Sicurezza, efficacia, versatilità: qmd® ovvero… il laser-farmaco “È arrivato il momento di considerare la fotobiomodulazione alla stregua di un farmaco?” Questa domanda, provocatoriamente posta da Tina Karu in un editoriale pubblicato su Photomedicine and Laser Surgery del 2013, ha rappresentato l’impulso iniziale della laboriosa attività di ricerca di cui il dispositivo qmd® rappresenta oggi il risultato concreto. Perché, tra le varie forme di terapia fisica oggi utilizzate, la laserterapia rappresenta quella con le più solide basi scientifiche, essendo ben note le interazioni della luce con molecole, cellule e tessuti del corpo umano, al punto da poter definire – pur con certi limiti – una vera e propria “farmacocinetica” (i.e., gli effetti del corpo umano) e “farmacodinamica” (i.e., gli effetti sul corpo umano) della radiazione laser: e tuttavia, nonostante tali solide basi scientifiche, ancora 3 anni fa si percepiva un gap con le applicazioni pratiche, che oggi qmd® intende colmare. Sicurezza, efficacia, versatilità: non si può pretendere di più e non si può accettare di meno da un farmaco, e come un farmaco il dispositivo è stato progettato, definendone la posologia e i limiti di tollerabilità per le diverse indicazioni terapeutiche, ma anche riservando uno spazio appropriato all’expertise dell’operatore nella gestione del programma. Di seguito, in sintesi e senza scendere in tecnicismi – e tuttavia anche con l’intento di fare chiarezza su alcuni “falsi” messaggi liberamente circolanti – alcuni degli elementi determinanti nel rendere il progetto- qmd® al tempo stesso un prodotto esclusivo ed un punto di partenza condiviso per avviare una nuova stagione delle applicazioni della laserterapia in Medicina Riabilitativa. 1. Superamento del paradigma della “risposta bifasica alla dose” Funzionale per descrivere sistemi semplici, il modello che individua una soglia della curva irradianza/tempo di irradiazione oltre la quale gli effetti da bio-stimolanti diverrebbero bioinibitori (legge di Arndt-Schulz, regola di Hueppe, equazione LILAB …) non è sufficiente a spiegare gli svariati effetti osservati in vivo. Infatti, tale soglia non è identica per tutti i tipi cellulari, né per tutti i processi cellulari (cfr per esempio Alves et al., Arthritis Research & Therapy, 2013; Sayed & Dyson, Lasers in Surgery & Medicine, 1996). Pertanto, fatta salva la necessità di superare un livello minimo di intensità (sotto il quale neanche un’esposizione prolungata può determinare effetti biologici), per una data combinazione di irradianza e tempo di somministrazione possono determinarsi, in tipi cellulari diversi, differenti effetti sui vari processi (divisione cellulare, espressione genica, secrezione di citochine …). Nel contesto clinico, mentre vi sono circostanze in cui l’effetto terapeutico auspicabile è in effetti l’esaltazione di una determinata attività molecolare o cellulare, in altre può esserne al contrario l’inibizione. Ad esempio, la divisione cellulare dei fibroblasti può rappresentare un processo favorevole in alcuni tipi di lesioni o fasi del processo post-lesionale, mentre in altri casi potrebbe essere vantaggiosa un’attenuazione della proliferazione cellulare. Pertanto, nella progettazione del dispositivo qmd® si è voluto superare la contrapposizione tra laser a “bassa” e ad “elevata” intensità al fine di sfruttare appieno la versatilità della radiazione laser, considerando potenzialmente terapeutici sia gli effetti “bio-stimolanti” che quelli bioinibitori”. In questo senso, la combinazione dei parametri relativi all’irradiazione (“la Medicina”, secondo gli esperti della University of Massachusetts”) e alla dose (“la Posologia”), ovvero energia erogata e/o tempo di irradiazione) è stata stabilita sulla base del processo patologico oggetto del trattamento e del meccanismo terapeutico auspicato (ad esempio, antiinfiammatorio oppure rigenerativo), facendo primariamente riferimento agli studi in vitro sulle risposte dei diversi tipi e processi cellulari a determinati livelli di irradianza e tempi di irradiazione. 2. Profondità d’azione: non una questione di potenza È noto che la distribuzione (densità) di energia nell’area sottostante al punto di applicazione varia in funzione della distanza (sia in profondità che trasversalmente), divenendo progressivamente inferiore in relazione a due fenomeni che avvengono simultaneamente (assorbimento e scattering). Per quanto illustrato precedentemente, esisterà inevitabilmente anche un “gradiente” quali-quantitativo degli effetti biologici risultanti in vivo. Questa attenuazione della densità di energia, lungi dall’essere fenomeno in qualche modo evitabile, ha dato tuttavia spunto alla diffusione di messaggi perlopiù di natura commerciale relativi alla possibilità di ovviare al problema attraverso l’utilizzo di potenze maggiori. Tuttavia, deve essere ben presente che l’incremento di “penetrazione” legato all’utilizzo di una maggiore potenza non è affatto ad essa proporzionale, essendo il fattore di attenuazione identico! Ai fini terapeutici, ciò che può essere di interesse è la profondità alla quale il livello di energia resta sufficiente ad indurre un effetto fotobiochimico; tale profondità dipende dall’irradianza in superficie e dal fattore di attenuazione nei tessuti più superficiali (che resta costante al variare della potenza). Pertanto, se ipotizziamo che una data irradianza garantisca il mantenimento della capacità biostimolante fino a 1 cm e che a tale profondità l’attenuazione sia del 90%, raddoppiando la potenza avremo che alla stessa profondità l’energia residua sarà (… forse) doppia, e tuttavia pochi millimetri oltre cadrà sotto la capacità biostimolante: tutto questo a fronte di una irradianza doppia in superficie, con rischio di danno tissutale. Per ovviare a potenziali effetti istotossici superficiali e per ottimizzare la penetrazione, il dispositivo qmd® adotta diversi espedienti: un disegno razionale della geometria del sistema, con utilizzo di distanziatori proporzionati in modo tale da ridurre lo scattering e favorire una maggiore trasmissione agli strati profondi; per gli stessi motivi, la scelta di lunghezze d’onda elevate – quindi dotate di maggiore capacità di penetrazione – all’interno della finestra terapeutica; la somministrazione contemporanea di più lunghezze d’onda, in proporzioni fissate in modo tale da sfruttare effetti ottici come il photobleaching e la saturazione favorendo una maggior penetrazione delle lunghezze d’onda desiderate (in analogia a meccanismi 2 utilizzati in farmacologia, come l’inibizione competitiva: si veda anche il punto successivo). 3. Specificità d’azione: più complesso di quanto sembri Altro messaggio fuorviante è quello relativo alla “specificità” di determinate lunghezze d’onda per certe molecole o effetti terapeutici. L’affinità di una molecola per una lunghezza d’onda è legata, nel caso dell’infrarosso, a quante “porzioni” della molecola hanno la possibilità di mutare livello di energia vibratoria attraverso l’assorbimento di un fotone dotato di quella particolare frequenza; in un ristretto intervallo di lunghezze d’onda, una molecola è “cromoforo” per molte lunghezze d’onda, ma con affinità diverse. In vivo tuttavia, una data lunghezza d’onda può determinare effetti fotobiochimici in molte molecole presenti nel tessuto irradiato, tutti “potenziali” cromofori: pertanto, ci sarà una sorta di “competizione” tra cromofori il cui esito (ovvero il grado di assorbimento da parte di ciascuna molecola) dipenderà da un processo stocastico, probabilistico, legato all’affinità, alla numerosità e alla distribuzione di tali molecole nel volume trattato. Quindi un’elevata concentrazione di cromofori “parassiti” superficialmente ai cromofori “target” rischia di impedire l’assorbimento utile ai fini terapeutici. Tra i primi, come noto, nella finestra ottica di nostro interesse vi sono principalmente l’acqua, l’emoglobina e la melanina. Tra i secondi, ad esempio, molecole libere nello spazio interstiziale (molecole che si liberano nelle lesioni o nelle infiammazioni e che possono agire come neurotrasmettitori provocano dolore), oppure presenti sulle membrane oppure all’interno di alcuni tipo cellulari (pensiamo ai canali ionici trans-membrana, a fattori di trascrizione o alla citocromo-C ossidasi mitocondriale). Tali molecole-target, se in grado di assorbire la radiazione somministrata, potranno essere responsabili in base alla localizzazione (extracellulare vs transmembrana o intracellulare) rispettivamente di effetti “diretti”, dipendenti perlopiù da fattori quantitativi (energia somministrata, tempo di somministrazione), con ricaduta prevalentemente sintomatica, o di effetti “mediati” dall’esaltazione/ attenuazione di un processo cellulare, dipendenti perlopiù – ma non solo – da fattori qualitativi (i parametri di irradiazione), con ricaduta prevalentemente terapeutica. In sostanza quindi, contrariamente a quanto avviene in vitro, in vivo avvengono contemporaneamente ed inevitabilmente numerosi processi fotobiochimici di natura ed entità molto differente tra di loro, alcuni del tutto indifferenti ai fini clinici oppure potenzialmente di ostacolo (per effetti indesiderati, come l’eccessivo incremento termico, o semplicemente in quanto “parassiti”), alcuni potenzialmente favorevoli, altri potenzialmente sfavorevoli. Non è perciò corretto attribuire ad una singola lunghezzad’onda per se una specificità relativa ad un determinato effetto biologico: piuttosto, in base alle sue note affinità per potenziali cromoforitarget, lo scopo primario della programmazione laser sarà quello di modulare i parametri qualitativi e quantitativi dell’irradiazione in modo da rendere vantaggioso il rapporto tra tutti questi fenomeni. Considerata la sua rilevanza in rapporto al meccanismo d’azione, nel dispositivo qmd® il ruolo primario è stato attribuito alla scelta della lunghezza d’onda, che viene quindi determinata in 3 base all’affinità della molecola-target; tuttavia come vedremo questo non è l’unico principio adottato. Innanzitutto, la lunghezza d’onda 1120 nm è stata introdotta – assoluta novità sul mercato per l’elevata affinità di molecole come serotonina sostanza P, dopamina ed istamina, coinvolte a vario titolo in processi tissutali legati ad infiammazione, contrattura muscolare, lesione cellulare, dolore ed alterazioni della permeabilità vascolare. Avendo nei confronti dell’acqua affinità pressochè identica alla più nota lunghezza d’onda 1064 nm, la somministrazione contemporanea delle due in modalità pulsata (multiple synchronized pulsing) consente di utilizzare la seconda come “distrattore”, minimizzando l’effetto parassita dell’acqua. Inoltre, attraverso una corretta scelta dei parametri relativi alla pulsazione in rapporto al tempo di decadimento termico dei tessuti superficiali e profondi (Thermal Relaxation Time), diviene possibile minimizzare gli effetti collaterali a favore di quelli terapeutici (in questa modalità di somministrazione entrano in gioco anche gli effetti ottici descritti al punto precedente). Pertanto, la disponibilità di 3 lunghezze d’onda (la terza, 808 nm, scelta per l’elevata affinità per il complesso citocromo-C ossidasi) e la loro erogazione simultanea nelle proporzioni più appropriate all’obiettivo terapeutico rappresenta il secondo fattore di versatilità, efficacia e “relativa” specificità del dispositivo qmd®. A rinforzare ulteriormente il carattere di specificità della programmazione, sono state considerate le evidenze scientifiche relative all’influenza dei parametri temporali dell’irradiazione sulla varietà degli effetti fotobiochimici osservati in vivo. Quando sia noto il carattere frequenziale o costante del processo cellulare oggetto del trattamento (cfr Mantineo et al., Journal of Biomedical Optics, 2014; Barolet et al., Journal of Biomedical Optics, 2014) si è stabilito di includere specifiche frequenze di pulsazione (o in alternativa la modalità continua). Al contrario, quando non sia nota una frequenza preferenziale ma piuttosto un range di frequenze efficaci per determinati effetti terapeutici (cfr Hashmi et al., Lasers in Surgery & Medicine, 2010), si è introdotta una modalità esclusiva di scansione frequenziale definita harmonic pulsation. La scansione è caratterizzata dal mantenimento costante del valore della Pulse Intensity Fluence, fondamentale a garantire efficacia (effetti riparativi o antiinfiammatori) e sicurezza (prevenzione degli effetti istotossici) attingendo alla massima potenza di picco erogabile e sfruttando l’intero range frequenziale terapeutico. L’operatore più esperto potrà forse considerare l’ampia disponibilità di programmi pre-impostati come un plus rinunciabile: tuttavia, è comunque disponibile una personalizzazione tanto dei parametri relativi all’irradiazione che al dosaggio. L’auspicio è che la “trasparenza” dei programmi dia impulso anche ad un confronto tra le esperienze personali e quanto codificato nel dispositivo, in modo da favorire – unitamente all’importazione regolare nel software, da parte del gruppo di supporto scientifico del progetto, delle future, prevedibili novità della ricerca – una progressiva e condivisa evoluzione delle conoscenze. Infine, sono meritevoli di menzione – ma non c’è spazio per discuterne approfonditamente – due ulteriori aspetti innovativi: la disponibilità di una termocamera per l’identificazione delle aree di impegno flogistico (e della sua profondità): un ausilio che promette di potenziare ulteriormente l’efficacia 4 terapeutica consentendo di focalizzare in modo preciso e affidabile la fase anti-infiammatoria del trattamento qmd®; la possibile integrazione con il modulo di termoterapia (crioterapia, ipertermia, shock termico): non solo un utile complemento (specie nelle situazioni post-traumatiche, ma anche nelle patologie infiammatorie sistemiche e nelle fasi acute delle artropatie degenerative), ma un dispositivo valido anche autonomamente. 5