patologica o “impending fracture”; metastasi multiple con rischio elevato di complicanze neurologiche in caso di istotipo tumorale non sensibile alle terapie oncologiche mediche o radioterapiche. Infine, il trattamento chirurgico può essere indicato in pazienti che presentino deficit neurologico completo al di sotto della lesione, ma non con carattere di urgenza, al fine di migliorare la gestione a letto del paziente. La decompressione con stabilizzazione ha come scopo di decomprimere in modo circonferenziale il midollo spinale e stabilizzare la colonna vertebrale con l’impianto di viti peduncolari e barre. Per tale motivo non richiede necessariamente un approccio diretto al tumore. In pazienti con scarsa prognosi ma buono stato generale, decompressione e stabilizzazione possono essere eseguite per via posteriore [54-56] (Livello di Evidenza: 3; Forza Raccomandazione: Positiva Debole). L’approccio chirurgico può essere preceduto da una embolizzazione selettiva delle afferenze vascolari alla lesione al fine di ridurre il sanguinamento intraoperatorio e rendere più semplice la procedura. Nei pazienti con compressione del midollo spinale da metastasi, i corticosteroidi sono spesso la prima linea terapeutica. La somministrazione può essere ad alto e a basso dosaggio [57]. Nonostante gli studi effettuati, non è possibile ad oggi indicare con sicurezza il dosaggio adeguato dei corticosteroidi in acuto e per il mantenimento [58]. È stato suggerito che si possono somministrare desametasone ad alte dosi (100 mg come dose di carico, e poi 96 mg al giorno) in pazienti che non possono camminare o con sintomi neurologici 96 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE rapidamente progressivi, mentre un trattamento a dosaggio intermedio (10 mg come dose di carico, e poi 16 mg al giorno) è suggerito in pazienti deambulanti con sintomi motori scarsamente o non evolutivi [58, 59] (Livello di Evidenza: 1+; Forza Raccomandazione: Positiva Debole). Per tumori scarsamente radiosensibili, è stato dimostrato in un trial clinico randomizzato che il trattamento chirurgico con decompressione circonferenziale associato a corticosteroidi, e seguito da radioterapia entro 2 settimane dall’intervento stesso, è migliore della sola radioterapia assieme ai corticosteroidi in pazienti affetti da compressione spinale acuta [60] (Livello di Evidenza: 1+; Forza Raccomandazione: Positiva Forte). Pazienti con pachimeningite neoplastica e deficit neurologici mostrano un minore recupero neurologico in seguito ad intervento chirurgico di decompressione [61, 62] (Livello di Evidenza: III). La chirurgia palliativa può essere eseguita anche mediante tecniche percutanee quali la vertebroplastica e la cifoplastica. Tali procedure sono indicate solo in pazienti con dolore intrattabile e non responsivo da lesione spinale metastatica, oppure in pazienti con fratture patologiche il cui stato clinico non permette di eseguire interventi chirurgici tradizionali [63]. L’obiettivo di tali procedure è solo meccanico e non oncologico. Queste tecniche meno invasive consistono nell’iniezione di cemento acrilico nel corpo vertebrale, previa preparazione di uno spazio nel quale iniettare il cemento stesso nel caso della cifoplastica [64]. L’esecuzione di una biopsia prima di iniettare il cemento acrilico rappresenta un tempo fondamentale di questi interventi [65] (Livello di Evidenza: 3; Forza Raccomandazione: Positiva Debole). Le principali controindicazioni alla cementoplastica percutanea includono la mancata integrità del muro posteriore della vertebra, per il rischio di fuoriuscita del cemento o di tumore nel canale vertebrale, e la presenza di deficit neurologici in atto. In uno studio sperimentale è stato dimostrato che sia la vertebroplastica sia la cifoplastica possono causare fenomeni di embolia neoplastica polmonare. Per tale motivo è raccomandato l’uso solo in pazienti con ridotta aspettativa di vita [66]. Chirurgia adiuvante Il trattamento chirurgico a scopo adiuvante ha come obiettivo il trattamento della metastasi al fine di migliorare l’effetto locale delle terapie mediche in atto. Solitamente, è indicato in pazienti con prognosi intermedia. La massa neoplastica viene rimossa mediante escissione intralesionale con lo scopo di ridurre quanto possibile le dimensioni della lesione (“debulking”). L’asportazione, parziale o completa, determina anche una decompressione circonferenziale del midollo spinale. Tale procedura può essere preceduta da embolizzazione della lesione ed è seguita da stabilizzazione e ricostruzione vertebrale. Chirurgia escissionale Il trattamento chirurgico a scopo “curativo” ha come obiettivo l’eradicazione locale della malattia metastatica. Tale approccio è indicato solo nei pazienti con prognosi ottima (buona aspettativa di vita a medio/lungo termine), assenza di malattia nella sede primitiva e in organi vitali e metastasi non sensibile o scarsamente sensibile a trattamenti oncologici medici o radioterapici, anche in caso di assenza di deficit neurologici evidenti [67] (Livello di Evidenza: 3; Forza Raccomandazione: Positiva Debole). La resezione completa, ampia o marginale, della lesione necessita nella maggior parte dei casi di approcci combinati per via anteriore e posteriore [68, 69]. La chirurgia anteriore quando possibile compatibilmente con lo stato generale del paziente e con la prognosi, migliora i risultati della chirurgia del paziente con localizzazioni vertebrali [50, 69-72]. In seguito alla exeresi della lesione tumorale si esegue una ricostruzione del difetto osseo e stabilizzazione segmentaria [70, 72, 73]. La resezione completa è la strategia chirurgica che garantisce il miglior controllo locale della malattia, tuttavia può essere indicata solo in casi selezionati per la sua alta morbidità. Di contro, nei tumori altamente vascolarizzati (come la metastasi da carcinoma del rene) la resezione completa è associata ad una minore morbidità nei confronti dell’escissione intralesionale completa [74]. 97 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Recentemente, il Gruppo di Studio SIOT sulle metastasi vertebrali ha proposto un algoritmo di trattamento [6, 7] che prende in considerazione i seguenti parametri: 1) condizioni generali del paziente valutate secondo l’ASA score; 2) sensibilità dell’istotipo ai trattamenti adiuvanti; 3) entità del danno neurologico; 4) instabilità del rachide e rischio di frattura patologica; 5) diffusione scheletrica e viscerale della malattia. Il primo fattore considerato in questo algoritmo è l’operabilità del paziente sulla base dell’ASA score assegnato dall’anestesista: Paziente non operabile: devono essere considerate le opzioni non chirurgiche. In caso di sensibilità dell’istotipo tumorale alle terapie oncologiche mediche o radioterapiche, questi sono i trattamenti di scelta. In caso di tumore non responsivo ad alcuna terapia, devono essere considerati approcci chirurgici palliativi come la vertebroplastica e l’embolizzazione, la terapia del dolore, oppure la presa in carico da parte di un Hospice. Paziente operabile: deve essere considerato il quadro neurologico: o In caso di compressione midollare sintomatica, la scelta chirurgica si basa sulla modalità di comparsa ed il tempo di persistenza del danno e la possibilità di recupero. Il paziente affetto da danno midollare acuto ed ingravescente con possibilità di regressione del deficit neurologico deve essere sottoposto in urgenza a decompressione e stabilizzazione. Al contrario, se il paziente è affetto da un deficit neurologico non recuperabile, deve essere valutata la sensibilità alla terapia oncologica medica e radioterapica (cfr. oltre). o In caso di assenza di deficit neurologici, deve essere valutata la sensibilità alle terapie adiuvanti: Istotipo tumorale non responsivo: in questo caso la terapia deve essere chirurgica, ma il tipo di approccio dipende dall’estensione della malattia ossea. L’escissione della massa neoplastica (debulking o resezione) è indicata nel paziente affetto da metastasi solitaria; la laminectomia preventiva e/o la stabilizzazione dei segmenti più a rischio di complicanze neurologiche oppure la vertebroplastica sono indicate in caso di metastasi multiple. Istotipo tumorale responsivo: in questo caso il paziente deve essere riferito al centro di oncologia, previa valutazione della presenza di una frattura patologica o “impending fracture”. Nel paziente con alto rischio di frattura si raccomanda l’intervento chirurgico di stabilizzazione e/o decompressione. Ortesi spinali Le ortesi spinali rappresentano un importante coadiuvante nel trattamento dei pazienti affetti da lesioni vertebrali metastatiche, sia nel perioperatorio che nel supporto in pazienti candidati a trattamenti radiochemioterapici primari, o in pazienti non candidabili ad intervento chirurgico a causa dello scarso quadro clinico generale. Il tipo di ortesi varia a seconda del livello vertebrale affetto o instabile, e se è stato eseguito un gesto chirurgico a quel livello. La scelta del tipo di tutela ortopedica si basa su tre parametri: tipo di lesione (stabile o instabile), livello della lesione, funzione che deve svolgere l’ortesi (immobilizzazione cinetica, immobilizzazione e sostegno statico, immobilizzazione e sostegno associata a distrazione). Le ortesi possono essere distinte in cervicali e dorsali alte e dorsali basse e lombari. Cervicali e dorsali alte Rientrano in questa categoria: Halo jacket, collare di Schanz, Philadelphia con o senza appoggio sternale, SOMI-Brace. Nelle lesioni instabili del rachide cervicale è raccomandato l’Halo jacket che permette di immobilizzare, sostenere ed effettuare una distrazione se necessario; l’applicazione va eseguita previa esecuzione di TC della teca cranica per escludere la presenza di lesioni osteolitiche del tavolato cranico. In tal caso, si può invece applicare un collare tipo SOMI-Brace con aureola oppure una ortesi occipito-cervico-toracica con aureola confezionata su misura previo moulage gessato. Per lesioni stabili è raccomandato l’uso di ortesi con immobilizzazione cervico-toracica (collare tipo Phladelphia con appoggio sternale o SOMI-Brace senza aureola). 98 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE I collari semirigidi, come il collare di Schanz, hanno indicazione solo in caso di contratture cervicali in pazienti con piccole lesioni che non compromettano la stabilità del segmento interessato. Dorsali basse e lombari Rientrano in questa categoria: busto a tre punte, lombostato, busto tipo Cheneau con appoggi acromiali (su misura). Nelle piccole lesioni dorsali basse e lombari senza compromissione della stabilità del segmento interessato si possono utilizzare busti a tre punte. Nelle lesioni dorsali basse e lombari potenzialmente o francamente instabili è raccomandato l’uso di ortesi in materiale plastico confezionate su misura con appoggio distale iliaco (ad es. busto tipo Cheneau), preferibilmente con appoggi di spinta a livello acromiale per evitare la cifosi del segmento interessato. In casi ad elevata instabilità oppure in pazienti con lesioni multiple è possibile realizzare ortesi su misura in materiale plastico con appoggio prossimale occipitocervicale ed appoggio iliaco distale. 5. Conclusioni L’approccio al paziente affetto da metastasi ossee deve essere rigorosamente multidisciplinare con coinvolgimento di figure professionali quali l’oncologo, il radioterapista, il chirurgo ortopedico e lo specialista in terapia del dolore, al fine di garantire al paziente il miglior percorso terapeutico possibile. I pazienti affetti da metastasi ossee devono essere riferiti in Centri per la cura delle metastasi a livello regionale, in cui possono seguire un percorso diagnostico-terapeutico completo in cui vengono coinvolte tutte le figure specialistiche necessarie. Solo successivamente, i pazienti possono essere avviati presso strutture periferiche che possano essere più comode da un punto di vista logistico. La prognosi del paziente con metastasi ossee rappresenta un fattore cruciale per determinare l’operabilità e la tipologia dell’intervento chirurgico. Le terapie oncologiche, radioterapiche e le ortesi costituiscono un elemento fondamentale del trattamento in associazione o meno alla chirurgia. Le metastasi ossee rappresentano una patologia in continuo aumento. Per tale motivo, è auspicabile la formazione di specialisti in oncologia del sistema muscolo-scheletrico che sia condivisa a livello nazionale e internazionale al fine di rispondere in modo sempre più corretto e soddisfacente alle esigenze di questi pazienti. BIBLIOGRAFIA 1. Saad F, Lipton A, Cook R, Chen YM, Smith M, Coleman R: Pathologic fractures correlate with reduced survival in patients with malignant bone disease. Cancer 2007, 110(8):1860-1867. 2. Piccioli A, Maccauro G, Rossi B, Scaramuzzo L, Frenos F, Capanna R: Surgical treatment of pathologic fractures of humerus. Injury 2010, 41(11):1112-1116. 3. Siegel HJ, Lopez-Ben R, Mann JP, Ponce BA: Pathological fractures of the proximal humerus treated with a proximal humeral locking plate and bone cement. J Bone J Surg Br 2010, 92(5):707-712. 4. Biagini R, Brach del Prever E, Capanna R, Denaro V, Fazioli F, Gherlinzoni F, Gonzato O, Maccauro G, Piana R, Rosa MA, Ruggieri P: Metastasi ossee: strategie di trattamento. 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A ciò si aggiunge la stimolazione di pressocettori e meccanocettori indotta dalla distensione dei tessuti, e dall’aumento della pressione vascolare intraossea dovuta anche alla produzione di citochine e mediatori edemigeni da parte del tessuto infiammatorio peri-tumorale e del tumore stesso. L’endotelina I per esempio, è in grado di interagire con i recettori localizzati sulle terminazioni nervose del tessuto osseo 2. I meccanismi che mediano l’effetto antalgico della radioterapia non sono del tutto noti. L’effetto citocida sulle cellule neoplastiche presenti nel focolaio metastatico rappresenta un fattore sicuramente importante; la morte delle cellule neoplastiche riduce infatti gli effetti meccanici di compressione ed infiltrazione del tessuto osseo, e la relativa produzione di citochine che agiscono sui recettori responsabili del dolore. Tuttavia l’assenza di una correlazione tra radiosensibilità del tumore ed effetto antalgico, e la precocità della palliazione che si osserva clinicamente (24-48 ore dopo l’inizio del trattamento radiante) in circa il 25% del pazienti (risposta precoce) rispetto all’effettiva riduzione della massa tumorale, implicano necessariamente l’esistenza di altri meccanismi, quale l’azione bersaglio delle radiazioni ionizzanti sugli osteoclasti e sul sistema regolatore RANK-RANKL. Per comprendere il ruolo di quest’ultimo, di recente acquisizione, è necessario innanzitutto ricordare la fisiologia del tessuto osseo. L’osso è formato da due tipi di cellule: gli osteoblasti, di origine stromale che hanno la funzione di sintetizzare la nuova matrice ossea, e gli osteoclasti, di origine emopoietica come i macrofagi, deputati al riassorbimento dell’osso. Il turnover normale e patologico dell’osso avviene attraverso la comunicazione tra queste due cellule, che può essere schematizzata in tre fasi sequenziali: iniziazione, transizione e terminazione. Nella fase di iniziazione gli osteoblasti rilasciano delle citochine come il fattore M-CSF, che richiama i precursori degli osteoclasti nella sede dell’osso da rimodellare; qui gli osteoclasti si differenziano, si attivano e quindi riassorbono in quel punto l’osso attraverso la fagocitosi (circa tre settimane). L’aumento sierico del calcio induce la morte per apoptosi degli osteoclasti con inizio della fase di transizione, durante la quale vengono richiamati in sede nuovi osteoblasti che si differenziano. Essi si pongono sulla superficie dell’osso riassorbita dagli osteoclasti (ora in stato di quescienza), e su di essa nella fase ‘terminale del rimodellamento’sintetizzano nuovo osso. Al termine di questa fase (circa tre mesi) gli osteoblasti diventano quescienti, e la nuova matrice ossea, osteoide, viene mineralizzata. Le interazioni tra queste cellule sono mediate da una serie di molecole. In particolare gli osteoclasti esprimono sulla membrana di superficie una glicoproteina, fattore di crescita, detto RANK. Quando il ligando osteoclastogenico RANKL (una glicoproteina transmembrana degli osteoblasti), si lega alla molecola RANK, gli osteoclasti si attivano e riassorbono l’osso. Nella stessa fase di iniziazione gli osteoblasti secernono l’osteoprogeterina (OPG) che compete con la molecola RANKL; i livelli sierici dell’osteoprogeterina aumentano progressivamente fino a bloccare l’attività degli osteoclasti, che vanno di conseguenza in apoptosi. L’equilibrio del rapporto RANKL/OPG è essenziale per un fisiologico turnover osseo. In presenza di cellule tumorali questo equilibrio viene alterato. Le cellule tumorali producono il peptide PTHrP (parathyroid ormon-related peptide), che attiva la molecola RANKL e blocca la sintesi dell’OPG da parte degli osteoblasti. Questo determina uno squilibrio del rapporto RANKL/OPG a favore dell’attività osteoclastica, con conseguente osteolisi. 103 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Oltre al sistema RANKL/OPG, sono coinvolte nella stimolazione dell’attività osteoclastica e nell’inibizione di quella osteoblastica anche alcune citochine, quali l’IL 8, IL 11, TNF-α, TGF- β e M-CSF, prodotte sempre dalle cellule tumorali. Si innesca di conseguenza un circolo vizioso che favorisce la crescita tumorale e promuove la progressiva alterazione della struttura ossea. L’effetto inibitorio da parte delle radiazioni ionizzanti sull’attività osteoclastica è di primaria importanza, ed è stato dimostrato da uno studio condotto da Hoskin dove i pazienti che ottenevano maggior beneficio dopo la radioterapia presentavano una concentrazione urinaria di markers di riassorbimento osseo più bassa rispetto ai ‘non responders’ (Fig 1): Fig 1. 1. Radioterapia a fasci esterni e metastasi ossee: esperienze cliniche La radioterapia induce un effetto antalgico nel 75-85% dei casi, con una risposta completa, totale abbandono degli analgesici e recupero della funzionalità, del 30-50%. In alcuni casi all’inizio del trattamento può comparire un iniziale aumento del dolore, causato dall’edema radioindotto e dalla conseguente compressione dei tessuti sani vicini. Questo evento è più frequente per lesioni estese e/o per dosi per frazione più elevate. Il tempo di risposta del dolore alla radioterapia è variabile: nel 25% dei casi entro 2 giorni dall’inizio della radioterapia (risposta precoce), nel 50% entro le 4 settimane dal termine del trattamento, e nella restante percentuale dei pazienti più tardivamente. La durata mediana della risposta varia da 11 a 29 settimane.3 La radioterapia nella maggior parte dei casi è stata erogata in più frazioni pensando che la tollerabilità fosse maggiore. Il frazionamento convenzionale prevede frazioni giornaliere di 1.8-2 Gy, dal lunedì al venerdì, e la dose totale è determinata dalla radiosensibilità del tumore e dalla tolleranza dei tessuti sani coinvolti nel fascio radiante. Si parla di iperfrazionamento quando la dose per singola frazione è inferiore a 1.8-2 Gy, e di norma prevede due applicazioni al giorno; si parla invece di ipofrazionamento quando viene erogata una dose elevata per ogni frazione in poche sedute radioterapiche.4 104 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 1.1 Esperienze storiche Storicamente, per il trattamento delle metastasi ossee sono stati utilizzati schemi di ipofrazionamento, sulla base di due tipi di considerazioni: Empirica: dosi relativamente basse di radiazioni sono sufficienti per controllare il dolore nell’80% dei pazienti5; Utilitaristica: un numero esiguo di sedute è vantaggioso per i pazienti in scadute condizioni generali, e per il Centro di Radioterapia, in quanto permette di ridurre le liste di attesa. Molteplici sono stati gli schemi di ipofrazionamento utilizzati: 30 Gy in 10 sedute di trattamento, 20 Gy in 5 sedute o 8 Gy in una o due sedute (in caso di breve aspettativa di vita del paziente)5. 1.2 Ipofrazionamento Dagli anni ’80 agli anni ’90 sono stati condotti 4 studi randomizzati che hanno valutato diversi regimi di trattamento ipofrazionati. (vedi Tab.1) Alla base di questi studi vi è un razionale biologico in base al quale si può ottenere lo stesso effetto terapeutico utilizzando frazionamenti e dosi totali diverse. Il primo grande studio randomizzato è stato l’RTOG 7402 del 1982, con una casistica di più di 1000 pazienti (266 con singola metastasi ossea, 750 con metastasi ossee multiple). Questo studio ha dimostrato che lo schema di radioterapia palliativa con durata più breve (4 Gy/die in 5 giorni) è efficace quanto quello di durata maggiore (3 Gy in 10 giorni, e 2.6 Gy in 15 giorni) nell’ottenere la remissione del dolore; il risultato è stato uguale sia nei pazienti con lesione ossea unica che in quelli plurimetastatici. Inoltre, nei pazienti che presentavano alla diagnosi una sintomatologia dolorosa di grado moderato, la percentuale di risposta completa al dolore è stata maggiore.3(Livello di Evidenza SIGN 1++). Risultati analoghi sono stati ottenuti da Hirokawa et al6, in uno studio randomizzato su 128 pazienti: lo schema che prevedeva 10 frazioni non offriva alcun vantaggio in termini di risposta al dolore rispetto a quello con sole 5 frazioni. (Livello di Evidenza SIGN 1+). Nel 1995 Rasmusson et al7 hanno pubblicato i risultati di uno studio su 217 pazienti dove veniva confrontato lo schema di trattamento che prevedeva la somministrazione di 30 Gy in 10 sedute con un trattamento meno prolungato di 15 Gy in 3 frazioni. Anche in questo studio non vi è stata differenza di risposta. (Livello di Evidenza SIGN 1+). Niewald et al8 un anno dopo, in uno studio su 100 pazienti, di cui il 43% affetti da neoplasia mammaria, ha confrontato lo schema di trattamento di 2 settimane di durata versus quello di una settimana. Anche lui non ha notato differenze significative in termine di frequenza, e durata della palliazione, recupero funzionale ed incidenza di fratture patologiche. (Livello di Evidenza SIGN 1+). 105 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Tab.1 Randomized Trials comparing multiple fraction treatments for palliation of bone metastases Study Tong et al,1982, USA N° of Pz Dose Complete Response Overall (N° Eval.) (Gy/fractons) (%) Response 266 (146) 20/5 53 82 4 40/15 61 85 18 15/5 49 87 5 20/5 56 85 7 25/5 49 83 9 30/10 57 78 8 25/5 NA 75 NA (solitary treatment site) (multiple site) 750 (613) Hirokawa et al., 1988, 128 30/10 Japan Rasmusson et al., 217 (127) Niewald et al,. 1996, 75 15/3 NA 30/10 1995, Danmark 100 Germany Path Fractures(%) 69 NA 66 20/5 33 77 8 30/10 31 86 13 1.3 Monofrazionamento Negli ultimi 15 anni, specialmente nelle scuole del Nord Europa, si è cercato di effettuare radioterapia antalgica utilizzando una singola seduta ad alte dosi. In tal senso sono stati eseguiti molti studi randomizzati di confronto tra un trattamento multifrazionato e quello in singola. Gaze9 nel 1997 ha confrontato un trattamento di 4.5 Gy/die in 5 sedute, con quello in seduta unica di 10 Gy; non ha trovato differenze significative in termini di risposta nei 2 bracci, con tossicità sovrapponibile. (Livello di Evidenza SIGN 1+). Lo stesso ha osservato Nielsen10 nel 1998, che metteva a confronto il trattamento di 20 Gy in 5 sedute con quello in unica seduta di 8 Gy, su una popolazione di 241 pazienti. (Livello di Evidenza SIGN 1+). Un contributo fondamentale in questo senso è stato apportato nel 1999 dal Dutch Bone Metastasis Study 11 che su una popolazione di 1171 pazienti ha valutato i risultati ottenuti con l’impiego di una singola frazione di 8 Gy versus 6 frazioni da 4 Gy (dose totale 24 Gy). La novità di questo lavoro consiste nella distinzione all’interno della popolazione in esame di sottogruppi prognostici individuati attraverso: a) la valutazione del numero e della localizzazione delle metastasi; b) le caratteristiche del tumore primitivo; c) il Performance Status; d) la somministrazione di questionari sulla qualità della vita validati dalla EORTC quali il Rotterdam Symptom Checklist (RSCL). (Livello di Evidenza SIGN 1++). Tutti questi elementi hanno consentito di identificare dei gruppi di pazienti con aspettative di vita diverse, per i quali sono stati valutati i diversi schemi di frazionamento. I risultati di questo studio hanno dimostrato che non c’è una differenza tra il monofrazionamento ed il trattamento in più frazioni nella palliazione del dolore, nella qualità di vita e negli effetti collaterali. Anche prendendo in considerazione il gruppo di 92 pazienti a prognosi più favorevole, si è osservata una uguale efficacia dei due trattamenti. Sempre nel 1999 è stato pubblicato il Bone Pain Trial Working Party12 condotto su 765 pazienti per confrontare la singola frazione di 8 Gy con 20 Gy in 5 frazioni e 30 Gy in 10 frazioni. Non ci sono state differenze in termini di risposta al dolore e rischio di frattura patologica; tuttavia la necessità di ritrattare lo stesso segmento osseo per ripresa del dolore, retreatment, è stato 2 volte più frequente nel gruppo trattato con singola frazione di 8 Gy. (Livello di Evidenza SIGN 1+). 106 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Recentemente Hartsell et al.13 hanno riportato i risultati emersi dal RTOG trial 9714, che comparava l’efficacia della singola frazione di 8 Gy rispetto a 30 Gy in 10 frazioni nel trattamento del dolore da metastasi ossee. Nello studio erano inclusi solo i pazienti con metastasi ossee da neoplasie della mammella e della prostata e con un’aspettativa di vita superiore ai tre mesi, per mantenere una uniformità della popolazione in esame e per consentire una valutazione della remissione del dolore relativamente a lungo termine. (Livello di Evidenza SIGN 1+). I risultati ottenuti non hanno mostrato differenze statisticamente significative nella remissione completa del dolore (17% nel gruppo dei 30 Gy vs 15% nel gruppo degli 8 Gy) e nella remissione parziale (49% e 50% rispettivamente). La tossicità acuta di grado 2-4 è stata significativamente più bassa nel gruppo sottoposto ad una singola frazione di 8 Gy rispetto ai regimi ipofrazionati (7% versus 17%, rispettivamente; p = 0.002). La tossicità tardiva (es. incidenza di fratture patologiche) è stata equivalente nei due gruppi (5% in gruppo degli 8 Gy e 4% nel gruppo dei 30 Gy). Cosi come nel Dutch trial, la percentuale di ritrattamento è stata significativamente più alta nei pazienti sottoposti a trattamento monofrazionato (18% versus 9%). Questi risultati sono stati confermati anche da uno studio di fase III pubblicato nel 2006 da Kaasa 14 e da Arnalot PF et al 68 nel 2008. Più recentemente Kaasa ha pubblicato i risultati di uno studio che confronta le due modalità di trattamento in termini di controllo del dolore, tasso di fratture patologiche e compressione midollare. I pazienti sono statiosservati dall’inizio del trattamento al decesso. La percentuale di ritrattamento per il controllo del dolore è stata maggiore nei pazienti che avevano ricevuto un'unica seduta di radioterapia rispetto al gruppo di controllo (27% vs 9% p= 0.02); tuttavia non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i due schemi di radioterapia né in termini di efficacia né in termini di fratture patologiche o compressioni midollari, anche a lungo termine69. (Livello di Evidenza SIGN 1+). Jackson Sai-Yiu ha pubblicato nel 2003 una metanalisi15 in cui 16 trials presi in esame sono stati suddivisi in 3 categorie: 1) studi di confronto tra frazioni singole di dose differente, 2) studi di confronto tra frazionamenti singoli vs. multipli, 3) confronto tra frazionamenti multipli di diversa durata. (Livello di Evidenza SIGN 1++). 1) I due Trial di confronto tra frazione singola di 4 Gy vs 8 Gy hanno dimostrato che la risposta palliativa globale è significativamente più bassa con 4 Gy per frazione, sebbene non ci siano differenze in termini di risposta completa. 2) Dall’analisi dei trials di confronto tra singola frazione e regimi multifrazionati non è emersa nessuna differenza in termini di risposta completa (39.2 vs 40%) e globale (62.1% vs. 58,7). 3) Nessuna differenza significativa è risultata in termini di tossicità acuta tra i diversi schemi di radioterapia. Un ulteriore studio randomizzato del 2014 condotto da Bayard et al. su 90 pazienti con metastasi ossee ha confermato assenza di significatività statistica fra il gruppo sottoposto a radioterapia con frazione singola da 8 Gy e il gruppo sottoposto a trattamento multifrazionato (30 Gy in 10 frazioni) in termini di controllo del dolore, ricalcificazione, tasso di fratture patologiche e reirradiazione106. Nonostante i numerosi studi randomizzati e le metanalisi che hanno dimostrato l’efficacia terapeutica della radioterapia monofrazionata, in molti Centri regimi più prolungati continuano a rappresentare lo standard di trattamento. Il frazionamento singolo è più comunemente utilizzato in Europa (8-60%), in Canada (18-67%), in Australia ed in Nuova Zelanda (9-65%). Al contrario di quanto accade negli Stati Uniti d’America ed in Asia dove la radioterapia in singola frazione è prescritta solo nel 2-20% e 9-39% 84. Uno studio retrospettivo su oltre 20000 pz trattati negli USA tra il 2005 e il 2011 attingendo dal National Cancer Data Base ha confermato come la radioterapia monofrazionata sia ampiamente sottoutilizzata nella pratica clinica (4,7 % vs 95,3%). Dall’analisi multivariata è emerso che i 3 principali fattori correlati con la somministrazione della monofrazione sono la distanza dal centro di radioterapia, l’anno della diagnosi (con un incremento della prescrizione degli 8 Gy nel corso degli anni), e il tipo di centro di radioterapia (universitario o no) 107. 107 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE È probabile che fattori economici possano condizionare la scelta del regime radioterapico. I più recenti dati di letteratura confermano quanto detto in precedenza. Da una recente metanalisi 85 che ha valutato ulteriori 5 studi randomizzati rispetto a quelli inclusi nelle precedenti citate 15,20,79, si evince che non c’è differenza statisticamente significativa nella risposta antalgica tra le due modalità di frazionamento. (Livello di Evidenza SIGN 1++). Il tasso di risposta globale al dolore è del 60% (1696/2818) nei pazienti sottoposti alla singola seduta da 8 Gy e del 61% (1711/2799) in quelli sottoposti a frazionamenti multipli. Diciassette trials hanno riportato il tasso di risposte complete al dolore su un totale di 5263 pazienti ed anche in questo caso non sono state riscontrate differenze significative (23% in caso di frazionamento singolo vs 24% di frazionamenti più protratti). Viene inoltre confermato un trend a favore dei frazionamenti multipli per quanto riguarda l’incidenza di fratture patologiche e di compressione midollare, sebbene la differenza non sia statisticamente significativa. In aggiunta, gli autori suggeriscono che la percentuale di ritrattamenti più elevata nel gruppo sottoposto alla frazione unica, potrebbe essere spiegata da una maggior predisposizione dei medici a ritrattare questi pazienti rispetto a quelli sottoposti a frazionamenti più convenzionali. Tabella.2Randomized Trials of Single versus Multiple Fractions: Results Study Gaze et al., 1997 UK (9) Nielsen et al., 1998, Denmark (10) Steenland et al., 1999, Netherlands (11) Bone Pain Working Party, 1999, UK/New Zeland (12) Koswing & Budach, 1999, Germany (18) Kirkbride et al, 2000, Canada (19) Hartsell et al.,2005 USA/Canada (13) Kaasa et al.,2006 Norway/Swede n (14) Arnalot et al., 2008 Spain (68) Kaasa et al., 2009 Norway/Swede n (69) N° of Pz (N° Eval.) Dose (Gy/fractons ) Median Surviva l (mo) Complet e Response Overall Respons e Retrea t Rate (%) Path Fractures(% ) 265 10/1 vs 22.5/5 NA 37 47 81 76 NA NA 241 (239) 8/1 vs 20/5 NA 15 15 73 76 21 12 NA 1171 (1073) 8/1 vs 20/5 7 37 33 72 69 25 7 4 2 765(681 ) 8/1 vs 20/5 NA 57 58 78 78 23 10 2 <1 No differenc e 107 8/1 vs 30/10 NA 33 31 81 78 NA NA NA 398 (287) 8/1 vs 20/5 NA 22 29 51 48 NA NA NA 949 (898) 8/1 vs 30/10 9.1 9.3 15 18 65 66 18 9 5 4 376 8/1 vs 30/10 9.6 7.9 NA No difference 16 4 4 11 10% G 24 17% p=.002 NA 160 8/1 vs 30/10 NA 13 11 75 86 28 2 NA (198)18 0 8/1 vs 30/10 NA NA NA 27 9 4 5 NA, not available NS, not statistically significant. 108 Toxicity 21% p=NS 26% emesis No differenc e No differenc e No differenc e NA LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE La questione rimane comunque aperta per quei gruppi di pazienti che potrebbero beneficiare di trattamenti in più frazioni, in particolare per coloro in cui prevale la componente neuropatica del dolore o vi sia compressione midollare. In tal senso Roos et al.86, ha condotto uno studio randomizzato in cui sono stati confrontati i risultati ottenuti dopo frazione singola da 8 Gy e trattamento di 20 Gy in cinque frazioni in 252 pazienti con dolore neuropatico causato da lesioni secondarie ossee da primitivo polmonare (31%), prostatico (29%), e mammario (8%). Il follow-up mediano è stato di 11 mesi (3-77). (Livello di Evidenza SIGN 1+). La risposta globale è stata maggiore dell’11% nei pazienti sottoposti a trattamento di 20 Gy rispetto al monofrazionamento (53% vs 64%), sebbene la differenza non sia risultata statisticamente significativa (p = 0.092). Anche la durata della risposta clinica è stata maggiore in caso di frazionamento e dose maggiore come dimostrato nella figura seguente. Gli stessi autori suggeriscono di effettuare un confronto con regimi più protratti come per esempio 30 Gy in 10 frazioni per trarre conclusioni definitive. È stata recente eseguita un’analisi di un sottogruppo di pazienti arruolati nel protocollo RTOG 97-14 (con metastasi della colonna vertebrale da neoplasie mammaria e prostatica con aspettativa di vita superiore a tre mesi) per i quali in genere viene preferito un trattamento in più frazioni a causa della riluttanza nei riguardi di trattamenti in frazione unica. 87 Centoventiquattro pazienti affetti da metastasi vertebrali dolenti, sottoposti a trattamenti di 8 Gy in singola frazione, sono stati confrontati con una popolazione omogenea di 111 pazienti, ai quali era stata prescritta una dose di 30 Gy in 10 frazioni. Da quest’analisi emerge che il trattamento in singola frazione è efficace e sicuro anche in caso di metastasi vertebrali. (Livello di Evidenza SIGN 1+) Nonostante queste evidenze, da un’analisi dello studio di Harstell13, emerge che nel sottogruppo dei pazienti con metastasi della colonna vertebrale, solo il 61% dei pazienti ha sollievo dal dolore parziale o completo a un mese dalla fine del trattamento. (Livello di Evidenza SIGN 1+) Il miglioramento delle tecniche di imaging e i più attenti programmi di follow-up stanno consentendo la diagnosi sempre più precoce di metastasi singole o di numero limitato (oligometastasi). Questi pazienti con buona prognosi e lunga aspettativa di vita, potrebbero giovarsi di tecniche radioterapiche più sofisticate e complesse che possano prevenire le complicanze a lungo termine del trattamento stesso e consentire un controllo prolungato e della malattia e del sintomo. 109 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE La radiochirurgia, la radioterapia stereotassica, l’intensità modulata, ecc.., possono rappresentare opzioni terapeutiche valide per il trattamento di metastasi della colonna vertebrale in condizioni cliniche ben selezionate. La radioterapia stereotassica è una tecnica che consente di somministrare dosi elevate di radiazioni al tumore in una singola frazione (radiochirurgia) o in poche frazioni (Radioterapia stereotassica frazionata), con un alto gradiente di dose in modo da ottenere un miglior controllo di malattia e contemporaneamente un notevole risparmio dei tessuti circostanti. Il suo impiego è sempre più diffuso nell’ambito delle metastasi ossee in particolare per il trattamento di metastasi del rachide, situazione clinica in cui la recidiva locale può avere conseguenze irrimediabili e dov’ è minima la distanza da organi critici come il midollo o l’esofago. Diversi studi retrospettivi, hanno dimostrato l’efficacia della radioterapia stereotassica nel trattamento delle metastasi vertebrali con un controllo locale prolungato di malattia e un tasso di risposte variabile dal 70 al 90% in pazienti. Garg et al 89, ha valutato in uno studio prospettico di fase 1/2 presso l'MD Anderson Cancer Center, sessantuno pazienti, sottoposti a trattamento radioterapico stereotassico con una singola dose singola di 18 Gy /24 Gy. (Livello di Evidenza SIGN 3) Con un follow-up di 20 mesi, il controllo locale e la sopravvivenza a 18 mesi sono state rispettivamente del 88% e del 64%, con una sopravvivenza globale a 18 mesi del 64%, e sopravvivenza mediana di 30 mesi. Non sono state riscontrate differenze significative legate all’ istologia del tumore o la dose erogata. Due pazienti hanno manifestato eventi avversi di grado 3 o superiore. A 18 mesi l’82% era libero da progressione di malattia e danni neurologici. Uno studio recente90 ha valutato i risultati di 31 studi sulla radioterapia stereotassica delle lesioni metastatiche della colonna. (Livello di Evidenza SIGN 3). Questa tecnica è risultata particolarmente efficace nel controllo del dolore con un tasso di risposta clinica compresa tra l’85 e il 100%, in alcuni casi anche a distanza di pochi giorni dal termine della radioterapia. Il controllo locale è stato di circa il 90%. Degen et al. 91, hanno ottenuto un controllo del 95% in pazienti trattati per un totale di 58 lesioni ossee con un follow -up di circa 350 giorni. Risultati incoraggianti sono stati pubblicati recentemente su 149 pazienti affetti da metastasi spinali, senza compressione del midollo spinale, il 68% già precedentemente sottoposti a radioterapia standard o chirurgia +/- radioterapia 92. La dose totale prescritta è stata di 27-30 Gy in 3 frazioni. La sopravvivenza libera da progressione a uno e a due anni e stata rispettivamente dell’80.5% e del 72.4% con una significativa riduzione del consumo di farmaci oppioidi. In uno studio prospettico condotto su circa 500 casi, il controllo locale ottenuto con questa tecnica è stato dell’88-90% con un follow-up mediano di 21 mesi. Il 64% di questi pazienti era stato già sottoposto a radioterapia standard. 93 Choi et al. 94, ha riportato controllo antalgico a 6 e 12 mesi rispettivamente dell’87% e dell’81% in 42 pazienti precedentemente irradiati a livello della colonna. Attualmente non c’è consenso sulla dose di prescrizione. In uno studio su 151 casi 95 la dose prescritta è stata di 26,4 Gy in 3 frazioni al’isodose del 75% in pazienti mai irradiati in precedenza senza effetti collaterali a livello neurologico. Nella Overview sul trattamento stereotassico delle metastasi ossee e midollari di Bhattarcharya e Hoskin108 del 2015 la radioterapia stereotassica si conferma un trattamento sicuro ed efficace. Alla stessa conclusione è giunto il gruppo del MD Anderson Cancer Centre di Nguyen et al109 che ha trattato con SBRT 55 metastasi spinali da neoplasia renale con 24 Gy in singola frazione, 27 Gy in 3 frazioni o 30 Gy in 5, riportando ottimi risultati in termini di controllo del dolore e e controllo di malattia ad un follow up mediano di 13,1 mesi. Tuttavia, nonostante la vasta esperienza soprattutto statunitense in questa tecnica, non ci sono ancora dati da trials randomizzati, ed è ancora in corso uno studio di fase III (RTOG 0631 96 ) in cui viene confrontata l’efficacia nel controllo del dolore e miglioramento della qualità di vita della radioterapia stereotassica per dosi di 16-18 Gy in singola seduta vs. radioterapia convenzionale alla dose di 8Gy in singola frazione, in pazienti con metastasi vertebrali della colonna. Non è da sottovalutare inoltre l’impatto economico sanitario di questa tecnica complessa, che andrebbe 110 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE valutato attentamente per definirne il ruolo nel management del paziente con metastasi ossee. Un recente ambito di ricerca è proprio quello dell’analisi costo-efficacia del trattamento stereotassico palliativo delle lesioni secondarie ossee110. Pertanto la Task Force ASTRO sul trattamento delle metastasi ossee raccomanda l’utilizzo della SBRT all’interno di trials clinici e comunque non come trattamento primario di lesioni vertebrali determinanti una compressione midollare111. 1.4 Radioterapia e la prevenzione delle fratture La radioterapia erogata ad alte dosi esercita un’azione tumoricida sulla lesione ossea bersaglio; ciò determina la formazione di un tessuto fibroso riparatorio che può andare anche incontro a mineralizzazione. Tuttavia il neo-tessuto cicatriziale a differenza del fisiologico tessuto osseo manca della tipica microarchitettura trabecolare responsabile della stabilità e della resistenza alle fratture patologiche. Da un punto di vista fisiopatologico, si potrebbe quindi affermare che la radioterapia non garantisce una sicura prevenzione delle fratture. Tuttavia nella pratica clinica, il rischio di frattura dopo radioterapia è stato stimato essere dell’8%; solo le dosi più alte sono in grado di attivare la ricalcificazione ossea.3, 18 La remineralizzazione ossea dopo radioterapia è stata studiata da Koswing e Budach16 misurando la densità dell’osso mediante TAC. A sei mesi di follow-up la densità dell’osso era incrementata del 173% dopo 30 Gy in 10 frazioni confrontato con il 120% dopo 8 Gy in singola frazione (p <p.001). In questo studio non è stato tuttavia riportato il rischio di frattura pretrattamento o il tasso di fratture patologiche dopo radioterapia. Uno studio non randomizzato pubblicato nel 2004 da Pandit-Taskar et al.19 ha evidenziato che in pazienti affetti da mieloma con metastasi vertebrali, il tasso di fratture patologiche era molto più alto in pazienti non sottoposti a radioterapia rispetto a coloro che avevano effettuato il trattamento radiante. (Livello di Evidenza SIGN 3). Una metanalisi del 2003 20 ha valutato 11 trials per un totale di 3435 pazienti: (Livello di Evidenza SIGN 1++). - I pazienti sottoposti a RT in singola frazione hanno presentato una più alta percentuale di ritrattamenti con il 21,5% vs il 7,4% dei pazienti nel braccio di radioterapia multifrazionata. - La metanalisi ha analizzato 5 studi (Price 1986’21 Cole 1989’ 22 Nielson 1998’ 10,Steenland 1999’ 11 and Bone Pain Trial Working Party 1999’ 12) che riportano i risultati relativi alle fratture patologiche su un totale di 2476 pazienti. L’incidenza di fratture patologiche è stata più alta nei pazienti sottoposti a radioterapia con frazione singola di 8 Gy (3%) versus quelli trattati con trattamento multifrazionato, 20 Gy in 5 frazioni o 30 Gy in 10 frazioni, (1.6%). La differenza tuttavia non è risultata statisticamente significativa (p=0.3). Va tuttavia notato che nella pratica clinica alcuni Radioterapisti Oncologi Italiani, Europei e Americani continuano ad adottare l’ipofrazionamento (3-30 Gy, 4 – 20 Gy) piuttosto che la dose unica di 8 Gy. Questo atteggiamento può trovare una spiegazione nel fatto che in genere gli studi randomizzati di fase III a favore del frazionamento unico non sono considerati definitivi perché non “doppio-ceco” e perché privi di una valutazione della qualità di vita. 1.5 Ritrattamento La percentuale di ritrattamento è risultata significativamente più alta dopo trattamento in seduta unica. In questi casi è infatti maggiore la possibilità di dover reintervenire a causa della maggiore incidenza di ricomparsa del dolore almeno un mese dopo la fine del primo trattamento. Questo è stato dimostrato negli studi precedentemente citati11. La possibilità di effettuare un retreatment va valutata in base alle modalità tecniche del precedente trattamento e del segmento osseo (in funzione degli organi a rischio esposti). 111 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Rose et al23, in un report relativo al trattamento radiante delle metastasi ossee, suggerisce che una dose addizionale di 20 Gy con frazionamento standard dopo una dose totale di 30 Gy in 10 frazioni è appropriato per le lesioni dolenti della colonna vertebrale del tratto toracico e lombare 23. Hayashi et al24, ha valutato 30 pazienti sottoposti a reirradiazione con dose totale variabile tra 10 Gy in 5 frazioni e 26Gy in 13 frazioni ottenendo una risposta nel 50% dei casi. In particolare per le metastasi vertebrali hanno adottato 20 Gy in 10 frazioni dopo un trattamento iniziale di 30 Gy. Gli autori concludono che i pazienti che hanno avuto una risposta completa e più duratura al primo trattamento in buone condizioni generali, rispondono meglio al retreatment rispetto a coloro che hanno avuto una risposta parziale o ai non responsivi. Jeremic et al25, ha dimostrato l’efficacia del ritrattamento con una singola frazione di 4 Gy in 135 pazienti sottoposti precedentemente a un trattamento monofrazionato. Senza significativa tossicità, il ritrattamento ha consentito di ottenere una risposta globale nel 73% dei pazienti, completa nel 28%. In particolare i pazienti che avevano avuto una risposta positiva al primo trattamento presentavano maggiori vantaggi dopo reirradiazione. In una recente review 103 sono stati valutati i risultati su 527 pazienti sottoposti a ritrattamento. L’efficacia della reirradiazione è risultata simile a quella del primo trattamento con un tasso di risposte complete, parziali e globali del 20%, 50% e 68% rispettivamente, con un beneficio che sembra essere maggiore e più duraturo in caso di buona riposta alla precedente radioterapia. La maggior parte dei pazienti è stata sottoposta a un trattamento in singola frazione da 4 a 8 Gy. La tossicità, riportata in tre degli studi analizzati, è stata prevalentemente diarrea, nausea e vomito di grado lieve. Dalla’analisi della letteratura la dose ottimale per il retreatment il monofrazionamento sembra essere appropriato per la reirradiazione delle metastasi ossee. In uno studio prospettico condotto da Sayed et al., non sono state riscontrate differenze significative fra l’efficacia di un trattamento in singola frazione o di 20 Gy in 5-8 frazioni 104. Dati confermati da un recente studio randomizzato di fase III 98 che ha confrontato 118 pazienti sottoposti a radioterapia in singola frazione versus 135 trattati con frazioni multiple (20 Gy in 5 frazioni) (Livello di evidenzia SIGN 1 +). I risultati dello studio hanno evidenziato come non vi sia alcuna differenza significativa tra la singola e le multiple frazioni nè in termini di risposta al dolore (45% vs 51% p= 0.17), nè in termini di riduzione degli SRE. La tolleranza è stata buona in entrambi casi anche se il trattamento in singola frazione è stato gravato da minori effetti collaterali in particolare in termini di inappetenza e diarrea.Sono stati esclusi dallo studio pazienti precedentemente trattati a livello del rachide o della pelvi con dosi elevate (24 in 6 frazioni, 27 in 8 frazioni e 30 in 10 frazioni). Utilizzando il database del sovracitato NCIC Clinical Trials Group Symptom Control (SC.20) per la valutazione della QoL dei pazienti sottoposti a reirradiazione, è stato riscontrato che una risposta al dolore corrisponde a un miglioramento della QoL quantificabile mediante l’utilizzo di appositi questionari EORTC Quality of Life Questionnaire Core 30 (QLC-C30)112. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B Il trattamento antalgico effettuato in fase iniziale della comparsa del dolore consente di ottenere una maggiore percentuale di risposta completa. Positiva Debole B Nei pazienti con dolore neuropatico e aspettativa di vita superiore a 6 mesi (es istologia favorevole e malattia primitiva controllata), dovrebbero essere preferiti frazionamenti più protratti (ad es. 5 o 10 frazioni per dosi totali di 20 o 30 Gy) Positiva Debole 112 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 2. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica A Nei pazienti con metastasi vertebrali con scarsa prognosi una singola frazione di radioterapia è fortemente raccomandata. Positiva Forte D Per pazienti a buona prognosi, affetti da singole o limitate lesioni del rachide potrebbe essere indicato l’impiego delle moderne tecnologie radioterapiche anche dopo fallimento di trattamenti eseguiti con tecniche convenzionali. Positiva Debole A Per i pazienti con metastasi ossee dolenti è indicato un trattamento radiante in seduta unica di 8 Gy. Positiva Forte A La reirradiazione delle metastasi ossee è possibile e consente di ottenere una palliazione efficace, specie per pazienti in buone condizioni generali (ECOG 0-1) che hanno avuto una buona risposta al primo trattamento di radioterapia. Per questi pazienti è indicato un trattamento in singola frazione da 8 Gy. Positiva Forte Radioterapia della compressione midollare metastatica. La compressione spinale o meglio definita compressione midollare metastatica (CMM) è una delle più temibili complicanze dei tumori e se non tempestivamente trattata è la causa di un inesorabile e drammatico peggioramento della qualità di vita del paziente. Nella sua evoluzione la CMM, è caratterizzata da una sintomatologia dolorosa ingravescente a cui si associano deficit motori e sensoriali ed incontinenza sfinterica. Richiede un approccio sinergico tra il medico curante ed il “team” di specialisti (oncologo medico, radioterapista oncologo, chirurgo, neuroradiologo, algologo), al fine di effettuare una diagnosi precoce ed improntare una terapia che possa preservare le funzioni del paziente prima che si instauri un danno neurologico irreversibile. La CMM viene definita come “qualsiasi compressione del sacco durale (midollo e/o cauda equina) e del suo contenuto da parte di una massa tumorale extradurale. La minima evidenza per una diagnosi di CMM è la compressione anche solo iniziale della teca a livello della sede responsabile dei danniclinici (il dolore locale o radicolare eventualmente associato a deficit motori e/o sensoriali e ad incontinenza sfinterica)” 26. La sede principale di localizzazione è il rachide dorsale (60-80%), seguito dal lombosacrale (15-30%) e quindi da quello cervicale (< 10%). Un considerevole gruppo di pazienti (10-38%) presenta alla diagnosi di CMM un interessamento di più metameri 27. 2.1 Sintomatologia Il dolore (“back pain”) è il sintomo che accompagna la CMM nella quasi totalità dei casi e può precedere di settimane o mesi la diagnosi strumentale. L’ipostenia è il secondo sintomo in ordine di frequenza e in genere rappresenta l’evoluzione clinica della sintomatologia dolorosa e prelude alla plegia in un tempo variabile (ore o giorni). Il deficit sensoriale, meno invalidante rispetto al dolore ed al danno motorio, può essere sottostimato al momento della diagnosi. I disturbi sfinterici sono spesso associati ai deficit motori e si sviluppano in genere più tardivamente 26-27. 113 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 2.2 Fattori Prognostici La diagnosi e la terapia precoci della CMM rappresentano i principali fattori predittivi per la risposta al trattamento. Infatti i pazienti che alla diagnosi sono in grado di deambulare e non accusano disturbi sfinterici, hanno una più alta probabilità di mantenere il proprio status e una più lunga sopravvivenza dopo terapia 27-32. Per questo va sempre posto il sospetto di CMM nei malati oncologici già alla comparsa del dolore anche in assenza di deficit motori o sensoriali. I tumori a prognosi più favorevole (carcinoma della mammella e della prostata, mielomi, seminomi e linfomi) presentano una maggiore percentuale di risposte dopo il trattamento. Ciò sembrerebbe correlato sia alla minore aggressività biologica di queste neoplasie, sia alla loro maggiore sensibilità alle terapie oncologiche 28,30,32. I pazienti che presentano la comparsa del danno motorio in un tempo lungo (> 14 giorni) hanno una prognosi migliore rispetto a coloro in cui il danno neurologico insorge più velocemente 31,33. 2.3 Diagnosi Il sospetto clinico di CMM deve essere confermato dagli esami di “imaging”. Nei pazienti con metastasi ossee e dolore al rachide in assenza di deficits neurologici la risonanza magnetica (RM) fa porre diagnosi di CMM nel 32-35% dei casi 33. La RM ha una sensibilità del 93%, una specificità del 97% ed un’accuratezza diagnostica complessiva del 95% 34 . Poiché la compressione su più livelli non è un reperto infrequente, l’esame RM andrebbe effettuato su tutto il rachide 33,34. Radiografia standard e scintigrafia ossea trovano indicazioni solo in qualche caso; la mielografia è un esame cruento ormai superato dalla RM; la tomografia computerizzata (TC) può costituire un’alternativa alla RM lì dove quest’esame non sia disponibile. La tomografia ad emissione di positroni (PET) non rappresenta un test diagnostico da impiegare di routine nella pratica clinica. 2.4 Trattamento La chirurgia o la radioterapia da sole o in associazione sono entrambe valide e consentono di ottenere pari risultati in termini di sopravvivenza e di miglioramento dello stato funzionale del paziente. Gli studi condotti con l’una o l’altra modalità terapeutica dimostrano come quei pazienti che abbiano conseguito una risposta neurologica alla terapia, muoiano per la progressione sistemica di malattia piuttosto che per le complicanze neurologiche della CMM. La decisione terapeutica deve essere quindi individualizzata non essendoci una dimostrazione certa della superiorità della chirurgia rispetto alla radioterapia30,35,36 . Terapia steroidea Comunemente gli steroidi vengono impiegati come primo presidio terapeutico nel paziente con CMM, questo sia per sfruttare il beneficio nella riduzione dell’edema indotto dal tumore o prevenire quello causato dalla radioterapia, che per controllare il processo infiammatorio presente nella sede della lesione tumorale 37. Il desametasone è lo steroide più frequentemente impiegato. Per le dosi si rimanda al paragrafo relativo alla chirurgia. Radioterapia I regimi radioterapici con frazionamenti convenzionali (2 Gy per frazione fino alla dose totale di 30-40 Gy) oggi sono per lo più abbandonati in favore di trattamenti più brevi (“short-course”) con la somministrazione di dosi singole più elevate(38-41). Le analisi dei dati della letteratura hanno mostrato la pari efficacia terapeutica nel controllo del dolore degli ipofrazionamenti rispetto a quelli convenzionali (42,43). Pur non esistendo studi randomizzati a riguardo, in genere nei pazienti con CMM e aspettativa di vita superiore a 6 mesi (istologia favorevole, linfoma, mieloma, seminoma e carcinoma di mammella e prostata, buon performance status, assenza di deficit neurologico e malattia primitiva controllata) si tende ad utilizzare 114 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE ipofrazionamenti del tipo 3 Gy per 10 frazioni fino a 30 Gy in 2 settimane ovvero 4 Gy per 5 frazioni consecutive fino a 20 Gy. (Livello di Evidenza SIGN 3). Nei pazienti a prognosi sfavorevole che rappresentano la maggioranza dei casi (aspettativa di vita ≤ 6 mesi), uno studio Italiano multicentrico ha evidenziato come il bifrazionamento della dose (8 Gy x 2 in una settimana) sia parimenti efficace e scevro da danno midollare iatrogeno quanto frazionamenti più prolungati39. Sulla base di questi dati è stato condotto un secondo studio multicentrico randomizzato che ha confrontato il bifrazionamento (8 Gy x 2) con una singola dose di RT (8 Gy). I risultati pubblicati recentemente hanno dimostrato l’equivalenza dei due regimi sia in termini di efficacia che di tossicità 40. (Livello di Evidenza SIGN 1+). In conclusione quindi la somministrazione unica di RT (8 Gy) può essere considerata il trattamento di riferimento nella maggioranza dei pazienti con CMM e aspettativa di vita ≤ 6 mesi. La RM è l’esame diagnostico ottimale per l’esecuzione di un migliore trattamento radiante, in quanto è in grado di identificare sia il danno osseo vertebrale sia quello dei tessuti molli circostanti causa della CMM. Dopo la radioterapia può presentarsi una recidiva nel 16-25% dei casi, recidiva che spesso (64%) si verifica nei due corpi vertebrali sopra o sotto la sede della CMM, mentre in una percentuale minore (4-7%) si presenta in una sede diversa dalla prima compressione (44,47). Al momento della pianificazione della radioterapia bisogna comprendere nel campo di irradiazione la lesione ossea e/o paravertebrale con un’estensione caudale e craniale di due vertebre. Reirradiazione E’ necessario inoltre controllare nel tempo attentamente i pazienti trattati, programmando prontamente un nuovo controllo RM laddove possa rilevarsi il sospetto clinico di una nuova CMM e poter valutare l’esecuzione di una chirurgia o di una reirradiazione. Considerando il potenziale danno iatrogeno midollare di una reirradiazione è fondamentale selezionare accuratamente i pazienti che possono giovarsene. La mielopatia indotta da radiazioni ionizzanti può comparire nel giro di mesi o anni (6 mesi – 7 anni) dopo la prima radioterapia 48. Gli studi sperimentali hanno mostrato come questo danno iatrogeno sia strettamente correlato alla dose totale erogata nella prima e nella seconda irradiazione, ed all’intervallo di tempo intercorso tra i due trattamenti (44,48,49). E’ preferibile eseguire una reirradiazione nei pazienti senza deficit neurologici motori e con neoplasie primitive a prognosi favorevole (tumori della mammella, della prostata, mielomi, seminomi e linfomi) impiegando schemi terapeutici con frazionamenti convenzionali (2 Gy frazione fino alla dose totale di 20-24 Gy). (Livello di Evidenza SIGN 4). Nel caso di pazienti con deficit neurologici (paresi o paraplegia) e neoplasie primitive favorevoli ovvero in quelli ancora deambulanti ma con istologie primitive sfavorevoli (tumore del polmone, del rene, della sfera otoiatrica, gastrointestinali, melanomi, sarcomi) può essere ancora proponibile una reirradiazione utilizzando però regimi di ipofrazionamento (8 Gy in dose unica)50. La reirradiazione può essere presa in considerazione anche in pazienti anziani, considerando la dose cumulativa erogata che deve essere < 130 Gy2 . 115 Nuove tecniche di irradiazione come la radiochirurgica stereotassica frazionata (SBRT) con un numero di frazioni che generalmente va da 1 a 5, rappresenta un’interessante attrattiva terapeutica in quanto consente di somministrare un’elevata dose al tumore riducendo quella erogata al midollo spinale non coinvolto da malattia 99,100. La SBRT, che può essere effettuata solo in casi selezionati, deve essere eseguita in strutture specializzate che abbiamo già maturato esperienza sulla tecnica e richiede una importante collaborazione da parte del paziente 101,102. (Livello di Evidenza SIGN 3). In conclusione, su lesioni midollari recidive dopo una prima RT, la reirradiazione con SBRT può essere considerata dopo un’attenta selezione dei malati. 115 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Chirurgia La chirurgia va riservata a casi molto selezionati: nella pratica clinica circa il 10% dei malati con CMM 36, 39,51,52 a prognosi favorevole e sopravvivenza maggiore di 6 mesi; sono questi i malati da sottoporre a chirurgia oltre quelli con frattura patologica responsabile di instabilità della colonna, o con presenza di frammenti ossei causa di compressione midollare o radicolare o che presentino dubbi diagnostici. Una recente revisione di letteratura ha analizzato i risultati degli studi di confronto tra chirurgia e RT rispetto alla sola RT in pazienti con diagnosi di CMM evidenziando un vantaggio sulla sopravvivenza ed sul miglioramento dello stato ambulatoriale nel gruppo di pazienti sottoposti a terapia combinata (chirurgia e RT)105. Questa analisi è sicuramente limitata dall’esiguo numero dei dati di letteratura e dalla qualità degli studi, infatti dei soli 5 trials esaminati per l’analisi statistica, solo 1 è randomizzato e comunque in tutti la selezione dei pazienti è l’elemento maggiormente criticabile. Si rimanda al paragrafo della chirurgia e alla tabella che segue per la scelta terapeutica. TABELLA Raccomandazioni per il trattamento dei pazienti con compressione midollare metastatica Steroidi: Dosi moderate di desametasone (16 mg die parenterale in 2 soministrazioni) dovrebbero essere impiegate al momento della diagnosi. Da valutarsi dosi più alte in casi selezionati. Radioterapia esclusiva: La Radioterapia è il trattamento da assegnare alla maggior parte dei malati. Dosi: - 8 Gy in dose unica se aspettativa di vita ≤ 6 mesi - 4 Gy x 5 ovvero 3 Gy x 10 se aspettativa di vita > 6 mesi Chirurgia seguita da radioterapia: Chirurgia elettiva Instabilità della colonna. Presenza di frammenti ossei causa di compressione midollare o radicolare. In caso di dubbi diagnostici. * Chirurgia in casi selezionati Pazienti in buone condizioni generali con compressione in sede singola ed aggredibile chirurgicamente. Buon controllo della malattia sistemica. Lunga aspettativa di vita Chirurgia esclusiva: Peggioramento dello stato neurologico durante o dopo la radioterapia. Compressione midollare metastatica recidiva in una sede precedentemente irradiata e/o Dove una reirradiazione sia controindicata. * La biopsia percutanea TC-guidata può essere una valida alternativa alla chirurgia. 116 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 3. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D Per i pazienti con compressione midollare metastatica e prognosi favorevole è proponibile un trattamento radiante con un ipofrazionato prolungato del tipo 3-30 Gy . Positiva Debole B Per i pazienti con compressione midollare metastatica e prognosi sfavorevole è indicato un trattamento radiante in dose unica (8 Gy). Positiva Forte D Nel caso di compressione midollare metastatica recidivante dopo radioterapia è possibile la re-irradiazione in pazienti adeguatamente selezionati. Se è presente un’istologia associata a prognosi favorevole si preferisce un trattamento radiante di 2 Gy frazione fino alla dose totale di 20-24 Gy. Se l’istologia è a prognosi sfavorevole possono essere utilizzati regimi di radioterapia quali 8 Gy frazione in dose unica. Positiva Debole Radioterapia e bifosfonati La radioterapia e i bifosfonati sono entrambi efficaci nel trattamento delle metastasi ossee. In letteratura, vi sono dati che sembrerebbero supportare l’uso combinato di queste due modalità terapeutiche finalizzato al miglioramento dei risultati ottenuti dai trattamenti somministrati singolarmente. L’interazione tra radioterapia e bifosfonati, si esplicherebbe attraverso un effetto additivo/ super-additivo e di cooperazione spaziale. L’effetto additivo/superadditivo è dovuto all’azione non selettiva della radioterapia che determina un danno sulle cellule tumorali e osteoclastiche a livello loco-regionale, a cui si aggiunge l’azione “selettiva” sull’attività degli osteoclasti espletata dai bifosfonati, con conseguente inibizione del riassorbimento osseo, stimolazione del processo di ricalcificazione e controllo del dolore. Il meccanismo della cooperazione spaziale giustifica la maggior parte dei trattamenti integrati in ambito oncologico. Nel caso delle metastasi ossee, la radioterapia viene impiegata per il controllo locale di una lesione mediante palliazione del dolore e prevenzione della morbidità scheletrica, mentre i bifosfonati, che agiscono a livello sistemico, riducono la progressione ossea a distanza. Studi in vitro hanno inoltre dimostrato un’azione antitumorale sinergicae non semplicemente additivadella radioterapia e dell’acido zoledronico su cellule di carcinoma mammario 70, prostatico e su cellule di mieloma 71 . I meccanismi che spiegherebbero tale sinergia non sono completamente conosciuti. Ural ha recentemente dimostrato, mediante analisi citometrica di flusso, che l’esposizione di cellule di mieloma multiplo all’acido zoledronico rallenta la progressione nel ciclo cellulare attraverso la fase S e determina un blocco in fase G2-M, momenti in cui le cellule sono molto sensibili alle radiazioni 72. L’effetto radio-sensibilizzante dei bifosfonati potrebbe inoltre derivare dall’inibizione degli enzimi coinvolti nella pathway del mevalonato, la cui attività porta alla modifica post-traduzionale (prenilazione) di alcune proteine GTP dipendenti, quali Ras, Rho e Rac. È stato infatti dimostrato che l’iperespressione cellulare di Ras determina una maggiore resistenza alle radiazioni73 e che, al contrario, l’inibizione dell’attivazione di questa proteina determinerebbe un effetto radio sensibilizzante sia in linee cellulari murine sia in cellule tumorali umane 74. 117 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE In questo senso l’uso concomitante di radioterapia e bifosfonati potrebbe migliorare l’outcome dei pazienti con metastasi ossee. L’efficacia dell’applicazione concomitante di radioterapia e bifosfonati è stata valutata su modelli animali. Il primo studio è stato condotto da Krempien R.75, il quale ha dimostrato che l’associazione di clodronato con la radioterapia incrementa la densità e la stabilità dell’osso in animali con metastasi da carcinosarcoma. Un secondo studio ha valutato l’efficacia della somministrazione concomitante di acido zoledronico e radioterapia. Il trattamento combinato determinava un significativo incremento della densità dell’osso e dei parametri microstrutturali (processo di ricalcificazione e stabilizzazione), valutata radiologicamente e al microscopio, rispetto al gruppo di controllo sottoposto alla sola radioterapia 76. Un recente studio randomizzato su 40 pazienti con metastasi ossee ha valutato l’impatto dell’utilizzo combinato di bifosfonati e radioterapia sul turnover della matrice ossea organica riscontrando la capacità dell’acido zoledronico di contrastare l’effetto distruttivo della radioterapia sulla stessa, azione ritenuta responsabile, a lungo termine, delle fratture patologiche radioindotte. Ciò è stato valutato misurando i livelli urinari di idrossilisilpiridinolina e lisilpiridinolina, la cui escrezione è significativamente ridotta nei pazienti sottoposti a radioterapia e acidozoledronico113. Da un’analisi della letteratura solo pochi studi hanno analizzato l’eventuale beneficio clinico della combinazione fra radioterapia e bifosfonati. Uno studio di fase II ha valutato, su 52 pazienti con metastasi ossee osteolitiche da vari tipi di tumori, l’associazione di radioterapia a fasci esterni (36-40 Gy) e ibandronato 4 mg somministrato in maniera concomitante e sequenziale. (Livello di Evidenza SIGN 3) In questi pazienti è stata ottenuta una significativa riduzione del dolore, valutato mediante scala analogica visiva (VAS), da 8 a 1, nelle successive 8 settimane dal termine del trattamento combinato con conseguente riduzione del consumo di analgesici, valutato secondo la scala WHO (Analgesic Intake Scale, 0= non analgesici; 1= antiinfiammatori non steroidei; 2= oppioidi settimanali; 3 morfina) da 3 a 1. Inoltre è stata osservata una ricalcificazione completa e parziale delle metastasi nel 31% e nel 46% rispettivamente 77. Kouloulias riporta risultati sovrapponibili in uno studio clinico effettuato in 33 pazienti affette da metastasi ossee da neoplasia mammaria, sottoposte a radioterapia (30 Gy in 10 frazioni) e pamidromato 180 mg/ev ogni mese per 24 mesi, dimostrando un miglioramento clinico-strumentale dopo 6 mesi di terapia rispetto al controllo basale in termini di controllo del dolore, densità ossea, KPS, markers biochimici di riassorbimento osseo e qualità di vita 78. (Livello di Evidenza SIGN 3) Vassiliou ha valutato la risposta clinica e radiologica su 45 pazienti sottoposti a radioterapia (30-40 Gy) e a ibandronato (6 mg) somministrato mensilmente per 10 mesi. (Livello di Evidenza SIGN 3) Già dopo 3 mesi lo score medio del dolore, valutato secondo la VAS, era ridotto da 6.3 a 0.8 punti (p<001) con il 68.9% dei pazienti con risposta completa e il 31.1% con risposta parziale (con un tasso di risposta globale al dolore del 100%). A 10 mesi di follow-up, lo score medio si riduceva ulteriormente a 0.5 punti con l’80% dei pazienti in risposta completa e conseguente miglioramento della qualità di vita e del performance status. Per nessun paziente è stato necessario ricorrere ad un re-treatment, evenienza quest’ultima non infrequente e che si verifica sia dopo radioterapia con singola frazione sia dopo trattamenti frazionati rispettivamente nel 20% e nell’8% 79. Parallelamente a questa eccellente risposta clinica, la rivalutazione radiologica mediante TC evidenziava nella sede delle metastasi un incremento della densità del 20 % a 3 mesi e del 73% a 10 mesi rispetto alla valutazione basale, segno evidente di ricalcificazione 80. Questi risultati sono stati confermati in uno studio condotto dagli stessi autori su 52 pazienti suddivisi in base al tipo di metastasi osteolitiche, osteoaddensanti e miste (litiche e addensanti). Il beneficio clinico in termini di risposta antalgica, qualità di vita e performance status, era riscontrato in tutti i pazienti indipendentemente dalle caratteristiche delle metastasi. Uno studio randomizzato su un totale di 139 pazienti ha confrontato i risultati ottenuti con l’impiego di una singola frazione di 8 Gy versus 6 Gy associando in entrambi i casi la somministrazione di acido zoledronico (4 mg ev in 15 min di infusione). (Livello di Evidenza SIGN 1+) 118 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Non sono state riscontrate differenze tra i due gruppi in termini di controllo del dolore, consumo di analgesici e qualità di vita, sebbene la somministrazione di dosi maggiori (8Gy) si associava ad una maggiore sopravvivenza libera da eventi scheletrici 81. Recentemente Atahan L. et al. hanno pubblicato uno studio randomizzato condotto su 100 pazienti affette da neoplasia mammaria, che ha confrontato l’efficacia di trattamento radiante ad alte dosi, somministrato in due settimane, rispetto ad un trattamento a dosi ridotte erogato in una sola settimana associando in entrambi i casi la somministrazione di acido zoledronico 4 mg ogni mese dall’inizio della radioterapia. (Livello di Evidenza SIGN 1+) Nessuna differenza statisticamente significativa è stata osservata tra i due gruppi in termini di risposta al dolore e durata della stessa, dimostrando che anche dosi ridotte di radioterapia quando associate ai bifosfonati consentono di ottenere gli stessi risultati clinici di trattamenti più protratti 82. Kijima T et al, in uno studio retrospettivo su 23 pazienti affetti da metastasi ossee da carcinoma del rene, hanno confrontato la sola radioterapia, effettuata su 10 pazienti, con il trattamento concomitante con acido zoledronico (13 pazienti). (Livello di Evidenza SIGN 3) L’end point primario è stato quello di valutare la risposta clinica delle lesioni metastatiche mediante TC a distanza di 6-9 mesi dal termine della radioterapia, definendo come risposta completa la scomparsa della mestastasi e come risposta parziale la ricalcificazione maggiore del 50%. L’end-point secondario consisteva nel valutare gli eventi scheletrici quali fratture patologiche, compressione midollare, necessità di re-treatment o interventi chirurgici. Sei dei pazienti sottoposti al trattamento integrato hanno presentato una risposta parziale, mentre solo un paziente nel gruppo trattato con radioterapia ha ottenuto un miglioramento clinico-strumentale. Inoltre, solo un paziente del gruppo trattato con acido zoledronico ha presentato un evento scheletrico, rispetto ai 10 dei 13 pazienti sottoposti al solo trattamento radiante 83 . In tutti gli studi precedentemente citati la combinazione è stata ben tollerata. In generale la radioterapia non determina tossicità severe e, inoltre, gli effetti collaterali dei bifosfonati, rappresentati da astenia, mialgie, febbre e disturbi gastroenterici, sono in genere di lieve entità, che non si sovrappongono a quelli della radioterapia stessa. 4. Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D Allo stato attuale delle conoscenze, la combinazione di radioterapia e bisfosfonati in pazienti con metastasi ossee prolunga la sopravvivenza libera da eventi scheletrici e la durata delal risposta al dolore rispetto alla sola radioterapia. Positiva Debole Terapia radio metabolica La maggior parte dei pazienti con metastasi ossee presenta lesioni multiple. In presenza di metastasi ossee diffuse la radioterapia a fasci esterni deve essere erogata su campi ampi. Ciò incrementa notevolmente il rischio di effetti collaterali sistemici, in particolare gastroenterici ed ematologici che ne limitano le indicazioni. La radioterapia metabolica si basa sull’utilizzo di radionuclidi somministrati per via orale o parenterale in grado di localizzarsi specificatamente nel sito delle metastasi e di emettere radiazioni ionizzanti in un percorso molto limitato. In pazienti con malattia metastatica estesa la radioterapia metabolica, data la sua distribuzione sistemica, rappresenta quindi una valida opzione terapeutica. I radiofarmaci possono essere distinti in oncotropi e osteotropi. 119 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE I primi hanno un’affinità specifica per le cellule neoplastiche, come ad esempio lo Iodio 131, utilizzato a fini diagnostici e terapeutici nei tumori differenziati della tiroide, e la meta-iodio-benzilguanidina (MIBG), precursore delle catecolamine, impiegata nei tumori neuroendocrini e nei feocromocitomi. I secondi non hanno affinità con il tessuto neoplastico, ma si localizzano nelle sedi di rimaneggiamento osseo dove possono espletare l’effetto antalgico e un’azione diretta antitumorale. Per eseguire la terapia metabolica, è necessario effettuare una scintigrafia ossea con difosfonati che permette di evidenziare le sedi di rimaneggiamento osseo. I requisiti essenziali del radiofarmaco ideale per la cura delle metastasi ossee sono: - Selettiva captazione da parte delle metastasi; - Rapida clearance dai tessuti molli e dall’osso sano; - Emissione di energia compresa tra 0.8 e 2 MeV; - Biodistribuzione simile a quella dei difosfonati; - Limitato irraggiamento del midollo osseo; - Emivita fisica maggiore o uguale all’emivita biologica; - Pronta disponibilità e costi ragionevoli. Nel 1940, Pecher C., utilizzò con successo 8 mCi di 89-stronzio cloruro (Sr-89) per lenire il dolore di un paziente affetto da metastasi ossee oteoblastiche da neoplasia prostatica. 53 Circa 10 anni dopo, Friedell impiegò con buona risposta il 32-Fosforo-ortofosfato (P-32) nel trattamento di metastasi ossee da neoplasia mammaria. 54 I radiofarmaci più comunemente utilizzati nella pratica clinica sono il fosforo-ortofosfato (P-32), lo Stronzio89 (Sr-39), il Samario-EDTMP (Sm-153) e il Renio-HEDP (Re-186) le cui caratteristiche sono riportate nella seguente tabella: Caratteristiche fisiche dei principali radionuclidi utilizzati per il dolore osseo di natura metastatica Radionuclide Emivita (giorni) Sr-89 50.5 Emissione (MeV) 0,583 β di energia Range tissutale Emissione di fotoni γ (mm) (KeV) 6.7 - P-32 14.28 0.695 7.9 - Sm-153 1.95 0.2 3.4 103 Re-186 3,8 0.349 4.7 137 4.1 Fosforo-ortofosfato (P-32) Il P-32 fu introdotto per il trattamento palliativo del dolore da metastasi ossee più di 50 anni fa. Il decadimento avviene avviene con esclusiva emissione beta di energia media di 0.695 MeV. Possiede un’emivita fisica di 14,3 giorni. Si lega, in scambio con il calcio, ai cristalli di idrossiapatite con lento turnover. Nel corso del suo decadimento induce un danno genetico sulle cellule che producono molecole coinvolte nella modulazione del dolore, compresi i linfociti. Somministrato per via orale o più frequentemente per via parenterale, viene escreto prevalentemente per via renale. È stato molto utilizzato fino agli anni ’80. Attualmente trova scarsa utilizzazione per l’elevata incidenza di tossicità midollare (terapia trasfusionale può essere necessaria nel 30% dei pazienti). 55 120 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 4.2 Stronzio cloruro (Sr-89) È un isotopo analogo del calcio che somministrato per via parenterale, viene rapidamente incorporato nei cristalli di idrossiapatite della matrice inorganica dell’osso. Decade con emissione β di energia media di 0.583, possiede un’emivita fisica di 50,5 giorni. La radioterapia con SR-89 è indicata principalmente nella terapia delle metastasi ossee da carcinoma prostatico ormonorefrattario. L’up-take delle lesioni metastatiche è circa 10 volte superiore a quella dell’osso sano. L’escrezione della quota non fissata avviene entro 48 ore, l’80% per via renale, il 20% per via gastrointestinale 56. Gli effetti collaterali da terapia con Stronzio sono prevalentemente di tipo ematologico con una riduzione dei leucociti e delle piastrine che si manifesta a 5-7 settimane dal trattamento. La dose assorbita dal midollo corrisponde a circa un decimo di quella assorbita a livello delle metastasi. La tossicità è dose dipendente. I dati sull’efficacia del trattamento riscontrabili in letteratura sono molto variabili. La probabilità di risposta è associata al tempo di comparsa delle metastasi ossee; la risposta è superiore nei pazienti con localizzazioni presenti da più tempo, migliore performance status e con lesioni di tipo osteoblastico 57. Non sembra che l’età o il grading istologico abbiano un impatto significativo sulla risposta alla terapia, anche se in alcuni casi le neoplasie indifferenziate sono meno responsive. La risposta antalgica completa è in media del 33%, quella parziale del 50%; si manifesta di solito dopo il terzo giorno dal trattamento, e comunque entro il 25° giorno, ed ha una durata media di 6 mesi. 58 Pochi giorni dopo la somministrazione del radiofarmaco, il 5-10% dei pazienti avverte un soggettivo aumento del sintomo noto come flare reaction in genere ben controllato con analgesici. In letteratura sono stati publicati due studi randomizzati di fase III che hanno messo a confronto la terapia con Sr-89 e la radioterapia a fasci esterni. Quilty et al ha confrontato il trattamento radiante a fasci esterni, eseguita su 152 pazienti, con la radioterapia metabolica con Sr-89 somministrato alla dose di 200 MBq, effettuata su 153 pazienti; non ha riscontrato alcuna differenza in termini di palliazione del dolore, tossicità e sopravvivenza mediana tra i due gruppi. 59 (Livello di Evidenza SIGN 1+) Anche Oosterhof ha confrontato la radioterapia a fasci esterni con la somministrazione di Sr-89, in 203 pazienti affetti da neoplasia prostatica metastatica ormonorefrattaria. (Livello di Evidenza SIGN 1+). La percentuale di risposta al dolore è stata simile nei due gruppi così come il tempo alla progressione. Nessuna differenza è stata riscontrata i termini di tossicità. 60 Alcuni studi hanno dimostrato una maggiore efficacia della radioterapia metabolica associata a farmaci antiblastici.In uno studio randomizzato in doppio cieco di fase III condotto su 70 pazienti affetti da metastasi ossee da neoplasia prostatica ormono-refrattaria 61(Livello di Evidenza SIGN 1+) l’associazione della radioterapia con Sr-89 al cisplatino ha ottenuto una percentuale maggiore di risposte rispetto al trattamento con Sr-89 e placebo. La risposta globale al dolore (completa, parziale, e minima) è stata rispettivamente del 91% vs il 63% (p<0.01) dei pazienti. La durata mediana dell’effetto antalgico è stata inoltre significativamente maggiore nel gruppo di pazienti trattati con il cis-platino (120 giorni vs 60; P=0.002). Nessuna differenza statisticamente significativa è stata riscontrata tra i due gruppi in termini di sopravvivenza globale e di tossicità. Risultati analoghi sono stati ottenuti con il carboplatino in pazienti con neoplasia prostatica e mammaria 62. Tu et al, in uno studio randomizzato condotto su 72 pazienti con neoplasia prostatica, ha dimostrato un incremento del time to progression (13.9 vs 7.0 mesi) e della sopravvivenza globale (28 mesi vs 17) con Sr89 associato alla doxorubicina rispetto alla sola doxorubicina 63. (Livello di Evidenza SIGN 1+) Non sono riportate tuttavia valutazioni riguardo alla qualità di vita dei pazienti. Neutropenia e anemia sono state più comuni nei pazienti sottoposti a terapia combinata (Sr-89 + doxorubicina). Due studi randomizzati hanno valutato l’associazione della terapia radiometabolica alla radioterapia a fasci esterni. Porter et al 64, hanno ottenuto una risposta completa del dolore a 3 mesi pari al 40% nei pazienti sottoposti a radioterapia a fasci esterni e somministrazione di Sr-89 (68 pazienti), ed al 23% in quelli trattati con la sola radioterapia esterna (58 pazienti). (Livello di Evidenza SIGN 1+). 121 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Inoltre la terapia combinata ha comportato una riduzione del consumo di analgesici e una minore incidenza di dolore in altre sedi. Tuttavia in un altro studio, condotto da Smeland et al, non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa in termini di risposta antidolorifica tra il gruppo sottoposto a radioterapia a fasci esterni e Sr-89 (46 pazienti) rispetto a quelli trattati con sola radioterapia a fasci esterni (49 pazienti) 65. (Livello di Evidenza SIGN 1+) 4.3 Samario-EDTMP (Sm-153) Il samario 153 è un lantanide prodotto a partire dal samario 152 per irradiazione neutronica. Ha un’emivita fisica di 46,27 ore ed emette particelle β con energia media di 255 KeV. Nel corso del processo di decadimento, emette anche radiazioni γ di 103 KeV di energia, che possono essere rilevate con gammacamera, il che consente di effettuare anche una scansione scintigrafia dopo la somministrazione della dose terapeutica. Non possiede proprietà osteotrope intrinseche per cui per consentire la sua penetrazione nel tessuto osseo deve essere coniugato a farmaci con tropismo osseo, quali i difosfonati (etilene-diamino-tetrametilen-difosfonato EDTMP). Questo complesso si localizza nelle aree a maggior turn-over osseo. Dopo la somministrazione per via parenterale meno dell’1% rimane in circolo dopo 5 ore. Circa il 65% della dose rimane nello scheletro. L’escrezione urinaria completa si ha dopo circa 6 ore dalla somministrazione. Può essere utilizzato per il trattamento di metastasi ossee osteoblastiche di diversi tumori. Viene generalmente somministrato alla dose di 37 MBq/Kg (1 mC/kg) e non esistono evidenze che dosi maggiori portino ad un incremento qualitativo o di durata dell’analgesia 66. Il controllo del dolore si raggiunge in 7-28 giorni con percentuali di risposte che variano nelle diverse casistiche dal 60 al 75% con un intervallo che va da 4 a 36 settimane dalla singola somministrazione. Presenta una discreta tossicità midollare tale da limitare la ripetizione di cicli nel 60% dei pazienti. Il vantaggio dell’impiego del Sm-153 rispetto al Sr-89 è legata alla più breve emivita del primo composto con conseguente minore tossicità. Entrambi i radiocomposti sono efficaci nel controllo del dolore, sebbene non esistono studi randomizzati che ne confrontano l’impiego clinico. Non ci sono esperienze in letteratura che confrontano l’efficacia della somministrazione del Sm-153 con la radioterapia a fasci esterni. 4.4 Renio-HEDP (Re-186) Il Re-186 è un radionuclide β-emittente con energia media di 0.349 MeV. Decade con emivita fisica di 89,3 ore emettendo il 9% di radiazioni γ con energia di 137 KeV. Come il Samario con possiede proprietà osteotrope, per cui è necessaria la combinazione con l’etildronato (HEDP), un difosfonato utilizzato in ambito clinico per la cura dell’osteoporosi e per il dolore neoplastico. Oltre il 50% viene eliminato poche ore dopo la somministrazione. Uno studio randomizzato in doppio cieco ha valutato l’efficacia del Re-186 rispetto al placebo in pazienti con metastasi ossee da neoplasia prostatica67. La percentuale di risposte è stata del 65% nel gruppo dei pazienti trattati con il radionuclide rispetto al 36% dei pazienti sottoposti a placebo. Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i due gruppi in termini di sopravvivenza globale. Uno studio randomizzato di fase III condotto da Sciuto et al, ha evidenziato una percentuale di risposte globale al dolore del 92% in pazienti affette da metastasi ossee da carcinoma mammario, sovrapponibile al valore ottenuto nelle pazienti sottoposte a terapia con Sr-89 anche se la risposta era più precoce nelle pazienti sottoposte a terapia con Re-186 61. La tossicità è prevalentemente ematologica. Il nadir piastrinopenico si ha tra la IV e la VI settimana e quello leucopenico alla V settimana. 122 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 4.5 Radium-223 chloride Radium-223 chloride è un farmaco sperimentale in sviluppo per i pazienti affetti da tumore e da metastasi ossee. Il farmaco è un calcio mimetico, che emette particelle alfa e che mima il comportamento del calcio all'interno del corpo. Ha dimostrato in un recente studio di fase III, randomizzato e in doppio cieco, controllato verso placebo condotto in pazienti affetti da tumore alla prostata con metastasi ossee refrattario alla castrazione chimica e, alcuni dei quali, alla chemioterapia con docetaxel, di incrementare la sopravvivenza, il tempo alla comparsa del primo SRE e di ridurre il dolore osseo 114. (Livello di Evidenza SIGN 1+). I risultato dello studio Alsympca hanno portato all’approvazione EMA e più recentemente AIFA dell’Alpharadin con l’indicazione al “trattamento di soggetti adulti affetti da carcinoma prostatico resistente alla castrazione, con metastasi ossee sintomatiche e senza metastasi viscerali note”, e, con tale indicazione, è pertanto divenuto disponibile anche in Italia. 4.6 Aspetti gestionali e radioprotezionistici Uno degli aspetti organizzativi più importanti di cui si deve tenere conto nella programmazione dei trattamenti di terapia radiometabolica è rappresentato dalla modalità di ricovero dei pazienti in cura. I radiofarmaci emettono fotoni e radiazioni beta e vengono eliminati per via renale e intestinale. Ciò rappresenta un rischio di esposizione a radiazioni ionizzanti per la popolazione sana a contatto con il paziente e di contaminazione ambientale (smaltimento dei rifiuti radioattivi). E’ quindi estremamente importante che siano definite delle regole chiare che indichino quando sia possibile effettuare la terapia radiometabolica in regime ambulatoriale e, in caso di ricovero, quando sia possibile dimettere il paziente. Tali regole devono garantire che l’eventuale irradiazione di individui della popolazione a contatto con i pazienti sia mantenuta entro livelli “accettabili”, inferiori ai limiti di dose fissati dalla legislazione vigente. I radiofarmaci impiegati nel trattamento delle metastasi ossee hanno una emivita molto ridotta ed emettono radiazioni beta, con un’emissione fotonica di minima entità. Ciò comporta trascurabili rischi di irradiazione esterna della popolazione sana, irrilevante contaminazione ambientale, e necessità di ricovero solo per paziente incontinenti. La terapia delle metastasi scheletriche dunque può essere eseguita in regime ambulatoriale purchè vengano rispettate alcune norme nei 7 giorni successivi alla somministrazione quali: attenzione alla igiene personale; utilizzo di lenzuola, bicchieri, piatti, e posate personali; lavaggio separato di biancheria e corredi personali. E’ inoltre opportuno che il paziente eviti di avvicinare donne in stato interessante o bambini piccoli (neonati o adolescenti). Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B La radioterapia metabolica è efficace nel controllo del dolore nei pazienti con multiple metastasi ossee al pari della radioterapia a fasci esterni, con indicazione specifica nel carcinoma prostatico ormono-refrattario plurimetastatizzato. Positiva Forte B La radioterapia metabolica associata alla chemioterapia ottiene un maggiore controllo del dolore rispetto alla sola chemioterapia, con un potenziale incremento della tossicità ematologica. Positiva Forte 123 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica B L’aggiunta della terapia radiometabolica alla radioterapia a fasci esterni non è raccomandabile in quanto non aumenta la probabilità di controllo del dolore Negativa Debole B Sr-89 è opzione di prima scelta terapeutica nei pazienti affetti da carcinoma della prostata resistente alla castrazione, con malattia scheletrica Positiva Forte B Il radium-223 chloride è opzione di prima scelta terapeutica nei pazienti affetti da carcinoma della prostata resistente alla castrazione, con malattia scheletrica Positiva Forte Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. Portenoy RK, Kauner R; Pain Sindrome with cancer.Philadelphia:1996;191-215 Hoskin PJ, et al. Effect of local radiotherapy for bone pain on urinary markers of osteoclast activity. Lancet. 2000;355(9213):1428–9. Tong D, Gillik L, Hendrickson Fr. 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Questi farmaci hanno dimostrato di ritardare gli SRE e di ridurre il dolore. Prima di iniziare questi farmaci indicata visita odontoiatrica preventiva ed eventuale bonifica del cavo orale. La durata ottimale della terapia farmacologica non è a tutt’oggi completamente definita. Sono suggerite le stesse strategie indicate per le metastasi non complicate con o senza dolore (1++) No Metastasi ossea complicata (compressione spinale o frattura imminente) Si La radioterapia e/o la chirurgia dovrebbero essere prontamente considerate, quando appropriate (1++) L’acido zoledronico o il denosumab o il pamidronato sono indicati poichè ritardano la comparsa del primo e dei successivi SRE (1++) L’acido zoledronico o il denosumab o il pamidronato sono indicati poichè ritardano la comparsa del primo e dei successivi SRE. (1++) No Precedente SRE: radioterapia, chirurgia ortopedica Si L’acido zoledronico o il denosumab o il pamidronato sono indicati poichè ritardano la comparsa dei successivi SRE (1++) TRATTAMENTO DELLE METASTASI SCHELETRICHE (MAMMELLA) LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 14. Figure 130 Diagnosi di metastasi ossea non complicata Indicazione per: acido zoledronico o denosumab (sempre con supplementazione –raccomandazione positiva forte) anche in assenza di dolore (1++). Questi farmaci hanno dimostrato di ritardare gli SRE e la comparsa del dolore. No Dolore osseo Si Indicazione per: acido zoledronico o denosumab (1++) (sempre in associazione alla supplementazione con vitamina D e calcioraccomandazione positiva forte-), in associazione con la radioterapia a scopo antalgico (1++). Questi farmaci hanno dimostrato di ritardare gli SRE e di ridurre il dolore. Prima di iniziare questi farmaci indicata visita odontoiatrica preventiva ed eventuale bonifica del cavo orale. La durata ottimale della terapia farmacologica non è a tutt’oggi completamente definita. Sono suggerite le stesse strategie indicate per le metastasi non complicate con o senza dolore (1++). No Metastasi ossea complicata (compressione spinale o frattura imminente) Si La radioterapia e/o la chirurgia dovrebbero essere prontamente considerate, quando appropriate (1++) L’acido zoledronico o il denosumab sono indicati poichè ritardano la comparsa del primo e dei successivi SRE (1++). L’acido zoledronico o il denosumab sono indicati poichè ritardano la comparsa del primo e dei successivi SRE. (1++). No Precedente SRE: radioterapia, chirurgia ortopedica Si L’acido zoledronico o il denosumab sono indicati poichè ritardano la comparsa dei successivi SRE (1++). TRATTAMENTO DELLE METASTASI SCHELETRICHE (PROSTATA- RESISTENTE ALLA CASTRAZIONE) LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Diagnosi di metastasi ossea non complicata 131 No Indicazione per: denosumab (sempre con supplementazione – raccomandazione positiva debole) anche in assenza di dolore (4; raccomandazione positiva forte). Dolore osseo Si Indicazione per: denosumab (4; raccomandazione positiva debole) (sempre in associazione alla supplementazione con vitamina D e calcio- raccomandazione positiva forte-), in associazione con la radioterapia a scopo antalgico (1++). Questi farmaci hanno dimostrato di ritardare gli SRE e di ridurre il dolore. Prima di iniziare questi farmaci indicata visita odontoiatrica preventiva ed eventuale bonifica del cavo orale. La durata ottimale della terapia farmacologica non è a tutt’oggi completamente definita. Sono suggerite le stesse strategie indicate per le metastasi non complicate con o senza dolore (4; raccomandazione positiva debole). No Metastasi ossea complicata (compressione spinale o frattura imminente) Si La radioterapia e/o la chirurgia dovrebbero essere prontamente considerate, quando appropriate (1++) Il denosumab è indicato poichè ritardano la comparsa del primo e dei successivi SRE (4; raccomandazione positiva forte). Il denosumab è indicato (4, raccomandazione positiva debole). No Precedente SRE: radioterapia, chirurgia ortopedica Si Il denosumab è indicati (4, raccomandazione positiva debole). TRATTAMENTO DELLE METASTASI SCHELETRICHE (PROSTATA- ORMONOSENSIBILE) LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Diagnosi di metastasi ossea non complicata 132 No Indicazione per: acido zoledronico o denosumab (sempre con supplementazione –raccomandazione positiva forte) anche in assenza di dolore (1-). Dolore osseo Si Indicazione per: acido zoledronico o denosumab (1-) (sempre in associazione alla supplementazione con vitamina D e calcioraccomandazione positiva forte-), in associazione con la radioterapia a scopo antalgico (1++). Questi farmaci hanno dimostrato di ritardare gli SRE e di ridurre il dolore. Prima di iniziare questi farmaci indicata visita odontoiatrica preventiva ed eventuale bonifica del cavo orale. La durata ottimale della terapia farmacologica non è a tutt’oggi completamente definita. Sono suggerite le stesse strategie indicate per le metastasi non complicate con o senza dolore (1-). No Metastasi ossea complicata (compressione spinale o frattura imminente) Si La radioterapia e/o la chirurgia dovrebbero essere prontamente considerate, quando appropriate (1++) L’acido zoledronico o il denosumab sono indicati poichè ritardano la comparsa del primo e dei successivi SRE (1-). L’acido zoledronico o il denosumab sono indicati (1-) No Precedente SRE: radioterapia, chirurgia ortopedica Si L’acido zoledronico o il denosumab sono indicati (1-) TRATTAMENTO DELLE METASTASI SCHELETRICHE (ALTRI TUMORI SOLIDI) LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE 15. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE QUESITO 1: Nelle pazienti in post-menopausa operate per carcinoma mammario in trattamento con inibitori dell’aromatasi è raccomandabile l’impiego di denosumab verso bifosfonati? RACCOMANDAZIONE: Nelle pazienti in post-menopausa operate per carcinoma mammario in trattamento con inibitori dell’aromatasi il trattamento con denosumab può essere utilizzato. Forza della raccomandazione: Positiva Debole Motivazioni/Commenti al bilancio Beneficio/Danno: A fronte di un positivo effetto sulla prevenzione e recupero della massa ossea (BMD) non vi sono dati sull’effetto antifratturativo e non vi sono dati di vantaggio rispetto alla terapia con bisfosfonati. Inoltre, non si conosce cosa possa accadere al metabolismo osseo dopo la sospensione di denosumab Votazione forza raccomandazione Positiva forte Positiva debole Negativa debole 3 2 Votazione bilancio Beneficio/Danno Negativa forte Favorevole Incerto Sfavorevole 5 Implicazioni per le ricerche future: Maggiori informazioni sull’impiego a lungo termine di denosumab Qualità delle Evidenze La qualità delle evidenze è stata giudicata dal panel BASSA in quanto tali evidenze derivano da confronti indiretti. Non esistono infatti studi clinici randomizzati di confronto diretto tra denosumab e acido zoledronico. La mancanza del dato riguardante l’effetto del trattamento sulla prevenzione delle fratture osteoporotiche rende il dato di qualità basso. I dati non sono maturi in quanto il follow-up adeguato non è stato ancora raggiunto dallo studio. Carenza di analisi per intenzione al trattamento. Qualità globale delle evidenze: BASSA Questa raccomandazione è stata prodotta con metodo GRADE. In appendice online: quesito clinico all’origine della raccomandazione, votazione della criticità degli outcome, tabella GRADE completa e caratteristiche del panel. 133 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE QUESITO 2: Nelle pazienti affette da carcinoma mammario con metastasi ossee alla prima diagnosi è raccomandabile l’impiego di denosumab verso bifosfonati? RACCOMANDAZIONE: Nelle pazienti affetta da carcinoma mammario con metastasi ossee alla prima diagnosi il trattamento con denosumab può essere utilizzato. Forza della raccomandazione: Positiva Debole Motivazioni/Commenti al bilancio Beneficio/Danno: A fronte di un profilo di sicurezza comparabile con i bifosfonati vi è un vantaggio nella riduzione degli SRE e nel tempo al primo SRE Votazione forza raccomandazione Positiva forte Positiva debole Negativa debole Votazione bilancio Beneficio/Danno Negativa forte Favorevole 5 Incerto Sfavorevole 5 Implicazioni per le ricerche future: Maggiori informazioni sull’impiego a lungo termine di denosumab Qualità delle Evidenze La qualità delle evidenze è stata giudicata dal panel MODERATA in quanto la meta-analisi valutata includeva anche studi di fase II. Qualità globale delle evidenze: MODERATA Questa raccomandazione è stata prodotta con metodo GRADE. In appendice online: quesito clinico all’origine della raccomandazione, votazione della criticità degli outcome, tabella GRADE completa e caratteristiche del panel. 134 Allegato: Tabelle GRADE evidence profile LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Author(s): MC Date: 2012-07-04 Question: Nelle pazienti affette da carcinoma mammario con metastasi ossee alla prima diagnosi è raccomandabile l’impiego di denosumab verso bifosfonati? Settings: Bibliography: Wong, 2012 Cochrane Review; Stopeck (2010), J Clin Oncol 28:5132-5139 Valutazione della qualità Numero di pazienti Effetto Qualità Importanza Numero di Altre Relativo Disegno Risk of bias Inconsistency Indirectness Imprecision Denosumab Bifosfonati Assoluto studi considerazioni (95% CI) SRE (SRE definite come frattura patologica dell’osso, trattamenti radioterapici su osso, chirurgia su osso e compressione della spina dorsale) (Stopeck, 2010) Studi clinici Non Non Non 519/1267 633/1078 RR 0.78 (0.72 129 in meno per 1000 (da 88 3 Importante1 Nessuna2 CRITICA randomizzati importante importante importante (41%) (58.7%) a 0.85) in meno a 164 in meno) MODERATA Insufficienza renale (follow-up mediana 34 mesi) Studi clinici Non Non Non Non 2/1026 26/1020 RR 0.08 (0.02 23 in meno per 1000 (da 17 in 1 Nessuna CRITICA randomizzati 3 importante importante importante importante (0.19%) (2.5%) a 0.33) meno a 25 in meno) ALTA ONJ (follow-up mediana 34 mesi) Studi clinici Non Non Non Non 14/1026 20/1020 RR 0.7 (0.36 a 6 in meno per 1000 (da 13 in 1 Nessuna CRITICA randomizzati 3 importante importante importante importante (1.4%) (2%) 1.36) meno a 7 in più) ALTA Ipocalcemia Studi clinici Non Non Non Non 56/1020 34/1013 RR 1.62 (1.07 21 in più per 1000 (da 2 in più 1 Nessuna IMPORTANTE randomizzati 3 importante importante importante importante (5.5%) (3.4%) a 2.45) a 49 in più) ALTA 1 La meta-analisi prende in considerazione anche studi di fase II, che di norma non sono potenziati per valutare una possibile differenza tra due gruppi 2 Ad oggi esistono solo tre studi che trattano con Denosumab pazienti affette da carcinoma mammario con metastasi ossee. Il fenomeno del publication bias, in questo caso, è molto poco probabile. 3 I risultati derivano dallo studio Stopeck, 2010 136 LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE Author(s): MC Date: 2012-06-29 Question: Nelle pazienti in post-menopausa operate per carcinoma mammario in trattamento con inibitori dell’aromatasi è raccomandabile l’impiego di denosumab verso bifosfonati?1 Settings: Bibliography: Ellis (2008), J Clin Oncol 26:4875-4882 Valutazione della qualità Numero di pazienti Effetto Qualità Importanza Numero di Altre Disegno Risk of bias Inconsistency Indirectness Imprecision Denosumab Placebo studi considerazioni 2 3 Fratture osteoporotiche (follow-up 12 mesi ; valutato con: fratture delle vertebre) Studi clinici Non Non 1 Importante4 Importante5 Nessuna 123 122 randomizzati importante importante 3 6 bone mineral density (follow-up 12 mesi ; valutato con: DXA con Hologic or Lunar (at 12 mesi) ; range: 0%-100%) Studi clinici Non Non 1 Importante4 Importante5 Nessuna 123 122 randomizzati importante importante Insufficienza renale Relativo (95% CI) Assoluto - - - Mean Difference 5.5 in più7 BASSA CRITICA IMPORTANTE BASSA CRITICA ONJ CRITICA Ipocalcemia (follow-up 12 mesi3; valutato con: analisi di laboratorio) Studi clinici Non Non 2/129 2/120 RR 0.94 (0.13 to 1 in meno per 1000 (da 15 in 1 Importante4 Importante5 Nessuna IMPORTANTE randomizzati importante importante (1.6%) (1.7%) 6.54)8 meno a 92 in più) BASSA 1 La ricerca bibliografica per il confronto richiesto non ha prodotto nessun risultato perciò si è preso in considerazione il confronto: Denosumab vs placebo 2 Non sono stati riportati dati relativi alle fratture vertebrali 3 Il periodo di osservazione dello studio era di 24 mesi ma i dati relativi a tale follow-up non sono ancora maturi. Per tale motivo si riportano i risultati relativi a 12 mesi di follow-up. 4 L’analisi è stata condotta usando il metodo: Last Observation Carried Forward. Questo metodo può introdurre bias nella stima dell’effetto del trattamento e potrebbe sottostimare la variabilità della stima dei risultati 5 Denosumab è confrontato con placebo e non con bifosfonati 6 Percentuale relativa alla differenza rispetto al baseline 7 Non è stato possibile calcolare l’intervallo di confidenza in quanto non è stato riportato il valore del p-value esatto. 8 Calcolato sulla base del numeri di eventi verificati 137