Elisabetta Sirgiovanni Tutta colpa del cervello: un`introduzione alla

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RECENSIONI&REPORTS recensione Gilberto Corbellini ‐ Elisabetta Sirgiovanni Tutta colpa del cervello: un’introduzione alla neuroetica Mondadori, Milano 2013, pp. 272, € 18 Lo studio del cervello e di come esso produce i comportamenti affronta […] sempre più direttamente, sul piano teorico e pratico problemi generali e specifici riguardanti le dimensioni individuali e sociali delle scelte e delle azioni umane. G. Corbellini, E. Sirgiovanni Il volume di Gilberto Corbellini ed Elisabetta Sirgiovanni (CS) si inserisce nel filone di quei lavori che indagano fondamento la natura e epistemologico il della neuroetica, una disciplina che riceve il suo battesimo ufficiale nel 2002, durante, l’ormai celeberrimo, convegno di San Francisco, dal titolo Neuroethics: Mapping the field. Come ricorda Adina Roskies, questo campo di studi può avere due articolazioni principali: in quanto etica delle neuroscienze esso si propone il compito di indicare i limiti che devono essere rispettati (osservati) dai neuroscienziati impegnati nella loro attività clinica (e di ricerca); in quanto neuroscienze dell’etica esso va a investigare le basi neurobiologiche del senso morale, cercando di gettare luce su problematiche (in precedenza) tipicamente filosofiche come la natura della volontà umana, del libero arbitrio o la costruzione dei giudizi morali. Le scoperte rese possibili dagli strumenti di visualizzazione dell’attività encefalica (neuroimaging), le tecniche di stimolazione cerebrale diretta (ad esempio la deep brain 216 S&F_N. 11_2014 stimulation), le tecnologie di interfaccia cervello computer (BCI) hanno condotto a un crescente interesse verso questo complesso settore di studi e hanno dato vita a un massiccio dibattito che ha, talvolta, trasceso il perimetro della discussione scientifica. Si sono venute, così, profilando forme di neuromania (l’uomo può essere ricondotto interamente a ciò che le neuroscienze ci mostrano) o, altrettanto discutibili, forme di neurofobia (le indagini sul cervello aprirebbero lo scenario di una complessiva disumanizzazione dell’essere umano). CS partono da queste premesse e, a partire da esse, articolano una riflessione che tocca tutti i punti caldi del dibattito in corso. Neuromania e neurofobia costituiscono, ad avviso degli autori, due modalità, altrettanto deprecabili, di distorsione dei problemi sollevati dalle indagini neuroscientifiche. Infatti «l’idea che le neuroscienze possano già ora spiegare riduzionisticamente ogni aspetto del comportamento e, dall’altro, la paura che le neuroscienze sottraggano potere (anche accademico) alla psicologia e agli approcci più intuitivi nell’esame del comportamento umano – sono il frutto di fraintendimenti storico‐filosofici, che dipendono da un difetto di contestualizzazione dei temi affrontati sotto l’ombrello semantico di questo nuovo punto di vista interdisciplinare» (p. XII). Il volume di CS offre nel panorama delle pubblicazioni italiane e internazionali sulla neuroetica, elementi nuovi e di estremo interesse dal momento che costituisce uno dei primi tentativi di tracciare i limiti e l’intervallo di validità delle indagini sul cervello a partire da una prospettiva coerente e organicamente articolata: quella evoluzionistica. Di conseguenza esso rappresenta tra le prime significative imprese di critica della ragione neuronale. La neuroetica, nella prospettiva di CS, può fungere da contesto teorico entro cui far maturare una «filosofia minimamente coerente con la realtà» (p. 179) contesto nel quale, tra l’altro, sia 217 RECENSIONI&REPORTS recensione possibile recuperare l’ancoraggio dell’etica a una base empirica solida. Molto spesso, infatti, il richiamo alla «ghigliottina di Hume», poi ripresa da Moore con la sua «fallacia naturalistica», costituisce l’alibi per disancorare l’etica da un’indagine sulla natura umana condotta empiricamente. Cs ricordano, attraverso un’articolata presentazione, come tutta una serie di concetti impiegati in ambito morale e giuridico: io, coscienza, persona, sentimento morale, responsabilità, imputabilità, etc. vadano profondamente rivisti, proprio alla luce delle recenti scoperte sul funzionamento cerebrale. In particolare, l’inquadramento euristico offerto dalla prospettiva neuroevoluzionistica consente di approcciare in maniera inedita i temi canonici della filosofia della mente. Ad esempio, se partiamo da una base evoluzionistica non possiamo suggerire, come l’eliminativismo ha provato a fare, che i concetti impiegati dalla psicologia di senso comune vanno (semplicemente) cassati e sostituiti con concetti elaborati a partire dai dati delle neuroscienze; dobbiamo, invece, comprendere quali strategie evolutive hanno portato, ad esempio, alla strutturazione di un concetto come quello di io o di persona, nonostante a questi concetti sembri non corrispondere nulla (dal punto di vista empirico). In altri termini, più rilevante è capire quale vantaggio dal punto di vista evoluzionistico hanno rappresentato i concetti di io e persona (o quello di responsabilità individuale e di imputabilità) piuttosto che cercare di sostituirli, sic et simpliciter, con altri concetti. È chiaro come questa prospettiva dischiuda scenari finora non percorsi (quantomeno in maniera organica), proponendosi come preludio per una critica della ragione neuronale che andrà sviluppata articolatamente in lavori a venire [critica della ragione neuronale anche nel senso che, vista la mole ormai significativa di dati che provengono dall’indagine neuroscientifica (nonostante sia ancora assente una teoria 218 S&F_N. 11_2014 unificata della mente‐cervello pienamente coerente e coesa in ogni sua parte), la ragione, opportunamente informata dal punto di vista empirico (scientifico), da cui ragione neuronale, può indagare i suoi stessi bias cognitivi e i suoi stessi meccanismi di funzionamento (generando una sorta di circolo neuro‐
ermeneutico)]. Di fatto, sono gli stessi bias cognitivi che conducono a rappresentare il mondo così come ce lo rappresentiamo a divenire oggetto specifico di trattazione. Si potrebbe suggerire, non senza una certa forza suggestiva, che alle tre idee della dialettica trascendentale kantiana di Dio, mondo e anima si offrono (ora) all’attenzione, specularmente, i tre bias cognitivi di io (Self), libertà del volere e responsabilità individuale (imputabilità), concetti che si sono strutturati grazie ai vantaggi evolutivi che arrecavano agli individui nella loro vita comunitaria. A partire da questa cornice concettuale nel capitolo 7, ad esempio, si cerca di inquadrare il ruolo che l’inganno e l’autoinganno giocano nella strutturazione dei legami sociali. In particolare, l’idea di un io trasparente a se stesso può consentire di dare significanza ai contratti sociali e alle promesse, le quali sarebbero messi in crisi dal riconoscimento (e da un comportamento coerente e conseguente a esso) dell’inconsistenza di concetti quali quello di io, persona e responsabilità individuale. Seguendo questi spunti non è difficile immaginare perché la neuroetica sia vista come un’opportunità per la bioetica e la filosofia nel suo complesso: opportunità di uscire dalle secche di un dibattito in cui si ravvisa una perdurante spaccatura tra scienza da un lato, e valori e morale dall’altro (pp. VII‐XIX; pp. 1‐19). Tale profilo, tra l’altro, consentirebbe di ritornare a quella che era l’impostazione originaria della bioetica, poi tradita dal successivo sviluppo della disciplina. 219 RECENSIONI&REPORTS recensione Non è (certo) un caso che una questione che sembra poter uscire dal cul‐de‐sac in cui si è cacciata, entro il perimetro della riflessione bioetica, è quella dello human enhancement in cui ai fautori del potenziamento umano si oppongono i suoi critici. Se ci muoviamo all’interno di una prospettiva puramente morale, ovvero cerchiamo di risolvere il problema articolando delle argomentazioni morali raffinate (a sostegno o contro il potenziamento) che, però, non tengono in debito conto il piano empirico, siamo destinati a un avvitamento senza fine. Se, al contrario, cerchiamo di capire quali sono le basi evolutive di determinate caratteristiche comportamentali possiamo valutare, di volta in volta, se ci sono le condizioni per operare interventi di potenziamento (pp. 73‐100). Essendo la nostra attuale configurazione genotipica un prodotto (per lo più) del Pleistocene non è improbabile che tra essa e l’ambiente che (oggi) ci circonda vi possano essere delle dissonanze (rilevanti). Da qui spesso la necessità di interventi correttivi in grado di mettere il nostro genotipo nella condizione di implementare un fenotipo comportamentale adeguato all’ambiente attuale. Oppure, ancora, lo scontro, che (fino a ora) si è giocato sul piano teorico tra fautori della deontologia e fautori del conseguenzialismo, o tra i “seguaci” dell’emotivismo e “supporter” del razionalismo in etica potrebbe essere rivisto (e verificato) alla luce nelle analisi neuroetiche (pp. 101‐135). Le scoperte, ottenute (soprattutto) grazie alle tecniche di neuroimaging funzionale (pp. 21‐46) sulla coscienza ci portano, ad esempio, a ritenere che questo concetto «così come lo usiamo, cioè riferito a un’entità sovraordinante e dotata di potere causale, sembrerebbe non avere senso» (p. 132). Parimenti l’inquadramento delle azioni individuali come effetto di un agente che, in virtù della libertà del suo volere, decide di fare x piuttosto che y va revisionata (profondamente). 220 S&F_N. 11_2014 Questo può avere delle conseguenze sul piano giuridico, andando a incidere sui concetti di capacità di intendere e di volere, intenzionalità dell’atto (che configurerebbe la mens rea), responsabilità individuale e imputabilità che, (soprattutto) nell’ambito del penale risultano dirimenti (pp. 137‐172). In definitiva, le nuove scoperte sul cervello gettano luce sulla “natura umana” e consentono di creare le premesse per la costruzione di una filosofia delle neuroscienze che abbia nell’indagine empirica la sua costante bussola di orientamento e, tutto ciò, seguendo una suggestione kantiana, perché qualsiasi indagine (di ordine filosofico) sull’uomo è vuota se non parte da una base empirica solida, ma tale base empirica rischia di rimanere cieca se non le si dà una direzione, un inquadramento precipuo. Il volume di Corbellini e Sirgiovanni assolve egregiamente a questo compito e disegna una prospettiva di ricerca che, negli anni a venire, sarà certamente punto di riferimento ineludibile per chiunque voglia confrontarsi con questi temi. LUCA LO SAPIO [email protected] 221 
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