Aprile 2013 Anno 0 Numero 3 SHANTI TeatrocultFOGLIO Campania www.teatrocult.it Rigillo al Mercadante: “Il mio atto d’accusa contro corruzione e cinismo” L’attore protagonista di “Erano tutti miei figli” di Arthur Miller. Il ricordo di Troisi Clelia Verde Mariano Rigillo, classe 1939, versatile e poliedrica certezza delle scene nostrane, arriva al Mercadante dal 17 al 28 aprile come protagonista di "Erano tutti miei figli", un testo del gigante Arthur Miller per la regia di Giuseppe Dipasquale. Dov'è racchiusa l’attualità di quest’opera? Questo è un grandissimo testo, il primo che ha consacrato Arthur Miller come autore teatrale, e credo che come tutti i capolavori abbia un’attualità costante e non abbia bisogno di riferimenti specifici alla situazione odierna; Scritto immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, ha un riferimento in qualche modo molto preciso a quell’epoca ma la corruzione, la spregiudicatezza e il cinismo del magnate dell’industria che vuole arricchirsi a qualunque costo possiamo ritrovarli facilmente anche oggi. In particolare l'industria bellica è responsabile delle stragi in tanti paesi e proprio nel nostro ci troviamo a discutere degli F-35... Questo mondo privilegia le relazioni virtuali mentre il teatro resta uno scambio importante tra esseri umani in carne ed ossa. Questo punto per me è fondamentale. Il teatro, nell'ambito dello spettacolo e della comunicazione, è l’unico luogo dove ancora esiste il contatto diretto tra individui. Nel celebre film Il postino ha una battuta meravigliosa: "poeti possono fare anche molto danno alla gente”. Battuta fondamentale. Il potente pensa che la cultura possa fare molto PETER CINCOTTI tour teatrale 13 APRILE - NAPOLI - TEATRO TRIANON Peter Cincotti ha pubblicato il nuovo album "Metropolis" lo scorso 22 maggio. Il singolo "Goodbye Philadelphia" lo ha portato in cima anche alle classifiche italiane e i suoi concerti hanno mostrato il suo lato più artistico. Peter Cincotti è infatti un compositore di livello assoluto, nonché musicista sopraffino, in grado di sprigionare dal vivo la sua classe, grazie a uno stile che sa mischiare il pop con il jazz, il soul e lo swing. Con un cognome come il suo non è difficile rintracciare ascendenze italiane. «Mio nonno paterno era di Napoli, mia nonna di Piacenza, e quindi ho respirato il profumo di questa terra fin da piccolo. Nonostante la mia famiglia viva a New York (dove sono nato) da due generazioni, sono cresciuto a contatto con le tradizioni italiane, assimilando alcuni dei valori che la caratterizzano». male alla società nel senso che può fare molto male a lui e ai suoi interessi. Il personaggio che io interpreto è infatti un potente democristiano arricchito, e questa battuta dà senso alla lotta per la diffusione della cultura contro i potenti. Ha un ricordo di Massimo Troisi che vuol condividere con noi? Un ricordo dolce, appassionato. Giravamo il film con l’unità coronarica alle spalle del set dalla quale Massimo entrava e usciva; un ricordo affettuoso ed entusiasta di una persona in quelle condizioni che s’impegnava a chiudere quello che forse non sapeva sarebbe stato il suo ultimo film ma sapeva essere un momento importante per lasciare di sé l’immagine di un attore amante della poesia. Mi ha lasciato questa immagine di passione assoluta per il nostro lavoro. C’è una Napoli che andrebbe raccontata in alternativa allo stereotipo di Gomorra? Certamente. Ed è la Napoli per la quale da anni ci stiamo battendo. Ferito a morte, per esempio, di Raffaele La Capria, fornisce un'immagine non positiva della città ma diversa dallo stereotipo. I problemi in città sono tanti ma ci sono tanti modi per raccontarli. Non soltanto attraverso le pistole e i magistrati. La letteratura, soprattutto quella che ha formato la mia generazione, è piena di argomenti seri e critici, di momenti e situazioni difficili trattati non necessariamente con lo specchio del misfatto. © RIPRODUZIONE RISERVATA ALL’INTERNO Un autore indipendente: Giovanni Meola La musica popolare di Luca Nasti Lucia Oreto e le officine teatrali al centro storico “VITA DI REGINA” Il libro appassionante di Maricla Boggio Luca Ronconi: il teatro come limite Lenòr Dopo oltre due secoli ancora a raccontare il disagio di una società ignorante e volgare Alessandro Gassmann è Riccardo III al Bellini “Questo personaggio ci dice quanto il potere sia solo acquisizione di un privilegio” L’Agis Campania proclama lo stato di crisi Ritardano i finanziamenti pubblici, il mondo dello spettacolo piomba nel buio Guerino Caccavale Chiudono i battenti cinema e teatri. Incredibile ma vero. I soldi non arrivano e quelli che hanno trattenuto il fiato fino ad ora non ce la fanno più. Costretti alla resa. La difficile situazione economico-finanziaria, denunciata nemmeno un mese fa da Luigi Grispello, presidente regionale e vicepresidente nazionale dell'Agis, l'associazione che riunisce le imprese di cinema, teatro, danza, musica e spettacolo viaggiante, è più forte. Oltre a chiudere la storica Edenlandia, abbassano il sipario l’Acacia e il Sancarluccio (a maggio), mentre a rischio sono il Delle Palme, il Totò, il San Ferdinando e nientedimeno che lo stabile di Napoli, il Mercadante. In tono drammatico, Grispello afferma: “Sono da anni nel settore spettacolo, ma mai ho visto una crisi di tale entità. Per questo sollecito una tempestiva soluzione”. A parte il disastro morale resta il fatto che potrebbero perdere il posto di lavoro circa12mila addetti del settore per l’intera regione. La causa di tutto questo è la crisi generale con il conseguente calo degli incassi, e la definitiva scomparsa delle risorse pubbliche, statali e locali. Si pensi poi ai tagli drastici per 21 milioni di euro del Fondo Unico per lo Spettacolo, al fatto che il peso fiscale per gli operatori del settore è diventato ancora più insostenibile. Un baratro dentro il quale la cultura è precipitata. Per ora, in attesa di nuove comunicazioni da parte dell’Agis, le notizie disponibili ci fanno crollare le braccia. Siamo all'impoverimento delle stagioni teatrali e ciò influisce sulla qualità delle rappresentazioni. In più c’è la Legge Regionale 6/2007 relativa alla disciplina degli interventi di promozione dello spettacolo che prevede l'assegnazione e l’erogazione di risorse economico-finanziarie a circa 500 imprese in modo prettamente “gerarchico”, e che, secondo indiscrezioni, privilegerebbe strutture non bisognevoli, penalizzando quelle di minore entità e con vere esigenze di soccorso. Ma veniamo ai dati. “La Regione”, dichiara l’avvocato Grispello, “deve ancora assegnare circa 3 milioni e 600mila euro per il 2010, circa 2 milioni e 600mila per il 2011, e non ha ancora assegnato nulla dei 13 milioni previsti per l'anno scorso.” © RIPRODUZIONE RISERVATA Piazza municipio, 21 Napoli 081 55205555 www.brinkmann.it TEATROCULTFOGLIO Campania Meola: “Con orgoglio rivendico la mia libertà dagli ingranaggi istituzionali” Faccia a faccia con la creatività di un autore indipendente Maddalena Porcelli Giovanni Meola, che incontreremo al Piccolo Bellini dal 5 al 14 aprile con lo spettacolo Munno e Terzo Munno di Luigi Credendino, è un autore, regista, sceneggiatore di teatro e di cinema; una forza della natura, dirompente e vitale, appassionata del suo lavoro come difficilmente ci è dato d’incontrarne in questi tempi opachi. Il suo è un lavoro politico, nel senso più elevato che si possa attribuire alla parola. Con orgoglio rivendica l’essere indipendente da ogni ingranaggio istituzionale che soffoca la libertà espressiva e creativa. La sua indagine si concentra, in particolare, sulla realtà delle periferie, sottolineando situazioni e personaggi coperti dal silenzio ufficiale, scardinando tutti quei luoghi comuni e scontati di condanna aprioristica, per mostrare quegli aspetti meno ovvi, di vuoto esistenziale di tanti giovani, anche criminali, la cui condizione è determinata e imposta e non scelta con libera consapevolezza. Una sfida coraggiosa se si considera che per raccontare certe tematiche bisogna in qualche modo innamorarsi dei propri soggetti e ciò può avvenire solo se si è pienamente coscienti. Il fenomeno della criminalità giovanile nel sud, egli dice, solo apparentemente riguarda chi in questi luoghi ci vive, ma sostanzialmente è un problema nazionale che si evita di affrontare. E allora, si chiede, la farsa sta nella considerazione di un’Unità italiana che non esiste… Autore indipendente, Giovanni Meola è un uomo che la sera dorme sereno, poiché non ha nessuno, dice, che gli sta col fiato sul collo. La sua compagnia teatrale nasce grazie alla collaborazione di persone con le quali si è stabilita una relazione di amicizia, dunque di fiducia estrema, con le quali condivide anni e anni di esperienze comuni; un’unione umana oltreché professionale, da cui trae forza e coraggio. Nei prossimi giorni, quindi, potremo vederlo al Piccolo Bellini, con Munno e Terzo Munno di cui egli firma la regia e il cui autore è Luigi Credendino, un attore professionista incontrato in uno dei tanti laboratori scolastici che tiene da oltre quindici anni in svariate scuole della Campania in veste di operatore e formatore teatrale, dal cui incontro è nato un legame che si è consolidato nel tempo. Così è iniziato il suo percorso artistico in teatro, nella consapevolezza del valore di un teatro come luogo assembleare, capace di sviluppare comunità. Dapprima lavorando con i reclusi minorenni nel carcere di Nisida, in seguito creando un’associazione culturale, ”Virus Teatrali”, grazie alla quale ha fondato La Compagnia della Legalità. Ha sviluppato così progetti teatrali di grande spessore civile che da oltre un decennio porta in giro per l’Italia, riscuotendo il favore del pubblico, non solo napoletano, e della critica. “L’Infame” e “Frat’ ‘e sanghe” sembrano essere, dal tono in cui ne parla, i suoi prediletti, ma la sensazione che trasmette è sempre quella di una passione incontenibile per tutto ciò che produce. I suoi cortometraggi, intensi e poetici, tutti autoprodotti, esprimono al massimo la sua libertà creativa, proprio perché non soggetti agli ingranaggi dell’industria. I film parlano della realtà e fanno pensare. In particolare “Il Pinocchio Carognone” a quella bella stagione che fu il neorealismo, troppo presto soffocato dalla censura e dall’industria. Ancor più oggi, laddove il binomio cinemacapitali da investire non lascia spazio al cinema basato sulla creatività e la passione sociale, il cinema indipendente rappresenta la vera e unica sfida possibile all’eterna pseudorealtà che i media propinano, che annebbia le coscienze subordinandole a quello che Jost definisce “L’impero del falso”. © RIPRODUZIONE RISERVATA Resistenza della musica popolare con Luca Nasti Carlotta Fiorentino Luca Nasti si cimenta nella musica da giovane facendo esperienza nel mondo artistico napoletano a tutto campo. Lavora al fianco di grandi interpreti della tradizione come Mario Merola, Aldo Giuffrè, Ida di Benedetto e Lina Sastri. Artista presente non soltanto a teatro ma anche in televisione con fiction e soap. La voce soave di Luca Nasti racconta la bellezza di Napoli attraverso canzoni e tradizione. Ti avvicini alla musica partecipando a diversi concorsi canori e classificandoti sempre tra le prime posizioni. Ma c’è stato un incontro importante nella tua vita. Come è cambiato il tuo percorso artistico da quel momento? L’incontro più importante per la mia carriera è stato quello con Mario Merola che mi ha fatto crescere artisticamente e che mi accompagna ancora oggi nei miei spettacoli. In ognuno lascio sempre un angolo a lui riservato, parlando della sua bravura e dei suoi insegnamenti. Qual è la canzone che senti più tua, che più ti segnala e quale quella che racconta maggiormente il rapporto viscerale che hai con Napoli? Mi rifaccio principalmente alla tradizione canora napoletana, quella classica, interpretando Di Giacomo, Bovio, E.A. Mario. “Napule ca se ne va” è la canzone che più racconta il rapporto stretto, viscerale tra me e questa città. Dove hai sentito più forte la partecipazione del pubblico nei confronti della musica? In teatro particolarmente nel musical “Medea di Portamedina” con Lina Sastri e quando mi produco nei concerti dove ho un contatto diretto col pubblico. Parlaci di “Tango del mare”, spettacolo cantato e recitato, che ha avuto un grande successo di critica e di pubblico. Tema predominante è il mare, grande forza confrontata con l’amore. Lo spettacolo è curato da Tommaso Bianco, io interpreto canzoni in cui il legame tra il mare e l’amore è molto forte. Nello spettacolo canto canzoni d’amore nelle quali il nome “mare” è sempre presente o parole dello stesso campo semantico. Per esempio, tra le canzoni eseguite “Canzone marenara” “Piscatore ‘e Puselleco” “Maruzzella”. Tradizione e modernità nella musica napoletana in che modo si possono conciliare? La canzone tradizionale napoletana può essere modernizzata per esempio con gli arrangiamenti e suoni nuovi. E non a caso, ho realizzato un disco di otto brani di cui sette classici e un inedito con il maestro Vincenzo Campagnoli. Tra questi brani più di spicco “Uocchie c’arraggiunate”, “Oj Marì” e “Na sera ‘e maggio” e il brano inedito “Caggia fa”. © RIPRODUZIONE RISERVATA Taccuino della spiritualità a cura di Apollonio Giovanni Meola PINA...MA PERCHE' NAPOLI NO? L’interrogativo è una provocazione dalla quale la regista e coreografa Flavia Bucciero parte per ispirarsi idealmente e affettivamente ad una delle più grandi artiste del Novecento che amava tanto Napoli, la sua gente e le sue contraddizioni. L’idea dello spettacolo (prodotto dal Consorzio Coreografi Danza d’Autore, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Regione Toscana) prende vita da un pensiero, una domanda retorica, un sogno, un desiderio incompiuto: perché un’artista come Pina Bausch che ha dedicato tanto della sua produzione agli umori di molte città internazionali, non ha realizzato uno spettacolo su Napoli? E tutto questo serve alla Bucciero anche a ricongiungersi con le proprie origini, con la danza espressionista, che è alla base della sua formazione artistica, e con Napoli luogo di nascita e di parte della sua vita. Una Napoli che ha il privilegio di poter guardare dal di fuori e dal didentro: sensuale e seducente, ma anche acida e spietata, solare e piovosa (come solo Napoli può essere) divertente e ironica, tragica e disincantata. La scelta musicale dello spettacolo evita volutamente riferimenti alla musica napoletana, se non per qualche breve, ironica citazione neomelodica che sembra arrivare come da un altro mondo. E poi musica barocca, turca, araba, jazz. Sonorità diverse e discordanti come discordante è la Napoli citata nel titolo. Il 6 aprile e il 7 aprile a Napoli al Teatro Area Nord. Il libro Bianchi: “In scena una “Vita di Regina” A coloro che sono preoccupati per il futuro del pianeta. Da ogni parte arrivano notizie sconfortanti. Persino gli scienziati fanno trapelare la loro preoccupazione. Le antiche profezie stanno per avverarsi e voi aspettate fatalmente che ciò avvenga, credendo che l’unica cosa da fare sia di raccomandarvi alla misericordia divina. Chiediamoci allora cosa è l’essere umano, la sua matrice, il suo compito e la sua destinazione. La nostra presenza sulla Terra non è casuale ma il risultato di un piano di crescita utile alle future galassie per i futuri pianeti. Quando nulla più ci turberà intaccandoci, e quando la pace e l’armonia in noi sarà totale, allora potremo emanare una luce così forte da realizzare quella forza divina che smuove le montagne e opera per portare sullo stesso piano i ritardatari. Sarà il nostro risveglio, la nostra fede, la nostra autostima, il nostro altruismo che permetterà l’avvento del millennio d’oro. Se mettiamo il cinquanta per cento del nostro amore ed impegno, l’amore e l’armonia universale ne rimetteranno tutto il resto. E così insieme salveremo la Terra dai danni che l’umanità stessa ha prodotto. Siamo sereni e ottimisti e amiamo, nonostante tutto. Siamo noi quel sole che irradierà gioia e armonia che solo un amore non egoico sa dare. Oggi è un gran giorno, viviamolo credendo fermamente nel nostro potere spirituale. Solo così, col cuore e un corpo purificato, l’armonia universale non potrà negarci nulla. Lucia Oreto con racconti, tradizione e officine teatrali nel centro storico di Napoli Maurizio Vitiello Maddalena Caccavale Menza Regina Bianchi come donna e madre, attrice per caso anche se figlia d’arte, pagata poco ma dotata di grande fortuna: la componente più importante nella vita e nell’arte. Si racconta nella Vita di Regina scritta dall’amica scrittrice e regista Maricla Boggio. Pagine stupende dove si ripercorre la straordinaria carriera di un’attrice che ha legato il suo nome allo straordinario personaggio di Filumena Marturano scritto da Eduardo De Filippo in omaggio a sua sorella Titina. E, nel destino esistenziale e in quello di attrice, le scelte sono avvenute quasi casualmente come, casuale, è stata la maternità, che l’ha tenuta, per volontà del “padre delle sue figlie” (il regista Goffredo Alessandrini), quindici anni lontana dalle scene. Tra le pagine del libro ventila la grande passione per il teatro che si deve fare sempre e “a qualunque costo” –come sosteneva Eduardo per il quale “il giorno di riposo è la morte del teatro”, ma si respira anche una grande umiltà. Non sale in cattedra Regina come agilmente avrebbe potuto fare l’attrice giubilata che ha mosso i suoi primi passi sulle tavole di quel palcoscenico dove effettivamente è nata. La madre Maria recitava quando Regina spingeva per venire al mondo. Messa in un cassetto che fungeva da culla, da neonata, durante le rappresentazioni, ha cominciato a recitare nelle parti da bambina o bambino nella compagnia dei genitori Italo e Maria Bianchi. Il suo è un nome d’arte, scelto dal padre Raffaele Merola per il suo ingresso in teatro. Con i genitori fino a sedici anni poi da Raffaele Viviani, dove iniziò con piccole parti prima di volare verso la celebrità. L’incontro con De Filippo, avvenuto quando Regina aveva 19 anni, fu decisivo per la sua crescita artistica: “Eduardo sapeva far recitare anche le pietre”. Proprio lui, consapevole delle sue qualità, le affidò più tardi, quando ormai la sorella Titina non poteva più interpretarlo, il ruolo di Filumena Marturano, che poi costituì il personaggio a cui è stata più legata e che si rivelò un vero trionfo. Nel libro, con sobrietà e discrezione, l’attrice rievoca anche il dolore della sua vita di madre: quello di aver perso per una malattia la maggiore delle sue figlie. La delicatezza della rievocazione rende ancora più grande la sua statura morale. Lavorò con registi del calibro di Nanni Loy nelle Quattro giornate di Napoli nel ruolo di Concetta meritevole del Nastro d’argento. Poi con Zeffirelli e i fratelli Taviani. Vita di Regina è “il diario di una donna che non rinfaccia nulla, non si lamenta, non grida o pretende. Ma esiste”. Edizioni Rai–Eri. © RIPRODUZIONE RISERVATA E’ da tempo che Rodolfo Rubino pubblica ricordi di artisti napoletani. La sua casa editrice, l’Istituto Grafico Editoriale Italiano, propone indiscutibili rarità. La pubblicazione di Lucia Oreto ricorda i momenti teatrali e umani di “Il Trio Sancarlino” in cui anche lei è stata protagonista, come Colombina, con Pasquale Esposito, ultimo Don Anselmo Tartaglia, e Antonio Sigillo, ultimo Pulcinella. Lucia Oreto ha conosciuto tanti personaggi del teatro e della canzone napoletana, da Nino Taranto a Pupella Maggio, da Rosalia Maggio a Nunzio Gallo, da Renato De Falco a Salvatore Tolino. “Ci vorrebbero pagine intere” dice “per annotare aneddoti sul Trio Sancarlino. Una cosa è certa: mi mancano moltissimo; Pasquale Esposito, con la sua verve, il senso dell’humour in tutte le situazioni; Antonio Sigillo, con la sua pacatezza, i racconti sul teatro. Spero, con questo mio contributo, modesto, ma sentito, di riuscire a tramandare il teatro del popolo, teatro delle maschere napoletane: Pulcinella, Colombina e Don Anselmo Tartaglia.” Napoli è sempre stata territorio di laboratori e officine. Proponi uno spazio teatrale che vuole studiare radici e tradizioni. Da quanto tempo? E con quale progettualità? Un mio sogno nel cassetto dal 1999 quando morirono i miei due maestri Pasquale Esposito (Don Anselmo Tartaglia) e Antonio Sigillo (Pulcinella), rimasi orfana, difficoltà nel ricomporre il trio Sancarlino, pensai di tramandare la mia arte nel laboratorio teatrale. Il Sancarlino, ridotto del teatro San Carlo, teatro del popolo ove furono rappresentate i lavori di Petito. Il nostro trio si formò nel 1964 riscuotendo successo, fortuna, consensi da parte del pubblico in Italia e anche in Europa e a New York con Bruno Venturini. Il mio scopo è quello di tramandare la tradizione del teatro popolare in collaborazione con la Fondazione Giambattista Vico, Presidente Vincenzo Pepe, alla Chiesa San Gennaro all'Olmo, in via San Gregorio Armeno al civico 35 a Napoli. Siamo là ad accogliere tutti con i nostri laboratori. Pensi che lo spazio teatrale costituito nel centro storico dia ossigeno al territorio circostante? Sì, ci troviamo nel giusto contesto, essendo rivalutato il centro storico di Napoli. I decumani sono una forte attrazione e un incredibile incentivo per il turismo. Purtroppo, non ci rendiamo conto che viviamo in una delle più belle città del mondo; purtroppo maltrattata e calpestata da tutti. Per portare avanti l'iniziativa di cosa hai bisogno? Collaborazione delle Istituzioni. Solidarietà, contributi, pubblicità. © RIPRODUZIONE RISERVATA TEATROCULTFOGLIO Campania Gassmann: “Con Riccardo III mostro le deformità dell’anima” L’attore con Shakespeare al Bellini sulle orme di Spacey e papà Vittorio Anita Curci “La decisione di affrontare, per la prima volta anche da regista, un capolavoro di William Shakespeare non è disgiunta dal felice incontro con Vitaliano Trevisan che ha curato traduzione e adattamento. Il "nostro" Riccardo, col suo furore, la feroce brama di potere, dovrà colpire al cuore, emozionare e coinvolgere il pubblico trasportandolo in un viaggio affascinante e tragico attraverso le pieghe oscure dell'inconscio e nelle deformità dell'animo umano”. Alessandro Gassmann racconta la sua ultima sfida: quella di mettere in scena un’opera complessa e straordinariamente attuale, il “Riccardo III”. Lo spettacolo sarà in scena al teatro Bellini dal 9 al 14 aprile. Andiamo alle origini della scelta di interpretare un ruolo che è stato di Laurence Olivier, Al Pacino, suo padre stesso, e di Kevin Spacey, l’anno scorso, proprio al Napoli Teatro Festival Italia. Non è una gara. Il ‘Riccardo III’ è un capolavoro assoluto da interpretare tante volte e in maniera diversa. Le rappresentazioni da lei menzionate le ho viste tutte, tranne quella di mio padre. Il mio spettacolo non si avvicina a nessuna. Ho voluto lavorare nel rispetto del linguaggio di Shakespeare, su una lingua che trattasse parole ormai lontane da noi ma secondo una formula popolare, comprensiva a un pubblico giovane. E ho avuto ragione: lo spettacolo è il più visto in questo periodo proprio dai giovani. Shakespeare è grande perché pare che l’opera sia stata scritta ieri. Come è entrato in un personaggio che era gobbo e deforme? Spacey a Napoli usava una protesi piuttosto faticosa da tenere lungo tutto lo spettacolo. E lei? Spacey ha lavorato sulle gambe, io ho dovuto farlo sul corpo, sulla mia altezza. Sono più alto di quel che sembri! Gli attori che recitano intorno a me non sono altissimi e questa differenza ha reso me diverso. Comunque, anche io porto una specie di protesi, al braccio destro. Ma quella che intendo mettere in evidenza è in effetti la deformità psichica. L’aspetto più interessante sta nel mostrare la deformità dell’animo umano. Riccardo è un uomo col cervello grande e il cuore tanto piccolo. Quali scelte di regia ha fatto? Il suo è un allestimento naturalistico o simbolico? E la scenografia? Per la prima volta sono stato io stesso a ideare la scenografia e Gianluca Amodio mi ha aiutato a costruirla. L’ambientazione è naturalistica. Ho preso ad esempio la bizzarra creatività di Tim Burton, di cui sono fan. Bisogna pensare che le scene si riferiscono ad un luogo geografico dove non batte mai il sole, i personaggi sono pallidi e hanno occhi neri, come scavati nel volto. Impressionanti da guardare. Di grande sostegno sono stati il trucco, le musiche, i costumi (tra l’altro, il costumista, Mariano Tufano, è napoletano). Nelle scelte di regia c’è la volontà di essere credibile, soprattutto nelle intenzioni. Riccardo III è sinonimo della violenza e della cecità del potere che davanti a nulla si ferma. Dunque, un argomento molto attuale. Attuale come non mai. Quale paese più dell’Italia ha bisogno di questo spettacolo oggi? Stiamo vivendo tutti un periodo terribile dal punto di vista sociale, economico, culturale. Riccardo rappresenta un monito e ci dice quanto il potere sia solo acquisizione di un privilegio e non di sacrificio. I politici non hanno capito che sono nostri dipendenti, pagati da noi per fornire un servizio, quello di governare per noi un Paese. Questa politica oltre a manifestare la sua totale inettitudine, ha anche dimostrato di non possedere volontà. Che altro prepara per il prossimo futuro? Mi occuperò di questo spettacolo fino alla fine di aprile. Poi continuerò a tenere d’occhio il mio lavoro “Razza Bastarda” che dopo il successo di Roma, ha avuto per la sezione “opere prime e seconde” l’assegnazione del primo premio al Festival cinematografico di Bari di quest’anno. Il riconoscimento mi ha lusingato. Poi, sarò in tv con “La grande famiglia” e parteciperò al film di Franco Bernini, “La corsa”. E non dimentico la direzione dello Stabile del Veneto. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL TEATRO CI GUARDA / Ronconi: Antonio Tedesco Ogni nuovo allestimento di Luca Ronconi è il tentativo di superare un limite. Il suo è un teatro vissuto, appunto, ai limiti della “teatrabilità”. E che spesso la oltrepassa, e diventa qualcosa di ulteriore. Una macchina scenica in senso assoluto, che vive di ritmi, di pulsazioni, che si dilata nello spazio e nel tempo, oltre gli angusti limiti del boccascena, al di là dei luoghi deputati del rappresentare. Ma spesso anche del rappresentabile. Un teatro che vuole abbracciare il mondo, che sente il bisogno di allargarsi oltre sé stesso, di superare i suoi ambiti. Siano essi fisici, mentali, o anche “istituzionali”. Un teatro che straripa. Che invade i luoghi della “realtà”. Non rimanendo succube del mero rappresentarla, ma divorando e inglobando quello stesso mondo, e quella stessa realtà. Invertendo i ruoli. Diventando forza propulsiva e creatrice. Facendo del mondo stesso una propria creatura. Un teatro che “mangia” con voracità tutta la realtà intorno. Non rassegnato e non addomesticato ai tempi e agli spazi che gli vengono comunemente attribuiti. Scegliere titoli da citare nel vasto lavoro compiuto da Ronconi in cinquant’anni di attività (a partire dall’Orlando furioso del 1969, che gli diede grande fama) è impresa improba. Si va, in ordine sparso, dalle stupefacenti intuizioni di Infinities (la sensazione di infinite vite presenti, quasi come in un romanzo di Philiph K. Dick), alla magniloquenza espressiva de Gli ultimi giorni dell'umanità. Dalle splendide intuizioni sceniche e interpretative di Amor nello specchio, alla intensità classica de Le Baccanti, alle atmosfere sospese (in molti sensi) de La vita è sogno, al pensiero che si fa forma teatrale nel Candelaio. Molte le definizioni che sono state tentate per inquadrare il suo lavoro registico. Da quelle che si concentrano sul testo, con le sue scelte sempre fuori standard che spesso vanno anche oltre gli stretti ambiti letterari e drammaturgici, al La scena come limite cosiddetto “teatro d'attori”, con lo stile recitativo da lui prediletto, marcatamente antinaturalistico, che non interpreta, ma si fa carattere espressivo, musica e ritmo della rappresentazione. Ancora è stato definito “teatro dello spazio”, per le sue scelte di ambientazione e di scenografia sempre alternative a quelle del teatro classico. Dove il testo e la sua rappresentazione vengono fatti interagire con la sua idea di spazio scenico, generando qualcosa di assolutamente nuovo e originale che si estende nel tempo, nel senso che produce il proprio (spesso dilatato oltre i normali standard) tempo scenico. Ma quello di Ronconi è anche un “teatro di pensiero”, nel senso che riesce a rappresentare nella pratica scenica la profondità che lo genera. e che ad esso è sottesa. Una sorta di “pensiero e azione” teatrale che interagiscono strettamente, indissolubilmente l'uno nell'alta. Insomma una teatralità pura che, pur nel suo essere raffinatamente sofisticata, si potrebbe dire “primordiale”. O, addirittura, cannibalica. Errico Ghezzi parlò di una concezione cinematografica del suo teatro per Lolita (messa in scena della sceneggiatura originale scritta da Nabokov per Stanley Kubrick), con le scene ritagliate come inquadrature, precise in ogni dettaglio e complesse nella loro composizione, con l’uso di “carrelli” in una forma estetica assimilabile a quella cinematografica. Ma non scampa alla “voracità” teatrale di Ronconi la grande letteratura, con la messa in scena di un testo irrappresentabile, in apparenza, e iperletterario come Il pasticciaccio brutto di Via Merulana di Gadda. Si potrebbe continuare a lungo, ma fermiamoci qui. Ai suoi ottanta anni compiuti lo scorso 8 marzo. Alla sua faccia da ragazzino incorniciata da barba e capelli bianchi. Alla sua mancanza di prosopopea, al suo essere schivo, una qualità umana che sembra contrastare con certi “gigantismi” espressivi del suo teatro, ma forse è la vera linfa che lo nutre. E quel senso di meraviglia e di stupore che ancora oggi prova per il suo lavoro e attraverso il quale ogni giorno, come dice, gli sembra di riscoprire il mondo. Confrontarsi con il teatro di Ronconi non è riducibile al semplice assistere ad uno spettacolo. E', piuttosto, un'esperienza complessa che coinvolge i sensi e il cervello, senza distinzione. E' incamminarsi con lui in questa ricerca della “spiritualità materica” su un percorso difficile e affascinante, ma che è proprio del vero teatro, e cioè quello di seguire con caparbia ostinazione la via della conoscenza. © RIPRODUZIONE RISERVATA Peppe Miale nel mondo di Ionesco con “Delirio a due” a Caserta A Officina Teatro di San Leucio, Caserta, Delirio a due di Eugene Ionesco, il padre del “teatro dell’assurdo” e di solito ricordato nel trinomio con Beckett e Pinter. Il suo teatro, un po’ esistenzialista, un po’ surreale, entra in scena negli anni Cinquanta con la potenza di un uragano, scatenando un delirio di “favorevoli” e “contrari”. Una drammaturgia capace di intercettare gli smottamenti della società e del linguaggio, e di irridere l’universo costituito. Ionesco più volte sottolinea la stupidità comica e avvilente degli esseri umani, impastoiati dalle loro annebbianti abitudini. I protagonisti sono talmente chiusi nei loro miseri egoismi, nella loro meschina autosufficienza, nel loro gretto conformismo da non riuscire a dare un senso a ciò che accade loro intorno. Oggi, mentre fuori infuria il caos, in parecchi si chiedono se l’IPhone ed il Galaxi sono lo stesso cellulare. Adattamento e regia dello spettacolo di Sergio di Paola con Peppe Miale e Lorena Leone. 20|21 aprile. Un’attualissima Lenòr alla Galleria Toledo Dopo oltre due secoli ancora a raccontare il disagio di una società ignorante e volgare Lenòr alla Galleria Toledo di Napoli, con una straordinaria Nunzia Antonino. Introdotta da un racconto di Enza Piccolo e guidata dalle voci di tanti illustri ammiratori (Alessandro Dumas, Enzo Striano, Dacia Maraini, Susan Sontag, Maria Antonietta Macciocchi, Antonietta De Lillo), Eleonora de Fonseca Pimentel viene alla luce. L’incontro è folgorante. Portoghese d’origine, napoletana d’adozione, Eleonora fu poetessa, scrittrice e una delle prime donne giornaliste in Europa. Una figura decisiva per la storia del nostro paese ed in particolare del sud. Protagonista nei moti partenopei del 1799 e di quell’effimera repubblica meridionale, condusse un’esistenza esemplare, appassionata e faticosa, che ci parla ancora oggi, con grande forza, di libertà e giustizia, di amore e dignità. Gli straordinari sommovimenti che stanno mutando il profilo di paesi come l’Egitto e la Siria, la crescente indignazione che anima molti movimenti europei, il disagio che attraversa l’Italia, disegnano un panorama in cui la storia di questa donna sembra collocarsi perfettamente. Eleonora combatté sino al patibolo la volgarità e l’inganno, l’ignoranza e la barbarie. Raccontarla significa non solo renderle omaggio, ma anche invitarla a guidarci sul sentiero di questo tempo difficile. Di Enza Piccolo, Nunzia Antonino e Carlo Bruni. 25 | 28 aprile. Il Soccombente nella riduzione di Ruggero Cappuccio Solitudine, illusione e alienazione nel lirismo di una realtà che non è più Una delle opere più note di Bernhard, Il soccombente tratta del fittizio rapporto tra il famoso pianista canadese Glenn Gould e due suoi giovani compagni di studio al Mozarteum di Salisburgo negli anni cinquanta. Sotto la guida di Vladimir Horowitz il trio studia musica e contemporaneamente sviluppa un rapporto di amicizia che si rivelerà drammatico per tutti e fatale per uno dei tre, il soccombente appunto. Il narratore e il suo amico Wertheimer abbandonano gli studi di pianoforte appena si rendono conto del genio di Glenn Gould. La riduzione di Ruggero Cappuccio si concentra sulla solitudine, l’illusione, l’alienazione nel lirismo di una realtà che non è più o che non è mai stata, ma vive fresca nella memoria come ricordo presente. La regia di Nadia Baldi reinterpreta la storia, caricandola del suo stile semplicemente ricercato, alto e asciutto. Con Roberto Herlitzka e Marina Sorrenti. Dal 16 al 21 aprile, Teatro Nuovo di Napoli. Rappresentato la prima volta a Dresda nel 1843, “L'Olandese Volante” segna un momento decisivo nel percorso artistico di Richard Wagner, che con questo lavoro prende le distanze dai canoni dell'opera convenzionale. L’orchestrazione e la divisione in atti hanno subito, nel tempo, diverse modifiche, per giungere intorno al 1860 alla versione oggi normalmente adottata. La storia è ripresa dal mito nordeuropeo dell'olandese volante, il leggendario capitano condannato a navigare sul suo vascello fantasma fino al giorno del giudizio. Wagner sostiene in “Mein Leben” che l'ispirazione per l'opera sia stata in parte autobiografica, dopo aver vissuto i pericoli del mare in tempesta, in occasione di un viaggio in nave verso Londra compiuto tra il luglio e l'agosto del 1839. Per celebrare il bicentenario della nascita di Richard Wagner, in scena al Teatro di San Carlo “L'Olandese Volante”, nella produzione della Fondazione Teatro Comunale di Bologna. A dare forma alla leggenda è il regista greco, naturalizzato francese, Jannis Kokkos, che firma anche scene e costumi. Sul podio il Maestro Stefan Anton Reck. al Teatro di San Carlo, dal 19 al 28 aprile. LENUCCIA UNA PARTIGIANA DEL SUD I partigiani sono al Nord. Eppure Napoli si liberò da sola dall’esercito di Hitler, eppure il popolo napoletano in 4 giorni cacciò l’invincibile Terzo Reich. All’arrivo degli Alleati Napoli era già libera. 4 giorni dimenticati dalla storia ufficiale, centinaia di partigiani del sud messi da parte dalle onorificenze. Tra i napoletani che dai tetti, con armi improvvisate, vinsero l’invincibile armata combatteva Lenuccia, ovvero Maddalena Cerasuolo. La partigiana, simbolo dell’insurrezione popolare, emblema del femminismo anticipato di 20 anni. Negli anni in cui le donne non avevano ancora diritto al voto, anni in cui esisteva il delitto d’onore e la violenza sessuale era solo un danno alla morale, Lenuccia impedì che i tedeschi depredassero una fabbrica, parlamentò con le SS, partecipò alla battaglia del Ponte della Sanità che oggi porta il suo nome. Lenuccia con l’elmetto e la pistola è l’immagine della Napoli antifascista. In ricordo dei 168 partigiani napoletani caduti per la liberazione proviamo a raccontare a noi stessi e alle nuove generazioni la storia di una donna che nonostante la sua città fosse liberata, nonostante avesse dato il suo contributo, si paracadutò più volte tra le linee nemiche, ad Anzio e lungo la linea gotica. Proviamo a raccontare sulle tavole di una palco la storia di una città, capace di rigenerarsi, di proteggersi, di gridare all'unisono che “E figlie e mammà nun se toccano”. Teatro Sancarluccio 18/21 aprile. Wagner vola al San Carlo “L’olandese” celebra il bicentenario del musicista tedesco Marta sui tubi 12 aprile Teatro Trianon Raphael Gualazzi 29 aprile Augusteo Da una scena dell’Olandese Volante Ancora risate al Diana con Salemme che si trasforma in Diavolo Custode Pino Cotarelli Giocata sulla dicotomia comicità/drammaturgia, la nuova commedia di Vincenzo Salemme, Il diavolo custode, in programma al teatro Diana fino al 7 aprile, ha registrato una notevole affluenza di pubblico. Salemme che non si risparmia mai dando il massimo sulla scena, oltre a curarne la regia, si è riservato il ruolo del “diavolo” che richiede notevoli capacità istrioniche e una fatica sostenuta che ha condiviso con Nicola Acunzo, Domenico Aria (Gustavo), Floriana De Martino, Andrea Di Maria, Antonio Guerriero, Raffaella Nocerino, Giovanni Ribò. Molto bella e di effetto la scenografia di Alessandro Chiti che cambia con scorrimento istantaneo; di effetto le luci psichedeliche di Umile Vainieri; costumi Mariano Tufano. In questo lavoro Vincenzo Salemme si chiede e chiede cosa succederebbe se invece di (o oltre a) un angelo noi uomini avessimo un diavolo custode. Se un giorno il nostro diavolo custode ci chiedesse: “Vuoi tornare a nascere e ricominciare daccapo? La vuoi la seconda possibilità? Farai meglio?”. Le risposte prova a darle attraverso le riflessioni che fa fare al pubblico che spesso chiama a partecipazioni attive. “Il diavolo custode” è la storia del povero Gustavo (Domenico Aria) abituato a complicarsi la vita, proprietario del bar cui ha messo nome “Vespasiano” che è poco frequentato, chissà perché. La sua vita è appesa a un mutuo da pagare per il bar, ad una moglie che non lo stima perché troppo scrupoloso e onesto (“emette sempre le ricevute fiscali”), alla figlia troppo distratta dalla sua vita, per notarlo. Il diavolo mette alla prova il povero Gustavo, gli fa capire dove sbaglia e come può cambiare la sua vita: “guarda che tu stai inguaiato, voglio darti la possibilità di cambiare”. Quindi, una seconda chance per tornare a rinascere e per realizzare i propri desideri. La sua vita sarà infatti stravolta dall’inattesa proposta che lo spingerà a prendere decisioni coraggiose, come ad esempio cambiare moglie e cominciare a far rispettare la sua autorità nell’attività che a fatica porta avanti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Elio e Le Storie Tese 9/14 aprile Bellini Cristiano De André 9 aprile Palapartenope NON SOLO MAGAZINE Leggi le nostre recensioni Guarda i video sul giornale on line www.teatrocult.it TEATROCULT TEATROCULT www.teatrocult.it [email protected] Supplemento di Napoliontheroad Registrazione del Tribunale di Napoli n. 5310 del 26- 06- 2002 Sede in via Nilo, 28 Napoli Direttrice Anita Curci In redazione Guerino Caccavale, Giovanna Castellano, Marco Catizone, Pino Cotarelli Carlotta Fiorentino, Teofilo Matteis, Daniela Morante, Maddalena Porcelli, Antonio Tedesco, Maurizio Vitiello, Sergio Saggese, Clelia Verde Stampa Arti Grafiche P. Galluccio Vico S. 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