Rigillo al Mercadante: “Il mio atto d`accusa contro corruzione e

Aprile 2013
Anno 0 Numero 3
SHANTI
TeatrocultFOGLIO Campania
www.teatrocult.it
Rigillo al Mercadante: “Il mio atto d’accusa contro corruzione e cinismo”
L’attore protagonista di “Erano tutti miei figli” di Arthur Miller. Il ricordo di Troisi
Clelia Verde
Mariano Rigillo, classe 1939, versatile
e poliedrica certezza delle scene
nostrane, arriva al Mercadante dal 17
al 28 aprile come protagonista di
"Erano tutti miei figli", un testo del
gigante Arthur Miller per la regia di
Giuseppe Dipasquale.
Dov'è racchiusa l’attualità di
quest’opera?
Questo è un grandissimo testo, il
primo che ha consacrato Arthur Miller
come autore teatrale, e credo che
come tutti i capolavori abbia
un’attualità costante e non abbia
bisogno di riferimenti specifici alla
situazione
odierna;
Scritto
immediatamente dopo la seconda
guerra mondiale, ha un riferimento in
qualche modo molto preciso a
quell’epoca ma la corruzione, la
spregiudicatezza e il cinismo del
magnate dell’industria che vuole
arricchirsi
a
qualunque
costo
possiamo ritrovarli facilmente anche
oggi. In particolare l'industria bellica è
responsabile delle stragi in tanti paesi
e proprio nel nostro ci troviamo a
discutere degli F-35...
Questo
mondo
privilegia
le
relazioni virtuali mentre il teatro
resta uno scambio importante tra
esseri umani in carne ed ossa.
Questo punto per me è fondamentale.
Il teatro, nell'ambito dello spettacolo e
della comunicazione, è l’unico luogo
dove ancora esiste il contatto diretto
tra individui.
Nel celebre film Il postino ha una
battuta
meravigliosa:
"poeti
possono fare anche molto danno
alla gente”.
Battuta fondamentale. Il potente
pensa che la cultura possa fare molto
PETER CINCOTTI tour teatrale
13 APRILE - NAPOLI - TEATRO TRIANON
Peter Cincotti ha pubblicato il nuovo album
"Metropolis" lo scorso 22 maggio. Il singolo
"Goodbye Philadelphia" lo ha portato in cima
anche alle classifiche italiane e i suoi concerti
hanno mostrato il suo lato più artistico. Peter
Cincotti è infatti un compositore di livello
assoluto, nonché musicista sopraffino, in grado
di sprigionare dal vivo la sua classe, grazie a
uno stile che sa mischiare il pop con il jazz, il
soul e lo swing. Con un cognome come il suo
non è difficile rintracciare ascendenze italiane.
«Mio nonno paterno era di Napoli, mia nonna di Piacenza, e quindi
ho respirato il profumo di questa terra fin da piccolo. Nonostante la
mia famiglia viva a New York (dove sono nato) da due generazioni,
sono cresciuto a contatto con le tradizioni italiane, assimilando
alcuni dei valori che la caratterizzano».
male alla società nel senso che può fare
molto male a lui e ai suoi interessi. Il
personaggio che io interpreto è infatti
un potente democristiano arricchito, e
questa battuta dà senso alla lotta per la
diffusione della cultura contro i potenti.
Ha un ricordo di Massimo Troisi che
vuol condividere con noi?
Un
ricordo
dolce,
appassionato.
Giravamo il film con l’unità coronarica
alle spalle del set dalla quale Massimo
entrava e usciva; un ricordo affettuoso
ed entusiasta di una persona in quelle
condizioni che s’impegnava a chiudere
quello che forse non sapeva sarebbe
stato il suo ultimo film ma sapeva essere
un momento importante per lasciare
di sé l’immagine di un attore amante
della poesia. Mi ha lasciato questa
immagine di passione assoluta per il
nostro lavoro.
C’è una Napoli che andrebbe
raccontata
in
alternativa
allo
stereotipo di Gomorra?
Certamente. Ed è la Napoli per la quale
da anni ci stiamo battendo. Ferito a
morte, per esempio, di Raffaele La
Capria, fornisce un'immagine non
positiva della città ma diversa dallo
stereotipo. I problemi in città sono tanti
ma ci sono tanti modi per raccontarli.
Non soltanto attraverso le pistole e i
magistrati. La letteratura, soprattutto
quella che ha formato la mia
generazione, è piena di argomenti seri e
critici, di momenti e situazioni difficili
trattati non necessariamente con lo
specchio del misfatto.
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ALL’INTERNO
Un autore indipendente:
Giovanni Meola
La musica popolare di
Luca Nasti
Lucia Oreto e le officine
teatrali al centro storico
“VITA DI REGINA”
Il libro appassionante di
Maricla Boggio
Luca Ronconi:
il teatro come limite
Lenòr
Dopo oltre due secoli
ancora a raccontare il disagio di
una società ignorante e volgare
Alessandro Gassmann è
Riccardo III al Bellini
“Questo personaggio ci dice
quanto il potere sia solo
acquisizione di un
privilegio”
L’Agis Campania proclama lo stato di crisi
Ritardano i finanziamenti pubblici, il mondo dello spettacolo piomba nel buio
Guerino Caccavale
Chiudono i battenti cinema e teatri. Incredibile ma vero. I soldi non
arrivano e quelli che hanno trattenuto il fiato fino ad ora non ce la fanno
più. Costretti alla resa. La difficile situazione economico-finanziaria,
denunciata nemmeno un mese fa da Luigi Grispello, presidente regionale
e vicepresidente nazionale dell'Agis, l'associazione che riunisce le
imprese di cinema, teatro, danza, musica e spettacolo viaggiante, è più
forte. Oltre a chiudere la storica Edenlandia, abbassano il sipario
l’Acacia e il Sancarluccio (a maggio), mentre a rischio sono il Delle
Palme, il Totò, il San Ferdinando e nientedimeno che lo stabile di
Napoli, il Mercadante. In tono drammatico, Grispello afferma: “Sono da
anni nel settore spettacolo, ma mai ho visto una crisi di tale entità. Per
questo sollecito una tempestiva soluzione”. A parte il disastro morale
resta il fatto che potrebbero perdere il posto di lavoro circa12mila addetti
del settore per l’intera regione. La causa di tutto questo è la crisi
generale con il conseguente calo degli incassi, e la definitiva scomparsa
delle risorse pubbliche, statali e locali.
Si pensi poi ai tagli drastici per 21 milioni di euro del Fondo Unico per
lo Spettacolo, al fatto che il peso fiscale per gli operatori del settore è
diventato ancora più insostenibile. Un baratro dentro il quale la cultura è
precipitata. Per ora, in attesa di nuove comunicazioni da parte dell’Agis,
le notizie disponibili ci fanno crollare le braccia. Siamo
all'impoverimento delle stagioni teatrali e ciò influisce sulla qualità delle
rappresentazioni. In più c’è la Legge Regionale 6/2007 relativa alla
disciplina degli interventi di promozione dello spettacolo che prevede
l'assegnazione e l’erogazione di risorse economico-finanziarie a circa
500 imprese in modo prettamente “gerarchico”, e che, secondo
indiscrezioni, privilegerebbe strutture non bisognevoli, penalizzando
quelle di minore entità e con vere esigenze di soccorso. Ma veniamo ai
dati. “La Regione”, dichiara l’avvocato Grispello, “deve ancora
assegnare circa 3 milioni e 600mila euro per il 2010, circa 2 milioni e
600mila per il 2011, e non ha ancora assegnato nulla dei 13 milioni
previsti per l'anno scorso.”
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TEATROCULTFOGLIO Campania
Meola: “Con orgoglio rivendico la mia libertà dagli ingranaggi istituzionali”
Faccia a faccia con la creatività di un autore indipendente
Maddalena Porcelli
Giovanni Meola, che incontreremo al Piccolo
Bellini dal 5 al 14 aprile con lo spettacolo
Munno e Terzo Munno di Luigi Credendino, è
un autore, regista, sceneggiatore di teatro e di
cinema; una forza della natura, dirompente e
vitale, appassionata del suo lavoro come
difficilmente ci è dato d’incontrarne in questi
tempi opachi.
Il suo è un lavoro politico, nel senso più
elevato che si possa attribuire alla parola. Con
orgoglio rivendica l’essere indipendente da
ogni ingranaggio istituzionale che soffoca la
libertà espressiva e creativa.
La sua indagine si concentra, in particolare,
sulla realtà delle periferie, sottolineando
situazioni e personaggi coperti dal silenzio
ufficiale, scardinando tutti quei luoghi comuni
e scontati di condanna aprioristica, per
mostrare quegli aspetti meno ovvi, di vuoto
esistenziale di tanti giovani, anche criminali, la
cui condizione è determinata e imposta e non
scelta con libera consapevolezza.
Una sfida coraggiosa se si considera che per
raccontare certe tematiche bisogna in qualche
modo innamorarsi dei propri soggetti e ciò
può avvenire solo se si è pienamente coscienti.
Il fenomeno della criminalità giovanile nel sud,
egli dice, solo apparentemente riguarda chi in
questi luoghi ci vive, ma sostanzialmente è un
problema nazionale che si evita di affrontare.
E allora, si chiede, la farsa sta nella
considerazione di un’Unità italiana che non
esiste…
Autore indipendente, Giovanni Meola è un
uomo che la sera dorme sereno, poiché non ha
nessuno, dice, che gli sta col fiato sul collo.
La sua compagnia teatrale nasce grazie alla
collaborazione di persone con le quali si è
stabilita una relazione di amicizia, dunque di
fiducia estrema, con le quali condivide anni e
anni di esperienze comuni; un’unione umana
oltreché professionale, da cui trae forza e
coraggio.
Nei prossimi giorni, quindi, potremo vederlo al
Piccolo Bellini, con Munno e Terzo Munno di
cui egli firma la regia e il cui autore è Luigi
Credendino,
un
attore
professionista
incontrato in uno dei tanti laboratori scolastici
che tiene da oltre quindici anni in svariate
scuole della Campania in veste di operatore e
formatore teatrale, dal cui incontro è nato un
legame che si è consolidato nel tempo.
Così è iniziato il suo percorso artistico in
teatro, nella consapevolezza del valore di un
teatro come luogo assembleare, capace di
sviluppare comunità.
Dapprima lavorando con i reclusi minorenni
nel carcere di Nisida, in seguito creando
un’associazione culturale, ”Virus Teatrali”,
grazie alla quale ha fondato La Compagnia
della Legalità.
Ha sviluppato così progetti teatrali di grande
spessore civile che da oltre un decennio porta
in giro per l’Italia, riscuotendo il favore del
pubblico, non solo napoletano, e della critica.
“L’Infame” e “Frat’ ‘e sanghe” sembrano
essere, dal tono in cui ne parla, i suoi
prediletti, ma la sensazione che trasmette è
sempre quella di una passione incontenibile
per tutto ciò che produce.
I suoi cortometraggi, intensi e poetici, tutti
autoprodotti, esprimono al massimo la sua
libertà creativa, proprio perché non soggetti
agli ingranaggi dell’industria.
I film parlano della realtà e fanno pensare.
In particolare “Il Pinocchio Carognone” a
quella bella stagione che fu il neorealismo,
troppo presto soffocato dalla censura e
dall’industria.
Ancor più oggi, laddove il binomio cinemacapitali da investire non lascia spazio al
cinema basato sulla creatività e la passione
sociale, il cinema indipendente rappresenta la
vera e unica sfida possibile all’eterna pseudorealtà che i media propinano, che annebbia le
coscienze subordinandole a quello che Jost
definisce “L’impero del falso”.
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Resistenza della musica popolare con Luca Nasti
Carlotta Fiorentino
Luca Nasti si cimenta nella musica da giovane facendo esperienza nel
mondo artistico napoletano a tutto campo. Lavora al fianco di grandi
interpreti della tradizione come Mario Merola, Aldo Giuffrè, Ida di
Benedetto e Lina Sastri. Artista presente non soltanto a teatro ma
anche in televisione con fiction e soap. La voce soave di Luca Nasti
racconta la bellezza di Napoli attraverso canzoni e tradizione.
Ti avvicini alla musica partecipando a diversi concorsi canori e
classificandoti sempre tra le prime posizioni. Ma c’è stato un
incontro importante nella tua vita. Come è cambiato il tuo
percorso artistico da quel momento?
L’incontro più importante per la mia carriera è stato quello con
Mario Merola che mi ha fatto crescere artisticamente e che mi
accompagna ancora oggi nei miei spettacoli. In ognuno lascio sempre
un angolo a lui riservato, parlando della sua bravura e dei suoi
insegnamenti.
Qual è la canzone che senti più tua, che più ti segnala e quale
quella che racconta maggiormente il rapporto viscerale che hai
con Napoli?
Mi rifaccio principalmente alla tradizione canora napoletana, quella
classica, interpretando Di Giacomo, Bovio, E.A. Mario. “Napule ca se
ne va” è la canzone che più racconta il rapporto stretto, viscerale tra
me e questa città.
Dove hai sentito più forte la partecipazione del pubblico nei
confronti della musica?
In teatro particolarmente nel musical “Medea di Portamedina” con
Lina Sastri e quando mi produco nei concerti dove ho un contatto
diretto col pubblico.
Parlaci di “Tango del mare”, spettacolo cantato e recitato, che
ha avuto un grande successo di critica e di pubblico.
Tema predominante è il mare, grande forza confrontata con l’amore.
Lo spettacolo è curato da Tommaso Bianco, io interpreto canzoni in
cui il legame tra il mare e l’amore è molto forte. Nello spettacolo
canto canzoni d’amore nelle quali il nome “mare” è sempre presente
o parole dello stesso campo semantico. Per esempio, tra le canzoni
eseguite “Canzone marenara” “Piscatore ‘e Puselleco” “Maruzzella”.
Tradizione e modernità nella musica napoletana in che modo si
possono conciliare?
La canzone tradizionale napoletana può essere modernizzata per
esempio con gli arrangiamenti e suoni nuovi. E non a caso, ho
realizzato un disco di otto brani di cui sette classici e un inedito con
il maestro Vincenzo Campagnoli. Tra questi brani più di spicco
“Uocchie c’arraggiunate”, “Oj Marì” e “Na sera ‘e maggio” e il brano
inedito “Caggia fa”.
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Taccuino della spiritualità
a cura di Apollonio
Giovanni Meola
PINA...MA PERCHE' NAPOLI NO?
L’interrogativo è una provocazione dalla quale la regista e
coreografa Flavia Bucciero parte per ispirarsi idealmente e
affettivamente ad una delle più grandi artiste del Novecento che
amava tanto Napoli, la sua gente e le sue contraddizioni. L’idea
dello spettacolo (prodotto dal Consorzio Coreografi Danza
d’Autore, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla
Regione Toscana) prende vita da un pensiero, una domanda
retorica, un sogno, un desiderio incompiuto: perché un’artista
come Pina Bausch che ha dedicato tanto della sua produzione
agli umori di molte città internazionali, non ha realizzato uno
spettacolo su Napoli? E tutto questo serve alla Bucciero anche a
ricongiungersi con le proprie origini, con la danza espressionista,
che è alla base della sua formazione artistica, e con Napoli luogo
di nascita e di parte della sua vita. Una Napoli che ha il privilegio
di poter guardare dal di fuori e dal didentro: sensuale e
seducente, ma anche acida e spietata, solare e piovosa (come
solo Napoli può essere) divertente e ironica, tragica e
disincantata. La scelta musicale dello spettacolo evita
volutamente riferimenti alla musica napoletana, se non per
qualche breve, ironica citazione neomelodica che sembra
arrivare come da un altro mondo. E poi musica barocca, turca,
araba, jazz. Sonorità diverse e discordanti come discordante è la
Napoli citata nel titolo. Il 6 aprile e il 7 aprile a Napoli al Teatro
Area Nord.
Il libro
Bianchi: “In scena una “Vita di Regina”
A coloro che sono preoccupati per
il futuro del pianeta. Da ogni
parte
arrivano
notizie
sconfortanti. Persino gli scienziati
fanno
trapelare
la
loro
preoccupazione.
Le
antiche
profezie stanno per avverarsi e
voi aspettate fatalmente che ciò
avvenga, credendo che l’unica
cosa da fare sia di raccomandarvi
alla
misericordia
divina.
Chiediamoci allora cosa è l’essere
umano, la sua matrice, il suo
compito e la sua destinazione. La
nostra presenza sulla Terra non è
casuale ma il risultato di un piano
di crescita utile alle future
galassie per i futuri pianeti.
Quando nulla più ci turberà
intaccandoci, e quando la pace e
l’armonia in noi sarà totale, allora
potremo emanare una luce così
forte da realizzare quella forza
divina che smuove le montagne e
opera per portare sullo stesso
piano i ritardatari. Sarà il nostro
risveglio, la nostra fede, la nostra
autostima, il nostro altruismo che
permetterà
l’avvento
del
millennio d’oro. Se mettiamo il
cinquanta per cento del nostro
amore ed impegno, l’amore e
l’armonia
universale
ne
rimetteranno tutto il resto. E così
insieme salveremo la Terra dai
danni che l’umanità stessa ha
prodotto. Siamo sereni e ottimisti
e amiamo, nonostante tutto.
Siamo noi quel sole che irradierà
gioia e armonia che solo un
amore non egoico sa dare. Oggi è
un gran giorno, viviamolo
credendo fermamente nel nostro
potere spirituale. Solo così, col
cuore e un corpo purificato,
l’armonia universale non potrà
negarci nulla.
Lucia Oreto con racconti, tradizione
e officine teatrali nel centro storico di Napoli
Maurizio Vitiello
Maddalena Caccavale Menza
Regina Bianchi come donna e madre, attrice per caso anche se figlia
d’arte, pagata poco ma dotata di grande fortuna: la componente più
importante nella vita e nell’arte. Si racconta nella Vita di Regina
scritta dall’amica scrittrice e regista Maricla Boggio. Pagine stupende
dove si ripercorre la straordinaria carriera di un’attrice che ha
legato il suo nome allo straordinario personaggio di Filumena
Marturano scritto da Eduardo De Filippo in omaggio a sua sorella
Titina. E, nel destino esistenziale e in quello di attrice, le scelte sono
avvenute quasi casualmente come, casuale, è stata la maternità, che
l’ha tenuta, per volontà del “padre delle sue figlie” (il regista
Goffredo Alessandrini), quindici anni lontana dalle scene. Tra le
pagine del libro ventila la grande passione per il teatro che si deve
fare sempre e “a qualunque costo” –come
sosteneva Eduardo per il quale “il giorno di
riposo è la morte del teatro”, ma si respira
anche una grande umiltà. Non sale in cattedra
Regina come agilmente avrebbe potuto fare
l’attrice giubilata che ha mosso i suoi primi
passi sulle tavole di quel palcoscenico dove
effettivamente è nata. La madre Maria
recitava quando Regina spingeva per venire
al mondo. Messa in un cassetto che fungeva
da culla, da neonata, durante le
rappresentazioni, ha cominciato a recitare
nelle parti da bambina o bambino nella compagnia dei genitori Italo
e Maria Bianchi. Il suo è un nome d’arte, scelto dal padre Raffaele
Merola per il suo ingresso in teatro. Con i genitori fino a sedici anni
poi da Raffaele Viviani, dove iniziò con piccole parti prima di volare
verso la celebrità. L’incontro con De Filippo, avvenuto quando
Regina aveva 19 anni, fu decisivo per la sua crescita artistica:
“Eduardo sapeva
far recitare anche le pietre”. Proprio lui,
consapevole delle sue qualità, le affidò più tardi, quando ormai la
sorella Titina non poteva più interpretarlo, il ruolo di Filumena
Marturano, che poi costituì il personaggio a cui è stata più legata e
che si rivelò un vero trionfo. Nel libro, con sobrietà e discrezione,
l’attrice rievoca anche il dolore della sua vita di madre: quello di
aver perso per una malattia la maggiore delle sue figlie. La
delicatezza della rievocazione rende ancora più grande la sua statura
morale. Lavorò con registi del calibro di Nanni Loy nelle Quattro
giornate di Napoli nel ruolo di Concetta meritevole del Nastro
d’argento. Poi con Zeffirelli e i fratelli Taviani. Vita di Regina è “il
diario di una donna che non rinfaccia nulla, non si lamenta, non grida
o pretende. Ma esiste”. Edizioni Rai–Eri.
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E’ da tempo che Rodolfo Rubino pubblica ricordi di artisti napoletani.
La sua casa editrice, l’Istituto Grafico Editoriale Italiano, propone
indiscutibili rarità. La pubblicazione di Lucia Oreto ricorda i momenti
teatrali e umani di “Il Trio Sancarlino” in cui anche lei è stata
protagonista, come Colombina, con Pasquale Esposito, ultimo Don
Anselmo Tartaglia, e Antonio Sigillo, ultimo Pulcinella. Lucia Oreto ha
conosciuto tanti personaggi del teatro e della canzone napoletana, da
Nino Taranto a Pupella Maggio, da Rosalia Maggio a Nunzio Gallo, da
Renato De Falco a Salvatore Tolino. “Ci vorrebbero pagine intere” dice
“per annotare aneddoti sul Trio Sancarlino. Una cosa è certa: mi
mancano moltissimo; Pasquale Esposito, con la sua verve, il senso
dell’humour in tutte le situazioni; Antonio Sigillo, con la sua
pacatezza, i racconti sul teatro. Spero, con questo mio contributo,
modesto, ma sentito, di riuscire a tramandare il teatro del popolo,
teatro delle maschere napoletane: Pulcinella, Colombina e Don
Anselmo Tartaglia.”
Napoli è sempre stata territorio di laboratori e officine. Proponi
uno spazio teatrale che vuole studiare radici e tradizioni. Da
quanto tempo? E con quale progettualità?
Un mio sogno nel cassetto dal 1999 quando morirono i miei due
maestri Pasquale Esposito (Don Anselmo Tartaglia) e Antonio Sigillo
(Pulcinella), rimasi orfana, difficoltà nel ricomporre il trio Sancarlino,
pensai di tramandare la mia arte nel laboratorio teatrale. Il
Sancarlino, ridotto del teatro San Carlo, teatro del popolo ove furono
rappresentate i lavori di Petito. Il nostro trio si formò nel 1964
riscuotendo successo, fortuna, consensi da parte del pubblico in Italia
e anche in Europa e a New York con Bruno Venturini. Il mio scopo è
quello di tramandare la tradizione del teatro popolare in
collaborazione con la Fondazione Giambattista Vico, Presidente
Vincenzo Pepe, alla Chiesa San Gennaro all'Olmo, in via San Gregorio
Armeno al civico 35 a Napoli. Siamo là ad accogliere tutti con i nostri
laboratori.
Pensi che lo spazio teatrale costituito nel centro storico dia
ossigeno al territorio circostante?
Sì, ci troviamo nel giusto contesto, essendo rivalutato il centro storico
di Napoli. I decumani sono una forte attrazione e un incredibile
incentivo per il turismo. Purtroppo, non ci rendiamo conto che
viviamo in una delle più belle città del mondo; purtroppo maltrattata
e calpestata da tutti.
Per portare avanti l'iniziativa di cosa hai bisogno?
Collaborazione delle Istituzioni. Solidarietà, contributi, pubblicità.
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TEATROCULTFOGLIO Campania
Gassmann: “Con Riccardo III mostro le deformità dell’anima”
L’attore con Shakespeare al Bellini sulle orme di Spacey e papà Vittorio
Anita Curci
“La decisione di affrontare, per la prima volta anche da regista, un
capolavoro di William Shakespeare non è disgiunta dal felice
incontro con Vitaliano Trevisan che ha curato traduzione e
adattamento. Il "nostro" Riccardo, col suo furore, la feroce brama di
potere, dovrà colpire al cuore, emozionare e coinvolgere il pubblico
trasportandolo in un viaggio affascinante e tragico attraverso le
pieghe oscure dell'inconscio e nelle deformità dell'animo umano”.
Alessandro Gassmann racconta la sua ultima sfida: quella di mettere
in scena un’opera complessa e straordinariamente attuale, il
“Riccardo III”. Lo spettacolo sarà in scena al teatro Bellini dal 9 al 14
aprile.
Andiamo alle origini della scelta di interpretare un ruolo che è
stato di Laurence Olivier, Al Pacino, suo padre stesso, e di Kevin
Spacey, l’anno scorso, proprio al Napoli Teatro Festival Italia.
Non è una gara. Il ‘Riccardo III’ è un capolavoro assoluto da
interpretare tante volte e in maniera diversa. Le rappresentazioni da
lei menzionate le ho viste tutte, tranne quella di mio padre. Il mio
spettacolo non si avvicina a nessuna. Ho voluto lavorare nel rispetto
del linguaggio di Shakespeare, su una lingua che trattasse parole
ormai lontane da noi ma secondo una formula popolare,
comprensiva a un pubblico giovane. E ho avuto ragione: lo
spettacolo è il più visto in questo periodo proprio dai giovani.
Shakespeare è grande perché pare che l’opera sia stata scritta ieri.
Come è entrato in un personaggio che era gobbo e deforme?
Spacey a Napoli usava una protesi piuttosto faticosa da tenere
lungo tutto lo spettacolo. E lei?
Spacey ha lavorato sulle gambe, io ho dovuto farlo sul corpo, sulla
mia altezza. Sono più alto di quel che sembri! Gli attori che recitano
intorno a me non sono altissimi e questa differenza ha reso me
diverso. Comunque, anche io porto una specie di protesi, al braccio
destro. Ma quella che intendo mettere in evidenza è in effetti la
deformità psichica. L’aspetto più interessante sta nel mostrare la
deformità dell’animo umano. Riccardo è un uomo col cervello
grande e il cuore tanto piccolo.
Quali scelte di regia ha fatto? Il suo è un allestimento
naturalistico o simbolico? E la scenografia?
Per la prima volta sono stato io stesso a ideare la scenografia e
Gianluca Amodio mi ha aiutato a costruirla. L’ambientazione è
naturalistica. Ho preso ad esempio la bizzarra creatività di Tim
Burton, di cui sono fan. Bisogna pensare che le scene si riferiscono
ad un luogo geografico dove non batte mai il sole, i personaggi sono
pallidi e hanno occhi neri, come scavati nel volto. Impressionanti da
guardare. Di grande sostegno sono stati il trucco, le musiche, i
costumi (tra l’altro, il costumista, Mariano Tufano, è napoletano).
Nelle scelte di regia c’è la volontà di essere credibile, soprattutto
nelle intenzioni.
Riccardo III è sinonimo della violenza e della cecità del potere
che davanti a nulla si ferma. Dunque, un argomento molto
attuale.
Attuale come non mai. Quale paese più dell’Italia ha bisogno di
questo spettacolo oggi? Stiamo vivendo tutti un periodo terribile dal
punto di vista sociale, economico, culturale. Riccardo rappresenta un
monito e ci dice quanto il potere sia solo acquisizione di un
privilegio e non di sacrificio. I politici non hanno capito che sono
nostri dipendenti, pagati da noi per fornire un servizio, quello di
governare per noi un Paese. Questa politica oltre a manifestare la
sua totale inettitudine, ha anche dimostrato di non possedere
volontà.
Che altro prepara per il prossimo futuro?
Mi occuperò di questo spettacolo fino alla fine di aprile. Poi
continuerò a tenere d’occhio il mio lavoro “Razza Bastarda” che
dopo il successo di Roma, ha avuto per la sezione “opere prime e
seconde” l’assegnazione del primo premio al Festival
cinematografico di Bari di quest’anno. Il riconoscimento mi ha
lusingato. Poi, sarò in tv con “La grande famiglia” e parteciperò al
film di Franco Bernini, “La corsa”. E non dimentico la direzione dello
Stabile del Veneto.
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IL TEATRO CI GUARDA
/ Ronconi:
Antonio Tedesco
Ogni nuovo allestimento di Luca Ronconi è il
tentativo di superare un limite. Il suo è un teatro
vissuto, appunto, ai limiti della “teatrabilità”. E che
spesso la oltrepassa, e diventa qualcosa di ulteriore.
Una macchina scenica in senso assoluto, che vive di
ritmi, di pulsazioni, che si dilata nello spazio e nel
tempo, oltre gli angusti limiti del boccascena, al di
là dei luoghi deputati del rappresentare. Ma spesso
anche del rappresentabile. Un teatro che vuole
abbracciare il mondo, che sente il bisogno di
allargarsi oltre sé stesso, di superare i suoi ambiti.
Siano essi fisici, mentali, o anche “istituzionali”. Un
teatro
che
straripa.
Che
invade i
luoghi
della
“realtà”.
Non
rimanendo succube del mero rappresentarla, ma
divorando e inglobando quello stesso mondo, e
quella stessa realtà. Invertendo i ruoli. Diventando
forza propulsiva e creatrice. Facendo del mondo
stesso una propria creatura. Un teatro che “mangia”
con voracità tutta la realtà intorno. Non rassegnato
e non addomesticato ai tempi e agli spazi che gli
vengono comunemente attribuiti. Scegliere titoli da
citare nel vasto lavoro compiuto da Ronconi in
cinquant’anni di attività (a partire dall’Orlando
furioso del 1969, che gli diede grande fama) è
impresa improba. Si va, in ordine sparso, dalle
stupefacenti intuizioni di Infinities (la sensazione di
infinite vite presenti, quasi come in un romanzo di
Philiph K. Dick), alla magniloquenza espressiva de
Gli ultimi giorni dell'umanità. Dalle splendide
intuizioni sceniche e interpretative di Amor nello
specchio, alla intensità classica de Le Baccanti, alle
atmosfere sospese (in molti sensi) de La vita è
sogno, al pensiero che si fa forma teatrale nel
Candelaio. Molte le definizioni che sono state
tentate per inquadrare il suo lavoro registico. Da
quelle che si concentrano sul testo, con le sue scelte
sempre fuori standard che spesso vanno anche
oltre gli stretti ambiti letterari e drammaturgici, al
La scena come limite
cosiddetto “teatro d'attori”, con lo stile recitativo da
lui prediletto, marcatamente antinaturalistico, che non
interpreta, ma si fa carattere espressivo, musica e
ritmo della rappresentazione.
Ancora è stato definito “teatro dello spazio”, per le sue
scelte di ambientazione e di scenografia sempre
alternative a quelle del teatro classico. Dove il testo e
la sua rappresentazione vengono fatti interagire con la
sua idea di spazio scenico, generando qualcosa di
assolutamente nuovo e originale che si estende nel
tempo, nel senso che produce il proprio (spesso
dilatato oltre i normali standard) tempo scenico. Ma
quello di Ronconi è anche un “teatro di pensiero”, nel
senso che riesce a rappresentare nella pratica scenica
la profondità che lo genera. e che ad esso è sottesa. Una
sorta di “pensiero e azione” teatrale che interagiscono
strettamente, indissolubilmente l'uno nell'alta.
Insomma una teatralità pura che, pur nel suo essere
raffinatamente
sofisticata,
si
potrebbe
dire
“primordiale”. O, addirittura, cannibalica. Errico Ghezzi
parlò di una concezione cinematografica del suo teatro
per Lolita (messa in scena della sceneggiatura
originale scritta da Nabokov per Stanley Kubrick), con
le scene ritagliate come inquadrature, precise in ogni
dettaglio e complesse nella loro composizione, con
l’uso di “carrelli” in una forma estetica assimilabile a
quella cinematografica. Ma non scampa alla “voracità”
teatrale di Ronconi la grande letteratura, con la messa
in scena di un testo irrappresentabile, in apparenza, e
iperletterario come Il pasticciaccio brutto di Via
Merulana di Gadda. Si potrebbe continuare a lungo, ma
fermiamoci qui. Ai suoi ottanta anni compiuti lo scorso
8 marzo. Alla sua faccia da ragazzino incorniciata da
barba e capelli bianchi. Alla sua mancanza di
prosopopea, al suo essere schivo, una qualità umana
che sembra contrastare con certi “gigantismi”
espressivi del suo teatro, ma forse è la vera linfa che lo
nutre. E quel senso di meraviglia e di stupore che
ancora oggi prova per il suo lavoro e attraverso il
quale ogni giorno, come dice, gli sembra di riscoprire il
mondo. Confrontarsi con il teatro di Ronconi non è
riducibile al semplice assistere ad uno spettacolo. E',
piuttosto, un'esperienza complessa che coinvolge i
sensi e il cervello, senza distinzione. E' incamminarsi
con lui in questa ricerca della “spiritualità materica” su
un percorso difficile e affascinante, ma che è proprio
del vero teatro, e cioè quello di seguire con caparbia
ostinazione la via della conoscenza.
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Peppe Miale nel mondo di Ionesco
con “Delirio a due” a Caserta
A Officina Teatro di San Leucio, Caserta, Delirio a due di Eugene Ionesco,
il padre del “teatro dell’assurdo” e di solito ricordato nel trinomio con
Beckett e Pinter. Il suo teatro, un po’ esistenzialista, un po’ surreale,
entra in scena negli anni Cinquanta con la potenza di un uragano,
scatenando un delirio di “favorevoli” e “contrari”. Una drammaturgia
capace di intercettare gli smottamenti della società e del linguaggio, e di
irridere l’universo costituito. Ionesco più volte sottolinea la stupidità
comica e avvilente degli esseri umani, impastoiati dalle loro annebbianti abitudini. I protagonisti
sono talmente chiusi nei loro miseri egoismi, nella loro meschina autosufficienza, nel loro gretto
conformismo da non riuscire a dare un senso a ciò che accade loro intorno. Oggi, mentre fuori infuria
il caos, in parecchi si chiedono se l’IPhone ed il Galaxi sono lo stesso cellulare. Adattamento e regia
dello spettacolo di Sergio di Paola con Peppe Miale e Lorena Leone. 20|21 aprile.
Un’attualissima Lenòr alla Galleria Toledo
Dopo oltre due secoli ancora a raccontare il disagio di una società ignorante e volgare
Lenòr alla Galleria Toledo di Napoli, con una straordinaria Nunzia Antonino.
Introdotta da un racconto di Enza Piccolo e guidata dalle voci di tanti illustri
ammiratori (Alessandro Dumas, Enzo Striano, Dacia Maraini, Susan Sontag, Maria
Antonietta Macciocchi, Antonietta De Lillo), Eleonora de Fonseca Pimentel viene alla
luce. L’incontro è folgorante. Portoghese d’origine, napoletana d’adozione, Eleonora
fu poetessa, scrittrice e una delle prime donne giornaliste in Europa. Una figura
decisiva per la storia del nostro paese ed in particolare del sud. Protagonista nei moti
partenopei del 1799 e di quell’effimera repubblica meridionale, condusse un’esistenza esemplare,
appassionata e faticosa, che ci parla ancora oggi, con grande forza, di libertà e giustizia, di amore e
dignità. Gli straordinari sommovimenti che stanno mutando il profilo di paesi come l’Egitto e la Siria,
la crescente indignazione che anima molti movimenti europei, il disagio che attraversa l’Italia,
disegnano un panorama in cui la storia di questa donna sembra collocarsi perfettamente. Eleonora
combatté sino al patibolo la volgarità e l’inganno, l’ignoranza e la barbarie. Raccontarla significa non
solo renderle omaggio, ma anche invitarla a guidarci sul sentiero di questo tempo difficile. Di Enza
Piccolo, Nunzia Antonino e Carlo Bruni. 25 | 28 aprile.
Il Soccombente nella riduzione di Ruggero Cappuccio
Solitudine, illusione e alienazione nel lirismo di una realtà che non è più
Una delle opere più note di Bernhard, Il soccombente tratta del fittizio rapporto
tra il famoso pianista canadese Glenn Gould e due suoi giovani compagni di
studio al Mozarteum di Salisburgo negli anni cinquanta. Sotto la guida di
Vladimir Horowitz il trio studia musica e contemporaneamente sviluppa un
rapporto di amicizia che si rivelerà drammatico per tutti e fatale per uno dei tre,
il soccombente appunto. Il narratore e il suo amico Wertheimer abbandonano gli studi di pianoforte
appena si rendono conto del genio di Glenn Gould. La riduzione di Ruggero Cappuccio si concentra
sulla solitudine, l’illusione, l’alienazione nel lirismo di una realtà che non è più o che non è mai stata,
ma vive fresca nella memoria come ricordo presente. La regia di Nadia Baldi reinterpreta la storia,
caricandola del suo stile semplicemente ricercato, alto e asciutto. Con Roberto Herlitzka e Marina
Sorrenti. Dal 16 al 21 aprile, Teatro Nuovo di Napoli.
Rappresentato la prima volta a
Dresda nel 1843, “L'Olandese
Volante” segna un momento
decisivo nel percorso artistico di
Richard Wagner, che con questo
lavoro prende le distanze dai
canoni dell'opera convenzionale.
L’orchestrazione e la divisione in
atti hanno subito, nel tempo,
diverse modifiche, per giungere
intorno al 1860 alla versione oggi
normalmente adottata. La storia è
ripresa dal mito nordeuropeo
dell'olandese
volante,
il
leggendario capitano condannato a
navigare sul suo vascello fantasma
fino al giorno del giudizio. Wagner
sostiene in “Mein Leben” che
l'ispirazione per l'opera sia stata in
parte autobiografica, dopo aver
vissuto i pericoli del mare in
tempesta, in occasione di un
viaggio in nave verso Londra
compiuto tra il luglio e l'agosto del
1839. Per celebrare il bicentenario
della nascita di Richard Wagner, in
scena al Teatro di San Carlo
“L'Olandese
Volante”,
nella
produzione
della
Fondazione
Teatro Comunale di Bologna. A
dare forma alla leggenda è il
regista
greco,
naturalizzato
francese, Jannis Kokkos, che firma
anche scene e costumi. Sul podio il
Maestro Stefan Anton Reck. al
Teatro di San Carlo, dal 19 al 28
aprile.
LENUCCIA
UNA PARTIGIANA DEL SUD
I partigiani sono al Nord. Eppure
Napoli
si
liberò
da
sola
dall’esercito di Hitler, eppure il
popolo napoletano in 4 giorni
cacciò l’invincibile Terzo Reich.
All’arrivo degli Alleati Napoli era
già libera. 4 giorni dimenticati
dalla storia ufficiale, centinaia di
partigiani del sud messi da parte
dalle onorificenze. Tra i napoletani
che
dai
tetti,
con
armi
improvvisate, vinsero l’invincibile
armata
combatteva
Lenuccia,
ovvero Maddalena Cerasuolo.
La
partigiana,
simbolo
dell’insurrezione
popolare,
emblema
del
femminismo
anticipato di 20 anni. Negli anni in
cui le donne non avevano ancora
diritto al voto, anni in cui esisteva
il delitto d’onore e la violenza
sessuale era solo un danno alla
morale, Lenuccia impedì che i
tedeschi
depredassero
una
fabbrica, parlamentò con le SS,
partecipò alla battaglia del Ponte
della Sanità che oggi porta il suo
nome. Lenuccia con l’elmetto e la
pistola è l’immagine della Napoli
antifascista. In ricordo dei 168
partigiani napoletani caduti per la
liberazione proviamo a raccontare
a noi stessi e alle nuove
generazioni la storia di una donna
che nonostante la sua città fosse
liberata, nonostante avesse dato il
suo contributo, si paracadutò più
volte tra le linee nemiche, ad Anzio
e lungo la linea gotica. Proviamo a
raccontare sulle tavole di una palco
la storia di una città, capace di
rigenerarsi, di proteggersi, di
gridare all'unisono che “E figlie e
mammà nun se toccano”. Teatro
Sancarluccio 18/21 aprile.
Wagner vola al San Carlo
“L’olandese” celebra il bicentenario
del musicista tedesco
Marta sui tubi
12 aprile Teatro Trianon
Raphael Gualazzi
29 aprile Augusteo
Da una scena dell’Olandese Volante
Ancora risate al Diana
con Salemme che si trasforma
in Diavolo Custode
Pino Cotarelli
Giocata sulla dicotomia comicità/drammaturgia, la nuova
commedia di Vincenzo Salemme, Il diavolo custode, in
programma al teatro Diana fino al 7 aprile, ha registrato una
notevole affluenza di pubblico. Salemme che non si risparmia
mai dando il massimo sulla scena, oltre a curarne la regia, si è
riservato il ruolo del “diavolo” che richiede notevoli capacità
istrioniche e una fatica sostenuta che ha condiviso con Nicola
Acunzo, Domenico Aria (Gustavo), Floriana De Martino,
Andrea Di Maria, Antonio Guerriero, Raffaella Nocerino,
Giovanni Ribò. Molto bella e di effetto la scenografia di
Alessandro Chiti che cambia con scorrimento istantaneo; di
effetto le luci psichedeliche di Umile Vainieri; costumi
Mariano Tufano. In questo lavoro Vincenzo Salemme si
chiede e chiede cosa succederebbe se invece di (o oltre a) un
angelo noi uomini avessimo un diavolo custode. Se un giorno
il nostro diavolo custode ci chiedesse: “Vuoi tornare a
nascere e ricominciare daccapo? La vuoi la seconda
possibilità? Farai meglio?”. Le risposte prova a darle
attraverso le riflessioni che fa fare al pubblico che spesso
chiama a partecipazioni attive. “Il diavolo custode” è la storia
del povero Gustavo (Domenico Aria) abituato a complicarsi la
vita, proprietario del bar
cui ha messo nome
“Vespasiano” che è poco
frequentato, chissà
perché. La sua vita è
appesa a un mutuo da
pagare per il bar, ad una
moglie che non lo stima
perché troppo scrupoloso
e onesto (“emette sempre le ricevute fiscali”), alla figlia
troppo distratta dalla sua vita, per notarlo. Il diavolo mette
alla prova il povero Gustavo, gli fa capire dove sbaglia e come
può cambiare la sua vita: “guarda che tu stai inguaiato, voglio
darti la possibilità di cambiare”. Quindi, una seconda chance
per tornare a rinascere e per realizzare i propri desideri. La
sua vita sarà infatti stravolta dall’inattesa proposta che lo
spingerà a prendere decisioni coraggiose, come ad esempio
cambiare moglie e cominciare a far rispettare la sua autorità
nell’attività che a fatica porta avanti.
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