Linee guida TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE

Linee guida
TRATTAMENTO DELLE
METASTASI OSSEE
Edizione 2015
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Coordinatore
Daniele Santini
Oncologia Medica - Università Campus Bio-Medico - Roma
Segretario
Gaetano Lanzetta
Oncologia Medica - Casa di Cura I.N.I. Grottaferrata Roma
Estensori
Alfredo Berruti
Oncologia Medica - Università di Brescia
Francesco Bertoldo
Vincenzo Denaro
Toni Ibrahim
Sara Ramella
Carla Ripamonti
Revisori
Servizio Malattie e Metabolismo Minerale - Università degli studi Verona
Ortopedia e Traumatologia - Policlinico Universitario Campus BioMedico - Roma
Osteoncologia - Ist. Tumori della Romagna - Meldola (FC)
Radioterapia Oncologica - Policlinico Universitario Campus BioMedico - Roma
Cure di Supporto al Paziente Oncologico - Fondazione Istituto
Nazionale Tumori - Milano
Oncologia Medica - A. O. Treviglio-Caravaggio Treviglio (BG)
Clinica Oncologia Medica - A.O. U. Umberto I Lancisi-Salesi - Ancona
Ortopedia Oncologica e Ricostruttiva - Azienda
Ospedaliero Universitaria Careggi - Firenze
Radioterapia Oncologica - Azienda Ospedaliera S.
Maria - Terni
Sandro Barni
AIOM
Rossana Berardi
ISO
Rodolfo Capanna
SIOT
Ernesto Maranzano
AIRO
Andrea Piccioli
SIOT
Ortopedia Oncologia - Policlinico Umberto I - Roma
Roberto Sabbatini
AIOM
Oncologia - A.O. Univ. Policlinico - Modena
2
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Indice
1.
2.
3.
4.
5.
7.
8.
9.
10
11.
12.
13.
14.
15.
Introduzione ................................................................................................................................ 6
Obiettivi del trattamento delle metastasi ossee: prevenzione degli SREs, controllo del dolore e
aumento di sopravvivenza .......................................................................................................... 7
Gli end-point di efficacia nel trattamento delle metastasi ossee: quality of life, bone markers . 8
Bone Taget Therapy ................................................................................................................... 9
I bifosfonati e la safety ............................................................................................................. 62
Il trattamento farmacologico del dolore da metastasi ossee ..................................................... 71
Bifosfonati e sopravvivenza .................................................................................................... 73
Il ruolo dei bisfosfonati nel paziente anziano e/o con comorbidità .......................................... 80
L’uso dei bifosfonati in associazione con le terapie specifiche (chemioterapia, radioterapia,
farmaci biologici) ..................................................................................................................... 82
Le nuove molecole.................................................................................................................... 84
Il ruolo della chirurgia ortopedica delle metastasi ossee .......................................................... 88
Il ruolo della radioterapia nel trattamento delle metastasi ossee ............................................ 103
Figure ...................................................................................................................................... 129
Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE ........................................................... 133
Allegato: Tabelle GRADE evidence profile
3
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Formulazione dei quesiti e delle raccomandazioni SIGN
La formulazione del quesito sul quale si andrà a porre la raccomandazione clinica non dovrebbe essere
generico (del tipo: “qual è il ruolo di xxx nel trattamento…”), bensì aderente alla strutturazione P.I.C.O. e
cioè:
“Nei pazienti con (menzionare le specifiche caratteristiche di malattia, stadio, ecc.)………..
il trattamento con (descrivere l’intervento terapeutico oggetto del quesito)………………….
è suscettibile di impiego in alternativa a….. (descrivere il trattamento altrimenti considerato in
alternativa all’intervento in esame)?”
Le raccomandazioni vengono presentate in tabelle.
Nel caso delle raccomandazioni prodotte con metodologia SIGN (Scottish Intercollegiate Guidelines
Network), la riga d’intestazione della tabella è verde, mentre è in arancione nel caso di applicazione del
metodo GRADE (v. capitolo specifico).
Qualità dell’evidenza
SIGN (1)
Raccomandazione clinica (3)
Forza della
raccomandazione
clinica (2)
B
Nel paziente oncologico in fase avanzata di malattia,
con dolore di diversa etiologia, la somministrazione di
FANS e paracetamolo dovrebbe essere effettuata per
periodi limitati e con attenzione ai possibili effetti
collaterali.
Positiva debole
(1) Qualità dell’evidenza SIGN
Nell’approccio SIGN, la qualità delle evidenze (singoli studi / metanalisi…) a sostegno della
raccomandazione viene valutata tenendo conto sia del disegno dello studio sia di come esso è stato condotto:
il Livello di Evidenza viene riportato nel testo a lato della descrizione degli studi ritenuti rilevanti a sostegno
o contro uno specifico intervento. I livelli di evidenza dovranno essere precisati (e riportati nel testo) solo per
le evidenze (studi) che sostengono la raccomandazione clinica e che contribuiscono a formare il giudizio
della Qualità delle Evidenze SIGN.
Livelli di Evidenza SIGN
1
Revisioni sistematiche e meta-analisi di RCT o singoli RCT
1 ++
1+
1-
Rischio di bias molto basso.
Rischio di bias basso.
Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili.
Revisioni sistematiche e meta-analisi di studi epidemiologici di caso/controllo o di coorte o singoli studi
di caso/controllo o di coorte.
Rischio di bias molto basso, probabilità molto bassa di fattori confondenti, elevata probabilità di
relazione causale tra intervento e effetto.
Rischio di bias basso, bassa probabilità presenza fattori di confondimento, moderata probabilità di
relazione causale tra intervento e effetto.
Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili, esiste un elevato rischio che la
relazione intervento/effetto non sia causale.
2
2 ++
2+
23
Disegni di studio non analitici come report di casi e serie di casi.
4
Expert opinion.
4
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
La Qualità Globale delle Evidenze SIGN viene quindi riportata con lettere (A, B, C ,D) che sintetizzano il
disegno dei singoli studi, unitamente all’indicazione sulla diretta applicabilità delle evidenze e alla eventuale
estrapolazione delle stesse dalla casistica globale.
Ogni lettera indica la “fiducia” nell’intero corpo delle evidenze valutate che sostengono la
raccomandazione; NON riflettono sempre l’importanza clinica della raccomandazione e NON sono
sinonimo della forza della raccomandazione clinica
Qualità Globale delle Evidenze SIGN
A
B
Almeno una meta-analisi o revisione sistematica o RCT valutato 1++ e direttamente applicabile alla
popolazione target oppure
Il corpo delle evidenze disponibili consiste principalmente in studi valutati 1+ direttamente
applicabili alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto
Il corpo delle evidenze include studi valutati 2++ con risultati applicabili direttamente alla
popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto.
Evidenze estrapolate da studi valutati 1++ o 1+
C
Il corpo delle evidenze include studi valutati 2+ con risultati applicabili direttamente alla
popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto.
Evidenze estrapolate da studi valutati 2++
Evidenze di livello 3 o 4
D
Evidenze estrapolate da studi valutati 2+
(2) LA RACCOMANDAZIONE CLINICA
Deve esprimere l’importanza clinica di un intervento/procedura. Dovrebbe essere formulata sulla base del
P.I.C.O. del quesito (popolazione, intervento, confronto, outcome). In alcuni casi può contenere delle
specifiche per i sottogruppi, indicate con il simbolo √.
La forza della raccomandazione clinica viene graduata in base all’importanza clinica, su 4 livelli:
Forza della
raccomandazione
Terminologia
Significato
clinica
Positiva Forte
Positiva Debole
Negativa Debole
Negativa Forte
“Nei pazienti con (criteri di selezio-ne)
l’intervento xxx dovrebbe es-sere
preso inconsiderazione come opzione
terapeutica di prima inten-zione”
“Nei pazienti con (criteri di selezione)
l’intervento xxx può essere preso in
considerazione come opzione
terapeutica di prima intenzione, in
alternativa a yyy”
“Nei pazienti con (criteri di selezione)
l’intervento xxx non dovrebbe essere
preso in considerazione come opzione
terapeutica di prima intenzione, in
alternativa a yyy”
“Nei pazienti con (criteri di selezio-ne)
l’intervento xxx non deve es-sere preso
inconsiderazione come opzione
terapeutica di prima inten-zione”
5
L’intervento in esame dovrebbe essere conside-rato
come prima opzione terapeutica (evidenza che i
benefici sono prevalenti sui danni)
L’intervento in esame può essere considerato come
opzione di prima intenzione, consapevoli
dell’esistenza di alternative ugualmente proponibili
(incertezza riguardo alla prevalenza dei benefici sui
danni)
L’intervento in esame non dovrebbe essere
considerato come opzione di prima intenzione; esso
potrebbe comunque essere suscettibile di impiego
in casi altamente selezionati e previa completa
condivisione con il paziente (incertezza riguardo
alla prevalenza dei danni sui benefici)
L’intervento in esame non deve essere in alcun caso
preso in considerazione (evidenza che i danni sono
prevalenti sui benefici)
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
1.
Introduzione
Daniele Santini
L’osso rappresenta la terza sede più comune di metastasi, preceduto solo da polmone e fegato. In Italia è
possibile stimare un’incidenza annuale di metastasi ossee di circa 35.000 nuovi casi /anno. Circa l’80% delle
metastasi scheletriche è sostenuto dai tumori della mammella, della prostata, del polmone, del rene e della
tiroide (1).
Si sta osservando inoltre un progressivo aumento di incidenza delle metastasi ossee correlato al fatto che il
malato oncologico grazie a terapie più efficaci vive più a lungo (1).
Circa il 25% dei pazienti con metastasi ossee rimane asintomatico, la diagnosi viene fatta con esami eseguiti
per altri motivi o durante la stadiazione del tumore primitivo. Nel restante 75% le localizzazioni ossee sono
responsabili, dal punto di vista clinico, di una serie di complicanze, definite eventi scheletrici correlati (SRE)
(2,3). Gli SRE sono, secondo le linee guida internazionali, la frattura patologica, la radioterapia su un
segmento osseo, la chirurgia ortopedica, la compressione midollare e l’ipercalcemia. La frequenza degli
eventi scheletrici dipende dalla natura osteolitica od osteoaddensante delle lesioni ossee, dalla loro sede e
numero, dalla gestione e dal trattamento delle complicanze stesse. Il dolore è il sintomo più frequente (2,3).
Gli eventi scheletrici e il dolore hanno dimostrato in diversi studi di peggiorare in maniera significativa la
qualità di vita del paziente, riducendone l’autonomia funzionale e peggiorando lo stato psico-emozionale
dello stesso. Inoltre sono ormai chiare le evidenze cliniche di una correlazione diretta tra eventi scheletrici ed
incremento della mortalità nel tumore della mammella, della prostata, del polmone e nel mieloma multiplo.
Infine la gestione del paziente con metastasi ossee e delle sue complicanze rappresenta un problema centrale
anche da un punto di vista della spesa sanitaria (4,5).
Per tutti questi motivi riteniamo che sia giunto il giusto momento per la stesura delle prime linee guida
nazionali sulle metastasi ossee che auspichiamo potranno divenire un utile strumento nella pratica clinica
dell’operatore sanitario (oncologo medico, radioterapista, ortopedico) che si trova a gestire e trattare il
paziente oncologico con metastasi ossee.
La stesura delle presenti linee guida è stata basata sull’ausilio:
 Delle linee guida e raccomandazioni già pubblicate da parte di altre organizzazioni scientifiche
internazionali (American Society of Clinical Oncology; Guidance on the use of bisphosphonates in solid
tumours: recommendations international expert panel by M Aapro et al.; Chocrane network reviews;
Practical guidance for the management of aromatase inhibitor-associated bone loss by Hadji P et al.;
European Organization for Research and Treatment of Cancer);
 Di un’estesa ed aggiornata valutazione critica della letteratura pubblicata sull’argomento mediante una
ricerca bibliografica sui più comuni motori di ricerca medica per i full Paper e sui siti online dei meeting
internazionali per gli abstract.
Ogni affermazione è stata supportata da almeno una referenza bibliografica, aggiornata a Giugno 2013 e,
quando possibile e necessario, è stato formulato il livello di prove di efficacia e di forza delle
raccomandazioni, secondo il metodo SIGN
Take home message: L’incidenza delle metastasi ossee secondarie a tumori solidi è in costante aumento.
Le metastasi ossee causano importanti complicanze (SREs), con conseguente peggioramento della qualità
di vita e incremento della mortalità. Pertanto si è ritenuta indicata la stesura di aggiornate Linee Guida che
diano indicazioni e direttive riguardanti la gestione del paziente con metastasi ossee. Metodo utilizzato
SIGN.
Bibliografia
1. Tubiana-Hulin M.Incidence, prevalence and distribution of bone metastases. Bone. 1991;12 Suppl 1:S9-10.
2. Coleman RE. Clinical features of metastatic bone disease and risk of skeletal morbidity. Clin Cancer Res. 2006 Oct
15;12(20 Pt 2):6243s-6249s.
3. Coleman RE. Skeletal complications of malignancy. Cancer. 1997 Oct 15;80(8 Suppl):1588-94.
6
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
4. Weinfurt KP, Li Y, Castel LD, Saad F, Timbie JW, Glendenning GA, Schulman KA. The significance of skeletalrelated events for the health-related quality of life of patients with metastatic prostate cancer. Ann Oncol. 2005
Apr;16(4):579-84.
5. Zeliadt SB, Penson DF. Pharmacoeconomics of available treatment options for metastatic prostate cancer.
Pharmacoeconomics. 2007;25(4):309-27.
2.
Obiettivi del trattamento delle metastasi ossee: prevenzione degli
SREs, controllo del dolore e aumento di sopravvivenza
Daniele Santini, Vladimir Virzì, Maria Elisabetta Fratto
Le metastasi ossee sono associate ad una importante morbilità scheletrica, come dolore osseo severo che può
richiedere terapia antidolorifica o radiante palliativa, fratture patologiche, compressione del midollo spinale
o delle radici nervose e ipercalcemia maligna. Tutti questi eventi riducono la qualità di vita dei pazienti.
Sono quindi necessarie terapie efficaci che riducano e ritardino queste complicanze scheletriche. Gli approcci
tradizionali per il trattamento di questi pazienti comprendono le terapie antineoplastiche (chemioterapie o
terapie biologiche), radioterapia, chirurgia ortopedica, che possono essere somministrate in associazione con
le terapie di supporto o palliative.
In aggiunta a queste terapie, in questi ultimi anni si stanno utilizzando i bifosfonati come opzione terapeutica
efficace nella prevenzione delle complicanze scheletriche associate alle metastasi ossee. Il principale
obiettivo della terapia delle metastasi ossee è di prevenire gli eventi scheletrici correlati alle metastasi ossee
(SREs), che sono: fratture, ipercalcemia maligna, compressione del midollo spinale, necessità di radioterapia
antalgica e chirurgia ossea decompressiva [1]. Ma la terapia delle metastasi ossee è anche diretta a ridurre il
dolore secondario alla malattia ossea metastatica e possibilmente ad aumentare la sopravvivenza dei pazienti
con metastasi ossee. Per verificare l’efficacia dei bifosfonati nel raggiungimento di tali obiettivi vengono
utilizzati obiettivi specifici di efficacia. Ad esempio, il numero di pazienti con il primo SRE o il tempo al
primo SRE sono end-points oggettivi che forniscono valutazioni dell’efficacia del trattamento [2], anche se
tali parametri forniscono informazioni solo sul primo evento, non considerando i dati su tutti gli eventi
successivi. Il tasso di morbilità scheletrica (SMR) o il tasso di morbilità scheletrica periodica (SMPR) sono
end-points che valutano il numero di eventi che insorgono in un determinato periodo di tempo (es.
eventi/anno). Tali parametri valutano l’insorgenza di multipli eventi scheletrici, prendendo in considerazione
il tempo tra ogni evento successivo; comunque l’evidenza clinica suggerisce che i pazienti con metastasi
ossee mostrano variazioni considerevoli del numero di eventi scheletrici e dell’intervallo di tempo in cui essi
possono insorgere [3]. Le analisi di regressione, come l’analisi di Andersen-Gill, considerano tutti gli eventi
così come il tempo tra gli eventi, considerando anche le variazioni tra diversi pazienti e nello stesso paziente
[4]. L’analisi di Poisson, non considerando i tassi di eventi non costanti, è soggetta agli stessi limiti delle
altre analisi. Al contrario l’analisi di eventi multipli fornisce una valutazione complessiva della morbilità
scheletrica durante l’intero periodo del follow-up. Insieme, tutte queste analisi statistiche forniscono una
valutazione complessiva del beneficio clinico dei farmaci a target osseo nei pazienti con metastasi ossee. Per
quanto riguarda il controllo del dolore, vi è evidenza di grado 1 che gli amino-bifosfonati e il denosumab
sono risultati efficaci nel ridurre il dolore nei tumori solidi e nel mieloma. Studi hanno inoltre confermato
che il controllo del dolore e del turnover sono correlati e che solo i soggetti che normalizzano il turnover
ottengono un significativo miglioramento [5]. Un altro obiettivo della terapia delle metastasi ossee è
l’incremento della sopravvivenza del paziente metastatico. I bifosfonati e il denosumab, riducendo gli SREs
e il dolore dei pazienti con malattia ossea metastatica, potrebbero rilevarsi efficaci nel raggiungimento di tale
obiettivo.
Take home message: Gli obiettivi del trattamento delle metastasi ossee sono la riduzione di
incidenza e il ritardo della comparsa degli SRE. La diretta consequenza della riduzione degli SRE è
rappresentata da un miglioramento della qualità di vita, del dolore e, in alcuni casi, un incremento
della sopravvivenza.
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LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Bibliografia
1. Santini D, Fratto ME, Vincenzi B, et al.: Zoledronic acid in the management of metastatic bone disease. Expert Opin
Biol Ther, 2006; 6(12):1333-1348.
2. Williams G, Pazdur R, Temple R: Assessing tumor-related signs and symptoms to support cancer drug approval. J.
Biopharm. Stat. (2004) 14:5-21.
3 Major PP, Cook RJ, Chen BL et al.: Survival-adjusted cumulative event analysis of skeletal-related events in patients
with cancer metastatic to bone in trials of zoledronic acid. Presented at: What is new in bisphosphonates? Seventh
workshop on bisphosphonates. From the laboratory to the patient. Davos, Switzerland (24 – 26 March 2004).
4. Andersen PK, Gill RD: Cox’s regression model for counting processes: a large sample study. Ann. Stat. (1982)
10:1100-1120.
5. Jagdev SP, Purohit OP et al (2001) Comparison of the effects of intravenous pamidronate and oral clodronate on
symptoms and bone resorption in patients with metastatic bone disease.Ann Oncol 12:1433-1438
3.
Gli end-point di efficacia nel trattamento delle metastasi ossee:
quality of life, bone markers
Daniele Santini, Vladimir Virzì, Maria Elisabetta Fratto
Vi è massima evidenza che gli aminobifosfonati siano efficaci nel ridurre la morbilità scheletrica in corso di
malattia metastatica ossea, pertanto questi farmaci vengono correntemente utilizzati per il trattamento delle
metastasi scheletriche. Con l’incremento dell’utilizzo di tali farmaci, si rendono sempre più necessari
parametri surrogati per una valutazione di risposta individuale alla terapia. Ciò permetterebbe di ottimizzare
e individualizzare il trattamento con bifosfonati. La malattia metastatica scheletrica si associa
invariabilmente a una sintomatologia dolorosa generalmente intensa, di difficile controllo e gravata da
un’importante compromissione della qualità di vita del paziente. Infatti la presenza delle metastasi ossee
compromette la qualità di vita sia perché spesso le complicanze secondarie alle metastasi ossee necessitano
di chirurgia ortopedica, radioterapia e di ricoveri ospedalieri, sia a causa del dolore osseo ad esse correlato.
Il controllo del dolore, pertanto, diventa in questi pazienti un endpoint prioritario e la qualità di vita del
paziente rappresenta l’end-point di efficacia del trattamento delle metastasi ossee
La valutazione clinica del dolore è essenziale sia per decidere l’approccio diagnostico volto a comprenderne
le cause e la fisiopatologia, sia per definire la strategia terapeutica. La severità del dolore può esser valutata
con numerosi metodi: scale di intensità, di sollievo e questionari multidimensionali. Le scale di intensità si
distinguono in scale analogiche visive (VAS), scale numeriche (NRS) e scale verbali (VRS). Per una
valutazione multidimensionale del dolore oncologico sono disponibili diversi questionari; i più conosciuti
sono: il McGill Pain Questionnaire, il Brief Pain Inventory e la Memorial Pain Assessment Card. Evidenze
sempre maggiori mostrano come la valutazione dei bone markers possa essere considerato un end-point
prognostico ma non vi è per ora dimostrazione che sia anche un parametro di efficacia del trattamento delle
metastasi ossee. Poichè il livello di turnover osseo condiziona l’evoluzione clinica delle metastasi ossee, i
marcatori di riassorbimento e di neoformazione ossea possono essere utilizzati come parametri
correlati alla prognosi scheletrica e alla sopravvivenza dei pazienti con metastasi ossee ma non possono
essere impiegati come parametri surrogati di efficacia del trattamento con bifosfonati delle metastasi
[1]. I marcatori del turnover osseo possono essere divisi in marcatori di neoformazione ossea e in marcatori
di riassorbimento osseo. I marcatori di neoformazione ossea, come la fosfatasi alcalina ossea specifica e
l’osteocalcina sono aumentati nei pazienti con metastasi ossee, ma variazioni della loro concentrazione
possono essere difficili da interpretare in quanto possono essere secondari a modificazioni della massa ossea.
Risulta pertanto essere più interessante la valutazione dei rapporti tra i diversi marcatori piuttosto che
l’analisi dei valori dei singoli marcatori [2]. Per quanto riguarda i marcatori di riassorbimento osseo, essi
riflettono l’iperattività dell’attività osteoclastica presente nelle metastasi ossee, con secondario incremento
della proteolisi della matrice organica e rilascio di calcio, fosfato e dei prodotti di degradazione del collagene
nel sangue. I principali marcatori di riassorbimento sono: l’idrossiprolina urinaria, la piridinolina e la
deossipiridinolina, i telopeptidi N-terminale urinario e sierico e C-Terminale sierico del procollagene di tipo
I e l’escrezione urinaria di calcio [3].
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LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Diversi studi mostrano che i marcatori ossei circolanti, specialmente l’N-Telopeptide urinario (uNTX),
correlano con l’estensione dell’interessamento osseo e la progressione di malattia a livello osseo [4], ma
anche con la capacità dei bifosfonati di ritardare o ridurre l’incidenza di eventi scheletrici [5] . Ulteriori studi
sono in corso per meglio definire il ruolo dei marcatori di riassorbimento osseo nei pazienti con malattia
ossea metastatica.
Take home message: Per l’ottimizzazione e l’individualizzazione della terapia con bifosfonati la qualità di
vita e i marcatori di riassorbimento e neoformazione ossea possono essere validamente impegati come
parametri prognostici ma non possono essere utilizzati, con lo stesso livello di evidenza, come parametri
surrogati di efficacia.
Bibliografia
1. Brown JE et al (2005) Bone turnover markers as predictor of skeletal complications in prostate cancer, lung cancer
and other solid tumors. J Nat Cancer Inst 97:59-69
2. Coleman RE, Whitaker KB, Moss D, et al. Biochemical prediction of response of bone metastases to treatment. Br J
Cancer 1988; 58: 205–10.
3. Assessment of therapeutic response in patients with metastatic bone disease. Clamp A, Danson S, Nguyen H, Cole D,
Clemons M. Lancet Oncol. 2004 Oct;5(10):607-16
4. Costa L, Demers LM, Gouveia- Oliveira A, et al: Prospective evaluation of the peptide-bound collagen Type I crosslinks N-telopeptide and C-telopeptide in predicting bone metastases status. J Clin Oncol, 2002; 20: 850–856.
5. Brown J, Cook R, Coleman RE, et al: The role of bone turnover markers in predicting clinical events in metastatic
bone disease. Proc. Am. Soc Clin Oncol, 2003; 22:738.
4.
Bone Taget Therapy
MALATTIA METASTATICA
A.
1
Carcinoma mammario
Francesco Bertoldo
Indici di efficacia
Numerosi RCT e metanalisi hanno documentato l’efficacia dei bisfosfonati nel trattamento delle metastasi
scheletriche in donne affette da carcinoma della mammella (1). Come indici di efficacia nei RCT per i vari
bisfosfonati sono stati utilizzati diversi end point (2) (TAB. 2).
Gli end point primari nei vari RCT sono molto eterogenei. Per il clodronato è stato usato il numero di CS (3)
ed il numero di nuove CS (4). Per il pamidronato è stato utilizzata la frequenza di nuove CS (eventi/per
anno) (5, 6), per l’ibandronato la SMPR (numero di eventi che occorrono in determinato intervallo di tempo
(12 settimane) (7, 8), per l’ac.zoledronico la proporzione di soggetti che incorrevano in almeno una CS (9) e
nella frequenza di CS (10).
La frequenza degli eventi scheletrici (Skeletal Event Rate) è stata riportata come proporzione cumulativa
degli eventi negli studi con il clodronato (3, 11) o come numero totale degli eventi per il pamidronato (12)
oppure infine come numero di eventi/per anno (10).
Tra gli end point secondari vengono variamente riportati negli studi il tempo di comparsa della prima CS,
l’incidenza media delle CS, la multiple event analysis secondo Anderson-Gill, il dolore (utilizzando diverse
scale), la sopravvivenza e la qualità di vita (QoL).
Nella metanalisi di Pavlakis e coll. i dati di efficacia sono stati resi omogenei e paragonati esprimendoli
come Rischio Relativo (RR) di sviluppare un evento scheletrico in corso di terapia con BP rispetto al placebo
(Tab 3) (1).
Va tenuto peraltro in considerazione del limite dei confronti indiretti tra RCT diversi.
9
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
2. Bisfosfonati
2.1 Effetto dei bisfosfonati sulle complicanze scheletriche
L’efficacia dei bisfosfonati è stata dimostrata in donne con carcinoma della mammella e metastasi ossee.
L’efficacia è stata dimostrata nella riduzione del rischio di sviluppare complicanze scheletriche e
secondariamente nel ritardare la comparsa della complicanza scheletrica.
Un’ampia metanalisi (13) ha documentato che, confrontati con il placebo, i bisfosfonati riducono il rischio di
fratture non vertebrali (OR 0.80; 95% CI :0.64-0.99), di tutte le fratture (OR 0.75; 95%CI 0.61-0.93), di
necessità di radioterapia (OR 0.65; 95% CI 0.54-0.79), di interventi di ortopedia (OR 0.59; 95% CI 0.430.83), e di ipercalcemia (OR 0.43; 95% CI 0.29-0.63). Livello di evidenza SIGN 1++.
In nove studi con inclusione di 2.189 donne con carcinoma della mammella avanzato e metastasi scheletriche
evidenziate radiograficamente o con scintigrafia, il trattamento con BP ha indotto un riduzione del 21% (RR
0.79%; 95% CI 0.74-0.86) del rischio di incorrere in una complicanza scheletrica. Se si esclude
l’ipercalcemia dal raggruppamento delle complicanze scheletriche, la riduzione del rischio è del 15% (RR
0.85%; 95% CI 0.79-0.91). (1) Livello di evidenza SIGN 1++.
La frequenza degli eventi scheletrici (Skeletal Event Rate) è riportata in maniera eterogenea tra gli studi. Per
clodronato, ibandronato ev e os, pamidronato e zoledronato (circa 3486 donne trattate complessivamente) vi
è stata una significativa riduzione media della frequenza di eventi del 28% (tra 14% ed il 48%).
Nello studio compartivo di non inferiorità tra zoledronato 4 mg e pamidronato 90 mg analizzando il numero
di eventi per anno (esclusa l’ipercalcemia) non vi era una significativa differenza (0.9 per zoledronato e 1,49
per pamidronato; p 0.125) ma analizzando la Multiple Event Analysis con il metodo Anderso-Gill, lo
zoledronato riduce del 20% rispetto al pamidronato il rischio di eventi scheletrici (RR 0.80,95% CI 0.66-0.99
p 0.025).
Il tempo di comparsa di una complicanza scheletrica rappresenta un end point secondario degli studi ma un
importante parametro di efficacia nella clinica. Negli studi con clodronato orale, pamidronato, ibandronato
endovenoso e zoledronato verso placebo vi era una significativo ritardo di comparsa del primo evento
scheletrico rispetto al gruppo placebo (rapporto BP/PL tra 1.34 e 2.02) (1). Nello studio comparativo tra
zoledronato e pamidronato (19) non vi erano differenze significative nel tempo di comparsa dell’evento
scheletrico. In un sottogruppo di pazienti con solo metastasi litiche e nel sottogruppo di pazienti trattate con
terapia ormonale lo zoledronato aumentava significativamente il tempo di comparsa della prima complicanze
scheletrica (136 giorni e 45 giorni rispettivamente) (p< 0.01) (1, 9).
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
A
L’uso dei bisfosfonati ibandronato, pamidronato e
zoledronato è raccomandato in donne con carcinoma della
mammella e metastasi ossee in quanto è in grado di
ridurre il numero di eventi scheletrici e ritardarne
significativamente la comparsa.
Positiva forte
Gli effetti dei BP sulle CS sembrano essere tempo-dipendenti (14) Livello di evidenza SIGN 1+.
I BP hanno dimostrato efficacia dopo almeno 6 mesi di trattamento e dopo 12 mesi per quanto riguarda gli
interventi ortopedici.
10
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
2.2
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
In base all’effetto tempo-dipendente sulle complicanze
scheletriche, si dovrebbe valutare l’opportunità di iniziare
il trattamento in base all’aspettativa di vita del paziente
Positiva debole
Effetto dei bisfosfonati sul dolore e qualità di vita
L’effetto sul dolore è tra gli end point secondari ma riveste una notevole importanza clinica. Il controllo del
dolore è un componente fondamentale della qualità della vita del paziente. L’effetto dei bisfosfonati sul
dolore in corso di trattamento per metastasi ossee nel carcinoma della mammella è stato dimostrato, dove
esplorato, nella maggioranza dei RCT, con i diversi tipi di disfosfonati e con le formulazioni, orale ed
endovenosa (1, 15, 16) Livello di Evidenza SIGN 1+. I dati sono stati raccolti nei diversi RCT con una
notevole eterogeneità di strumenti di valutazione e scale (2).
Un significativo effetto sul dolore e sulla riduzione dell’uso di analgesici è stato documentato in numerosi
RCT con pamidronato (5, 6, 17). I due studi compartivi tra pamidronato e clodronato si è documenato il
vantaggio del primo nel ridurre il dolore (18). In tre RCT l’ibandronato sia in formulazione orale che
endovenosa, ha dimostrato di ridurre durante i due anni di trattamento lo score del dolore (19). In un piccolo
studio pilota, dosi intensive di ibandronato (4 mg ev per 4 giorni consecutivi) riduceva in 7 giorni il dolore in
soggetti non responsivi alla morfina (19). Per lo zoledronato non vi era una significativa differenza rispetto al
gruppo trattato con pamidronato. In questo studio tuttavia l’uso di analgesici rimase stabile per il periodo di
osservazione. L’effetto analgesico è stato rilevato anche in alcuni studi in aperto (20, 21).
I bisfosfonati non vanno considerati come alternativa alla terapia antidolorifica (scala OMS) , ma vanno
affiancati ad essa secondo le indicazioni OMS (23, 24) ed in accordo con le linee guida ASCO 2003 (25) .
La qualità della vita (QoL) è stato posto come end point secondario nella valutazione di efficacia dei BP nel
trattamento delle donne con carcinoma della mammella e metastasi ossee. Il mantenimento della mobilità,
dell’autosufficienza, il controllo del dolore sono componenti fondamentali della QoL e sono legate alla
riduzione delle complicanze scheletriche (17, 22). L’end point QoL è stato esplorato con diversi strumenti
non standardizzati in diversi studi (1). Livello di Evidenza SIGN 1+. Si rileva quindi la necessità di adottare
uno strumento per l’esplorazione della QoL più idoneo, standardizzato e finalizzato alla pazienti con
metastasi ossee (2).
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
I BP non dovrebbero sostituire la terapia antalgica e non
costituiscono la prima scelta nella terapia del dolore da
metastasi scheletriche
Negativa debole
2.3 La scelta del tipo di bisfosfonato
La scelta del tipo di bisfosfonato da utilizzare è legata a diverse valutazioni: dati di evidenza di superiorità
basati su studi di comparazione diretta, aspetti relativi al paziente come la compliance, la preferenza del
soggetto e la situazione clinica (ad esempio la possibilità di rispettare alcune regole per l’assunzione orale),
la presenza di effetti collaterali ed infine la valutazione di mancata o insufficiente risposta ad un BP.
La definizione di una maggior efficacia di una farmaco rispetto all’altro si basa su prove di evidenza
derivanti da confronti diretti in RCT. La comparazione di risultati ottenuti da studi verso placebo soffrono di
considerevoli limiti per la diversità della popolazione selezionata, degli end point e di aspetti metodologici.
11
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Studi di comparazione diretta hanno dimostrato la superiorità del pamidronato (90 mg) rispetto al clodronato
sul controllo del dolore (18). Nello studio di comparazione tra zoledronato e pamidronato con analisi post
hoc, lo zoledronato è risultato superiore al pamidronato in una sottopolazione con metastasi litica,
condizionando un maggior tempo di comparsa dei CS (310 vs 174 giorni, p= 0.013) e nel gruppo di donne in
terapia ormonale (310 vs 174 giorni, p 0.013) (1, 26).
Un possibile vantaggio dello zoledronato rispetto al pamidronato è stato evidenziato mediante Multiple
Events Analysis (Anderson-Gill), con una riduzione maggiore del 20% del rischio di Cs (1, 26). Sono in
corso due RCT di fase III di comparazione diretta tra ibandronato e zoledronato (27, 28).
Lo zoledronato ed il pamidronato sono gli unici amino-bisfosfonati che hanno documentata efficacia su tutti
gli end-point. (7, 9, 10, 29). L’efficacia dell’ibandronato per via endovenosa (6 mg/1fl ogni 21-28) sembra
superiore a quella della formulazione orale (50 mg/die) (1)
In una recente metanalisi della Cochrane (1) sono stati analizzati 34 RCT. In 9 studi (2806 pazienti affette da
carcinoma della mammella e metastasi ossee) l'uso dei Bisofosofnati rispetto al placebo ha ridotto
significativamente il richio di SRE del 15% (RR0.85%; IC 95% 0.77-0.94, p <0.001). Il beneficio era
evidentee per ac zoledronico (RR 0.59), per pamidronato (RR 0.77) e per ibandronato e.v. (RR 0.80) Livello
di Evidenza SIGN 1++. Nella Tabella 3 sono riportati i relativi benefici sul rischio di complicanze
scheletriche, espressi con RR (95% IC) e riduzione del rischio (%, RRR), e l’incremento percentuale del
tempo di comparsa della complicanza rispetto al placebo (1). In nessuno studio con bisofosfonato in questo
setting viene riportato un aumento della soppravvinenza.
Le linee guida ASCO aggiornate al 2011 (25) consigliano l’uso tra gli aminobisfosfonati di pamidronato e
zoledronato.Tuttavia non esprimo alcun giudizio di superiorità tra ac zoledronico, pamidronato e denosumab.
Le linee guida ESMO 2011 (30.) indicano una scelta tra i farmaci guidata dalla caratteristiche individulai del
paziente, come tollerabilità compliance e costi. Le linee guida Cancer Care Ontario aggiornate al 2004 (31)
suggeriscono di iniziare con pamidronato e clodronato per passare, in caso di inadeguata risposta, a
zoledronato. La SIOG (International Society of Geriatric Oncology) consiglia nel paziente anziano con
dolore ed impossibilità di muoversi di iniziare con le fromulazioni orali di ibandronato o clodronato per
passare a quelle endovenosa di pamidronato o zoledronato qualora migliorasse la sua mobilità o ci fossero
problemi di compliance o di rispetto dell regole di assunzione (23).
Recentemente un panel di esperti suggerisce come migliore la scelta di utilizzare BP per via endovenosa, per
ovviare alle problematiche di compliance, aderenza e penitenza alla terapia, corretta assunzione ed
intolleranza gastrointestinale legata all’assunzione orale (32) Livello di Evidenza SIGN 4.
Non vi sono evidenze che dimostrino che il passaggio da un aminoBP ad un altro migliori l’effetto sulle
complicanze scheletriche.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
Si suggerisce di utilizzare un aminobisfosfonato per via
endovenosa, tranne in particolari condizioni di
trasportabilità o mobilità del paziente.
Positiva debole
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
La scelta del bisfosfonato deve tenere conto delle
condizioni (mobilità, trasportabilità) e preferenze del
paziente che ne condizionano la compliance
Positiva debole
12
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
In Italia sono registrati dal SSN con l’indicazione metastasi ossee da carcinoma della mammella il
clodronato, un non-aminobisfosfonato (I° generazione), due aminobisfosfonati di seconda generazione, il
pamidronato e ibandronato, e un amionobosfosfonato di terza generazione, l’ac. Zoledronico. Per il
clodronato e ibandronato sono disponibili in Italia sia la formulazione orale che quella per infusione
endovenosa. Nella tabella 1 sono riportate le posologie e la schedula di trattamento con i diversi BP e le
diverse formulazioni.
3.
Denosumab
Sono stati recentemente pubblicati i risultati di uno studio prospettico randomizzato in doppio cieco che ha
voluto testare l’efficacia di denosumab somministrato sottocute alla dose di 120 mg + placebo per via
endovenosa ogni 28 giorni versus acido zoledronico somministrato per via endovenosa + placebo sottocute
in 1026 pazienti affetti da carcinoma della mammella in fase metastatica a livello scheletrico [36].
L’obiettivo primario di questo studio è stato dimostrare la non inferiorità in termini di tempo all’insorgenza
del primo evento scheletrico avverso (end point complesso comprendente le fratture patologiche,
compressione midollare, necessità di radioterapia e/o di chirurgia).
Obiettivo secondario era di testare la superiorità di denosumab versus acido zoledronico nel ritardare la
comparsa del primo evento scheletrico. In questo studio denosumab ha dimostrato di prolungare
significativamente il tempo al primo SRE rispetto all’acido zoledronico (HR 0.82; 95%CI: 0.71–0.95; p [non
inferiorità] < 0.0001, p [superiorità] =0.01).
Tra gli obiettivi secondari vi era anche la valutazione della superiorità di denosumab rispetto ad acido
zoledronico nel ritardare la comparsa del primo e dei successivi SRE. Tale obiettivo è stato raggiunto (HR
0.77; 95%CI: 0.66–0.89; p [superiorità] =0.01) ( Livello di Evidenza SIGN 1++)
3.1 Progressione scheletrica e Soppravvivenza globale
Nello studio randomizzato [36), Denosumab non ha dimostrato alcuna differenza rispetto ad acido
zoledronico in termini intervallo libero da progressione: HR 1.06 (95% IC 0.89–1.11; p=0.93) (Livello di
Evidenza SIGN 1+).
Nello studio randomizzato di denosumab versus acido zoledronico [36], la sopravvivenza globale è risultata
sovrapponibile in entrambi i bracci di trattamento: HR 0.95 (95% IC: 0.81–1.11; p=0.49). (Livello di
Evidenza SIGN 1+).
3.2 Dolore e qualità di vita
Dall’analisi integrata dei tre RCT identici di confronto tra denosumab e ac zoledronico nel trattamento di
pazienti con metastasi ossee (5544 pazienti di cui 2046 con cr. della mammella) ,denosumab ritarda di 1.8
mesi rispetto ad ac zoledronico l’incremento del dolore da assente/lieve a moderato/severo.L’utilizzo di
oppiodi maggiori e il peggioramento della qualità della vita erano meno frequenti.(37). (Livello di Evidenza
SIGN 1++).
3.3 Raccomandazioni
Circa la scelta tra ac zoledronico e denosumab nella prevenzione degli SRE le linee guida ASCO sostengo
che non vi siano le evidenze per preferire l’uno all’altro (38). Le linee guida ESMO, sebbene definiscano la
scelta ancora aperta, sottolineano come l’evidenza di superiorità del denosumab su ac zoledronico sia assai
maggiore di quella riconosciuta per ac zoledronico sugli altri bisfosofnati, in particolare su
pamidronato(39).AIOM ha affrontato, secondo la metodologia Grade, la domanda “Nelle pazienti affette da
carcinoma mammario con metastasi ossee alla prima diagnosi è raccomandabile l’impiego di denosumab
verso bifosfonati?”, con risposta positiva (vedi capitolo 12).
13
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Circa la durata del trattamento e la possibilità di modificare la schedula di trattamento, come ipotizzato dallo
studio ZOOM per ac zoledronico, le caratteristiche farmacodinamiche/farmacocinetiche di denosumab non
permettono di prevedere sospensioni o interruzioni a scapito di una perdita di efficacia (40,41).
Tra gli eventi avversi più comuni emersi dai RCT in corso di trattamento con denosumab vi è l’ipocalcemia.
L’incidenza di ipocalcemia di grado superiore a 2 era 8.4% nel braccio trattato con denosumab contro 6.2%
riscontrata nel braccio trattato con ac zoledronico (42). L’incidenza era maggiore nei primi sei mesi di
trattamento e nei pazienti non adeguatamente supplementari con vitamina D.(42)
Inoltre apparentemente il rischio di ipocalcemia sembra maggiore se il paziente non è stato già
precedentemente trattato con bisfosfonati (43).
Qualità Globale
delle evidenze
GRADE
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
Nelle pazienti affetta da carcinoma mammario con
metastasi ossee alla prima diagnosi il trattamento con
denosumab può essere utilizzato
Moderata
*La valutazione complessiva della qualità delle
evidenze ad oggi disponibili circa “l’efficacia di
denosumab in pazienti affetta da carcinoma mammario
con metastasi ossee alla prima diagnosi”, la
valutazione del rapporto tra i benefici ed i danni
correlati e la formulazione della raccomandazione
relativa al quesito posto, sono state analizzate secondo
metodologia GRADE (vedere capitolo 12).
Positiva debole
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
Il Denosumab come i Bisfosofnati può trovare impiego
per il controllo del dolore in pazienti con metastasi ossee
da carcinoma delle mammella e pare più efficace
dell’acido zoledronico nel ritardare la progressione del
dolore. Come per i BP non può sostituire i farmaci
analgesici.
Positiva debole
Take home message: I bisfosfonati sono efficaci nel ridurre le complicanze scheletriche, nel ritardare il
tempo di comparsa delle complicanze scheletriche e nel ridurre il dolore osseo in pazienti con metastasi
ossee secondarie a carcinoma mammario. Il Denosumab è una valida alternativa all’uso dei bisfosfonati per
quanto riguarda la prevenzione delle complicanze scheletriche. Il Denosumab è superiore all’acido
zoledronico in termini di ritardo della comparsa del primo e dei successivi SRE.
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Tabella 1. Bifosfonati registrati in Italia per il trattamento delle metastasi scheletriche da carcinoma della
mammella. Dosi e regimi terapeutici.
BISFOSFONATI
Clodronato
Pamidronato
Ibandronato
Ac zoledronico
Classe
Non N-BP
N-BP 2°
generazione
N-BP 2°
generazione
N-BP
3° generazione
Via*
Dose
Frequenza
OS
I.V.
800 mg
900mg
2 cp/die
3-4 settimane
I.V.
90 mg
3-4 settimane
OS
I.V
50 mg
6 mg
1cp/die
3-4 settimane
I.V
4 mg
3-4 settimane
* La somministrazione per os dei BP necessita, per un adeguato assorbimento, che vengano assunti al mattino a digiuno
solo con acqua e venga rispettato il digiuno per circa un’ora in stazione eretta. La somministrazione endovenosa per
clodronato e pamidronato richiede un tempo di infusione di 2 ore. Per ac zoledronico ed ibandronato infusione per 15
minuti.
16
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Tabella 2. Valutazione di efficacia del trattamento con BP del carcinoma della mammella nei RCT (A)
Obiettivo
Indice
Prevenzione delle CS 1
Percentuale di soggetti con > 1 CS
Prolungamento del tempo di insorgenza delle CS
Tempo al primo evento
Riduzione della incidenza di CS
SMR o SMPR 2
Riduzione del numero di CS e/o posticipo dell’insorgenza
(riduzione della morbilità scheletrica complessiva)
Multiple Event Analyses 3
1) CS: Complicanza scheletrica. La definizione CS raggruppa diversi eventi scheletrici. Negli studi con
clodronato: fratture, radioterapia ed ipercalcemia: Negli studi con pamidronato/zoledronato: fratture,
radioterapia, interventi ortopedici, compresione midollare ed ipercalcemia. Negli studi con ibandronato:
fratture, radioterapia e interventi ortopedici.
2) SMR: eventi per anno. SMPR numero di eventi che occorrono in determinato intervallo di tempo (12
settimane).
3) Raccoglie tutti gli eventi scheletrici e i tempi di comparsa dall’inizio dello studio per tutta la durata
dell’osservazione (analisi di Anderson-Gill).
Tabella 3. Dati di efficacia per singolo BP. RR esprime il rischio relativo e RRR la riduzione del rischio di
sviluppare una complicanza scheletrica (CS) in corso di terapia con BP in donne con metastasi ossee da
carcinoma della mammella (verso placebo) (1). E’ riportata l’incremento (%) del tempo di comparsa della
CS rispetto al placebo.
RRR per %Tempo di comparsa
CS
CS (no. giorni vs
(%)
placebo)
Bifosfonato
Studio
RR per CS (CI
95%)
Ac zoledronico
Kohono et al (10)
0.59 (0.42,0,82)
41%
110 % (NR vs 52)
Pamidronato
Hortobagyi et al (5)
Theriault et al (6)
0.77 (0.69-0.87)
33 %
39 % (21.0 vs 15.1)
Ibandronato ev
Body et al. (7)
0.80 (0.67-0.96)
20 %
53 % (11.8 vs 7.7)
Ibandronato os
Body et al (8)
0.86 ((0.73-0.02)
14 %
39 % (90.3 vs 64.9)
Clodronato
Kristensen (3)
0.69 (040-1.20)
31 %
Clodronato
Paterson et al (9)
0..83 (0.68-1.02)
17 %
2% ( 9.9 vs 4.9)
Clodronato
Tubiana –Hullin et al
(4)
0.92 (0.92-1.19)
8%
36% (8.7 vs 6.4)
0. 85 (0.77-0.94)
15%
Metanalisi di tutti gli studi
17
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
B.
Carcinoma prostatico
Alfredo Berruti
1.
Premessa
Il carcinoma prostatico è la neoplasia maligna più frequente nel maschio adulto nei paesi occidentali. Tale
neoplasia è caratterizzata da una particolare propensione a metastatizzare a livello scheletrico. Più dell’80%
dei pazienti con malattia metastatica presenta lesioni secondarie scheletriche[1]. Le metastasi ossee da
carcinoma prostatico sono tipicamente addensanti. Numerose evidenze biologiche e cliniche hanno
dimostrato che, a dispetto del loro aspetto radiologico, le metastasi ossee addensanti da carcinoma prostatico
presentano al loro interno una componente litica e sono pertanto a rischio di complicanze scheletriche in
misura paragonabile a quella di pazienti con metastasi osteolitiche. Circa il 40% dei pazienti con carcinoma
prostatico metastatico va incontro a fratture patologiche, compressione midollare e, più raramente,
ipercalcemia [2]. Tale eventi avversi sono relativamente rari fintanto che la neoplasia è responsiva
all’androgeno deprivazione mentre diventano molto più frequenti nel paziente con malattia
ormonorefrattaria. In tale condizione clinica, gli effetti dell’osteolisi indotta dalla progressione ossea di
malattia vanno ad aggiungersi all’osteoporosi indotta dalle terapie ormonali intraprese [2].
Sulla base di queste premesse si evince un forte razionale all’impiego di bisfosfonati ed altri farmaci inibenti
l’attività osteoclastica.
Tali farmaci nel paziente con carcinoma prostatico metastastatico all’osso possono essere impiegati per
prevenire le complicanze scheletriche, ritardare la progressione ossea di malattia e controllare il dolore
osseo. Poiché l’efficacia delle terapie antineoplastiche specifiche, ormonoterapia di II linea e chemioterapia,
è limitata in questa popolazione di pazienti gli interventi di tipo palliativo hanno una grande importanza.
I risultati degli studi clinici randomizzati in cui il trattamento con bisfosfonati è stato confrontato con un
gruppo di controllo (placebo o in aperto) sono stati recentemente riassunti in una metanalisi [3]. Obiettivo
primario di questa metanalisi è stato la valutazione dell’effetto analgesico dei bisfosfonati.
Complessivamente 10 studi sono stati analizzati, in uno studio è stato utilizzato l’etidronato [4], 7 studi
hanno impiegato il clodronato[5-11], uno il pamidronato[12] e uno l’acido zoledronico[13]. In 4 studi è stata
impiegata la formulazione orale[4-6,10], in 5 studi la somministrazione endovenosa[5,9,11,13], in uno studio
il clodronato è stato impiegato sia in forma orale che endovenosa [8]. L’obiettivo primario era il controllo del
dolore in 7 studi[4-6,8,9,11,12], l’effetto sui marcatori di turnover osseo in 1 studio[7]. In 2 studi l’obiettivo
primario era la proporzione di complicanze scheletriche [10,13], in uno di questi le complicanze scheletriche
e la progressione ossea venivano inclusi in un unico end-point [10]. In 9 studi la popolazione dei pazienti era
affetta da malattia ormono-refrattaria [4-9, 11-13] in 1 studio [10] i pazienti erano stati selezionati per avere
malattia ormonosensibile in risposta all’ormonoterapia di prima linea.
Più recentemente sono stati pubblicati i risultati di uno studio prospettico randomizzato in doppio cieco che
ha voluto testare l’efficacia di denosumab somministrato sottocute alla dose di 120 mg + placebo per via
endovenosa ogni 28 giorni versus acido zoledronico somministrato per via endovenosa + placebo sottocute
in 1904 pazienti affetti da neoplasia prostatica ormonorefrattaria in fase metastatica a livello scheletrico [14].
L’obiettivo primario di questo studio è stato dimostrare la non inferiorità in termini di tempo all’insorgenza
del primo evento scheletrico avverso (end point complesso comprendente le fratture patologiche,
compressione midollare, necessità di radioterapia e/o di chirurgia). Obiettivo secondario testare la superiorità
di denosumab versus acido zoledronico nel ritardare la comparsa del primo evento scheletrico.
2.
Evidenze
2.1 Eventi scheletrici avversi
Per quanto riguarda gli studi confrontanti l’efficacia di bisfosfonati versus placebo, nei tre studi randomizzati
che hanno valutato l’incidenza delle complicanze scheletriche [10,11,13], definite come fratture patologiche,
compressioni midollari, ipercalcemia, necessità di radioterapia palliativa o di chirurgia ortopedica e
18
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
progressione a livello osseo (quest’ultimo valutato in un solo studio), complessivamente la proporzione di
eventi scheletrici avversi è stata 37.8% nei pazienti trattati con bisfosfonati e 43.0% nel gruppo di controllo,
con una differenza in termini di rischio assoluto del 5.2%.a favore dei pazienti trattati con bisfosfonati. Gli
odds ratio (OR) di tali studi presi singolarmente andavano da 0.71 a 0.98 con un test di eterogeneità non
significativo (p=0.55) a sottolineare la non difformità dei risultati raggiunti. L’OR globale è stato 0.79 (95%
Intervallo di confidenza (IC): 0.62-1, p=0.05) (Livello di Evidenza SIGN 1++).
Nello studio di confronto di efficacia fra denosumab ed acido zoledronico, denosumab ha dimostrato di
prolungare significativamente il tempo al primo SRE rispetto all’acido zoledronico (HR 0.82; 95%CI: 0.71–
0.95; p [non inferiorità] =0.0002, p [superiorità] =0.008) [14] (Livello di Evidenza SIGN 1++).
2.2 Dolore osseo
Cinque studi [4,6,7,11] hanno riportato la proporzione di pazienti con riduzione del dolore osseo dopo
trattamento con bisfosfonati. Globalmente la proporzione di risposte in termini di dolore osseo è stata 27.9%
nel gruppo di pazienti trattati con bisfosfonati e 21.1% nel gruppo di controllo con una differenza in termini
di rischio assoluto del 6.8%. L’OR individuale variava tra 1.32 e 2.13 mentre l’OR globale a favore del
trattamento con bisfosfonati era 1.54 (95% CI 0.97-2.44, p=0.07) (Livello di Evidenza SIGN 1++)
Non è stata riscontrata differenza in termini di riduzione del consumo dei farmaci antidolorifici fra i gruppi
di trattamento. Questi studi sono gravati da una proporzione elevata di pazienti non valutabili (10% circa).
Restringendo l’analisi ai pazienti valutabili l’OR globale diventava significativo: 1.64 (95% IC of 1.02 to
2.61, P = 0.04). In questi studi il dolore osseo è stato valutato con scale differenti e questo costituisce un
limite importante. L’assenza di standardizzazione del dolore osseo limita infatti il confronto fra i vari studi e
la generalizzabilità dei risultati. Il dolore osseo non rientrava fra gli obiettivi secondari per misurare
l’efficacia di denosumab versus acido zoledronico. Tuttavia il dolore osseo definito come evento avverso è
risultato sovrapponibile in entrambi i bracci di trattamento: 26% nel braccio acido zoledronico e 25% nel
braccio denosumab (p=0.63). (Livello di Evidenza SIGN 1+).
2.3 Progressione di malattia
Due studi randomizzati utilizzanti bisfosfonati [10,11] hanno riportato la proporzione di pazienti con
progressione di malattia. Gli OR individuali erano 0.85 e 0.66, rispettivamente. L’OR globale è stato 0.76
(95% IC: 0.53-1.08, p=0.12) (Livello di Evidenza SIGN 1+).
Nell’unico studio randomizzato [14], Denosumab non ha dimostrato alcuna differenza rispetto ad acido
zoledronico in termini intervallo libero da progressione: HR 1.06 (95% IC 0.95–1.18; p=0.30) (Livello di
Evidenza SIGN 1+).
2.4 Sopravvivenza globale
Cinque studi randomizzati utilizzanti bisfosfonati (6,10-13) hanno riportato il confronto in termini di
sopravvivenza globale. Gli OR individuali andavano da 0.69 a 1.83 con un OR globale di 0.82 (95% IC:
0.61-1.11, p=0.21) (Livello di Evidenza SIGN 1+). Nello studio randomizzato di denosumab versus acido
zoledronico [14], la sopravvivenza globale è risultata sovrapponibile in entrambi i bracci di trattamento: HR
1.03 (95% IC: 0.91–1.17; p=0.65). (Livello di Evidenza SIGN 1+).
3.
Raccomandazioni
Bisfosfonati e denosumab sono efficaci nel ridurre le complicanze scheletriche di pazienti con metastasi
ossee da carcinoma prostatico ormonorefrattario. L’acido Zoledronico, che ha dimostrato di essere efficace
nel prevenire gli eventi scheletrici avversi in uno studio prospettico randomizzato in doppio cieco, avente
come obiettivo primario la proporzione di complicanze scheletriche nel braccio trattato vs il braccio placebo,
è da considerasi il bisfosfonato di scelta in questa patologia. Uno studio randomizzato mostra una maggiore
efficacia di denosumab versus acido zoledronico nel prevenire gli eventi scheletrici avversi.
19
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
I bisfosfonati e il denosumab possono essere efficaci nel controllo del dolore ma non possono sostituire i
farmaci analgesici
Nel paziente con malattia ormonosensibile i dati disponibili riguardano due studi prospettico randomizzati
che hanno testato rispettivamente il clodronato orale vs placebo [10] (Livello di Evidenza SIGN 1+) ed acido
zoledronico versus placebo (17). Il primo studio ha mostrato un vantaggio non significativo a favore di
clodronato nel prevenire la comparsa di progressione sintomatica ossea (includendo in questo end point
complicanze scheletriche e progressione di malattia a livello osseo). Il secondo studio non ha mostrato
alcuna vantaggio di acido zoledronico iniziato nella malattia ormonosensibile rispetto alla somministrazione
nella malattia resistente alla castrazione. Ancorché vi sia un chiaro razionale, i dati disponibili non
consentono di raccomandare l’uso dei bisfosfonati nel paziente con metastasi ossee da carcinoma prostatico
ormonosensibile. L’uso di questi farmaci in questo contesto deve essere valutato caso per caso.
La somministrazione di acido zoledronico a scopo adiuvante in pazienti con malattia ormono sensibile ad
alto rischio non è raccomandata.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
A
L’uso dei bisfosfonati e di Denosumab è raccomandato in
pazienti con metastasi ossee da carcinoma prostatico
resistente alla castrazione, in quanto in grado di ritardare
la comparsa di eventi scheletrici.
Positiva forte
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
Bisfosfonati e Denosumab possono trovare impiego per il
controllo del dolore in pazienti con metastasi ossee da
carcinoma prostatico resistente alla castrazione, ma non
possono sostituire i farmaci analgesici.
Positiva debole
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
Il denosumab potrebbe essere impiegato nel paziente con
metastasi ossee da carcinoma prostatico ormono-sensibile.
Positiva debole
Take home message: I bisfosfonati (ac. zoledronico) sono efficaci nel ridurre e ritardare le complicanze
scheletriche di pazienti con metastasi ossee da carcinoma prostatico refrattario alla castrazione e possono
essere efficaci nel controllare parzialmente il dolore osseo. Il Denosumab è una valida alternativa all’uso dei
bisfosfonati per quanto riguarda la prevenzione delle complicanze scheletriche nel paziente con malattia
refrattaria alla castrazione
20
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Bibliografia
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Carcinoma polmonare
Alfredo Berruti
1.
Premessa
Il carcinoma del polmone non a piccole cellule metastatizza frequentemente a livello osseo. Studi autoptici
hanno evidenziato metastasi ossee nel 30-55% dei pazienti deceduti per questa malattia [1]. Caratteristiche
peculiari delle lesioni ossee da carcinoma polmonare non a piccole cellule sono la dolorabilità, un dolore
importante accompagna i pazienti con ca polmone molto spesso e probabilmente molto più frequentemente
dei pazienti con carcinoma mammario e prostatico [2], l’elevata frequenza di ipercalcemia soprattutto in
presenza di istotipo squamoso e la prognosi infausta, la mediana di sopravvivenza si aggira intorno ai 6-7
mesi. Vi è pertanto un forte razionale all’impiego di farmaci inibitori dell’osteolisi per la prevenzione delle
complicanze scheletriche (fratture, compressione midollare, ipercalcemia) e il controllo del dolore.
21
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
2.
Evidenze
Non esistono studi randomizzati pubblicati che abbiano valutato l’efficacia dei bisfosfonati in pazienti con
metastasi ossee da carcinoma del polmone. Due studi randomizzati hanno valutato l’efficacia di acido
zoledronico versus placebo e di denosumab versus acido zoledronico in pazienti con diversa istologia
primitiva non comprendente tumori mammari e prostatici che includeva altresì pazienti con carcinoma non a
piccole cellule del polmone [3,4, 5]. Nel primo di questi, nel sottoinsieme di 280 pazienti con carcinoma
polmonare randomizzati a ricevere acido zoledronico 4 mg o placebo, la somministrazione di acido
zoledronico ha condotto ad una lieve, non significativa diminuzione della proporzione di complicanze
scheletriche rispetto al placebo (45% vs 42%, differenza assoluta 3%, p=0.55). Alla “multi event analysis”
secondo Andersen e Gill, obiettivo secondario pre-pianificato, che tiene conto non solo del primo evento
scheletrico ma anche di quelli successivi al primo e del tempo intercorrente tra un evento e l’altro, la
riduzione del rischio di complicanze scheletriche è stata del 30% circa [Hazard Ratio 0.706, p=0.036)
(Livello di Evidenza SIGN 1+). In questo studio l’acido zoledronico non ha condotto ad un vantaggio
significativo in termini di riduzione del dolore e miglioramento della qualità di vita.
Per quanto riguarda lo studio denosumab versus acido zoledronico [5], un’analisi nel sottogruppo di 702
pazienti con carcinoma del polmone non a piccole cellule il denosumab si è dimostrato non inferiore ad acido
zoledronico per quanto riguarda il tempo alla comparsa del primo evento scheletrico (HR 0.84, 95% IC,
0.64-1.10, p=0.20) (Livello di Evidenza SIGN 1+).
3.
Raccomandazioni
I bisfosfonati (acido zoledronico) possono essere presi in considerazione nel trattamento di pazienti con
metastasi ossee da carcinoma del polmone con l’obiettivo di ridurre la probabilità di andare incontro a
complicanze scheletriche e controllare il dolore. Occorre tuttavia considerare come la cattiva prognosi di
questi pazienti possa rendere non strettamente necessario il loro impiego in tutti i pazienti e quindi occorre
fare una attenta selezione di costi e benefici.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
L’uso dei bisfosfonati può essere preso in considerazione
in pazienti con metastasi ossee da carcinoma polmonare
con l’obiettivo di ridurre la probabilità di andare incontro
a complicanze scheletriche e controllare il dolore
Positiva debole
Denosumab può essere una valida alternativa ai bisfosfonati per la prevenzione delle complicanze
scheletriche.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
Il denosumab può essere preso in considerazione in
pazienti con metastasi ossee da carcinoma polmonare per
la prevenzione delle complicanze scheletriche.
Positiva debole
22
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Take home message: I bisfosfonati (ac. zoledronico) possono essere impiegati nel trattamento di pazienti
con metastasi ossee da carcinoma del polmone allo scopo di prevenire e ritardare le complicanze scheletriche
e controllare il dolore sosseo. Denosumab è una valida alternativa all’acido zoledronico per quanto attiene la
prevenzione delle complicanze scheletriche.
Bibliografia
1. Sekine I, Sumi M, Saijo N. Local control of regional and metastatic lesions and indication for systemic
chemotherapy in patients with non-small cell lung cancer. Oncologist.;13 Suppl 1:21-27, 2008.
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3. Rosen LS, Gordon D, Tchekmedyian NS, Yanagihara R, Hirsh V, Krzakowski M, Pawlicki M, De Souza P, Zheng
M, Urbanowitz G, Reitsma D, Seaman J. Long-term efficacy and safety of zoledronic acid in the treatment of
skeletal metastases in patients with nonsmall cell lung carcinoma and other solid tumors: a randomized, Phase III,
double-blind, placebo-controlled trial. Cancer: 2613-2621, 2004.
4. Rosen LS, Gordon D, Tchekmedyian S, Yanagihara R, Hirsh V, Krzakowski M, Pawlicki M, de Souza P, Zheng M,
Urbanowitz G, Reitsma D, Seaman JJ. Zoledronic acid versus placebo in the treatment of skeletal metastases in
patients with lung cancer and other solid tumors: a phase III, double-blind, randomized trial--the Zoledronic Acid
Lung Cancer and Other Solid Tumors Study Group. J Clin Oncol. 21: 3150-3157, 2003.
5. Henry DH, Costa L, Goldwasser F, Hirsh V, Hungria V, Prausova J, Scagliotti GV, Sleeboom H, Spencer A,
Vadhan-Raj S, von Moos R, Willenbacher W, Woll PJ, Wang J, Jiang Q, Jun S, Dansey R, Yeh H.Randomized,
double-blind study of denosumab versus zoledronic acid in the treatment of bone metastases in patients with
advanced cancer (excluding breast and prostate cancer) or multiple myeloma. J Clin Oncol. 29: 1125-1132, 2011.
6. Scagliotti GV, et al; JTO 2011 (IASLC abs)
D.
Carcinoma renale
Alfredo Berruti
1.
Premessa
Il carcinoma renale metastatizza frequentemente all’osso, in una casistica recentemente pubblicata il 30%
circa dei pazienti con diagnosi di carcinoma renale ha sviluppato metastasi ossee nell’arco di 5 anni [1]. Le
metastasi ossee da carcinoma renale sono prevalentemente litiche. Il paziente con metastasi ossee da
carcinoma renale è pertanto a rischio elevato di dolore osseo importante e complicanze scheletriche come
fratture patologiche e compressione midollare. Poiché il carcinoma renale notoriamente produce l’ormone
paratiroideo simile (PTHrP) [2], i pazienti con carcinoma renale metastatico vanno frequentemente incontro
a ipercalcemia, Vi è pertanto un forte razionale per l’uso dei bisfosfonati, così come di altri farmaci inibenti
l’attività osteoclastica, in questo contesto clinico.
2.
Evidenze
A tutt’oggi non vi sono studi randomizzati che abbiano indagato specificamente l’efficacia di farmaci
inbitori dell’osteolisi in pazienti con carcinoma renale. In uno studio prospettico randomizzato è stata
valutata l’efficacia della somministrazione di acido zoledronico versus placebo in pazienti con metastasi
ossee da carcinoma del polmone e altri istotipi fra cui il carcinoma renale [3]. I dati dei 74 pazienti portatori
di carcinoma renale randomizzati ad effettuare acido zoledronico (55) o placebo (19) sono stati analizzati
separatamente [4]. Rispetto al placebo, i pazienti che hanno ricevuto acido zoledronico (4 mg ogni 21 giorni
per 9 mesi) sono andati incontro ad una minore frequenza di complicanze scheletriche (74% vs 37%,
p=0.015) con una riduzione assoluta del 37%. Il tempo mediano alla comparsa del primo evento scheletrico
avverso è stato di 424 giorni nei pazienti randomizzati ad effettuare acido zoledronico versus 72 giorni dei
pazienti randomizzati a ricevere placebo (P=0.007) (Livello di Evidenza SIGN 1)
23
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
L’efficacia di denosumab versus acido zoledronico nel ritardare la comparsa del primo evento scheletrico in
pazienti con istotipi diversi da carcinoma mammario, polmonare, prostatico e mieloma multiplo è stata
testata in 904 pazienti [5]. Questi casi rappresentano un sottogruppo nell’ambito di uno studio prospettico
randomizzato che includeva anche pazienti con carcinoma polmonare e mieloma multiplo. In questo
sottogruppo il denosumab si è dimostrato non inferiore all’acido zoledronico nel ritardare la comparsa del
primo evento scheletrico (HR 0.79, 95% IC, 0.62-0.99; p=0.04). (Livello di Evidenza SIGN 1+).
3. Raccomandazioni
Le evidenze di efficacia dei bisfosfonati nel trattamento di pazienti con metastasi ossee da carcinoma renale
sono limitate ad una analisi per sottogruppi nell’ambito di un unico studio prospettico randomizzato. Il forte
razionale per l’impiego di tali farmaci in questo contesto e i risultati comunque ottenuti suggeriscono
l’impiego di acido zoledronico alla dose di 4 mg per via endovenosa ogni 21 giorni per la prevenzione delle
complicanze scheletriche.
Il denosumab sembra non essere inferiore all’acido zoledronico anche in questo setting di pazienti.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
L’uso dei bisfosfonati può essere preso in considerazione
in pazienti con metastasi ossee da carcinoma renale con
l’obiettivo di prevenire o ritardare l’insorgenza delle
complicanze scheletriche
Positiva debole
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
Il denosumab può essere preso in considerazione in
pazienti con metastasi ossee da carcinoma renale con
l’obiettivo di prevenire o ritardare l’insorgenza delle
complicanze scheletriche
Positiva debole
Take home message: I bisfosfonati (ac. zoledronico) possono essere efficaci nel prevenire e ritardare
l’insorgenza di complicanze scheletriche in pazienti con carcinoma renale metastatico a livello osseo. Il
denosumab sembra non essere inferiore all’acido zoledronico anche in questo setting di pazienti.
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disease in patients with advanced renal cell carcinoma. Cancer. 98: 962-969, 2003.
24
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
5. Henry DH, Costa L, Goldwasser F, Hirsh V, Hungria V, Prausova J, Scagliotti GV, Sleeboom H, Spencer A,
Vadhan-Raj S, von Moos R, Willenbacher W, Woll PJ, Wang J, Jiang Q, Jun S, Dansey R, Yeh H.Randomized,
double-blind study of denosumab versus zoledronic acid in the treatment of bone metastases in patients with
advanced cancer (excluding breast and prostate cancer) or multiple myeloma. J Clin Oncol. 29: 1125-1132, 2011.
E.
Metastasi ossee da carcinomi diversi da mammella, prostata,
polmone e rene
Alfredo Berruti
1.
Premessa
Quasi tutti i tumori epiteliali possono metastatizzare allo scheletro durante la loro storia naturale. Per tutti i
pazienti con metastasi ossee vi è un forte razionale per l’impiego dei bisfosfonati per ottenere un
miglioramento del dolore osseo e prevenire le complicanze scheletriche caratterizzate da fratture patologiche,
compressione midollare e ipercalcemia. Le neoplasie diverse dai carcinomi del polmone, della prostata, della
mammella e del rene hanno una minor probabilità di colonizzare il microambiente osseo per questo motivo
non vi sono studi di efficacia dei bisfosfonati per ogni singola patologia neoplastica.
2.
Evidenze
Uno studio prospettico randomizzato ha valutato l’efficacia della somministrazione di acido zoledronico
versus placebo [1] in pazienti con metastasi ossee da istotipi diversi dal carcinoma mammario, prostatico,
polmonare e mieloma multiplo. 143 pazienti sono stati randomizzati a ricevere acido zoledronico (4 mg o 8
mg ogni 21 giorni) oppure placebo. In questo gruppo eterogeneo l’acido zoledronico si è mostrato efficace
nel ridurre la proporzione di complicanze scheletriche (33% vs 43%, p=0.11) rispetto al placebo con una
riduzione del rischio assoluto pari al 10%. L’acido zoledronico ha altresì mostrato di aumentare il tempo alla
comparsa del primo evento scheletrico avverso rispetto al placebo (mediana 314 giorni versus 168 giorni,
rispettivamente, p=0.051). (Livello di Evidenza SIGN 1+). Zaghloul MS et al. [2] hanno riportato i risultati
di uno studio clinico randomizzato in pazienti affetti da neoplasia vescicale con metastasi ossee di confronto
tra acido zoledronico e placebo. Gli obiettivi primari erano l’incidenza di SRE, il tempo alla comparsa del
primo SRE e la sopravvivenza a 1 anno. Il numero medio per paziente di SRE è risultato significativamente
inferiore nel gruppo di pazienti trattato con acido zoledronico (P=0.001), cosi come il tempo mediano alla
comparsa del primo SRE è risultato significativamente superiore nel braccio di trattamento con il bifosfonato
(56 verso 115 giorni) (P=0.0004). Infine, l’acido zoledronico ha dimostrato di incrementare in maniera
significativa la sopravvivenza a 1 anno (30% verso 5%) (P=0.02). (Livello di Evidenza SIGN 1+).
L’efficacia di denosumab versus acido zoledronico nel ritardare la comparsa del primo evento scheletrico in
pazienti con istotipi diversi da carcinoma mammario, polmonare, prostatico e mieloma multiplo è stata
testata in 904 pazienti [3]. Questi casi rappresentano un sottogruppo nell’ambito di uno studio prospettico
randomizzato che includeva anche pazienti con carcinoma polmonare e mieloma multiplo.
In questo sottogruppo il denosumab si è dimostrato non inferiore all’acido zoledronico nel ritardare la
comparsa del primo evento scheletrico (HR 0.79, 95% IC, 0.62-0.99; p=0.04). (Livello di evidenza 1+;
grado raccomandazione positiva forte). (Livello di Evidenza SIGN 1+).
3.
Raccomandazioni
Pur in presenza di evidenze limitate riguardanti l’efficacia dei bisfosfonati e denosumab in pazienti con
metastasi ossee da neoplasia diversa dai carcinomi mammario, renale, polmonare e prostatico, sulla base di
un forte razionale, si ritiene utile la somministrazione di questi farmaci per prevenire o ritardare l’insorgenza
di complicanze scheletriche.
25
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
L’uso dei bisfosfonati può essere preso in considerazione
in pazienti con metastasi ossee da neoplasia diversa dai
carcinomi mammario, renale, polmonare e prostatico con
l’obiettivo di prevenire o ritardare l’insorgenza delle
complicanze scheletriche
Positiva debole
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
Il denosumab può essere preso in considerazione in
pazienti con metastasi ossee da neoplasia diversa dai
carcinomi mammario, renale, polmonare e prostatico con
l’obiettivo di prevenire o ritardare l’insorgenza delle
complicanze scheletriche.
Positiva debole
Take home message: I bisfosfonati (ac. zoledronico) e denosumab possono essere efficaci nel prevenire e
ritardare l’insorgenza di complicanze scheletriche in pazienti con metastasi ossee diversi da carcinoma
prostatico, mammario, polmonare e renale.
Bibliografia
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Rosen LS, Gordon D, Tchekmedyian NS, Yanagihara R, Hirsh V, Krzakowski M, Pawlicki M, De Souza P, Zheng
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Durata della terapia nella malattia metastatica
Toni Ibrahim
La durata ottimale del trattamento non è stata stabilita, il beneficio dello Zoledronato e dell’Ibandronato
riportato negli studi è per un periodo di trattamento di 2 anni [1-4]. Inoltre il proseguimento della terapia con
acido Zoledronico dopo la comparsa di un evento scheletrico ha portato ad una riduzione, statisticamente
significativa, nella comparsa di successivi eventi [2,5].
Dati riportati in uno studio osservazionale [9] (Livello di Evidenza SIGN 3) hanno mostrato che la terapia
con Acido zoledronico nelle metastasi ossee da tumori solidi per una durata superiore ai due anni, è associata
ad un tasso basso di SRE con profilo di sicurezza accettabile. Inoltre la sospensione dello Zoledronato è
associato a maggior rischio di SRE.
26
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
All’ASCO 2010, Winters J.P. et al (27) hanno riportato i risultati di una analisi retrospettiva su 92 pazienti
con metastasi ossee da tumori solidi e con Mieloma Multiplo trattati con pamidronato o Zoledronato per oltre
2 anni (durata media di 36 mesi) con profilo di tossicità buono e maggior rischio di SRE nei primi due anni
di trattamento.
Negli studi clinici la durata delle terapie variava da 12 settimane in una prima fase di studio del denosumab
(33) a 96 settimane per i bisfosfonati (34-37) e fino a circa 34 mesi in studi di fase III di denosumab come
nel tumore mammario e prostatico (38, 39). Questi studi non hanno fornito dati riguardanti la durata ottimale
del trattamento e soprattutto il confronto tra terapia continuativa o interrotta. (Livello di Evidenza SIGN 1+).
Di conseguenza, la durata consigliata per la terapia target all’osso, in assenza di sufficienti dati, è di almeno
2 anni sospendendo il trattamento in caso di peggioramento del Performance Status. Il proseguimento del
trattamento è consigliato tenendo conto dei rischi di sviluppo di eventi scheletrici, della tollerabilità e delle
condizioni generali [6,10,31,43]. Ulteriori studi sono utili per migliore definizione della durata del
trattamento, in particolare per il denosumab in assenza di accumulo del farmaco stesso nel tessuto osseo
rispetto i bisfosfonati. Tali studi devono tenere conto non solo della riduzione degli SRE, ma anche dei
rischi/benefici globali del trattamento.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
La durata consigliata in fase metastatica per la terapia
target all’osso è di almeno 2 anni.
Positiva debole
G. Quando iniziare la terapia nella malattia metastatica
Toni Ibrahim
Dagli studi si evince che il tempo medio alla comparsa del primo evento scheletrico correlato dalla diagnosi
di metastasi ossee è inferiore a 12 mesi, esempio nel tumore mammario è di 7 mesi, in assenza di terapia
target all’osso (10, 32). (Livello di Evidenza SIGN 1+).
Inoltre il beneficio dei farmaci target all’osso sulla prevenzione degli eventi scheletrici si è rivelato efficace
nel ritardare sia il primo evento che i successivi. Inoltre la presenza di un evento scheletrico aumento la
comparsa di ulteriori eventi (10). Per tutto questo, viene consigliato, in assenza di dati di confronto in
letteratura, e allo scopo di interrompere il ciclo vizioso a livello osseo responsabile del danno (30) e di
mantenere la salute dell’osso che può essere alterata dai trattamenti antitumorali stessi (ormonoterapiachemioterapia) (vedi capitolo corrispondente) di iniziare tale trattamento al momento dell’evidenza
radiologica di metastasi ossee (scintigrafia ossea o PET captanti con conferma morfologica di almeno una
lesione ossea – con Rx o TC o RMN) in assenza di sintomi [6,10-12]. (Livello di Evidenza SIGN 4).
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
La terapia target all’osso dovrebbe essere iniziata al
momento dell’evidenza radiologica di metastasi ossee in
assenza di sintomi.
Positiva forte
27
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
H.
Dosi e schedule nella malattia metastatica
Toni Ibrahim
Le dosi e le schedule riportate di seguito sono quelle standard consigliate dagli studi clinici e dagli enti
regolatori del farmaco [10,13-15].
• Pamidronato: 90 mg in 1-2 ore di infusione ogni 4 settimane.
• Zoledronato: 4 mg in 15 minuti di infusione ogni 3-4 settimane.
• Ibandronato:
6 mg in infusione endovenosa di almeno 15 minuti ogni 3-4 settimane.
- 50 mg al giorno per os. Le compresse devono essere assunte dopo un digiuno notturno (di
almeno 6 ore) e prima dell’assunzione di cibi e bevande al mattino (almeno 30 minuti).
• Denosumab: 120 mg sottocute ogni 4 settimane.
I dosaggi riportati, in particolare per i bisfosfonati come l’Acido Zoledronico sono da adeguare in alcuni casi
alle condizioni del paziente ed in particolare della funzionalità renale. Per questo è utile il dosaggio del
Clearence della creatinina prima dell’inizio del trattamento e successivamente prima di ogni
somministrazione della creatinina e della calcemia (vedi safety).
Sono in corso diversi studi con schedule diverse da quelle riportate sopra, allo scopo di verificare se la
densità di dose anche in base al turn over osseo o alla durata del trattamento può influire il risultato.
Il primo studio multicentrico è lo studio ZOOM italiano (Livello di Evidenza SIGN 1+) ed è stato pubblicato
nel 2013 su lancet Oncology (40). Lo studio ha incluso pazienti con metastasi ossee da carcinoma
mammario, confrontando l’Acido Zoledronico mensile con una schedula ogni 12 settimane dopo 9-12
somministrazioni con la schedula standard mensile.
La schedula sperimentale si è dimostrata non inferiore a quella standard nell’obiettivo primario, il numero
degli eventi scheletrici per paziente all’anno (Skeletal Morbidity Rate). Non è stata dimostrata alcuna
differenza in termini di safety.
Un analogo studio come disegno (Optimize 2) (42) è stato presentato all’ASCO 2014, confermando la non
differnza nell’obiettivo primario (SRE Rate) tra i due bracci e negli obiettivi secondari (tempo al primo SRE
e SMR oltre che la sicurezza).
Entrambi gli studi hanno diminuito il numero dei pazienti pre-pianificato con allungamento del limite di
tollerabilità per la non inferiorità.
La nuova schedula di Acido Zoledronico ogni 3 mesi dopo almeno 9-12 somministrazioni della schedula
mensile nel tumore della mammella, può rappresentare oggi un'alternativa terapeutica, in particolare nei
pazienti con buon controllo della malattia ossea. Durante il recente ASCO 2015 è stato presentato un nuovo
studio di fase III randomizzato (CALGB 70604) di non inferiorità in cui nel tumore della mammella, prostata
e mieloma in fase metastatica i paziernti sono stati randomizzati a ricevere acido zoledronico ogni mese o
ogni 3 mesi. La percentuale di pazienti con almeno 1 SRE è stata sovrapponibile per entrambi i bracci di
trattamento, cosi come il tempo al primo SRE, la SMR (skeletal morbidity rate) e il dolore. Inoltre la non
inferiorità è stata dimostrata per ogni tipo di neoplasia (mammella, prostata, mieloma) [44]
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
A
L’acido zoledronico nel tumore della mammella, della
prostata e nel mieloma in fase metastatica può essere
somministrato ogni 3 mesi dopo 9-12 somministrazioni
mensili o anche dall’inizio della terapia. Questa schedula
rappresenta attualmente una valida alternativa alla classica
schedula mensile
Positiva debole
28
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
I.
Scelta della via di somministrazione
Toni Ibrahim
La scelta della via di somministrazione deve tenere conto principalmente dell’efficacia del farmaco da
prescrivere (vedi paragrafi precedenti). Invece, nei casi di uguale efficacia, bisogna tenere conto dei seguenti
punti:
a. La somministrazione orale [16-19]:
• Richiede misure precauzionali per favorire l’assorbimento e ridurre gli effetti collaterali: il
digiuno e la posizione eretta;
• Richiede una funzionalità oro-gastro-intestinale nella norma;
• Richiede maggior collaborazione del paziente e aderenza al trattamento;
• Richiede minore coinvolgimento e di conseguenza minore controllo da parte del personale
Sanitario;
• Presenta maggiori effetti collaterali a livello del tratto gastro-intestinale.
b. La somministrazione endovenosa [20, 21]:
• Richiede l’accesso del paziente alla struttura ospedaliera (anche se in alcune realtà si esegue a
domicilio);
• Richiede l’accesso venoso;
• Richiede maggior coinvolgimento e di conseguenza maggior controllo da parte del personale
sanitario;
• Può essere infusa con altri trattamenti antineoplastici;
• Presenta maggiore comparsa di sindrome similinfluenzale;
• Richiede maggiore monitoraggio della funzionalità renale.
Al momento non ci sono degli studi che confrontano la via sottocutanea con quella endovenosa o orale in
termini di compliance del paziente.
A.
L’approccio multidisciplinare al paziente con metastasi ossee
Toni Ibrahim
Le metastasi ossee sono la causa maggiore di morbilità nei pazienti con cancro per due motivi, uno
epidemiologico e l’altro clinico. Oltre al sintomo dolore, durante la storia naturale di questi pazienti possono
comparire altre complicanze gravi tra le quali la frattura patologica, la compressione midollare,
l’ipercalcemia e la soppressione midollare. Queste complicanze peggiorano la qualità di vita dei pazienti,
diminuiscono le possibilità terapeutiche e di conseguenza peggiorano la prognosi [22,23]. Oltre la sede e il
tipo delle metastasi, anche la terapia soprattutto quella di tipo preventivo influisce sulla frequenza di queste
complicanze. Per questo è utile la creazione di modelli organizzativi nei quali l’interdisciplinarietà degli
interventi diagnostico-terapeutici e riabilitativi, soprattutto di tipo preventivo, trovi una concretezza operativa
allo scopo di ridurre i disagi psico-fisici dovuti alla malattia, ma soprattutto allo scopo di ridurre la stessa
frammentazione nell’approccio al paziente con metastasi ossee. Tali modelli devono coinvolgere, oltre
all’oncologo che ha in cura il paziente, anche il palliativista, il radioterapista, l’ortopedico, il neurochirurgo,
il medico nucleare, il radiologo diagnosta e interventista, il fisiatra e altre figure come l’infermiere
professionale e il data manager.
Questo è stato possibile grazie ad un processo educazionale iniziato nel lontano 2000 e che è tuttora in corso,
rappresentando in Italia e nel mondo una vera e propria rivoluzione culturale, formativa e assistenziale
nell’ambito della patologia ossea oncologica dando origine ad una nuova disciplina in oncologia che è
l’Osteoncologia. Questa si occupa dei tumori primitivi e secondari dell’osso, oltre che della salute dell’osso
in corso dei trattamenti antitumorali. L’obiettivo principale di questo progetto è quello di creare delle
strutture (Centri di Osteoncologia), nelle quali la multidisciplinarietà degli interventi di ricerca, diagnosticoterapeutici e riabilitativi trovi una concretezza operativa e l’attivazione di percorsi formativi, anche
29
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
universitari, che favoriscano la crescita culturale e scientifica di nuove figure professionali particolarmente
qualificati in osteoncologia (Osteoncologi). Il progetto ha realizzato corsi formativi multidisciplinari teoricopratici nazionali ed internazionali, fino all’attivazione di un master universitario di 2° livello di
Osteoncologia presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e un Dottorato di Ricerca in Patologia
Osteoncologica presso l’Università Campus Biomedico di Roma. Durante questo periodo sono stati realizzati
dei centri di Osteoncologia presso ospedali e università italiane, la pubblicazione di tre testi sulla patologia
ossea oncologica sia in lingua italiana che inglese (24-26) ed è stata fondata una società scientifica nel luglio
del 2008: Italian Society of Osteoncology e da ultimo la fondazione del Registro Nazionale delle Metastasi
Ossee presso L’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori a Meldola (Forlì-Cesena) .
I primi risultati sull’approccio multidisciplinare nell’ambito di Centri di Osteoncologia comincia a essere
segnalato da parte dei pazienti (livello di soddisfazione alto, molto utile questo approccio e no disagio dalla
presenza di diverse figure) [28,29]. Uno studio (41) svolto dai colleghi torinese dell’Ospedale S Giovanni
Battista in collaborazione con l’Università Bocconi ha mostrato che il percorso interdisciplinare presenta una
riduzione del costo medio di circa 225 euro rispetto a quello monodisciplinare. Tale approccio
multidisciplinare ha permesso di identificare ed applicare iter diagnostico-terapeutici più appropriati ed una
maggiore competenza e flessibilità in termini di personalizzazione delle cure.
Take home message: La durata della terapia target all’osso, in assenza di controindicazioni, dovrebbe essere
almeno 2 anni e deve essere iniziata all’evidenza radiologica di metastasi ossee anche in assenza di sintomi.
L’acido zoledronico ogni 3 mesi dopo 9/12 mensili nel tumore mammario rappresenta
un’alternativa terapeutica. Si consiglia un percorso interdisciplinare al paziente con metastasi ossee.
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abstr 9501)
M. Supplementazione di calcio e vitamina D durante trattamento con
farmaci inibenti l’attività osteoclastica
Alfredo Berruti
1.
Premessa
L’ipovitaminosi D è frequente nella popolazione generale e riguarda non solo le persone anziane [1].
Valutazioni di vitamina D nel paziente oncologico hanno dimostrato una elevata prevalenza di questa
malattia carenziale. Livelli normali di vitamina D si intendono concentrazioni uguali o superiori a 30 ng/ml,
livelli circolanti di vitamina D inferiori a 30 ng/ml ma superiori a 10 ng/ml indicano insufficienza e valori
inferiori a 10 ng/ml indicano invece una deficienza dell’ormone [1,2].
In una valutazione seriata in pazienti con carcinoma mammario, circa il 70-80 dei casi presentava livelli
subottimali circolanti di questo ormone [3]. L’ipovitaminosi D conduce ad un ridotto assorbimento
intestinale di calcio, si associa ad un aumentato turnover osseo e ad una riduzione delle forza muscolare
aumentando il rischio di caduta [1].
Quando ad un paziente con ipovitaminosi D viene somministrato un potente bisfosfonato per via endovenosa
vi è rischio di ipocalcemia, in taluni casi anche severa e sintomatica [4,5]. Durante trattamento con
bisfosfonati è pertanto indispensabile una supplementazione di calcio e vitamina D. Le dosi giornaliere di
calcio e vitamina D raccomandate durante un trattamento con acido zoledronico o denosumab sono 500 mg e
400 UI, rispettivamente [6]. Occorre tuttavia sottolineare come tale dose sia stata decisa empiricamente sulla
base di quello che si riteneva fosse il fabbisogno giornaliero di una persona adulta di età superiore a 60 anni
al momento in cui questi studi sono stati disegnati.
Oggi si ritiene che tale supplementazione sia insufficiente e si consigliano dosi giornaliere almeno doppie
(1000 UI di vitamina D e 1000-1200 mg di calcio) allo scopo di prevenire l’ipovitaminosi D [1,2,7]. Da ciò
ne deriva che probabilmente eventuali ipovitaminosi D nei pazienti randomizzati negli studi clinici con
bisfosfonati e denosumab non siano state adeguatamente corrette in molti casi.
2.
Evidenze
Vi sono motivazioni teoriche che suggeriscono come un’ipovitaminosi D possa limitare l’efficacia dei
bisfosfonati e denosumab: 1) la vitamina D ha dimostrato avere effetti antiproliferativi nei confronti di
svariate neoplasie [1], favorendo potenzialmente quindi la progressione di malattia, 2) il paziente con
ipovitaminosi D può andare incontro a ipocalcemia a seguito della somministrazione di farmaci inibenti
32
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
l’attività osteoclastica e quindi ad iperparatiroidismo secondario. Il paratormone stimola l’attività
osteoclastica limitando potenzialmente l’efficacia di questi farmaci nella prevenzione delle complicanze
scheletriche. Il paratormone può aumentare la disponibilità di fattori di crescita nel microambiente osseo
favorendo la progressione ossea di malattia, inoltre il paratormone è molto simile al PTHrP, uno dei più
potenti fattori di crescita, e si lega allo stesso recettore presente nella maggior parte delle cellule
neoplastiche. Purtroppo in nessuno studio randomizzato, in cui sono stati impiegati i bisfosfonati o
denosumab, sono stati valutati i livelli circolanti di vitamina D.
Negli studi registrativi in cui l’acido zoledronico è stato randomizzato versus placebo o pamidronato è stato
effettuato un monitoraggio trimestrale di calcemia e paratormone. In una analisi esplorativa recentemente
pubblicata [8], livelli elevati di paratormone in condizioni basali e durante terapia con acido zoledronico in
pazienti con metastasi ossee da carcinoma prostatico hanno mostrato di correlare direttamente con la
probabilità di andare incontro a morte.
Questi dati devono essere interpretati con molta cautela in quanto si riferiscono ad una analisi per sottogruppi
non pianificata all’inizio dello studio e non possono essere generalizzabili (Livello di Evidenza SIGN 3).
Tuttavia, poiché l’iperparatiroidismo secondario indotto da acido zoledronico è verosimilmente in gran parte
dovuto ad una relativa carenza di vitamina D, questi dati suggeriscono come una adeguata supplementazione
di vitamina D possa migliorare l’efficacia dei farmaci anti osteolitici nel trattamento di pazienti con metastasi
ossee.
3.
Raccomandazioni
Quantunque oggi non vi siano elementi sufficienti per supportare in generale la supplementazione di
vitamina D in pazienti oncologici al di fuori di studi controllati [9], sulla base di quanto su descritto, è invece
raccomandabile una supplementazione di calcio e vitamina D in tutti i pazienti con metastasi ossee che
debbano effettuare un trattamento con bisfosfonati o denosumab.
Non vi sono dati sul dosaggio adeguato, occorre tuttavia considerare che la dose giornaliera raccomandata
nel foglietto illustrativo di tali farmaci (400 UI di vitamina D e 500 mg di calcio) possa non essere adeguata
poiché la supplementazione consigliata oggi in un soggetto di età superiore a 60 anni per la prevenzione
dell’ipovitaminosi D prevede un dosaggio ALMENO doppio sia di calcio che di vitamina D.
E’ consigliabile comunque correggere ipocalcemie severe anche se asintomatiche durante trattamento con
potenti bisfosfonati o denosumab con dosi adeguate di vitamina D in quanto potenzialmente in grado di
limitare l’efficacia di tali farmaci.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
In tutti i pazienti con metastasi ossee che debbano
effettuare un trattamento con bisfosfonati o denosumab è
raccomandabile una supplementazione di calcio e
vitamina D
Positiva forte
D
Si raccomanda di effettuare la supplementazione di calcio
e vitamina D a dosi di almeno 1000-1200 UI al giorno di
vitamina D e di 500 mg al giorno di calcio, possibilmente
in formulazioni farmaceutiche separate
Positiva forte
D
Si raccomanda di correggere ipocalcemie severe anche se
asintomatiche durante trattamento con bisfosfonati o
denosumab con dosi adeguate di vitamina D
Positiva forte
33
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Take home message: A tutti i pazienti che effettuano bisfosfonati per via endovenosa o orale e denosumab
per via sottocutanea è raccomandata una supplementazione di calcio e vitamina D. E’ consigliabile
somministrare a tutti i pazienti oncologici che devono iniziare una terapia con bifosfonati una dose di almeno
1000-1200 UI al giorno di vitamina D e di 500 mg al giorno di calcio, possibilmente in formulazioni
farmaceutiche separate. Utile monitoraggio di calcemia (ionizzata o corretta per albumina) durante il
trattamento con bisfosfonati o denosumab al fine di correggere valori ipocalcemici severi.
Bibliografia
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N.
Ruolo dei marcatori di turn-over
dell’efficacia dei bisfosfonati
osseo
nel
monitoraggio
Alfredo Berruti
I bisfosfonati e denosumab sono farmaci efficaci nella prevenzione delle complicanze scheletriche in pazienti
con metastasi ossee. Non tutti i pazienti tuttavia beneficiano da questi farmaci ed altri inizialmente responsivi
possono andare incontro all’evento scheletrico avverso in un secondo momento.
Da tutto questo si evince l’importanza di aver a disposizione end point intermedi o surrogati che possano
predire dopo breve periodo di trattamento l’efficacia di tali farmaci.
I parametri clinici, come il controllo del dolore, non possono essere impiegati in questo senso in quanto
l’effetto antidolorifico di questi farmaci è spesso indipendente rispetto alla prevenzione delle complicanze.
Poiché i bisfosfonati e denosumab inibiscono profondamente il metabolismo osseo, i marcatori di turnover
osseo si prestano per essere i primi parametri surrogati di efficacia. Poiché il target del trattamento con questi
farmaci sono gli osteoclasti, i marcatori di lisi del collagene rappresentano i primi potenziali marcatori
surrogati.
Gli studi principali e più importanti sul ruolo predittivo di efficacia dei marcatori di lisi del collagene sono
stati condotti nell’ambito dei pazienti randomizzati negli studi registrativi di confronto fra acido zoledronico
e pamidronato o placebo. In tutti questi studi, infatti, i livelli urinari di NTX (frammento poliaminoacidico N
terminale del collagene di tipo I) sono stati monitorati ogni 3 mesi circa in tutti i pazienti.
I risultati ottenuti sono stati i seguenti:
1) pazienti affetti da metastasi ossee da carcinoma prostatico, carcinoma del polmone e altri istotipi minori,
randomizzati nel braccio placebo e con livelli basali elevati di NTX hanno mostrato una significativa
maggiore probabilità di andare incontro a complicanze scheletriche, progressione ossea di malattia e
morte rispetto a pazienti con livelli normali [1] (Livello di Evidenza SIGN 3);
34
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
2) Livelli elevati di NTX in condizioni basali di pazienti con carcinoma della mammella, carcinoma della
prostata, carcinoma del polmone e altri istotipi minori, randomizzati a ricevere acido zoledronico, hanno
mostrato una correlazione diretta con la probabilità di andare incontro a complicanze scheletriche,
progressione ossea di malattia, morte rispetto a pazienti con livelli basali bassi [2] (Livello di Evidenza
SIGN 3);
3) Pazienti con carcinoma della mammella e livelli basali elevati di NTX che si sono normalizzati dopo 3
mesi di trattamento con acido zoledronico hanno mostrato minore probabilità di andare incontro a
complicanze scheletriche, progressione ossea di malattia e morte rispetto alle pazienti che hanno
mantenuto livelli elevati durante la terapia [3] (Livello di Evidenza SIGN 3).
Questi dati dimostrano che i valori basali di NTX e la discesa di tale marcatore dopo acido zoledronico
predicono l’insorgenza di tutti gli eventi avversi a cui può andare incontro un paziente con metastasi ossee.
La domanda che ci si deve porre è se l’NTX possa essere utilizzato come end point surrogato di efficacia
dell’acido zoledronico in pazienti con metastasi ossee.
I criteri della “surrogacy sono stati definiti da Prentice e collaboratori [4]. Sulla base dei risultati su descritti
l’NTX soddisfa 3 dei criteri per definire un end point surrogato in quanto:
1) in condizioni basali correla con l’end point primario (in questo caso le complicanze scheletriche o la
progressione ossea di malattia, o la sopravvivenza);
2) le variazioni di NTX durante il trattamento sono significativamente influenzate dal trattamento stesso;
3) la discesa dell’NTX durante trattamento con acido zoledronico correla con i parametri di efficacia
(riduzione delle complicanze scheletriche, aumento del tempo a progressione ossea di malattia, aumento
della sopravvivenza globale).
Tuttavia per poter utilizzare la discesa dell’NTX come end point surrogato nella pratica clinica è necessario
dimostrare che, correggendo per l’end point surrogato (cioè la discesa del NTX), l’effetto del trattamento
(cioè dell’acido zoledronico) sugli end point primari (eventi scheletrici, progressione ossea e morte)
scompare. In altre parole occorre dimostrare in analisi multivariata che, per esempio, quando si corregge per
la discesa di NTX, l’effetto di acido zoledronico sulla prevenzione delle complicanze scheletriche perde di
significatività. Il che equivale a dire che è attraverso l’inibizione dell’osteolisi di cui NTX è espressione che
l’acido zoledronico è efficace.
In assenza di questa dimostrazione non è per ora possibile utilizzare l’NTX come parametro surrogato di
efficacia della somministrazione di acido zoledronico in pazienti con metastasi ossee. Per quanto riguarda
denosumab, l’osservazione che tale farmaco sia in grado di indurre una maggior riduzione dei livelli di NTX
rispetto ad acido zoledronico nello studio in cui si dimostra una sua maggior efficacia nella prevenzione
degli eventi scheletrici è suggestivo delle potenzialità di NTX come parametro surrogato di efficacia, tuttavia
anche per denosumab manca la dimostrazione della “surrogacy”.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
In pazienti con metastasi ossee, l’impiego di NTX come
parametro surrogato di efficacia della terapia non è
raccomandabile
Negativa debole
Take home message: valori basali di NTX e variazioni di NTX dopo acido zoledronico o denosumab
correlano con l’efficacia di tali farmaci. A tutt’oggi tuttavia l’NTX non possiede tutti i requisiti per poter
essere considerato un valido end point surrogato di efficacia dei farmaci inibitori del riassorbimento osseo
nel trattamento di pazienti con metastasi ossee.
35
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Bibliografia
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O. Il ruolo delle bone target therapy nel miglioramento della QoL e nel
trattamento del dolore
Carla Ripamonti
I bisfosfonati sono gli agenti più efficaci per il trattamento e/o la prevenzione delle complicanze da metastasi
ossee e sono il trattamento standard per queste indicazioni.
Diversi studi indicano come i bisfosfonati siano in grado di offrire significativi e duraturi miglioramenti del
dolore osseo. Questo è stato dimostrato in numerosi studi adeguatamente dimensionati, a prescindere degli
strumenti di misura utilizzati per rilevare questo tipo di effetti. (Livello di Evidenza SIGN 1+).
Oltre ad un controllo del dolore a lungo termine dovuto ai benefici effetti sull’integrità ossea, i BP sembrano
esercitare effetti analgesici anche sul dolore non responsivo ad alte dosi di oppioidi analgesici quando
somministrati con una dose di carico (Livello di Evidenza SIGN 3).
Per quanto riguarda la scelta del BP da somministrare, bisogna basarsi sull’effetto di tali composti sulla
prevenzione degli eventi scheletrici, che è il principale scopo della loro somministrazione nei pazienti con
metastasi ossee.
Per quanto riguarda i pazienti con carcinoma mammario, esistono possibilità di trattamento con diversi tipi di
bisfosfonato (pamidronato, acido zoledronico e ibandronato).
Nei pazienti con mieloma multiplo, pamidronato e acido zoledronico sono i due bisfosfonati raccomandati.
Nelle altre patologie solide, l’unico bisfosfonato con indicazione d’uso è attualmente l’acido zoledronico.
La somministrazione di a.zoledronico ha mostrato ridurre in modo significativo anche il dolore incidente che
è il dolore di particolare rilevanza nei pazienti con metastasi ossee da carcinoma mammario e prostatico nella
fase di mobilizzazione.
Sebbene schemi di trattamento con dosi intensive abbiano dato risultati incoraggianti in pazienti con
carcinoma mammario trattate con ibandronato in studi pilota, tale approccio è in corso di sperimentazione
clinica e non è da intraprendere al di fuori di studi sperimentali. La somministrazione intensiva di
ibandronato (cui viene fatta seguire la terapia di mantenimento con farmaco orale o iniettabile) è attualmente
in sperimentazione clinica di fase III in pazienti metastatici con dolore osseo da moderato a severo, in
doppio-cieco in confronto con acido zoledronico (e.v. 4 mg ogni 4 settimane)
Confronti oggettivi tra i diversi BP in termini di miglioramento della qualità della vita e dell’analgesia sono
complicati dalle differenze fra gli studi, in termini di sistemi di misurazione ed analisi statistiche. Solo studi
prospettici comparativi potranno dare una risposta definitiva in questi termini.
Solo un numero limitato di studi dimostra significativi miglioramenti della qualità della vita, che viene per lo
più mantenuta nel tempo, senza ulteriori peggioramenti (Livello di Evidenza SIGN 1+).
36
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Tuttavia non essendoci studi che misurano la qualità della vita come end-point primario con strumenti di
valutazione standardizzati, la scelta del trattamento con BP è legata all’effetto di questi farmaci sulla
prevenzione degli eventi scheletrici.
Una recente analisi integrata dei tre studi di fase III di confronto tra denosumab e acido zoledronico ha
confrontato i due farmaci in termini di prevenzione della progressione del dolore e di miglioramento della
qualità di vita. Per entrambi i parametri il denosumab ha dimostrato una superiorità statisticamente
significativa rispetto all’acido zoledronico (Livello di Evidenza SIGN 1++).
Va infine sottolineato che nella maggior parte degli studi, il consumo di analgesici si è mantenuto quasi
sempre invariato tra i pazienti trattati con BP e quelli non trattati, indicando chiaramente che i BP non
sostituiscono la terapia anti-dolorifica convenzionale ma contribuiscono con effetto additivo co-analgesico.
Raccomandazioni
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
In assenza di studi che misurano la qualità della vita come
end-point primario con strumenti di valutazione
standardizzati, la scelta del trattamento bone-targeted è
legata all’effetto di questi farmaci sulla prevenzione degli
eventi scheletrici.
Positiva forte
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
Bisfosfonati e Denosumab possono trovare impiego per il
controllo del dolore in pazienti con metastasi ossee da
carcinoma prostatico ormonorefrattario, ma non possono
sostituire i farmaci analgesici.
Positiva debole
Take home message: I bisfosfonati sono efficaci nel ridurre il dolore scheletrico, ma non possono essere
considerati sostitutivi dei comuni analgesici. Gli studi di fase III con denosumab confrontato con acido
zoledronico hanno dimostrato una superiorità del primo anche in termnini di riduzione del dolore e
mantenimento della qualità di vita (analisi integrata di studi randomizzati).
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La prevenzione ed trattamento della CTIBL
Francesco Bertoldo
1.
Introduzione
1.1 Definizione di osteoporosi
La CTIBL è una forma particolare di osteoporosi caratterizzata da una elevata velocità di perdita di massa
ossea (rispetto alla forma postmenopausale). L’osteoporosi è definita come una malattia dello scheletro che
ne determina la fragilità attraverso la compromissione sia della quantità di massa ossea che per alterazioni
qualitative relative amodificazioni della geometria scheletrica (soprattutto a carico dell’osso corticale), della
microarchitettura trabecolare (soprattutto a livello vertebrale) e della qualità del collageno. La perdita di
massa ossea e la alterazioni qualitative avvengono in maniera totalmente asintomatica. Solo la frattura è la
manifestazione clinica evidente. Le fratture avvengono per traumi non efficienti (ovvero la caduta dalla
stazione eretta) oppure anche in assenza di traumi. Le fratture vertebrali (che sono in assoluto le più
frequenti) sono nel 60% dei casi totalmente asintomatiche (vengono definite morfometriche in quanto
identificabile solo mediante valutazione semiquantitaiva della radiografia della colonna).
Le fratture osteoporotiche, anche quelle vertebrali asintomatiche, determinano un significativo e rapido
incremento del rischio fratturativo, un deterioramento della qualità della vita, ed un significativo impatto
sulla morbidità e mortalità. [1,2,3,4]
1.2 La valutazione della massa ossea
La valutazione della massa ossea è finalizzata alla stima del rischio fratturativo in quanto la massa ossea è
uno dei maggiori determinanti della resistenza meccanica dello scheletro. Il gold standard attuale della
misurazione della massa ossea è la tecnica DEXA (Dual Energy X Ray Absorptiometry) che esprime il grado
di attenuazione del fascio di raggi attraverso il segmento scheletrico (espressa in gr/cm2).
39
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
La scansione potrà essere effettuata a livello vertebrale o femorale. Il rischio fratturativo può essere valutato
anche mediante altre tecniche come l’indagine ultrasonografica (QUS= quantitative ultrasound
measurement) a livello del calcagno o delle falangi (valore espresso come attenuazione del fascio
ultrasonografico) o mediante TAC a livello vertebrale(mg/cm3). Quest’ultima metodica non ha ancora
sufficienti documentazioni intermini di predittività del rischio fratturativo e perciò il suo utilizzo diagnostico
non è giustificato. Inoltre non è utilizzabile per il follow up. [5]
Con la DEXA e QUS il valore verrà espresso nel referto in due modalità diverse.Il T-score (ovvero il numero
di deviazioni standard rispetto al valore del giovane adulto) e lo Z-score (ovvero il valore in termini di DS
rispetto ai soggetti sani di pari età). Il T-score viene utilizzato per la stima del rischio fratturativo. Il rischio
fratturativo circa raddoppia per ogni deviazione DS di calo. Operativamente un valore di T-score inferiore o
uguale a - 2.5 viene definito osteoporosi, tra -1 e -2.5 osteopenia e superiore a -1 normale.
Per le tecniche ultrasonografiche solo quella del calcagno corrisponde come valori di T-score a quelli della
DEXA. Per la QUS delle falangi la soglia diagnostica di osteoporosi del T-score è di -4 DS. La tecnica ad
QUS non è indicata per il follow up della massa ossea ed il monitoraggio dell’effetto terapeutico [5].
La prescrivibilità dell’esame densitometrico DEXA per la valutazione della BMD è regolato a livello
nazionale dai criteri LEA (Livelli Essenziali di Assistenza)
1.3 Interpretazione ed utilizzo dei valori di T- Score
La diagnosi di osteoporosi oggi può essere fatta in presenza di una frattura da fragilità o, in assenza di una
frattura, mediante la valutazione della massa ossea che ne predice il rischio.
Nel 1994 l’OMS aveva definito a rischio di frattura un valore di massa ossea misurata mediante DXA
(BMD) uguale o inferiore a -2.5 di T-score. Tale valore oggi è comunemente utilizzato anche come soglia
terapeutica. Le linee guida ASCO 2003 nell’algoritmo di intervento si riferiscono a questa definizione.
Attualmente tale valutazione è stata ampiamente rivista alla luce di due fattori: il primo che il test DEXA ha
una elevata specificità ma bassa sensibilità. Infatti oltre circa il 65% delle fratture avviene con una BMD T
score<-2,5 cioè in donne non osteoporotiche e il 52% delle fratture avviene in donne considerate solo
osteopeniche (T-score tra -1 e -2,5 DS) [6]. In secondo luogo oggi il rischio assoluto di frattura a 10 anni è
stato stabilito mettendo in relazione il T-score con l’età. A parità di rischio, aumentando l’età aumenta il
valore soglia di T-score (ad esempio una rischio di frattura del 18% a 50 anni si raggiunge con un T-score di
-2.5 , a 70 anni con un T-score di -1.5) [2,7]. Inoltre nella valutazione del rischio di frattura oggi vanno
considerati, in una valutazione intergrata, oltre alla BMD alcuni fattori di rischio BMD indipendenti, quali
appunto l’età , la terapia steroidea, il BMI, la storia familiare di frattura di femore o di vertebra, la storia
personale dopo i 50 anni di fratture, il fumo e l’alcol [2,8].
L’OMS ha costruito una carta del rischio che prevede l’integrazione di tali fattori con algoritmi, tenendo
conto anche delle diversità nazionali [9]).
Il rapporto tra età, T-score e probabilità di frattura è illustrato nella tabella 2A. mentre il rapporto con il
numero di fattori di rischio e T.score nella tabella 2B. [2]
Nella tabella 1 sono riassunte le procedure ambulatoriali essenziali per la diagnosi di osteoporosi e per la
definizione della soglia di intervento [2]. (Livello di Evidenza SIGN 4)
1.4 Fattori di rischio per frattura indipendenti dalla BMD
Età: Dopo la menopausa il declino della produzione estrogenica causa una rapida perdita di massa ossea pari
all’1-2% all’anno [10]. L’incidenza fratturativa è più elevata nelle donne al di sopra dei 60 anni di età e l’età
sopra i 60 anni raddoppia il rischio di frattura rispetto all’eta < 60 anni [11]. In termini di rischio assoluto di
frattura a 10 anni al crescere dell’età si riduce la soglia densitometrica di frattura, per cui dopo i 65 anni il
rischio fratturativo diventa significativo anche per valori di T-score compresi tra -1 e -2.5 (definibili come
osteopenia) [2].
Le fratture: Tra i fattori di rischio per fratture si segnala la presenza di fratture osteoporotiche che
costituiscono il miglior criterio di diagnosi ed il miglior predittore di rischio futuro. Le fratture tipiche
dell’osteoporosi sono a carico del radio, delle vertebre e del femore, ma in teoria qualunque segmento
40
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
scheletrico può incorrere in una frattura da fragilità. Le più comuni fratture osteoporotiche sono a carico dei
corpi vertebrali (tipicamente tra T6 e L2). Il numero di fratture vertebrali e la loro gravità (gradi da 1 a 3 con
valutazione semiquantitativa secondo Genant (vedi schema, FIG 1) correlano con il rischio [12]. Ogni
frattura predice il rischio di altre fratture [8,12]. Una frattura vertebrale raddoppia il rischio di avere una
qualsiasi altra frattura nel primo anno [3]. Tipicamente il 50% delle fratture vertebrali sono totalmente
asintomatiche o presentano sintomi talmente aspecifici che difficilmente vengono attribuiti all’evento
fratturativo. Inoltre sono raramente associate ad un evento traumatico. Ciò comporta che siano totalmente
misconosciute e vadano perciò ricercate ad hoc, mediante RX [2].
I corticosteroidi: Non esiste un dosaggio sicuro di corticosteroide e anche se in maniera meno definita
anche la terapia steroidea topica per le patologie respiratorie determina effetti negativi sull’osseo. Oggi la
soglia di rischio fratturativo per la terapia steroidea è stabilita a 5 mg PN/equivalenti per almeno 3 mesi. Il
rischio fratturativo avviene indipendentemente dalle alterazioni della BMD. Anche a bassi dosaggi il
cortisone aumenta il rischio di una qualsiasi frattura del 39% e raddoppia il rischio di incorrere in una
frattura di femore [2,9].
Il peso: Un basso valore di BMI (inferiore a 20 kg/m2) è un fattori di rischio significativo per frattura di
femore. Il rischio aumenta di circa due volte se si confrontano soggetti con BMI di 25 e 20 kg/m2. Peraltro il
sovrappeso non è un fattore protettivo [9].
La familiarità per fratture osteoporotiche: La storia familiare di fratture femorali e vertebrali è un
significativo fattore di rischio per fratture da fragilità. L’associazione familiare per fratture osteoporotiche è
molto più forte di quella per cardiopatia ischemica. Ad un’ampia metanalisi emerge che un’anamnesi
familiare positiva per frattura di femore è associata ad un aumento del 34% del rischio di incorrere in una
frattura qualsiasi e del 75% quella di femore [13].
Il fumo: il fumo aumenta il rischio di frattura del femore del 50 % nelle donne in postmenopausa come
dimostrato da una analisi di 29 studi comprendenti più di 10000 pazienti fumatori e non. L’aumento del
rischio fratturativo non è appannaggio esclusivo dei fumatori abituali. Si è infatti registrato un aumento
dell’incidenza di frattura del femore del 42% anche in donne che avevano abbandonato l’abitudine tabagica e
il rischio è indipendente da età e BMD [14]
ALGORITMO PER IL CALCOLO DEL RISCHIO. Sono attualmente disponbili on-line algoritmi
matematici per il calcolo del rischio assoluto di frattura a 10 anni (sia per le fratture di femore che per le
fratture scheletriche maggiori). I due più utilizzati sono il FRAX (www.shef.ac.uk/FRAX) disponbile per
ogni nazione ed il De-Fra (solo Italia) che deriva dal FRAX (https://defra-osteoporosi.it/ ). La differenza
sostanziale tra i due è che nel FRAX alcuni fattori di rischio, che in realà hanno un peso graduabile, sono
inseribili come dicotomici mentre nel DeFRA il loro peso cambia con la severità del fattore di rischio ( ad
esempio le fratture : si/ no nel FRAX , numero di fratture nel DeFRA, e cosi per fumo, alcol, dose di
steroidi). Come soglia di rischio per intervento terapeutico viene comunemente accettata 3% per femore e
10% per le altre fratture. In entrambi gli algoritmi l’utilizzo della terapia ormonale adiuvante come variabile
di rischio non è considerata e attualmente per entrambi gli algoritmi validati per l’osteoporosi
postmenopausale e maschile, sembra che vi sia una sostanziale sottostima del reale rischio fratturativo. A
breve il DeFRA verrà implementato con questa specifica variabile. Entrambi gli algoritmi non sono validati
per il monitoraggio della terapia.
41
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
2. La perdita di massa ossea e rischio fratturativo nella terapia ormonale
adiuvante.
2.1 Rischio fratturativo nelle donne con neoplasia mammaria
Le pazienti con neoplasia mammaria presentano una condizione di particolare rischio fratturativo rispetto
alle coetanee sane [15]. Circa il 60% delle donne che incorrono in una neoplasia mammaria hanno più di 60
anni ed una elevata percentuale sopravvive a lungo. La velocità di perdita di massa ossea è
significativamente maggiore rispetto alla donne in menopausa fisiologica per l’effetto di una combinazione
di molteplici fattori, spesso iatrogeni (menopausa indotta da chemioterapia, GnRH , inibitori dell’aromatasi)
[16]. Inoltre andranno considerati altri fattori aggiuntivi indipendenti dalla neoplasia e dal suo trattamento
come ad esempio l’ipovitaminosi D o patologie /terapie concomitanti che interferiscano sul metabolismo
osseo (ad esempio i corticosteroidi) [17].
Neoplasia mammaria in premenopausa: effetti della terapia ormonale adiuvante e menopausa indotta da
chemioterapia
L’approccio terapeutico corrente alla donna con carcinoma della mammella in premenopausa prevede
chemioterapia, terapia ormanale adiuvante o entambi (eventualmente associata a target therapy se indicata).
Alcune di queste terapie possono indurrre menopausa o specificatamente essere deputate a indurre un
profondo stabile ipogonadismo tissutale. Ciòinduce un’importante e accelerata perdita di massa osse e
rischio di frattura. La velocità di perdita, comunque sia indotto l’ipogonadsmo, è molto superiore a quella
indotta da inibitori dell’aromatasi nelle donne gia in postmenopausale (71). Tra i maggiori preditori di
menopausa da chemioterapia vi è l’età ed il tipo di protocollo di trattamento. La menopusa si instaura nel 6085% circa delle donne che ricevono CMF ed nel 50% che ricevono FAC, con un’incidenza età-specifica del
33% tra i 30-39 anni, 96% tra 40-49 anni e 100% per donne sopra i 50 anni (72). Va segnalato che alte dosi
di steroidi vengono associate ai cicli di chemioterpia aggiungendo un altro fattore osteopenizzante. Numerosi
studi hanno esaminato la velocità di perdita di BMD nel primo e secondo anno dopo l’inizio della
chemioterapia (73). La velocità di perdita è di circa il 5-6% al primo anno e del 6% al secondo anno a livello
della colonna e 2,5% al femore (circa 3 volte superiore per entrambi i siti a quella registata nella menopausa
spontanea). E’ di notevole interesse l’osservazione che donne sottoposte a chemioterapia ma che non
incorrono in menopausa subiscono comunque una perdita di BMD del 4% circa a livello vertebrale (dopo 4-6
cicli di chemioterapia) indipendentemente dall’età e dal tipo di chemioterapia, indicando un effetto tossico
sull’osso indipendente dall’azione di danno ovarico (74).
La soppressione ovarica con LHRH agonisti come il goserelin viene utilizzato in associazione con
tamoxifene, ed oggi anche con innibitori dell’aromatasi in donne in premenopausa con carcinoma della
mammella e recettori per estrogeni positivi. Nello studio ZEBRA (Zoladex Early Breast Cancer Research
Association) su 1640 donne l’amenorrea venne riportata nel 95% di quelle che ricevevano Goserelin rispetto
al 59% di quelle che ricevevano CMF. Entrambi i trattamenti inducevano una perdita di BMD pari a -10%
per il Goserelin contro -6% per il CMF alla colonna e del -6.4% per il Goserelin contro il -4.5 per il CMF al
femore. (75.). Nello studio ABCSG—12 le donne in premenopausa trattate con GnRH e anastrazolo
presentavano una perdita di BMD alla colonna del 7%/anno e il 56% di esse risultava con valori di T-score
tra -1 e -2.5 e 25% con T score <-2.5 dopo 3 anni. Le donne trattate con GnRH e tamoxifene presentavano
una perdita di BD del 5%/anno e il 46% di esse risultava osteopenico a 3 anni (26).
La valutazione del rischio fratturatvo nelle donne in premenopausa che vanno incontro ad amenorrea
iatrogena è di difficile valutazione ed il rischio non è stato ancora studiato sistematicamente. L’effetto
comunque di una menopausa precoce si riflette sul rischo fratturativo sia a breve che a lungo termine (76).
La menopausa precoce costituisce uno dei principali determinanti non solo di frattura ma anche di mortalità
(77,78). I fattori di rischio per frattura, indipendenti dalla BMD (terapia steroidea, familiratità per fratture d
fragilità, fratture prevalenti, fumo, alcol et) sono validati per le donne in postmenopasua, anche se
42
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
ragionevolmente possono costituire un ovvio fattore di rischio aggiuntivo anche in questa popolazione. Lo
stesso algoritmo FRAX per i calcolo del rischio assoluto a 10 anni per frattura, oltre a non prevedere tra i
fattori di rischio la terapia adiuvante ormonale o la menopausa preoce, non è applicabile in questa specifica
popolazione.
La BMD (oltre a non essere in genere eseguita in queste donne) presenta dei limiti interpretativi. Innanzitutto
sembra che sia la velocità di perdita, tra le più elevate in queso setting di pazienti, più che il valore assoluto
di BMD, , che si correli indipendentemente al rischio fratturavo (79,80) ,anche se l’associazione non è
ancora ben definita (81.) A supporto del fatto che sia l’elevata velocità di perdita che induca il rischio
fratturativo vi è l’associazione tra gli elevati livelli di turnover osseo, che è il determinante della velocità di
perdita, e le fratture e come sia la soppressione del turnover osseo che spiega buona parte dell’effetto
antifratturativo dei bisfosfonati e denosumab.(82). Il FRAX o altri algoritmi non prevedono nè la velocità di
perdita di BMD nè il parametro di turnover osseo per la stima del rischio. Infine va considerato che poiché si
tratta di donne di età media inferiore a 50 anni, non va utilizzato il T-score ma lo Z-score, ovvero il numero
di SD rispetto ai soggei sani di pari età (83). La stessa associazione tra T-score o Z-score e frattura in questa
popolazione di donne non è ben definita.
Neoplasia mammaria in postmenopausa: effetti degli inibitori dell’aromatasi sulla massa ossea e sul rischio
fratturativo
Numerosi studi hanno dimostrato che entrambe le classi di AI aumentano la perdita di massa ossea e il
rischio fratturativo.
Lo studio ATAC (Arimidex Tamoxifen Alone or in Combination) [18] ha comparato 5 anni di terapia con AI
con 5 anni con tamoxifene. L’incidenza fratturativa è risultata significativamente aumentata nel primo
gruppo (11% contro 7,7%; P<0,0001). Già dopo i primi due anni di terapia con anastrozolo si è registrata una
perdita di massa ossea lombare del 4,1% e del 3,9% a livello del collo femorale rispetto alla terapia con
tamoxifene (P<0,001). Inoltre si è rilevato un calo significativo della BMD anche dopo 5 anni di trattamento
con una perdita di circa l’8% di BMD sia alla colonna che al femore nel gruppo trattato con AI rispetto al
gruppo trattato con tamoxifene (P<0,0001). Lo studio BIG 1-98 (Breast International Group 1-98) [19] ha
comparato letrozolo e tamoxifene, rilevando dopo 26 mesi di follow up, un’incidenza fratturativa
significativamente superiore nelle pazienti trattate con letrozolo (5,7% verso 4%; P<0,0001). Nello studio
IES (Intergroup Exemestane Study) [20] le pazienti venivano randomizzate in due gruppi. Nel primo gruppo
le pazienti venivano messe in terapia con exemestane dopo 2 o 3 anni di terapia con tamoxifene, nel secondo
gruppo proseguivano il trattamento con tamoxifene. Dopo 56 mesi di osservazione l’incidenza fratturativa
del primo gruppo era significativamente superiore a quella del secondo gruppo (7% verso 4,9%; P=0,003).
Infine lo studio MA-17 (National Cancer Institute of Canada Clinical Trias Group) ha arruolato 5187 donne
che avevano assunto tamoxifene per 5 anni e le ha randomizzate ad assumere per altri 5 anni letrozolo o
placebo. Nei primi 30 mesi di osservazione è stato registrato un significativo aumento nelle nuove diagnosi
di osteoporosi (8,1% verso 6%; P=0,003) e nell’incidenza fratturativa (5,3% verso 4,6%) nel gruppo che
assumeva letrozolo rispetto al placebo. Dopo 24 mesi di terapia si registrava un significativo calo della BMD
sia a livello della colonna (-5,4% verso-0,7%; P=0,008) che del femore (-3,6% contro -0,7%; P=0,044) nelle
pazienti che assumevano letrozolo rispetto al placebo [21].
Tutti questi studi dimostrano che gli inibitori dell’aromatasi, sia steroidei che non steroidei inducono una
significativa perdita di massa ossea e aumentano il rischio fratturativo. Infatti la percentuale di fratture annua
registrata nei pazienti che assumevano anastrozolo nello studio ATAC è quasi due volte superiore a quella
registrata in donne sane in postmenopausa correlabili per età affette da osteopenia. Alla sospensione del
trattamento con anastrazolo vi è un trend in diminuzione della frequenza di fratture [22]. Va infine segnalato
che la valutazione delle fratture in tutti gli studi sopra citati è relativa alle fratture cliniche soprattutto nonvertebrali e riportate non tanto come end –point prepianificati ma rilevate come avventi avversi e quindi
potenzialmente sottostimate. Le fratture vertebrali nell’osteoporosi sono in realtà le più frequenti e nel 5060% dei casi sono asintomatiche per cui vanno programmati controlli radiografici mirati per identificarle.
E’probabile quindi che la reale incidenza fratturativa sia sottostimata. Nel trial ABCSG-18 [94] dove donne
che iniziavano o erano in trattamento con inibitori dell’aromatasi da un anno venivano randomizzate a
43
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
placebo/denosumab 60 mg/6 mesi, il rate di fratture cliniche nel gruppo placebo era del 10% a 3 anni, 16% a
5 anni e 26% a 7 anni di follow up, valori che superano di gran lunga quelli riportati da altri studi.
2.2 Perdita di massa ossea e rischio fratturativo nei maschi in blocco androgenico
per carcinoma della prostata
Il cosidetto “blocco androgenico” include l’orchiectomia, la somministrazione di GnRH
o la
somministrazione di GnRH associato ad un antiandrogeno. Il blocco ormonale determina una marcata
soppressione dei livelli circolanti di testosterone (circa dell’80%) ma soprattutto in marcato ipoestrogenismo
tissutale (con inibizione fino al circa 90%) [46].
La terapia, combinata con l’età (con associati deficit di GH, DHEAS e vit D) ed altri fattori come la
sarcopenia, contribuiscono ad instaurare una condizione di elevato turnover osseo.
La velocità di perdita di massa ossea è molto elevata (circa il 4% anno a livello della colonna) ed è ad
esempio circa il quattro volte quella rilevata in donne in menopausa e circa due volte quella indotta da
inibitori dell’aromatasi. Va inoltre considerato che l’età media dei pazienti che vengono posti in terapia con
androgeno-soppressione coincide con il picco di prevalenza dell’osteoporosi maschile. Circa 1.5 milioni di
Americani maschi soffrono di osteoporosi dai 65 anni in poi [47] ed una elevata percentuale di soggetti
presenta già una ridotta massa ossea o fratture alla diagnosi di carcinoma della prostata [48,49]. Una
percentuale elevata, che in alcune casistiche arriva al 60 %, di soggetti presenta inoltre alla diagnosi una
severa ipovitaminosi D [50]. L’ipogonadismo indotto dalla terapia aumenta la sensibilità dello scheletro al
PTH, e questi pazienti con iperparatiriodismo secondario al deficit di vitamina D subiscono
un’amplificazione della perdita di massa ossea [51].
In studi retrospettivi la prevalenza di fratture da fragilità era del 6-13% in due anni di osservazione [52,53]. Il
rischio relativo di frattura osteoporotica aggiustato per i fattori confondenti, in pazienti maschi trattati con
blocco-ormonale è circa 4 volte maggiore dei soggetti sani di pati età (risk ratio 3.6, CI 1.6-7.7) [54]. Le
fratture osteoporotiche, soprattutto quelle vertebrali, sono spesso asintomatiche o paucisintomatiche e
pertanto oltre a rimanere misconosciute vengono considerate prive di un peso clinico e prognostico. In realtà
le fratture, non solo quelle femorali ma anche quelle vertebrali, determinano un aumento della morbilità
correlata e della mortalità in maniera molto più importante nel maschio che nella femminia [55,56]. Nel
paziente con carcinoma della prostata e ormono-sopressione la presenza di una frattura osteoporotica
condiziona la sopravvivenza (RR 7.4 CI: 6.1-8.7) quasi come la presenza di una metastasi ossea (RR 9.5 CI
95%: 8.0-10.5) e più del livello di PSA (2.8 CI 95%: 0.8-4.8) [57]. La coscienza dell’impatto della bone
health anche nel soggetto maschio ed il corretto e tempestivo risconoscimento del rischio fratturativo sono
oggi elementi irrinunciabili per l’impostazione della prevenzione della perdita di BMD e della riduzione del
rischio di frattura.
I recenti dati emersi dallo studio con denosumab per la prevenzione della perdita di massa ossea e riduzione
del rischio fratturativo vertebrale in maschio con carcinoma della prostata in terapia ormonale soppressiva
hanno messo particolarmente in evidenza il rapporto tra livelli di BMD e rischio fratturativo in questo
particolare setting di pazienti. La popolazione studiata al momento dell’arruolamento avevano un livello
basale di massa ossea medio di -0.3+1.8 T-score e al femore -0.9+-1.0 T-score,quindi sostanzialmente
normali. Solo il 15% circa della popolazione studiata aveva un valore di T-score inferiore a -2.5 T-score in
uno qulunque dei due siti. Nel braccio placebo dello studio (734 maschi trattati solo con supplementi di
calcio e vitamina D) si verificava una riduzione a 24 mesi del 1% a livello della colonna vertebrale e del
2.5% a livello del femore. A fronte di una massa ossea relativamente normale ed una perdita modesta di
BMD, già al primo anno il rischio cumulativo di nuove fratture vertebrali era del +1.9%, del 3.3% al secondo
e del 3.9% al terzo anno di follow up. Questo chiaramente insegna come si debbano considerarae a rischio
fraturativo anche soggetti con massa ossea relativamente buona e con perdita di massa ossea relativamente
ridotta. (vedi algoritmo decisionale) (58)
Si sottolinea, a proposito dell’interpretazione del valore del T-score nel maschio, che attualmente anche, se il
problema è dibattuto in quanto vi sono dati che suggeriscono che la soglia fratturativa nel maschio coincida
con quella della femmina, si consiglia di utilizzare il valore di T-score specifico (per il range di normalità del
maschio) [5]. Le attuali linee guida della International Society of Clinical Densitometry [5] indica come
44
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
prioritaria l’esecuzione di un esame DEXA o QUS nei soggetti sottoposti a terapie che inducono perdita di
massa ossea, soggetti sotto i 70 anni con fattori di rischio per frattura e tutti i soggetti sopra i 70. Queste
indicazioni sono recepite dai criteri LEA che vanno specificati al momento della rischiesta.
3.La terapia e la prevenzione della CTIBL nei pazienti in terapia
ormonale adiuvante
I farmaci utilizzati per il trattamento di varie forme di osteoporosi da quella menopausale, a quella
cortisonica, a quella del maschio si dividono fondamentalmente in due categorie: gli inbitori del
riassorbimento osseo, che agiscono prevalentemente inibendo l’attività osteoclastica e i cosiddetti anabolici,
che stimolano la neoformazione agendo sugli osteoblasti.
Tra gli inibitori del riassorbimento osseo sono registrati per il trattamento dell’osteoporosi gli
amonobifosfonati (alendronato, ibandronato, risedronato e zoledronato), gli estrogeni ed i SERM (raloxifene)
e il denosumab (ac anti RANKL).
Tra gli anabolizzanti, il teriparatide ed il PTH 1-84. Il ranelato di stronzio presenta un meccanismo d’azione
in parte stimolate gli osteoblasti in parte inibente gli osteoclasti.
Per tutti questi farmaci l’indicazione (e la rimborsabilità in Italia mediante nota 79) per il trattamento
dell’osteoporosi si basa sulla dimostrata efficacia nel ridurre il rischio fratturativo in pazienti con osteoporosi
con e senza fratture prevalenti [2].
Il raloxifene è efficace nel ridurre il rischio di fratture vertebrali in donne in postmenopausa. La sua azione a
livello della mammella è simile a quella del tamoxifene. Tuttavia la sua associazione agli inibitori
dell’aromatasi per contrastarne l’effetto osteopenizzante, non è indicata come indicato dallo studio ATAC
[18]. I farmaci anabolizzanti come il PTH ed il teripartide, stimolano il turnover osseo e sono controindicati
in corso di neoplasia. Per il ranelato di stronzio non vi sono esperienze nel trattamento dell’osteoporosi in
pazienti con neoplasia della mammella o oltre forme di neoplasia. In base anche al fatto che il meccanismo
d’azione non è completamente delucidato ed la presenza di un relativo rischio di tromboembolismo, non ne è
attualmente consigliabile l’uso in questo campo.
Gli aminobisfosfonati hanno rappresentano fino ad oggi la prima scelta nel trattamento delle situazioni ad
elevata attività osteoclastica come l’osteoporosi, l’iperparatiroidismo, il morbo di Paget e le metastasi ossee.
Essi rappresentano i farmaci che riducono maggiormente il rischio fratturativo nell’osteoporosi (mediamente
del 50% il rischio di nuove fratture vertebrali e 20-30% quelle non vertebrali incluse quelle femorali).
Essi presentano un razionale molte forte nelle pazienti con perdita di massa ossea indotta dai trattamenti per
il carcinoma della mammella [30].
Infatti sono in grado di normalizzare il turnover osseo, tipicamente molto elevato in questo tipo di soggetti e
di prevenire la perdita di massa ossea. Per effetto della combinazione di entrambi gli effetti (sul turnover e
massa ossea) sono in grado di ridurre significativamente il rischio di fratture, che rappresenta l’unico evento
clinicamente rilevante dell’osteoporosi [2,23,31].
Il denosumab è il farmaco più recente studiato nell’osteoporosi. E’ un anticorpo monoclonale umano contro
RANKL ed inibisce la differenziazione osteclastica, inibendo il turnover osseo. Esso, alla dose di 60
mg/sc/ogni 6 mesi, è in grado di inibire molto più velocemente e rapidamente il turnover osseo dei
bisfosfonati: A differenza di questi ultimi l’effetto risulta essere rapidamente perso alla sospensione del
farmaco con un importante rebound del turnover osseo stesso e progressiva perdita del beneficio in termni di
BMD. Il farmaco determina nell’osteoporosi postmenopausale (la prima indicazione per cui è stato
recentemente registrato da FDA e EMEA) un rapido e continuo incremento della massa ossea con una
rapida e profonda soppressione del turnover osseo. Ciò determina una significativa e rapida riduzione del
rischio di fratture vertebrali, femorali e non-vertebrali. (32)
Nella CTIBL si possono riconoscere due obbiettivi terapeutici: la riduzione del rischio di frattura in pazienti
già osteoporotici o che hanno già sperimentato una frattura o la prevenzione della perdita di massa ossea e
del rischio di frattura in pazienti non ancora a rischio di frattura con normali livelli di massa ossea e che
inizano un trattamento con inibitori dell'aromatasi, GnRH o blocco androgenico [2].
La categoria di farmaci che viene considerata idonea ad entrambi gli obiettivi nelle pazienti affette da
carcinoma della mammella sono gli aminobisfosfonati (bisfosfonati di seconda e terza generazione) ed il
45
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
denosumab. I bisfosofonati sono in assoluto i più studiati in questo campo [23,25,28,31]. Anche nella recente
revisione delle linee guida ESMO gli aminobisfosfonati ed il denosumab sono consigliati nella prevenzione
della perdita di massa ossea con livello di evidenza 1 e raccomandati con livello A sia nelle donne con
menopausa prematura secondaria a chemioterapia sia in donne in postmenopausa trattate con inibitori
dell’aromatasi (24).
a.
Donne in postmenopausa ed in terapia ormonale adiuvante
Gli amino bisfosfonati (alendronato, risedronato, ibandronato, zoledronato) sono efficaci nel ridurre il rischio
di fratture vertebrali (riduzione del 50% circa) e non vertebrali (riduzione del 25-30%) nelle donne con
osteoporosi postmenopausale e per tale indicazione sono registrati in Europa e negli USA. I farmaci, le
posologie e l’effetto sulle fratture sono riportati nella tabella 2 [2].
Non vi sono dati con gli aminobisfosfonati in trail che avessero come endpoint la riduzione dell’incidenza di
nuove fratture in donne in pre- o postmenopausa con carcinoma della mammella. Tuttavia da un lato essi
rappresentano tra le migliori risorse oggi disponibili per questo obiettivo e dall’altro non vi è alcuna ragione
per ritenere, da un punto di vista biologico, che vi siano differenze tra l’osteoporosi postmenopausale e
quella delle donne con carcinoma della mammella. Infine molti aminobisfosfonati hanno dimostro di ridurre
ugualmente il rischio fratturativo in differenti tipi di osteoporosi come nel maschio, in quella da cortisonici,
nei soggetti ad alto e basso rischio frattuativo [33-35]. Infine alcuni bisfosfonati efficaci nel ridurre il rischio
fratturativo nell’osteoporosi postmenopausale, come il risedronato, alendronato ed ibandronato, hanno
dimostrato di determinare un sovrapponibile effetto sulla BMD in donne in trattamento con inbitori
dell’aromatasi rispetto a quelli con osteoporosi postmenopausale. La BMD viene accettata dalle agenzie
regolatorie (EMEA, FDA) per essere utilizzata negli studi di bridgning come surrogato di efficacia
antifratturativa [36-39]. (Livello di Evidenza SIGN 1++)
Nello studio SABRE (studio di fase III/IV) 234 pazienti con carcinoma della mammella in trattamento
adiuvante con inibitori dell’aromatasi (anastrozolo) sono state stratificate al basale in tre condizioni di
rischio: basso rischio se T-score maggiore o uguale a -1, rischio medio se T-score era compreso tra -1 e -2,
alto rischio se T-score inferiore a -2. Le donne a basso rischio assumevano sono anastrozole, le donne ad alto
rischio venivano trattate subito con risedronato 35 mg settimana, le donne a medio rischio venivano
randomizzate tra risedronato e placebo. L’end point primario era la variazione della BMD della colonna. Le
donne a medio o alto rischio che assumevano risedronato incrementavano la BMD a 12 mesi (+3.4% e
+1.2% vs basale rispettivamente) mentre nel gruppo a medio e basso rischio che non assumevano risedronato
la BMD calava del 1.2% e 0.6% rispettivamente dopo un anno [35]. Questo studio presenta interessanti dati
sulla possibile scelta della soglia di intervento. Nello studio REBECCA il gruppo che assumeva inibitori
del’aromatasi e risedronato 35 mg/settimana dimezzava la perdita di BMD rispetto alle donne che non
assumenvano risedronato [37]. L’ibandronato (150 mg/mese) associato ad anastrozolo nello studio ARIBON
determinava un incremento della BMD del 2.78% a livello della colonna e del 1.35% a livello femorale
ripetto ad una perdita nel gruppo placebo del -2.61% e del -2.34 rispettivamente alla colonna ed al femore
[38].
Il farmaco piu estensivamente studiato è l’ac zoledronico. Nei tre studi Zometa-Femara Adjuvant Synergy
Trials (Z-Fast/ZO-Fast/E-ZOFast) circa 1700 donne in postmenopausa in terapia con letrozolo con BMD
normale o > -2 Tscore sono state randomizzate per ricevere ac zoledronico 4 mg ogni 6 mesi fin dall’inizio o
dopo che il T-score fosse sceso sotto -2, o dopo una frattura. Nello studio Z-FAST a 12 mesi, le donne
trattate up-front con acido zoeldronico avevano un significativo incremento della BMD sia a livello
vertebrale che femorale, mentre quelle trattate solo dopo il riscontro o di una frattura o di una significativa
perdita di BMDe avevano una perdita di BMD a livello vertebrale e femorale. Risultati analoghi si sono
ottenuti nello studio ZO-Fast e E-ZOfast a 12 e 24 mesi di terapia. [27]. (Livello di Evidenza SIGN 1+)
Sono attualmente in corso altri studi con end point la prevenzione della perdita di BMD con risedronato ed
alendronato.
I bisfosfonati se utilizzati con l’indicazione della prevenzione primaria delle fratture sono rimborsabili dal
SSN secondo i criteri della Nota AIFA 79 (revisione 2015) (vedi paragrafo sulla prescrivibilità).
46
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Analogamente a quanto detto per i bisfosfonati, il denosumab 60 mg/ 6 mesi (Prolia) è stato registrato da
EMA e FDA per la riduzione del rischio fratturativo nell'osteoprosi postmenopausale in quanto in grado di
ridurre significativamnete le fratture vertebrali. Il denosumab nella osteoporosi postmenopausale ha
evidenziato una significativa attività antifratturativa rispetto al placebo con una riduzione del Rischio
Relativo(RRR) del 68% (2.3% vs /.2% HR 0.32 IC95% 0.26-0.41) per le fratture vertebrali apprezzabili
radiologicamente, un RRR del 20% (6.5% vs 8.0%, HR 0.80 (IC 95% 0.67-0.95) per le fratture non
vertebrali ed un RRR del 40% (0.7% vs 1.2%,HR 0.60, IC95% 0.37-0.97) per le fratture di femore nei tre
anni di studio. (Livello di Evidenza SIGN 1++)
Il denosumab inoltre, a differenza dei bisofosfonati, è stato studiato anche non solo nella prevenzione della
CTIBL ma anche delle fratture cliniche e vertebrale nelle donne che assumenvano trattamento con inibitori
dell’aromatasi. Attualmente è l’unico farmaco antiriassorbitivo ad avere dati diretti di attività antifratturativa
in questo specifico setting di pazienti. Circa 250 donne sono state randomizzate ad assumere placebo o
denosumab 60 mg/sc/sei mesi. L’end point primario era la variazione della BMD a livello della colonna a 12
mesi. Lo studio si è protratto per 24 mesi. Vi è stato un incremento della BMD significativo rispetto al
placebo già al primo mese non solo alla colonna ma anche al femore e radio. A 12 mesi alla colonna
l’incremento era del 5.5% e del 7.6% a 24 mesi (tra i più alti registrati). Tale incremento è stato osservato in
tutte le sedi scheletriche valutate e in tutti i sottogruppi di pazienti analizzati (T-score basale, precedente
terapia con tamoxifene, intervallo dalla menopausa) Non vi era una sostanziale differenza di risultato
suddividendo le donne in quelle con più di 6 mesi e quelle con meno di 6 mesi di trattamento con inibitori
dell’aromatasi. Nello studio ABCSG donne che iniziavano o erano in terapia da non più di due anni con
inibitori dell’aromatasi venivano randomizzate a ricevere denosumab 60 mg/6 mesi o placebo. Il rate per la
prima frattura sintomatica (escluse cranio e mascellari, dita di mani e piedi), end point primario della studio,
nel braccio trattato con placebo era 26.2% e nel braccio denosumab 11.1% (HR 0.50: 95%CI 0.39-0.65,
p<0.0001). L’effetto antifratturativo di denosumab era simile < 60 e > 70 anni, in chi aveva BMD T-score <1 o >-1 all’ inizio della studio, in chi aveva o no iniziato inibitori dell’aromatsi all’inizio dello studio. Il
denosumab risultava efficace anche nel ridurre le nuove fratture vertebrali morfometriche (OR 0.53; 95%CI
0.33-0.85) ed il peggioramento delle precedenti (OR 0.54; 95% CI 0.34-0.84). [93]
Livello di Evidenza SIGN 1++)
Considerando che la terapia ormonale è mediamente protratta per 5 anni e' particolarmente interessante
sottolineare come nell'estensione dello studio a 5 anni il denosumab ha indotto ulteriori consistenti
incrementi della BMD ( +13.7% alla colonna e + 7% al femore totale).
Livello di Evidenza SIGN 1++)
I criteri di prescrivibilità e rimborsabilità sono descritti nel paragrafo specifico.
3.2 La terapia e la prevenzione della CTIBL nelle donne in premenopausa in terapia
ormonale adiuvante o menopausa da chemioterapia
Lo studio ABCSG-12 circa 400 donne con carcinoma della mammella trattate con GnRH e tamoxifene o
anastrozolo venivano randomizzate per ricevere zoledronato 4 mg ogni 6 mesi [26]. Nelle donne non trattate
con acido zoledronico vi era una sostanziale perdita di massa ossea con una riduzione a 3 anni del 16% con
anastrozole e del 8% con tamoxifene. Il trattamento preventivo con ac zoledronico ha determinato in
entrambi i gruppi una prevenzione della perdita. Lo studio non aveva come end point l’incidenza fratturativa
(26). Nelle pazienti randomizzate a ricevere ac zoledronico si osservava (end point primario) un aumento
della sopravvivenza e della DFS (26). Lo studio ProBOne II ha come end point la prevenzione della perdita
di BMD associando ac zoledronico 4mg/3 mesi alla chemioterapia adiuvante. Le donne non tattate con ac
zoledronico perdevano circa il 6% della BMD basale in 24 mesi mentre quelle trattate con ac zoeldronico
noon solo non perdevano massa ossea ma la incrementavano del 3.2% circa, con una persistene soppressione
del turnover osseo. (84.).
In un RCT 112 donne premenopausali di oltre 40 anni che iniziavano chemioterapia con adriamicina,
ciclofosfamide e taxano venivano randomizzate a ricevere ac zoledronico in up front (4mg/6 mesi) oppure
47
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
dopo una frattura o se BMD > -2.5T score. Nel gruppo trattato in up front a 12 mesi la BMD della colonna e
quella femorale era aumentata del + 1.1% rispetto al basale mentre nel gruppo delayed si registrava un calo
rispettivamente del -7.5% e del -3.4%. (85.). Risultati sovrapponibili si sono registrati nello studio CALGB
79809 con un l’utilizzo di ac zoledronico 4 mg/ 3 mesi randomizzando le donne in terapia upfront e delayed
(86.). Questi dati, analogamente a quelli riportati dagli studi Z-,ZO- e E-ZO FAST in postmenopausa ,
indicano come un trattamento con un inibitore del riassorbimento osseo sia significativamente più utile se
iniziato in concomitanza con la chemioterapia e/o la terapia ormonale adiuvante piuttosto che dopo aver
documentato una frattura o una significativa riduzione della BMD.
In un RCT in donne in premenopausa che ricevevano chemioterapia adiuvante sono state randomizzate a
ricevere risedronato (30 mg /die per 15 gg e 10 settimane senza, per 8 cicli) o placebo. Le alte dosi di
risedronato (la dose standard è 35 mg/ settimana) prevenivano a 2 anni la perdita di BMD alla colonna e
femore (87). In un RCT simile come protocollo il risedronato veniva somminstrato a 35 mg /settimana (dose
efficace nell’osteoporosi postmenopausale). A questo dosaggio non vi erano differenze significative nella
perdita di massa ossea vertebrale e femorale rispetto al placebo, indicando che bisfosfonati non
particolamente potenti richiedano dosaggi superiori a quelli risultati utili nelle donne in postmenopausa (88).
3.3 La terapia e la prevenzione della CTIBL nel maschio con carcinoma
della prostata.
Per i bisfosfonati non vi sono studi che abbiano valutato la riduzione del rischio fratturativo specificatamente
nel maschio con carcinoma della prostata in blocco ormonale, per cui tutte le evidenze sull’efficacia
antifratturativa dei bisofsfonati nel maschio derivano da studi fatti nell’osteoporosi maschile età-correlata.
L’alendronato è in grado di ridurre significativamente il rischio fratturativo tra il 60% e 80% circa (fratture
vertebrali) nel maschio con osteoporosi età correlata e nell’osteoporosi cortisonica. Il risultato è
sostanzialmente indipendente dai livelli di testosterone [59,60]. Il risedronato (alla dose di 35 mg /settimana)
è stato studiato in maschio con osteoporosi ed ha dimostrato di poter ridurre del 60% dopo un anno di
trattamento il rischio di nuove fratture vertebrali [61,62]. (Livello di Evidenza SIGN 3).
In uno studio randomizzato controllato, 112 uomini in blocco androgenico per carcinoma della prostata, sono
stati trattati con alendronato (70 mg 1 cp/settimana). Dopo un anno la BMD era aumentata del 3.7% a livello
della colonna e del 1.6% a livello del collo femorale nel gruppo trattato rispetto ad un calo del -1.4% e del
0.7% a livello della colonna e femore rispettivamente nel gruppo placebo [64] (Livello di Evidenza SIGN
1+).
L’aumento della massa ossea era sovrapponibile a quanto riscontrato negli studi nei maschi eugonadici.
Anche il risedronato 35 mg/settimana somministrato dopo circa 42 mesi di blocco ormonale era in grado di
mantenere la massa ossea femorale e determinare un significativo incremento di quella vertebrale [65Il
pamidronato (60 mg/ogni 3 mesi), in un piccolo studio (47 soggetti con cancro della prostata non
metastatico) randomizzato controllato si è dimostrato in grado di prevenire la perdita di massa ossea in un
anno di trattamenton [66] (Livello di Evidenza SIGN 1+).
L’acido zoledronico alla dose di 4mg/ogni 3 mesi somministrato all’inizio del blocco androgenico ha
determinato dopo un anno di terapia un significativo incremento della BMD a livello della colonna (+5.3%)
rispetto ad un calo del 2% nel gruppo placebo in un gruppo di 106 maschi affetti da neoplasia prostatico in
blocco ormonale [67,68]. L’effetto preventivo sulla perdita di BMD è stato esplorato anche con dosi inferiori
di zoledronato (4mg all’anno). I pazienti erano in blocco androgenico in media da un anno. Tutti i pazienti
studiati avevano una BMD superiore a -2.5 T score. La massa ossea aumentava rispetto al basale nel gruppo
trattato con una significativa differenza rispetto al placebo pari al +7.1% a livello della colonna e del 2.6% a
livello del femore [69]. L’effetto sulla BMD era sovrapponibile a quello ottenuto con la dose 4mg ogni 3
mesi. (Livello di Evidenza SIGN 1+)
I dati nel complesso indicano la possibilità di intervenire utilizzando gli aminobisfosfonati per prevenire la
perdita e recuperare almeno in parte la BMD persa, anche dopo che il blocco ormonale sia già stato iniziato.
Non c’è attualmente evidenza per definire quale sia il miglior bisfosfonato da utilizzare anche se alendronato
(70 m /settimana), risedronato (35 mg/settimana) e ac zoledronico (4m ev /anno) sono i più studiati] (Livello
di Evidenza SIGN 3).
48
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Attualmente l’unico farmaco con evidenza diretta di riduzione del rischio fratturativo in questo specifica
setting di pazienti è il denosumab. I risultati derivano da uno studio controllato randomizzato di fase III in
cui 1468 soggetti affetti da carcinoma della prostata non metastatici in trattamento ormonale soppressivo
sono stati randomizzati ad assumere placebo (734 pazienti) o denosumab 60 mg/sc/ogni 6 mesi. L’end point
primario dello studio era la variazione della BMD alla colonna a 24 mesi, tra gli end point secondari vi erano
le variazioni di BMD al femore e radio e riduzione dell’incidenza di nuove fratture vertebrali. Lo studio si è
protratto per 36 mesi. Il 25% circa dei pazienti trattati era in terapia con blocco androgenico da meno di 6
mesi. A 24 mesi (end pint primario) il gruppo trattato con denosumab presentava un incremento significativo
della BMD alla colonna del 6.7%, a livello del femore del 4.8%, a livello del radio del 5.5% verso il gruppo
placebo. (Livello di Evidenza SIGN 1++).
Vi era una riduzione significativa dell’incidenza cumulativa delle fratture vertebrali (end point secondario)
già al primo anno di trattamento (0.3% gruppo denosumab vs 1.9% gruppo placebo). A 36 mesi vi era una
riduzione del 62% del rischio fratturativi nel gruppo denosumab vs placebo (RR 0.38; 95 IC 0.19-0.78,p
0.006). Per le fratture non vertebrali vi era un trend di riduzione dell’incidenza nel gruppo denosumab ma
non significativo. I farmaco è stato ben tollerato senza significative differenze di incidenza di effetti
collaterali. (58). (Livello di Evidenza SIGN 1++)
Vi sono risulati preliminari da un recente sudio randomizzato controllato di fase III con toremifene versus
placebo che dimostrano come vi sia un significativo vantaggio con il farmaco attivo nella riduzione del
rischio fratturativo e nell’incremento di BMD (63)
4. Quando iniziare la terapia con inibitori del riassorbimento osseo
In tutti i pazienti (maschi e femmine) a rischio di CTIBL andranno indagati i fattori di rischio per frattura
(vedi paragrafo 1.4), valutato l’intake alimentare di calcio ed eventualmente corretto ( fabbisogno /die medio
1000 mg/die) e corretta, se presente, l’ ipovitaminosi D .Andrà ricercata attivamente la presenza di fratture
vertebrali morfometriche ( asintomatiche) mediante Radiografia della colonna dorso lombare o morfometria
DXA (vedi fig. 1).
La menopausa precoce, ovvero prima dei 45 anni, secondaria al trattamento chemioterapico o a seguito della
trattamento con GnRH è un’indicazione all’esecuzione della densitometria DXA e rappresenta un fattore di
rischio indipendente per frattura [2, 23]. Questo concetto è sottolineato anche nelle recenti linee guida
ESMO. ( 24)
La condizione in Italia rientra nei criteri LEA per la densitometria (menopausa precoce, ipogonadismo) [23].
Si segnala che un elevata percentuale di donne in postmenopausa che iniziano inibitori dell’aromatasi e
maschi che iniziano blocco androgenico presentano fattori di rischio per frattura (indipendentemente dalla
neoplasia) e hanno già osteoporosi e fratture. In donne che iniziano inibitori dell’ aromatasi la prevalenza di
osteoporosi è del 11.2%, per quelle che iniziano tamoxifene è del 21%, la prevalenza di fratture è del 16.3%,
di fratture severe 5% (89).In maschi con carcinoma della prostata che iniziano il blocco la prevalenza di
osteoporosi e osteopenia va dal 60-80% e soggetti ad alto rischio fratturativo hanno un maggior rischio
fratturtivo dopo aver inizato blocco androgenico (90,91) In considerazione di ciò e che i migliori benefici
sono ottenuti utilizzando i bisfosfonati in prevenzione (up front, ovvero dati all’inizio del trattamento) si
ritiene utile che la valutazione della situazione osteometabolica e la terapia venga fatta prima di inziare il
trattamento adiuvante o almeno entro i primi 3-4 mesi [27, 23]. Il risultato dello studio ABCSG-18 [93]
indica chiaramente come l’incidenza di fratture cliniche vertebrali e non vertebrali sia elevato anche nelle
donne con BMD normale e come il beneficio antifratturativo sia simile in donne con BMD normale (T-score
< -1) o ridotta (T-score >- 1).
In considerazione dei benefici e dell’importanza del trattamento con AI e del bocco androgneico e delle
possibilità terapeutiche per l’osso, la decisione di instaurare un trattamento con AI o blocco androgenico non
deve esser condizionata dalla situazione scheletrica.
49
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Linee guida internazionali riportano diverse soglie di intervento basate su T-score. L’UK Expert Group
accomuna donne in premenopausa con ovariectomia, menopausa indotta da chemioterapia ( GnRH (+/inibitori aromatasi) e donne in postmenopausa in inibitori dell’aromatasi. La presenza di una frattura da
fragilità o un T-score > -1 se in terapia con inibitori dell’aromatasi indica linizio del trattamento con inibitori
del riassorbimento osseo. In assenza di inibitori dell’aromatasi si inizia se T Score > -2.
Anche ASCO utilizza la soglia basata sul T-score. Le donne in premenopausa o in postmenopusa con
inibitori dell’aromatasi vengono considerate ad alto rischio e viene utilizzato un T-score >-2.5 per l’inizio del
trattamento score. Le linee guida ESMO pongono un cutt-of di massa ossea pari a T score >-2 o della
presenza i due fattori di rischio (paragrafo 1.4) o di un fattore di rischio e T-score >-1.5. (23,25,28). Per le
donne in premenopausa il T-score non è utilizzabile ed è più appropriato lo Z-score. Uno Z-score > -1 o una
velocità di perdita > 5% viene considerato un criterio per iniziare il trattamento con inibitori del
riassorbimento osseo ( 92)
Tuttavia in considerazione dei seguenti fattori analizzati nel testo :
 La mancanza di una evidenza di una soglia di T-score validata (generalmente definita su expert opinion)
 La bassa (e non validata) predittività della BMD sul rischio di frattura in questo setting di pazienti
 Una velocità di perdita perticolarmente elevata in tutte le forme di osteoporosi indotta da terapia
ormonale adiuvante, come fattore di rischio indipendente
 Una elevatissima prevalenza di osteoporosi/fratture e/o altri fattori di rischio per frattura in pazienti con
neoplasia della mammella e prostata
 L’evidenza forte che sia nel maschio che nella femmina (in pre- e postmenopausa) la terapia con inibitori
del riassorbimento è più efficace se utilizzata up-front anzichè dopo una frattura o perdita di BMD
 L’evidenza che la riduzione del rischio fratturativo (con Denosumab) prescinde dai livelli di BMD al
momeno dell’inizo della terapia antiriassorbitiva
 L’evidenza che la terapia con farmaci per osteoporosi aumenta la sopravvivenza (soprattutto in
menopausa)
Si propone di estendere quanto proposto ai soggetti sopra i 70 anni nelle precendeti linee guida AIOM 2013
ovvero di iniziare trattamento denosumab 60 mg/ ogni 6 mesi o alternativamente bisfosfonati alle dosi
utilizzate nell’osteoporosi postmenopausale e maschile, a prescindere dai livelli di massa ossea ed altri fattori
di rischio. Ciò vale per le donne che iniziano terapia ormonale adiuvante o che hanno menopausa indotta da
chemioterapia (indipendentemente dall’età) e ai maschi che iniziano blocco androgenico dopo i 50 anni.
4.1 Quanto proseguire la terapia con bisfosfonati e denosumab
La durata ottimale del trattamento con bisfosfonati o denosumab nell’osteoporosi postmenopausale non è
definita e tanto meno per quella nelle donne con carcinoma della mammella o maschi con carcinoma della
prostata.
L’efficacia antifratturativa con aminobisfosfonati e denosumab si ottiene molto precocemente e comunque
già entro il primo anno di terapia. L’efficacia antifratturativa inoltre si mantiene per tutta al durata della
terapia (studi a 5, 7 e 10 anni) [33].
Per le donne con carcinoma dalla mammella e nel maschio ragionevolamente si può consigliare che vada
proseguita almeno per il periodo di trattamento con GnRH e /o AI e blocco androgenico (Livello di Evidenza
SIGN 4)
I dati a supporto di tale raccomandazione sono indiretti. I dati relativi alla prosecuzione dello studio ATAC
suggerirebbero che alla sospensione del trattamento con anastrozolo ci sia una relativa riduzione del rischio
fratturativo [22]. Recentemente è stato documentato che nei 3 anni successivi alla sospensione degli inibiitori
dell’aromatsi la frequenza di fratture è del 12% per le donne in pre-meopausa e del 15% per quelle in
postmenopausa (76). Tali dati andranno confermati da ulteriori studi. Va comunque considerato che la durata
dell’effetto antifratturativo dei bisfosfonati si estende oltre il periodo di reale assunzione del farmaco. La
persistenza dell’effetto antiriassorbitivo per un certo periodo di tempo dipende però dal famaco utilizzato e
non è estensibile a tutti i farmaci: è consistente per alendronato e ac zoledronico, piuttosto breve per
risedronato e ibandronato, non presente per denosumab (44).
50
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Il profilo di rischio fratturativo, definito dalla presenza di altri fattori di rischio e/o nuove fratture, al termine
del trattamento adiuvante, potrebbe indicare la prosecuzione della terapia con bisfosfonati o denosumab [34].
Sicuramente andrà mentenuta la supplementazione con calcio e Vitamina D.
Anche per denosumab non vi sono evidenze di quanto sia necessario protrarre la terapia. I dati riportati in
letteratura relativi al’uso di denosumab nell’osteoprosi postmenopausale descrivono che un trattamento
protratto per 8 anni mantiene inalterata l’efficacia antifratturaiva e mantiene un bilancio scheletrico postivo
con un incremento lineare della BMD. Per il denosumab va considerato inoltre che al momento della
sospensione vi è un rebound del turonver osseo che aumenta in maniera significativa ed induce ad una
relativamente rapida perdita di parte della massa ossea guadagnata durante il trattameto attivo. E possibile
che si debba pianificare uno shift ad altri farmaci (ad esempio bisfosfonati) per mantenere il guadagno
clinico (45). (Livello di Evidenza SIGN 4)
4.2 La situazione prescrittiva in Italia
Attualmente nessun farmaco antiriassorbitivo (amino-bisfosfonato o denosumab) è stato registrato con
l’indicazione specifica della prevenzione dell’osteoporosi indotta da inibitori dell’aromatasi o da
soppressione ovarica. Tuttavia su questo tema,relativamente al denosumab, l’EMA si è espressa
definendo la situazione delle donne in trattamento con terapia ormonale adiuvante non diversa da
quelle postmenopausali e quindi non necessaria un ‘indicazione ad hoc (CHMP Assessment Report for
Prolia 2010, EMEA/H/C 001120,pg 34). Per l’osteoporosi e il rischio fratturativo da blocco
androgenico è stato registato il denosumab 60 mg/sc/ ogni 6 mesi.
La rimborsabilità è prevista dalla recente revisione della nota AIFA n°.79, che regola appunto la
rimborsabilità dei famraci per la prevenzione delle fratture da osteoporosi.
- La revisione prevederà:la rimborsabilità per le donne che inizino o siano in corso di trattamento
ormonale adiuvante ( con inibitori aromatasi, tamoxifene , GnRH o combinazioni di questi)
indipendentemente dall’età purchè in condizioni di menopausa spontanea o indotta. La
rimborsabilità riguarda i seguenti farmaci : alendronato 70 mg /settimana, risedronato 35 mg
/settimana o 75 mg 2 cp/mese, , ac zoledronico 5 mg / anno, denosumab 60 mg / sc/6 mesi (piano
terapeutico on-line). Il teriparatide e ranelato di stronzio non sono utilizzabili in pazienti con
neoplasia per motivi di sicurezza ( rischio oncologico e rischio trombo embolico e cardiovascolare
rispettivamente)
- Per i maschi di età pari o superiore a 50 anni con carcinoma della prostata ormanosensibile in
blocco androgenico la rimborsabilità è prevista per i seguenti farmaci: alendronato 70 mg
/settimana, risedronato 35 mg /settimana o 75 mg 2 cp/mese, ac zoledronico 5 mg / anno, denosumab
60 mg / sc/6 mesi (con piano terapeutico on-line).
Sia per i maschi che per le femmine la rimborsabilità è prevista per tutta la durata del
trattamento con terapia ormonale adiuvante. (Nota 79 gazzetta ufficiale 20.5. 2015 n.115)
- Per le donne giovani in premenopausa che vanno in menopausa per effetto della chemioterapia ma non
devono fare terapia ormonale adiuvante (triplo negative e per le donne in postmenopausa che non hanno
indicazione per la terapia ormonale adiuvante) :
Esse non rientano in una specifica categoria di rimborsabilà pur avendo potenzialmente la necessità di
trattamento e le evidenza che un trattamento precoce previene la perdita di massa ossea (vedi sopra).
In questi due casi per l’accesso alla rimborsabilità attraverso la nuova nota 79 (gazzetta ufficiale 20.5
2015 n.115) dovranno rientrare nei medesimi criteri validi anche per l’osteoporosi postmenopausale .
51
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
5.
Sinossi delle raccomandazioni
1. Il marcato ipoestrogenismo in donne con carcinoma della mammella indotto dalla soppressione ovarica in
premenopausa e dalla terapia adiuvante ormonale in postmenopausa e in maschi con carcinoma della
prostata secondario dalla terapia ormonale, induce una importante accelerazione della perdita di massa
ossea ed aumenta rapidamente il rischio fratturativo
2. Tra le varie sottopopolazioni (maschi, donne in premenopausa, donne in menopausa) e le diverse
tipologie di blocco ormonale (menopausa indotta da chemioterapia, GNrH da solo o con tamoxifene o
inibitori dell’aromatasi, inibitori dell’aromatasi, blocco andrognenico) vi è una consistente differenza di
velocità di perdita di massa ossea. Le categorie a maggior rischio di osteoporosi e di frattura da fragilià,
sono in ordine decrescente: donne in premenopausa con menopausa da chemioterapia o trattate con
GnRH (con o senza inbitori dell’aromatsi), Maschi in blocco androgenico, donne che passano da
tamoxifene a inibitori dell’aromatasi, donne in inbitori dell’aromatasi, soprattutto se di età < 70 anni.
3. Data l’elevata prevalenza di fattori di rischio per frattura, indipendentemente dalla terapia ormonale e data
l’elevata prevalenza di fratture vertebrali già presenti al momento della diagnosi di neoplasia tutti i
soggetti con tumore della mammella e della prostata vanno indagati per la presenza di fratture vertebrali
asintomatiche (morfometriche).
4. Il momento per iniziare il trattamento per prevenire la CTIBL e le fratture ad essa correlate (soglia di
intervento) non è univocamente definito a livello internazionale.Nel tempo si è guadagnato un livello
sempre più conservativo fino a non considerare livelli di BMD particolarmente ridotti (ad esempio T
score < -1, quindi al limite della normalità) soprattutto se presenti altri fattori di rischio. In considerazione
della velocità di perdità di massa ossea, della rapidità di insorgenza del picco di rischio fratturativo, il
debole carattere predittivo della BMD sul rischio di frattura, le evidenze di un maggior vantaggio (
almeno sulla BMD ) se i bone modifying agent sono iniziati consensualmente all’inizio della terapia
ormonale, si ritiene di consigliare un uso di bisfosfonati o denosumab in prevenzione ovvero all’inizio
della terapia ormanale adiuvante o l’inizio dell’amenorrea indotta da cehmioterapia
5. Gli aminobisfosfonati ed il denosumab rappresentano la categoria di farmaci di prima scelta nella
gestione della bone health della donna con carcinoma della mammella e del maschio con carcinoma della
prostata in bocco ormonale, in quanto in grado di prevenire e recuperare BMD in corso di trattamento
ormonale adiuvante. L’efficacia antifratturativa è stata dimostata direttamente solo per denosumab sia nel
carcinoma della prostata in fase ormonosensibile a livello vertebrale sia nelle donne in postmenopausa in
terapia con inibitori dell’aromatasi per tutte le fratture cliniche (vertebrali e non vertebrali). In tutte le
altre condizioni (donne in pre-menopausa in terapia con GnRH agonisti, donne in menopausa da
chemioterapia) si è solo valutata la risposta in termini di BMD. Tuttavia l’entità dell’effetto sulla BMD
nella CTIBL ai medesimi dosaggi utilizzati nell’osteoporosi postmenopausale o maschile, è stata
sovrapponibile lasciando supporre un medesimo effetto antifratturativo.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
B
B
B
Raccomandazione clinica
I bisfosfonati possono essere impiegati allo scopo di
prevenire la perdita di massa ossea e ridurre il rischio
di frattura in pazienti con cancro della mammella e
cancro della prostata.
Denosumab dovrebbe essere impiegato allo scopo di
prevenire la perdita di massa ossea e ridurre il rischio
di frattura in pazienti con cancro della mammella
Denosumab dovrebbe essere impiegato come terapia di
prima scelta allo scopo di prevenire la perdita di massa
ossea e ridurre il rischio di frattura in pazienti con
cancro della prostata.
52
Forza della
raccomandazione
clinica
Positiva Debole
Positiva Forte
Positiva Forte
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Qualità Globale
delle evidenze
GRADE
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
Nelle pazienti in post-menopausa operate per carcinoma
mammario in trattamento con inibitori dell’aromatasi il
trattamento con denosumab può essere utilizzato in
alternativa ai bisfosfonati allo scopo di prevenire la
CITBL.
Bassa
*La valutazione complessiva della qualità delle
evidenze ad oggi disponibili circa “l’efficacia di
denosumab in pazienti in post-menopausa operate per
carcinoma mammario in trattamento con inibitori
dell’aromatasi”, la valutazione del rapporto tra i
benefici ed i danni correlati e la formulazione della
raccomandazione relativa al quesito posto, sono state
analizzate secondo metodologia GRADE (vedere
capitolo 12).
Positiva Debole
6. La durata della terapia con antiriassorbitivi (bisfosfonati o denosumab) nella CTIBL. Alcuni dati inidcano
un relativo calo dell’incidenza di fratture nei primi anni dopo la sospensione della terapia con inbitori
dell’aromatasi anche se l’incidenza rimane maggiore rispetto alle donne non affette da neopasia della
mammella soprattutto per le donne piu anziane.
E’ indicata una valutazione attenta del rischio fratturativo (e non solo della BMD) alla fine della terapia
ormonale adiuvante per decidere se proseguire comunque il trattamento con denosumab o bisofosfonati.
La terapia con bisfosfonati e denosumab andrà pertanto proseguita almeno per la durata della terapia
ormonale adiuvante.
La persistenza dell’effetto antiriassorbitivo per un certo perdiodo di tempo dipende dal famaco utilizzato
e non è estensibile a tutti i farmaci: è consistente per alendronato e ac zoledronico, piuttosto breve per
risedronato e ibandronato, non presente per denosumab
Qualità
dell’evidenza
SIGN
B
C
Raccomandazione clinica
La terapia con antiriassorbitivi (bisfosfonati o
denosumab) deve cominciare possibilmente con
l‘inizio della terapia ormonale adiuvante o con l’inizio
della amenorrea indotta da chemioterapia
La durata della terapia con antiriassorbitivi
(bisfosfonati o denosumab) dovrebbe corrispondere
almeno al tempo di somministrazione della terapia
adiuvante antineoplastica
53
Forza della
raccomandazione
clinica
Positiva forte
Positiva Debole
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Tabella 1 - Procedure ambulatoriali per la valutazione di un paziente con sospetta osteoporosi *
Procedure di I livello (Routine)
 Anamnesi (fattori di rischio, farmaci)
 Esame obiettivo (misuarare l’altezza)
 Esami bioumorali: calcio, albumina, ALP, VES, profilo proteico
 Radiografia laterale della colonna dorsale e lombare (per identificazione semiqiuantitativa delle
fratture vertebrali)
 DXA (lombare e femorale) o eventualmente QUS
Procedure II livello
Maker turnover osseo
Profilo ormonale (dosaggio vit D, PTH, TSH, calcioe screaione urinaria)
Radiografia laterale della colonna dorale e lombare o MXA (valutazione DXA delle fratture
morfometriche) (fig 1)
* Linee Guida SIOMMMS, modificata da (2)
Tabella 2. Schema riassuntivo dei farmaci utilizzabili nel maschio e nella femmina in terapia ormonale
adiuvante e per i quali è prevista la rimborsabilità dalla nota AIFA 79 (Gazzetta Uff, 20.5.15 n.115
BP os
Schema posologico
Indicazioni
Rimborsabilità
Alendronato
70mg/settimana
OP,OM,OC,CTIBL
Nota 79
Risedronato
35mg/settimana
OP,OM,OC, CTIBL
Nota 79
75mg/2cp mese
OP,OM,OC,CTIBL
Nota 79
60 mg/6 mesi
OP, CTIBL
Nota 79
Denosumab
(piano terapeutico)
Zoledronato
5 mg/un anno
OP,OC,OM , CTIBL
Fascia H
OP Osteoporosi Postmenopausale, OM Osteoporosi Maschile, OC Osteoporosi Cortisonica,CTIBL Cancer
Treatment Induced Bone Loss o osteoporosi da terapia ormonale adiuvante
54
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
VALUTAZIONE MORFOMETRICA SEMIQUANTITITVA
DELLE FRATTURE VERTEBRALI
Normale
(Grade 0)
Frattura a cuneo
Frattura biconcava
Schiacciamento
Frattura lieve
(Grado 1, ~20-25%)
Frattura moderata
(Grado 2, ~25-40%)
Frattura severa
(Grado 3, ~40%)
Figura 1 – Gnant HK. Whu CY L Bone Miner Res 1993; 8: 1137-1148
Genant HK. Whu CY J Bone Miner Res 1993;8:1137-1148
FIG 1
55
56
Denosumab
Alendronato (+/- vit.D)
Risedronato,
Zoledronato
corso con blocco
ormonale adiuvante
Trattamento in
* In merito alla eleggibilità si intende almeno un criterio tra
quelli indicati in parentesi
II scelta:
Denosumab
I scelta:
Alendronato (+/- vit.D)
Risedronato,
Zoledronato
equivalenti di altri corticosteroidi
Trattamento > 3 mesi,
anche solo in previsione,
con prednisone > 5 mg/die o
II scelta: Denosumab,
Zoledronato, Ibandronato,
Raloxifene, Bazedoxifene
III scelta: Stronzio
ranelato
Tscore BMD
colonna o
femore < - 4
Comorbilità a rischio di frattura* (AR
ed altre connettiviti, diabete, BPCO,
MICI, AIDS, Parkinson, sclerosi
multipla, grave disabilità motoria
I scelta: Alendronato (+/vit. D), Risedronato
Storia familiare di
fratture vertebrali
e/o di femore
Tscore BMD
colonna o
femore < - 3
Prevenzione primaria in donne in
menopausa o maschi > 50 anni con
rischio di frattura elevato
*
*
Algoritmo per la l’applicazione in PREVENZIONE PRIMARIA della nota AIFA 79
(rimborsabilità farmaci per la prevenzione e la terapia dell’osteoporosi
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
57
> 3 fratture
* In merito alla eleggibilità si intende almeno un criterio tra
quelli indicati in parentesi
III scelta: Stronzio
ranelato
II scelta: Denosumab,
Ibandronato, Raloxifene,
Bazedoxifene
*
1 o 2 fratture
I scelta: Alendronato
(+/- vit. D), Risedronato,
Zoledronato
T score BMD
colonna o
femore < - 3
Fratture non
vertebrali, non
femorali
> 1 frattura +
trattamento > 12 mesi
con dosi di prednisone
o equivalenti > 5 mg/die
III scelta: Stronzio
ranelato
I scelta: Alendronato (+/vit. D), Risedronato,
Ibandronato
II scelta: Denosumab,
Zoledronato
I scelta: Teriparatide
Nuova frattura
nonostante trattamento
in nota 79 da almeno 1
anno
Fratture vertebrali o
femorali
Prevenzione secondaria in donne in
postmenopausa e uomini >50 anni con
pregresse fratture osteoporotiche
*
> 1 frattura + Tscore
BMD conlonna o
femore < - 4
Algoritmo per la l’applicazione in PREVENZIONE SECONDARIA della nota AIFA 79
(rimborsabilità farmaci per la prevenzione e la terapia dell’osteoporosi
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
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61
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
5.
I bifosfonati e la safety
Carla Ripamonti
Questa classe di farmaci ha un caratteristico profilo di tossicità prevedibile e generalmente gestibile. La
frequenza di eventi avversi nel caso di a. zoledronico si basa principalmente su dati estrapolati dagli studi di
fase III e su dati retrospettivi di ampi database in cui sono stati registrati più frequentemente casi di sindrome
simil-influenzale (9%) accompagnata da febbre (7.2%), dolore osseo (9.1%), astenia (4.1%) e rigidità
(2.9%).
Casi occasionali di artralgia e mialgia sono stati riportati nel 3% dei casi. La riduzione dell’escrezione renale
di calcio si è spesso tradotta in diminuiti livelli ematici di fosfati che si manifesta in modo asintomatico nel
20% dei pazienti trattati senza richiedere trattamenti specifici. Analogamente, casi di ipocalcemia
asintomatica sono stati osservati nel 3% dei pazienti. Reazioni di tipo gastrointestinale, quali nausea (5.6%) e
vomito (2.8%) possono manifestarsi, così come reazioni al sito di inoculo, che consistono in gonfiore,
arrossamento e dolore nell’1% dei casi. La somministrazione di acido zoledronico si accompagna ad
anoressia nell’1.5% dei casi. A questo, si accompagnano casi di insufficienza renale registrati nel 2.3% dei
pazienti e di anemia (5.2% vs 4.2% nei bracci placebo).
Durante gli studi di fase III non sono stati osservati aumenti cumulativi di EA di alcun tipo in seguito a
trattamenti a lungo termine (2 anni) con a. zoledronico (1-3). Dati recenti, osservati in studi clinici controllati
in pazienti con tumori solidi (trial che hanno valutato l’efficacia di Denosumab verso acido zoledronico)
(4,5) ed ematologici (studio Myeloma IX) (6,7) hanno confermato il profilo di sicurezza conosciuto per acido
zoledronico. Oggi questo dato risulta essere ancora piu’ importante dal momento che le attuali linee guida
internazionali (8,9) prendono in considerazone la possibilità di prolungare il trattamento con bisfosfonati per
le pazienti che ne possono beneficiare. Lo studio di Dincer (10) ha valutato il profilo di sicurezza di a.
zoledronico in pazienti con metastasi ossee trattati per più di 24 mesi. Anche in questo studio, non sono stati
osservati sindromi nefrotossiche o proteinuria, né diminuzioni significative della clearance della creatinina.
Inoltre, non sono state evidenziate alterazioni significative di tipo ematologico o epatico. Recentemente è
stata pubblicata una analisi retrospettiva su circa 240 pazienti trattati con acido zoledronio. I risultati hanno
mostrato un aumento dei valori di creatinina serica in linea con quanto riportato nei trial registrativi condotti
su piu’ di 3000 pazienti (11). Studi piu recenti, in pazienti con mieloma multiplo (studio Myeloma IX) (6,7)
mostrano a 5 anni di trattamento continuativo con acido zoledronico o clodronato un buon profilo di
sicurezza a fronte di un aumento statisticamente significativo in OS e riduzione consistente e statisticamente
significativa degli SRE fino a 5 anni per i pazienti trattati con acido zoledronico.
Nel caso del pamidronato le reazioni avverse sono solitamente modeste e transitorie. Le reazioni piu’
comuni sono di ipocalcemia sintomatica e febbre generalmente entro 48 ore dall’infusione. Questa si
accompagna a sintomi simil-influenzali, talvolta accompagnati da malessere, brividi, fatica e vampate. Sono
state occasionalmente osservate reazioni in sede di infusione, quali dolore, arrossamento, gonfiore,
indurimento, flebite o tromboflebite. A livello dell’apparato muscolo-scheletrico si manifestano invece dolori
ossei transitori, artralgia, mialgia, dolori generalizzati. Nausea e vomito si manifestano solo occasionalmente
così come il mal di testa e linfocitopenie. Per quanto riguarda la variazion dei parametri biochimici, invece,
sono frequenti ipocalcemia, ipofosfatemia e occasionale l’ipomagnesemia.
Per quanto riguarda l’ibandronato iniettabile i dati sul profilo di sicurezza estrapolati dal principale studio
di fase III (n=152 pazienti trattati), riportano tra gli eventi avversi comuni (<1% e <10%) significativamente
più frequenti nei pazienti trattati con il farmaco rispetto al placebo episodi di cefalea, vertigini, diarrea,
dispepsia, vomito, dolori gastrointestinali, mal di gola, mialgia, astenia, sindromi simil-influenzale per lo più
nei primi 3 giorni dall’infusione (12,13). In conclusione, gli studi di fase III con acido zoledronico 4 mg e.v.
ed ibandronato (6 mg e.v. e 50mg per os) confermano un buon profilo di sicurezza a 2 anni dall’inizio del
trattamento. Stanno aumentando il numero di evidenze cliniche che dimostrao un buon profilo di sicurezza
anche oltre il secondo anno di studio.
62
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
A.
Safety renale
Tra i pazienti con metastasi ossee trattati con 4 mg di a. zoledronico negli studi di fase III, l’incidenza di
aumenti clinicamente rilevanti della creatininemia è molto bassa (1-3,14). Dosi di a. zoledronico superiori a
4 mg e tempi di infusione < 15 min sono stati valutati in studi clinici, ma tali condizioni non permettono di
garantire la medesima sicurezza a livello renale della somministrazione di 4 mg in almeno 15 min.
Pazienti con livelli basali di clearance della creatinina inferiori a 30 mL/min sono stati esclusi dagli studi di
fase III con a. zoledronico (1-3), pertanto il trattamento con acido zoledronico in pazienti con funzionalità
renale compromessa, (clearance della creatinina < 30 mL/min) non è raccomandato. In corso di trattamento,
anche laddove siano stati osservati aumenti di creatinina, fra le pazienti con carcinoma mammario trattate
con 4 mg/3-4 settimane per 2 anni non sono stati osservati incrementi di grado severo (1,3). In questo
contesto, la percentuale di pazienti con aumenti della creatinina serica ed i tempi di tale aumento sono
risultati simili tra a. zoledronico e placebo (1-3,14,15).
Nel carcinoma della prostata la percentuale totale dei pazienti in cui è stato osservato un aumento di
creatinina serica è confrontabile tra gruppo di trattamento e di controllo, ad indicare un rischio comparabile
di sviluppare alterazioni della funzionalità renale (1-3,14,16).
Nel tumore del polmone o altri tumori solidi trattati con a. zoledronico (4 mg fino a 21 mesi), l’1.8% dei
pazienti ha sviluppato aumenti di creatinina di grado 3 or 4 (2). Tuttavia, la stessa percentuale di aumentati
livelli di creatininemia è stata osservata anche nel placebo, anche se la percentuale di eventi clinicamenti
rilevanti era leggermente maggiore nel braccio di trattamento (1-3,14), con un valore di rischio relativo di
1.587 (p = 0.228) (2).
In aggiunta a questi dati, sono disponibili risultati retrospettivi per trattamenti con a. zoledronico che
perdurano per più di 2 anni (17,18). In uno di questi studi è stato riportato il profilo di sicurezza di
a.zoledronico e pamidronato somministrati per un tempo medio di 3.6 anni in pazienti con mieloma multiplo
o carcinoma mammario (n = 22). Non sono stati osservati particolari alterazioni dei valori di laboratorio,
includendo composizione chimica, livelli di calcio e indici di funzionalità renale.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
Si raccomanda di monitorare la funzionalità renale
durante il trattamento con BP per via endovenosa.
Positiva forte
D
Nei pazienti con funzionalità renale compromessa si
consiglia di iniziare il trattamento con acido zoledronico
con adeguate riduzioni della dose.
Positiva forte
D
Nel caso sia necessario interrompere la terapia con acido
zoledronico a causa di insufficienza renale severa, il
trattamento può essere ripreso quando i livelli di
creatininemia rientrano entro una variazione di non più
del 10% dei valori normali.
Positiva forte
D
In corso di trattamento con BP per via endovenosa è
necessario monitorare i pazienti per segni e sintomi
di sbilancio degli elettroliti.
Positiva forte
63
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
B.
ONJ: raccomandazioni in termini di diagnosi, comportamento nei riguardi dei
BPs e denosumab, prevenzione e trattamento dell’ONJ
L’osteonecrosi della mandibola (ONJ) è stata descritta per la prima volta in pazienti trattati per patologie
oncologiche con terapie sistemiche comprendenti i BP nel 2003 ed è caratterizzata dalla comparsa di osso
esposto nella cavità orale. La mandibola e, meno frequentemente, la mascella sono i siti di elezione per la
comparsa di tali lesioni; infatti, non ci sono al momento segnalazioni di altri segmenti ossei coinvolti in
fenomeni di osteonecrosi in pazienti che assumono BP. Le ragioni di questa peculiare distribuzione
topografica e dei meccanismi biologici alla base di questo fenomeno sono tuttora sconosciuti. (23).
Si può tuttavia ipotizzare che il coinvolgimento esclusivo dell’osso mandibolare e mascellare sia
riconducibile alle caratteristiche fisiologiche di queste ossa e alla frequenza di patologie orali e di interventi
conseguenti. Il coinvolgimento dei BP si ritiene invece riconducibile al loro effetto di inibizione del
rimodellamento osseo e dell’angiogenesi, con probabile contributo aggravante da parte degli agenti infettivi
(24) . La frequenza di ONJ è stata stimata in varie popolazioni di pazienti oncologici. Un’analisi retrospettiva
eseguita dall’ MD Anderson su 3994 pazienti trattati con terapie anti-tumorali, ha stimato una frequenza
complessiva pari allo 0.73% (25). Nelle pazienti con carcinoma mammario la frequenza stimata è dell’ 1.2%
e nei malati di mieloma multiplo del 2.4%. In tale studio non sono stati individuati casi di ONJ in pazienti
con tumori del polmone, del rene o della prostata. Allo stato attuale, il calcolo della frequenza di ONJ è
ancora difficoltoso e controverso, con dati derivati per lo più da analisi retrospettive su campioni selezionati.
Misure più valide della frequenza di ONJ nei pazienti oncologici trattati con BP in combinazione con altri
farmaci antitumorali deriveranno da studi prospettici a lungo termine che sono attualmente ancora in corso.
Anche per quanto riguarda i fattori di rischio, non esiste ancora un quadro completo. Sono stati correlati con
lo sviluppo di ONJ, la radioterapia di tumori della testa e del collo (osteoradionecrosi), malattia periodontale,
chirurgie dell’osso mascellare, la presenza di regioni edentule e di protesi, in particolare quando non congrue
e traumatizzanti (26). Tra i fattori di rischio, viene considerato anche il trattamento per via sistemica
soprattutto se prolungato con BP (27,28). Tuttavia, la concomitante chirurgia dento-alveolare e patologie del
cavo orale rappresentano i principali fattori di rischio. Chirurgie orali (implantologie e chirurgie periapicali)
aumentano il rischio di ONJ di ben sette volte, così come concomitanti squilibri della salute orale (es. flogosi
dentali e ascessi dentali/ perioddontali). Inoltre, l’ONJ compare più di frequente in zone in cui una sottile
mucosa ricopre prominenze ossee, come tori e creste miloioidi. Ulteriori fattori di rischio per l’insorgenza di
ONJ nei pazienti oncologici sembrano essere rappresentati dalla malattia neoplastica stessa, dalla
chemioterapia, dalle terapie concomitanti con corticosteroidi e da infezioni loco-regionali o sistemiche (24) .
Esistono infine rischi legati all’istologia tumorale, all’età e alla razza. Infatti, il mieloma multiplo è più
spesso associato ad ONJ rispetto agli altri tumori solidi (29). Questo potrebbe essere correlato al trattamento
concomitante con agenti anti-angiogenici (talidomide e corticosteroidi), anche se il coinvolgimento di questi
composti va ancora confermato. Recentemente è stata pubblicata una analisi retrospettiva effettuata su un
elevato numero di pazienti nella quale si valuta se la somministrazione concomitante di bisfosfonati e
bevacizumab possa influire sull’incidenza di ONJ. I risultati dell’analisi non hanno mostrato un aumento
significativo dei casi di ONJ. Ulteriori studi sono infine necessari per confermare il ruolo di altri fattori per
cui si sono raccolte evidenze preliminari di coinvolgimento, quali corticosteroidi, chemioterapici, diabete,
scarsa igiene orale, disturbi vascolari, abuso di alcol, tabagismo, malnutrizione ed obesità (26).
In una analisi retrospettiva su 567 casi Vescovi et al (30) hanno studiato le differenze tra le varianti di ONJ
in pazienti sottoposti a chirurgia dentale verso quelle non sottoposte ad alcuna chirurgia dentale. In 205 casi
(36.2%) di ONJnessuna chirurgia era stata praticata vs 362 casi (63.8%) di forme in seguito a procedure
invasive locali causate da estrazione dentale in 361 casi e implantologia in un solo caso. Lo studio sottolinea
la importanza di una stretta collaborazione tra oncologi ed odontoiatri per una diagnosi precoce di ONJ e/o
di pazienti a rischio di sviluppare ONJ Recentemente tre studi di confronto tra denosumab alla dose di 120
mg s.c. o acido zoledronico alla dose di 4 mg i.v. ogni 28 giorni, sono stati condotti in pazienti con tumore
prostatico ormone-resistente (4), in pazienti con metastasi ossee da tumore avanzato e mieloma (escluso
tumore della mammella e della prostata) (31) ed in pazienti con tumore della mammella in fase avanzata (5).
64
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Saad et al. (32) in una analisi combinata hanno valutato la incidenza della ONJ, dei fattori di rischio e delle
conseguenze nei pazienti arruali in uno dei tre studi di fase III, paralleli, in doppio cieco, double dummy.
Tutti i pazienti degli studi erano sttai sottoposti ad uno screening della cavita’ orale prima di iniziare il
trattamento ed ogni 6 mesi.
Dei 5723 pazienti arruolati, ad 89 (1.6%) pazienti e’ stata diagnosticata la ONJ; 37 (1.3%) ricevevano acido
zoledronico e 52 (1.8%) riceveva denosumab (P= 0.13). La estrazione dentale era riportata nel 61.8% dei
pazienti con ONJ. Il trattamento e’ stato conservativo in > 95% dei pazienti. La guarigione (al momento della
analisi) si era verificata in oltre 1/3 dei pazienti (29.7% per l’acido zoledronico e 40.4% per il denosumab).
1. Diagnosi
Allo stato attuale delle conoscenze, per la diagnosi di ONJ si fa riferimento alla pubblicazione di Weitzman
(33), in cui mediante un approccio a due stadi, si considerano:
1) Caratteristiche cliniche: osso esposto nell’area maxillofacciale che si manifesta spontaneamente o in
concomitanza con interventi chirurgici nel cavo orale, senza evidenza di riparo della mucosa.
2) Diagnosi sull’evidenza: mancata evidenza di riparo della mucosa dopo 6 settimane di valutazioni e
trattamenti dentari adeguati e in assenza di evidenze di malattia metastatica alla mandibola o di
osteoradionecrosi.
L’ONJ può rimanere asintomatica per settimane o addirittura mesi ed è generalmente identificata unicamente
da un punto di vista clinico, in termini di comparsa di osso esposto nel cavo orale. Tali lesioni diventano
sintomatiche in presenza di infezioni secondarie o nel caso di trauma ai tessuti molli adiacenti o opposti
causate dalla superficie irregolare dell’osso esposto. Segni e sintomi dell’ONJ comprendono gonfiore e
infiammazione dei tessuti molli, perdita di denti precedentemente stabili, presenza di sostanza purulenta ed
osso esposto nel sito di precedenti interventi di chirurgia orale. Dolore localizzato e difficoltà a nutrirsi e a
parlare sono i sintomi più comuni, eventualmente accompagnati da disestesia nel caso siano coinvolti anche
dei nervi (26). La progressione dell’ONJ risulta in esposizioni estese dell’osso, deiscenza, sequestro
dell’osso, osteomielite acuta e fratture patologiche.
Nel caso di sospetta diagnosi di ONJ, sono necessari esami ortopantotomografici per escludere altre cause
(cisti, denti inclusi o lesioni metastatiche). Segni radiografici caratteristici riguardano la presenza di lesioni
osteolitiche consistenti con la perdita ossea. Tuttavia, bisogna tener conto che le alterazioni allo stato iniziale
spesso non sono rilevabili radiologicamente (26). Biopsie sono consigliate solo per escludere lesioni
metastatiche; il beneficio di una biopsia confermata, infatti, non prevale sul rischio di causare ulteriore danno
all’osso esacerbando il quadro di ONJ. In tal caso, è bene effettuare delle colture microbiche (aerobiche ed
anaerobiche) per identificare i patogeni che sono potenziali cause di infezioni secondarie. Va sottolineato che
infezioni da Actinomyces sono spesso presenti (26).
2. Stadiazione
Sono attualmente in uso due criteri di stadiazione dell’ONJ, uno basato sulla severità dei sintomi e l’altro
sulle dimensioni delle lesioni (33):
Grado
Severità sintomi
1
Asintomatico
2
Lieve
3
Moderato
4
Severo
65
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Grado
Dimensioni (diametro)
1A
Singola lesione 0.5 cm
1B
Lesioni multiple, la maggiore <0.5 cm
2A
Singola lesione 0.5-0.99 cm
2B
Multiple lesioni , la maggiore 0.5-0.99 cm
3A
Singola lesione 1-2 cm
3B
Multiple lesioni, la maggiore 1-2 vm
4A
Singola lesione >2 cm
4B
Multiple lesioni, la maggiore> 2cm
3. Trattamento
Allo stato attuale non esiste un unico approccio terapeutico che possa definirsi risolutivo per il trattamento
dell’ONJ. Pertanto, un consulto tra chirurgo maxillofacciale, oncologo e dentista è fortemente consigliato,
poiché la stretta combinazione delle cure dentarie ed oncologiche è critica per ottenere una cura ottimale
dell’ONJ e della patologia neoplastica di base.
Al momento in generale si interviene soprattutto con terapie di supporto, volte al controllo del dolore e al
contenimento delle infezioni concomitanti e del progredire della malattia, con un approccio il più possibile
conservativo (26). Questo comprende trattamento di supporto con antibiotici (possibilmente dopo isolamento
dei patogeni), sciacqui orali, controllo del dolore e courretage meccanico limitato eseguito da odontoiatri
professionisti (33) e sotto trattamento antibiotico, riservando interventi chirurgici più aggressivi alla
minoranza di pazienti sintomatici con qualità della vita pesantemente compromessa. Per quanto riguarda gli
antibiotici la penicillina risulta essere un farmaco molto utilizzato insieme all’ azitromicina, da combinarsi
eventualmente con il metronidazolo nei pazienti con infezioni refrattarie. Nei pazienti allergici alla
penicillina si può ricorrere ad un chinolone come antibiotico di seconda linea (26). I pazienti devono essere
controllati ogni 3 mesi o più di frequente nel caso di peggioramento dei sintomi (26).
Non sono al momento disponibili dati prospettici che indichino se la sospensione del trattamento con BP al
momento della diagnosi di ONJ conclamata sia di beneficio. Infatti, a causa dell’incorporazione dei BP nella
matrice ossea, la sospensione dei BP potrebbe non risultare in alcun beneficio. Pertanto, un’attenta
valutazione dei potenziali rischi e benefici andrebbe discussa con un approccio multidisciplinare fra
oncologi, odontoiatri e chirurghi maxillofacciali e condivisa con il paziente.
Recentemente sono stati presentati i dati riferiti al trattamento con ozono medicale per lesioni
osteonecrotiche in pazienti precedentemente trattati con Bisfosfonati. Il trattamento con un gel addizionato
all’ozono medicale (per lesioni inferiori a 2.5 cm) o con ozono medicale insufflato (per lesioni
dimesionalmente maggiori) ha dimostrato una elevata percentuale di guarigione con espulsione dell’osso
necrotico e completa riepitelizzazione. Lo studio pur essendo scientificamente debole (ridotto numero di
pazienti) mostra una forte evidenza clinica che necessita di essere supportato con uno studio adeguatamente
dimensionato (34,35).
4. Prevenzione
La difficoltà nel curare l’ONJ rendono la sua prevenzione un obiettivo primario. Infatti, risultati ottenuti in
recenti studi prospettici sottolineano l’importanza di interventi odontoiatrici preventivi prima di iniziare il
trattamento con acido zoledronico (36). L’impatto della prevenzione nel ridurre l’incidenza di ONJ nei
pazienti oncologici trattati con BP, è stata recentemente dimostrata in uno studio in cui è stato confrontato il
numero di casi di ONJ osservati retrospettivamente in un gruppo di pazienti trattati con BP dal 1999 al 2007
(n=812), per i quali non erano state adottate particolari cure preventive in termini di esame e bonifica del
66
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
cavo orale, e quelli registrati prospetticamente in un gruppo di pazienti (n=154) arruolati dal 2005 e
sottoposti a cure odontoiatriche preventive (28). In questo setting, l’incidenza di ONJ osservata nel gruppo
che non è stato sottoposto a misure di prevenzione corrisponde a 27/812 casi (3,3%). Nei pazienti in cui sono
state adottate adeguate misure preventive, invece, l’incidenza si è ridotta ad 1/154 (0.6%), il che corrisponde
ad una riduzione del rischio di sviluppare ONJ del 75%. Questi dati hanno dimostrato per la prima volta
come sia necessario che i pazienti candidati a terapia con BP, ma anche con denosumab, eseguano una visita
odontoiatrica di routine prima di iniziare la terapia. Ulteriori dati clinici sono stati pubblicati più
recentemente e confermano a necessità della prevenzione odontoiatrica prima di inizare il trattamento con
BP (37-39). Qualora l’odontoiatra individui la necessità di effettuare procedure dentoalveolari di vario tipo,
è bene che queste vengano intraprese e risolte prima di iniziare il trattamento con BP, provvedendo
all’estrazione dei denti malati ritenuti non recuperabili. Nel caso di protesi dentarie, queste vanno esaminate
accuratamente per controllarne il potenziale lesivo sui tessuti molli, in modo da ripararle se necessario.
Inoltre, è indispensabile una pulizia anche profonda del cavo orale. Tutti questi interventi devono essere
accompagnati da terapia antibiotica. Oltre alle misure preventive da adottare prima dell’inizio del trattamento
con BP o con denosumab è necessario rivalutare la salute orale dei pazienti in trattamento con BP durante il
corso della terapia. E’ fondamentale che il paziente sia istruito a riportare immediatamente al clinico
qualsiasi cambiamento avverta a livello della cavità orale.
5.
Interventi odontoiatrici in corso di terapia con aminobifosfonati per
via endovenosa
Nel caso si rendano necessari interventi curativi e di ripristino dell’igiene orale, si suggerisce di
intraprendere interventi conservativi, adottando le più recenti tecniche meno invasive. Laddove siano
necessarie estrazioni si suggerisce, se possibile, di sostituirle con terapie endodontiche. Potrebbe rendersi
necessario eseguire l’amputazione della corona seguita da terapia endodontica per evitare l’estrazione ed il
potenziale sviluppo di ONJ. Chirurgie elettive della mandibola, compresi gli impianti dentali, andrebbero
evitate. In ogni caso, qualsiasi tipo di intervento va accompagnato da terapia antibiotica (40). Nel caso di
interventi non invasivi non è necessario interrompere il trattamento con BP, mentre si consiglia di
sospenderlo nel caso di interventi chirurgici fino alla guarigione delle ferite (33). Tuttavia, data la lunga
emivita dei BP, tale raccomandazione non è condivisa dalla totalità degli odontoiatri che si occupano
specificamente di prevenzione dell’ONJ. La continuazione della terapia è da considerare anche in questo
caso, se il rischio di contrarre eventi scheletrici è molto alto.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
Un consulto tra chirurgo maxillofacciale, oncologo e
dentista è fortemente consigliato, poiché la stretta
combinazione delle cure dentarie ed oncologiche è critica
per ottenere una cura ottimale dell’ONJ e della patologia
neoplastica di base.
Positiva forte
D
Si raccomanda di effettuare procedure dentoalveolari di
tipo preventivo prima di iniziare il trattamento con BP.
Positiva forte
67
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
C.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
Nel caso si rendano necessari interventi curativi e di
ripristino dell’igiene orale in corso di trattamento con BP,
si suggerisce di intraprendere interventi conservativi,
adottando le più recenti tecniche meno invasive.
Positiva forte
Eventi avversi rari
In questa classe di farmaci sono state riportate complicanze di tipo oculistico in pazienti trattati con BP per
via endovenosa, soprattutto pamidronato, con un tasso di incidenza pari allo 0.05% (21). La congiuntivite è
la complicazione oculistica più frequente, seguita da uveiti, scleriti, episcleriti, edema della palpebra,
infiammazione oribitale e paralisi del nervo craniale. Tipicamente, le complicazioni oculari si manifestano
entro le 48h seguenti l’infusione del BP e solitamente dopo la prima o seconda somministrazione. La
continuazione o sospensione del trattamento con BP dipende dalla precisa diagnosi dell’evento avverso
oculistico; pertanto, è necessaria una valutazione oftalmologica (41). Pazienti per cui è stata fatta diagnosi
di congiuntiviti ed episcleriti hanno una buona prognosi e pertanto possono continuare il trattamento con
BP. Pazienti con uveiti o infiammazione orbitale potrebbero richiedere il ricovero e la sospensione del
trattamento con BP affinché la complicanza si risolva. Pazienti con scleriti devono sospendere il
trattamento con BP affinché si risolva l’infiammazione.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
La continuazione o meno della terapia con BP in caso di
complicazioni oculari è subordinata una valutazione
oftalmologica
Positiva forte
Take home message: I bisfosfonati sono farmaci ben tollerati e con effetti collaterali prevedibili, tra cui la
sindrome similinfluenzale e l’ipocalcemia. La terapia con bisfosfonati può modificare la funzione renale,
pertanto è fondamentale monitorare la funzionalità renale prima e durante il trattamento. L’osteonecrosi della
mandibola è una complicanza non frequente ma severa, che si verifica in corso di terapia con bisfosfonati o
con denosumab, che necessita di una integrazione multidisciplinare tra diversi specialisti (es. oncologi,
dentisti, chirurghi maxillofacciali).
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LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
7.
Il trattamento farmacologico del dolore da metastasi ossee
Carla Ripamonti
Il dolore osseo da cancro e’ una manifestazione devastante del cancro metastatico ed è spesso uno dei
sintomi piu’ comuni riferiti dai pazienti [1]. Il carcinoma mammario e prostatico metastatici sono i principali
contribuenti alla prevalenza del dolore osseo da cancro poiche’ le metastasi ossee sono presenti in oltre il
90% dei pazienti con queste patologie [2].
Il dolore da metastasi ossee è caratterizzato dalla presenza prevalente di dolore intenso durante il movimento
anche di modesta entità come il tossire, il girarsi nel letto, il muovere gli arti. La presenza di allodinia
meccanica in alcune sedi metastatiche è la percezione dolorosa di stimoli meccanici che non sono
normalmente percepiti come dolorosi [3]. Il beneficio clinico delle terapie sintomatiche nei pazienti con
cancro deve essere valutato sulla base di misure soggettive dei sintomi, della qualità di vita [4-7] e del
performance status oltre al giudizio di efficacia fornito dal paziente. Esistono delle scale unidimensionali che
misurano esclusivamente l’intensità del dolore (analogiche visive, numeriche, verbali) [6] (allegato 1) e scale
multidimensionali che valutano anche altri aspetti della vita del paziente [es Edmonton Symptom
Assessment System ESAS (allegato 2) [5], Brief Pain Inventory BPI (allegato 3)] [6].
Trattamento farmacologico analgesico
Non esistono in letteratura linee guida di trattamento farmacologico specifico nei pazienti con metastasi
ossee. Quindi, per quanto riguarda il trattamento del dolore da cancro con farmaci analgesici ci riferiamo alle
linee guida e raccomandazioni pratiche della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) (7,8) e le linee
guida della European Society Medical Oncology (ESMO) [9,10]. Le linee guida dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) per il trattamento del dolore da cancro, suggeriscono un approccio sequenziale
a tre scalini. La sequenza prevede il passaggio da farmaci per il dolore lieve (non oppioidi) a farmaci per il
dolore lieve-moderato (oppioidi deboli) a farmaci per il dolore moderato-severo (oppioidi forti), in funzione
della persistenza del dolore e della sua intensità (Tabella 1).
3 ° Gradino
Oppioidi per il dolore moderatosevero (Morfina, metadone,
fentanyl, buprenorfina, ossicodone,
idromorfone)
± non-oppioidi/ adiuvanti
2 ° Gradino
Oppioidi per il dolore lieve-moderato
(codeina, tramadolo, ossicodone +
paracetamolo*)
± non-oppioidi/ adiuvanti
1° Gradino
Non oppioidi per il dolore lieve
(paracetamolo, aspirina, FANS)
± adiuvanti
Tabella 1 : linee guida OMS
*l’ossicodone, quando usato a basse dosi (5 mg) in associazione al paracetamolo (325 mg) può rientrare nel 2° gradino, a dosi
superiori rientra nel 3° gradino. La tabella mostra la scala dell’OMS e i farmaci disponibili attualmente in Italia. Ad ogni gradino
possono essere associati i farmaci adiuvanti.
71
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
I farmaci non-oppioidi, oppioidi e adiuvanti (cortisonici, antiepilettici, anestetici locali, antidepressivi) sono
somministrati singolarmente o in associazione secondo il tipo e l’intensità della sintomatologia dolorosa.
Gli antinfiammatori sono raccomandati come primo scalino della scala analgesica dell’OMS o in
associazione agli oppioidi per dolore di intensità più severa. Sono inoltre ritenuti particolarmente efficaci nel
dolore da metastasi ossee per il loro effetto inibitorio sulla ciclo-ossigenasi e quindi sulla sintesi delle
prostaglandine [11].
Una revisione sistematica eseguita nel 2001 ha esaminato 13 trials clinici randomizzati che confrontavano
FANS o paracetamolo versus oppioidi minori (in particolare la codeina) da soli o associati nel dolore da
cancro [12]. Questi studi non dimostrano una chiara differenza nell’efficacia dei farmaci del 1° e 2° gradino
e non permettono di concludere sui benefici dell’aggiunta degli oppioidi minori (in particolare della codeina,
soprattutto se sottodosata) rispetto al solo paracetamolo o ai FANS. (Livello di Evidenza SIGN 1++).
Gli oppioidi analgesici indicati per il trattamento del dolore da cancro di intensità lieve-moderata sono:
codeina, tramadolo e destropropossifene. Nonostante la carenza di evidenze, lo Scottish Intercollegiate
Guidelines Network (SIGN) conclude che il tramadolo non ha sostanziali vantaggi clinici rispetto ad altri
oppioidi del 2° gradino [13] (Livello di Evidenza SIGN 4). Uno studio pubblicato nel 2005 ha mostrato che
il salto del 2° gradino si associa ad una riduzione delle giornate con dolore più intenso, ma con un’aumentata
incidenza degli effetti collaterali [14] (Livello di Evidenza SIGN 3).
I farmaci disponibili per il trattamento del dolore da moderato a severo sono: morfina, metadone, ossicodone,
idromorfone, fentanyl, buprenorfina. Per l’utilizzo di tali farmaci si può fare riferimento alle
raccomandazioni dell’ESMO (10) (Livello di Evidenza SIGN 4).
Secondo l’OMS, una efficace terapia analgesica deve possedere i seguenti requisiti:
- Prevenire l’insorgenza del dolore. Per questo motivo i farmaci non devono essere assunti al bisogno, ma a
“orari regolari”, tenuto conto della loro emivita plasmatica, biodisponibilità e durata d’azione. La
somministrazione al bisogno deve essere riservata per trattare il dolore che sopraggiunge nonostante il
paziente sia già in trattamento con farmaci somministrati ad intervalli prefissati (breakthrough pain).
- Essere di semplice somministrazione. Per questo motivo la somministrazione orale è ritenuta la migliore.
- Essere modificata con tempestività quando l’analgesico cessa di essere efficace.
- Essere personalizzata per quanto riguarda i dosaggi, le vie di somministrazione ed il tipo di farmaco
utilizzato.
Un approccio farmacologico al dolore, basato prevalentemente sull’uso corretto degli oppioidi analgesici,
consente di controllare il sintomo in oltre il 90% dei casi [15] (Livello di Evidenza SIGN 1++).
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
Il trattamento del dolore da metastasi ossee deve essere
basato prevalentemente sull’uso corretto degli oppioidi
analgesici (sec. Linee Guida ESMO)
Positiva forte
Take home message: Non esistono linee guida specifiche riguardanti il dolore da metastasi ossee, pertanto
vengono utilizzate le linee guida per la gestione del dolore neoplastico.
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Bifosfonati e sopravvivenza
Daniele Santini
1.
Evidenze cliniche da analisi retrospettive di studi randomizzati di
Fase III
La prima analisi retrospettiva preliminare sul tasso di sopravvivenza è stata effettuata in pazienti con
mieloma multiplo (N=209) inclusi in uno studio prospettico di Fase III che confrontava l’effetto di acido
zoledronico 4 mg (N=107) versus pamidronato 90 mg (N=102) [1]. In questa analisi i pazienti erano
retrospettivamente stratificati in base alla presenza di livelli bassi (<146 U/I) o elevati (> 146 U/L) di
fosfatasi alcalina ossea. Nei pazienti con elevata fosfatasi alcalina ossea, il trattamento con acido zoledronico
aumentava significativamente la sopravvivenza rispetto al pamidronato (82% versus 55%; P = 0.048).
Questa analisi quindi suggerisce che il trattamento con acido zoledronico è più efficace nei pazienti con
elevata fosfatasi alcalina ossea, indice di malattia osteolitica più aggressiva e prognosi più severa [2].
A confermare un possibile impatto sulla sopravvivenza dell’acido zoledronico è stata condotta un’analisi
retrospettiva su pazienti con metastasi ossee da tumore polmonare con elevati livelli basali di N-telopeptide
urinario che erano stati inclusi in uno studio randomizzato di Fase III [3]. In questo studio, i pazienti sono
stati randomizzati a ricevere acido zoledronico 4 mg o placebo per 21 mesi totali. Tra i pazienti con livelli
elevati di N-Telopeptide urinario (N=144), l’analisi retrospettiva ha mostrato che il tasso di rischio di morte
era ridotto del 35% nei pazienti trattati con acido zoledronico rispetto al placebo (P = 0.0244). Il tasso di
rischio di morte nei pazienti con fosfatasi alcalina e N-Telopeptide entrambi elevati (N=97) era
significativamente ridotto del 46% nei pazienti che ricevevano acido zoledronico (P = 0.0059). Anche questo
studio suggerisce che nei pazienti con elevati livelli di riassorbimento osseo e aumentato rischio di eventi
scheletrici e morte, la somministrazione di acido zoledronico è in grado di ritardare la progressione delle
lesioni ossee e di ridurre il rischio di morte [4]. Un’altra analisi retrospettiva ha valutato la riduzione del
rischio di progressione di malattia in una sottopopolazione di pazienti con metastasi ossee da tumore
mammario trattate con acido zoledronico versus pamidronato e stratificate in base al Brief Pain Inventory e
in base al tempo della diagnosi iniziale di metastasi ossee. Questo studio ha dimostrato che le pazienti che
avevano sviluppato metastasi ossee entro 3 anni dalla diagnosi di tumore mammario e quelle con un Brief
Pain Inventory >3.0 trattate con acido zoledronico avevano un rischio ridotto di progressione di malattia
rispetto al pamidronato (P=0.021 e P=0.009 rispettivamente) [5]. Cook RJ et al. [6] hanno presentato
all’ASCO 2008 la prima metanalisi della letteratura che ha incluso 1345 pazienti affetti da tumori solidi
diversi metastatici a livello osseo inclusi in 3 studi di fase III randomizzati. La metanalisi ha evidenziato
73
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
chiaramente come l’acido zoledronico sia in grado di aumentare in maniera statisticamente significativa la
sopravvivenza rispetto al placebo nel sottogruppo di pazienti con elevati livelli basale pretrattamento di
NTX, cioè prorpio in quei pazienti, che per l’elevato turnover osseo, presentano un maggiore rischio di SRE.
Inoltre, Lipton e colleghi hanno condotto un’analisi retrospettiva di 3 studi clinici randomizzati di Fase III
per valutare se la riduzione dei livelli di N-Telopeptide urinario dopo acido zoledronico corrispondeva a una
diminuito rischio di eventi scheletrici e morte. In questo studio sono stati misurati i livelli di N-Telopeptide
urinario basali e quelli dopo 3 mesi di trattamento di pazienti con metastasi ossee da tumore mammario (N =
379), da tumore della prostata ormono-resistente (n = 314) o da tumore del polmone o altri tumori solidi (n =
204) che avevano ricevuto acido zoledronico per 24 mesi totali. Considerando tutti i pazienti, la
normalizzazione dell’N-Telopeptide Urinario è risultata correlata con un rischio ridotto di morte e di un
primo evento scheletrico rispetto a coloro il cui N-Telopeptide non si normalizzava. Infatti, nel sottogruppo
con normalizzazione dell’N-Telopeptide, il rischio di morte era ridotto del 48% nei pazienti con tumore
mammario (P =0.017), del 59% nei pazienti con tumore prostatico (P <0.001) e del 57% nei pazienti con altri
tumori solidi (P =0.0116). [7]. La Tabella 3 mostra i risultati delle analisi retrospettive di studi prospettici di
Fase III sull’efficacia della somministrazione dei bifosfonati in pazienti oncologici in termini di
sopravvivenza.
2.
Prime evidenze cliniche da studi prospettici
Uno studio aperto prospettico randomizzato di Mystakidou e colleghi ha valutato l’effetto dell’acido
zoledronico sulla prevenzione di metastasi ossee in pazienti con tumori solidi senza metastasi ossee al tempo
della randomizzazione. Quaranta pazienti sono stati randomizzati a ricevere acido zoledronico (4 mg ogni 28
giorni) o nessun trattamento. La percentuale di pazienti liberi da metastasi ossee a 12 mesi è stata del 60%
nel braccio che aveva ricevuto acido zoledronico e del 10% nel gruppo di controllo (p<0.0005), mentre le
percentuali a 18 mesi sono state rispettivamente del 20% e del 5% rispettivamente (p=0.0002) [8]. Questo
studio preliminare appare molto promettente, sebbene siano stati inclusi solo pochi pazienti con differenti
patologie. In un’analisi esplorativa di uno studio prospettico, Saad e colleghi hanno dimostrato per la prima
volta che la somministrazione di acido zoledronico, confrontato con il placebo, è in grado di determinare un
incremento non statisticamente significativo della sopravvivenza in pazienti con metastasi ossee da tumore
della prostata (18.2 mesi versus 15.6 mesi, rispettivamente) [9]. I limiti di questi dati derivano dalla natura
esplorativa di questa analisi e dalla mancanza di un disegno statistico con scopo di valutare la sopravvivenza
dei pazienti. In un altro studio, Lipton e colleghi hanno valutato l’efficacia e la sicurezza della
somministrazione di acido zoledronico in pazienti con metastasi ossee da tumore renale.
Settantaquattro pazienti sono stati randomizzati a ricevere acido zoledronico o placebo in concomitanza con
la terapia antineoplastica ogni 3 settimane per 9 mesi. Il tempo mediano di progressione delle lesioni ossee è
risultato significativamente più lungo nei pazienti trattati con acido zoledronico (P = 0.014). In questo studio
si sono ottenuti risultati interessanti anche per quanto riguarda la sopravvivenza mediana, infatti la
somministrazione di acido zoledronico ha dimostrato aumentare la sopravvivenza mediana di 131 giorni
rispetto al placebo (11.5 versus 7.2 mesi; p= 0,104) [10]. L’assenza di significatività di tale valore è
probabilmente dovuta al piccolo numero di pazienti valutati e alla mancanza di un disegno statistico con
scopo di valutare la sopravvivenza. All’ASCO del 2008, M. S. Zaghloul et al. [11] hanno riportato i risultati
di uno studio clinico randomizzato in pazienti affetti da neoplasia vescicale con metastasi ossee di confronto
tra acido zoledronico e placebo. Tra gli obiettivi primari è stata considerata la sopravvivenza a 1 anno.
L’acido zoledronico ha dimostrato di incrementare in maniera significativa la sopravvivenza a 1 anno
rispetto al placebo (30% verso 5%) (P=0.02). Recentemente, Aviles e colleghi hanno condotto uno studio
clinico specificamente disegnato allo scopo di valutare la sopravvivenza in pazienti con mieloma multiplo
non precedentemente trattati. In tale studio novantaquattro pazienti sono stati randomizzati a ricevere un
programma convenzionale di chemioterapia più acido zoledronico (4 mg ogni 28 giorni) (n= 48) oppure solo
il medesimo trattamento convenzionale (gruppo di controllo) (n= 46). La sopravvivenza libera da eventi
scheletrici, dopo un follow-up mediano di 49.6 mesi, è risultata essere dell’80% nel gruppo di pazienti che
avevano ricevuto acido zoledronico e del 52% nel gruppo di controllo (p < 0.01). La sopravvivenza globale a
74
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
5 anni è risultata essere dell’80% nel gruppo di pazienti che avevano ricevuto acido zoledronico e del 46%
nel gruppo di controllo (p < 0.01) [12].
Ulteriori studi prospettici specificatamente disegnati per la valutazione dell’impatto dei bifosfonati sulla
sopravvivenza sono necessari per la creazione di chiare linee guida che possano essere utilizzate da tutti i
clinici.
Attualmente sulla base della disamina della letteratura l’utilizzazione dei bifosfonati allo scopo di aumentare
la sopravvivenza mediana nei pazienti affetti da tumori solidi in fase metastatica NON È
RACCOMANDATO, anche se sono sempre più numerose le evidenze derivanti da analisi retrospettive di
studi prospettici e da analisi preliminari di studi prospettici che suggeriscono una probabile futura influenza
dei bifosfonati ed, in particolare dell’acido zoledronico, sulla sopravvivenza dei pazienti. Probabilmente
l’incremento della sopravvivenza riscontrato nei pazienti metastatici trattati con acido zoledronico è in parte
mediato dalla riduzione significativa degli eventi scheletrici.
3.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
Nei pazienti affetti da tumori solidi in fase metastatica i
bisfosfonati non dovrebbero essere utilizzati con
l’obiettivo terapeutico di aumentare la sopravvivenza
mediana
Negativa debole
Prime evidenze del ruolo dei bifosfonati e del denosumab nel
ridurre il rischio di ripresa di malattia: studi clinici randomizzati nel
setting adiuvante
Il ruolo dei bifosfonati come terapia adiuvante nella prevenzione delle metastasi ossee è ancora in fase di
studio, infatti sono in corso diversi studi prospettici per valutarne l’efficacia.
Inizialmente sono stati effettuati diversi trials clinici che hanno valutato il ruolo del clodronato.
Specificatamente, Diel IJ e colleghi hanno randomizzato 302 pazienti con neoplasia mammaria e cellule
tumorali nel midollo osseo a ricevere clodronato (1600 mg/die per 2 anni) o nessun trattamento. Tale studio
ha dimostrato che il clodronato è in grado di ridurre l’incidenza e il numero di metastasi ossee e viscerali
nelle donne con tumore mammario ad alto rischio di ripresa di malattia [13].
Anche Powles e colleghi hanno dimostrato l’efficacia del clodronato (1,600 mg/die) nella prevenzione delle
metastasi ossee in pazienti con storia di neoplasia mammaria [14].
Al contrario, Saarto e colleghi hanno dimostrato che il clodronato non ha effetto sulla sopravvivenza globale
[15]. Jaschke A e colleghi hanno anche dimostrato una riduzione significativa dell’incidenza di metastasi
ossee in pazienti con storia di tumore mammario e micrometastasi a livello del midollo osseo trattate con
clodronato versus placebo dopo 3 anni di follow-up [16]. Recentemente, una metanalisi effettuata in pazienti
con storia di tumore mammario non ha evidenziato nessun beneficio significativo sulla sopravvivenza nelle
pazienti che ricevevano terapia orale con clodronato [17]. In pazienti con neoplasia prostatica non
metastatica, Mason e colleghi hanno dimostrato che la somministrazione di clodronato versus placebo non
aumenta la sopravvivenza libera da metastasi ossee e la sopravvivenza globale, perciò non è in grado di
modificare la storia naturale dei pazienti con neoplasia prostatica [18].
Specificatamente, studi prospettici sono stati disegnati e sono in corso con lo scopo di valutare il ruolo di
acido zoledronico e di altri bifosfonati come terapia adiuvante in diversi tumori. Lo studio “AZURE” (Acido
Zoledronico per la Prevenzione delle metastasi ossee nel tumore mammario) è stato disegnato per pazienti
con neoplasia mammaria (Stadio I-III). 3360 pazienti sono state reclutate, l’obiettivo primario è la
sopravvivenza libera da malattia e gli obiettivi secondari sono il tempo alla comparsa di metastasi ossee e a
distanza, il tempo alla comparsa di eventi scheletrici e la sopravvivenza globale. Le pazienti sono state
75
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
randomizzate a ricevere la chemioterapia sistemica standard +/- acido zoledronico. La prima analisi
riguardante la sicurezza dei farmaci ha dimostrato che la combinazione è ben tollerata, senza differenze
statisticamente significative nel profilo o nella severità degli effetti collaterali tra i gruppi [19].
Per quanto riguarda i pazienti con tumore prostatico, lo studio EAU-ZEUS è stato disegnato per valutare se
la precoce somministrazione di acido zoledronico in pazienti ad alto rischio (Gleason Score > 8 e/o presenza
di linfonodi positivi e/o PSA>20 alla diagnosi) è in grado di prevenire o ritardare la comparsa di metastasi
ossee. 1420 pazienti sono stati reclutati. Gli obiettivi sono: tempo alla comparsa di metastasi ossee, tempo di
raddoppiamento del PSA, studi sui marcatori di riassorbimento osseo. I pazienti sono stati randomizzati a
ricevere acido zoledronico ogni 3 mesi per 48 mesi totali o nessun trattamento (gruppo di controllo). Anche
lo studio RADAR ha incluso pazienti con tumore prostatico ad alto rischio (pT2b - 4 o pT2a con Gleason
score ≥7 e PSA≥ 10).
Questo trial è stato disegnato per valutare se la terapia antiandrogenetica in associazione a radioterapia per
18 mesi è superiore a 6 mesi di terapia antiandrogenetica prima e durante la radioterapia e se la terapia con
acido zoledronico per 18 mesi è efficace nella prevenzione della massa ossea indotta dalla terapia
antiandrogenetica e delle metastasi ossee.
Il reclutamento è iniziato nel 2004 e dovrebbe includere 1000 pazienti. Lo studio 2419 è stato disegnato per
valutare l’efficacia dell’acido zoledronico nella prevenzione e nel ritardo alla comparsa di metastasi ossee in
pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule. I pazienti riceveranno acido zoledronico (4 mg ogni 3-4
settimane) versus un gruppo di controllo (no acido zoledronico) associato a Calcio (500 mg/die) e Vitamina
D (400-500 UI) in entrambi i gruppi.
Recentemente, Winter et al. [20] hanno presentato i dati preliminary della sottopopolazione di pazienti
inclusa nello studio AZURE che hanno ricevuto il trattamento in un setting neoadiuvante. 205 pazienti erano
stati randomizzati a ricevere la sola chemioterapia oppure la medesima chemioterapia più l’acido
zoledronico. L’aggiunta dell’acido zoledronico ha determinato una riduzione significativa rispetto alla sola
chemioterapia del tumor burden al momento della chirurgia (p=0.002) e un incremento della percentuale di
risposte complete patologiche (5.8% and 10.9%, p=0.033).
Diversi studi di fase III sono stati disegnati allo scopo di valutare l’efficacia dei bifosfonati nella prevenzione
della perdita di tessuto osseo indotta da trattamenti antineoplastici (ormonoterapia e/o chemioterapia). Tra
questi, gli studi E/Z/ZO-FAST, oltre a valutare la BMD dei pazienti in terapia con inibitori dell’aromatasi,
prevedevano, tra gli obiettivi secondari, la il confronto della sopravvivenza libera da malattia tra pazienti
trattatio o no con acido zoledronico. L’analisi dello ZO-FAST con un follow up di 48 mesi [21] ha
evidenziato una riduzione statisticamente significativa del numero delle ricadute di malattia (32 eventi verso
53 eventi) e un incremento significativo della sopravvivenza libera da malattia (p=0.0159) nel gruppo trattato
con il bifosfonato sin dall’inizio.
I risultati di questi studi e di altri simili in corso sull’impatto dei bifosfonati nel setting adiuvante saranno di
grande interesse per stabilirne il ruolo in sottogruppi specifici di pazienti. ABCSG-12 è un trial prospettico
randomizzato che valuta l’efficacia dell’utilizzo di acido zoledronico adiuvante in donne con tumore
mammario endocrino-responsivo che ricevono goserelin + tamoxifene/anastrozolo. Il reclutamento di 1801
pazienti è terminato nel 2006 e la sopravvivenza libera da eventi è l’obiettivo primario. I pazienti sono stati
randomizzati a ricevere: tamoxifene, tamoxifene + acido zoledronico, anastrozolo o anastrozolo + acido
zoledronico. I risultati in termini di sopravvivenza, con un follow up mediano di 5 anni, sono stati presentati
quest’anno in sessione plenaria da M. Gnant all’ASCO [22]. A tale riguardo l’aggiunta dell’acido
zoledronico alla terapia ormonale ha dimostrato di prolungare in maniera statisticamente significativa la
disease free servival (DFS) e la relapse free serviva (RFS) delle pazienti rispetto alla sola terapia ormonale.
In particolare, la riduzione degli eventi di ripresa di malattia è stata riscontrata sia a livello scheletrico che a
livello extrascheletrico. Infine, l’aggiunta del bifosfonato ha prodotto anche un trend di incremento della
sopravvivenza. Questi risultati statisticamente significativi sono stati confermati anche ad un follow up di 62
[23].
76
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
I risultati definitivi dello studio AZURE sono stati recentemente pubblicati sul NEJM [24]. L’obiettivo
primario dello studio non è stato raggiunto, nel senso che l’aggiunta dell’acido zoledronico non ha mostrato
nell’intera popolazione di incrementare in maniera significativa la DFS quando confrontato con la sola
terapia standard (HR 0.98; 95% [CI], 0.85 a 1.13; P=0.79).
Un’analisi preplanned eseguita con lo scopo di valutare la DFS e la OS nelle sottopopolazioni in
premenopausa o in post-menopausa da meno o da più di 5 anni ha evidenziato che l’aggiunta dell’acido
zoledronico alla terapia standard è stata capace di incrementare in maniera significativa sia la DFS (HR:0.75
p:0.02) che la OS (HR:0.71 p: 0.017) nella sottopopolazione di donne in menopausa da più di 5 anni o con
età superiore a 60 anni.
Attualmente sulla base della disamina della letteratura l’utilizzazione dei bifosfonati allo scopo di aumentare
la sopravvivenza libera da malattia nel setting adiuvante nel tumore prostatico e nel tumore polmonare non
può essere raccomandata, rimanendo in attesa dei risultati degli studi in corso.
L’utilizzazione dell’acido zoledronico allo scopo di aumentare la sopravvivenza libera da malattia nel setting
adiuvante nelle pazienti con tumore mammario e recettori positivi in pre e post menopausa in corso di
ormonoterapia può essere giustificato sulla base dei dati presentati. Nella stessa direzione sono le
raccomandazioni ESMO recentemente pubblicate su Ann Oncology (Aebi S et al. Ann Oncol, 2011). [25]
Uno studio recente pubblicato da Smith su Lancet nel 2012 ha dimostrato chiaramente che il denosumab
somministrato alla dose di 120 mg ogni mese nei pazienti affetti da neoplasia prostatica resistente alla
castrazione e con PSA rising syndrome, in assenza di metastasi ossee, è capace di ritardare la comparsa delle
metastasi ossee in media di 3.5 mesi rispetto al placebo (25). (Livello di Evidenza SIGN 1+)
L’uso del denosumab per ritardare la comparsa di metastasi ossee nel tumore della prostata resistente alla
castrazione può quindi essere giustificato (anche se non rimborsabile in Italia)
Recentemente, allo scopo di valutare l’impatto dei bisfosfonati in adiuvante nella neoplasia della mammella,
l’Early Breast Cancer Trials Collaborative Group (EBCTCG) ha condotto una metanalisi su dati individuali
che ha incluso i dati di più di 18,766donne incluse in 26 trial randomizzati di terapia adiuvante con
bisfosfonati (26). La maggior parte di queste pazienti avevano ricevuto clodronato per os o acido zoledronico
4 mg endovena ogni 6 mesi. Nelle donne in post-menopausa i bisfosfonati hanno dimostrato di incrementare
in maniera significativa il tempo alla comparsa di metastasi ossee (RR=0.72; 95%CI 0.74-0.92, 2p=<0.001),
ma anche la disease free survival globale (RR=0.82; 95%CI 0.73-0.93, 2p=0.001) e la mortalità da tumore
della mammella mortality (RR=0.82; 95%CI 0.73-0.93, 2p=.002). Questo effetto sulla mortalità è risultato
indipendente dallo stato recettoriale, dal grading, dallo stato linfonodale, dall’uso della chemioterapia
adiuvante e dal tipo di bisfosfonato utilizzato (amino versus non amino bisfosfonato)
Qualità
dell’evidenza
SIGN
B
A
B
Raccomandazione clinica
Nei pazienti affetti da tumore prostatico e tumore
polmonare, i bisfosfonati non devono essere utilizzati con
l’obiettivo terapeutico di aumentare la sopravvivenza
libera da malattia nel setting adiuvante
Nelle pazienti affetti da tumore mammario in fase postmenopausale, l’acido zoledronico o il clodronato possono
essere utilizzati con l’obiettivo terapeutico di aumentare la
sopravvivenza libera da malattia e di ridurre la mortalità
nel setting adiuvante
Nei pazienti affetti da tumore prostatico resistente alla
castrazione senza localizzazioni scheletriche, denosumab
può essere utilizzato con l’obiettivo terapeutico di
ritardare la comparsa di metastasi ossee
77
Forza della
raccomandazione
clinica
Negativa forte
Positiva debole
Positiva debole
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Take home message: Evidenze cliniche da analisi di studi randomizzati di Fase III ed evidenze preliminari
di studi prospettici hanno dimostrato che l’utilizzo di bifosfonati in pazienti con metastasi ossee è in grado di
aumentare la sopravvivenza, soprattutto nei pazienti che presentino una normalizzazione dei marcatori di
riassorbimento osseo durante la terapia e nei pazienti che presentino all’inizio della terapia livelli elevati di
NTX urinario e/o CTX sierico. L’utilizzazione dell’acido zoledronico allo scopo di aumentare la
sopravvivenza libera da malattia nel setting adiuvante nelle pazienti con tumore mammario e recettori
positivi in pre e post menopausa in corso di ormonoterapia può essere giustificato sulla base dei dati
presentati (anche se il loro uso non è registrato in Italia). L’uso del denosumab per ritardare la comparsa di
metastasi ossee nel tumore della prostata resistente alla castrazione può essere giustificato (anche se non
rimborsabile in Italia)
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79
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
9.
Il ruolo dei bisfosfonati nel paziente anziano e/o con comorbidità
Carla Ripamonti
I pazienti anziani hanno più frequenti comorbidità a livello di funzionalità renale, sistema cardiovascolare,
funzioni metaboliche e cognitive. Mentre non esistono evidenze di peggioramento delle comorbidità
associate al trattamento con BP, l’unica relazione accertata è con la funzionalità renale.
L’a. zoledronico, l’ibandronato ed il pamidronato possono contribuire efficacemente a ridurre il dolore osseo
in questa tipologia di pazienti (Livello di Evidenza SIGN 4).
Molti pazienti anziani presentano funzionalità renale ridotta o insufficiente (clearance creatinina
<60 mL/min) e potrebbero essere a maggior rischio di tossicità renale. Inoltre, potrebbero presentare
insufficienza renale correlata alla patologia neoplastica di base (specialmente in caso di mieloma multiplo)
(H. Goldschmidt, 2000). Infine, terapie concomitanti per il trattamento del tumore, quali la chemioterapia,
l’assunzione di FANS a scopo analgesico, o con anti-ipertensivi, anti-diabetici e ipocolesterolemizzanti,
hanno potenziali effetti nefrotossici (W.P. Patterson, 1992). Quindi, in questi pazienti è necessario uno stretto
monitoraggio della funzionalità renale (Body JJ et al, 2007) nonché il controllo e l’ottimizzazione dello stato
di idratazione (Livello di Evidenza SIGN 4).
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
Nei pazienti anziani in trattamento con BP è necessario
uno stretto monitoraggio della funzionalità renale nonché
il controllo e l’ottimizzazione dello stato di idratazione
Positiva forte
Nel caso di metastasi da carcinoma mammario, se il paziente con forti dolori non riesce a muoversi
facilmente, è più pratico intraprendere il trattamento a domicilio con un BP orale (ad es. ibandronato or
clodronato) in associazione con farmaci analgesici, per poi passare ad una formulazione iniettabile in
ospedale non appena il recupero della mobilità lo consente o se la compliance verso la formulazione orale è
dubbia. (Livello di Evidenza SIGN 4). Negli altri tipi di malattia, l’unico bifosfonato con indicazione è l’a.
zoledronico.
Relativamente al rischio di ONJ nei pazienti anziani si deve considerare anche quello derivante dalla
maggiore suscettibilità a sviluppare patologie del cavo orale. Inoltre, in aggiunta alle raccomandazioni che
valgono per tutti i pazienti, è necessario verificare se ci siano aree di mucosa danneggiata dall’uso di protesi
dentarie (Livello di Evidenza SIGN 4).
Nei pazienti anziani, la più frequente presenza di effetti collaterali del tratto gastrointestinale e la difficoltà a
deglutire le capsule o le tavolette di grosse dimensioni più volte al giorno contribuiscono a limitare la
compliance dei pazienti verso il clodronato orale (Livello di Evidenza SIGN 4).
Take home message: C’è indicazione all’utilizzo dei bifosfonati nel paziente anziano, anche se bisogna
porre particolare attenzione alle comorbidità del paziente e agli effetti collaterali relativi a tali farmaci,
soprattutto a livello renale.
80
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
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LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
10 L’uso dei bifosfonati in associazione con le terapie specifiche
(chemioterapia, radioterapia, farmaci biologici)
Daniele Santini, Vladimir Virzì, Maria Elisabetta Fratto
Diversi studi preclinici hanno dimostrato l’attività antitumorale dei bifosfonati e diversi dati su modelli
animali suggeriscono che gli amino-bifosfonati hanno la capacità di rallentare la progressione di malattia a
livello scheletrico oltre che prevenire l’insorgenza di metastasi ossee [1]. Ulteriori studi hanno valutato
l’eventuale ruolo sinergico tra bifosfonati e farmaci chemioterapici. La maggior parte di questi studi e i dati
più convincenti sono stati riportati utilizzando l’acido zoledronico. Kimura et al hanno dimostrato il
decremento della crescita cellulare di linee leucemiche quando sottoposte ad esposizione concomitante di
acido Zoledronico con vari chemioterapici [2]. Lo stesso risultato, ma con diverse linee cellulari, è stato
evidenziato dagli ulteriori studi [3- 7]. Tali dati potrebbero rappresentare la base per lo sviluppo di trials con
modelli clinici [8-13]. Alcuni studi clinici di fase II hanno valutato l’associazione tra bifosfonati e agenti
chemioterapici. Alcuni di questi studi sono attualmente disponibili solo in forma di abstracts [14, 15].
La maggior parte di questi studi riguardavano pazienti affetti da neoplasie della prostata in fase ormonoresistente [16-18]. L’acido Zoledronico e gli altri aminobifosfonati sono stati testati insieme a diversi farmaci
biologici al fine di valutare un eventuale ruolo sinergico di inibizione del processo di isoprenilazione. Alcuni
studi clinici di fase II hanno indagato l’attività dell’associazione tra aminobifosfonati ed agenti biologici. In
particolare è stato valutato ruolo sinergico in neoplasie ematologiche come leucemia mieloide cronica e
mieloma multiplo [19, 20]. Ulteriori studi sono in corso per valutare l’attività dell’associazione nelle
neoplasie solide. Il sinergismo tra bifosfonati e trattamento radioterapico è stato ed è oggetto di studio. In
particolare due studi dimostrano l’efficacia di tale associazione in termini di ritardo di insorgenza di eventi
scheletrici e di riconsolidamento della normale microarchitettura ossea [21,22].
Take home message: Sono in corso studi che stanno valutando il sinergismo tra bifosfonati e farmaci
chemioterapici, agenti biologici e radioterapia, ma ad oggi non ci sono ancora evidenze derivanti da studi
clinici randomizzati di Fase III.
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LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
10. Kim SJ, Uehara H, Yazici S, et al. Modulation of bone microenvironment with zoledronate enhances the therapeutic
effects of STI571 and paclitaxel against experimental bone metastasis of human prostate cancer. Cancer Res, 2005;
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83
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
11. Le nuove molecole
1. Denosumab (raccomandazioni)
Daniele Santini e Alfredo Berruti
Il Pathway RANK/RANKL/OPG svolge un ruolo chiave nella modulazione della fase finale
dell’osteoclastogenesi partecipando alla regolazione riassorbimento osseo. In particolare, il ligando RANK
(receptor activator of NF kappa B), appartenente alla superfamiglia del TNF, è il mediatore essenziale della
formazione, funzione e sopravvivenza dell’osteoclasto. RANKL è espresso sia in una forma di membrana
sulla superficie di cellule stromali/osteoblastiche sia in una forma solubile, che legandosi al suo recettore
RANK, espresso sulle cellule della linea osteoclastica, stimola l’attivazione e la differenziazione degli
osteoclasti e ne inibisce l’apoptosi. L’osteoprotegerina (OPG) è invece in grado di legare RANK-L e di
inibirne la funzione, portando cosi ad una inibizione del riassorbimento osseo. L'incremento del rapporto
RANK-ligand/OPG è alla base dell’incremento del riassorbimento osseo, fenomeno che si verifica
nell’osteoporosi indotta da trattamenti antineoplastici, ma che costituisce anche un fenomeno importante
nella formazione delle metastasi ossee e nel loro mentenimento [1].
Inoltre, esistono delle prime evidenze che mostrano come, in alcuni istotipi tumorali nell’uomo, l’espressione
di RANK/RANKL sia presente anche sulle cellule tumorali e sia incrementata a livello delle metastasi ossee
rispetto alla corrispondente neoplasia primitiva [2].
E’ stato dimostrato inoltre che RANKL dirige la migrazione delle cellule tumorali epiteliali a organi distanti
(le ossa) se le cellule in questione sono dotate dello specifico recettore RANK [3].
Recentemente è stato sintetizzato un anticorpo monoclonale interamente umanizzato, il Denosumab, noto
anche come AMG 162, che ha la capacità di legarsi a RANKL con alta affinità e specificità, e di inibire
consequentemente l’azione di RANKL. Nelle donne in post-menopausa con ridotta massa ossea, il
Denosumab ha dimostrato di aumentare la densità minerale ossea e di ridurre il riassorbimento osseo. Questi
dati preliminari hanno indicato che Denosumab potrebbe rappresentare un trattamento efficace
nell’osteoporosi [4].
Attualmente numerosi sono i trial clinici di Fase II e III sull’utilizzo del denosumab in oncologia. In
particolare lo sviluppo attuale di questa molecola in oncologia prevede lo studio della stessa nella
prevenzione degli eventi scheletrici del pazienti in fase metastatica, la prevenzione della perdita di densità
minerale ossea in pazienti sottoposti a trattamenti antineoplastici potenzialmente in grado di indurre
osteopenia/osteoporosi (CTIBL) e la prevenzione della comparsa di metastasi scheletriche ed
extrascheletriche quando utilizzata nel setting della terapia adiuvante.
Setting Metastatico
Nel setting dei pazienti con malattia ossea metastatica sono stati pubblicati tre trial clinici, entrambi di Fase
II randomizzati. Il primo studio clinico pubblicato da JJ Body su clinical cancer Res (2006) [5] ha
dimostrato come una singola dose per via sottocutanea di denosumab in pazienti affetti da mieloma multiplo
e in pazienti con neoplasia mammaria in fase metastatica scheletrica sia ben tollerata e sia capace di ridurre
in maniera significativa i livelli dei marcatori di riassorbimento osseo per una durata di almeno 84 giorni.
Tale riduzione è risultata essere almeno pari in magnitudine, ma più duratura rispetto alla riduzione che si
osserva dopo somministrazione di una singola dose di pamidronato. Il secondo studio di fase II randomizzato
è stato pubblicato da A Lipton su Journal Clinical Oncology (2007) [6]. In questo trial sono state incluse 255
pazienti affette da carcinoma mammario con metastasi ossee randomizzate a ricevere denosumab per via
sottocutanea oppure acido zoledronico per via endovenosa. Il denosumab ha dimostrato di sopprimere i
livelli dei marcatori di riassorbimento osseo e di ridurre l’incidenza di eventi scheletrici in egual misura
rispetto all’aminobifosfonato.
Infine, K Fizazi et al. [7] ha pubblicato nel 2009 i risultati finali di uno studio di fase II randomizzato in cui
sono stati inclusi pazienti affetti da tumore prostatico, tumore mammario ed altre neoplasie con metastasi
ossee che non avevano presentato una soppressione dei livelli di NTX urinario durante una precedente
terapia con aminobifosfonati.
84
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Questi pazienti sono stati randomizzati a ricevere denosumab oppure a continuare lo stesso aminobifosfonato
ricevuto prima dell’entrata nello studio. Dopo 13 settimane di trattamento il denosumab ha determinato una
normalizzazione dei livelli di NTX urinario in una percentuale di pazienti significativamente superiore e una
riduzione degli eventi scheletrici maggiore rispetto a quanto ottenuto con il la continuazione del bifosfonato.
Recentemente sono stati pubblicati tre studi clinici di fase III randomizzati che avevano l’obiettivo di
confrontare l’efficacia del denosumab con quella dell’acido zoledronico nel setting metastatico del tumore
della mammella, dei tumori solidi (eccetto mammella e prostata) e del tumore della prostata. [8, 9, 10]. Lo
studio effettuato in pazienti con malattia mammaria metastatica a livello scheletrico ha randomizzato 2049
pazienti a ricevere denosumab alla dose di 120 mg sc ogni 28 giorni + placebo per via ev oppure acido
zoledronico alla dose di 4 mg ogni 28 giorni per via ev + placebo per via sc. Per tutti i pazienti era prevista la
supplementazione con vitamina D e calcio. In queso studio, disegnato per dimostrare come obiettivo
primario la non inferiorità e come obiettivo secondario la superiorità, il denosumab ha dimostrato di ritardare
il tempo al primo SRE in maniera non inferiore all’acido zoledronico (HR 0.82; 95%CI: 0.71–0.95;
p<0.0001) (obiettivo primario). Anche gli obiettivi secondari sono stati raggiunti in termini di superiorità del
tempo al primo SRE (p=0.01) e di superiorità del tempo al primo e ai successivi eventi scheletrici (HR: 0.77;
95%CI: 0.66, 0.89; P = 0.001) [8]. Il secondo studio di fase III [9] [11] ha incluso 1176 pazienti affetti da
neoplasie solide in fase metastatica a livello scheletrico (eccetto mammella e prostata, principalmente tumore
del polmone) e da mieloma multiplo (circa il 10% dei pazienti). Il disegno dello studio e gli obiettivi
primario e secondari sono perfettamente sovrapponibili a quelli dello studio sul tumore mammario. In questo
studio non si evincono i dati parziali relativi ai diversi sottogruppi divisi per patologia primitiva. I risultati
della casistica globale hanno mostrato una non inferiorità e vantaggio di denosumab versus acido
zoledronico i termini di tempo alla comparsa del primo evento scheletrico avverso, HR 0.84 (95% CI 0.710.98, p=0.0007 in analisi umivarita, p=0.06 in analisi multivariata). Infine, il terzo studio di fase III ha
incluso 1901 pazienti affetti da neoplasia prostatica ormonorefrattaria in fase metastatica a livello
scheletrico. Anche questo studio presenta il medesimo disegno e i medesimi obiettivi primario e secondari
degli studi precedenti. L’obiettivo primario è stato raggiunto: il denosumab si è dimostrato non inferiore
rispetto all’acido zoledronico per quanto riguarda il tempo al primo SRE (HR: 0.82; 95% CI: 0.71-0.95; p =
0.0002). Anche gli obiettivi secondari sono stati a favore del denosumab, sia in termini di superiorità del
tempo al primo SRE (p = 0.008) che in termini di superiorità del tempo al primo e ai successivi SRE (HR:
0.82; 95% CI: 0.71, 0.94; P = 0.008) [10]. Per ciò che riguarda la safety, ill denosumab ha mostrato un
profilo di tollerabilità comparabile con quello dell’acido zoledronico. L’incidenza dell’osteonecrosi della
mandibola non è risultata significativamente differente rispetto a quella riscontrata nei pazienti trattati con
acido zoledronico, anche se si è osservato in tutti e tre gli studi un trend di incremento di incidenza nel
braccio di trattamento con denosumab.
Take home messages: Denosumab nella malattia metastatica
Tumore della mammella:
- Denosumab è una valida alternativa all’uso dei bisfosfonati per quanto riguarda la prevenzione delle
complicanze scheletriche (Livello di Evidenza SIGN 1++ A; raccomandazione clinica nel capitolo
specifico)
- Il denosumab è superiore all’acido zoledronico in termini di tempo al primo SRE e di tempo al primo e ai
successivi SRE (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico)
Tumore del polmone:
- Denosumab è una valida alternativa all’uso dell’acido zoledronico per quanto riguarda la prevenzione delle
complicanze scheletriche (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel capitolo
specifico)
- Il denosumab è superiore all’acido zoledronico in termini di tempo al primo SRE e di tempo al primo e ai
successivi SRE (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico)
Tumore della prostata:
- Denosumab è una valida alternativa all’uso dell’acido zoledronico per quanto riguarda la prevenzione delle
complicanze scheletriche nel paziente con malattia refrattaria alla (Livello di Evidenza SIGN 1++ A;
raccomandazione clinica nel capitolo specifico)
85
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
- Il denosumab è superiore all’acido zoledronico in termini di tempo al primo SRE e di tempo al primo e ai
successivi SRE (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel capitolo specifico)
Safety:
- L’incidenza di ONJ durante il trattamento con denosumab è almeno pari a quella riscontratta durante il
trattamento con acido zoledronico (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel
capitolo specifico)
- L’incidenza di ipocalcemia sintomatica e asintomatica durante il trattamento con denosumab è superiore
a quella durante il trattamento con acido (Livello di Evidenza SIGN 1+ A; raccomandazione clinica nel
capitolo specifico)
Altri Setting: v. capitolo sulla CTIBL (F. Bertoldo)
Diversi sono gli studi clinici ongoing miranti a valutare l’efficacia di denosumab nella prevenzione della
CTIBL, sia nelle pazienti con tumore mammario che nei pazienti con tumore prostatico sottoposti a terapia
ormonale. In particolare, all’ultimo ASCO (2008) GK Ellis et al. [12] ha presentato l’analisi finale di uno
studio di fase III randomizzato di donne affette da neoplasia mammaria non metastatica in trattamento con
un inibitore dell’aromatasi. 125 donne sono state randomizzate a ricevere vitamina D, calcio + placebo e 127
donne la medesima supplementazione + il denosumab per via sottocutanea alla dose di 60 mg ogni 6 mesi
per due anni. L’analisi dei risultati a 12 mesi ha evidenziato che il denosumab confrontato con il placebo è
stato in grado di determinare un incremento consistente della bone mineral density (BMD) rispetto ai valori
basali. Tale incremento è stato osservato in tutte le sedi scheletriche valutate e in tutti i sottogruppi di
pazienti analizzati (T score basale, precedente terapia con tamoxifene, intervallo dalla menopausa). Questo
studio rappresenta un passo in avanti per una possibile futura indicazione del denosumab nella prevenzione
della CTIBL. Gli studi clinici di prevenzione della CTIBL nei pazienti con tumore prostatico ormonosensibile e ormono-resistente sono ancora in corso e i risultati delle prime interim analysis sono attesi a
breve. All’ASCO del 2009 Smith MR et al. [13] hanno presentato l’analisi a 24 e 36 mesi di due trial di fase
III di prevenzione della CTIBL, rispettivamente, nel tumore mammario in trattamento con inibitori
dell’aromatasi e prostatico in trattamento con deprivazione androgenica. Entrambi i trial evidenziano come il
denosumab sia in grado di incrementare rispetto al placebo la BMD a livello lombare, del bacino e del 1/3
distale del radio. Nel mese di agosto del 2009 Smith MR et al. hanno pubblicato sul NEJM i dati definitivi a
36 mesi dello studio di fase III nel tumore della prostata. Per la prima volta, per un farmaco antiosteoporotico
utilizzato nella prevenzione della CTIBL, il denosumab ha dimostrato di essere in grado di ridurre in maniera
significativa (8% versus 17%) l’incidenza delle fratture rispetto al braccio trattato con placebo [14].
Infine all’ASCO del 2009 [15] è stato presentato uno studio di fase II “proof of concept” che ha incluso
pazienti affetti da tumore a cellule giganti trattati con il denosumab (120 mg sottocute una volta al mese con
due loading dose durante il primo mese all’8 e 15 giorno). Il tumore a cellule giganti (4-10% dei tumori
primitivi dell’osso) è un tumore osteolitico che insorge frequentemente a carico delle epifisi prossimali delle
ossa lunghe dello scheletro di adulti, e che può dare frequentemente SRE, può infiltrare i tessuti molli e può
facilmente recidivare localmente, talora può dare metastasi polmonari. In questo studio l’86% dei pazienti
con tumore a cellule giganti non resecabile ha presentato una risposta istologica e clinica di malattia. Il
denosumab potrebbe a breve ricevere dalla FDA la registrazione per questa specifica indicazione.
In conclusione, il denosumab rappresenta il primo esempio di target therapy nello spettro dei farmaci
utilizzati per il trattamento della malattia scheletrica in pazienti oncologici. Tale molecola rappresenterà
probabilmente in un prossimo futuro una scelta terapeutica adeguata nella prevenzione degli eventi
scheletrici in alternativa ai bifosfonati o in pazienti selezionati.
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2. Nuove molecole nella terapia delle metastasi ossee
Attualmente sono in diverse fasi di sperimentazione clinica numerose molecole con effetti diretti o indiretti
sull’evoluzione delle metastasi ossee da tumori solidi. Alcune di queste molecole sono capaci di agire
direttamente sul riassorbimento osseo avendo come target cellule specifiche dell’osso come osteoclasti,
osteoblasti, osteociti o pathway molecolari che regolano la funzione di queste cellule. In questo gruppo di
farmaci possiamo comprendere lo stesso denosumab, ma anche gli inibitori del recettore A dell’endotelina 1
(espresso anche dagli osteoblasti), gli inibitori della catepsina K (prodotta dagli osteoclasti, ma anche dalle
cellule tumorali metastatiche all’osso), i farmaci che interferiscono con il pathway wnt/dkk1 (che regola tra
l’altro la funzione degli osteoblasti), gli inibitori di src (tirosin kinasi non recettoriale che sta a valle del
recettore rank e che contribuisce a regolare la funzione riassorbitiva degli osteoclasti, ma anche la funzione
di distruzione della matrice ossea da parte delle cellule tumorali) (1). Altre molecole in sperimentazione
avanzata sull’uomo, pur avendo come target la cellula tumorale e non il microambiente osseo, hanno
dimostrato oltre che un miglioramento della sopravvivenza, di essere anche capaci di modificare la storia
naturale delle metastasi ossee, determinando un ritardo della comparsa degli SRE, una riduzione del dolore
osseo e il miglioramento della qualità di vita. In questo gruppo di farmaci possiamo annoverare come
maggiore esempio l’abiraterone, un inibitore selettivo di CYP17-alfa idrossilasi, capace di inibire la
produzione degli androgeni a livello della stessa cellula tumorale e che ha dimostrato, dopo trattamento con
docetaxel, di aumentare la sopravvivenza dei pazienti affetti da tumore della prostata in fase di resistenza alla
castrazione, ma anche di ridurre l’incidenza e ritardare la comparsa delle complicanze scheletriche correlate
alle metastasi ossee ed, infine, di migliorare la qualità di vita “scheletrica” (2). In particolare l’abiraterone +
prednisone ha dimostrato rispetto al solo prednisone di ritardare la comparsa degli SRE di 4.7 mesi
(HR:0.615) nei pazienti trattati con docetaxel (2) e di ritardare la progressione scheletrica e il tempo all’uso
degli analgesici oppioidi nei pazienti non pretrattati con docetaxel (3) (Livello di Evidenza SIGN 1+).
87
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Nuovi altri farmaci sono in sperimentazione nel tumore della prostata metastatico con potenziale effetto
terapeutico anche sulle metastasi ossee (enzalutamide, cabozantinib, ecc.). In particolare l’enzalutamide
(MDV 3100) è un farmaco di ultima generazione capace di legare il recettore per gli androgeni, di impedirne
il trasporto a livello nucleare e la sua funzione de-regolatrice sul DNA. Tale farmaco ha recentemente
dimostrato di incrementare la sopravvivenza e di ritardare la comparsa di eventi scheletrici (di 3.4 mesi
rispetto al placebo; HR0.621) nel paziente affetto da neoplasia prostatica metastatica in fase di resistenza alla
castrazione dopo trattamento con docetaxel (4) (Livello di Evidenza SIGN 1+).
Infine, il cabozantinib rappresenta il primo esempio di un farmaco a target molecolare attivo nel tumore della
prostata, è un inibitore di c-met e del pathway di VEGF che ha dimostrato di indurre un elevato tasso di
risposte obiettive a livello delle metastasi ossee di pazienti affetti da neoplasia prostatica in fase di resistenza
alla castrazione (5).
Bibliografia
1. Santini D, Galluzzo S, Zoccoli A, et al. New molecular targets in bone metastases. Cancer Treat Rev. 2010
2. Fizazi K et al. Abiraterone acetate for treatment of metastatic castration-resistant prostate cancer: final overall
survival analysis of the COU-AA-301 randomised, double-blind, placebo-controlled phase 3 study. Lancet Oncol.
2012
3. Ryan CG et al., Abiraterone in metastatic prostate cancer without previous chemotherapy. NEJM, 2013
4. Scher HI et al. Increased survival with enzalutamide in prostate cancer after chemotherapy NEJM, 2012
5. Smith DC et al. Cabozantinib in Patients With Advanced Prostate Cancer: Results of a Phase II Randomized
Discontinuation Trial. JCO, 2013
12. Il ruolo della chirurgia ortopedica delle metastasi ossee
Vincenzo Denaro, Alberto Di Martino, Mattia Loppini, Nicola Papapietro
1. Introduzione
Negli ultimi anni, il miglioramento delle terapie integrate delle neoplasie primitive e la maggiore
sopravvivenza dei pazienti oncologici ha determinato un progressivo aumento del numero di pazienti affetti
da malattia metastatica dell’osso. La comparsa di una metastasi scheletrica rappresenta un evento grave con
influenza negativa sulla prognosi del malato, soprattutto se la lesione richiede un trattamento chirurgico [1].
Nel periodo compreso tra il 2002 ed il 2008, in casistiche di carcinomi non metastatici ed a basso rischio di
recidiva, l’American Cancer Society (ACS) ha riportato una sopravvivenza a 5 anni del 100% nel carcinoma
della prostata e della tiroide, del 98% nella mammella, del 91% nel rene e del 52% nel polmone. Nei tumori
metastatici già all’esordio, la sopravvivenza a 5 anni si riduce al 54% nel tumore della tiroide, al 28% nel
carcinoma prostatico, al 24% nel carcinoma mammario, al 12% nel tumore renale e 4% nel tumore
polmonare [2].
Nonostante la diagnosi di metastasi ossea sia un fattore prognostico negativo per la sopravvivenza, il
paziente affetto da malattia metastatica può tuttavia sopravvivere a lungo, avendo però una riduzione della
qualità della vita. Infatti, solo in alcuni casi le lesioni ossee sono asintomatiche, mentre più frequentemente si
associano a dolore e possono complicarsi con i cosiddetti “eventi scheletrici” (Skeletal Related Events SRE) quali le fratture patologiche e le “impending fractures”, le compressioni midollari e l’ipercalcemia.
Il trattamento delle lesioni metastatiche all’osso richiede un approccio multidisciplinare integrato, che vede il
chirurgo ortopedico al fianco del radiologo, del radioterapista, dell’oncologo medico e dello specialista in
terapia del dolore al fine di determinare il miglior trattamento specifico per il singolo paziente e il timing
della chirurgia, in casi in cui sia indicata. Gli obiettivi principali del trattamento delle metastasi scheletriche
sono: la prevenzione e la cura delle fratture patologiche delle ossa lunghe; la prevenzione e la cura della
compressione midollare spinale; il controllo del dolore; garantire una qualità di vita il migliore possibile;
preservare o ripristinare la funzione articolare e la stabilità segmentaria; ottenere il controllo locale della
lesione metastatica.
88
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
La diagnostica strumentale del paziente oncologico con metastasi ossea, ai fini di poter impostare un corretto
iter terapeutico, deve tener conto di alcuni esami diagnostici fondamentali.
Se la neoplasia primitiva è già nota, il protocollo diagnostico include:
a) Esame radiografico standard del segmento scheletrico coinvolto;
b) Scintigrafia scheletrica total-body per valutare il numero delle lesioni scheletriche (se il paziente non ne
ha a disposizione una eseguita meno di 6 mesi prima);
c) Tomografia computerizzata (TC) total body con mezzo di contrasto per la determinazione delle eventuali
metastasi viscerali. Questo esame può essere sostituito dalla PET con FDG;
d) Risonanza magnetica (RM) con o senza mezzo di contrasto dell’intero segmento scheletrico coinvolto per
valutare la reale estensione della lesione lungo la diafisi e nella metaepifisi, e l’eventuale coinvolgimento
dell’acetabolo, nelle lesioni dell’anca. Nel caso di lesioni vertebrali la RM deve riguardare il rachide in toto,
perché sono frequenti le lesioni vertebrali multiple contestuali, anche non necessariamente captanti alla
scintigrafia.
Il protocollo generale di stadiazione (Rx, Scintigrafia e TC total body) è lo stesso per tutte le lesioni
metastatiche e si propone di determinare la sede della lesione, il numero di metastasi ossee ed il numero di
metastasi viscerali.
Si raccomanda, come protocollo corretto, di eseguire una biopsia della lesione ossea all’atto dell’intervento
chirurgico. Inoltre, in presenza di dubbio di tumore primitivo, si raccomanda di eseguire la sola biopsia in
attesa dell’istologia definitiva. In caso di lesioni vertebrali, è necessario eseguire un’agobiopsia TC guidata o
a guida fluoroscopica transpeduncolare della lesione ai fini diagnostici. Si raccomanda di evitare
l’agoaspirato perché sull’osso non è, di solito, in grado di fornire materiale sufficiente al patologo per
formulare la corretta diagnosi.
In considerazione della mancanza di trial randomizzati, i livelli di evidenza esposti in queste linee guida per
determinati trattamenti chirurgici e non sono relativamente bassi; ciononostante, mentre le indicazioni
all’intervento sono ormai standardizzate, le tecniche chirurgiche sono più difficilmente standardizzabili,
richiedendo una versatilità chirurgica in grado di utilizzare le tecniche, i mezzi di sintesi e le protesi di volta
in volta più adeguate allo specifico paziente [2, 3].
Di seguito, verranno trattate le indicazioni alle diverse tecniche chirurgiche che non saranno descritte in
dettaglio, in quanto l’esposizione dell’aspetto tecnico chirurgico esula dagli obiettivi di queste linee guida.
Abbiamo riportato l’efficacia delle tecniche per il trattamento delle metastasi dello scheletro appendicolare e
dei cingoli pelvico e scapolare confermate dalla nostra esperienza clinica personale e da quanto viene fatto a
livello nazionale ed internazionale, e tenuto conto delle Linee Guida della Società Italiana di Ortopedia e
Traumatologia [4, 5] cui abbiamo collaborato. Allo stesso modo abbiamo selezionato per il trattamento delle
metastasi vertebrali i lavori più importanti a livello internazionale confrontati con la nostra esperienza
trentennale clinico-chirurgica sull’argomento e le Linee Guida della Società Italiana di Ortopedia e
Traumatologia [6, 7], cui abbiamo collaborato.
2. Fattori prognostici
La prognosi del paziente con metastasi ossee rappresenta un fattore cruciale per determinare l’operabilità e la
tipologia dell’intervento chirurgico. Per eseguire un trattamento adeguato dei pazienti con lesioni
metastatiche dello scheletro appendicolare e dei cingoli, è necessario prendere in considerazione i principali
fattori prognostici della malattia metastatica:
 Le caratteristiche biologiche: l’aspettativa di sopravvivenza (tipo di tumore primitivo); l’estensione
della malattia (lesione ossea unica o multipla, presenza di eventuali lesioni viscerali); le condizioni
generali del paziente (performance status); l’intervallo libero da malattia.
 Le caratteristiche biomeccaniche: presenza o rischio di frattura patologica nelle ossa lunghe
principali (sede e dimensioni della lesione; tipo di lesione litica o addensante); sensibilità prevista
alle terapie non chirurgiche (chemioterapia, radioterapia, ormonoterapia etc.).
Il tipo di tumore primitivo è il fattore prognostico più importante perché determina l’aggressività biologica
della malattia. Recentemente, Forsberg et al. [8] hanno proposto un classificazione basata sull’aggressività
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LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
del tumore primitivo: neoplasie a crescita lenta (mammella, prostata, rene, luntiroide, mieloma e linfoma); a
crescita intermedia (sarcomi e altri carcinomi); a crescita rapida (polmone, stomaco, fegato e melanoma).
L’estensione della malattia scheletrica è un fattore critico nella scelta del tipo di chirurgia. I pazienti con
metastasi singola da tumore con buona prognosi possono sopravvivere a lungo ed il trattamento chirurgico in
questi casi deve comprendere l’asportazione della lesione metastatica e la ricostruzione con metodiche adatte
a durare nel tempo.
La frattura patologica è un evento avverso di grande impatto su qualità di vita e prognosi del malato
oncologico. Il tessuto osseo in questi casi ha scarsa capacità di guarigione, quindi la finalità del trattamento
non è la consolidazione della frattura, ma ottenere un segmento osseo stabile in grado di resistere alle forze
applicate ad esso sia in flessione che in torsione in modo da permettere immediatamente il carico e la
deambulazione [9]. In una casistica mista per tipo di tumore primitivo, Gainor et al. hanno riportato un tasso
medio di guarigione della frattura patologica del 35% [10]. Le fratture patologiche da carcinoma della
mammella e mieloma hanno mostrato la maggiore possibilità di consolidazione. La bassa percentuale di
guarigione delle fratture su metastasi nonostante le terapie non chirurgiche mette in evidenza l’importanza di
eseguire una ricostruzione stabile e resistente nel tempo nel caso sia prevista una lunga sopravvivenza del
paziente e nelle sedi anatomiche più sottoposte a stress meccanici (Livello di evidenza III; Forza di
raccomandazione A).
La lesione a rischio di frattura patologica (“impending fracture”) è un altro fattore prognostico di notevole
impatto. E’ stato infatti dimostrato che il trattamento chirurgico preventivo, rispetto a quello post-frattura,
migliora la prognosi del paziente e riduce l’impatto della lesione metastatica sulla sua qualità di vita [11, 12].
I criteri di Mirels [13] rappresentano il sistema di valutazione del rischio di frattura più noto per lo scheletro
appendicolare. Si tratta di un sistema a punteggio che tiene conto della sede anatomica, del grado del dolore,
dell’aspetto radiografico (litico, misto, addensante) e della dimensione della lesione rispetto al diametro del
segmento osseo. Tuttavia, Van der Linden et al. [14] hanno dimostrato che i parametri più significativi sono
una osteolisi superiore a 50% del diametro osseo o della circonferenza ossea, una sua estensione
longitudinale maggiore di 25-30 mm, il dolore (in particolare sotto carico) (Livello di evidenza IV; Forza di
raccomandazione B).
Nel corso delle ultime due decadi, diversi autori hanno proposto fattori prognostici e sistemi a punteggio per
la stadiazione del paziente con metastasi ossee da carcinoma.
Bohm et al. [15] hanno dimostrato che fattori prognostici significativi per la sopravvivenza sono il tipo di
tumore primitivo, la presenza di metastasi viscerali, la frattura patologica e l’intervallo libero tra il tumore
primitivo e la metastasi (> 3 anni).
Katagiri et al. [16] hanno identificato quali fattori prognostici il tipo di tumore primitivo, le condizioni
generali del paziente (Eastern Cooperative Oncology Group score), le metastasi viscerali e/o cerebrali, la
lesione scheletrica solitaria o multipla, la precedente chemioterapia.
Hansen et al. [11] attraverso una analisi dei dati raccolti dallo “Scandinavian Sarcoma Group” hanno
identificato quali fattori prognostici significativi per la sopravvivenza il tipo di tumore primitivo, la frattura
patologica, le metastasi viscerali, il valore di emoglobina preoperatorio < 7g/dl, e le condizioni generali del
paziente (secondo Karnovsky).
Nathan et al. [17] hanno identificato come fattori prognostici indipendentemente significativi per la
sopravvivenza, la diagnosi del tumore primitivo, l’ECOG “performance status”, il numero di metastasi ossee,
la presenza di metastasi viscerali, il valore di emoglobina, e la stima preoperatoria di sopravvivenza da parte
del chirurgo.
Recentemente, Forsberg et al. hanno sviluppato due reti Bayesiane definite “Bayesian-Estimated Tools for
Survival (BETS) models” per identificare fattori prognostici che influenzano la sopravvivenza postoperatoria
di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico per metastasi ossee delle estremità. I parametri risultati
significativi per la sopravvivenza a 3 mesi sono stati: la stima preoperatoria di sopravvivenza da parte del
chirurgo ortopedico esperto; la concentrazione preoperatoria di emoglobina; la conta preoperatoria dei
linfociti; ECOG “performance status”; presenza di frattura patologica completa.
90
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
I parametri risultati significativi per la sopravvivenza a 12 mesi sono stati: ECOG “performance status”;
presenza di frattura patologica completa; il numero di metastasi ossee; la diagnosi del tumore primitivo [8,
18, 19]. Tale modello è stato validato in uno studio multicentrico italiano [20].
3. Lesioni metastatiche dello scheletro appendicolare e dei cingoli
pelvico e scapolare
Sulla base delle caratteristiche biologiche e biomeccaniche della lesione, i pazienti con metastasi ossee da
carcinoma degli arti e dei cingoli possono essere suddivisi in quattro classi [21] (Tab.1).
Tabella 1: classi di pazienti con metastasi ossee degli arti e dei cingoli
CLASSE I
CLASSE II
CLASSE III
CLASSE IV
 Metastasi ossee solitarie
 Tumore primitivo a buona prognosi: mammella (casi selezionati), prostata (casi selezionati), rene,
tiroide diff.
 Intervallo libero da malattia >3 anni
• Frattura patologica nelle ossa lunghe principali (omero, radio, ulna, femore e tibia)
• Rischio imminente di frattura patologica in ossa principali sotto carico. Le regioni più a rischio in
tale segmento sono il collo del femore, la regione sottotrocanterica e sovra condiloidea. Il rischio
imminente di frattura è valutato in base ai parametri proposti in letteratura: a) lesione litica della
corticale ≥ 2,5 cm; b) distruzione della corticale ≥ 50% del diametro; c) dolore persistente o
progressione della lesione dopo radioterapia e/o chemioterapia [13]. Le dimensioni critiche per una
lesione a rischio di frattura sono >30mm di coinvolgimento corticale assiale e >50% di estensione
corticale circonferenziale [14].
• Lesioni metastatiche osteoblastiche
• Lesioni osteolitiche o miste in ossa non sottoposti a carico (perone, coste, clavicola)
• Lesioni osteolitiche nelle ossa lunghe non a rischio imminente di frattura
• Lesioni dell’ala iliaca, dell’arco pelvico anteriore o della scapola (eccetto classe 1)
• Pazienti in cui l’estensione della lesione richiederebbe l’amputazione dell’arto
STRATEGIA CHIRURGICA
 Classe I
L’obiettivo del trattamento chirurgico nei pazienti di classe I deve essere l’asportazione della lesione
metastatica con radicalità chirurgica (margini adeguati), cui segue la ricostruzione stabile del segmento
operato. Le metastasi solitarie hanno una miglior prognosi se comparse dopo un lungo intervallo di
tempo dalla ablazione del tumore primitivo. Non è stata rilevata differenza in termini di sopravvivenza
tra l’escissione con margini ampi, marginali o intralesionali [22, 23] (Livello di evidenza IV; Forza di
raccomandazione A).
L’intervento di resezione articolare o intercalare deve essere seguito dalla ricostruzione con sistemi
protesici modulari cementati e spaziatori intercalari. Le lesioni metastatiche solitarie delle ossa spendibili
(perone, coste, clavicola, ulna distale) possono essere facilmente resecate senza alcuna limitazione
funzionale residua. Nelle lesioni di classe I della scapola è indicato eseguire una scapulectomia totale che
determina la perdita della funzione in abduzione ed elevazione della spalla. Nelle lesioni classe I del
bacino è indicata l’asportazione del tumore con o senza ricostruzione in relazione all’interessamento
acetabolare ed al mantenimento della continuità sacroiliaca.
 Classi II e III
Le modalità di trattamento sono strettamente dipendenti dal segmento osseo interessato, dalla sede della
lesione metastatica a livello delle ossa lunghe:
91
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Metaepifisi:
 Omero e femore prossimale: aree considerate ad elevato rischio di fallimento meccanico: è indicata la
resezione e la ricostruzione con protesi modulari cementate + radioterapia postoperatoria (Livello di
evidenza; IV; Forza raccomandazione: A).
 Gomito, ginocchio e tibiotarsica:
o Quando meno della metà della metaepifisi è coinvolta dalla lesione: asportazione
intralesionale del tumore (curettage) + riempimento con cemento acrilico ed osteosintesi con
placca ± adiuvanti locali (ad es crioterapia o fenolo) + radioterapia postoperatoria.
o Nel caso in cui sia coinvolta più della metà della metaepifisi o vi sia un coinvolgimento
articolare: resezione intra-articolare del segmento interessato e ricostruzione con protesi
modulari cementate dell’omero distale, del femore distale o della tibia prossimale o
l’esecuzione di una artrodesi alla tibiotarsica.
(Livello di evidenza; IV; Forza raccomandazione: A)
Diafisi:
Il trattamento è strettamente dipendente da fattori biomeccanici e biologici relativi alla lesione (vengono
considerati classicamente l’aspettativa di sopravvivenza, la sede e le dimensioni della lesione e la
sensibilità del tumore primitivo alle terapie adiuvanti). In considerazione di questi fattori, il trattamento
è estremamente variabile e può andare da una osteosintesi semplice (con chiodo endomidollare bloccato
o placca e cemento) ad una osteosintesi rinforzata con chiodo endomidollare e cemento fino alla
resezione della lesione e ricostruzione con sistemi protesici modulari cementati nei pazienti con lesioni a
maggiore aggressività locale e che sono scarsamente radio-chemiosensibili (Livello di evidenza; IV;
Forza raccomandazione: A). È inoltre importante considerare le condizioni generali del paziente
secondo il Karnosky Performance Score [24].
 Classe IV
I pazienti di classe IV devono essere considerati per eseguire terapie non chirurgiche (chemioterapia,
radioterapia, terapia ormonale etc.) ed in caso di fallimento meccanico (frattura patologica o
progressione di malattia con lesione a rischio di frattura) o di dolore persistente dopo le terapie, vengono
considerati per il trattamento chirurgico (Livello di evidenza: V; Forza raccomandazione: B).
In considerazione del protocollo proposto da Capanna e Campanacci per il trattamento delle metastasi ossee
[21] e delle evidenze della letteratura più recente [25-31], il Gruppo di studio SIOT sulle Metastasi Ossee ha
elaborato un nuovo algoritmo terapeutico per il trattamento delle metastasi dello scheletro appendicolare [5].
Tale algoritmo è stato proposto per le metastasi osteolitiche o miste delle ossa lunghe portanti.
Il primo fattore considerato in questo algoritmo è l’operabilità del paziente sulla base dell’ASA score
assegnato dall’anestesista. Il punteggio totale è compreso tra 1 e 5, con valori da 1 a 3 che indicano
l’operabilità del paziente e valori di 4 o 5 che indicano malati generalmente non candidabili all’intervento
chirurgico.
Successivamente, i parametri su cui si basa la scelta teraputica includono: la presenza di una frattura
patologica o “impending fracture”, la metastasi solitaria da neoplasia a buona prognosi (carcinoma renale o
tiroideo), la sede della lesione (metaepifisi o diafisi), la sensibilità alle terapie non chirurgiche, e l’aspettativa
di sopravvivenza. I possibili approcci terapeutici previsti da questo algoritmo sono: la chirurgia escissionale,
caratterizata da resezione e protesi oppure osteosintesi rinforzata con cemento; l’osteosintesi semplice; le
terapie adiuvanti non chirurgiche; le terapie mininvasive; e/o la terapia del dolore.
92
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
In generale, in base alla localizzazione ed ai fattori prognostici:
 Nelle lesioni meta-epifisarie, il trattamento chirurgico deve essere di tipo escissionale, ottenendo
l’asportazione della lesione metastatica con margini possibilmente ampi (ma non necessariamente,
vedi frattura patologica), seguito dalla ricostruzione con protesi articolari, in caso di lesione
solitaria da neoplasia a buona prognosi o frattura patologica/”impending fracture” in paziente con
buona prognosi affetto da neoplasia scarsamente responsiva alle terapie adiuvanti. Solo in casi
selezionati (paziente a scarsa prognosi) può essere considerata la ricostruzione con placca e
cemento (Livello di evidenza; III; Forza raccomandazione: A).
 Nelle lesioni diafisarie, il trattamento chirurgico deve essere di tipo escissionale, seguito da una
ricostruzione segmentale con osteosintesi e cemento oppure spaziatori intercalari, in caso di
lesione solitaria da neoplasia a buona prognosi o frattura patologica/“impending fracture” in
paziente con buona prognosi affetto da neoplasia scarsamente responsiva alle terapie adiuvanti
(Livello di evidenza; IV; Forza raccomandazione: A).
 Nelle lesioni diafisarie, il trattamento chirurgico è caratterizzato dalla sola stabilizzazione del
segmento osseo con osteosintesi con chiodo bloccato, nel femore, tibia e omero, oppure con placca
e cemento nelle lesioni dell’avambraccio, in caso di frattura patologica/“impending fracture” in
paziente con buona prognosi affetto da neoplasia responsiva alle terapie adiuvanti oppure paziente
con scarsa prognosi (Livello di evidenza: III; Forza raccomandazione: A).
Nei pazienti non elegibili per il trattamento chirurgico deve essere considerato l’utilizzo di terapie miniinvasive [5] (termoablazione con radiofrequenze o microonde, crioablazione, chirurgia focalizzata ad
ultrasuoni, embolizzazione, alcoolizzazione ed elettrochemioterapia) al fine di ottenere un controllo del
dolore altrimenti non responsivo ai trattamenti convenzionali quali la terapia del dolore e i trattamenti non
chirurgici (Livello di evidenza: V; Forza raccomandazione: B).
Bacino
La pelvi rappresenta una delle localizzazioni interessate più di frequente da lesioni metastatiche da
carcinoma. Una valutazione radiologica adeguata rappresenta un momento fondamentale per la definizione
del trattamento chirurgico: la TC e la RM sono gli esami più importanti per stabilire l’integrità del segmento
osseo e la reale estensione della lesione, particolarmente per localizzazioni periacetabolari. Il trattamento
delle metastasi ossee del bacino è determinato da fattori quali la prognosi del paziente, secondo la
classificazione di Capanna (Tabella 2); il sito di metastasi, secondo la classificazione di Enneking (Tabella
3); e la riserva ossea in sede periacetabolare [32].
Tabella 2. Classi di pazienti con metastasi pelviche secondo la classificazione di Capanna
Classi
Caratteristiche
Lesione solitaria; buona prognosi (tumore della tiroide ben differenziato, prostata, mammella
1
sensibile a terapie adiuvanti, retto, a cellule chiare del rene, linfoma e mieloma); intervallo di
insorgenza della metastasi maggiore di 3 anni dalla diagnosi del tumore primitivo
2
Frattura patologica in regione periacetabolare
3
Lesione osteolitica sopra-acetabolare
4
Lesioni osteoblastiche multiple; lesioni osteolitiche o miste nell’ala iliaca e nella pelvi
anteriore; piccole lesioni osteolitiche in regione periacetabolare
93
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Tabella 3. Regioni della pelvi secondo la classificazione di Enneking
Zone
Segmento osseo
Note
Zona 1
Ala iliaca
Zona non di carico, osso spendibile
Zona 2
Osso periacetabolare
Zona periarticolare e articolare, alto
richio di fallimento meccanico
Zona 3
Branche pubica e ischiatica
Zona non di carico, osso spendibile
Zona 4
Sacro
-
In generale, i pazienti di classe 1, 2 e 3 di Capanna possono essere considerati per ricevere inizialmente un
trattamento chirurgico e successivamente essere valutati dall’oncologo e dal radioterapista per i trattamenti
adiuvanti. Al contrario, i pazienti di classe 4 dovrebbero prima essere trattati con terapie non chirurgiche
quali chemioterapia, ormonoterapia e/o radioterapia. La divisione in zone secondo Enneking aiuta
successivamente il chirurgo nel decidere la tipologia di intervento chirurgico. È qui importante ricordare che
le tecniche di chirurgia ricostruttiva della pelvi sono complesse e non esenti da complicanze anche gravi in
tutte le casistiche; pertanto l’accurata selezione costituisce la vera chiave di volta nel successo di queste
metodiche che si propongono finalità curative, così come per i tumori primitivi dello scheletro, mirate ad
ottenere il controllo locale della malattia ed il ripristino della funzionalità articolare.
Classe 1
I pazienti di classe 1 sono affetti da singola metastasi e hanno una buona prognosi. Per tale motivo, la
metastasi deve essere trattata come un tumore primitivo con l’obiettivo di ottenere un risultato a lungo
termine, sia oncologico che meccanico (Livello di Evidenza 3). Al fine di ottenere un controllo della
malattia, le resezione chirurgica deve essere radicale, in quanto il curettage è associato ad alta mortalità e
ridotta sopravvivenza [33-35]. Sebbene gli interventi di resezione radicale nella regione pelvica siano
associati a un alto tasso di complicanze, le metastasi pelviche determinano una significativa riduzione della
qualità di vita del paziente sia in termini funzionali che relazionali. Di contro il trattamento delle metastasi
ossee pelviche si associa ad un miglioramento significativo delle qualità di vita del paziente [36, 37].
Classe 2 e 3
I pazienti di classe 2 sono affetti da una frattura patologica, mentre quelli di classe 3 sono ad alto rischio di
frattura. Pertanto l’obiettivo del trattamento chirurgico è di prevenire l’insorgenza di una frattura patologica
oppure di ripristinare l’integrità meccanica e la funzione della pelvi. La distruzione dell’osso subcondrale e
la protrusione acetabolare rendono necessaria la sostituzione protesica che deve essere eseguita utilizzando
speciali componenti di rinforzo (fili o barre metallici; anelli avvitati e cementati; componenti acetabolari
cementati a ritenzione totale o a doppia motilità) oppure megaprotesi custom-made o modulari (Livello di
Evidenza 4).
Nei pazienti di classe 2 e 3, l’angiografia preoperatoria con embolizzazione selettiva è consigliata nelle
lesioni molto vascolarizzate [38, 39]. La radioterapia postoperatoria può essere evitata in caso di resezione
con ampi margini, al contrario deve essere eseguita in caso di asportazioni intralesionali o marginali oppure
in caso di frattura patologica. Il dosaggio suggerito è di 3000 – 5000 cGy [32].
Il tipo di procedura chirurgica è determinato dalla riserva ossea in sede periacetabolare secondo la
classificazione di Harrington.
Classe 4
I pazienti di classe 4 sono affetti da lesioni osteoblastiche multiple in qualsiasi sede oppure osteolitiche o
miste in zone non di carico (zone 1 e 3 di Enneking) che non soddisfano i criteri della classe 1. Il trattamento
suggerito è di tipo conservativo con l’utilizzo di chemioterapia, ormonoterapia e/o radioterapia secondo la
diagnosi (Livello di Evidenza 3).
94
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Nella regione periacetabolare invece, un trattamento conservativo non chirurgico è indicato nelle lesioni
osteoblastiche e miste quando è prevista una buona risposta alle terapie adiuvanti (RT/CT) (carcinoma della
mammella, tiroide, prostata oppure mieloma e linfoma) (Livello di Evidenza 3). Il carico deve essere proibito
per tutta la durata del trattamento radiante al fine di ridurre il rischio di frattura iatrogena [40].
Sebbene la radioterapia possa essere utilizzata come trattamento palliativo per il controllo del dolore, alcuni
pazienti non riscontrano alcun beneficio oppure hanno una recrudescenza della sintomatologia in
corrispondenza di una sede precedentemente radiotrattata. In questi pazienti, al fine di controllare il dolore,
dovrebbero essere considerati altri trattamenti percutanei quali alcolizzazione, termoablazione, crioablazione,
radioablazione ed elettrochemioterapia [32].
Il ruolo del curettage: Il trattamento locale della lesione con curettage, mira ad eseguire un adeguato
“debulking” della lesione scheletrica. Tale metodica influenza sia le caratteristiche biologiche della
neoplasia, riducendo il dolore locale per riduzione della massa neoplastica, sia le caratteristiche meccaniche,
in quanto asportando anche tessuto osseo perilesionale riduce di per sé la resistenza meccanica del segmento
scheletrico. L'azoto liquido e il fenolo sono due sostanze adiuvanti che potenziano l’effetto citotossico del
curettage, per danno fisico sulle cellule tumorali ma anche su quelle sane. Per questo motivo, al curettage
deve seguire un adeguato riempimento della cavità residua con utilizzo di cemento acrilico, che possiede
elevate proprietà di resistenza meccanica, garantendo adeguato sostegno all'osso dopo il curettage. In casi
selezionati il cemento può essere addizionato a farmaci antiblastici per potenziare l'effetto citotossico locale
[41].
4. Lesioni metastatiche vertebrali
La colonna vertebrale rappresenta la localizzazione più frequente di metastasi dello scheletro [42]. I corpi
vertebrali sono solitamente raggiunti per via ematogena con un interessamento della porzione posteriore.
Successivamente, la sostituzione neoplastica del tessuto osseo coinvolge la porzione anteriore del corpo
vertebrale e le strutture posteriori con conseguente perdita di stabilità nel segmento interessato ed eventuale
compressione delle strutture nervose intracanalari [43].
Il corretto approccio terapeutico delle metastasi vertebrali è fondamentale in quanto tali lesioni oltre a
determinare un deterioramento della qualità di vita, possono essere la causa diretta o indiretta del decesso di
questi pazienti. Attualmente, l’approccio al paziente affetto da metastasi vertebrali deve essere rigorosamente
multidisciplinare con coinvolgimento di figure professionali quali l’oncologo, il radioterapista, il chirurgo
ortopedico e lo specialista in terapia del dolore. In tal modo è possibile garantire al paziente il miglior
percorso terapeutico possibile.
Il tipo di trattamento può essere incruento oppure chirurgico secondo il quadro clinico locale e generale del
paziente. I parametri che devono essere considerati includono: le condizioni generali del paziente, valutate
secondo la scala ASA (grado da 1 a 5); la sensibilità dell’istotipo ai trattamenti adiuvanti; l’entità del danno
neurologico; l’instabilità del rachide e il rischio di frattura patologica; la diffusione scheletrica e viscerale
della malattia [6, 44].
La grande maggioranza delle metastasi vertebrali è suscettibile di trattamento incruento. La radioterapia (con
associato uso di ortesi) è indicata come terapia di prima linea in caso di tumori radiosensibili, lesioni stabili,
assenza di deficit neurologico oppure deficit neurologico completo e irreversibile, indipendentemente
dall’operabilità secondo la scala ASA. Inoltre, la radioterapia è indicata in caso di paziente con ridotta
aspettativa di vita o non operabile, in caso di tumori radiosensibili (Tab. 4) [45, 46] (Livello di Evidenza: 3;
Forza Raccomandazione: Positiva Debole). Tale approccio può essere associato a terapie oncologiche
mediche sulla base della sensibilità dell’istotipo tumorale.
Se il paziente non è operabile e l’istotipo tumorale non è sensibile alle terapie oncologiche mediche o
radioterapiche, si devono considerare la terapia del dolore ed eventuali trattamenti palliativi quali la
vertebroplastica e l’embolizzazione [6].
Il trattamento chirurgico delle metastasi vertebrali è indicato in caso di dolore intrattabile, comparsa di
deficit neurologici (dovuti alla compressione delle strutture mielo-radicolari da parte della massa neoplastica
oppure dalla frattura patologica), instabilità spinale segmentaria con dolore meccanico ingravescente e/o
95
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
deficit neurologico e il fallimento di precedenti trattamenti (Tab. 2) [47, 48]. Infine, la chirurgia è indicata in
pazienti con ottima prognosi e stato generale e con lesione metastatica isolata. In questi casi la lesione viene
trattata come un tumore primitivo dello scheletro con exeresi completa [49] (Livello di Evidenza: 3; Forza
Raccomandazione: Positiva Debole).
Tabella 4: Indicazioni relative per chirurgia o RT
come trattamento primario in caso di frattura vertebrale patologica [50]
Terapia Radiante
Chirurgia
Frammento osseo retropulso che provoca compressione
Tumore radiosensibile
neurale
Tumore moderatamente radioresponsivo in
Deformità spinale che provoca dolore e/o compressione
pazienti con minimo deficit neurologico/dolore
neurologica
limitato
Compressione epidurale isolata
Instabilità spinale
Dolore localizzato
Deficit neurologico progressivo
Non risposta alla radioterapia: recidiva/nuovo deficit
Aspettativa di vita < 3 mesi
durante RT
Pz non candidabile all’intervento
Primitività sconosciuta
Deficit neurologico completo
TRATTAMENTI CHIRURGICI
La chirurgia ha l’obiettivo di garantire un controllo locale della malattia. Si esegue come unico trattamento in
caso di lesioni resistenti a trattamenti radioterapici e oncologici oppure in associazione ad altri trattamenti. Il
controllo locale ha come scopo la remissione della sintomatologia algica, la prevenzione del deterioramento
delle funzioni neurologiche ed eventuale miglioramento e la stabilizzazione della colonna. La chirurgia delle
metastasi vertebrali può essere classificata come terapia palliativa, adiuvante o escissionale [51] e può essere
eseguita con accesso anteriore, posteriore o combinato [52, 53].
Chirurgia palliativa
Il trattamento chirurgico a scopo palliativo ha come obiettivi la remissione dei sintomi del paziente e la
prevenzione di complicanze quali frattura patologica, instabilità segmentaria e/o deficit neurologico.
Solitamente, è indicato in pazienti con prognosi scarsa.
Se il paziente è operabile, la decompressione con stabilizzazione è indicata in caso di danno midollare acuto
e ingravescente per compressione da parte della massa neoplastica o frattura patologica anche se l’istotipo è
sensibile alle terapie oncologiche mediche o radioterapiche; frattura patologica o “impending fracture”;
metastasi multiple con rischio elevato di complicanze neurologiche in caso di istotipo tumorale non sensibile
alle terapie oncologiche mediche o radioterapiche. Infine, il trattamento chirurgico può essere indicato in
pazienti che presentino deficit neurologico completo al di sotto della lesione, ma non con carattere di
urgenza, al fine di migliorare la gestione a letto del paziente.
La decompressione con stabilizzazione ha come scopo di decomprimere in modo circonferenziale il midollo
spinale e stabilizzare la colonna vertebrale con l’impianto di viti peduncolari e barre. Per tale motivo non
richiede necessariamente un approccio diretto al tumore. In pazienti con scarsa prognosi ma buono stato
generale, decompressione e stabilizzazione possono essere eseguite per via posteriore [54-56] (Livello di
Evidenza: 3; Forza Raccomandazione: Positiva Debole). L’approccio chirurgico può essere preceduto da
una embolizzazione selettiva delle afferenze vascolari alla lesione al fine di ridurre il sanguinamento
intraoperatorio e rendere più semplice la procedura.
Nei pazienti con compressione del midollo spinale da metastasi, i corticosteroidi sono spesso la prima linea
terapeutica. La somministrazione può essere ad alto e a basso dosaggio [57]. Nonostante gli studi effettuati,
non è possibile ad oggi indicare con sicurezza il dosaggio adeguato dei corticosteroidi in acuto e per il
mantenimento [58]. È stato suggerito che si possono somministrare desametasone ad alte dosi (100 mg come
dose di carico, e poi 96 mg al giorno) in pazienti che non possono camminare o con sintomi neurologici
96
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
rapidamente progressivi, mentre un trattamento a dosaggio intermedio (10 mg come dose di carico, e poi 16
mg al giorno) è suggerito in pazienti deambulanti con sintomi motori scarsamente o non evolutivi [58, 59]
(Livello di Evidenza: 1+; Forza Raccomandazione: Positiva Debole). Per tumori scarsamente radiosensibili,
è stato dimostrato in un trial clinico randomizzato che il trattamento chirurgico con decompressione
circonferenziale associato a corticosteroidi, e seguito da radioterapia entro 2 settimane dall’intervento stesso,
è migliore della sola radioterapia assieme ai corticosteroidi in pazienti affetti da compressione spinale acuta
[60] (Livello di Evidenza: 1+; Forza Raccomandazione: Positiva Forte).
Pazienti con pachimeningite neoplastica e deficit neurologici mostrano un minore recupero neurologico in
seguito ad intervento chirurgico di decompressione [61, 62] (Livello di Evidenza: III).
La chirurgia palliativa può essere eseguita anche mediante tecniche percutanee quali la vertebroplastica e la
cifoplastica. Tali procedure sono indicate solo in pazienti con dolore intrattabile e non responsivo da lesione
spinale metastatica, oppure in pazienti con fratture patologiche il cui stato clinico non permette di eseguire
interventi chirurgici tradizionali [63]. L’obiettivo di tali procedure è solo meccanico e non oncologico.
Queste tecniche meno invasive consistono nell’iniezione di cemento acrilico nel corpo vertebrale, previa
preparazione di uno spazio nel quale iniettare il cemento stesso nel caso della cifoplastica [64]. L’esecuzione
di una biopsia prima di iniettare il cemento acrilico rappresenta un tempo fondamentale di questi interventi
[65] (Livello di Evidenza: 3; Forza Raccomandazione: Positiva Debole).
Le principali controindicazioni alla cementoplastica percutanea includono la mancata integrità del muro
posteriore della vertebra, per il rischio di fuoriuscita del cemento o di tumore nel canale vertebrale, e la
presenza di deficit neurologici in atto.
In uno studio sperimentale è stato dimostrato che sia la vertebroplastica sia la cifoplastica possono causare
fenomeni di embolia neoplastica polmonare. Per tale motivo è raccomandato l’uso solo in pazienti con
ridotta aspettativa di vita [66].
Chirurgia adiuvante
Il trattamento chirurgico a scopo adiuvante ha come obiettivo il trattamento della metastasi al fine di
migliorare l’effetto locale delle terapie mediche in atto. Solitamente, è indicato in pazienti con prognosi
intermedia.
La massa neoplastica viene rimossa mediante escissione intralesionale con lo scopo di ridurre quanto
possibile le dimensioni della lesione (“debulking”). L’asportazione, parziale o completa, determina anche
una decompressione circonferenziale del midollo spinale. Tale procedura può essere preceduta da
embolizzazione della lesione ed è seguita da stabilizzazione e ricostruzione vertebrale.
Chirurgia escissionale
Il trattamento chirurgico a scopo “curativo” ha come obiettivo l’eradicazione locale della malattia
metastatica. Tale approccio è indicato solo nei pazienti con prognosi ottima (buona aspettativa di vita a
medio/lungo termine), assenza di malattia nella sede primitiva e in organi vitali e metastasi non sensibile o
scarsamente sensibile a trattamenti oncologici medici o radioterapici, anche in caso di assenza di deficit
neurologici evidenti [67] (Livello di Evidenza: 3; Forza Raccomandazione: Positiva Debole).
La resezione completa, ampia o marginale, della lesione necessita nella maggior parte dei casi di approcci
combinati per via anteriore e posteriore [68, 69]. La chirurgia anteriore quando possibile compatibilmente
con lo stato generale del paziente e con la prognosi, migliora i risultati della chirurgia del paziente con
localizzazioni vertebrali [50, 69-72]. In seguito alla exeresi della lesione tumorale si esegue una ricostruzione
del difetto osseo e stabilizzazione segmentaria [70, 72, 73].
La resezione completa è la strategia chirurgica che garantisce il miglior controllo locale della malattia,
tuttavia può essere indicata solo in casi selezionati per la sua alta morbidità. Di contro, nei tumori altamente
vascolarizzati (come la metastasi da carcinoma del rene) la resezione completa è associata ad una minore
morbidità nei confronti dell’escissione intralesionale completa [74].
97
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Recentemente, il Gruppo di Studio SIOT sulle metastasi vertebrali ha proposto un algoritmo di trattamento
[6, 7] che prende in considerazione i seguenti parametri: 1) condizioni generali del paziente valutate secondo
l’ASA score; 2) sensibilità dell’istotipo ai trattamenti adiuvanti; 3) entità del danno neurologico; 4)
instabilità del rachide e rischio di frattura patologica; 5) diffusione scheletrica e viscerale della malattia.
Il primo fattore considerato in questo algoritmo è l’operabilità del paziente sulla base dell’ASA score
assegnato dall’anestesista:
 Paziente non operabile: devono essere considerate le opzioni non chirurgiche. In caso di sensibilità
dell’istotipo tumorale alle terapie oncologiche mediche o radioterapiche, questi sono i trattamenti di
scelta. In caso di tumore non responsivo ad alcuna terapia, devono essere considerati approcci
chirurgici palliativi come la vertebroplastica e l’embolizzazione, la terapia del dolore, oppure la
presa in carico da parte di un Hospice.
 Paziente operabile: deve essere considerato il quadro neurologico:
o In caso di compressione midollare sintomatica, la scelta chirurgica si basa sulla modalità di
comparsa ed il tempo di persistenza del danno e la possibilità di recupero. Il paziente affetto
da danno midollare acuto ed ingravescente con possibilità di regressione del deficit
neurologico deve essere sottoposto in urgenza a decompressione e stabilizzazione. Al
contrario, se il paziente è affetto da un deficit neurologico non recuperabile, deve essere
valutata la sensibilità alla terapia oncologica medica e radioterapica (cfr. oltre).
o In caso di assenza di deficit neurologici, deve essere valutata la sensibilità alle terapie
adiuvanti:
 Istotipo tumorale non responsivo: in questo caso la terapia deve essere chirurgica, ma
il tipo di approccio dipende dall’estensione della malattia ossea. L’escissione della
massa neoplastica (debulking o resezione) è indicata nel paziente affetto da
metastasi solitaria; la laminectomia preventiva e/o la stabilizzazione dei segmenti
più a rischio di complicanze neurologiche oppure la vertebroplastica sono indicate in
caso di metastasi multiple.
 Istotipo tumorale responsivo: in questo caso il paziente deve essere riferito al centro
di oncologia, previa valutazione della presenza di una frattura patologica o
“impending fracture”. Nel paziente con alto rischio di frattura si raccomanda
l’intervento chirurgico di stabilizzazione e/o decompressione.
Ortesi spinali
Le ortesi spinali rappresentano un importante coadiuvante nel trattamento dei pazienti affetti da lesioni
vertebrali metastatiche, sia nel perioperatorio che nel supporto in pazienti candidati a trattamenti radiochemioterapici primari, o in pazienti non candidabili ad intervento chirurgico a causa dello scarso quadro
clinico generale. Il tipo di ortesi varia a seconda del livello vertebrale affetto o instabile, e se è stato eseguito
un gesto chirurgico a quel livello. La scelta del tipo di tutela ortopedica si basa su tre parametri: tipo di
lesione (stabile o instabile), livello della lesione, funzione che deve svolgere l’ortesi (immobilizzazione
cinetica, immobilizzazione e sostegno statico, immobilizzazione e sostegno associata a distrazione).
Le ortesi possono essere distinte in cervicali e dorsali alte e dorsali basse e lombari.
Cervicali e dorsali alte
Rientrano in questa categoria: Halo jacket, collare di Schanz, Philadelphia con o senza appoggio sternale,
SOMI-Brace.
 Nelle lesioni instabili del rachide cervicale è raccomandato l’Halo jacket che permette di
immobilizzare, sostenere ed effettuare una distrazione se necessario; l’applicazione va eseguita
previa esecuzione di TC della teca cranica per escludere la presenza di lesioni osteolitiche del
tavolato cranico. In tal caso, si può invece applicare un collare tipo SOMI-Brace con aureola oppure
una ortesi occipito-cervico-toracica con aureola confezionata su misura previo moulage gessato.
 Per lesioni stabili è raccomandato l’uso di ortesi con immobilizzazione cervico-toracica (collare tipo
Phladelphia con appoggio sternale o SOMI-Brace senza aureola).
98
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
 I collari semirigidi, come il collare di Schanz, hanno indicazione solo in caso di contratture cervicali
in pazienti con piccole lesioni che non compromettano la stabilità del segmento interessato.
Dorsali basse e lombari
Rientrano in questa categoria: busto a tre punte, lombostato, busto tipo Cheneau con appoggi acromiali (su
misura).
 Nelle piccole lesioni dorsali basse e lombari senza compromissione della stabilità del segmento
interessato si possono utilizzare busti a tre punte.
 Nelle lesioni dorsali basse e lombari potenzialmente o francamente instabili è raccomandato l’uso di
ortesi in materiale plastico confezionate su misura con appoggio distale iliaco (ad es. busto tipo
Cheneau), preferibilmente con appoggi di spinta a livello acromiale per evitare la cifosi del segmento
interessato.
 In casi ad elevata instabilità oppure in pazienti con lesioni multiple è possibile realizzare ortesi su
misura in materiale plastico con appoggio prossimale occipitocervicale ed appoggio iliaco distale.
5. Conclusioni
L’approccio al paziente affetto da metastasi ossee deve essere rigorosamente multidisciplinare con
coinvolgimento di figure professionali quali l’oncologo, il radioterapista, il chirurgo ortopedico e lo
specialista in terapia del dolore, al fine di garantire al paziente il miglior percorso terapeutico possibile. I
pazienti affetti da metastasi ossee devono essere riferiti in Centri per la cura delle metastasi a livello
regionale, in cui possono seguire un percorso diagnostico-terapeutico completo in cui vengono coinvolte
tutte le figure specialistiche necessarie. Solo successivamente, i pazienti possono essere avviati presso
strutture periferiche che possano essere più comode da un punto di vista logistico. La prognosi del paziente
con metastasi ossee rappresenta un fattore cruciale per determinare l’operabilità e la tipologia dell’intervento
chirurgico. Le terapie oncologiche, radioterapiche e le ortesi costituiscono un elemento fondamentale del
trattamento in associazione o meno alla chirurgia. Le metastasi ossee rappresentano una patologia in
continuo aumento. Per tale motivo, è auspicabile la formazione di specialisti in oncologia del sistema
muscolo-scheletrico che sia condivisa a livello nazionale e internazionale al fine di rispondere in modo
sempre più corretto e soddisfacente alle esigenze di questi pazienti.
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LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
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102
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
13. Il ruolo della radioterapia nel trattamento delle metastasi ossee
Sara Ramella, Carlo Greco, Carla Germana Rinaldi, Fabio Trippa
Il dolore da metastasi ossee è responsabile di circa il 50% dei casi di dolore neoplastico1.
Clinicamente si manifesta nell’area interessata dalla lesione, aumenta con la digitopressione e può essere
aggravato dal carico.
Può essere nocicettivo quando le terminazioni nervose sensitive del dolore (nocicettori) sono direttamente
stimolate dal tessuto tumorale in espansione, e neuropatico quando deriva dalla compressione di una radice
nervosa (nel caso di un crollo vertebrale) o da spasmi della muscolatura in prossimità della lesione.
A ciò si aggiunge la stimolazione di pressocettori e meccanocettori indotta dalla distensione dei tessuti, e
dall’aumento della pressione vascolare intraossea dovuta anche alla produzione di citochine e mediatori
edemigeni da parte del tessuto infiammatorio peri-tumorale e del tumore stesso. L’endotelina I per esempio,
è in grado di interagire con i recettori localizzati sulle terminazioni nervose del tessuto osseo 2.
I meccanismi che mediano l’effetto antalgico della radioterapia non sono del tutto noti. L’effetto citocida
sulle cellule neoplastiche presenti nel focolaio metastatico rappresenta un fattore sicuramente importante; la
morte delle cellule neoplastiche riduce infatti gli effetti meccanici di compressione ed infiltrazione del
tessuto osseo, e la relativa produzione di citochine che agiscono sui recettori responsabili del dolore.
Tuttavia l’assenza di una correlazione tra radiosensibilità del tumore ed effetto antalgico, e la precocità della
palliazione che si osserva clinicamente (24-48 ore dopo l’inizio del trattamento radiante) in circa il 25% del
pazienti (risposta precoce) rispetto all’effettiva riduzione della massa tumorale, implicano necessariamente
l’esistenza di altri meccanismi, quale l’azione bersaglio delle radiazioni ionizzanti sugli osteoclasti e sul
sistema regolatore RANK-RANKL.
Per comprendere il ruolo di quest’ultimo, di recente acquisizione, è necessario innanzitutto ricordare la
fisiologia del tessuto osseo. L’osso è formato da due tipi di cellule: gli osteoblasti, di origine stromale che
hanno la funzione di sintetizzare la nuova matrice ossea, e gli osteoclasti, di origine emopoietica come i
macrofagi, deputati al riassorbimento dell’osso.
Il turnover normale e patologico dell’osso avviene attraverso la comunicazione tra queste due cellule, che
può essere schematizzata in tre fasi sequenziali: iniziazione, transizione e terminazione.
Nella fase di iniziazione gli osteoblasti rilasciano delle citochine come il fattore M-CSF, che richiama i
precursori degli osteoclasti nella sede dell’osso da rimodellare; qui gli osteoclasti si differenziano, si attivano
e quindi riassorbono in quel punto l’osso attraverso la fagocitosi (circa tre settimane). L’aumento sierico del
calcio induce la morte per apoptosi degli osteoclasti con inizio della fase di transizione, durante la quale
vengono richiamati in sede nuovi osteoblasti che si differenziano. Essi si pongono sulla superficie dell’osso
riassorbita dagli osteoclasti (ora in stato di quescienza), e su di essa nella fase ‘terminale del
rimodellamento’sintetizzano nuovo osso. Al termine di questa fase (circa tre mesi) gli osteoblasti diventano
quescienti, e la nuova matrice ossea, osteoide, viene mineralizzata.
Le interazioni tra queste cellule sono mediate da una serie di molecole. In particolare gli osteoclasti
esprimono sulla membrana di superficie una glicoproteina, fattore di crescita, detto RANK. Quando il
ligando osteoclastogenico RANKL (una glicoproteina transmembrana degli osteoblasti), si lega alla
molecola RANK, gli osteoclasti si attivano e riassorbono l’osso. Nella stessa fase di iniziazione gli
osteoblasti secernono l’osteoprogeterina (OPG) che compete con la molecola RANKL; i livelli sierici
dell’osteoprogeterina aumentano progressivamente fino a bloccare l’attività degli osteoclasti, che vanno di
conseguenza in apoptosi. L’equilibrio del rapporto RANKL/OPG è essenziale per un fisiologico turnover
osseo.
In presenza di cellule tumorali questo equilibrio viene alterato. Le cellule tumorali producono il peptide
PTHrP (parathyroid ormon-related peptide), che attiva la molecola RANKL e blocca la sintesi dell’OPG da
parte degli osteoblasti. Questo determina uno squilibrio del rapporto RANKL/OPG a favore dell’attività
osteoclastica, con conseguente osteolisi.
103
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Oltre al sistema RANKL/OPG, sono coinvolte nella stimolazione dell’attività osteoclastica e nell’inibizione
di quella osteoblastica anche alcune citochine, quali l’IL 8, IL 11, TNF-α, TGF- β e M-CSF, prodotte sempre
dalle cellule tumorali.
Si innesca di conseguenza un circolo vizioso che favorisce la crescita tumorale e promuove la progressiva
alterazione della struttura ossea.
L’effetto inibitorio da parte delle radiazioni ionizzanti sull’attività osteoclastica è di primaria importanza, ed
è stato dimostrato da uno studio condotto da Hoskin dove i pazienti che ottenevano maggior beneficio dopo
la radioterapia presentavano una concentrazione urinaria di markers di riassorbimento osseo più bassa
rispetto ai ‘non responders’ (Fig 1):
Fig 1.
1.
Radioterapia a fasci esterni e metastasi ossee: esperienze cliniche
La radioterapia induce un effetto antalgico nel 75-85% dei casi, con una risposta completa, totale abbandono
degli analgesici e recupero della funzionalità, del 30-50%. In alcuni casi all’inizio del trattamento può
comparire un iniziale aumento del dolore, causato dall’edema radioindotto e dalla conseguente compressione
dei tessuti sani vicini. Questo evento è più frequente per lesioni estese e/o per dosi per frazione più elevate. Il
tempo di risposta del dolore alla radioterapia è variabile: nel 25% dei casi entro 2 giorni dall’inizio della
radioterapia (risposta precoce), nel 50% entro le 4 settimane dal termine del trattamento, e nella restante
percentuale dei pazienti più tardivamente. La durata mediana della risposta varia da 11 a 29 settimane.3
La radioterapia nella maggior parte dei casi è stata erogata in più frazioni pensando che la tollerabilità fosse
maggiore. Il frazionamento convenzionale prevede frazioni giornaliere di 1.8-2 Gy, dal lunedì al venerdì, e la
dose totale è determinata dalla radiosensibilità del tumore e dalla tolleranza dei tessuti sani coinvolti nel
fascio radiante.
Si parla di iperfrazionamento quando la dose per singola frazione è inferiore a 1.8-2 Gy, e di norma prevede
due applicazioni al giorno; si parla invece di ipofrazionamento quando viene erogata una dose elevata per
ogni frazione in poche sedute radioterapiche.4
104
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
1.1 Esperienze storiche
Storicamente, per il trattamento delle metastasi ossee sono stati utilizzati schemi di ipofrazionamento, sulla
base di due tipi di considerazioni:
 Empirica: dosi relativamente basse di radiazioni sono sufficienti per controllare il dolore nell’80% dei
pazienti5;
 Utilitaristica: un numero esiguo di sedute è vantaggioso per i pazienti in scadute condizioni generali, e per
il Centro di Radioterapia, in quanto permette di ridurre le liste di attesa.
Molteplici sono stati gli schemi di ipofrazionamento utilizzati: 30 Gy in 10 sedute di trattamento, 20 Gy in 5
sedute o 8 Gy in una o due sedute (in caso di breve aspettativa di vita del paziente)5.
1.2 Ipofrazionamento
Dagli anni ’80 agli anni ’90 sono stati condotti 4 studi randomizzati che hanno valutato diversi regimi di
trattamento ipofrazionati. (vedi Tab.1)
Alla base di questi studi vi è un razionale biologico in base al quale si può ottenere lo stesso effetto
terapeutico utilizzando frazionamenti e dosi totali diverse.
Il primo grande studio randomizzato è stato l’RTOG 7402 del 1982, con una casistica di più di 1000 pazienti
(266 con singola metastasi ossea, 750 con metastasi ossee multiple). Questo studio ha dimostrato che lo
schema di radioterapia palliativa con durata più breve (4 Gy/die in 5 giorni) è efficace quanto quello di
durata maggiore (3 Gy in 10 giorni, e 2.6 Gy in 15 giorni) nell’ottenere la remissione del dolore; il risultato è
stato uguale sia nei pazienti con lesione ossea unica che in quelli plurimetastatici. Inoltre, nei pazienti che
presentavano alla diagnosi una sintomatologia dolorosa di grado moderato, la percentuale di risposta
completa al dolore è stata maggiore.3(Livello di Evidenza SIGN 1++).
Risultati analoghi sono stati ottenuti da Hirokawa et al6, in uno studio randomizzato su 128 pazienti: lo
schema che prevedeva 10 frazioni non offriva alcun vantaggio in termini di risposta al dolore rispetto a
quello con sole 5 frazioni. (Livello di Evidenza SIGN 1+).
Nel 1995 Rasmusson et al7 hanno pubblicato i risultati di uno studio su 217 pazienti dove veniva confrontato
lo schema di trattamento che prevedeva la somministrazione di 30 Gy in 10 sedute con un trattamento meno
prolungato di 15 Gy in 3 frazioni. Anche in questo studio non vi è stata differenza di risposta. (Livello di
Evidenza SIGN 1+).
Niewald et al8 un anno dopo, in uno studio su 100 pazienti, di cui il 43% affetti da neoplasia mammaria, ha
confrontato lo schema di trattamento di 2 settimane di durata versus quello di una settimana. Anche lui non
ha notato differenze significative in termine di frequenza, e durata della palliazione, recupero funzionale ed
incidenza di fratture patologiche. (Livello di Evidenza SIGN 1+).
105
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Tab.1 Randomized Trials comparing multiple fraction treatments for palliation of bone metastases
Study
Tong et al,1982, USA
N° of Pz
Dose
Complete Response
Overall
(N° Eval.)
(Gy/fractons)
(%)
Response
266 (146)
20/5
53
82
4
40/15
61
85
18
15/5
49
87
5
20/5
56
85
7
25/5
49
83
9
30/10
57
78
8
25/5
NA
75
NA
(solitary treatment site)
(multiple site)
750 (613)
Hirokawa et al., 1988,
128
30/10
Japan
Rasmusson
et
al.,
217 (127)
Niewald et al,. 1996,
75
15/3
NA
30/10
1995, Danmark
100
Germany
Path Fractures(%)
69
NA
66
20/5
33
77
8
30/10
31
86
13
1.3 Monofrazionamento
Negli ultimi 15 anni, specialmente nelle scuole del Nord Europa, si è cercato di effettuare radioterapia
antalgica utilizzando una singola seduta ad alte dosi. In tal senso sono stati eseguiti molti studi randomizzati
di confronto tra un trattamento multifrazionato e quello in singola.
Gaze9 nel 1997 ha confrontato un trattamento di 4.5 Gy/die in 5 sedute, con quello in seduta unica di 10 Gy;
non ha trovato differenze significative in termini di risposta nei 2 bracci, con tossicità sovrapponibile.
(Livello di Evidenza SIGN 1+).
Lo stesso ha osservato Nielsen10 nel 1998, che metteva a confronto il trattamento di 20 Gy in 5 sedute con
quello in unica seduta di 8 Gy, su una popolazione di 241 pazienti. (Livello di Evidenza SIGN 1+).
Un contributo fondamentale in questo senso è stato apportato nel 1999 dal Dutch Bone Metastasis Study 11
che su una popolazione di 1171 pazienti ha valutato i risultati ottenuti con l’impiego di una singola frazione
di 8 Gy versus 6 frazioni da 4 Gy (dose totale 24 Gy). La novità di questo lavoro consiste nella distinzione
all’interno della popolazione in esame di sottogruppi prognostici individuati attraverso: a) la valutazione del
numero e della localizzazione delle metastasi; b) le caratteristiche del tumore primitivo; c) il Performance
Status; d) la somministrazione di questionari sulla qualità della vita validati dalla EORTC quali il Rotterdam
Symptom Checklist (RSCL). (Livello di Evidenza SIGN 1++).
Tutti questi elementi hanno consentito di identificare dei gruppi di pazienti con aspettative di vita diverse,
per i quali sono stati valutati i diversi schemi di frazionamento.
I risultati di questo studio hanno dimostrato che non c’è una differenza tra il monofrazionamento ed il
trattamento in più frazioni nella palliazione del dolore, nella qualità di vita e negli effetti collaterali. Anche
prendendo in considerazione il gruppo di 92 pazienti a prognosi più favorevole, si è osservata una uguale
efficacia dei due trattamenti.
Sempre nel 1999 è stato pubblicato il Bone Pain Trial Working Party12 condotto su 765 pazienti per
confrontare la singola frazione di 8 Gy con 20 Gy in 5 frazioni e 30 Gy in 10 frazioni. Non ci sono state
differenze in termini di risposta al dolore e rischio di frattura patologica; tuttavia la necessità di ritrattare lo
stesso segmento osseo per ripresa del dolore, retreatment, è stato 2 volte più frequente nel gruppo trattato
con singola frazione di 8 Gy. (Livello di Evidenza SIGN 1+).
106
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Recentemente Hartsell et al.13 hanno riportato i risultati emersi dal RTOG trial 9714, che comparava
l’efficacia della singola frazione di 8 Gy rispetto a 30 Gy in 10 frazioni nel trattamento del dolore da
metastasi ossee. Nello studio erano inclusi solo i pazienti con metastasi ossee da neoplasie della mammella e
della prostata e con un’aspettativa di vita superiore ai tre mesi, per mantenere una uniformità della
popolazione in esame e per consentire una valutazione della remissione del dolore relativamente a lungo
termine. (Livello di Evidenza SIGN 1+).
I risultati ottenuti non hanno mostrato differenze statisticamente significative nella remissione completa del
dolore (17% nel gruppo dei 30 Gy vs 15% nel gruppo degli 8 Gy) e nella remissione parziale (49% e 50%
rispettivamente). La tossicità acuta di grado 2-4 è stata significativamente più bassa nel gruppo sottoposto ad
una singola frazione di 8 Gy rispetto ai regimi ipofrazionati (7% versus 17%, rispettivamente; p = 0.002).
La tossicità tardiva (es. incidenza di fratture patologiche) è stata equivalente nei due gruppi (5% in gruppo
degli 8 Gy e 4% nel gruppo dei 30 Gy). Cosi come nel Dutch trial, la percentuale di ritrattamento è stata
significativamente più alta nei pazienti sottoposti a trattamento monofrazionato (18% versus 9%).
Questi risultati sono stati confermati anche da uno studio di fase III pubblicato nel 2006 da Kaasa 14 e da
Arnalot PF et al 68 nel 2008.
Più recentemente Kaasa ha pubblicato i risultati di uno studio che confronta le due modalità di trattamento in
termini di controllo del dolore, tasso di fratture patologiche e compressione midollare. I pazienti sono
statiosservati dall’inizio del trattamento al decesso. La percentuale di ritrattamento per il controllo del dolore
è stata maggiore nei pazienti che avevano ricevuto un'unica seduta di radioterapia rispetto al gruppo di
controllo (27% vs 9% p= 0.02); tuttavia non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra
i due schemi di radioterapia né in termini di efficacia né in termini di fratture patologiche o compressioni
midollari, anche a lungo termine69. (Livello di Evidenza SIGN 1+).
Jackson Sai-Yiu ha pubblicato nel 2003 una metanalisi15 in cui 16 trials presi in esame sono stati suddivisi in
3 categorie: 1) studi di confronto tra frazioni singole di dose differente, 2) studi di confronto tra
frazionamenti singoli vs. multipli, 3) confronto tra frazionamenti multipli di diversa durata. (Livello di
Evidenza SIGN 1++).
1) I due Trial di confronto tra frazione singola di 4 Gy vs 8 Gy hanno dimostrato che la risposta palliativa
globale è significativamente più bassa con 4 Gy per frazione, sebbene non ci siano differenze in termini di
risposta completa.
2) Dall’analisi dei trials di confronto tra singola frazione e regimi multifrazionati non è emersa nessuna
differenza in termini di risposta completa (39.2 vs 40%) e globale (62.1% vs. 58,7).
3) Nessuna differenza significativa è risultata in termini di tossicità acuta tra i diversi schemi di radioterapia.
Un ulteriore studio randomizzato del 2014 condotto da Bayard et al. su 90 pazienti con metastasi ossee ha
confermato assenza di significatività statistica fra il gruppo sottoposto a radioterapia con frazione singola da
8 Gy e il gruppo sottoposto a trattamento multifrazionato (30 Gy in 10 frazioni) in termini di controllo del
dolore, ricalcificazione, tasso di fratture patologiche e reirradiazione106.
Nonostante i numerosi studi randomizzati e le metanalisi che hanno dimostrato l’efficacia terapeutica della
radioterapia monofrazionata, in molti Centri regimi più prolungati continuano a rappresentare lo standard di
trattamento.
Il frazionamento singolo è più comunemente utilizzato in Europa (8-60%), in Canada (18-67%), in Australia
ed in Nuova Zelanda (9-65%). Al contrario di quanto accade negli Stati Uniti d’America ed in Asia dove la
radioterapia in singola frazione è prescritta solo nel 2-20% e 9-39% 84.
Uno studio retrospettivo su oltre 20000 pz trattati negli USA tra il 2005 e il 2011 attingendo dal National
Cancer Data Base ha confermato come la radioterapia monofrazionata sia ampiamente sottoutilizzata nella
pratica clinica (4,7 % vs 95,3%). Dall’analisi multivariata è emerso che i 3 principali fattori correlati con la
somministrazione della monofrazione sono la distanza dal centro di radioterapia, l’anno della diagnosi (con
un incremento della prescrizione degli 8 Gy nel corso degli anni), e il tipo di centro di radioterapia
(universitario o no) 107.
107
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
È probabile che fattori economici possano condizionare la scelta del regime radioterapico.
I più recenti dati di letteratura confermano quanto detto in precedenza. Da una recente metanalisi 85 che ha
valutato ulteriori 5 studi randomizzati rispetto a quelli inclusi nelle precedenti citate 15,20,79, si evince che non
c’è differenza statisticamente significativa nella risposta antalgica tra le due modalità di frazionamento.
(Livello di Evidenza SIGN 1++).
Il tasso di risposta globale al dolore è del 60% (1696/2818) nei pazienti sottoposti alla singola seduta da 8 Gy
e del 61% (1711/2799) in quelli sottoposti a frazionamenti multipli. Diciassette trials hanno riportato il tasso
di risposte complete al dolore su un totale di 5263 pazienti ed anche in questo caso non sono state riscontrate
differenze significative (23% in caso di frazionamento singolo vs 24% di frazionamenti più protratti). Viene
inoltre confermato un trend a favore dei frazionamenti multipli per quanto riguarda l’incidenza di fratture
patologiche e di compressione midollare, sebbene la differenza non sia statisticamente significativa.
In aggiunta, gli autori suggeriscono che la percentuale di ritrattamenti più elevata nel gruppo sottoposto alla
frazione unica, potrebbe essere spiegata da una maggior predisposizione dei medici a ritrattare questi pazienti
rispetto a quelli sottoposti a frazionamenti più convenzionali.
Tabella.2Randomized Trials of Single versus Multiple Fractions: Results
Study
Gaze et al.,
1997
UK (9)
Nielsen et al.,
1998,
Denmark (10)
Steenland et al.,
1999,
Netherlands
(11)
Bone Pain
Working Party,
1999,
UK/New
Zeland (12)
Koswing &
Budach, 1999,
Germany (18)
Kirkbride et al,
2000, Canada
(19)
Hartsell et
al.,2005
USA/Canada
(13)
Kaasa et
al.,2006
Norway/Swede
n (14)
Arnalot et al.,
2008
Spain (68)
Kaasa et al.,
2009
Norway/Swede
n (69)
N° of
Pz (N°
Eval.)
Dose
(Gy/fractons
)
Median
Surviva
l (mo)
Complet
e
Response
Overall
Respons
e
Retrea
t Rate
(%)
Path
Fractures(%
)
265
10/1 vs
22.5/5
NA
37
47
81
76
NA
NA
241
(239)
8/1 vs
20/5
NA
15
15
73
76
21
12
NA
1171
(1073)
8/1 vs
20/5
7
37
33
72
69
25
7
4
2
765(681
)
8/1 vs
20/5
NA
57
58
78
78
23
10
2
<1
No
differenc
e
107
8/1 vs
30/10
NA
33
31
81
78
NA
NA
NA
398
(287)
8/1 vs
20/5
NA
22
29
51
48
NA
NA
NA
949
(898)
8/1 vs
30/10
9.1
9.3
15
18
65
66
18
9
5
4
376
8/1 vs
30/10
9.6
7.9
NA
No
difference
16
4
4
11
10% G 24
17%
p=.002
NA
160
8/1 vs
30/10
NA
13
11
75
86
28
2
NA
(198)18
0
8/1 vs
30/10
NA
NA
NA
27
9
4
5
NA, not available
NS, not statistically significant.
108
Toxicity
21%
p=NS
26%
emesis
No
differenc
e
No
differenc
e
No
differenc
e
NA
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
La questione rimane comunque aperta per quei gruppi di pazienti che potrebbero beneficiare di trattamenti in
più frazioni, in particolare per coloro in cui prevale la componente neuropatica del dolore o vi sia
compressione midollare.
In tal senso Roos et al.86, ha condotto uno studio randomizzato in cui sono stati confrontati i risultati ottenuti
dopo frazione singola da 8 Gy e trattamento di 20 Gy in cinque frazioni in 252 pazienti con dolore
neuropatico causato da lesioni secondarie ossee da primitivo polmonare (31%), prostatico (29%), e
mammario (8%). Il follow-up mediano è stato di 11 mesi (3-77). (Livello di Evidenza SIGN 1+).
La risposta globale è stata maggiore dell’11% nei pazienti sottoposti a trattamento di 20 Gy rispetto al
monofrazionamento (53% vs 64%), sebbene la differenza non sia risultata statisticamente significativa (p =
0.092).
Anche la durata della risposta clinica è stata maggiore in caso di frazionamento e dose maggiore come
dimostrato nella figura seguente.
Gli stessi autori suggeriscono di effettuare un confronto con regimi più protratti come per esempio 30 Gy in
10 frazioni per trarre conclusioni definitive.
È stata recente eseguita un’analisi di un sottogruppo di pazienti arruolati nel protocollo RTOG 97-14 (con
metastasi della colonna vertebrale da neoplasie mammaria e prostatica con aspettativa di vita superiore a tre
mesi) per i quali in genere viene preferito un trattamento in più frazioni a causa della riluttanza nei riguardi
di trattamenti in frazione unica. 87 Centoventiquattro pazienti affetti da metastasi vertebrali dolenti, sottoposti
a trattamenti di 8 Gy in singola frazione, sono stati confrontati con una popolazione omogenea di 111
pazienti, ai quali era stata prescritta una dose di 30 Gy in 10 frazioni. Da quest’analisi emerge che il
trattamento in singola frazione è efficace e sicuro anche in caso di metastasi vertebrali. (Livello di Evidenza
SIGN 1+)
Nonostante queste evidenze, da un’analisi dello studio di Harstell13, emerge che nel sottogruppo dei pazienti
con metastasi della colonna vertebrale, solo il 61% dei pazienti ha sollievo dal dolore parziale o completo a
un mese dalla fine del trattamento. (Livello di Evidenza SIGN 1+)
Il miglioramento delle tecniche di imaging e i più attenti programmi di follow-up stanno consentendo la
diagnosi sempre più precoce di metastasi singole o di numero limitato (oligometastasi).
Questi pazienti con buona prognosi e lunga aspettativa di vita, potrebbero giovarsi di tecniche radioterapiche
più sofisticate e complesse che possano prevenire le complicanze a lungo termine del trattamento stesso e
consentire un controllo prolungato e della malattia e del sintomo.
109
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
La radiochirurgia, la radioterapia stereotassica, l’intensità modulata, ecc.., possono rappresentare opzioni
terapeutiche valide per il trattamento di metastasi della colonna vertebrale in condizioni cliniche ben
selezionate.
La radioterapia stereotassica è una tecnica che consente di somministrare dosi elevate di radiazioni al tumore
in una singola frazione (radiochirurgia) o in poche frazioni (Radioterapia stereotassica frazionata), con un
alto gradiente di dose in modo da ottenere un miglior controllo di malattia e contemporaneamente un
notevole risparmio dei tessuti circostanti.
Il suo impiego è sempre più diffuso nell’ambito delle metastasi ossee in particolare per il trattamento di
metastasi del rachide, situazione clinica in cui la recidiva locale può avere conseguenze irrimediabili e dov’ è
minima la distanza da organi critici come il midollo o l’esofago.
Diversi studi retrospettivi, hanno dimostrato l’efficacia della radioterapia stereotassica nel trattamento delle
metastasi vertebrali con un controllo locale prolungato di malattia e un tasso di risposte variabile dal 70 al
90% in pazienti.
Garg et al 89, ha valutato in uno studio prospettico di fase 1/2 presso l'MD Anderson Cancer Center,
sessantuno pazienti, sottoposti a trattamento radioterapico stereotassico con una singola dose singola di 18
Gy /24 Gy. (Livello di Evidenza SIGN 3)
Con un follow-up di 20 mesi, il controllo locale e la sopravvivenza a 18 mesi sono state rispettivamente del
88% e del 64%, con una sopravvivenza globale a 18 mesi del 64%, e sopravvivenza mediana di 30 mesi.
Non sono state riscontrate differenze significative legate all’ istologia del tumore o la dose erogata.
Due pazienti hanno manifestato eventi avversi di grado 3 o superiore. A 18 mesi l’82% era libero da
progressione di malattia e danni neurologici.
Uno studio recente90 ha valutato i risultati di 31 studi sulla radioterapia stereotassica delle lesioni
metastatiche della colonna. (Livello di Evidenza SIGN 3). Questa tecnica è risultata particolarmente efficace
nel controllo del dolore con un tasso di risposta clinica compresa tra l’85 e il 100%, in alcuni casi anche a
distanza di pochi giorni dal termine della radioterapia. Il controllo locale è stato di circa il 90%.
Degen et al. 91, hanno ottenuto un controllo del 95% in pazienti trattati per un totale di 58 lesioni ossee con
un follow -up di circa 350 giorni.
Risultati incoraggianti sono stati pubblicati recentemente su 149 pazienti affetti da metastasi spinali, senza
compressione del midollo spinale, il 68% già precedentemente sottoposti a radioterapia standard o chirurgia
+/- radioterapia 92. La dose totale prescritta è stata di 27-30 Gy in 3 frazioni. La sopravvivenza libera da
progressione a uno e a due anni e stata rispettivamente dell’80.5% e del 72.4% con una significativa
riduzione del consumo di farmaci oppioidi.
In uno studio prospettico condotto su circa 500 casi, il controllo locale ottenuto con questa tecnica è stato
dell’88-90% con un follow-up mediano di 21 mesi. Il 64% di questi pazienti era stato già sottoposto a
radioterapia standard. 93
Choi et al. 94, ha riportato controllo antalgico a 6 e 12 mesi rispettivamente dell’87% e dell’81% in 42
pazienti precedentemente irradiati a livello della colonna.
Attualmente non c’è consenso sulla dose di prescrizione. In uno studio su 151 casi 95 la dose prescritta è stata
di 26,4 Gy in 3 frazioni al’isodose del 75% in pazienti mai irradiati in precedenza senza effetti collaterali a
livello neurologico.
Nella Overview sul trattamento stereotassico delle metastasi ossee e midollari di Bhattarcharya e Hoskin108
del 2015 la radioterapia stereotassica si conferma un trattamento sicuro ed efficace.
Alla stessa conclusione è giunto il gruppo del MD Anderson Cancer Centre di Nguyen et al109 che ha
trattato con SBRT 55 metastasi spinali da neoplasia renale con 24 Gy in singola frazione, 27 Gy in 3 frazioni
o 30 Gy in 5, riportando ottimi risultati in termini di controllo del dolore e e controllo di malattia ad un
follow up mediano di 13,1 mesi.
Tuttavia, nonostante la vasta esperienza soprattutto statunitense in questa tecnica, non ci sono ancora dati da
trials randomizzati, ed è ancora in corso uno studio di fase III (RTOG 0631 96 ) in cui viene confrontata
l’efficacia nel controllo del dolore e miglioramento della qualità di vita della radioterapia stereotassica per
dosi di 16-18 Gy in singola seduta vs. radioterapia convenzionale alla dose di 8Gy in singola frazione, in
pazienti con metastasi vertebrali della colonna.
Non è da sottovalutare inoltre l’impatto economico sanitario di questa tecnica complessa, che andrebbe
110
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
valutato attentamente per definirne il ruolo nel management del paziente con metastasi ossee. Un recente
ambito di ricerca è proprio quello dell’analisi costo-efficacia del trattamento stereotassico palliativo delle
lesioni secondarie ossee110.
Pertanto la Task Force ASTRO sul trattamento delle metastasi ossee raccomanda l’utilizzo della SBRT
all’interno di trials clinici e comunque non come trattamento primario di lesioni vertebrali determinanti una
compressione midollare111.
1.4 Radioterapia e la prevenzione delle fratture
La radioterapia erogata ad alte dosi esercita un’azione tumoricida sulla lesione ossea bersaglio; ciò determina
la formazione di un tessuto fibroso riparatorio che può andare anche incontro a mineralizzazione. Tuttavia il
neo-tessuto cicatriziale a differenza del fisiologico tessuto osseo manca della tipica microarchitettura
trabecolare responsabile della stabilità e della resistenza alle fratture patologiche. Da un punto di vista
fisiopatologico, si potrebbe quindi affermare che la radioterapia non garantisce una sicura prevenzione delle
fratture.
Tuttavia nella pratica clinica, il rischio di frattura dopo radioterapia è stato stimato essere dell’8%; solo le
dosi più alte sono in grado di attivare la ricalcificazione ossea.3, 18 La remineralizzazione ossea dopo
radioterapia è stata studiata da Koswing e Budach16 misurando la densità dell’osso mediante TAC.
A sei mesi di follow-up la densità dell’osso era incrementata del 173% dopo 30 Gy in 10 frazioni confrontato
con il 120% dopo 8 Gy in singola frazione (p <p.001). In questo studio non è stato tuttavia riportato il rischio
di frattura pretrattamento o il tasso di fratture patologiche dopo radioterapia.
Uno studio non randomizzato pubblicato nel 2004 da Pandit-Taskar et al.19 ha evidenziato che in pazienti
affetti da mieloma con metastasi vertebrali, il tasso di fratture patologiche era molto più alto in pazienti non
sottoposti a radioterapia rispetto a coloro che avevano effettuato il trattamento radiante. (Livello di Evidenza
SIGN 3).
Una metanalisi del 2003 20 ha valutato 11 trials per un totale di 3435 pazienti: (Livello di Evidenza SIGN
1++).
- I pazienti sottoposti a RT in singola frazione hanno presentato una più alta percentuale di ritrattamenti
con il 21,5% vs il 7,4% dei pazienti nel braccio di radioterapia multifrazionata.
- La metanalisi ha analizzato 5 studi (Price 1986’21 Cole 1989’ 22 Nielson 1998’ 10,Steenland 1999’ 11 and
Bone Pain Trial Working Party 1999’ 12) che riportano i risultati relativi alle fratture patologiche su un
totale di 2476 pazienti. L’incidenza di fratture patologiche è stata più alta nei pazienti sottoposti a
radioterapia con frazione singola di 8 Gy (3%) versus quelli trattati con trattamento multifrazionato, 20
Gy in 5 frazioni o 30 Gy in 10 frazioni, (1.6%). La differenza tuttavia non è risultata statisticamente
significativa (p=0.3).
Va tuttavia notato che nella pratica clinica alcuni Radioterapisti Oncologi Italiani, Europei e Americani
continuano ad adottare l’ipofrazionamento (3-30 Gy, 4 – 20 Gy) piuttosto che la dose unica di 8 Gy. Questo
atteggiamento può trovare una spiegazione nel fatto che in genere gli studi randomizzati di fase III a favore
del frazionamento unico non sono considerati definitivi perché non “doppio-ceco” e perché privi di una
valutazione della qualità di vita.
1.5 Ritrattamento
La percentuale di ritrattamento è risultata significativamente più alta dopo trattamento in seduta unica.
In questi casi è infatti maggiore la possibilità di dover reintervenire a causa della maggiore incidenza di
ricomparsa del dolore almeno un mese dopo la fine del primo trattamento. Questo è stato dimostrato negli
studi precedentemente citati11.
La possibilità di effettuare un retreatment va valutata in base alle modalità tecniche del precedente
trattamento e del segmento osseo (in funzione degli organi a rischio esposti).
111
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Rose et al23, in un report relativo al trattamento radiante delle metastasi ossee, suggerisce che una dose
addizionale di 20 Gy con frazionamento standard dopo una dose totale di 30 Gy in 10 frazioni è appropriato
per le lesioni dolenti della colonna vertebrale del tratto toracico e lombare 23.
Hayashi et al24, ha valutato 30 pazienti sottoposti a reirradiazione con dose totale variabile tra 10 Gy in 5
frazioni e 26Gy in 13 frazioni ottenendo una risposta nel 50% dei casi. In particolare per le metastasi
vertebrali hanno adottato 20 Gy in 10 frazioni dopo un trattamento iniziale di 30 Gy.
Gli autori concludono che i pazienti che hanno avuto una risposta completa e più duratura al primo
trattamento in buone condizioni generali, rispondono meglio al retreatment rispetto a coloro che hanno avuto
una risposta parziale o ai non responsivi.
Jeremic et al25, ha dimostrato l’efficacia del ritrattamento con una singola frazione di 4 Gy in 135 pazienti
sottoposti precedentemente a un trattamento monofrazionato. Senza significativa tossicità, il ritrattamento ha
consentito di ottenere una risposta globale nel 73% dei pazienti, completa nel 28%.
In particolare i pazienti che avevano avuto una risposta positiva al primo trattamento presentavano maggiori
vantaggi dopo reirradiazione.
In una recente review 103 sono stati valutati i risultati su 527 pazienti sottoposti a ritrattamento. L’efficacia
della reirradiazione è risultata simile a quella del primo trattamento con un tasso di risposte complete,
parziali e globali del 20%, 50% e 68% rispettivamente, con un beneficio che sembra essere maggiore e più
duraturo in caso di buona riposta alla precedente radioterapia.
La maggior parte dei pazienti è stata sottoposta a un trattamento in singola frazione da 4 a 8 Gy. La tossicità,
riportata in tre degli studi analizzati, è stata prevalentemente diarrea, nausea e vomito di grado lieve.
Dalla’analisi della letteratura la dose ottimale per il retreatment il monofrazionamento sembra essere
appropriato per la reirradiazione delle metastasi ossee.
In uno studio prospettico condotto da Sayed et al., non sono state riscontrate differenze significative fra
l’efficacia di un trattamento in singola frazione o di 20 Gy in 5-8 frazioni 104.
Dati confermati da un recente studio randomizzato di fase III 98 che ha confrontato 118 pazienti sottoposti a
radioterapia in singola frazione versus 135 trattati con frazioni multiple (20 Gy in 5 frazioni) (Livello di
evidenzia SIGN 1 +).
I risultati dello studio hanno evidenziato come non vi sia alcuna differenza significativa tra la singola e le
multiple frazioni nè in termini di risposta al dolore (45% vs 51% p= 0.17), nè in termini di riduzione degli
SRE.
La tolleranza è stata buona in entrambi casi anche se il trattamento in singola frazione è stato gravato da
minori effetti collaterali in particolare in termini di inappetenza e diarrea.Sono stati esclusi dallo studio
pazienti precedentemente trattati a livello del rachide o della pelvi con dosi elevate (24 in 6 frazioni, 27 in 8
frazioni e 30 in 10 frazioni).
Utilizzando il database del sovracitato NCIC Clinical Trials Group Symptom Control (SC.20) per la
valutazione della QoL dei pazienti sottoposti a reirradiazione, è stato riscontrato che una risposta al dolore
corrisponde a un miglioramento della QoL quantificabile mediante l’utilizzo di appositi questionari EORTC
Quality of Life Questionnaire Core 30 (QLC-C30)112.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
Il trattamento antalgico effettuato in fase iniziale della
comparsa del dolore consente di ottenere una maggiore
percentuale di risposta completa.
Positiva Debole
B
Nei pazienti con dolore neuropatico e aspettativa di vita
superiore a 6 mesi (es istologia favorevole e malattia
primitiva controllata), dovrebbero essere preferiti
frazionamenti più protratti (ad es. 5 o 10 frazioni per dosi
totali di 20 o 30 Gy)
Positiva Debole
112
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
2.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
A
Nei pazienti con metastasi vertebrali con scarsa prognosi
una singola frazione di radioterapia è fortemente
raccomandata.
Positiva Forte
D
Per pazienti a buona prognosi, affetti da singole o limitate
lesioni del rachide potrebbe essere indicato l’impiego
delle moderne tecnologie radioterapiche anche dopo
fallimento di trattamenti eseguiti con tecniche
convenzionali.
Positiva Debole
A
Per i pazienti con metastasi ossee dolenti è indicato un
trattamento radiante in seduta unica di 8 Gy.
Positiva Forte
A
La reirradiazione delle metastasi ossee è possibile e
consente di ottenere una palliazione efficace, specie per
pazienti in buone condizioni generali (ECOG 0-1) che
hanno avuto una buona risposta al primo trattamento di
radioterapia. Per questi pazienti è indicato un trattamento
in singola frazione da 8 Gy.
Positiva Forte
Radioterapia della compressione midollare metastatica.
La compressione spinale o meglio definita compressione midollare metastatica (CMM) è una delle più
temibili complicanze dei tumori e se non tempestivamente trattata è la causa di un inesorabile e drammatico
peggioramento della qualità di vita del paziente. Nella sua evoluzione la CMM, è caratterizzata da una
sintomatologia dolorosa ingravescente a cui si associano deficit motori e sensoriali ed incontinenza
sfinterica. Richiede un approccio sinergico tra il medico curante ed il “team” di specialisti (oncologo medico,
radioterapista oncologo, chirurgo, neuroradiologo, algologo), al fine di effettuare una diagnosi precoce ed
improntare una terapia che possa preservare le funzioni del paziente prima che si instauri un danno
neurologico irreversibile. La CMM viene definita come “qualsiasi compressione del sacco durale (midollo
e/o cauda equina) e del suo contenuto da parte di una massa tumorale extradurale. La minima evidenza per
una diagnosi di CMM è la compressione anche solo iniziale della teca a livello della sede responsabile dei
danniclinici (il dolore locale o radicolare eventualmente associato a deficit motori e/o sensoriali e ad
incontinenza sfinterica)” 26. La sede principale di localizzazione è il rachide dorsale (60-80%), seguito dal
lombosacrale (15-30%) e quindi da quello cervicale (< 10%). Un considerevole gruppo di pazienti (10-38%)
presenta alla diagnosi di CMM un interessamento di più metameri 27.
2.1 Sintomatologia
Il dolore (“back pain”) è il sintomo che accompagna la CMM nella quasi totalità dei casi e può precedere di
settimane o mesi la diagnosi strumentale. L’ipostenia è il secondo sintomo in ordine di frequenza e in genere
rappresenta l’evoluzione clinica della sintomatologia dolorosa e prelude alla plegia in un tempo variabile
(ore o giorni). Il deficit sensoriale, meno invalidante rispetto al dolore ed al danno motorio, può essere
sottostimato al momento della diagnosi. I disturbi sfinterici sono spesso associati ai deficit motori e si
sviluppano in genere più tardivamente 26-27.
113
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
2.2 Fattori Prognostici
La diagnosi e la terapia precoci della CMM rappresentano i principali fattori predittivi per la risposta al
trattamento. Infatti i pazienti che alla diagnosi sono in grado di deambulare e non accusano disturbi sfinterici,
hanno una più alta probabilità di mantenere il proprio status e una più lunga sopravvivenza dopo terapia 27-32.
Per questo va sempre posto il sospetto di CMM nei malati oncologici già alla comparsa del dolore anche in
assenza di deficit motori o sensoriali.
I tumori a prognosi più favorevole (carcinoma della mammella e della prostata, mielomi, seminomi e
linfomi) presentano una maggiore percentuale di risposte dopo il trattamento. Ciò sembrerebbe correlato sia
alla minore aggressività biologica di queste neoplasie, sia alla loro maggiore sensibilità alle terapie
oncologiche 28,30,32. I pazienti che presentano la comparsa del danno motorio in un tempo lungo (> 14 giorni)
hanno una prognosi migliore rispetto a coloro in cui il danno neurologico insorge più velocemente 31,33.
2.3 Diagnosi
Il sospetto clinico di CMM deve essere confermato dagli esami di “imaging”. Nei pazienti con metastasi
ossee e dolore al rachide in assenza di deficits neurologici la risonanza magnetica (RM) fa porre diagnosi di
CMM nel 32-35% dei casi 33. La RM ha una sensibilità del 93%, una specificità del 97% ed un’accuratezza
diagnostica complessiva del 95% 34 . Poiché la compressione su più livelli non è un reperto infrequente,
l’esame RM andrebbe effettuato su tutto il rachide 33,34. Radiografia standard e scintigrafia ossea trovano
indicazioni solo in qualche caso; la mielografia è un esame cruento ormai superato dalla RM; la tomografia
computerizzata (TC) può costituire un’alternativa alla RM lì dove quest’esame non sia disponibile. La
tomografia ad emissione di positroni (PET) non rappresenta un test diagnostico da impiegare di routine nella
pratica clinica.
2.4 Trattamento
La chirurgia o la radioterapia da sole o in associazione sono entrambe valide e consentono di ottenere pari
risultati in termini di sopravvivenza e di miglioramento dello stato funzionale del paziente. Gli studi condotti
con l’una o l’altra modalità terapeutica dimostrano come quei pazienti che abbiano conseguito una risposta
neurologica alla terapia, muoiano per la progressione sistemica di malattia piuttosto che per le complicanze
neurologiche della CMM. La decisione terapeutica deve essere quindi individualizzata non essendoci una
dimostrazione certa della superiorità della chirurgia rispetto alla radioterapia30,35,36 .
Terapia steroidea
Comunemente gli steroidi vengono impiegati come primo presidio terapeutico nel paziente con CMM,
questo sia per sfruttare il beneficio nella riduzione dell’edema indotto dal tumore o prevenire quello causato
dalla radioterapia, che per controllare il processo infiammatorio presente nella sede della lesione tumorale 37.
Il desametasone è lo steroide più frequentemente impiegato. Per le dosi si rimanda al paragrafo relativo alla
chirurgia.
Radioterapia
I regimi radioterapici con frazionamenti convenzionali (2 Gy per frazione fino alla dose totale di 30-40 Gy)
oggi sono per lo più abbandonati in favore di trattamenti più brevi (“short-course”) con la somministrazione
di dosi singole più elevate(38-41). Le analisi dei dati della letteratura hanno mostrato la pari efficacia
terapeutica nel controllo del dolore degli ipofrazionamenti rispetto a quelli convenzionali (42,43).
Pur non esistendo studi randomizzati a riguardo, in genere nei pazienti con CMM e aspettativa di vita
superiore a 6 mesi (istologia favorevole, linfoma, mieloma, seminoma e carcinoma di mammella e prostata,
buon performance status, assenza di deficit neurologico e malattia primitiva controllata) si tende ad utilizzare
114
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
ipofrazionamenti del tipo 3 Gy per 10 frazioni fino a 30 Gy in 2 settimane ovvero 4 Gy per 5 frazioni
consecutive fino a 20 Gy. (Livello di Evidenza SIGN 3).
Nei pazienti a prognosi sfavorevole che rappresentano la maggioranza dei casi (aspettativa di vita ≤ 6 mesi),
uno studio Italiano multicentrico ha evidenziato come il bifrazionamento della dose (8 Gy x 2 in una
settimana) sia parimenti efficace e scevro da danno midollare iatrogeno quanto frazionamenti più
prolungati39. Sulla base di questi dati è stato condotto un secondo studio multicentrico randomizzato che ha
confrontato il bifrazionamento (8 Gy x 2) con una singola dose di RT (8 Gy). I risultati pubblicati
recentemente hanno dimostrato l’equivalenza dei due regimi sia in termini di efficacia che di tossicità 40.
(Livello di Evidenza SIGN 1+). In conclusione quindi la somministrazione unica di RT (8 Gy) può essere
considerata il trattamento di riferimento nella maggioranza dei pazienti con CMM e aspettativa di vita ≤ 6
mesi.
La RM è l’esame diagnostico ottimale per l’esecuzione di un migliore trattamento radiante, in quanto è in
grado di identificare sia il danno osseo vertebrale sia quello dei tessuti molli circostanti causa della CMM.
Dopo la radioterapia può presentarsi una recidiva nel 16-25% dei casi, recidiva che spesso (64%) si verifica
nei due corpi vertebrali sopra o sotto la sede della CMM, mentre in una percentuale minore (4-7%) si
presenta in una sede diversa dalla prima compressione (44,47).
Al momento della pianificazione della radioterapia bisogna comprendere nel campo di irradiazione la lesione
ossea e/o paravertebrale con un’estensione caudale e craniale di due vertebre.
Reirradiazione
E’ necessario inoltre controllare nel tempo attentamente i pazienti trattati, programmando prontamente un
nuovo controllo RM laddove possa rilevarsi il sospetto clinico di una nuova CMM e poter valutare
l’esecuzione di una chirurgia o di una reirradiazione. Considerando il potenziale danno iatrogeno midollare
di una reirradiazione è fondamentale selezionare accuratamente i pazienti che possono giovarsene.
La mielopatia indotta da radiazioni ionizzanti può comparire nel giro di mesi o anni (6 mesi – 7 anni) dopo la
prima radioterapia 48. Gli studi sperimentali hanno mostrato come questo danno iatrogeno sia strettamente
correlato alla dose totale erogata nella prima e nella seconda irradiazione, ed all’intervallo di tempo
intercorso tra i due trattamenti (44,48,49). E’ preferibile eseguire una reirradiazione nei pazienti senza deficit
neurologici motori e con neoplasie primitive a prognosi favorevole (tumori della mammella, della prostata,
mielomi, seminomi e linfomi) impiegando schemi terapeutici con frazionamenti convenzionali (2 Gy
frazione fino alla dose totale di 20-24 Gy). (Livello di Evidenza SIGN 4).
Nel caso di pazienti con deficit neurologici (paresi o paraplegia) e neoplasie primitive favorevoli ovvero in
quelli ancora deambulanti ma con istologie primitive sfavorevoli (tumore del polmone, del rene, della sfera
otoiatrica, gastrointestinali, melanomi, sarcomi) può essere ancora proponibile una reirradiazione utilizzando
però regimi di ipofrazionamento (8 Gy in dose unica)50.
La reirradiazione può essere presa in considerazione anche in pazienti anziani, considerando la dose
cumulativa erogata che deve essere < 130 Gy2 . 115
Nuove tecniche di irradiazione come la radiochirurgica stereotassica frazionata (SBRT) con un numero di
frazioni che generalmente va da 1 a 5, rappresenta un’interessante attrattiva terapeutica in quanto consente di
somministrare un’elevata dose al tumore riducendo quella erogata al midollo spinale non coinvolto da
malattia 99,100. La SBRT, che può essere effettuata solo in casi selezionati, deve essere eseguita in strutture
specializzate che abbiamo già maturato esperienza sulla tecnica e richiede una importante collaborazione da
parte del paziente 101,102. (Livello di Evidenza SIGN 3).
In conclusione, su lesioni midollari recidive dopo una prima RT, la reirradiazione con SBRT può essere
considerata dopo un’attenta selezione dei malati.
115
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Chirurgia
La chirurgia va riservata a casi molto selezionati: nella pratica clinica circa il 10% dei malati con CMM 36,
39,51,52
a prognosi favorevole e sopravvivenza maggiore di 6 mesi; sono questi i malati da sottoporre a
chirurgia oltre quelli con frattura patologica responsabile di instabilità della colonna, o con presenza di
frammenti ossei causa di compressione midollare o radicolare o che presentino dubbi diagnostici.
Una recente revisione di letteratura ha analizzato i risultati degli studi di confronto tra chirurgia e RT rispetto
alla sola RT in pazienti con diagnosi di CMM evidenziando un vantaggio sulla sopravvivenza ed sul
miglioramento dello stato ambulatoriale nel gruppo di pazienti sottoposti a terapia combinata (chirurgia e
RT)105. Questa analisi è sicuramente limitata dall’esiguo numero dei dati di letteratura e dalla qualità degli
studi, infatti dei soli 5 trials esaminati per l’analisi statistica, solo 1 è randomizzato e comunque in tutti la
selezione dei pazienti è l’elemento maggiormente criticabile.
Si rimanda al paragrafo della chirurgia e alla tabella che segue per la scelta terapeutica.
TABELLA
Raccomandazioni per il trattamento dei pazienti con compressione midollare metastatica
Steroidi:
Dosi moderate di desametasone (16 mg die parenterale in 2 soministrazioni) dovrebbero essere impiegate al momento
della diagnosi. Da valutarsi dosi più alte in casi selezionati.
Radioterapia esclusiva:
 La Radioterapia è il trattamento da assegnare alla maggior parte dei malati.
 Dosi:
- 8 Gy in dose unica se aspettativa di vita ≤ 6 mesi
- 4 Gy x 5 ovvero 3 Gy x 10 se aspettativa di vita > 6 mesi
Chirurgia seguita da radioterapia:
Chirurgia elettiva

Instabilità della colonna.

Presenza di frammenti ossei causa di compressione midollare o radicolare.

In caso di dubbi diagnostici. *
Chirurgia in casi selezionati

Pazienti in buone condizioni generali con compressione in sede singola ed aggredibile chirurgicamente.

Buon controllo della malattia sistemica.

Lunga aspettativa di vita
Chirurgia esclusiva:

Peggioramento dello stato neurologico durante o dopo la radioterapia.

Compressione midollare metastatica recidiva in una sede precedentemente irradiata e/o
Dove una reirradiazione sia controindicata.
* La biopsia percutanea TC-guidata può essere una valida alternativa alla chirurgia.
116
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
3.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
Per i pazienti con compressione midollare metastatica e
prognosi favorevole è proponibile un trattamento radiante
con un ipofrazionato prolungato del tipo 3-30 Gy .
Positiva Debole
B
Per i pazienti con compressione midollare metastatica e
prognosi sfavorevole è indicato un trattamento radiante in
dose unica (8 Gy).
Positiva Forte
D
Nel caso di compressione midollare metastatica recidivante
dopo radioterapia è possibile la re-irradiazione in pazienti
adeguatamente selezionati.
Se è presente un’istologia associata a prognosi favorevole si
preferisce un trattamento radiante di 2 Gy frazione fino alla
dose totale di 20-24 Gy. Se l’istologia è a prognosi
sfavorevole possono essere utilizzati regimi di radioterapia
quali 8 Gy frazione in dose unica.
Positiva Debole
Radioterapia e bifosfonati
La radioterapia e i bifosfonati sono entrambi efficaci nel trattamento delle metastasi ossee.
In letteratura, vi sono dati che sembrerebbero supportare l’uso combinato di queste due modalità terapeutiche
finalizzato al miglioramento dei risultati ottenuti dai trattamenti somministrati singolarmente.
L’interazione tra radioterapia e bifosfonati, si esplicherebbe attraverso un effetto additivo/ super-additivo e di
cooperazione spaziale.
L’effetto additivo/superadditivo è dovuto all’azione non selettiva della radioterapia che determina un danno
sulle cellule tumorali e osteoclastiche a livello loco-regionale, a cui si aggiunge l’azione “selettiva”
sull’attività degli osteoclasti espletata dai bifosfonati, con conseguente inibizione del riassorbimento osseo,
stimolazione del processo di ricalcificazione e controllo del dolore.
Il meccanismo della cooperazione spaziale giustifica la maggior parte dei trattamenti integrati in ambito
oncologico.
Nel caso delle metastasi ossee, la radioterapia viene impiegata per il controllo locale di una lesione mediante
palliazione del dolore e prevenzione della morbidità scheletrica, mentre i bifosfonati, che agiscono a livello
sistemico, riducono la progressione ossea a distanza.
Studi in vitro hanno inoltre dimostrato un’azione antitumorale sinergicae non semplicemente additivadella
radioterapia e dell’acido zoledronico su cellule di carcinoma mammario 70, prostatico e su cellule di mieloma
71
.
I meccanismi che spiegherebbero tale sinergia non sono completamente conosciuti.
Ural ha recentemente dimostrato, mediante analisi citometrica di flusso, che l’esposizione di cellule di
mieloma multiplo all’acido zoledronico rallenta la progressione nel ciclo cellulare attraverso la fase S e
determina un blocco in fase G2-M, momenti in cui le cellule sono molto sensibili alle radiazioni 72.
L’effetto radio-sensibilizzante dei bifosfonati potrebbe inoltre derivare dall’inibizione degli enzimi coinvolti
nella pathway del mevalonato, la cui attività porta alla modifica post-traduzionale (prenilazione) di alcune
proteine GTP dipendenti, quali Ras, Rho e Rac.
È stato infatti dimostrato che l’iperespressione cellulare di Ras determina una maggiore resistenza alle
radiazioni73 e che, al contrario, l’inibizione dell’attivazione di questa proteina determinerebbe un effetto
radio sensibilizzante sia in linee cellulari murine sia in cellule tumorali umane 74.
117
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
In questo senso l’uso concomitante di radioterapia e bifosfonati potrebbe migliorare l’outcome dei pazienti
con metastasi ossee.
L’efficacia dell’applicazione concomitante di radioterapia e bifosfonati è stata valutata su modelli animali.
Il primo studio è stato condotto da Krempien R.75, il quale ha dimostrato che l’associazione di clodronato con
la radioterapia incrementa la densità e la stabilità dell’osso in animali con metastasi da carcinosarcoma.
Un secondo studio ha valutato l’efficacia della somministrazione concomitante di acido zoledronico e
radioterapia. Il trattamento combinato determinava un significativo incremento della densità dell’osso e dei
parametri microstrutturali (processo di ricalcificazione e stabilizzazione), valutata radiologicamente e al
microscopio, rispetto al gruppo di controllo sottoposto alla sola radioterapia 76.
Un recente studio randomizzato su 40 pazienti con metastasi ossee ha valutato l’impatto dell’utilizzo
combinato di bifosfonati e radioterapia sul turnover della matrice ossea organica riscontrando la capacità
dell’acido zoledronico di contrastare l’effetto distruttivo della radioterapia sulla stessa, azione ritenuta
responsabile, a lungo termine, delle fratture patologiche radioindotte. Ciò è stato valutato misurando i livelli
urinari di idrossilisilpiridinolina e lisilpiridinolina, la cui escrezione è significativamente ridotta nei pazienti
sottoposti a radioterapia e acidozoledronico113.
Da un’analisi della letteratura solo pochi studi hanno analizzato l’eventuale beneficio clinico della
combinazione fra radioterapia e bifosfonati.
Uno studio di fase II ha valutato, su 52 pazienti con metastasi ossee osteolitiche da vari tipi di tumori,
l’associazione di radioterapia a fasci esterni (36-40 Gy) e ibandronato 4 mg somministrato in maniera
concomitante e sequenziale. (Livello di Evidenza SIGN 3)
In questi pazienti è stata ottenuta una significativa riduzione del dolore, valutato mediante scala analogica
visiva (VAS), da 8 a 1, nelle successive 8 settimane dal termine del trattamento combinato con conseguente
riduzione del consumo di analgesici, valutato secondo la scala WHO (Analgesic Intake Scale, 0= non
analgesici; 1= antiinfiammatori non steroidei; 2= oppioidi settimanali; 3 morfina) da 3 a 1.
Inoltre è stata osservata una ricalcificazione completa e parziale delle metastasi nel 31% e nel 46%
rispettivamente 77.
Kouloulias riporta risultati sovrapponibili in uno studio clinico effettuato in 33 pazienti affette da metastasi
ossee da neoplasia mammaria, sottoposte a radioterapia (30 Gy in 10 frazioni) e pamidromato 180 mg/ev
ogni mese per 24 mesi, dimostrando un miglioramento clinico-strumentale dopo 6 mesi di terapia rispetto al
controllo basale in termini di controllo del dolore, densità ossea, KPS, markers biochimici di riassorbimento
osseo e qualità di vita 78. (Livello di Evidenza SIGN 3)
Vassiliou ha valutato la risposta clinica e radiologica su 45 pazienti sottoposti a radioterapia (30-40 Gy) e a
ibandronato (6 mg) somministrato mensilmente per 10 mesi. (Livello di Evidenza SIGN 3)
Già dopo 3 mesi lo score medio del dolore, valutato secondo la VAS, era ridotto da 6.3 a 0.8 punti (p<001)
con il 68.9% dei pazienti con risposta completa e il 31.1% con risposta parziale (con un tasso di risposta
globale al dolore del 100%).
A 10 mesi di follow-up, lo score medio si riduceva ulteriormente a 0.5 punti con l’80% dei pazienti in
risposta completa e conseguente miglioramento della qualità di vita e del performance status.
Per nessun paziente è stato necessario ricorrere ad un re-treatment, evenienza quest’ultima non infrequente e
che si verifica sia dopo radioterapia con singola frazione sia dopo trattamenti frazionati rispettivamente nel
20% e nell’8% 79.
Parallelamente a questa eccellente risposta clinica, la rivalutazione radiologica mediante TC evidenziava
nella sede delle metastasi un incremento della densità del 20 % a 3 mesi e del 73% a 10 mesi rispetto alla
valutazione basale, segno evidente di ricalcificazione 80.
Questi risultati sono stati confermati in uno studio condotto dagli stessi autori su 52 pazienti suddivisi in base
al tipo di metastasi osteolitiche, osteoaddensanti e miste (litiche e addensanti).
Il beneficio clinico in termini di risposta antalgica, qualità di vita e performance status, era riscontrato in tutti
i pazienti indipendentemente dalle caratteristiche delle metastasi.
Uno studio randomizzato su un totale di 139 pazienti ha confrontato i risultati ottenuti con l’impiego di una
singola frazione di 8 Gy versus 6 Gy associando in entrambi i casi la somministrazione di acido zoledronico
(4 mg ev in 15 min di infusione). (Livello di Evidenza SIGN 1+)
118
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Non sono state riscontrate differenze tra i due gruppi in termini di controllo del dolore, consumo di
analgesici e qualità di vita, sebbene la somministrazione di dosi maggiori (8Gy) si associava ad una
maggiore sopravvivenza libera da eventi scheletrici 81.
Recentemente Atahan L. et al. hanno pubblicato uno studio randomizzato condotto su 100 pazienti affette da
neoplasia mammaria, che ha confrontato l’efficacia di trattamento radiante ad alte dosi, somministrato in due
settimane, rispetto ad un trattamento a dosi ridotte erogato in una sola settimana associando in entrambi i casi
la somministrazione di acido zoledronico 4 mg ogni mese dall’inizio della radioterapia. (Livello di Evidenza
SIGN 1+) Nessuna differenza statisticamente significativa è stata osservata tra i due gruppi in termini di
risposta al dolore e durata della stessa, dimostrando che anche dosi ridotte di radioterapia quando associate ai
bifosfonati consentono di ottenere gli stessi risultati clinici di trattamenti più protratti 82.
Kijima T et al, in uno studio retrospettivo su 23 pazienti affetti da metastasi ossee da carcinoma del rene,
hanno confrontato la sola radioterapia, effettuata su 10 pazienti, con il trattamento concomitante con acido
zoledronico (13 pazienti). (Livello di Evidenza SIGN 3)
L’end point primario è stato quello di valutare la risposta clinica delle lesioni metastatiche mediante TC a
distanza di 6-9 mesi dal termine della radioterapia, definendo come risposta completa la scomparsa della
mestastasi e come risposta parziale la ricalcificazione maggiore del 50%.
L’end-point secondario consisteva nel valutare gli eventi scheletrici quali fratture patologiche, compressione
midollare, necessità di re-treatment o interventi chirurgici.
Sei dei pazienti sottoposti al trattamento integrato hanno presentato una risposta parziale, mentre solo un
paziente nel gruppo trattato con radioterapia ha ottenuto un miglioramento clinico-strumentale.
Inoltre, solo un paziente del gruppo trattato con acido zoledronico ha presentato un evento scheletrico,
rispetto ai 10 dei 13 pazienti sottoposti al solo trattamento radiante 83 .
In tutti gli studi precedentemente citati la combinazione è stata ben tollerata.
In generale la radioterapia non determina tossicità severe e, inoltre, gli effetti collaterali dei bifosfonati,
rappresentati da astenia, mialgie, febbre e disturbi gastroenterici, sono in genere di lieve entità, che non si
sovrappongono a quelli della radioterapia stessa.
4.
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
D
Allo stato attuale delle conoscenze, la combinazione di
radioterapia e bisfosfonati in pazienti con metastasi ossee
prolunga la sopravvivenza libera da eventi scheletrici e la
durata delal risposta al dolore rispetto alla sola
radioterapia.
Positiva Debole
Terapia radio metabolica
La maggior parte dei pazienti con metastasi ossee presenta lesioni multiple.
In presenza di metastasi ossee diffuse la radioterapia a fasci esterni deve essere erogata su campi ampi. Ciò
incrementa notevolmente il rischio di effetti collaterali sistemici, in particolare gastroenterici ed ematologici
che ne limitano le indicazioni.
La radioterapia metabolica si basa sull’utilizzo di radionuclidi somministrati per via orale o parenterale in
grado di localizzarsi specificatamente nel sito delle metastasi e di emettere radiazioni ionizzanti in un
percorso molto limitato. In pazienti con malattia metastatica estesa la radioterapia metabolica, data la sua
distribuzione sistemica, rappresenta quindi una valida opzione terapeutica.
I radiofarmaci possono essere distinti in oncotropi e osteotropi.
119
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
I primi hanno un’affinità specifica per le cellule neoplastiche, come ad esempio lo Iodio 131, utilizzato a fini
diagnostici e terapeutici nei tumori differenziati della tiroide, e la meta-iodio-benzilguanidina (MIBG),
precursore delle catecolamine, impiegata nei tumori neuroendocrini e nei feocromocitomi.
I secondi non hanno affinità con il tessuto neoplastico, ma si localizzano nelle sedi di rimaneggiamento osseo
dove possono espletare l’effetto antalgico e un’azione diretta antitumorale. Per eseguire la terapia
metabolica, è necessario effettuare una scintigrafia ossea con difosfonati che permette di evidenziare le sedi
di rimaneggiamento osseo.
I requisiti essenziali del radiofarmaco ideale per la cura delle metastasi ossee sono:
- Selettiva captazione da parte delle metastasi;
- Rapida clearance dai tessuti molli e dall’osso sano;
- Emissione di energia compresa tra 0.8 e 2 MeV;
- Biodistribuzione simile a quella dei difosfonati;
- Limitato irraggiamento del midollo osseo;
- Emivita fisica maggiore o uguale all’emivita biologica;
- Pronta disponibilità e costi ragionevoli.
Nel 1940, Pecher C., utilizzò con successo 8 mCi di 89-stronzio cloruro (Sr-89) per lenire il dolore di un
paziente affetto da metastasi ossee oteoblastiche da neoplasia prostatica. 53
Circa 10 anni dopo, Friedell impiegò con buona risposta il 32-Fosforo-ortofosfato (P-32) nel trattamento di
metastasi ossee da neoplasia mammaria. 54
I radiofarmaci più comunemente utilizzati nella pratica clinica sono il fosforo-ortofosfato (P-32), lo Stronzio89 (Sr-39), il Samario-EDTMP (Sm-153) e il Renio-HEDP (Re-186) le cui caratteristiche sono riportate nella
seguente tabella:
Caratteristiche fisiche dei principali radionuclidi utilizzati per il dolore osseo di natura metastatica
Radionuclide Emivita
(giorni)
Sr-89
50.5
Emissione
(MeV)
0,583
β
di
energia Range tissutale Emissione di fotoni γ
(mm)
(KeV)
6.7
-
P-32
14.28
0.695
7.9
-
Sm-153
1.95
0.2
3.4
103
Re-186
3,8
0.349
4.7
137
4.1 Fosforo-ortofosfato (P-32)
Il P-32 fu introdotto per il trattamento palliativo del dolore da metastasi ossee più di 50 anni fa.
Il decadimento avviene avviene con esclusiva emissione beta di energia media di 0.695 MeV. Possiede
un’emivita fisica di 14,3 giorni. Si lega, in scambio con il calcio, ai cristalli di idrossiapatite con lento turnover. Nel corso del suo decadimento induce un danno genetico sulle cellule che producono molecole
coinvolte nella modulazione del dolore, compresi i linfociti.
Somministrato per via orale o più frequentemente per via parenterale, viene escreto prevalentemente per via
renale. È stato molto utilizzato fino agli anni ’80. Attualmente trova scarsa utilizzazione per l’elevata
incidenza di tossicità midollare (terapia trasfusionale può essere necessaria nel 30% dei pazienti). 55
120
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
4.2 Stronzio cloruro (Sr-89)
È un isotopo analogo del calcio che somministrato per via parenterale, viene rapidamente incorporato nei
cristalli di idrossiapatite della matrice inorganica dell’osso. Decade con emissione β di energia media di
0.583, possiede un’emivita fisica di 50,5 giorni.
La radioterapia con SR-89 è indicata principalmente nella terapia delle metastasi ossee da carcinoma
prostatico ormonorefrattario. L’up-take delle lesioni metastatiche è circa 10 volte superiore a quella dell’osso
sano. L’escrezione della quota non fissata avviene entro 48 ore, l’80% per via renale, il 20% per via
gastrointestinale 56.
Gli effetti collaterali da terapia con Stronzio sono prevalentemente di tipo ematologico con una riduzione dei
leucociti e delle piastrine che si manifesta a 5-7 settimane dal trattamento. La dose assorbita dal midollo
corrisponde a circa un decimo di quella assorbita a livello delle metastasi. La tossicità è dose dipendente.
I dati sull’efficacia del trattamento riscontrabili in letteratura sono molto variabili.
La probabilità di risposta è associata al tempo di comparsa delle metastasi ossee; la risposta è superiore nei
pazienti con localizzazioni presenti da più tempo, migliore performance status e con lesioni di tipo
osteoblastico 57.
Non sembra che l’età o il grading istologico abbiano un impatto significativo sulla risposta alla terapia, anche
se in alcuni casi le neoplasie indifferenziate sono meno responsive.
La risposta antalgica completa è in media del 33%, quella parziale del 50%; si manifesta di solito dopo il
terzo giorno dal trattamento, e comunque entro il 25° giorno, ed ha una durata media di 6 mesi. 58
Pochi giorni dopo la somministrazione del radiofarmaco, il 5-10% dei pazienti avverte un soggettivo
aumento del sintomo noto come flare reaction in genere ben controllato con analgesici.
In letteratura sono stati publicati due studi randomizzati di fase III che hanno messo a confronto la terapia
con Sr-89 e la radioterapia a fasci esterni.
Quilty et al ha confrontato il trattamento radiante a fasci esterni, eseguita su 152 pazienti, con la radioterapia
metabolica con Sr-89 somministrato alla dose di 200 MBq, effettuata su 153 pazienti; non ha riscontrato
alcuna differenza in termini di palliazione del dolore, tossicità e sopravvivenza mediana tra i due gruppi. 59
(Livello di Evidenza SIGN 1+)
Anche Oosterhof ha confrontato la radioterapia a fasci esterni con la somministrazione di Sr-89, in 203
pazienti affetti da neoplasia prostatica metastatica ormonorefrattaria. (Livello di Evidenza SIGN 1+). La
percentuale di risposta al dolore è stata simile nei due gruppi così come il tempo alla progressione. Nessuna
differenza è stata riscontrata i termini di tossicità. 60
Alcuni studi hanno dimostrato una maggiore efficacia della radioterapia metabolica associata a farmaci
antiblastici.In uno studio randomizzato in doppio cieco di fase III condotto su 70 pazienti affetti da metastasi
ossee da neoplasia prostatica ormono-refrattaria 61(Livello di Evidenza SIGN 1+) l’associazione della
radioterapia con Sr-89 al cisplatino ha ottenuto una percentuale maggiore di risposte rispetto al trattamento
con Sr-89 e placebo. La risposta globale al dolore (completa, parziale, e minima) è stata rispettivamente del
91% vs il 63% (p<0.01) dei pazienti.
La durata mediana dell’effetto antalgico è stata inoltre significativamente maggiore nel gruppo di pazienti
trattati con il cis-platino (120 giorni vs 60; P=0.002). Nessuna differenza statisticamente significativa è stata
riscontrata tra i due gruppi in termini di sopravvivenza globale e di tossicità.
Risultati analoghi sono stati ottenuti con il carboplatino in pazienti con neoplasia prostatica e mammaria 62.
Tu et al, in uno studio randomizzato condotto su 72 pazienti con neoplasia prostatica, ha dimostrato un
incremento del time to progression (13.9 vs 7.0 mesi) e della sopravvivenza globale (28 mesi vs 17) con Sr89 associato alla doxorubicina rispetto alla sola doxorubicina 63. (Livello di Evidenza SIGN 1+)
Non sono riportate tuttavia valutazioni riguardo alla qualità di vita dei pazienti. Neutropenia e anemia sono
state più comuni nei pazienti sottoposti a terapia combinata (Sr-89 + doxorubicina).
Due studi randomizzati hanno valutato l’associazione della terapia radiometabolica alla radioterapia a fasci
esterni. Porter et al 64, hanno ottenuto una risposta completa del dolore a 3 mesi pari al 40% nei pazienti
sottoposti a radioterapia a fasci esterni e somministrazione di Sr-89 (68 pazienti), ed al 23% in quelli trattati
con la sola radioterapia esterna (58 pazienti). (Livello di Evidenza SIGN 1+).
121
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Inoltre la terapia combinata ha comportato una riduzione del consumo di analgesici e una minore incidenza
di dolore in altre sedi. Tuttavia in un altro studio, condotto da Smeland et al, non è stata riscontrata una
differenza statisticamente significativa in termini di risposta antidolorifica tra il gruppo sottoposto a
radioterapia a fasci esterni e Sr-89 (46 pazienti) rispetto a quelli trattati con sola radioterapia a fasci esterni
(49 pazienti) 65. (Livello di Evidenza SIGN 1+)
4.3 Samario-EDTMP (Sm-153)
Il samario 153 è un lantanide prodotto a partire dal samario 152 per irradiazione neutronica. Ha un’emivita
fisica di 46,27 ore ed emette particelle β con energia media di 255 KeV. Nel corso del processo di
decadimento, emette anche radiazioni γ di 103 KeV di energia, che possono essere rilevate con gammacamera, il che consente di effettuare anche una scansione scintigrafia dopo la somministrazione della dose
terapeutica. Non possiede proprietà osteotrope intrinseche per cui per consentire la sua penetrazione nel
tessuto osseo deve essere coniugato a farmaci con tropismo osseo, quali i difosfonati (etilene-diamino-tetrametilen-difosfonato EDTMP). Questo complesso si localizza nelle aree a maggior turn-over osseo.
Dopo la somministrazione per via parenterale meno dell’1% rimane in circolo dopo 5 ore. Circa il 65% della
dose rimane nello scheletro. L’escrezione urinaria completa si ha dopo circa 6 ore dalla somministrazione.
Può essere utilizzato per il trattamento di metastasi ossee osteoblastiche di diversi tumori. Viene
generalmente somministrato alla dose di 37 MBq/Kg (1 mC/kg) e non esistono evidenze che dosi maggiori
portino ad un incremento qualitativo o di durata dell’analgesia 66.
Il controllo del dolore si raggiunge in 7-28 giorni con percentuali di risposte che variano nelle diverse
casistiche dal 60 al 75% con un intervallo che va da 4 a 36 settimane dalla singola somministrazione.
Presenta una discreta tossicità midollare tale da limitare la ripetizione di cicli nel 60% dei pazienti. Il
vantaggio dell’impiego del Sm-153 rispetto al Sr-89 è legata alla più breve emivita del primo composto con
conseguente minore tossicità. Entrambi i radiocomposti sono efficaci nel controllo del dolore, sebbene non
esistono studi randomizzati che ne confrontano l’impiego clinico.
Non ci sono esperienze in letteratura che confrontano l’efficacia della somministrazione del Sm-153 con la
radioterapia a fasci esterni.
4.4 Renio-HEDP (Re-186)
Il Re-186 è un radionuclide β-emittente con energia media di 0.349 MeV. Decade con emivita fisica di 89,3
ore emettendo il 9% di radiazioni γ con energia di 137 KeV.
Come il Samario con possiede proprietà osteotrope, per cui è necessaria la combinazione con l’etildronato
(HEDP), un difosfonato utilizzato in ambito clinico per la cura dell’osteoporosi e per il dolore neoplastico.
Oltre il 50% viene eliminato poche ore dopo la somministrazione.
Uno studio randomizzato in doppio cieco ha valutato l’efficacia del Re-186 rispetto al placebo in pazienti
con metastasi ossee da neoplasia prostatica67.
La percentuale di risposte è stata del 65% nel gruppo dei pazienti trattati con il radionuclide rispetto al 36%
dei pazienti sottoposti a placebo.
Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i due gruppi in termini di sopravvivenza
globale.
Uno studio randomizzato di fase III condotto da Sciuto et al, ha evidenziato una percentuale di risposte
globale al dolore del 92% in pazienti affette da metastasi ossee da carcinoma mammario, sovrapponibile al
valore ottenuto nelle pazienti sottoposte a terapia con Sr-89 anche se la risposta era più precoce nelle pazienti
sottoposte a terapia con Re-186 61.
La tossicità è prevalentemente ematologica. Il nadir piastrinopenico si ha tra la IV e la VI settimana e quello
leucopenico alla V settimana.
122
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
4.5 Radium-223 chloride
Radium-223 chloride è un farmaco sperimentale in sviluppo per i pazienti affetti da tumore e da metastasi
ossee. Il farmaco è un calcio mimetico, che emette particelle alfa e che mima il comportamento del calcio
all'interno del corpo. Ha dimostrato in un recente studio di fase III, randomizzato e in doppio cieco,
controllato verso placebo condotto in pazienti affetti da tumore alla prostata con metastasi ossee refrattario
alla castrazione chimica e, alcuni dei quali, alla chemioterapia con docetaxel, di incrementare la
sopravvivenza, il tempo alla comparsa del primo SRE e di ridurre il dolore osseo 114. (Livello di Evidenza
SIGN 1+).
I risultato dello studio Alsympca hanno portato all’approvazione EMA e più recentemente AIFA
dell’Alpharadin con l’indicazione al “trattamento di soggetti adulti affetti da carcinoma prostatico resistente
alla castrazione, con metastasi ossee sintomatiche e senza metastasi viscerali note”, e, con tale indicazione, è
pertanto divenuto disponibile anche in Italia.
4.6 Aspetti gestionali e radioprotezionistici
Uno degli aspetti organizzativi più importanti di cui si deve tenere conto nella programmazione dei
trattamenti di terapia radiometabolica è rappresentato dalla modalità di ricovero dei pazienti in cura.
I radiofarmaci emettono fotoni e radiazioni beta e vengono eliminati per via renale e intestinale.
Ciò rappresenta un rischio di esposizione a radiazioni ionizzanti per la popolazione sana a contatto con il
paziente e di contaminazione ambientale (smaltimento dei rifiuti radioattivi).
E’ quindi estremamente importante che siano definite delle regole chiare che indichino quando sia possibile
effettuare la terapia radiometabolica in regime ambulatoriale e, in caso di ricovero, quando sia possibile
dimettere il paziente.
Tali regole devono garantire che l’eventuale irradiazione di individui della popolazione a contatto con i
pazienti sia mantenuta entro livelli “accettabili”, inferiori ai limiti di dose fissati dalla legislazione vigente.
I radiofarmaci impiegati nel trattamento delle metastasi ossee hanno una emivita molto ridotta ed emettono
radiazioni beta, con un’emissione fotonica di minima entità. Ciò comporta trascurabili rischi di irradiazione
esterna della popolazione sana, irrilevante contaminazione ambientale, e necessità di ricovero solo per
paziente incontinenti. La terapia delle metastasi scheletriche dunque può essere eseguita in regime
ambulatoriale purchè vengano rispettate alcune norme nei 7 giorni successivi alla somministrazione quali:
attenzione alla igiene personale; utilizzo di lenzuola, bicchieri, piatti, e posate personali; lavaggio separato di
biancheria e corredi personali. E’ inoltre opportuno che il paziente eviti di avvicinare donne in stato
interessante o bambini piccoli (neonati o adolescenti).
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
La radioterapia metabolica è efficace nel controllo del
dolore nei pazienti con multiple metastasi ossee al pari
della radioterapia a fasci esterni, con indicazione specifica
nel
carcinoma
prostatico
ormono-refrattario
plurimetastatizzato.
Positiva Forte
B
La radioterapia metabolica associata alla chemioterapia
ottiene un maggiore controllo del dolore rispetto alla sola
chemioterapia, con un potenziale incremento della
tossicità ematologica.
Positiva Forte
123
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Qualità
dell’evidenza
SIGN
Raccomandazione clinica
Forza della
raccomandazione
clinica
B
L’aggiunta della terapia radiometabolica alla radioterapia
a fasci esterni non è raccomandabile in quanto non
aumenta la probabilità di controllo del dolore
Negativa Debole
B
Sr-89 è opzione di prima scelta terapeutica nei pazienti
affetti da carcinoma della prostata resistente alla
castrazione, con malattia scheletrica
Positiva Forte
B
Il radium-223 chloride è opzione di prima scelta
terapeutica nei pazienti affetti da carcinoma della prostata
resistente alla castrazione, con malattia scheletrica
Positiva Forte
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128
129
Diagnosi di
metastasi ossea
non complicata
Indicazione per: acido zoledronico o
denosumab o pamidronato (sempre
con supplementazione –
raccomandazione positiva forte)
anche in assenza di dolore (1++).
Questi farmaci hanno dimostrato di
ritardare gli SRE e la comparsa del
dolore
No
Dolore
osseo
Si
Indicazione per: acido zoledronico o
denosumab o pamidronato (1++)
(sempre in associazione alla
supplementazione con vitamina D e
calcio- raccomandazione positiva
forte-), in associazione con la
radioterapia a scopo antalgico (1++).
Questi farmaci hanno dimostrato di
ritardare gli SRE e di ridurre il dolore.
Prima di iniziare questi farmaci
indicata visita odontoiatrica preventiva
ed eventuale bonifica del cavo orale.
La durata ottimale della terapia
farmacologica non è a tutt’oggi
completamente definita.
Sono suggerite le stesse
strategie indicate per le
metastasi non complicate
con o senza dolore (1++)
No
Metastasi ossea complicata
(compressione spinale o
frattura imminente)
Si
La radioterapia e/o la
chirurgia dovrebbero essere
prontamente considerate,
quando appropriate (1++)
L’acido zoledronico o il
denosumab o il pamidronato
sono indicati poichè
ritardano la comparsa del
primo e dei successivi SRE
(1++)
L’acido zoledronico o il
denosumab o il pamidronato
sono indicati poichè ritardano
la comparsa del primo e dei
successivi SRE. (1++)
No
Precedente SRE:
radioterapia,
chirurgia ortopedica
Si
L’acido zoledronico o
il denosumab o il
pamidronato sono
indicati poichè
ritardano la
comparsa dei
successivi SRE (1++)
TRATTAMENTO DELLE METASTASI SCHELETRICHE (MAMMELLA)
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
14. Figure
130
Diagnosi di
metastasi ossea
non complicata
Indicazione per: acido zoledronico o
denosumab (sempre con
supplementazione –raccomandazione
positiva forte) anche in assenza di
dolore (1++). Questi farmaci hanno
dimostrato di ritardare gli SRE e la
comparsa del dolore.
No
Dolore
osseo
Si
Indicazione per: acido zoledronico o
denosumab (1++) (sempre in
associazione alla supplementazione
con vitamina D e calcioraccomandazione positiva forte-), in
associazione con la radioterapia a
scopo antalgico (1++). Questi farmaci
hanno dimostrato di ritardare gli SRE e
di ridurre il dolore. Prima di iniziare
questi farmaci indicata visita
odontoiatrica preventiva ed eventuale
bonifica del cavo orale. La durata
ottimale della terapia farmacologica
non è a tutt’oggi completamente
definita.
Sono suggerite le stesse
strategie indicate per le
metastasi non complicate
con o senza dolore (1++).
No
Metastasi ossea complicata
(compressione spinale o
frattura imminente)
Si
La radioterapia e/o la
chirurgia dovrebbero essere
prontamente considerate,
quando appropriate (1++)
L’acido zoledronico o il
denosumab sono indicati
poichè ritardano la
comparsa del primo e dei
successivi SRE (1++).
L’acido zoledronico o il
denosumab sono indicati
poichè ritardano la comparsa
del primo e dei successivi
SRE. (1++).
No
Precedente SRE:
radioterapia,
chirurgia ortopedica
Si
L’acido zoledronico o il
denosumab sono indicati
poichè ritardano la
comparsa dei successivi
SRE (1++).
TRATTAMENTO DELLE METASTASI SCHELETRICHE
(PROSTATA- RESISTENTE ALLA CASTRAZIONE)
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Diagnosi di
metastasi ossea
non complicata
131
No
Indicazione per: denosumab (sempre
con supplementazione –
raccomandazione positiva debole)
anche in assenza di dolore (4;
raccomandazione positiva forte).
Dolore
osseo
Si
Indicazione per: denosumab (4;
raccomandazione positiva debole)
(sempre in associazione alla
supplementazione con vitamina D e
calcio- raccomandazione positiva
forte-), in associazione con la
radioterapia a scopo antalgico (1++).
Questi farmaci hanno dimostrato di
ritardare gli SRE e di ridurre il dolore.
Prima di iniziare questi farmaci
indicata visita odontoiatrica preventiva
ed eventuale bonifica del cavo orale.
La durata ottimale della terapia
farmacologica non è a tutt’oggi
completamente definita.
Sono suggerite le stesse
strategie indicate per le
metastasi non complicate
con o senza dolore (4;
raccomandazione positiva
debole).
No
Metastasi ossea complicata
(compressione spinale o
frattura imminente)
Si
La radioterapia e/o la
chirurgia dovrebbero essere
prontamente considerate,
quando appropriate (1++) Il
denosumab è indicato poichè
ritardano la comparsa del
primo e dei successivi SRE
(4; raccomandazione positiva
forte).
Il denosumab è indicato (4,
raccomandazione positiva
debole).
No
Precedente SRE:
radioterapia,
chirurgia ortopedica
Si
Il denosumab è indicati (4,
raccomandazione positiva
debole).
TRATTAMENTO DELLE METASTASI SCHELETRICHE (PROSTATA- ORMONOSENSIBILE)
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Diagnosi di
metastasi ossea
non complicata
132
No
Indicazione per: acido zoledronico o
denosumab (sempre con
supplementazione –raccomandazione
positiva forte) anche in assenza di
dolore (1-).
Dolore
osseo
Si
Indicazione per: acido zoledronico o
denosumab (1-) (sempre in
associazione alla supplementazione
con vitamina D e calcioraccomandazione positiva forte-), in
associazione con la radioterapia a
scopo antalgico (1++). Questi farmaci
hanno dimostrato di ritardare gli SRE e
di ridurre il dolore. Prima di iniziare
questi farmaci indicata visita
odontoiatrica preventiva ed eventuale
bonifica del cavo orale. La durata
ottimale della terapia farmacologica
non è a tutt’oggi completamente
definita.
Sono suggerite le stesse
strategie indicate per le
metastasi non complicate
con o senza dolore (1-).
No
Metastasi ossea complicata
(compressione spinale o
frattura imminente)
Si
La radioterapia e/o la
chirurgia dovrebbero essere
prontamente considerate,
quando appropriate (1++)
L’acido zoledronico o il
denosumab sono indicati
poichè ritardano la
comparsa del primo e dei
successivi SRE (1-).
L’acido zoledronico o il
denosumab sono indicati (1-)
No
Precedente SRE:
radioterapia,
chirurgia ortopedica
Si
L’acido zoledronico o il
denosumab sono indicati (1-)
TRATTAMENTO DELLE METASTASI SCHELETRICHE (ALTRI TUMORI SOLIDI)
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
15. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE
QUESITO 1: Nelle pazienti in post-menopausa operate per carcinoma mammario in trattamento con
inibitori dell’aromatasi è raccomandabile l’impiego di denosumab verso bifosfonati?
RACCOMANDAZIONE:
Nelle pazienti in post-menopausa operate per carcinoma mammario in trattamento con inibitori
dell’aromatasi il trattamento con denosumab può essere utilizzato.
Forza della raccomandazione: Positiva Debole
Motivazioni/Commenti al bilancio Beneficio/Danno:
A fronte di un positivo effetto sulla prevenzione e recupero della massa ossea (BMD) non vi sono dati
sull’effetto antifratturativo e non vi sono dati di vantaggio rispetto alla terapia con bisfosfonati. Inoltre, non
si conosce cosa possa accadere al metabolismo osseo dopo la sospensione di denosumab
Votazione forza raccomandazione
Positiva
forte
Positiva
debole
Negativa
debole
3
2
Votazione bilancio Beneficio/Danno
Negativa
forte
Favorevole
Incerto
Sfavorevole
5
Implicazioni per le ricerche future:
Maggiori informazioni sull’impiego a lungo termine di denosumab
Qualità delle Evidenze
La qualità delle evidenze è stata giudicata dal panel BASSA in quanto tali evidenze derivano da confronti
indiretti. Non esistono infatti studi clinici randomizzati di confronto diretto tra denosumab e acido
zoledronico. La mancanza del dato riguardante l’effetto del trattamento sulla prevenzione delle fratture
osteoporotiche rende il dato di qualità basso. I dati non sono maturi in quanto il follow-up adeguato non è
stato ancora raggiunto dallo studio. Carenza di analisi per intenzione al trattamento.
Qualità globale delle evidenze: BASSA
Questa raccomandazione è stata prodotta con metodo GRADE. In appendice online: quesito clinico
all’origine della raccomandazione, votazione della criticità degli outcome, tabella GRADE completa e
caratteristiche del panel.
133
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
QUESITO 2: Nelle pazienti affette da carcinoma mammario con metastasi ossee alla prima diagnosi è
raccomandabile l’impiego di denosumab verso bifosfonati?
RACCOMANDAZIONE:
Nelle pazienti affetta da carcinoma mammario con metastasi ossee alla prima diagnosi il trattamento con
denosumab può essere utilizzato.
Forza della raccomandazione: Positiva Debole
Motivazioni/Commenti al bilancio Beneficio/Danno:
A fronte di un profilo di sicurezza comparabile con i bifosfonati vi è un vantaggio nella riduzione degli SRE
e nel tempo al primo SRE
Votazione forza raccomandazione
Positiva
forte
Positiva
debole
Negativa
debole
Votazione bilancio Beneficio/Danno
Negativa
forte
Favorevole
5
Incerto
Sfavorevole
5
Implicazioni per le ricerche future:
Maggiori informazioni sull’impiego a lungo termine di denosumab
Qualità delle Evidenze
La qualità delle evidenze è stata giudicata dal panel MODERATA in quanto la meta-analisi valutata
includeva anche studi di fase II.
Qualità globale delle evidenze: MODERATA
Questa raccomandazione è stata prodotta con metodo GRADE. In appendice online: quesito clinico
all’origine della raccomandazione, votazione della criticità degli outcome, tabella GRADE completa e
caratteristiche del panel.
134
Allegato: Tabelle GRADE evidence profile
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Author(s): MC
Date: 2012-07-04
Question: Nelle pazienti affette da carcinoma mammario con metastasi ossee alla prima diagnosi è raccomandabile l’impiego di denosumab verso bifosfonati?
Settings:
Bibliography: Wong, 2012 Cochrane Review; Stopeck (2010), J Clin Oncol 28:5132-5139
Valutazione della qualità
Numero di pazienti
Effetto
Qualità
Importanza
Numero di
Altre
Relativo
Disegno
Risk of bias Inconsistency Indirectness Imprecision
Denosumab Bifosfonati
Assoluto
studi
considerazioni
(95% CI)
SRE (SRE definite come frattura patologica dell’osso, trattamenti radioterapici su osso, chirurgia su osso e compressione della spina dorsale) (Stopeck, 2010)
Studi clinici
Non
Non
Non
519/1267 633/1078 RR 0.78 (0.72 129 in meno per 1000 (da 88

3
Importante1
Nessuna2
CRITICA
randomizzati
importante
importante
importante
(41%)
(58.7%)
a 0.85)
in meno a 164 in meno)
MODERATA
Insufficienza renale (follow-up mediana 34 mesi)
Studi clinici
Non
Non
Non
Non
2/1026
26/1020 RR 0.08 (0.02 23 in meno per 1000 (da 17 in

1
Nessuna
CRITICA
randomizzati 3
importante
importante
importante
importante
(0.19%)
(2.5%)
a 0.33)
meno a 25 in meno)
ALTA
ONJ (follow-up mediana 34 mesi)
Studi clinici
Non
Non
Non
Non
14/1026
20/1020 RR 0.7 (0.36 a 6 in meno per 1000 (da 13 in

1
Nessuna
CRITICA
randomizzati 3
importante
importante
importante
importante
(1.4%)
(2%)
1.36)
meno a 7 in più)
ALTA
Ipocalcemia
Studi clinici
Non
Non
Non
Non
56/1020
34/1013 RR 1.62 (1.07 21 in più per 1000 (da 2 in più

1
Nessuna
IMPORTANTE
randomizzati 3
importante
importante
importante
importante
(5.5%)
(3.4%)
a 2.45)
a 49 in più)
ALTA
1
La meta-analisi prende in considerazione anche studi di fase II, che di norma non sono potenziati per valutare una possibile differenza tra due gruppi
2
Ad oggi esistono solo tre studi che trattano con Denosumab pazienti affette da carcinoma mammario con metastasi ossee. Il fenomeno del publication bias, in questo caso, è molto poco probabile.
3
I risultati derivano dallo studio Stopeck, 2010
136
LINEE GUIDA TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
Author(s): MC
Date: 2012-06-29
Question: Nelle pazienti in post-menopausa operate per carcinoma mammario in trattamento con inibitori dell’aromatasi è raccomandabile l’impiego di denosumab verso bifosfonati?1
Settings:
Bibliography: Ellis (2008), J Clin Oncol 26:4875-4882
Valutazione della qualità
Numero di pazienti
Effetto
Qualità Importanza
Numero di
Altre
Disegno
Risk of bias Inconsistency Indirectness Imprecision
Denosumab Placebo
studi
considerazioni
2
3
Fratture osteoporotiche (follow-up 12 mesi ; valutato con: fratture delle vertebre)
Studi clinici
Non
Non
1
Importante4
Importante5
Nessuna
123
122
randomizzati
importante
importante
3
6
bone mineral density (follow-up 12 mesi ; valutato con: DXA con Hologic or Lunar (at 12 mesi) ; range: 0%-100%)
Studi clinici
Non
Non
1
Importante4
Importante5
Nessuna
123
122
randomizzati
importante
importante
Insufficienza renale
Relativo
(95% CI)
Assoluto
-
-
-
Mean Difference 5.5 in più7

BASSA
CRITICA

IMPORTANTE
BASSA
CRITICA
ONJ
CRITICA
Ipocalcemia (follow-up 12 mesi3; valutato con: analisi di laboratorio)
Studi clinici
Non
Non
2/129
2/120 RR 0.94 (0.13 to 1 in meno per 1000 (da 15 in 
1
Importante4
Importante5
Nessuna
IMPORTANTE
randomizzati
importante
importante
(1.6%)
(1.7%)
6.54)8
meno a 92 in più)
BASSA
1
La ricerca bibliografica per il confronto richiesto non ha prodotto nessun risultato perciò si è preso in considerazione il confronto: Denosumab vs placebo
2
Non sono stati riportati dati relativi alle fratture vertebrali
3
Il periodo di osservazione dello studio era di 24 mesi ma i dati relativi a tale follow-up non sono ancora maturi. Per tale motivo si riportano i risultati relativi a 12 mesi di follow-up.
4
L’analisi è stata condotta usando il metodo: Last Observation Carried Forward. Questo metodo può introdurre bias nella stima dell’effetto del trattamento e potrebbe sottostimare la variabilità della stima dei
risultati
5
Denosumab è confrontato con placebo e non con bifosfonati
6
Percentuale relativa alla differenza rispetto al baseline
7
Non è stato possibile calcolare l’intervallo di confidenza in quanto non è stato riportato il valore del p-value esatto.
8
Calcolato sulla base del numeri di eventi verificati
137