Eduardo - CLEAN edizioni

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modelli, compagni di strada e successori
a cura di
Francesco Cotticelli
modelli, compagni di strada e successori
Francesco Cotticelli insegna Discipline dello Spettacolo presso il Dipartimento
di Lettere e Beni Culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli. Si è
occupato a lungo di Commedia dell’Arte e di temi teatrali sei-settecenteschi,
con particolare riferimento a Napoli. Ha pubblicato, tra l’altro, i volumi Le
istituzioni musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734),
Napoli 1993, «Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli», Milano 1996, The
Commedia dell’Arte in Naples. A Bilingual Edition of the 176 Casamarciano
Scenarios = La Commedia dell’Arte a Napoli. Edizione bilingue dei 176
Scenari Casamarciano, New York-London 2001, Dell’arte rappresentativa
premeditata, ed all’improvviso, New York-London 2008 (edizione bilingue del
trattato di Andrea Perrucci del 1699). Cura anche una Storia della musica e
dello spettacolo a Napoli, di cui nel 2009 è apparso il primo volume, dedicato al
Settecento.
Eduardo
Eduardo
I saggi contenuti nel volume si propongono di contestualizzare in maniera
ampia e approfondita un’esperienza particolare nella storia del teatro
napoletano e universale, ricostruendo i percorsi di formazione del grande
attore e commediografo al cospetto di modelli attoriali e di mentori letterari
d’eccezione, guardando alla sua scrittura scenica come processo di
sedimentazione di una prassi militante del teatro entro e oltre un orizzonte
immateriale, rivalutando l’apporto di quelle figure che hanno lasciato
un’impronta indelebile nella resa delle sue dramatis personae, e infine
confrontandosi con la problematicità del suo lascito, nello specifico milieu
“napoletano” come nel panorama della scena occidentale.
a cura di Francesco Cotticelli
Trent’anni dalla scomparsa di Eduardo costellati da messinscene significative e
da un interesse sempre crescente intorno alla sua figura hanno definitivamente
fugato ogni dubbio sulla vitalità del suo teatro, capace di resistere ben oltre la
memoria di un raffinato magistero interpretativo, ma lo hanno anche proiettato
fra i classici della scena occidentale, auspicando un decisivo cambio di
prospettiva. Non si tratta più di accertare un valore, un clima poetico assoluto e
originale che tiene insieme in uno straordinario equilibrio uno sguardo pensoso
sull’umanità intera e una matrice nobilmente dialettale, ma di interrogare
un corpus ricchissimo - sedimentatosi in circa sessant’anni di palcoscenico secondo dinamiche nuove, attraversarlo alla ricerca di sensi per gli spettatori e
gli artisti di ieri, oggi, domani. Non è più tempo di riconoscere la grandezza di
Eduardo: è tempo di motivarla, e di sentirla attuale, sfuggente, pronta ad altre
implicazioni, proprio come accade per Shakespeare, Molière, Goldoni.
euro 20,00
ISBN: 978-88-8497-535-5
9 788884 975355 >
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È vietata ogni riproduzione
ISBN 978-88-8497-535-5
Editing
Anna Maria Cafiero Cosenza
Grafica
Costanzo Marciano
Nel congedare il presente volume per la stampa,
desidero ringraziare quanti hanno reso possibile questo
momento di studio e di riflessione sull’opera eduardiana
con il loro sostegno e incoraggiamento:
in primis, il ch.mo prof. Francesco Rossi, già Magnifico
Rettore della Seconda Università degli Studi di Napoli,
e il ch.mo prof. Giuseppe Paolisso, a lui subentrato
nella carica dal Novembre 2014; la prof.ssa Rosanna
Cioffi, già Direttrice del Dipartimento di Lettere e Beni
Culturali della SUN e ora Prorettrice, e il prof. Marcello
Rotili, suo successore nell’incarico; il prof. Silvestro
Canonico, Presidente della Scuola di Medicina della
SUN, e le dr.sse Emilia Ambra e Maria Rascaglia della
Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» di Napoli,
generosissimi anfitrioni. Determinanti sono stati
l’appoggio e la fiducia dell’on. Nino Daniele, assessore
alla Cultura del Comune di Napoli, e del suo staff,
nonché l’aiuto logistico e la premurosa competenza del
prof. Daniele Pittèri, commissario del Forum Universale
delle Culture Napoli e Campania, e dei suoi collaboratori.
Sono altresì riconoscente al dott. Francesco Somma e
alla Fondazione De Filippo per il supporto fornitomi nella
realizzazione del libro.
Last but not least, un grazie di cuore alla dr.ssa Anna
Giordano, per la dedizione e l’amicizia dimostratemi, e
al dott. Romualdo Rossi, della Segreteria Amministrativa
del Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della SUN.
F.C.
Si ringraziano Luca De Filippo e la Fondazione
De Filippo per avere autorizzato la riproduzione delle
immagini di Eduardo, tratte dall’Archivio Centrale dello
Stato, Archivi di Personalità della Cultura, Fondo Isabella
Quarantotti De Filippo.
Indice
6 Presentazione Gaetano Daniele
7 Saluto Francesco Somma
9 L’abitudine umana del vivere Daniele Pittèri
11 Interrogare la classicità di Eduardo Marzia Pieri, Anna Scannapieco
17 Sul teatro di Eduardo. Una questione di metodo Siro Ferrone
21 Viviani-Eduardo: modelli e poetiche Antonia Lezza
34 Scrittura d’attore, d’autore, di capocomico. A proposito di primedonne Francesco Cotticelli
45 «Musica, signori!». I mille volti dell’Eduardo “musicale”
tra canzone, opera e teatro
Raffaele Di Mauro
59 Storie e leggende di teatro napoletano oltreoceano Loredana Palma
66 Napoli milionaria! e la Napoli americana (1943-1945) Paolo De Marco
90 «In perfetto stile napoletano»: i Napoletani a Milano di Eduardo
Rosy Candiani
97 Eduardo e Pulcinella: tappe di un incontro Annamaria Sapienza
106 Su un’attrice di Eduardo: Clelia Matania Alessandra d’Errico
109 Paolo Grassi e Eduardo: alle origini di un’amicizia
Alberto Bentoglio
121 Eduardo, Wilder (e Brecht) Isabella Innamorati
137 Filumena, Rosaria, Santina.
Prostitute e melodramma in Eduardo De Filippo e Elsa Morante
Elena Porciani
146 «Eduardo De Filippo, infatti, è un Re Mago» (“Presepi” e “voci di dentro”) Piermario Vescovo
159 Madri assassine e padri en travesti.
La drammaturgia contemporanea si confronta con l’opera di Eduardo
Mariano D’Amora
168 Eduardo in Francia: tra ammirazione e indifferenza Marco Consolini
175 Eduardo in spagnolo: «umile ed enorme» Ana Isabel Fernández Valbuena
182 Eduardo, Santagata, Servillo e Le voci di dentro Anna Barsotti
192 Il corpo “intonato”: Napoli milionaria!
di De Filippo - Rota secondo Arturo Cirillo
Paologiovanni Maione
202 Esporre il teatro al museo. In margine alle collezioni dei musei napoletani Nadia Barrella
207 L’Archivio De Filippo alla Lucchesi Palli Gennaro Alifuoco
214 L’invenzione della scena. Nicola Rubertelli e il teatro di Eduardo
Almerinda Di Benedetto
221
Indice dei nomi
Presentazione
Saluto
Gaetano Daniele
Francesco Somma
Assessore alla Cultura e al Turismo Comune di Napoli
Direttore della Fondazione Eduardo De Filippo
La coincidenza del Forum Universale delle Culture-Napoli e Campania con il trentennale della
scomparsa di Eduardo De Filippo ha incoraggiato l’amministrazione comunale ad accendere ancora
una volta i riflettori su questo insuperabile artista. Eduardo rimane una presenza costante per i suoi
concittadini, un’autentica gloria per l’antica capitale così ricca di tradizione - da lui rappresentata
sempre ai massimi livelli in tutto il mondo -, un esempio di straordinaria aderenza alle radici più profonde
di un popolo e della sua cultura accanto alla capacità di conferire loro accenti davvero universali,
come dimostra il successo del suo teatro a ogni latitudine. L’ampio ventaglio di manifestazioni che
si sono svolte in suo onore ha inteso sollecitare nuove letture della sua opera, avvicinando a essa
un pubblico in cui alla memoria vivente del personaggio sta lentamente subentrando l’immagine,
immortale ma lontana, di un “classico”. Alcuni pregevoli messinscene hanno messo in risalto la
varietà e il fascino di un repertorio capace di esprimere ogni volta altri significati e di mettere in
discussione quell’eccessiva familiarità che quasi tutti i napoletani vantano con i suoi lavori più e
meno noti. È stato dato risalto anche all’impegno sociale del drammaturgo, che, fino al suo lavoro
come senatore a vita, ha guardato con dedizione e interesse ai problemi della devianza giovanile e al
recupero dei ragazzi a rischio. Ma, proprio pensando all’autore-attore come patrimonio immateriale
e senza confini di una capitale, abbiamo voluto sostenere momenti di studio e di riflessione che
sottolineassero la densità e la dimensione non localistica di un’esperienza singolare. Il bellissimo
convegno e le iniziative promosse dalla Seconda Università degli Studi di Napoli (ricordiamo anche la
mostra in collaborazione con la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli sui documenti
dell’Archivio De Filippo confluiti nella sezione Lucchesi Palli), acquisendo una volta per tutte la
statura e la complessità di un monumentum da indagare perennemente, si sono soffermate proprio
sul rapporto difficile che lega l’artista ai luoghi, ai momenti, alla humus della sua formazione, sui
destini di una tradizione che in lui non si estingue - se è vero che Napoli e il teatro continuano a
essere un binomio inscindibile - ma si riassesta, si trasforma, si proietta al di là degli schemi che
l’hanno governata per secoli e si rinnova agli occhi di un uditorio planetario.
Misurare la “differenza” di Eduardo significa prendere coscienza di quel policromo universo di interpreti, impresari, capocomici, famiglie d’Arte, piccole e grandi sale, generi e forme di intrattenimento
che hanno costituito sin dagli albori del professionismo la spina dorsale di quel teatro “napoletano”,
che è stato ed è punta di diamante della cultura del nostro territorio. Senza di esso il lungo cammino
dell’artista sarebbe inconcepibile, come sarebbe inconcepibile pensare al teatro a Napoli oggi senza
la viva memoria di tutti quei protagonisti. «Modelli, compagni di strada e successori»: nelle pagine del
volume prendono corpo alcune delle tensioni con cui il giovane Eduardo ebbe a misurarsi (come, ad
esempio, l’ancora scomodo magistero di Viviani, il lavoro di chansonnier, le urgenze della macrostoria
alla fine del suo percorso con i fratelli, il confronto con gli attori di matrice dialettale ), gli incontri - reali
o immaginari - di una vita sul palcoscenico (Paolo Grassi, Wilder, il mito di Pulcinella), i dialoghi a distanza con interlocutori d’arte e di letteratura, il complicato intrigo di aspettative deluse e dirompenti
novità che le messinscene del suo teatro all’estero suscitarono e suscitano ancora. Molto si potrà
ancora fare in questa contestualizzazione ad ampio raggio dell’opera eduardiana, ma il volume si
propone di tracciare itinerari diversi che - si spera - possano dimostrare e documentare il prestigio indiscusso e l’autorevolezza di una via napoletana alla scena, mai subalterna, ma ispiratrice e maestra.
A trent’anni dalla scomparsa di Eduardo De Filippo, la sua opera di drammaturgo, di regista,
di attore e di intellettuale è quanto mai viva.
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Ne sono dimostrazione le solenni celebrazioni svoltesi il 31 ottobre del 2014 a Palazzo Madama, volute con grande determinazione dallo stesso Presidente Pietro Grasso. E ciò non
solamente per ricordare il commediografo a noi tutti caro, ma anche per rimarcare l'impegno che da lui venne profuso nel breve mandato di Senatore a vita, a favore dei ragazzi a
rischio, a quel mondo fatto di giovani che vivono sulla propria pelle i disagi di una società
spesso disattenta nei loro confronti. E già nella denuncia espressa in occasione del discorso
di insediamento al Senato suggeriva un rimedio semplice ed efficace per provare ad arginare le difficoltà e gli svantaggi prodotti da una società non equa, quando sosteneva che se
si opera con energia, amore e fiducia verso di loro molto si può ottenere da questi ragazzi.
Che Eduardo declinasse nei suoi testi i problemi della società in cui viveva, proponendoli
dal palcoscenico all'attenzione del pubblico e delle istituzioni è un dato fin troppo evidente,
su cui si è indagato e forse ancora molto c'è da approfondire. E infatti un ruolo ugualmente
significativo nel ricordarlo nel trentesimo anniversario della sua morte è stato offerto dal
mondo accademico, che non si è lasciato sfuggire l'occasione di approfondire la sua opera
dedicandogli convegni, giornate di studio e proponendo testimonianze, rese dal vivo, di
quanti ebbero la fortuna di collaborare e lavorare con lui.
La Fondazione che porta il suo nome ha come scopo prevalente la salvaguardia, il recupero
e il tener viva l'attenzione sulla tradizione napoletana dando impulso alla crescita della
cultura teatrale contemporanea. Ma, accanto a questo compito, altro onere altrettanto significativo è quello di tener vivo l'interesse per le difficoltà vissute dal mondo giovanile, spesso
destinatario di distrazione da parte di quelle Istituzioni che alle sue esigenze dovrebbero
provvedere. E infatti, nel segno dell'opera avviata da Eduardo, raccogliendone quindi l'eredità, in occasione del prossimo 31 ottobre la Fondazione organizzerà, onorando l'impegno
preso un anno fa, un convegno internazionale, quanto mai attuale per i recenti eventi delittuosi che hanno macchiato la città, dedicato alla devianza giovanile e che sia in grado di
esaminare quelle condizioni ambientali che generano i presupposti che da una situazione
di rischio conduce alla deriva delinquenziale giovanile.
Un convegno che non indaghi solamente gli aspetti psico-sociologici del disagio giovanile
che indulge a fenomeni criminosi, ma che sia la sede nella quale proporre strumenti pratici
e soluzioni adeguate per contrastarne e prevenirne l’evenienza.
Concludo ringraziando di cuore la Seconda Università di Napoli per l’ottimo lavoro realizzato, e auguro a questo volume tutto il successo che merita.
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L’abitudine umana del vivere
Daniele Pittèri
Commissario Fondazione Forum Universale delle Culture
Docente di comunicazione Università di Roma, Università di Siena
The Roots and the Future - Le Radici e il Futuro - è il claim che il Forum Universale delle
Culture di Napoli ha scelto per descrivere in maniera rapida e sintetica la prospettiva con
cui ha esplorato i temi caratterizzanti del Format Forum - la conoscenza, le condizioni per
la pace, lo sviluppo sostenibile, le diversità culturali - e il tema qualificante l’edizione napoletana dell’evento - il mare.
Un’esplorazione, dunque una modalità di indagine che non si pone finalità specifiche, ma
che al contrario si pone alla ricerca costante di una relazione fra le culture contemporanee
e le trasformazioni che le percorrono - il “futuro”, appunto -, mettendo al centro di esse, non
perché più consistenti delle altre, ma come semplice punto di partenza, quelle che animano
e hanno animato il territorio e la storia partenopea. Viste in tal senso, le radici interessano
non in quanto punto fermo e statico, ma in quanto principio dinamico, fonte essenziale di
nutrimento, crescita e sviluppo di tutte le culture locali - popolari e colte, orali e scritte, analogiche e digitali, visuali e visionarie. Radici vocate alla trasformazione, che si alimentano di
un “terreno”- geografico, antropologico e sociale - che, tuttavia, pur mutando nel tempo e
non restando mai uguale a se stesso, mantiene invariate alcune caratteristiche genetiche e
alcune proprietà organolettiche che lo rendono unico e diverso da tutti gli altri.
Particolarmente emblematica, sotto questo profilo, è l’esplorazione della “radice Eduardo”,
una figura che ha costituito uno snodo centrale della cultura sviluppatasi a Napoli nel XX
secolo. Uso volutamente il termine “figura” perché penso sia estremamente riduttivo guardare a lui esclusivamente come drammaturgo o attore, per quanto grande e per certi versi
insuperabile. Di Eduardo, non solo a Napoli, si ricordano soprattutto le espressioni, il recitato, il tono di voce, il volto scavato, alcuni testi, sicuramente alcune memorabili battute - su
tutte “Ha da passa’ ‘a nuttata” - divenute proverbiali e per questo acquisite dal linguaggio
quotidiano. Tutto giusto e comprensibile, ma tremendamente ingiusto e superficiale nei
confronti di Eduardo, un uomo che ha radicalmente messo in discussione le radici (mi si
perdoni il bisticcio lessicale) sue, del suo popolo e della sua città e che al contempo quelle
medesime radici le ha innestate con una linfa nuova e vitale, che è stata in grado di rinnovare profondamente la cultura napoletana, di porla in relazione con il mondo, di snaturarla
rendendola diversa da sé senza dimenticare se stessa e addizionandola di un’attenzione
particolare alle persone e alle relazioni fra le persone e il proprio habitat.
Il Forum Universale delle Culture di Napoli ha coinciso con il trentennale della scomparsa
di Eduardo, ma ha evitato di celebrarlo o di commemorarlo. Lo ha invece, come si è detto,
esplorato, usando strumenti e linguaggi diversissimi fra loro (spettacoli, workshop, convegni, simposi, mostre, street art), ciascuno capace di offrire un punto di vista particolare, una
prospettiva unica su una figura tanto complessa, anche e soprattutto grazie al contributo di
studiosi, uomini di teatro, intellettuali che, riuniti in comitato, hanno con decisione imboccato la strada dell’esplorazione, spinti innanzitutto dalla volontà di “mettere a nudo” Eduardo,
di “scoprirlo”, di farlo emergere in tutta la sua straordinaria complessità.
Eduardo. Modelli, compagni di strada e successori di questa esplorazione è un tassello fon-
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damentale, perché si pone in una prospettiva particolare, perché assume un punto di osservazione sull’universo di De Filippo inscritto nell’alveo della sua “classicità contemporanea”,
ovvero del suo essere divenuto un classico in vita, del suo essere stato, ad attività ancora
in corso, un punto di riferimento universale, non solo drammaturgico, per i suoi contemporanei.
Va qui fatta subito una distinzione. Non è inusuale che alcuni artisti assurgano a zenit, a
punto di riferimento nel proprio tempo, per poi finire nel dimenticatoio negli anni immediatamente successivi la propria morte, non per mancanza di “qualità” e quindi per moda,
quanto per “esaurimento” della spinta innovativa che in un modo o nell’altro li aveva contraddistinti. È una vecchia regola, che è valsa in passato - si pensi soltanto a Metastasio -,
così come in tempi recenti - Elio Vittorini, per restare in ambito letterario, o Woody Guthrie,
per toccare l’ambito della cultura popolare. Tutte personalità di grande spessore, capaci di
influenzare con la propria espressività i contemporanei, di divenirne fonte di ispirazione
perché “codificatori” di un genere e di un epoca o perché primi decodificatori dei linguaggi
precedenti e tuttavia non assurti a pietre miliari, proprio perché profondamente - e terribilmente - inscritti nella propria epoca.
Non è questo il caso di Eduardo. Egli, come altri grandi del teatro - Shakespeare o Molière
-, ha conosciuto in vita un successo radicato e profondo in virtù della propria maestria attoriale, cui si è accompagnata, seppur in forme e modalità profondamente differenti, l’attività
drammaturgica, che in tutti quei grandi - Eduardo incluso - è sembrata essere forma e puntello imprescindibile per il virtuosismo recitativo, una sorta di habitat atto a fare emergere le
qualità indubbiamente superiori della recitazione. Ma, mentre Shakespeare e Molière hanno
operato in un’epoca pre-goldoniana, in cui i ruoli di autore/attore erano inseparabilmente
fusi in un’unica figura, Eduardo è un figlio del Novecento, di un’epoca in cui i due ruoli non
solo erano ben distinti, ma avevano acquisito una dignità propria, l’una pienamente letteraria - indagatrice ed esploratrice della realtà e della psiche -, l’altra integralmente mimetica
- proiezione dei desideri, delle ambizioni e delle ansie dell’essere umano.
Dentro il secolo breve, Eduardo è stato, in questo, al contempo unico e precursore. È stato,
con una lingua propria - un napoletano classico e tuttavia profondamente rivisitato e “meticciato” con l’italiano, una sorta di slang, di linguaggio non ufficiale, di codice sovversivo
- il solo “capocomico” in grado di elevarsi a una dimensione autoriale globale. Ed è stato il
primo drammaturgo a scardinare i capisaldi e le certezze della società e, più in generale del
mondo, attraverso una prospettiva “sospesa”, aerea, non incardinata nel presente, ma fiduciosa della potenza di una lingua, di una espressività interpretativa - finché ha recitato - e,
soprattutto, di un testo, di un’opera aperta orientata a toccare le corde profonde, e per questo senza tempo, dell’individuo in relazione a se stesso, ai propri simili, al proprio habitat.
In questo - a parere necessariamente modesto di chi scrive, che ha sempre amato essere
spettatore e lettore, interpretando fino in fondo questi due ruoli - consiste la “classicità contemporanea” di Eduardo: prima ancora che guida e ispiratore dei propri coevi, indagatore
dell’abitudine umana del vivere.
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Interrogare la classicità di Eduardo
Marzia Pieri, Anna Scannapieco
Un po’ come per Eugenio Montale, la classicità di Eduardo si impose con innaturale precocità, “vita natural durando”. Al di là dell’astrale distanza che separa le due personalità, alcuni
sintomatici denominatori comuni ne svelano la nascosta parentela, sia sotto il profilo della
vicenda biografica, sia sotto quello della risonanza dei rispettivi operati artistici: entrambi
insigniti di lauree honoris causa e soprattutto eletti senatori a vita, accompagnati in morte
da decine di migliaia di persone, la maggior parte delle quali “comuni”, e magari anche a
digiuno di poesia come di teatro; entrambi assunti a maschere emblematiche, senza tempo, del proprio tempo (un secolo breve troppo lungo), racchiusi e vulgati nelle espressioni
divenute quotidiani talismani (il male di vivere, ha da passa’ ‘a nuttata). Certo, per Montale,
sia pure poeta-non-laureato, scattò il riconoscimento di quel Nobel che per Eduardo rimase solo un’eventualità non realizzata; e, ancor più, egli poté vivere l’esperienza - all’epoca
inedita e neanche concepibile - di veder realizzata l’edizione critica della propria Opera in
versi, per le cure nientemeno che di Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini: poco conta che
ad appena un anno da sì imperituro monumento la vita lo abbandonasse - altrimenti, forse,
non era possibile.
Ma anche per Eduardo ebbero vigore singolari destini: quello, per esempio, di veder scandito il centenario della nascita (a nemmeno un quindicennio dalla morte, ben vivo e palpitante
il ricordo, la presenza) con la costruzione dell’effigie “critica” del suo teatro negli eleganti
volumi dei Meridiani Mondadori, in un’impresa che le competenti cure di Nicola De Blasi e
Paola Quarenghi avrebbero portato a termine sette anni dopo (e che aveva avuto d’altronde
una congrua anticipazione storico-critica tra il 1995 e il 1998 - al “riparo” da ogni pretesto
commemorativo -, grazie alla ricognizione editoriale effettuata per i tipi Einaudi da Anna
Barsotti, studiosa legata al teatro eduardiano da una lunga e vigile fedeltà). Per questa via,
salvo improbabili smentite, si deve riconoscere proprio in Eduardo - il più strenuo difensore
della dimensione artigiana, fabbrile del teatro (la bottega a cui aveva dedicato «tutta una
vita di sacrifici e gelo») - il primo poeta teatrale per cui con tanta celerità venisse, nella storia
di tutti i tempi, innalzato il monumento letterario per eccellenza, quello che le cure filologiche, per la distanza storica che presuppongono, insigniscono dell’aura della classicità:
persino l’opera di un Pirandello, che poteva vantare ben altre patenti di “nobiltà”, aveva dovuto aspettare mezzo secolo dopo la morte dell’autore perché si mettesse in moto l’edizione
critica delle Maschere nude, e - nonostante il vigoroso impegno di un curatore d’eccezione,
Alessandro d’Amico - un altro ventennio ancora per vederne il compimento (sempre nei
Meridiani Mondadori, 4 voll. 1986-2007). Del che - sia detto per inciso - un Thornton Wilder
sarebbe stato ben lieto, dal momento che non solo teneva Eduardo nel conto del suo «favorite contemporary playwright», ma soprattutto lo riteneva, contro tutte le vulgate già allora
correnti, non debitore di ma superiore a Pirandello (si veda quanto, anche sotto riguardo,
ci illustra oggi Isabella Innamorati). L’ingresso nel canone dei classici, d’altronde, era stato
scandito già nel 1995-1996 con i due volumi della Letteratura italiana Einaudi dedicati alle
Opere del ‘900, allorché l’Eduardo autore di Natale in casa Cupiello interviene a rappresentare l’intera letteratura teatrale della prima metà del secolo, “a pari merito” dei Sei personag-
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Eduardo in Francia: tra ammirazione e indifferenza
Marco Consolini
«Toutes les anglaises sont rousses» recita un celebre proverbio francese (preso in prestito a
Roland Barthes), vale a dire «tutte le inglesi son rosse di capelli». Succede un po’ la stessa
cosa col teatro italiano: da svariati secoli a questa parte, per i francesi, tutto ciò che fanno gli
italiani a teatro è Commedia dell’Arte. A ben poco serve spiegar loro la riforma goldoniana,
la differenza fra “drammaturgia preventiva” e “drammaturgia consuntiva”, la complessità
del fenomeno del teatro “all’antica italiana”, la questione del plurilinguismo, quella del nomadismo delle compagnie, ecc. Non c’è niente (o quasi) da fare. Anche fra i meno sprovveduti, la tentazione irresistibile di leggere le manifestazioni teatrali di casa nostra attraverso
il prisma dell’adequazione o meno al presunto e mitico modello originario della sacrosanta
Commedia dell’Arte riemerge puntuale, quasi come un riflesso condizionato. Del resto, in
un certo senso, sono proprio i francesi ad averla inventata, la nostra Commedia dell’Arte...
come ci hanno ricordato tanti studiosi del settore, a cominciare da Ferdinando Taviani.
Per sintetizzare questo stato di cose, come resistere, allora, alla tentazione di richiamare un
passaggio del citato Roland Barthes, che spiega tutto ciò col suo stile inimitabile? Il brano
in questione proviene da una recensione alla celebre edizione viscontiana della Locandiera
di Goldoni, interpretata negli anni Cinquanta dalla compagnia Morelli-Stoppa:
sassone, e che per i francesi è una sorta di Commedia dell’Arte elevata al quadrato.
A ciò vanno aggiunte altre due difficoltà oggettive a cui va incontro la ricezione del teatro
italiano in terra di Francia. Semplificando all’eccesso, si può dire che risulta assai difficile
al pubblico transalpino percepire esattamente due dimensioni peculiari del nostro teatro: la
drammaturgia d’origine attorica e la stratificazione di diversi registri linguistici.
Per quanto riguarda la prima dimensione, va rilevato che la figura dell’attore-autore o, come
lo si definisce sempre più spesso, dell’autore-performer, è davvero insolita nel contesto francese, e perlopiù confinata nel ristretto ambito del teatro comico o, più precisamente, del cosiddetto one man show. Esistono eccezioni, ma tutto sommato non significative. L’autorialità sembra cioè non poter risiedere che nella parola scritta e questa parola scritta non può
che precedere l’atto performativo: questa la doxa, lo sguardo culturale inconsapevole e dominante - anche in questi tempi di sempre più imperante voga del teatro post-drammatico.
L’attore, dunque, appare condannato a un ruolo d’interprete. Quando avviene il contrario,
quando, per esempio, gli attori forniscono materiale drammaturgico attraverso improvvisazioni - pratica che comunque resta piuttosto marginale nel panorama francese contemporaneo - l’autorialità risiede comunque in un gesto altro, quello del regista a cui si riconosce
la paternità autoriale della scrittura scenica o dell’écriture de plateau, formula che oggi - in
tempi dominati appunto dalla moda post-dramatique - va per la maggiore. Da qui discende
una sorta d’impedimento alla piena accettazione, e dunque alla comprensione, della specificità di una scrittura teatrale che scaturisce dalla perizia e dall’identità stessa di un attore.
Dario Fo e Carmelo Bene, per prendere due esempi significativi perché molto conosciuti e
studiati in Francia - molto di più, occorre dirlo fin d’ora, di Eduardo - ne “soffrono” entrambi.
Capita non di rado, infatti, che essi siano presi in esame come autori tout court. Se Carmelo
Bene, grazie alle bellissime traduzioni di Jean-Paul Manganaro (che oltre che traduttore è
un grande esegeta dell’opera scenica di Bene), può essere “frainteso” come semplice “scrittore” drammatico, anche Dario Fo - di gran lunga il più letto, studiato e messo in scena fra i
nostri autori - si trova di fronte a non pochi equivoci interpretativi, particolarmente quando
Tutte le inglesi sono rosse di capelli, diceva l’Inglese della leggenda. Analogamente, per i
nostri uomini di teatro e per i nostri critici, ogni pièce italiana è una commedia dell’arte.
Il teatro italiano può essere soltanto vivo, spiritoso, leggero, rapido, ecc.
La nostra critica ha trovato La Locandiera di Visconti molto pesante, molto lenta. Che
delusione, che scandalo questa compagnia italiana che non recita all’italiana: costumi e
scenografie raffinati, profondi, sinceri, contrari, in una parola, al vetriolo dei verdi e dei gialli
che per i francesi sono il segno distintivo di ogni arlecchinata italiana; una regia quasi
realistica, fatta di silenzi, di episodi prosaici, in cui gli oggetti familiari (la salsa che si versa,
la biancheria che si stira) raddensano la durata teatrale come in una pièce di C̆echov. In
breve, Visconti ha azzardato la scelta che poteva scioccare maggiormente la nostra critica:
ha rappresentato La Locandiera come una commedia borghese. È scomparsa l’eterna
commedia dell’arte! Abbiamo subito fatto la predica a questo italiano così poco fedele alla
sua nazione: venga in Francia a prendere lezioni di italianità...1.
C’è da figurarsi cosa possa accadere quando si tratta di teatro napoletano, e di teatro in
lingua napoletana! Il complesso groviglio, il groppo di folklore, luoghi comuni, images d’Epinal (per usare l’espressione francese) e reale volontà degli italiani (non solo dei teatranti) di
corrispondere a tale somma di stereotipi, fa sì che è ancora oggi difficile sfuggirne. Il teatro
di Eduardo De Filippo, infatti, non vi sfugge. Intendiamoci: nessuno, in Francia, dice o scrive
che il suo è un teatro di maschere o di tipi fissi. Aleggia, piuttosto, su di esso, il fantasma
della “vena farsesca da Commedia dell’Arte”, con i suoi corollari più tipici: gesticolazione,
gaiezza, movimento indiavolato, ecc., ovvero, per usare una formula lapidaria, la “napoletanità”, qualcosa di simile al Neapolitan flavour indicato da Isabella Innamorati in area anglo1
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si tratta di analizzare o realizzare scenicamente le sue “giullarate”, da Mistero Buffo in poi,
difficilmente separabili dalla sua identità di attore-narratore.
A proposito di Eduardo, un autore-attore-chef de troupe che scrive per un ensemble al
cui interno la propria creazione attorica funge insieme da fulcro, da collante e da guida, la
faccenda dovrebbe risultare meno complessa: poiché nel suo caso ritroviamo, con le dovute
proporzioni, lo stesso “mestiere” di quei grandi drammaturghi-attori europei in cima alla
cui lista stanno Shakespeare e Molière. Ma, in fondo in fondo, per i francesi Molière resta
un’eccezione: i guitti non posson diventar poeti... tanto è vero che c’è sempre qualche dotto
pronto a giurare che dietro alla firma di Molière vi fosse in realtà Racine.
Per quanto riguarda la seconda dimensione, il pluringuismo che caratterizza la nostra cultura,
letteratura e, soprattutto, il nostro teatro, bisogna riconoscere che per i francesi non è facile entrare in questa ricchezza e varietà lessicali, idiomatiche, sonore e soprattutto gestuali; difficile
per un popolo che ha sconfitto nel tempo praticamente tutte le lingue regionali, riducendole a
patois e rendendo infine pressoché irrevocabile la loro estinzione. E sappiamo tutti dell’importanza capitale di questa seconda peculiarità, sappiamo tutti che è questa seconda caratteristica a generare la prima: è perché noi italiani disponiamo di un’infinita tavolozza di suoni e gesti,
è perché possiamo riconoscere la provenienza del nostro vicino di posto se solo gli chiediamo
a che ora arriverà il treno, che i nostri attori sono, spesso, creatori di lingue teatrali; è forse per
questo che sono, spesso, anche autori. Ora, va ammesso, entrare nella speciale, specialissima
varietà della lingua di Eduardo è particolarmente arduo! Che fare davanti alla stratificazione-intreccio d’italiano, d’italiano napoletanizzato e di napoletano aristocratico e raffinato, di
napoletano borghese e spiccio, di napoletano proletario e ruvido, di napoletano di città e di
napoletano dell’hinterland, ecc.? Che fare, soprattutto, se lo si deve tradurre in francese?
Questa serie di ostacoli non basta tuttavia a spiegare la scarsezza, per non dire l’assenza, in
Francia, di studi seri e documentati su Eduardo. Non basta a giustificare una certa sporadicità delle rappresentazioni delle sue opere che, certo, sono state più volte messe in scena,
ma raramente hanno dato luogo a realizzazioni sceniche veramente importanti (anche la
recente Grande magia presentata nel 2010 alla Comédie-Française, con la regia di Dan Jemmett, non ha cambiato le cose). Non basta soprattutto a motivare il vuoto di un’edizione se
non completa almeno critica, unitaria e editorialmente accessibile del suo teatro.
In fondo, le premesse per questo stato di cose erano già leggibili, a posteriori, ai tempi delle
prime glorie francesi di Eduardo, che furono notevolissime. De Filippo ebbe infatti una gran-
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5
6
de notorietà, almeno fin dall’uscita del film Napoli milionaria!, nel 1950. Fu poi Valentine
Tessier, la celebre attrice formata da Jacques Copeau e a lungo interprete a fianco di Louis
Jouvet, a voler incarnare Filumena Marturano, nell’adattamento di un autore importante
dell’epoca, Jacques Audiberti, andato in scena nel 1952 col titolo di Madame Filoumé.
La consacrazione definitiva avvenne nel 1955 - complice forse anche un altro successo cinematografico internazionale, L’Oro di Napoli di De Sica, del 1954 - quando Eduardo stesso
partecipò con la sua compagnia al prestigioso festival internazionale di Parigi, il Théâtre des
Nations, presentando Questi fantasmi!2
Leggiamo cosa scriveva, a questo proposito, proprio Jacques Audiberti, nell’importante rivista Théâtre populaire:
Il sipario si è alzato di soppiatto. Nessuno, in sala, se n’è accorto. In scena, un trasloco
napoletano fa spostar mobili in un idioma che non è chiaro al pubblico.
D’un tratto, gli applausi. Sono gli spetttatori a battere i tre colpi, a migliaia. Eduardo De
Filippo, in effetti, è apparso con la sua faccia da Napoli milionaria!, pelle e ossa, gli zigomi in
rilievo, nudo e povero nel suo completo...
Eduardo scrive, mette in scena e recita. Le sue rappresentazioni fan parte del film della
sua vita. Non gli danno alcun modo di distrarsi. È l’ultimo venuto dei personaggi della
commedia italiana. Personaggio che vive. E che suda il tragico. Un personaggio che
potrebbe essere un misto di Molière e Pirandello, ma che i sentimenti, l’onore e gli scrupoli
condannano a non liberarsi del tutto dei saporiti ostacoli del dialetto e dell’affinità del suo
ritmo profondo per l’amarezza più nera. Mai un drammaturgo si è spinto oltre nella fedeltà
alla sua arte e nella solitudine3.
Un paio d’anni dopo, sull’onda del successo, andò in scena la versione francese, Sacrés fantômes!, con la regia dello stesso Eduardo. Ecco cosa ne scriveva ancora Théâtre populaire,
questa volta a firma di André Gisselbrecht, uno dei più infervorati e intransigenti critici
dell’ondata brechtiana che aveva investito la rivista:
Forse a Napoli, al Teatro San Ferdinando, Questi fantasmi! è teatro popolare. Qui, al VieuxColombier, è soltanto teatro di Boulevard.
La delusione è grande quando si conosce il lavoro compiuto da De Filippo nel suo paese:
171
risurrezione e adattamento delle commedie popolari napoletane, creazione di un nuovo
repertorio ispirato a questa tradizione, rigenerazione della lingua letteraria tramite il dialetto
vivente. Al pubblico francese, affinché non giudichi sulla base di questo spettacolo, va detto:
De Filippo è uno dei migliori artigiani del teatro popolare nel mondo.
Cosa manca, allora, a questo spettacolo? De Filippo, in primo luogo. Il testo, secondo
le migliori ricette della Commedia dell’Arte, è un canovaccio sul quale l’eroe principale
ricama invenzioni pantomimiche e persino verbali. [...] [Henri] Guisol [l’interprete di
Pasquale Lojacono], invece, cerca di sfruttare al massimo i trucchi della sua parte ma non sa
improvvisare, è buffo ma non è inventivo. Manca poi, e soprattutto, la lingua di De Filippo,
questa lingua letteraria dialettale che è forse la polpa del suo teatro; se lo si priva di essa,
non ne resta altro che lo scheletro. Cioè un vaudeville, anche se un ottimo vaudeville. [...]
Del teatro di Boulevard, ecco il perché dell’unanimità di una certa critica borghese, che vi ha
ritrovato ciò che le è noto, e niente che possa infastidire le sue confortevoli certezze.
Eppure abbiamo a che fare con un uomo che ama il suo popolo, un popolo alla ricerca di
tutti i mezzi possibili per sbarcare decentemente il lunario. Avremmo voluto conoscerlo in
migliori condizioni: beati coloro che prima di Sacré fantômes! al Vieux-Colombier, hanno
visto l’anno scorso Questi fantasmi! al Théâtre des Nations4.
Malgrado i citati e quasi inevitabili stereotipi - l’eroico personaggio solitario, tipo fisso comico-tragico della “commedia italiana” per Audiberti; l’immancabile richiamo alle “ricette”
di una non meglio precisata “Commedia dell’Arte” per Gisselbrecht - si vede bene che la
ricezione, almeno in queste punte di eccellenza critica, mostrava un notevole sforzo di comprensione, magari in direzioni opposte: la prima alla ricerca della poesia amara del teatro di
Eduardo, la seconda tesa a metterne in luce l’impegno civile e il suo valore di rigenerazione
di una tradizione popolare. La consapevolezza della forza e della specificità della lingua
d’Eduardo, in ogni caso, emerge in modo assai netto.
Con Madame Filoumé, che aveva riscosso un notevolissimo successo grazie soprattutto
alla gran prova d’attrice di Valentine Tessier, il poeta “meridionale” Audiberti, come si è
soliti definirlo in Francia, era riuscito del resto a creare una notevole atmosfera d’analogia
col tessuto gestuale e sonoro d’origine. Eduardo stesso, forse in vena di complimenti, lo
ebbe a segnalare: «Audiberti è riuscito a restituire, cosa che sembrava impossibile, lo spirito
napoletano in francese»5.
La critica negativa di Sacrés fantômes! appena citata contribuiva del resto a mettere in
guardia contro lo scimmiottamento vuoto dell’inimitabile lavoro d’attore della compagnia
napoletana, e di Eduardo in particolare. Un rapido confronto fra alcune foto ritraenti Eduardo
e il suo corrispettivo francese, Henri Guisol, nei panni di Pasquale Lojacono, risultano infatti
assolutamente impietose per quest’ultimo. Laddove Eduardo eccelle per sobria, misuratissima espressività, Guisol si sbraccia, gesticola, si contorce come un ridicolo burattino.
Sarebbe del resto interessante sapere cosa pensò Eduardo di questa esperienza registica
d’oltralpe. Sta di fatto che fin da questi anni Cinquanta si ravvisano le premesse sia per la
riproduzione degli abituali luoghi comuni, sia per una loro almeno parziale ridiscussione.
Cos’è stato dunque a far sì che il rapporto di conoscenza critica col teatro di Eduardo arrivasse a una sorta di punto morto? È difficile stabilirlo con esattezza. A sentire la testimonianza di Huguette Hatem, sorta di traduttrice plenipotenziaria in Francia da trent’anni
a questa parte, Eduardo fu deluso dalle reazioni manifestatesi al Théâtre des Nations e si
disamorò della Francia6. Non si trattò certo di Questi Fantasmi!, che fu un trionfo o quasi. La
Hatem, che non precisa meglio, si riferisce probabilmente a Pulcinella in cerca della sua fortuna per Napoli, la riscrittura della commedia ottocentesca di Pasquale Altavilla, spettacolo
coprodotto col Piccolo di Milano e presentato al Festival di Parigi nel 1960. Era senz’altro
difficile, infatti, per il pubblico francese, apprezzare quell’operazione teatrale quasi filologica,
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8
per di più priva della presenza di Eduardo attore. Ma, sempre sulla base della testimonianza
di Huguette Hatem, a disamorare ancor più Eduardo e a fargli decidere di rifiutare sistematicamente i diritti della sua opera in Francia, sarebbe stata ancor di più l’operazione alquanto
avventata di un paio d’anni dopo, Zì Nico...ou les artificiers, adattamento, sembra, poco
fedele di Denise Lemaresquier de Le Voci di dentro7. Difficile, ancora una volta valutare con
esattezza. Anche se non si può fare a meno di notare che a interpretare Alberto Saporito fu
proprio quell’Henri Guisol di cui abbiamo visto le notevoli acrobazie in Sacrés fantômes!...
Sia quel che sia, a partire dagli anni Sessanta, in Francia, Eduardo è progressivamente caduto nel dimenticatoio, e all’assenza di rappresentazioni si è aggiunto il vuoto degli studi di
cui si diceva all’inizio. Si è venuta così a perdere quella vivezza di reazioni critiche, giuste o
sbagliate che fossero, ma feconde, di cui abbiamo dato un breve saggio. Il teatro di Eduardo
ha dunque potuto ricoprirsi di quell’inevitabile patina di stereotipi che, come la ruggine,
si deposita sui capolavori del nostro teatro in Francia, se solo li si lascia un attimo senza
custodia. Si pensi a Goldoni: malgrado il lavoro straordinario compiuto da Mario Baratto e
poi dai suoi allievi, a cominciare da Ginette Herry, basta voltarsi un attimo e già le piroette,
i salamelecchi e le parrucche di paccottiglia si reimpadroniscono dei testi del grande veneziano. Allo stesso modo, Eduardo è scivolato nel limbo, fra ammirazione e indifferenza,
preda indifesa delle definizioni più facili e banali, dall’“inventore di situazioni burlesche,
personaggi stravaganti e tutta una galleria di figure hautes en couleur” al creatore “di una
moderna Commedia dell’Arte”.
Ora, bisogna riconoscere che è grazie alla testardaggine e alla passione di Huguette Hatem
se si è ricominciato a parlare di Eduardo in Francia, a partire dagli anni Ottanta, quando il
progetto di traduzione e messa in scena di Sabato, domenica e lunedi che risaliva all’inizio
degli anni Sessanta (quando Valentine Tessier, secondo il volere dell’autore, avrebbe dovuto
interpretare Rosa) fu ripreso e portato a termine, nel 19848. La Hatem, forte di una sorta di
imprimatur datole, sempre secondo la sua testimonianza, da Eduardo stesso, è divenuta
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da allora l’infaticabile traduttrice e ambasciatrice in Francia del suo teatro, costruendo nel
tempo una sorta di lodevole quanto ingombrante monopolio.
Malgrado questo meritevole lavoro, va osservato che i monopoli, in fatto di letteratura, e
ancor più di teatro, non sono mai proficui. L’opera vivente e diversissima di Eduardo, avrebbe bisogno di un nuovo slancio, di nuovi talenti teatrali e letterari capaci di rileggerlo e di
reinterpretarlo, riprendendo in mano il lavoro abbozzato, all’inizio degli anni Cinquanta da
Audiberti, magari per andare in direzione opposta. Avrebbe bisogno di teatranti disposti a
penetrare nel suo universo, a farlo rivivere sulle scene francesi, magari senza troppi vincoli
di fedeltà, come ha fatto recentemente Fabrice Melquiot, ancora con Filumena Marturano 9,
la cui traduzione, tuttavia, non è stata pubblicata. Avrebbe infine bisogno di studi, di ricerche, a partire dalle conoscenze e dalle problematiche accumulate in questi anni dall’università italiana e che sono transitate poco o male oltralpe.
Le cose, però, stanno forse cambiando. L’ottima tesi di dottorato realizzata nel 2012 all’Université Paris 3 da Célia Bussi, codiretta da Myriam Tanant e da Anna Barsotti, ha aperto
nuove prospettive sul fronte degli studi. Sul fronte delle realizzazioni sceniche, le recenti
tournées delle regie eduardiane di Toni Servillo (Sabato, domenica e lunedi, e, più recentemente, Le Voci di dentro) e di Carlo Cecchi (Sik Sik l’artefice magico) e il successo che hanno
riscosso, fanno sperare bene. C’è forse una nuova prospettiva nel paese di Molière per le
sorti del teatro di Eduardo: uno dei capolavori della nostra cultura nazionale.
Eduardo in spagnolo: «umile ed enorme»
Ana Isabel Fernández Valbuena
Le foto si riferiscono alla tourneé parigina di Questi fantasmi! al Festival Théâtre des Nanons
del 1955 e alla messinscena della stessa opera in traduzione francese (Sacrés fantômes!),
sempre con la regia di Eduardo, ma con l’interpretazione di Henry Guisol, al Théâtre Vieux
Colombier nel 1957.
I primi testi in spagnolo e catalano
Prima del 2010, vale a dire l’altro ieri, si erano visti in Spagna pochi allestimenti del celeberrimo Eduardo, nonostante la congenialità degli spagnoli con molti dei suoi drammi, che raccontano i destini della sua gente - i teatranti, e i napoletani - con i ferri popolari del mestiere
sì, ma con lo spirito delle opere universali.
El teatro humilde y enorme de Eduardo De Filippo fu il titolo che il noto critico teatrale del
giornale El País, Marcos Ordoñez, diede alla sua recensione di marzo 2010 su L’Arte della
commedia1. Questo critico diceva di riconoscere nel suo teatro le fondamenta «della Commedia dell’Arte, di Goldoni, Céchov e Pirandello», e aggiungeva che, a suo avviso, partendo
da esse Eduardo aveva «spalancato le sue finestre per far entrare l’aria fresca della strada,
e della vita».
Infatti, il mondo eduardiano, di affascinanti perdenti, era stato accolto prima che nell’entroterra, nelle regioni mediterranee spagnole: a Barcellona, per esempio, dove La gran il.lusiò
-versione catalana di La grande magia - fu messa in scena già nel 1988 da Herman Bonnin,
a soli tre anni dal mitico allestimento di Strehler al Piccolo.
1.
Anche L’art de la comedia fu messa in scena nel 1992 dal regista Jordi Mesalles. Un po’ più
tardi (2003), sempre con grande successo Dissabte, diumenge i dilluns (Sabato, domenica e
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Roland Barthes, La Locandiera, in «Théâtre populaire», n. 20, Settembre 1956, in Sul Teatro, a cura di Marco
Consolini, trad. di Laura Santi, Roma, Meltemi, 2002, pp. 183-184.
Da segnalare che la Bibliothèque nationale de France conserva una bellissima serie di fotografie del celebre
Roger Pic, alcune delle quali che ritraggono Eduardo e i suoi attori in camerino, prima dello spettacolo.
Jacques Audiberti, Questi fantasmi!, in «Théâtre populaire», n. 13, maggio-giugno 1955, p. 91 [salvo
indicazione contraria, le traduzioni dal francese sono mie].
André Gisselbrecht, Sacrés fantômes!, in «Théâtre populaire», n. 24, Maggio 1957, pp. 91-92.
Eduardo De Filippo, intervista rilasciata al giornale Combat, cit. in Madame Filoumé, pièce en trois actes de
Eduardo De Filippo, texte français de Jacques Audiberti,in «RadiOpéra», n. 69, 1952, p. 29.
Vedi a questo proposito, l’intervista a Huguette Hatem, realizzata nel marzo 2013 da Luca Canonica,
disponibile all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=xLDZ2_cChpI.
Lo spettacolo, messo in scena da Michel Fagadeau, andò in scena al Théâtre Gaîté-Montparnasse, nel
febbraio 1962.
Samedi, dimanche et lundi, regia di Françoise Petit, Théâtre du 8ème, Lione, 1984.
Lo spettacolo, con la regia di Gloria Paris, è andato in scena al Théâtre Athénée nel febbraio 2006.
Locandina di La gran il.lusiò
(Teatro Romea, 1988).
1
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naturalmente - nella versione di Edi Liccioli e Javier Mateo. Ma notiamo che questo interesse per il teatro defilippiano, lentamente crescente in Spagna, è stato promosso in linea
di massima dai catalani2 - di solito all’avanguardia delle novità teatrali europee - e si è, comunque, sviluppato solo dopo la morte di Eduardo. Per decenni, i soli drammi rappresentati
in Spagna - e con successo - erano stati Filumena Marturano, che nel 1979 sotto la regia di
Ángel Fernández Montesinos conobbe il suo più grande successo grazie alla grandissima
attrice Concha Velasco3 (una replica risale al 20074) e Questi fantasmi!, la cui versione del
1959 era intitolata Con derecho a fantasma. Purtroppo, il noto sceneggiatore Jaime de Armiñán non colse dello spirito eduardiano che la sua parte farsesca, cambiando addirittura
della sciagurata vicenda di Pasquale Lojacono il suo snodo finale. Un’operazione tramite la
quale quest’oscuro dramma del dopoguerra diventava una commediola amabile per il pubblico borghese della Spagna di Franco.
lunedì) fu allestita da Sergi Belbel, meritando il Premi Ciutat de Barcelona de les Arts Escèniques per la sua drammaturgia e la sua regia.
Nello stesso anno (2003) di nuovo Jordi Mesalles montò, con grande delicatezza e un tempo
molto eduardiano, Sik-Sik, l’artefice magico e Il cilindro, al Teatre Lliura di Barcellona.
Ma, rimanendo sul Mediterraneo, è doveroso parlare di un’altra regione più a Sud, Murcia,
dove la tradizione del presepio è viva come a Napoli, e perciò non poteva mancare il grande
successo di Navidad en Casa Cupiello, ivi ripresa più volte sin dagli anni Novanta - a Natale,
La questione della lingua
Forse questo tardivo successo spagnolo della drammaturgia di Eduardo - che non ha sfondato nel resto della Spagna che negli ultimi dieci anni - si deve in parte alle traduzioni
spagnole pubblicate qua e là: a mio avviso, non sono sempre riuscite a trovare un registro
adeguato al mondo espressivo del dialetto napoletano, al parlato vivace, e a volte scarno, dei
personaggi eduardiani.
In qualità di traduttrice di teatro, posso dire che la dovuta responsabilità verso l’originale
non significa che il traduttore debba sottomettersi al piano letterale; anzi, una vera traduzione drammatica dovrebbe esigere una dose non piccola di creatività nella propria lingua
e di ascolto attivo di quella di partenza. Non si tratta, quindi, di fare una lettura filologica del
testo da tradurre, ma di operare ciò che in teatro si suole chiamare “una lettura contemporanea”. E quest’atteggiamento non fa parte delle libertà di un traduttore, ma dei suoi impegni
ineludibili: altrimenti il testo è devitalizzato.
Come esempio riporto una mia esperienza del 2010, quando ho tradotto L’arte della commedia per il Teatro La Abadía di Madrid, in una versione elaborata assieme al regista e rifinita
a tavolino con gli attori della compagnia. Per la prima volta si metteva in scena quest’opera
in spagnolo, e il suo successo incontestabile l’ha candidata tra le finaliste ai Premi Nazionali
Carles Sales come Sik-Sik (Espai Lliura, 2003) Fotografia Tersi Roquer.
Julio Navarro come Luca Cupiello, 1998, Murcia.
Locandina di El arte de la comedia (Teatro La Abadía, 2010).
Enric Benavent come Oreste Campese (Teatro La Abadía, 2010).
2
Locandina di Dissabte, diumenge i dilluns
(Teatre Nacional de Catalunya, 2003).
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Max de las Artes Escénicas 2010, nelle categorie di miglior testo adattato e migliore spettacolo. Mi permetto dunque di tirare le somme delle operazioni linguistiche e drammatiche
eseguite, per cercare di capire le ragioni del successo.
Il soggetto della pièce è di piena attualità in Spagna: l’eventuale “utilità” del teatro, e della
cultura, perché i punti di riferimento della politica italiana degli anni Sessanta - cui, ricordiamo, risale l’originale - non sono quelli della Spagna di allora… ma piuttosto quelli di
oggi. Ecco a proposito la recensione di Miguel Ayanz all’indomani del debutto madrileno:
«Stupisce vedere che la radiografia del 1964 serve anche per il 2010: la difficoltà di decidere
sulle sovvenzioni pubbliche, i problemi con i distributori teatrali, la considerazione sociale
dell’attore…»5. Come dunque, ripristinare, anche attraverso le scelte linguistiche, l’eventuale attualità delle premesse eduardiane quando si traduce? Come collegarla all’esperienza
dello spettatore di oggi in quella citata “lettura contemporanea” del testo? Non è questo il
luogo per approfondire con la dovuta finezza il tema delle trasposizioni culturali, ma tengo
a dire che il successo di pubblico che prolungò per un anno quasi le repliche dell’Arte della
commedia in tutta la Spagna, insieme agli elogi indiscussi della critica avvalorarono le nostre decisioni artistiche; e, soprattutto, fecero esplodere, oltre il territorio catalano, nel resto
della Spagna - finalmente - un interesse generalizzato per il teatro di Eduardo.
Il pubblico si meravigliava di fronte a questi personaggi, per loro italianissimi, vestiti e circondati di una luce scadente - quella del mondo epigonale defilippiano - e che pure parlavano della loro immediata realtà: «A un certo punto - commentavano alcuni - non ti rendi più
conto che stanno parlando in spagnolo. Hai l’impressione di essere tu a capire l’italiano!».
Finalmente Eduardo
Mai come allora, nel 2010, si erano materializzati in Spagna in un’unica stagione tanti allestimenti di Eduardo, tanto interesse da parte dei registi, dei produttori e, quindi, del pubblico: una vera Renaissance defilippiana.
A gennaio di quell’anno (ripresa nei due successivi) Natale in casa Cupiello, in catalano, fu
allestita alla Biblioteca de Catalunya (a Barcellona, sotto la regia di Oriol Broggi6) e fece pure
una tournée di un certo rilievo. Il titolo era rimasto in italiano perché gli attori fingevano di
essere una compagnia napoletana in tournée in Spagna.
Comunque, a detta di alcuni critici, non si erano evitati i rischi di cogliere esclusivamente la
parte farsesca del testo:
La serietà, nella commedia è fondamentale per approdare all’effetto giusto, Oriol Broggi
però sembra più interessato a suscitare la risata attraverso i grandi gesti gratuiti, che a
cercare la propria efficacia del testo7.
viene da lontano, dai tempi di Alfonso il Magnanimo, re dei due nostri territori; dei vincoli
storicamente associati alla nostra mediterraneità. Ecco perché i personaggi ritratti da De
Filippo noi li vediamo se come fossero i nostri. […]
L’opera di De Filippo stende un ponte tra due società sociologicamente molto simili. Pochi
autori ci fanno sentire la vicinanza di quella drammaturgia valenziana di metà del ‘900 che
avrebbe dovuto essere, e non fu8.
Sempre nel 2010, a Giugno ancora un altro allestimento di Questi fantasmi! vide la luce al
Festival del Grec, a Barcellona, sotto la regia di Oriol Broggi. Lo spettacolo fu portato nella stagione 2011 al Centro Dramático Nacional di Madrid, l’istituzione del Ministero della
Cultura che ha per scopo quello di offrire al pubblico spagnolo i campioni della moderna
drammaturgia, e che, per la prima volta dalla sua fondazione nel 1978, accoglieva un testo di
Eduardo. Come forse si saprà, era in coproduzione con i Teatri Uniti di Napoli e annoverava
nel cast tre attori italiani.
Nella stagione successiva (2011-12) sempre il Centro Dramático Nacional ripeté l’esperienza defilippiana programmando Yo, el heredero (Io l’erede) in una produzione di Andrea
D’Odorico, con la regia di Francesco Saponaro (trad. J.C. Plaza). Riporto un commento della
recensione del critico M. Ayanz (2011):
Il regista napoletano Francesco Saponaro dimostra di conoscere bene lo spirito del suo
compaesano De Filippo, e trasferisce il testo nella sua prossimità, sebbene la sua concezione
scenica, sorretta da una squisita ma sobria scenografia di Andrea D’Odorico, resti un po’
conservatrice nel mettersi al servizio di un testo che permetterebbe nuove letture9.
E, ultima per ora in elenco, nella passata stagione Napoli milionaria! è stata realizzata a
Madrid, in una sala modesta, e con un cast giovane con la regia di Paco Vidal.
Actores consagrados per Eduardo
Sin dagli anni in cui Eduardo si destreggiava nel varietà, era lui stesso a incarnare i protagonisti dei suoi testi, come si sa, dando alla sua drammaturgia una coesione che rendeva
Alfred Lucchetti come Otto Marvuglia, Barcellona, 1988 (Cortesia del CDMAE della
Catalogna).
Concha Velasco come Filumena, e José Sazatornil, 1979 (Cortesia di Ángel Fernández
Montesinos).
A febbraio dello stesso anno, come si è detto, L’arte della commedia fu allestito all’interno
delle celebrazioni dei quindici anni di attività teatrale del Teatro La Abadía di Madrid, che
volle con essa rendere omaggio a tutta una forma di vivere il teatro, e di praticarlo. Il regista
valenziano Carles Alfaro, fece una proposta scenica di malinconia felliniana e di perizia attoriale grazie a un elenco di primissime figure.
Ad aprile il Centre Teatral de la Generalitat di Valencia allestì in valenziano Questi fantasmi!
(Estes fantasmes) - notiamo ancora che riportava il titolo in tutte e due le lingue - con la
regia di Juanjo Prats, che così si esprimeva nel quadernetto pubblicato per le rappresentazioni, facendo appello alla mediterraneità, che a suo avviso, affratella i valenziani con la
drammaturgia eduardiana:
Purtroppo, il teatro valenziano non ha avuto una figura come quella di Eduardo De Filippo
capace di aprirci le porte al secolo XX. La prossimità storica tra napoletani e valenziani
7
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9
Pedro Casablanc interprete di De Caro, T. La Abadía, 2010.
difficile distinguere se la grandezza dei personaggi appartenesse all’autore oppure all’interprete. Ma il riconoscimento internazionale della sua drammaturgia e il successo di un teatro
fieramente collegato ai problemi del suo tempo, chiariscono oggi ogni dubbio. Ma quali
sono i cosiddetti mattatori che hanno costruito in Spagna questo suo archetipo drammatico,
che Anna Barsotti nel suo libro fondamentale10 ha chiamato l’achipersonaggio eduardiano?
Certo, una drammaturgia di grandi personaggi è sempre un richiamo per i grandi attori; ed
è così anche in Spagna, dove questa genìa di figli d’arte è designata con il nome di actores
consagrados. E quelli associati ai testi di Eduardo sono stati di solito all’altezza del compito:
uno tra i grandi, in qualche modo fratello di Eduardo, Fernando Fernán Gómez, lui stesso
drammaturgo e rinomato interprete del cinema e della televisione, interpretò Pasquale Lojacono nell’edizione degli anni Cinquanta.
Lo scomparso Alfred Lucchetti fu Otto Marvuglia nella versione catalana de La grande magia (1988); egli stesso tradusse in catalano nel 1995 Filumena Marturano, in cui interpretò la
parte di Domenico Soriano (al Teatro Romea).
Un ruolo che aveva incarnato magistralmente nella versione castigliana di Filumena del
1979 José Sazatornil, conosciuto come “Saza”.
E per quanto riguarda quelli degli ultimi anni, Marcos Ordoñez parlava così dell’Oreste
Campese di Enric Benavent nell’Arte della commedia del 2010: «È il miglior lavoro nel quale
io l’abbia visto; costruisce un Campese impeccabile, orgoglioso, infiammato e furbo, con
tanto di ragioni e saggezza»11. E a proposito di Pedro Casablanc, interprete di De Caro, scrive: «morde di continuo il freno della farsa, ma finisce per sprigionare un raro patetismo»12.
fondamentali non sono stati neanche mai rappresentati. È il caso di Le voci di dentro - ma
è arrivata l’edizione di Toni Servillo, la primavera del 2014, a Madrid - o di altri come Non ti
pago! o Il sindaco del Rione Sanità. Tali assenze probabilmente si ricollegano alla difficoltà
di ottenere i diritti di produzione dall’Italia. Una casa editrice di Barcellona, specializzata in
teatro, Alba Editorial, mi propose tre anni fa di tradurre le Lezioni di Teatro di Eduardo, ma
non ricevettero mai alcuna risposta dall’Italia, così che il progetto non si è potuto ancora
realizzare.
Quando agli esordi delle mie ricerche su Eduardo - nei primi anni Novanta - viaggiavo
spesso a Napoli, ebbi il privilegio di incontrare Carlo Molfese, che mi ricevette a casa sua
e mi regalò il catalogo di una mostra che allora girava sotto la sua direzione, Eduardo nel
mondo. Vi si leggevano solo due misere frasi sulla Spagna. Quel “mondo” eduardiano ancora
non era approdato se non sporadicamente sulle nostre scene, e i testi di Eduardo tradotti in
spagnolo si contavano sulle dita di una mano.
C’è voluto un po’ di tempo, è vero ma oggi, grazie allo sforzo di alcuni teatranti - tra cui mi
conto anch’io - che hanno saputo vedere in lui un fratello, e hanno capito l’attualità della
sua tenera decadenza, il panorama è alquanto cambiato. Posso ora festeggiare con voi la
soddisfazione di sapere che la drammaturgia di Eduardo si estende al mondo spagnolo,
arrivando al grande pubblico. E che quel suo teatro «umile, ed enorme» è riuscito ad attraversare, finalmente, il Mare Nostrum.
1.Cfr. http://elpais.com/diario/2010/03/13/babelia/1268442758_850215.html; Marcos Ordoñez, El teatro humilde
y enorme de Eduardo De Filippo, in «El País, Babelia», 13/03/2010, p. 21.
2. Per la ricezione della drammaturgia di Eduardo nella Catalogna, cfr. Eduardo De Filippo a Catalunya, in
«Quaderns d’Italiá», n. 12, Universidad Autónoma de Barcelona, pp. 53-58.
3. Ripresa poi nel 2006, sempre dal tandem Fernández Montesinos-Concha Velasco. E prima di loro anche da
altre grandi primedonne della scena spagnola (cfr. Ana Fernández Valbuena, Eduardo De Filippo: un teatro, un
tiempo, Madrid, Fundamentos, 2004, p. 186).
4. Javier Villán, De Filippo vuelve con la ternura animal de Filomena Marturano, in «El mundo (El cultural)»,
Madrid, 02/03/2006.
5. Miguel Ayanz, El poder de los actores, in «La Razón», Madrid, 26/02/10, p. 82.
6. Allestito dalla compagnia laperla29. Broggi era stato l’aiuto regista di Belbel nella sua celebrata Dissabte,
diumenge i dilluns del 2003. Nell’edizione del 2012 si trattò di una regia in collaborazione con Ferran Utzet.
Cfr. anche Sergi Doria, Broggi arma el Belén, in «ABC Cataluña», 24/01/2010, p. 48. Si veda anche Juan Carlos
Olivares, Natale in casa Cupiello, www.timeout.cat, (2013), p. 57.
7. Joaquim Armengol, Pessebre, in «El Punt», Barcelona, 26/01/2010, p. 32. Le traduzioni del catalano e il
castigliano sono dell’autrice.
8. Juanjo Prats, Per qué Eduardo De Filippo, ara i ací, Questi fantasmi! (Estes fantasmes), in «Cuadernos
Escénicos de Teatres de la Generalitat», Valenzia, 2010, pp. 10-17.
9. Miguel Ayanz, Yo el heredero: casa tomada, in « La Razón», Madrid, 07/10/11.
10. Il riferimento è ad Anna Barsotti, Eduardo drammaturgo: fra mondo del teatro e teatro del mondo, Roma,
Bulzoni, 1995.
11. http://elpais.com/diario/2010/03/13/babelia/1268442758_850215.html; Marcos Ordoñez, El teatro humilde y
enorme de Eduardo De Filippo, cit., p. 21
12. Ibidem.
13. «L’espectacle decau en el tercer amb la repetició dels tics de Cruz al llit», dice di lui César Lòpez Rosell,
Sainet napolità a la Biblioteca, in «El periódico de Catalunya», Barcelona, 30/01/2010, p. 69.
E quanto al Luca Cupiello della produzione catalana del 2010, lo ha impersonato Pep Cruz13;
mentre il noto Ernesto Alterio, figlio dell’attore argentino Héctor Alterio, è stato Ludovico in
Yo, el heredero al Centro Dramático Nacional.
Finalmente Eduardo in Spagna
Ancora oggi sono poche le edizioni di testi di Eduardo tradotti in spagnolo: alcuni titoli
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