Il paziente con infezione delle vie urinarie

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Il paziente
con infezione
delle vie urinarie
Jessica B. Kendrick, L. Barth Reller e Marilyn E. Levi
Le infezioni delle vie urinarie (IVU) rientrano tra le più comuni che colpiscono l’umanità, superate per frequenza, in ambiente ambulatoriale, solo dalle infezioni respiratorie
e gastrointestinali. Ogni anno negli Stati Uniti si registrano oltre 8 milioni di episodi
di cistite acuta. Le infezioni delle vie urinarie rappresentano la causa più comune di
infezioni acquisite sia in comunità sia in ospedale per i pazienti ricoverati negli ospedali
negli Stati Uniti.1
La prognosi e la gestione delle IVU dipendono dalla sede dell’infezione e da eventuali
fattori predisponenti.
I. DEFINIZIONI
Poiché l’infezione delle vie urinarie può originare da un’invasione microbica di tessuti che si estendono dall’orifizio uretrale alla corteccia renale, è opportuno fornire
alcune definizioni. Anche se l’infezione e i sintomi risultanti possono essere localizzati
in una sede precisa, la presenza di batteri nelle urine (batteriuria) mette l’intero apparato urinario a rischio di invasione batterica.
A. Con batteriuria significativa si definisce la presenza di almeno 100.000 unità
formanti colonie (CFU) di batteri per milliltro di urina, ma conte inferiori possano rivestire altrettanta importanza diagnostica, particolarmente nelle giovani
donne, nelle quali 1000 batteri per CFU possono essere associati a cistite o sindrome uretrale acuta.
B. Sede anatomica. La prima utile distinzione si opera tra IVU a carico del tratto
superiore (rene) e inferiore (vescica, prostata e uretra). Le infezioni circoscritte
alla vescica (cistite), all’uretra (uretrite) e alla prostata (prostatite) danno comunemente luogo a disuria, aumento della frequenza minzionale e urgenza alla
minzione. La pielonefrite è l’infiammazione aspecifica del parenchima renale; la
pielonefrite acuta è una sindrome clinica caratterizzata da brividi e febbre, dolore
al fianco e sintomi generali causati da invasione batterica del rene. La pielonefrite
cronica presenta un’istopatologia analoga a quella della nefrite tubulointerstiziale, nefropatia causata da una varietà di patologie quali uropatia cronica ostruttiva, reflusso ureterale vescicale (nefropatia da reflusso), malattia della midollare
renale, farmaci e tossine, e possibilmente batteriuria cronica o ricorrente.
Ogni anno in Italia le IVU colpiscono oltre 4 milioni di soggetti e, dopo le infezioni dell’apparato respiratorio,
sono la patologia più ricorrente acquisita in ambito ospedaliero; N.d.C.
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C. La ricorrenza di IVU consegue a recivida o reinfezione, operare questa distinzione è importante dal punto di vista clinico. Come IVU ricorrente si idefiniscono due infezioni non complicate nell’arco di 6 mesi o tre infezioni nell’arco
di un anno e sono spesso considerate reinfezioni. La maggioranza degli episodi di
cistouretrite è dovuta a una reinfezione. Mentre la patogenesi di IVU ricorrenti
viene in genere attribuita a patogeni, diversi studi recenti mostrano che oltre il
50% delle infezioni ricorrenti insorge con patogeni geneticamente identici ed
è solitamente sensibile a farmaci. La recidiva definisce il ritorno dell’infezione
dovuta al medesimo microorganismo, spesso farmaco-resistente e necessitante di
valutazio urologica, cicli di trattamento più lunghi e potenziale intervento chirurgico. La maggioranza delle recidive interviene dopo trattamento di pielonefrite
o prostatite acuta. Infine, la batteriuria asintomatica è un indizio utile ai fini
della presenza di infezione parenchimale lungo il tratto urinario, ma l’importanza
dell’infezione e l’esigenza di trattamento dipendono dall’età, dal sesso e dalla condizione del paziente.
D. IVU complicate e non complicate. Un’altra importante distinzione che deve
essere operata dal medico è tra infezioni non complicate e complicate; con le
prime si intende un episodio di cistouretrite seguito da colonizzazione batterica
della mucosa uretrale e vescicale in assenza di interessamento patologico del
tratto superiore. Questo tipo di infezione si considera non complicato poiché le
sequele sono rare ed esclusivamente ascrivibili alla morbilità associata a esordio
reinfezione in un sottogruppo della popolazione femminile. Le IVU complicate
aumentano il rischio di sequele infettive con esiti potenzialmente fatali come
batteriemia e sepsi o fallimento del trattamento. Le IVU complicate possono
insorgere in gravidanza, in presenza di diabete, in condizioni di immunosoppressione, alterazioni strutturali delle vie urinarie, sintomi della durata di oltre
2 mesi e pregressa pielonefrite. Le donne in giovane età costituiscono un sottogruppo di pazienti con pielonefrite (pielonefrite acuta non complicata), che
spesso mostrano una buona risposta alla terapia e possono altresì essere associate a
una bassa incidenza di sequele. Al contrario, le infezioni complicate coinvolgono
il parenchima (pielonefrite o prostatite) e di frequente insorgono in ambiente di
uropatia ostruttiva per effetto dell’applicazione di strumenti. Gli episodi possono
essere refrattari alla terapia, spesso recidivano e occasionalmente determinano
sequele significative come sepsi, ascessi metastatici e, raramente, insufficienza
renale acuta.
E. Diversi autori hanno proposto una classificazione per il personale clinico.
1. Batteriuria asintomatica
2. Cistite acuta non complicata nella popolazione femminile
3. Infezioni ricorrenti nella popolazione femminile
4. Pielonefrite acuta non complicata nella popolazione femminile
5. IVU complicate in entrambi i sessi
6. IVU associate a catetere
II. FATTORI DI RISCHIO E PATOGENESI
La diagnosi precoce e la possibile prevenzione dipendono dalla comprensione della
patogenesi e dall’epidemiologia dell’IVU. La Figura 7-1 mostra i maggiori periodi
di rischio per IVU sintomatiche; emerge la crescente prevalenza di batteriuria asintomatica associata all’avanzare dell’età. La conoscenza in merito ai fattori di rischio
per IVU è ampia. Sono state effettuate associazioni tra IVU ed età; gravidanza; rap-
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Infezione
sintomatica
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Infanzia
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Prostatismo
Età
prescolare
Cistite della
“luna di miele”
“Pielite”
in gravidanza
Rischio catetere
Prevalenza (%)
10
0
8
Batteriuria
asintomatica
6
4
2
<1%
5
10
15
20
25
30
60
70
Età (anni)
Figura 7-1. Distribuzione della frequenza delle infezioni sintomatiche delle vie urinarie
e prevalenza della batteriuria asintomatica per età e sesso (maschio, area ombreggiata;
femmina, linea). (Modificato dal concetto originale di Jawetz. Da Kunin CM. Detection,
prevention and management of urinary tract infections, 4th ed. Philadelphia, PA: Lea &
Febiger, 1987. Ristampato con autorizzazione.)
porti sessuali; uso di diaframmi, preservativi e spermicidi, particolarmente il nonoxynol-9; ritardata minzione post-coitale; menopausa e anamnesi di IVU recente.
I fattori che non sembrano aumentare il rischio comprendono dieta, uso di assorbenti, abbigliamento e igiene personale, tra cui indicazioni igieniche da osservare
dopo la defecazione e il bagno. Studi sulla patogenesi hanno evidenziato interazioni
specifiche tra l’ospite e i microbi causalmente correlati a batteriuria. I batteri presenti
nella flora enterica accedono periodicamente al tratto genito-urinario. Tuttavia, in
che modo tali batteri migrino dal tratto gastrointestinale alla periuretra non è noto;
nelle donne la stretta prossimità dell’ano è un fattore probabile. La successiva colonizzazione batterica di cellule uroepiteliali è il fenomeno biologico che determina
la fase di batteriuria persistente. La colonizzazione della periuretra spesso precede
l’esordio di batteriuria vescicale. Ceppi P-fimbriati di Escherichia coli aderiscono alle
cellule uroepiteliali, in cui i glicolipidi fungono da recettori in presenza di secrezione
di antigeni del gruppo sanguigno nella popolazione femminile. L’E. coli che codifica
per i pili di tipo 1, contenenti l’adesina FimH, riconosce molti tipi di cellule multiple associate a cistite, sepsi e meningite. I pazienti immunocompromessi possono
contrarre infezione con ceppi meno virulenti di E. coli. Diversi fattori dell’ospite si
oppongono alla colonizzazione, e più precisamente ph acido, flora vaginale normale
e anticorpi cervicovaginali tipo-specifici.
Dopo la colonizzazione periuretrale, gli uropatogeni accedono alla vescica attraverso
l’uretra, ai reni attraverso gli ureteri e alla prostata attraverso i dotti eiaculatori. L’uretra
e la giunzione ureterovescicale sono barriere meccaniche che prevengono l’ascensione.
Oltre a ostruzione meccanica e da strumenti e, tuttavia, i fattori che favoriscono l’ingresso
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dei batteri non sono del tutto noti. Nella vescica, gli organismi si moltiplicano, colonizzano la mucosa vescicale e ne invadono la superficie. Benché l’urina offra un adeguato
supporto alla crescita della maggior parte degli uropatogeni, la vescica possiede diversi
meccanismi antibatterici che prevengono la batteriuria: (a) uno strato di mucopolisaccaridico (urine slime) ricopre l’epitelio vescicale e previene la colonizzazione; (b) la proteina
di Tamm-Horsfall, componente dell’uromucoide, aderisce alle fimbrie P e previene la
colonizzazione e (c) il flusso urinario e la contrazione vescicale che servono a prevenire la
stasi e la colonizzazione. La batteriuria vescicale determina la fase di successiva migrazione
ai reni, dove organismi come l’E. coli P. fimbriata aderiscono alle cellule tubulari renali.
Di fatto, oltrechè nella nefropatia ostruttiva, questo ceppo di E. coli è la causa più comune
di pielonefrite. In presenza di ostruzione, tuttavia, l’aderenza batterica è apparentemente
trascurabile. Altri fattori dell’ospite che prevengono un’infezione renale sono elevata
osmolalità urinaria, elevata concentrazione di ammonio, fagociti e aumentata diuresi.
In presenza di catetere uretrale, i meccanismi di difesa contro le interazioni
batteri-cellule epiteliali sono alterati sia dalla distruzione dello strato protettivo di
glicosaminoglicani della vescica sia dalla formazione di biofilm sul catetere. I microrganismi presenti nel biofilm sono protetti dagli antibiotici, dalle difese dell’ospite e
da flushing meccanico. Ai fini della terapia risolutiva, in ultima analisi è necessaria la
rimozione del catetere.
I patogeni che colonizzano i cateteri urinari permanenti spesso hanno una virulenza ridotta, ad esempio, ceppi di E. coli privi di fimbrie P, il che giustifica la bassa
incidenza di IVU febbrili e batteriemia.
La presenza di cateteri urinari cronici è associata a ostruzione del tratto inferiore
dovuta a blocco del catetere per incrostazione e calcoli nel tratto urinario e possono
essere complicati da ascessi scrotali, epididimite e prostatite. L’incidenza di cancro
della vescica può essere aumentata a causa di prolungato impiego di catetere per un
periodo superiore a 10 anni in pazienti con lesioni del midollo spinale.
III. QUADRO CLINICO
A. La batteriuria asintomatica è particolarmente frequente nella popolazione femminile, come evidenziato da una prevalenza minima compresa tra il 2% e il 4%
nelle donne giovani e pari al 10% in quelle di età avanzata, e una batteriuria
asintomatica da tre a quattro volte superiore nelle donne diabetiche rispetto
alle altre. Questa maggiore incidenza è attribuita a concentrazioni urinarie inferiori di citochine e leucociti e a una migliore aderenza delle cellule uroepiteliali
di E. coli, che esprimono fimbrie di tipo 1.
La prevalenza cumulativa di batteriuria asintomatica nella popolazione femminile aumenta dell’1% circa ogni 10 anni di vita. Si noti che questo fenomeno è
stato osservato in diversi gruppi etnici e aree geografiche. Diversamente dalle donne,
l’incidenza di batteriuria asintomatica nella popolazione maschile è rara fino ai
60 anni di età, quando la prevalenza aumenta ogni 10 anni e spesso si avvicina al
tasso associato alle donne in età avanzata. Ad esempio, in soggetti di sesso maschile
non cateterizzati, ricoverati presso strutture assistenziali, la prevalenza di batteriuria
supera il 20%. L’ipertrofia prostatica e l’aumentata probabilità di strumentazioni
sulle vie urinarie sono considerate responsabili di batteriuria in pazienti anziani di
sesso maschile. Inoltre, le differenze tra la popolazione femminile e quella maschile
nei tassi di batteriuria sono state ascritte alla lunghezza inferiore dell’uretra femminile e alla sua prossimità alle mucose vaginale e rettale nonché all’abbondante flora
microbica che caratterizza queste aree. Lo screening per batteriuria asintomatica e il
relativo trattamento non sono autorizzati, finché il paziente è ad alto rischio di complicanze serie (ad esempio donne gravide e pazienti sottoposti a chirurgia urologica).
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I pazienti ricoverati presso strutture a lunga degenza presentano un rischio
aumentato di batteriuria asintomatica analogamente ai pazienti affetti da lesioni
del midollo spinale dovute a cateteri intermittenti, sfinteretomie o cateteri esterni.
La batteriuria correlata a cateteri permanenti aumenta a un tasso del 3-10% al
giorno ed è prevalentemente asintomatica. In assenza di sintomi di IVU, un’urinocoltura positiva per 105 CFU/ml di batteri risponde ai criteri di batteriuria
asintomatica associata a catetere. La candiduria asintomatica associata a catetere
è definita come 103 per ml di funghi. L’incidenza di morbilità significativa in
presenza di batteriuria asintomatica e candiduria è bassa e la terapia antimicrobica
non è raccomandata con il catetere in sede.
B. Le IVU sintomatiche si sviluppano in qualsiasi gruppo di età. In età neonatale
e infantile, l’incidenza è maggiore nei maschi che nelle femmine. In pazienti con
sepsi neonatale originante nel tratto urinario, sono spesso presenti serie anomalie
congenite sottostanti. Durante l’età pediatrica, la batteriuria persistente, in presenza o assenza di ripetuti episodi sintomatici, insorge in un ridotto gruppo (inferiore al 2%) della popolazione femminile in età scolare. Questi soggetti, anche
maschi in età scolare con batteriuria, devono essere sottoposti a valutazione urologica per rilevare la presenza di anomalie strutturali correggibili in caso di IVU
documentata. In donne sessualmente attive il rischio di episodi di cistite è marcatamente maggiore; l’E. coli è l’organismo prevalente nel 75-90% dei casi, mentre
Staphylococcus saprophyticus si trova nel 5-15%, principalmente nelle donne di
giovane età. Il resto dei casi è dovuto a enterococchi e bastoncini aerobi Gramnegativi, come le specie Klebsiella e Proteus mirabilis.
In assenza di prostatite, la batteriuria e l’IVU sintomatica non sono frequenti
nella popolazione maschile; tuttavia, la prostatite asintomatica è molto comune
nella popolazione maschile con IVU febbrile. Più di recente, ceppi uropatogeni
di E. coli sono stati riconosciuti come causa di cistite in uomini di giovane età a
rischio per la omosessualità e rapporti anali, non circoncisi o rapporti con partner presentanti colonizzazione vaginale come E. coli P. fimbriata. A qualsiasi età,
entrambi i sessi possono sviluppare infezioni sintomatiche in presenza di fattori
di rischio che alterano il flusso urinario. Il Mycoplasma hominis è stato definitivamente riconosciuto come infezione sessualmente trasmissibile e causa di vaginosi
batterica nella popolazione femminile e uretrite non gonococcica nei maschi.
L’Ureaplasma urealyticum è una delle cause di uretrite non gonococcica e prostatite cronica e può essere isolato da secrezioni prostatiche espresse e dall’urina
prodotta dopo massaggio prostatico.
1. Ostruzione al flusso urinario
a. Anomalie congenite
b. Calcoli renali
c. Occlusione ureterale (parziale o totale)
2. Reflusso vescico-ureterale
3. Urina residua in vescica
a. Vescica neurologica
b. Stenosi uretrale
c. Ipertrofia prostatica
4. Uso di strumenti nel tratto urinario
a. Catetere urinario permanente
b. Cateterismo
c. Dilatazione uretrale
d. Cistoscopia
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IV. MANIFESTAZIONI CLINICHE
A. Sindrome uretrale acuta. I sintomi cardinali di frequenza e disuria si manifestano in una percentuale superiore al 90% dei pazienti ambulatoriali con infezioni del tratto genito-urinario. Una percentuale tra un terzo e la metà di tutti i
pazienti con frequenza e disuria, tuttavia, non presenta batteriuria significativa,
ma la maggior parte evidenzia piuria. Questi soggetti sono affetti da sindrome
uretrale acuta, che può minare sia le infezioni vescicali sia le infezioni renali; cause
comuni di questa sindrome sono la vaginite, l’uretrite e la prostatite. Sebbene
certi segni e sintomi contribuiscano alla differenziazione di queste entità cliniche,
un’IVU classica può essere diagnosticata in via definitiva solo con urinocolture
quantitative.
1. Vaginite. Negli Stati Uniti (come in Italia; N.d.C.) circa il 20% della popolazione femminile riporta un episodio di disuria all’anno, di cui la metà richiede
un consulto medico. La presenza di anomale secrezioni vaginali (leucorrea) e
irritazione rende la vaginite la causa probabile di disuria, salvo nei casi in cui
la coltura possa confermare un’IVU concomitante. Candida albicans, la causa
più specifica di aginite, può essere dimostrata immediatamente con coltura
o riscontro di cellule lievito in un campione con colorazione Gram di secrezioni vaginali o in una soluzione salina con aggiunta di idrossido di potassio.
La presenza di tricomoniasi può essere documentata con una soluzione salina
che mostri protozoi mobili di Trichomonas vaginalis. La vaginite aspecifica è
il più delle volte associata a Gardnerella vaginalis; un indizio che orienta verso
tale diagnosi è la presenza di numerosi bacilli Gram-negativi aderenti alle cellule epiteliali vaginali.
2. Uretrite. La presenza di frequenza urinaria acuta, disuria e piuria in assenza
di sintomi vaginali favorisce una diagnosi di uretrite o IVU anziché vaginite.
La Chlamydia trachomatis è una causa comune di sindrome uretrale acuta nelle
donne, nonché di uretrite aspecifica nell’uomo. Anche la Neisseria gonorrhoeae
è un’origine diffusa di uretrite e disuria. La diagnosi e il trattamento di gonorrea sono oggi ben standardizzati. Infezioni caratterizzate da una bassa conta di
colonie (100-1000 CFU) attualmente rappresentano una causa riconosciuta di
uretrite in pazienti sintomatiche di sesso femminile affette da piuria. Il virus
dell’herpes simplex, generalmente di tipo 2, è un altro agente sessualmente
trasmissibile che può dare luogo a grave disuria attraverso ulcerazioni poste in
stretta prossimità all’orifizio uretrale. La diagnosi di herpes progenitalis può
essere confermata con il riscontro di cellule giganti trasformate multinucleate
su strisci epidermici sottoposti a colorazione di Wright (striscio di Tzanck),
isolando il virus in coltura tissutale o con test diretto con anticorpi fluorescenti.
3. Prostatite. La prostatite è un’affezione comune nella popolazione maschile,
che, con una maggiore frequenza rispetto alle IVU, dà luogo a disuria e frequenza urinaria in soggetti di mezza età e più giovani. Inoltre, più del 90%
degli uomini con IVU febbrili presenta prostatite asintomatica manifestata
da elevati livelli antigeni prostataspecifici (PSA) e volume prostatico. Le concentrazioni di PSA possono permanere elevate per un periodo fino a 12 mesi.
Le sindromi a carico della prostata sono tradizionalmente suddivise in quattro
entità cliniche: (a) prostatite batterica acuta; (b) prostatite batterica cronica;
(c) prostatite non batterica e (d) prostatodinia.
a. La prostatite batterica acuta è facilmente distinguibile dalle altre sindromi da prostatite per le sue manifestazioni ben riconoscibili. Il paziente
presenta spesso sintomi acuti, come improvviso esordio di brividi e feb-
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bre, aumentata frequenza urinaria e urgenza, disuria, dolore perineale e
lombalgico e sintomi generali. L’esplorazione rettale va evitato a causa del
rischio di sepsi precipitanti, ma la ghiandola prostatica può risultare molto
dolente, calda ed edematosa. L’esame microscopico delle urine mostra
generalmente numerosi leucociti; l’urinocoltura è solitamente positiva per
batteri Gram-negativi enterici (specialmente E. coli); l’isolamento di batteri
Gram-positivi (stafilococchi ed enterococchi) è meno frequente.
b. Prostatite batterica cronica. Uno dei segni principali della prostatite
cronica è la presenza di IVU recidivanti. I sintomi consueti sono aumentata frequenza urinaria, disuria, notturia e dolore alla schiena e perineale,
anche se il paziente può riportare sintomi minimi nel periodo inter-IVU.
Il soggetto è spesso apiretico, non presenta sintomi acuti e l’esame della
prostata può dare esiti trascurabili. Uno dei meccanismi atti a spiegare la
migrazione batterica nella prostata è il reflusso di urina e batteri nei dotti
prostatici dall’uretra. Questa sindrome si distingue da altre forme di prostatite cronica, quando esordisce con un’iniziale negatività all’esame delle
urine con mitto intermedio e urinocoltura. Dopo il massaggio prostatico,
tuttavia, l’urina evidenzia positività all’esame microscopico per lecucociti,
ed è possibile l’isolamento di un uropatogeno (si veda la Sezione V).
c. La prostatite non batterica è la forma più comune di prostatite cronica.
Simula clinicamente la prostatite batterica cronica ed evidenzia la presenza
di cellule infiammatorie su campioni post-massaggio prostatico. Tuttavia,
le colture batteriologiche di urina e secrezioni prostatiche sono sterili.
L’eziologia è sconosciuta, ma certa evidenza mostra un’eziologia di natura
infettiva interessante organismi di complessa coltura.
d. La prostatodinia è inoltre stata definita come prostatite non infiammatoria
cronica. Il quadro clinico, si manifesta con sintomi simili ad altre forme
di prostatite cronica; si distingue per l’assenza di cellule infiammatorie o
uropatogeni in ogni campione.
B. IVU. Malgrado la presenza di sintomi e segni analoghi a sindromi, una diagnosi
presuntiva di infezioni delle vie urinarie può essere formulata economicamente
con l’analisi dell’urina in pazienti con segni e sintomi caratteristici, ma aspecifici. Le IVU acute non complicate possono esordire principalmente nella popolazione femminile in età fertile. Le manifestazioni con cui si presentano sono
solo suggestive del sito di infezione. I pazienti con cistouretrite batterica, diversa
dall’uretrite causata da patogeno di malattia sessualmente trasmessa (MST),
riporteranno episodi pregressi, sintomi di durata inferiore a 1 settimana e dolore
soprapubico.
V. DIAGNOSI DI LABORATORIO
A. Campioni di urina per coltura
1. Indicazioni. La diagnosi di IVU, dalla semplice cistite a pielonefrite complicata con sepsi, può essere posta con assoluta certezza solo in base a colture
quantitative di urina. Le principali indicazioni per l’urincoltura sono:
a. Pazienti con sintomi e segni di IVU
b. Follow-up di pazienti trattati di recente per IVU
c. Asportazione di catetere urinario permanente
d. Screening per batteriuria asintomatica in gravidanza
e. Pazienti con uropatia ostruttiva e stasi prima di strumentazioni sulle
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2. Quando applicate universalmente, le prime due indicazioni potrebbero non
essere l’approccio più conveniente in termini di efficacia di costi alla diagnosi
di IVU in giovani donne adulte non gravide. Questo gruppo di pazienti presenta disuria, urgenza e piuria successivi a episodio non complicato di cistouretrite, con organismi solitamente sensibili a una varietà di agenti antimicrobici, o per patogeno MST come gonococco o Chlamydia. Inoltre, poiché l’esito
che si propone la terapia è la riduzione al minimo della morbilità anziché
la prevenzione di complicanze potenzialmente fatali, i costi di laboratorio e
l’impiego di risorse possono essere ridotti al minimo evitando di prescrivere
colture di pre-trattamento a fronte di questo quadro clinico. Pertanto, soggetti
di sesso femminile con sintomi in linea con malattia semplice non complicata del tratto inferiore e positività al dipstick urinario possono essere trattati
senza previa urinocoltura. Inoltre, in caso di completa risoluzione dei sintomi,
anche le colture post-trattamento non sono necessarie in pazienti con infezioni non complicate.
3. Metodi. I campioni di urina devono essere sottoposti a coltura entro 2 ore o
preservati in condizioni di refrigerazione o con opportuno additivo chimico
(ad esempio acido borico e sodio formiato preservativo). I metodi di raccolta
ammissibili sono i seguenti:
a. Mitto intermedio in contenitore sterile dopo approfondito lavaggio
(acqua o soluzione salina) dei genitali esterni (assente ogni traccia di
residui di sapone)
b. Urina ottenuta con cateterismo singolo o agoaspirato sovrapubico
della vescica
c. Agoaspirato sterile di urina da sistema di drenaggio con catetere a circuito chiuso (non scollegare i tubi per ottenere il campione)
4. Non ammissibili, per la costante contaminazione e l’impossibilità di conte
quantitative, l’urina raccolta da punte di cateteri urinari permanenti con
metodo casuale, senza adeguata preparazione del paziente. La tecnica di
raccolta del mitto intermedio è preferibile, quando possibile, per evitare il
rischio di infezione al momento del cateterismo, che rappresenta un rischio
nei soggetti anziani allettati, nei soggetti di sesso maschile con cateteri esterni
e in pazienti diabetici con disfunzione vescicale. Poiché la contaminazione
è molto rara in pazienti circoncisi, in questi casi non è necessaria la tecnica
di mitto intermedio. Occasionalmente occorre l’aspirazione sovrapubica della
vescica per verificare eventuale infezione. Questa tecnica si è rivelata molto
utile nell’ambito della raccolta di campioni in bambini con possibile sepsi e in
soggetti adulti con esiti ambigui delle conte delle colonie in coltura condotte
su campioni ripetuti di mitto intermedio.
5. I patogeni microbici generalmente isolati da pazienti con IVU sono
elencati nella Tabella 7-1. Gli esiti delle colture dipendono sensibilmente
dalla situazione clinica in cui compare la batteriuria. Ad esempio, l’E. coli
è presente nelle urine nell’80-90% dei pazienti con cistite acuta non complicata e pielonefrite acuta non complicata; la S. saprophyticus è un’altra causa comune di IVU, ma raramente causa pielonefrite acuta. Molti
pazienti con calcoli renali coraliformi presentano organismi Proteus ureasi positivo nelle urine. Le infezioni da Klebsiella, Pseudomonas aeruginosa
ed Enterobacter sono comunemente acquisite in ospedale. La presenza di
Staphylococcus aureus nelle urine è molto spesso indicativa di concomitante
batteriemia stafilococcica, salvo laddove esista un fattore di rischio sottostante. I microrganismi nell’uomo di giovane età sono simili agli organi-
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4
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IVU
nosocomialie (%)
NS, non iniziata; IVU, infezione delle vie urinarie.
a
Dati relativi a 607 episodi di cistite; da Stamm WE. Urinary tract infections. In: Root RK, ed. Clinical infectious diseases: a practical approach, 1st ed. New
York: Oxford University Press, 1999.
b
84 episodi da Stamm 1992 and 54 nonhospitalized women; from Pinson AG, Philbrock JT, Lindbeck GH, Schorling JB, eds. Management of acute pyelonephritis in women: a cohort study. Am J Emerg Med 1994;12:271–278.
c
Dati relativi a 223 pazienti ambulatoriali di sesso maschile sintomatici; da Pead L, Maskell R. Urinary tract infections in adult men. J Infect 1981;3:71–78.
d
185 cases (excluding five cases of Candida albicans); from Ackermann RJ, Monroe PW. Bacteremic urinary tract infections in older people. J Am Geriatr Soc
1996;44:927–933.
e
Infezioni dovute al 90% a catetere, sperimentazione del 1991 effettuata presso la University of Iowa (ospedale con 900 posti letto); da Bronsema DA, Adams
JR, Pallares R, Wenzel RP. Secular trends in rates and etiology of nosocomial urinary tract infections at a university hospital. J Urol 1993;150:414–416.
86
4
3
0
0
Pielonefrite: paziente
ambulatoriale, donnab (%)
79
3
2
0
0
Cistite non complicata:
giovani donnea (%)
Patogeni microbici di rene e vescica
Batteri Gram-negativi
Escherichia coli
Polmonite da Klebisiella
Proteus
Enterobatterio
Pseudomonas aeruginosa
Batteri Gram-positivi
Staphylococcus saprophyticus
Staphylococcus aureus
Staphylococcus nonaureus
Enterococchi
Altri batteri
Infezioni miste
Funghi
Organismo
Tabella 7-1.
Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
smi causali di infezioni non complicate nella donna. Gli enterococchi e gli
stafilococchi coagulasi-negativi sono più comuni nella popolazione di sesso
maschile anziana, più verosimilmente conseguenti a uso di strumenti o
cateterismo. C. albicans si riscontra di rado, eccetto in pazienti con cateteri
permanenti, IVU nosocomiali o recidive di infezioni dopo molteplici cicli
di terapia antibiotica. La maggioranza delle infezioni correlate a catetere
origina dalla flora colonica del paziente con cateterismo a lungo termine di
durata superiore a 28 giorni. Organismi multiresistenti quali Providencia
stuartii, Pseudomonas spp., Proteus spp., Morganella spp. e Acinetobacter
spp. si riscontrano più di frequente per esposizione ad antibiotici. Inoltre,
la presenza di batteriuria polimicrobica si rileva nel 95% delle urinocolture
in pazienti con uso di catetere a lungo termine. Benché il probabile microrganismo e gli ordinari pattern di sensibilità bastino a orientare l’iniziale
terapia empirica in caso di cistite non complicata, un opportuno trattamento di pielonefrite batterica acuta e IVU complicata necessita di una
terapia precisa basata sull’isolamento del batterio causale e del test di sensibilità antimicrobica standard mediante l’impiego dei metodi per diffusione
o diluizione in terreno di coltura o agar.
B. Interpretazione delle urinocolture. Gli organismi che risiedono nell’uretra
distale e sui peli pubici contaminano i campioni di mitto intermedio (cleancatch). Questa contaminazione batterica deve essere distinta dalla “vera infezione” o “batteriuria significativa” nelle urinocolture. La distinzione è consentita dall’esame di batteriologia quantitativa. Poiché la quantificazione della
batteriuria ha un’importanza clinica notevole, i metodi per la coltura delle
urine devono consentire la valutazione di un numero di CFU di un potenziale
patogeno per millilitro di urina. La procedura standard prevede l’uso di anse
batteriologiche calibrate che erogano un dato volume di urina sulla superficie
delle piastre di agar. La corretta tecnica di piastratura raggiunge colonie isolate
che possono essere quantificate accuratmente. Un’alternativa soddisfacente ai
fini della diagnosi di IVU non complicata è il metodo dip slide, che è particolarmente utile per le urinocolture quantitative in contesti clinici ridotti. Metodi
rapidi basati sulla filtrazione e sulla colorimetria, bioluminescenza, cinetica
della crescita e reazioni biochimiche trovano sempre maggiore impiego per lo
screening su campioni di urina finalizzati a rilevare l’eventuale presenza di batteri. Le sensibilità di questi test rapidi è compresa nel range 104-105 CFU/ml.
Questo semplicissimo test è il paper-strip (dipstick) per la rilevazione della presenza di esterasi leucocitaria e nitriti nei campioni di prima urina del mattino.
Tuttavia, questi metodi non sono sostitutivi delle colture standard in pazienti
sintomatici con IVU complicate.
1. Conte delle colonie. La Figura 7-2 mostra le linee guida di base all’interpretazione di urinocolture quantitative. Conte di colonie superiori a 105 CFU/ml
in campioni raccolti e trasportati correttamente sono generalmente indicative di infezione. Conte di colonie pari o inferiori a 103 CFU/ml rilevate
su campioni di pazienti non trattati non sono comuni in presenza di IVU
reale, salvo in giovani donne sintomatiche con piuria e uretrite, nelle quali
le conte di colonie di E. coli pari a 103 possono essere interpretabili come se
l’urina fosse stata ottenuta con singolo cateterismo. Conte intermedie, specialmente in presenza di flora mista, solitamente sono suggestive di un campione
insufficiente o di ritardo nel trasporto e della coltura. Una diuresi ad esordio
improvviso può determinare una riduzione transitoria di una conta di colonie
altrimenti elevata.
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135
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Figura 7-2. Esiti di conte batteriche quantitative da colture di campioni di urina. (Da
Brumfitt W, Percival A. Pathogenesis and laboratory diagnosis of nontuberculous urinary
tract infection: a review. J Clin Pathol 1964;17:482. Ristampato con autorizzazione.)
2. Agoaspirato sovrapubico. Qualsiasi proliferazione batterica nell’urina ottenuta con agoaspirato sovrapubico può essere importante. L’uso di un’ansa
quantitativa di 0,01 ml per la coltura di urina aspirata consente di rilevare
un numero pari a 100 CFU/ml. Due o più colonie (≤200 CFU/ml) dello
stesso microrganismo assicurano la purezza della crescita da tali campioni e
consentono un test di sensibilità antimicrobica standardizzato. Criteri analoghi devono essere applicati a pazienti in trattamento con antimicrobici al
momento della coltura. Salvo circostanze atipiche, l’isolamento di difteroidi,
streptococchi α-emolitici e lactobacilli è indicativo di contaminazione del campione di urina con flora vaginale o periuretrale.
3. Secrezioni prostatiche. Nella popolazione maschile occorre distinguere tra
origine urinaria e focolaio prostatico. La procedura di raccolta di mitto intermedio e secrezioni prostatiche espresse in segmenti distinti che consentano
un’interpretazione corretta è illustrata in un diagramma nella Figura 7-3.
Nella secrezione prostatica di un uomo sano è raro riscontrare la presenza di
leucociti (superiori a 10-15 leucociti per campo ad alta potenza) e macrofagi
carichi di lipidi. Questi marker sono suggestivi di infiammazione prostatica.
Pertanto, si deve supporre che l’infezione origini da un focolaio prostatico in
presenza di significativa progressione di piuria o conte di colonie nei campioni
di secreto prostatici. Un’IVU di origine prostatica è indicata dalla presenza di
conte di colonie pari o superiori a 105 CFU/ml dello stesso microrganismo in
tutti e quattro i campioni. Sia gli urologi sia i medici di base adottano questo
approccio con una frequenza inferiore a quella ideale. Nell’ambito di uno
studio, una procedura a due fasi con esame microscopico e coltura di campioni di urina pre-e post-massaggio prostatico ha superato il confronto con la
succitata procedura a quattro fasi. L’approccio semplificato ha consentito di
giungere a una diagnosi simile nel 91% dei pazienti. La valutazione di questa
metodologia necessita tuttavia di ulteriori studi, che possono migliorare l’uso
da parte del medico.
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
Massaggio
prostatico
200 ml
dopo
Urina iniziale
10 ml
Uretra
Campione
di mitto intermedio
Vescica
VB3
EPS
VB2
VB1
Svuotamento
Massaggio
prostatico
Urina iniziale
post-massaggio
10 ml
Prostata
Figura 7-3. Identificazione di infezione con colture segmentate delle vie urinarie inferiore
nell’uomo. VB1 indica i primi 10 ml di urina espulsa, mentre VB2 rappresenta il campione di mitto intermedio ottenuto prima del massaggio prostatico. Successivamente, le
secrezioni prostatiche espresse (ESP) sono raccolte prima del campione di urina finale
(VB3). Quando la conta di colonie batteriche nella coltura uretrale supera di almeno 10
volte quella relativa alle colture intermedie e prostatiche, l’infezione origina dall’uretra.
La diagnosi è prostatite batterica se le conte quantitative dei campioni prostatici superano
quelle relative ai campioni uretrali e intermedi. (Da Meares EM, Stamey TA. Bacteriologic
localization patterns in bacterial prostatitis and urethritis. Invest Urol 1968;5:492.
Ristampato con autorizzazione-.)
C. Esame microscopico delle urine. Le procedure per l’esame microscopico delle
urine non sottostanno a una standardizzazione rigorosa, tuttavia la presenza di
batteri, leucociti e cellule epiteliali nell’urina può fornire una serie di informazioni utili e consentire al medico di formulare una diagnosi presuntiva di IVU.
I vantaggi legati all’analisi microscopica sono la disponibilità immediata e i costi
contenuti. Gli svantaggi, in base alla tecnica impiegata, sono la mancanza di sensibilità, di specificità, o di entrambe queste proprietà. La diagnosi definitiva può
essere formulata solo se i campioni per urinocoltura quantitativa sono stati raccolti e trattati con la procedura corretta. L’esame microscopico può essere svolto
sull’urina non centrifugata o sul sedimento centrifugato. Non è disponibile un
confronto critico tra queste due tecniche. La presenza di cellule epiteliali squamose e flora batterica mista indica contaminazione e necessità di ripetere la raccolta del campione.
1. Urina non centrifugata. Se fresca, l’urina non centrifugata in presenza di
batteriuria significativa (superiore a 105 CFU/ml) si esamina al microscopio
(×1000), il 90% dei campioni mostra la presenza di uno o più batteri e il
75% dei campioni evidenzia la presenza di uno o più leucociti per campo
con olio a immersione. La valutazione migliore di piuria è il riscontro di
circa 10 leucociti per mm3 di urina non centrifugata esaminata in camera di
conteggio.
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
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2. Sedimento centrifugato. Dopo aver centrifugato 10 ml di urina in un tubo
conico da 15-ml per 5 minuti a 2500 giri/min in centrifuga da laboratorio, si
prendono in esame tre o quattro gocce di sedimento sotto un vetrino coprioggetti a grande ingrandimento (×400) con diaframma quasi chiuso. In pazienti
con significativa batteriuria si osserva generalmente la presenza di bacilli nel
sedimento urinario, mentre solo il 10% circa dei pazienti con conte inferiori a
105 CFU/ml evidenzia la presenza di batteri. Circa il 60-85% dei pazienti con
batteriuria significativa presenta 10 o più leucociti per campo ad alta potenza
nel sedimento di mitto intermedio; tuttavia, circa il 25% dei pazienti con urinocolture negative presenta anche piuria (10 o più leucociti per campo ad alta
potenza) e solo circa il 40% dei pazienti con piuria evidenzia la presenza di 105
o più batteri per ml di urina alla coltura quantitativa. Il problema principale
è legato ai falsi positivi di piuria dovuti alla presenza di leucociti da secrezione
vaginale contaminante.
3. Colorazione di Gram. Uno striscio semplice di urina non centrifugata o sedimento centrifugato con colorazione di Gram può migliorare la specificità del
test, poiché la morfologia e le caratteristiche della colorazione contribuiscono
a identificare il probabile patogeno e mirare alla terapia empirica.
4. Piuria. Anche se la presenza di piuria in un campione intermedio possiede un
basso valore predittivo per batteriuria significativa, la piuria è un indicatore
sensibile di infiammazione. Pertanto, questo parametro può essere più accurato
rispetto alla batteriuria ai fini della distinzione tra “vera infezione” e contaminazione: il 95% dei pazienti con piuria presenta un’infezione del tratto genitourinario; tuttavia, la piuria non consente la distinzione tra IVU batterica e
sindrome uretrale acuta. Oltre a IVU, una qualsiasi causa di sindrome uretrale
acuta (si veda la Sezione IV.A) può dare luogo a piuria. Ad esempio, la tubercolosi può causare piuria in presenza di urincolture di routine negative, benché le
colture micobatteriche siano positive nel 90% dei casi. Anche la nefropatia da
analgesici, la nefrite interstiziale, l’ascesso perirenale, l’ascesso corticale renale,
l’infezione micotica disseminata e l’appendicite possono esitare in piuria.
D. Test biochimici per batteriuria. Due funzioni metaboliche condivise dalla maggioranza dei patogeni batterici delle vie urinarie sono l’uso del glucosio e la riduzione di nitrato in nitrito; queste sono proprietà di tutti gli enterobatteri. Poiché
piccole quantità di glucosio e nitrato sono normalmente presenti nell’urina, la
presenza urinaria di quantità significative di batteri esita in assenza di glucosio e
presenza di nitrito. I dipstick urinari sono disponibili in commercio per entrambi
i tipi di test. Studi su strisce con indicatore di nitrito mostrano che l’85% delle
donne e dei bambini con batteriuria significativa confermata su coltura mostra
risultati positivi a fronte di un’analisi svolta su tre campioni consecutivi di urina del
mattino. Per il test sul nitrito l’urina del mattino è preferibile, poiché la maggioranza dei batteri impiega dalle 4 alle 6 ore per la conversione di nitrato in nitrito.
Il test su nitrito può risultare negativo in pazienti in trattamento con diuretici o con
organismi che non producono nitrato riduttasi (specie Staphylococcus, Enterococcus
e P. aeruginosa). La sensibilità del test su glucosio è compresa tra il 90% e il 95% in
pazienti non affetti da diabete mellito. Entrambi i test biochimici presentano una
percentuale inferiore al 5% di risultati falsi positivi. Pertanto, questi test biochimici
possono essere usati da pazienti o genitori, dopo adeguate istruzioni, per stabilire
quando è necessaria una coltura quantitativa nella gestione di episodi ricorrenti di
IVU. Si deve evitare il bias di spettro nell’uso di dipstick. I dipstick devono trovare
impiego solo in pazienti con sintomi suggestivi di IVU (ovvero alta probabilità di
IVU pre-test) e non con finalità di screening asintomatico, come in gravidanza.
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
E. Localizzazione del sito di infezione. Il sito d’infezione all’interno delle vie urinarie ricopre una notevole importanza ai fini terapeutici e prognostici. Un’IVU
del tratto superiore (pielonefrite) indica una probabilità molto superiore di
uropatia sottostante (ad esempio anomalie congenite, calcoli renali, occlusione
ureterale, reflusso vescico-ureterale, vescica neurologica o ipertrofia prostatica)
o pregresso strumenti indagini strumentali (si veda la Sezione III.B). Le recidive
con gli stessi batteri, spesso multipli, antibiotico-resistenti sono comuni in presenza di pielonefrite o prostatite batterica cronica. Il trattamento è prolungato
(almeno 10-14 giorni) e può essere impegnativo. D’altra parte, la cistite in rari
casi è complicata e il trattamento può essere breve (dose singola o 3 giorni) e solitamente semplice. Oggi i test di laboratorio standard non consentono di operare
una distinzione immediata tra IVU del tratto superiore e inferiore. La possibilità
di compiere questa differenziazione in modo affidabile sulla sola base clinica è
stata discussa (si veda la Sezione IV.B). Metodi di vecchia generazione, indiretti (ad esempio anticorpi nel siero, test di concentrazione dell’urina e attività
della β-glucuronidasi urinaria) non sono né sensibili né specifici. Metodi diretti
per la localizzazione (ad esempio cateterismo ureterale, biopsia renale e tecnica
di washout vescicale) sono pericolosi, costosi, o entrambi. L’eradicazione della
batteriuria con una terapia antibiotica a dose singola o di ciclo breve (3 giorni)
in pazienti sintomatici con malattia non complicata è un metodo pratico per la
localizzazione presuntiva di infezione alla vescica o all’uretra.
F. Radiografia e altre procedure diagnostiche: indicazioni. Lo scopo principale delle indagini radiografiche e urologiche in pazienti con IVU è rilevare
la presenza di reflusso vescico-ureterale, calcoli renali e lesioni potenzialmente
correggibili, che ostruiscono il flusso urinario e causano stasi. Le infezioni di
nuovo esordio non complicate (cistite e uretrite) in donne che rispondono
ad un ciclo breve di terapia antibiotica non sono un’indicazione per indagine
radiografica e cistoscopica delle vie urinarie. Questo tipo di valutazione dovrà
essere considerata in tutti i bambini che riportino un primo episodio di IVU
(salvo soggetti di sesso femminile in età scolare). Particolare enfasi deve essere
posta sulla diagnosi precoce di anomalie urologiche in tutti i soggetti pediatrici
e adolescenti di sesso maschile con una prima infezione, nonché qualsiasi bambino con pielonefrite o decorso complicato. Una revisione degli studi volti alla
valutazione di tecniche di imaging diagnostiche in bambini che presentavano
IVU ha espresso l’esigenza di una ricerca basata su outcome migliori in questo
campo. La valutazione radiologica e urologica deve essere presa in considerazione nella popolazione adulta con IVU. In passato, tutte le IVU nella popolazione maschile erano considerate complicate. La raccomandazione convenzionale secondo cui tutti i maschi con IVU inziale siano sottoposti a valutazione
urologica volta a identificare l’eventuale presenza di anomalie anatomiche o
funzionali predisponenti è tutt’oggi osservata. Tuttavia, numerosi studi hanno
indicato che circa il 20% degli uomini presenta anomalie non diagnosticate in
precedenza. Alcuni soggetti di sesso maschile sessualmente attivi sono a maggior rischio di cistite (omosessuali, in rapporto con partner che presentano
uropatogeno e non circoncisi). Il valore della valutazione urologica in questo
gruppo ad alto rischio, con un singolo episodio di cistite e un decorso non
complicato, non è noto. In linea generale, le valutazioni urologiche sono raccomandate in presenza dei seguenti quadri: (a) maschi con primo episodio; (b)
tutti i pazienti con infezione complicata o batteriemia; (c) sospetta ostruzione
o litiasi renale; (d) ematuria dopo infezione; (e) mancata risposta ad adeguata
terapia antibiotca e (f) pazienti con infezioni ricorrenti.
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Alcuni esperti raccomandano la valutazione di tutti i pazienti con pielonefrite;
la valutazione radiologica di un sottogruppo di questi pazienti (donne giovani e in
condizioni altrimenti buone con positiva risposta alla terapia) può avere un basso
valore diagnostico. Nell’ambito di uno studio, solo una giovane donna su 25 con
pielonefrite non complicata presentava un’eziologia chirurgicamente correggibile,
mentre due su 25 presentavano anomalie focali che si erano risolte all’ecografia di
controllo. Questo dato ha portato altri a raccomandare una valutazione diagnostica in giovani donne con pielonefrite non complicata dopo il secondo episodio o
in qualsiasi momento in presenza di decorso complicato. La facilità di esecuzione
di un esame non invasivo (ecografia) ha aumentato le valutazioni radiologiche
nella maggioranza dei pazienti ricoverati con pielonefrite.
L’ecografia ed una radiografia dell’addome in bianco ha sostituito la pielografia endovenosa (IVP) come studio radiologico iniziale nella maggioranza della
popolazione adulta. Ai fini di una valutazione dettagliata della giunzione ureterovescicale, della vescica e dell’uretra, potrebbe essere necessario effettuare un cistouretrogramma e la misurazione dell’urina residua dopo lo svuotamento. In presenza
di reflusso vescico-ureterale dopo il trattamento dell’infezione acuta, occorre consultare l’urologo. Potrebbe essere giustificata la prescrizione di una cistoscopia.
La tomografia computerizzata (TC) con mezzo di contrasto dei reni è la modalità
di imaging più efficace in pazienti adulti con pielonefrite. Questa indagine ha
un’elevata sensibilità nel rilevare anomalie renali e accumuli di liquido perirenale.
La TC spirale senza contrasto è il test più sensibile per identificare la presenza
di calcoli renali, poiché in molti casi potrebbe non essere possibile visualizzarli
con radiografia dell’addome in bianco o ecografia. Le procedure di imaging con
radionuclide non trovano impiego nell’ambito della valutazione di pazienti adulti
con IVU, ma sono utili nella popolazione pediatrica in presenza di pielonefrite.
In genere, gli studi radiografici non devono essere effettuati prima di 6 settimane
dall’esordio di un’infezione acuta.
I bacilli Gram-negativi hanno la capacità di rallentare la peristalsi ureterale
e, in presenza di pielonefrite acuta, è comune il riscontro di anomalie transitorie
della IVP. Tra queste idrouretere, reflusso vescico-ureterale, effetto nefrografico
ridotto, profilo renale sfumato e aumento del volume renale. La pielonefrite acuta
con ostruzione ureterale è una condizione da trattare chirurgicamente in urgenza,
così come richiede un drenaggio chirurgio l’ascesso perinefrico. I metodi migliori
iniziali per rilevare queste complicanze, tuttavia, sono rispettivamente l’ecografia e la TC. Per evitare l’insufficienza renale acuta da radiocontrasto, l’urografia
endovenosa e altri studi con radiocontrasto devono essere, laddove possibile, evitati in pazienti con valori di creatinina nel siero superiori a 1,5 mg/dl, diabete
mellito, disidratazione o età avanzata.
VI. TRATTAMENTO DI IVU
A. Principi della terapia sottostante e follow-up. Al fine di ottenere una risposta
positiva nel trattamento di IVU, il medico deve conoscere la sensibilità microbica
e i meccanismi di resistenza, la farmacocinetica e la farmacodinamica nonché lo
stato delle difese. In primo luogo, la maggioranza degli uropatogeni è sensibile
a una vasta gamma di antibiotici; tuttavia, la presenza di batteri Gram-negativi
resistenti è spesso riscontrata in pazienti con cateteri permanenti, immunocompromessi e con batteriuria recidivante. In secondo luogo, la maggior parte degli
antibiotici è filtrata dai reni, pertanto raggiungono una concentrazione urinaria che è molte volte superiore alla concentrazione inibitoria minima. In terzo
luogo, anche se la maggior parte degli antibiotici raggiunge una concentrazione
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adeguata nel tessuto renale, solo le tetracicline, trimetoprima-sulfametoxazolo e
i fluorochinoloni raggiungono una concentrazione ragionevole nella prostata.
Infine, i pazienti con anomalie sistemiche o locali nelle difese dell’ospite sviluppano generalmente un’infezione renale refrattaria a terapia. In questo caso, gli
antibiotici che raggiungono adeguate concentrazioni sieriche e sono battericidi
sono da preferirsi agli agenti batteriostatici. Le regole di base per una gestione
efficace delle IVU sono descritte di seguito.
1. I pazienti asintomatici devono evidenziare conte di colonie ≥100.000/ml
almeno in due occasioni prima di considerare il trattamento.
2. Salvo in presenza di sintomi, la batteriuria non va eradicata prima della
rimozione di catetere, calcoli o ostruzioni delle vie urinarie.
3. Pazienti selezionati con batteriuria cronica potrebbero trarre beneficio da una
terapia eradicante.
4. Un paziente che sviluppi batteriuria in seguito a cateterismo deve essere
trattato al fine di ripristinare la sterilità urinaria dopo rimozione del catetere.
5. Gli agenti antimicrobici usati per il trattamento devono essere gli agenti
più sicuri e meno costosi ai quali sono sensibili i microrganismi causali.
6. L’efficacia del trattamento deve essere valutata con urinocoltura 1 settimana
dopo il completamento della terapia, salvo in donne adulte non gravide con
risposta alla terapia per cistite non complicata e pielonefrite non complicata.
B. Agenti antimicrobici
1. 𝛃-lattamici. L’aumentata resistenza antimicrobica osservata in E. coli rende
l’amoxicillina e l’ampicillina opzioni terapeutiche meno efficaci nel paziente
con IVU complicata, salvo quando l’enterococco sia fortemente considerato
l'agente eziologico. L’amoxicillina ha sostituito l’ampicillina orale per migliorata biodisponibilità e inferiore frequenza di somministrazione. L’amoxicillina
è efficace nel trattamento di cistite non complicata, ma una terapia a breve
termine (monodose e regimi di 3 giorni) ha dimostrato un'efficacia inferiore
rispetto a trimetoprima-sulfametoxazolo o fluorochinoloni somministati per
un tempo simile. La cefixima e la cefpodoxima sono cefalosporine orali di
terza generazione con potenziata attività contro i batteri Gram-negativi enterici, maggiore emivita nel siero e inferiore frequenza di somministrazione
rispetto alle cefalosporine di prima generazione. I β-lattamici parenterali sono
generalmente riservati alle infezioni più complicate. Il ceftriaxone è una cefalosporina di terza generazione con buona attività contro la maggior parte dei
batteri enterici Gram-negativi acquisiti in comunità (eccetto la P. aeruginosa).
La ceftazidima e il cefepime sono esempi di cefalosporine con buona attività
contro molti batteri Gram-negativi, anche la P. aeruginosa.
2. La nitrofurantoina è l’agente attivo contro molti uropatogeni, fra cui Escherichia
coli, S. saprophyticus e Enterococcus faecalis. Alcuni batteri Gram-negativi
sono resistenti a questo agente (Klebsiella, Enterobacter, e Pseudomonas spp.),
ciò abbassandone notevolmente l’efficacia nel trattamento empirico di IVU
complicate. Non è stata osservato alcun incremento clinico significativo nella
resistenza. Tuttavia, questo farmaco è significativamente meno attivo dei fluorochinoloni e di trimetoprim-sulfametossazolo contro batteri a bastoncino Gramnegativi aerobici non-Escherichia coli ed è inefficace contro la specie Proteus e
Pseudomonas. Il ruolo principale della nitrofurantoina nella terapia comprende
il trattamento di cistite non complicata e un agente alternativo per cistite causata
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da Enterococcus faecalis. La dose orale per adulti sia per preparati cristallini sia
per preparati macrocristallini è 50-100 mg ogni 6 ore per 7 giorni. Anche se
il regime di 3 giorni è efficace in molti pazienti con cistite non complicata, da
uno studio clinico è emerso che la nitrofurantoina è meno efficace del regime di
3 giorni con trimetoprima-sulfametossazolo. I pazienti con insufficienza renale
(clearance della creatinina inferiore a 60 ml/minuto) non devono essere trattati
con questo agente. La nitrofurantoina è stata usata in gravidanza (U.S. Food and
Drug Administration [FDA] categoria B), anche se è controindicata in allattamento, in prossimità del termine della gestazione e nei neonati (nei quali è associata ad anemia emolitica). La terapia aggressiva ha dato esiti positivi in alcuni
pazienti, ma la preoccupazione per reazioni meno comuni (ad esempio neuropatia periferica, polmonite ed epatite) potrebbe limitarne l’uso a lungo termine.
3. Trimetoprim-sulfametoxazolo e trimetoprim. Trimetoprim-sulfametoxazolo
ha un’attività ad ampio spettro contro diversi uropatogeni. Tuttavia, la mancata
attività clinica contro gli enterococchi e P. aeruginosa, nonché l’aumentata resistenza di alcuni batteri Gram-negativi (Klebsiella spp., Enterobatteri spp.), rende
il trimetoprim-sulfametoxazolo un agente notevolmente meno efficace per il trattamento di IVU complicate. Inoltre, i pattern di resistenza tabulati dai laboratori
di microbiologia mostrano la variabilità della resistenza di trimetoprim-sulfametoxazolo su base locale; un 18% di incidenza della resistenza è presente negli Stati
Uniti del sud-est e dell’ovest in donne con cistite acuta e IVU nei precedenti
6 mesi. Pertanto, alcune autorità raccomandano l’uso di trimetoprima-sulfametoxazolo solo se (a) il pattern di resistenza locale è inferiore al 20%; (b) non
sono presenti allergie a sulfamidici e (c) non sono presenti trattamenti antibiotici
recenti nell’anamnesi. Un aspetto interessante è da rilevarsi nel fatto che, malgrado una prevalenza della resistenza pari al 30% in alcune località, almeno metà
delle donne trattate con trimetoprim-sulfametoxazolo mostra tassi di guarigione
clinica e microbiologica compresi tra l’80% e l’85%.
Il trimetoprim-sulfametoxazolo mostra un buon profilo di tolleranza
nella maggioranza dei pazienti. Gli effetti avversi dovuti a sulfamidici sono
descritti ampiamente e comprendono sintomi gastrointestinali, aumento
transitorio nella creatinina nel siero e reazioni ematologiche e dermatologiche. I sulfamidici spostano il warfarin e gli agenti ipoglicemizzanti dall’albumina, potenziando in tal modo gli effetti farmacologici di questi farmaci.
Il trimetoprim-sulfametoxazolo è altamente efficace per la profilassi e la terapia si
per la cistite non complicata sia per la pielonefrite non complicata. Da uno studio
randomizzato con quattro diversi regimi farmacologici di 3 giorni in donne con
cistite acuta non complicata è emerso che il regime di 3 giorni di trimetoprimsulfametoxazolo è risultato il più efficace in termini di costi. Il trimetoprimsulfametoxazolo deve essere usato con cautela in pazienti con malattia renale
(clearance della creatinina <30 ml/min) per il rischio di aggravamento dell’insufficienza renale e dell’iperkaliemia. Le IVU complicate, in particolar modo le
infezioni associate a catetere e IVU nosocomiali, devono essere valutate con test
di sensibilità in vitro. Il trimetoprim-sulfametoxazolo è stato usato in gravidanza,
ma non è approvato dalla FDA in donne gravide, per il cui trattamento sono
preferibili altri agenti come l’amoxicillina, la nitrofurantoina e il cefalosporine.2
In Italia il farmaco è consentito alle donne gravide solo in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo
del medico; N.d.C.
2
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
Il trimetoprim in monoterapia è da preferirsi al trimetoprim-sulfametoxazolo secondo alcuni esperti per la profilassi e il trattamento di cistite non
complicata, poiché la sua efficacia è simile e gli effetti collaterali inferiori (per
l’assenza di sulfametoxazolo). Questo agente non deve essere usato da solo per
il trattamento di IVU complicate.
Il trimetoprim in monoterapia raggiunge inoltre buone concentrazioni
prostatiche e rappresenta un’alternativa ai fluorochinoloni in base al pattern
di sensibilità dei batteri.
4. Attualmente sono disponibili per l’uso molteplici fluorochinoloni (Tabelle
7-2 e 7-3). Questi agenti raggiungono concentrazioni molto elevate nell’urina
e nel tessuto renale, superando facilmente la concentrazione inibitoria minima
della maggioranza degli uropatogeni. I fluorochinoloni non devono essere
usati come agenti di primo impiego nel trattamento di cistite non complicata a causa del rischio di sviluppo di resistenze e per il costo. Tuttavia, il
loro spettro antimicrobico e il profilo generalmente basso degli effetti collaterali li rende scelte eccellenti per la terapia empirica di IVU complicate.
Tra gli attuali agenti all’interno di questa classe antimicrobica, nessun particolare farmaco ha dimostrato un’efficacia clinica superiore nell’ambito del
trattamento di pazienti con IVU. Rappresenta un’eccezione la moxifloxacina,
che non raggiunge adeguate concentrazioni urinarie e deve essere evitata
nel trattamento delle IVU. I fluorochinoloni non devono essere usati per il
trattamento di IVU enterococciche (sensibilità compresa solo tra il 60% e
il 70%) in gravidanza o nella popolazione pediatrica (fino alla disponibilità
di ulteriori informazioni). Gli antiacidi contenenti alluminio e magnesio e
i preparati contenenti ferro, calcio e zinco non devono essere somministrati
con fluorochinoloni orali a causa di un significativo calo nell’assorbimento.
In linea generale, questi agenti sono ben tollerati dalla maggioranza dei
pazienti; gli effetti avversi più comuni sono di natura gastrointestinale e a
carico del sistema nervoso centrale, ma di rado comportano una sospensione
del trattamento; la fotosensibilità può limitarne l’impiego (ad esempio lomefloxacina, sparfloxacina). Molti di questi agenti sono disponibili sia per somministrazione parenterale sia per la somministrazione orale. La conversione
dalla terapia parenterale a quella orale (riduzione graduale della terapia) deve
essere considerata in pazienti che sono clinicamente stabili e mostrano tolleranza ai farmaci orali. L’eccellente biodisponibilità di questi farmaci, il buon
successo clinico della terapia orale e i costi elevati legati alla terapia parenterale
dovuti alle complicanze correlate al catetere endovenoso e il costo dei preparati endovenosi sono tutti buoni motivi per considerare la terapia orale.
5. Macrolidi – eritromicina, claritromicina e azitromicina possono essere considerate per il trattamento di Mycoplasma spp. e U. urealyticum.
6. Tetracicline – Possono essere usate per Chlamydia spp. e Mycoplasma spp.
C. Trattamento di batteriuria asintomatica
1. La gravidanza aumenta il rischio di complicanze legate a IVU. Il tasso di
bambini prematuri nati da donne con batteriuria in gravidanza è aumentato
e una percentuale compresa tra il 20% e il 40% di queste pazienti sviluppa
pielonefrite ma se trattata con una terapia efficace il rischio di infezione
sintomatica si riduce dell’80-90%. Pertanto, in gravidanza tutte le donne
devono essere sottoposte a due test di screening per batteriuria asintomatica.
In pazienti gravide con anamnesi di IVU ricorrente sono necessarie colture
urinarie mensili e imaging delle vie urinarie, prima del concepimento o in
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
Tabella 7-2.
Agenti antimicrobici orali usati comunemente
per il trattamento delle infezioni delle vie urinarie
Dose adulta
Commento
Trimetoprima
100 mg ogni 12 h
Profilassi,
cistite non complicata
Trimetoprimasulfametoxazolo
160 mg/800 mg ogni 12 h
Cistite non complicata;
efficace in termini di costi
Nitrofurantoina
50-100 mg ogni 6 h
Profilassi,
cistite non complicata
Tetraciclina
250-500 mg ogni 6 h
Profilassi
Amoxicillina
250-500 mg ogni 8 h
In gravidanza, infezioni
enterococciche
Cefalexina
o cefradina
250 mg ogni 6 h
In gravidanza,
cistite non complicata
Cefixima
200 mg ogni 12 h/400 mg
ogni 24 h
Terapia di titolazione
decrementalea
Cefpodoxima
100-200 mg ogni 12 h
Terapia di titolazione
decrementalea
Norfloxacina
400 mg ogni 12 h
Bassi livelli di farmaco
nel siero
Ciprofloxacina
250-500 mg ogni 12 h
Primo fluorochinolone
“sistemico”
Lomefloxacina
400 mg ogni 24 h
Reazioni di fotosensibilità
cutanea
Enoxacina
400 mg ogni 12 h
Interazioni farmacologiche
sul citocromo P-450b
Ofloxacina
200-400 mg ogni 12 h
Generalmente sostituito
da levofloxacina
Levofloxacina
250-500 mg ogni 24 h
L-isomero di ofloxacina
Agenti vari
𝛃-lattami
a
Fluorochinoloni
I commenti relativi alla categoria di agenti vari e β-lattamici si riferiscono al ruolo
svolto dagli stessi in ambito terapeutico. I fluorochinoloni hanno trovato impiego
nel trattamento delle infezioni complicate delle vie urinarie e come agente alternativo per la cistite non complicata. Poiché questi agenti non sono stati sottoposti a
un confronto rigoroso, i commenti attengono a uno spettro generico di attività, al
profilo degli effetti collaterali e alle interazioni farmacologiche.
a
In linea generale, la terapia a breve termine per la cistite non complicata ha dato
esiti meno efficaci rispetto all’uso di trimetoprima-sulfametoxazolo o fluorochinoloni
per un ciclo di durata analoga. Il ruolo generale delle cefalosporine orali ad ampio
spettro (cefixima, cefpodoxima) è stato rivestito nel contesto del trattamento delle
infezioni complicate delle vie urinarie (agente alternativo) e come terapia endovenosa o terapia orale con approccio step-down.
b
Enoxacina è un potente inibitore degli isoenzimi epatici P-450. (L’inibizione degli
isoenzimi epatici causa un aumento dei livelli sierici di teofillina e caffeina.)
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
Tabella 7-3.
Agenti antimicrobici endovenosi usati comunemente
per il trattamento delle infezioni delle vie urinarie (IVU)
Dose adulta
Commento
Ampicillina
1-2 g ogni 4 h
Enterococcus faecalis;
generalmente combinato
a gentamicina
Ceftriaxone
1 g ogni 12-24 h
Pielonefrite
Ceftazidima
1-2 g ogni 8-12 h
IVU complicata, anche
Pseudomonas aeruginosa
Cefepima
1-2 g ogni 12 h
IVU complicata, anche
Pseudomonas aeruginosa
Aztreonam
1 g ogni 8-12 h
Paziente allergico
a penicillina
Ciprofloxacina
200-400 mg ogni 12 h
—
Ofloxacina
200-400 mg ogni 12 h
Generalmente passato
a levofloxacina
Levofloxacina
500 mg ogni 24 h
—
Trimetoprimasulfametoxazolo
160 mg/800 mg ogni 12 h
Profilassi, cistite
non complicata
Vancomicina
1 g ogni 12 h
Staphylococcus aureus
meticillina-resistente;
seria infezione
enterococcica in paziente
allergico a penicillina
Gentamicina
4-7 mg/kg ogni 24 h
Seria infezione
gramnegativa
1,5-2,0 mg/kg ogni 8 h
Precedente schema
posologico; per
enterococco combinato
ad ampicillina
𝛃-lattami
Fluorochinolonia
Agenti vari
Poiché i fluorochinoloni orali sono caratterizzati da un’eccellente biodisponibilità
e costano circa il 20% in più dei fluorochinoloni parenterali, la conversione dalla terapia
endovenosa a quella orale va fatta quando il paziente è clinicamente stabile.
a
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
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precoce epoca gestazionale, al fine di valutare una eventuale malattia strutturale. Tutte le pazienti con batteriuria devono essere trattate e sottoposte
a colture di controllo volte a identificare eventuali recidive. La profilassi a
lungo termine non offre un vantaggio superiore a un approccio di stretta
sorveglianza. Nell’ambito della scelta della terapia, è necessario tenere conto
del rischio a carico del feto. In linea generale, amoxicillina, amoxicillinaacido clavulanico, nitrofurantoina o cefalexina per 3-7 giorni consentono di
raggiungere risultati soddisfacenti, perché quasi tutte queste infezioni sono
causate da Escherichia coli sensibile. Si deve evitare l’uso di tetracicline (FDA
categoria D), trimetotprim (FDA categoria C) e fluorochinoloni (FDA categoria C).
2. Popolazione pediatrica. La presenza di batteriuria nella popolazione femminile in età prescolare e scolare può essere indicativa di reflusso vescicoureterale alla base. Inoltre, il reflusso vescico-ureterale, combinato a batteriuria recidivante, può esitare in progressiva formazione di tessuto cicatriziale
renale. Pertanto, in questa popolazione ad alto rischio, la batteriuria deve
essere testata di routine e trattata con valutazioni urologiche di controllo ogni
+6 settimane.
3. Popolazione generale. La batteriuria asintomatica nella popolazione
maschile e nelle donne non gravide, condizione comune negli anziani, non
pare causare una lesione renale in assenza di uropatia ostruttiva o reflusso
vescico-ureterale. Studi randomizzati prospettici sulla terapia per batteriuria
asintomatica negli anziani sono stati analizzati di recente. Dei cinque studi
presi in esame, tre presentavano campioni di dimensioni molto ridotte,
mentre uno studio condotto non in cieco ha mostrato un decremento statisticamente non significativo nelle infezioni sintomatiche. Lo studio randomizzato più esteso non ha evidenziato alcuna differenza significativa nella
mortalità tra i pazienti trattati e quelli non trattati. Pertanto, tentativi ripetuti di eliminare la batteriuria con agenti antimicrobici sembrano ingiustificati; potrebbero anzi solo selezionare microroganismi più resistenti e determinare la necessità di antibiotici più tossici e costosi qualora il paziente sviluppi successivamente una sintomatologia. L’IVU asintomatica associata a
catetere non deve essere trattata a causa del rischio di sviluppo di una riserva
di organismi resistenti. Anche i pazienti con diabete presentano un’elevata
incidenza di batteriuria asintomatica. La batteriuria non necessita di trattamento, poiché non è associata a esiti renali avversi e da alcuni studi è emerso
che il trattamento non riduce l’infezione sintomatica.
4. Varie. Indagini strumentali sul tratto genito-urinario devono essere evitate in
pazienti con batteriuria asintomatica o, se necessario, operati sotto copertura
di terapia antimicrobica profilattica. Il trattamento di batteriuria asintomatica
associata a catetere è raccomandato solo in (a) pazienti sottoposti a intervento
urologico o impianto protesico; (b) nell’ambito di un piano terapeutico volto
a controllare un organismo virulento predominante in un’unità di trattamento; (c) pazienti a rischio di serie complicanze infettive, come individui
immunocompromessi e (d) trattamento di patogeni associati ad alto rischio di
batteriemia, come Serratia marcescens.
D. Trattamento di cistite non complicata. La cistite acuta e l’uretrite da coliformi
a bassa conta di colonie sono malattie quasi esclusivamente femminili, nella maggioranza donne sessualmente attive di età compresa tra i 15 e i 45 anni. Anche se
le infezioni di nuovo esordio sono comuni, le complicanze sono rare.
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
1. Cicli brevi di terapia. Esiste un’evidenza apprezzabile secondo cui le infezioni realmente circoscritte alla vescica o all’uretra rispondono sia a una terapie monodose o a un ciclo breve (3 giorni) sia alla terapia convenzionale della
durata di 10-14 giorni. In realtà, la risposta alla terapia monodose o a ciclo
breve implica un’IVU delle basse vie urinarie. Sono state condotte analisi del
ciclo breve di terapia, dalle quali è emerso che i regimi da 3 giorni sono più
efficaci della terapia monodose. Uno studio randomizzato ha valutato quattro diversi regimi farmacologici da 3 giorni in donne con cistite acuta non
complicata. Un regime di 3 giorni di trimetroprim-sulfametoxazolo è risultato più efficace di un regime di nitrofurantonia di 3 giorni. Tassi di guarigione per cefadroxil (66%) e amoxicillina (67%) non sono risultati statisticamente diversi dal tasso di guarigione di trimetoprim-sulfametoxazolo (82%).
Il regime da 3 giorni di trimetoprim-sulfametoxazolo è risultato quello più
efficace in termini di costi. Le linee guida IDSA (Infectious Diseases Society
of America) raccomandano l’uso di regimi da 3 giorni tra cui trimetoprimasulfametoxazolo o fluorochinolone. Questa varietà di trattamenti è una rivoluzione importante nella gestione della cistite non complicata e dell’uretrite
da coliformi, poiché tutti i pazienti venivano trattati in precedenza con il ciclo
terapeutico standard da 10-14 giorni. Anche le donne diabetiche con infezioni non complicate (ossia con tratto urinario normale) possono essere trattate con ciclo terapeutico da 3 giorni. Le urinocolture post-trattamento non
sono richieste salvo nei casi in cui i sintomi persistano. In genere non serve
l’imaging urologico formale, come ecografia, IVP e TC, poiché raramente si
riscontra la presenza di anomalie correggibili.
2. Regime di sette giorni. Un ciclo terapeutico più lungo per il trattamento
della cistite deve essere valutato in pazienti con fattori complicanti associati a
un tasso di successo inferiore e a un più alto rischio di recidiva. Questi fattori
complicanti includono un’anamnesi di sintomi prolungati (più di 7 giorni),
IVU recente, pazienti diabetici con anomalia delle vie urinarie, età superiore
a 65 anni e uso del diaframma. Un aspetto importante: gli anziani spesso presentano batteriuria renale concomitante e pertanto non è raccomandato un
ciclo breve di terapia.
3. La presenza di piuria sintomatica senza batteriuria in un soggetto giovane altrimenti sano è suggestiva di uretrite da Chlamydia o gonococcica.
L’importanza legata alla documentazione di queste infezioni nonché allo screening per MST (malattie veneree o sessualmente trasmesse) (ad esempio infezione da virus dell’immunodeficienza umana, sifilide) e la necessità di informarsi
sulla riduzione del rischio MST non possono essere sottostimati. Linee guida
recenti suggeriscono che l’uretrite da Chlamydia viene trattata efficacemente o
con una monodose di azitromicina o un ciclo da 7 giorni di doxiciclina. La terapia per uretrite gonococcica comprende una monodose di ceftriaxone o cefixima
o un fluorochinolone combinato a terapia per infezione da Chlamydia.
E. Gestione di cistite ricorrente (reinfezione). Il 10-20% delle donne sviluppa
IVU ricorrenti a distanza di mesi. Alcune infezioni sono correlate a un’inadeguata
terapia antimicrobica. Tuttavia, è comune nelle donne in cui le cellule epiteliali
periuretrali e vaginali sono fortemente supportive del legame con batteri coliformi presentare episodi ricorrenti di cistite in assenza di riconosciute anomalie
strutturali delle vie urinarie. Un recente studio prospettico di IVU nelle giovani
donne ha identificato l’uso recente di un diaframma e di spermicida come nonoxynol-9, rapporto sessuale recente e un’anamnesi di infezione ricorrente come
fattori di rischio per infezione.
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
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1. Strategie antimicrobiche. Le strategie finalizzate alla gestione della malattie in donne con frequenti episodi di cistite comprendono (a) profilassi
post-coitale; (b) profilassi continua a basso dosaggio; (c) terapia autosomministrata dal paziente e (d) valutazione di contraccettivi o metodi
barriera contro MST senza uso di spermicidi vaginali. La profilassi postcoitale è molto utile nei pazienti con associate IVU ricorrenti al rapporto
sessuale. In queste pazienti, una terapia antimicrobica in monodose postrapporto sessuale o trattamento con tre dosi da assumere prima di coricarsi
ha dimostrato di ridurre in misura significativa la frequenza degli episodi
di cistite da una media di 3 per anno-paziente a 0,1 per anno-paziente.
Le donne con infezioni ricorrenti frequenti (più di tre IVU all’anno)
vengono trattate con questi regimi profilattici. Alle pazienti con un
numero di IVU inferiore a tre all’anno può essere offerto il trattamento
in autosomministrazione. Molteplici agenti antimicrobici hanno dimostrato efficacia nella profilassi e nella terapia autosomministrata. Alcuni
di questi regimi comprendono nitrofurantoina, 100 mg; trimetoprim,
100 mg; trimetoprim-sulfametoxazolo, 40 mg/200 mg e cefa-lexina, 250 mg.
Anche i fluorochinoloni e le cefalosporine sono efficaci, ma hanno costi
più elevati. Anche se la profilassi antimicrobica è efficace e generalmente
mostra un profilo di tolleranza sicuro per mesi o anni, la terapia monodose
per cistite acuta rende la profilassi più costosa e possibilmente più pericolosa
nella maggioranza dei pazienti a causa di alterazioni nella flora batterica
fecale e vaginale. Di fatto, l’autosomministrazione del regime in monodose
all’insorgenza dei sintomi ha dimostrato di essere efficace in termini di costi
come profilassi.
2. Problemi legati alla profilassi non antimicrobica. Nella popolazione femminile uno svuotamento regolare e completo della vescica può contribuire
a prevenire la cistite ricorrente. È stato raccomandato ampiamente anche lo
svuotamento post-coitale della vescica, anche se uno studio prospettico non
ha dimostrato alcun rapporto con infezioni ricorrenti. Inoltre, numerose
terapie teoriche preventive correlano all’uso di un metodo contraccezionale
alternativo: usare undiaframma appropriato, minzione frequente durante il
periodo d’uso del diaframma e limitazione dell’uso del diaframma alle 6-8 ore
raccomandate dopo il rapporto. Le donne devono inoltre aumentare l’apporto
di liquidi per aumentare la frequenza di minzione. Nelle donne in post-menopausa, la somministrazione intravaginale di estriolo può ridurre le IVU ricorrenti modificando l’ambiente della flora vaginale. Il succo di mirtillo rosso
(300 ml/die) è risultato efficace nel ridurre la batteriuria asintomatica con
piuria nelle donne in post-menopausa. La differenza minima nelle IVU sintomatiche non è risultata statisticamente significativa.
3. Terapie nuove. Molte IVU ricorrenti originano dalla capacità dei batteri di
aderire alla mucosa vescicale e invaderla. I “pillicides” (o pilicidi) sono piccole molecole sintetiche che interferiscono con l’adesione del pilo, bloccando
pertanto l’adesività dei batteri e la successiva formazione di serbatoi. Questi
agenti hanno un potenziale terapeutico per IVU ricorrenti, ma la loro efficacia
su modelli animali non è ancora stata riportata. Il mannoside, un analogo
solubile dei recettori, è anche un antiadesivo che si lega a FimH. FimH consente ai batteri di legarsi alle cellule ospiti della vescica e invaderle, e il mannoside impedisce a FimH di interagire con i recettori dell’ospite. I mannosidi
hanno dimostrato un notevole potenziale terapeutico, sia dal punto di vista
profilattico sia ai fini del trattamento di infezioni conclamate. In un modello
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
di IVU murino, il mannoside ha evitato l’invasione batterica nel tessuto vescicale. Queste sostanze agiscono anche in sinergia con gli antibiotici, al fine di
ridurre i titoli batterici all’interno delle vie urinarie di topi infetti. Sono stati
indagati anche approcci vaccinali, ma ad oggi nessuno ha dimostrato di offrire
protezione contro la cistite.
F. Trattamento di pielonefrite batterica acuta. La presenza di dolore al fianco,
dolorabilità dell’angolo costovertebrale, brividi, febbre e nausea e vomito con
o senza disuria è suggestiva di pielonefrite batterica acuta. In questo quadro
clinico, sono necessarie emocolture e urino-colture quantitative. La necessità
di ricovero del paziente per il trattamento dipende in parte da una valutazione
soggettiva di tossicità, verosimilmente adesione alla terapia e situazione domiciliare. In caso di dubbio, il paziente deve essere trattato in ospedale, almeno
fino a una risposta chiara alla terapia. Questa politica trova altresì applicazione
a pazienti con note uropatie di base, poiché in essi le complicanze sono più
comuni.
1. Terapia ambulatoriale. Le raccomandazioni per la terapia di pielonefrite
non complicata sono illustrate nella Tabella 7-4. Il fluorchinolone o il trimetoprim-sulfametoxazolo sono farmaci di scelta per la terapia iniziale di
pielonefrite ambulatoriale. Questa sarà influenzata dai pattern di sensibilità
locale. Quando sono disponibili gli esiti della coltura e di sensibilità, un
ciclo completo di 10-14 giorni di terapia antimicrobica può essere portato
a termine con il farmaco meno costoso al quale è sensibile il microrganismo
del paziente.
2. Terapia in regime di ricovero ospedaliero. I pazienti necessitanti di ricovero
ospedaliero devono essere inizialmente trattati con una cefalosporina di terza
generazione o fluorochinolonico (intramuscolare o endovenoso) o gentamicina o tobramicina (1,5-2,0 mg/kg ogni 8 ore o 4,0-7,0 mg/kg ogni 24 ore,
con adeguata modificazione dell’intervallo della dose se la creatinina nel siero
supera 1 mg/dl), se l’urina mostra bacilli Gram-negativi all’esame microscopico. In presenza di cocchi Gram-positivi nell’urina, ampicillina endovenosa
(I g ogni 4 ore) deve essere somministrata in aggiunta ad aminoglucoside, al
fine di coprire la possibilità di infezione enterococcica, in attesa degli esiti
dell’urinocoltura e dell’emocoltura e dei test di sensibilità antimicrobica.
In assenza di complicanze e piressia, i restanti giorni di terapia da 10-14 giorni
possono essere portati a termine con la terapia orale. Tuttavia, la presenza di
febbre persistente, batteriuria persistente nell’arco di 48-72 ore o continui
segni di tossicità dopo 3 giorni di terapia suggeriscono la necessità di una
valutazione volta a escludere ostruzione, focolaio metastatico o formazione
di ascesso perinefrico. Il tratto urinario è una fonte comune di sepsi e shock
batteriemico in pazienti con uropatie ostruttive di base. Analogamente ad altri
pazienti con shock settico, i liquidi per via endovenosa devono essere somministrati per mantenere un’adeguata perfusione arteriosa, che solitamente
esita in una produzione urinaria di 50 ml/h. La mancata risposta a una terapia
apparentemente adeguata suggerisce la possibile presenza di materiale purulento non drenato. L’esame con ecografia o TC può rendere evidente la presenza di uretere occluso o ascesso perinefrico, entrambi i quali richiedono
drenaggio chirurgico.
G. Gestione delle infezioni renali ricorrenti (recidive). La pielonefrite batterica
cronica è uno dei disturbi più refrattari nella medicina clinica; i tassi di recidiva
raggiungono il 90%. L’entità è eterogenea con molteplici fattori alla base.
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
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1. Fattori di rischio. Per migliorare il tasso di successo, è di estrema importanza
che qualsiasi lesione correggibile sia riparata, che le ostruzioni al flusso urinario siano risolte e che i corpi estranei (ad esempio cateteri urinari permanenti
o calcoli renali coraliformi) siano rimossi, ove possibile. Se i fattori di rischio
non possono essere corretti, l’eradicazione a lungo termine della batteriuria
è pressoché impossibile. In questi casi tentare l’eradicazione determina solamente l’emergenza di ceppi più resistenti di batteri o funghi; di conseguenza,
il medico deve rassengnarsi a trattare episodi sintomatici di infezione e sopprimere la batteriuria in pazienti selezionati.
2. Infezione sintomatica acuta. Il trattamento dei sintomi e dei segni acuti di
IVU in paziente con batteriuria renale cronica è uguale al trattamento riservato a pazienti con pielonefrite batterica acuta. L’urinocoltura volta a rilevare
una possibile alterazione nella sensibilità antimicrobica del microorganismo
infettivo è importante. I pazienti tossici devono inoltre essere valutati anche
con emocoltura.
3. Trattamento prolungato. Alcuni pazienti con batteriuria recidivante dopo
2 settimane di terapia, rispondono a 6 settimane di terapia antimicrobica.
Questo vale specialmente per pazienti senza anomalie strutturali di base. In un
soggetto di sesso maschile potrebbero essere necessarie da 6 a 12 settimane di
terapia antibiotica in presenza di IVU febbrile, poiché più del 90% presenta
prostatite asintomatica associata. I pazienti che non rispondono alla terapia
prolungata, che hanno riportato ripetuti episodi di infezione sintomatica, o
che presentano malattia renale progressiva malgrado le misure correttive sono
candidati a chemioterapia soppressiva.
4. Terapia soppressiva. Per ridurre le conte di colonie nelle urine, i pazienti
selezionati per terapia soppressiva devono essere trattati con terapia antimicrobica ad alto dosaggio, specifica per 3 giorni, cui sono sensibili i batteri
infettanti del paziente. L’agente d’elezione per la soppressione a lungo termine è la metenamina mandelato3, 1 g quattro volte al giorno negli adulti.
Per conseguire la massima efficacia, il pH dell’urina deve essere mantenuto
sotto 5,5; questo risultato può essere conseguito con acido ascorbico, 500 mg
da due a quattro volte al giorno. In alternativa, il dosaggio di metenamina
mandelato in monoterapia può essere aumentato a 8 g o anche 12 g/die.
Dovrà essere regolato sulla quantità minima richiesta per mantenere l’urina
libera da batteri. Per evitare l’acidosi metabolica, il dosaggio di maetanamina
mandelato deve essere ridotto in pazienti con insufficienza renale, nei quali
2 g/die potrebbero bastare. In questi pazienti, il metenamina mandelato non
deve trovare impiego in assoluto, salvo in presenza di livelli di clearance della
creatinina superiori a 10 ml/minuto. La terapia alternativa è il trimetoprimsulfametoxazolo (160 mg/800 mg compresse due volte al giorno) o la nitrofurantoina (50-100 mg una o due volte al giorno).
5. Prognosi. Anche se rappresentano una causa comune di morbilità apprezzabile,
le IVU non svolgono un ruolo importante nella patogenesi della malattia renale
in fase terminale. I pazienti candidati a dialisi o trapianto renale a causa di pielonefrite batterica cronica quasi sempre presentano un difetto strutturale alla
base. Il più delle volte, la lesione è una pielonefrite atrofica cronica associata a
Agente non commercializzato in Italia; N.d.C.
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7 gg
Amoxicillina, cefalosporineb,
nitrofurantoina, sulfamidici,
trimetoprim-sulfametoxazoloc
Donne gravide
Infezione complicata
Pielonefrite acuta non complicata
7 gg
Trimetoprim-sulfametoxazolo,
trim toprim, fluorochinolone,
nitrofurantoina, cefalosporine
Donne con fattori di rischio, fra cui IVU
recente, sintomi >7 gg, uso di diaframma,
età superiore a 65 anni, pazienti diabetici
con alterazioni delle strutture gastrourinarie
Fluorochinolone
Fluorochinolonee,
cefalosporineg, ampicillina
con gentamicinaf
Paziente ricoverato
Fluorochinolonee, ceftriaxone,
ampicillina con gentamicinaf,
trimetoprim-sulfametoxazolo
Donne (paziente ricoverata)
Paziente ambulatoriale
Fluorochinolone, trimetprimsulfametoxazolo,
cefalosporina oraled
Donne (paziente ambulatoriale)
(Segue)
14 gg
10–14 gg
14 gg
10-14 gg
3 gg
Cistite
Trimetoprim-sulfametoxazolo,
trimetoprim, fluorochinolonea
Giovani donne
Durata
Cistite non complicata
Farmaco
Gruppo
Raccomandazioni per trattamento di IVU
Infezione
Tabella 7-4.
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
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Tabella 7-4.
Raccomandazioni per trattamento di IVU (seguito)
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Cefalosporine orali: cefradina, cefalexina.
Cefalosporine orali ad ampio spettro: cefpodoxima, loracarbef.
Alcuni esempi di cefalosporine parenterali sono elencati nella Tabella 7-3.
(Adattato da Falagas ME. Practice guidelines: urinary tract infections. Infect Dis Clin Pract 1995;4:241–257; Kunin CM. Detection, prevention, and
management of urinary tract infections, 5th ed. Philadelphia, PA: Lea & Febiger, 1997; Stamm WE. Urinary tract infections. In: Root RK, ed. Clinical
infectious diseases: a practical approach, 1st ed. New York: Oxford University Press, 1999.)
g
f
L’aumentata resistenza ad ampicillina in molti batteri enterici, tra cui Escherichia coli, limita l’uso di ampicillina come ange singolo per il trattamento
di IVU complicate. Se non è probabile la presenza di enterococco, si raccomanda un fluorochinolone o cefalosporina parenterale di terza o quarta
generazione.
e
I fluorochinoloni disponibili per somministrazione endovenosa sono elencati nella Tabella 7-3.
d
c
Trimetoprim-sulfametoxazolo è stato usato in gravidanza, ma non è approvato dalla Food and Drug Administration USA per pazienti in gravidanza.
(In Italia il farmaco è consentito alle donne gravide solo in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo del medico; N.d.C.)
b
a
I fluorochinoloni orali sono elencati nella Tabella 7-2; non offrono un vantaggio significativo rispetto a trimetoprim-sulfametoxazolo in donne con
cistite non complicata.
IVU, infezione delle vie urinarie.
Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
reflusso vescico-ureterale d’esordio infantile. Il ruolo della correzione chirurgica
di reflusso vescico-ureterale non è chiaro malgrado i numerosi anni di dibattito;
quel che è certo, tuttavia, è l’importanza che riveste un meticoloso controllo
dell’infezione nei bambini, finalizzato a prevenire la formazione di tessuto cicatriziale renale progressivo e insufficienza renale nella prima età adulta.
H. Trattamento della prostatite
1. La prostatite batterica acuta è comunemente accompagnata da cistite
acuta, che consente l’isolamento del rispettivo patogeno causale con urinocoltura. Il massaggio di una ghiandola prostatica affetta da infezione acuta
spesso dà luogo a batteriemia; pertanto, questa procedura deve essere evitata,
salvo laddove il paziente stia già assumendo una terapia antibiotica efficace.
La selezione antimicrobica dipende dal pattern di sensibilità dei batteri causali e dalla capacità del farmaco di raggiungere concentrazioni nella prostata superiori alle concentrazioni inibitorie minime dei batteri. Il farmaco
d’elezione più comune è o un trattamento combinato di trimeotprim-sulfametoxazolo (cotrimoxazolo) o fluorochinolone, che tuttavia deve basarsi
in ultima analisi su un’accurata diagnosi microbiologica. Gli antibiotici
β-lattamici vanno evitati a causa delle basse concentrazioni raggiunte nel
tessuto prostatico e i ridotti tassi di guarigione. Il trattamento deve essere
somministrato per 30 giorni al fine di prevenire lo sviluppo di prostatite
batterica cronica. Dopo la risoluzione dei sintomi acuti, si può somministrare un antibiotico orale adeguato a dose piena per almeno 30 giorni.
Il cateterismo uretrale è da evitarsi. Qualora si sviluppi ritenzione urinaria
acuta, il drenaggio dovrà avvenire con agoaspirato sovrapubico o, qualora sia
necessario, un prolungato drenaggio vescicale, con tubo cistostomico sovrapubico, da inserirsi in anestesia locale.
2. Prostatite batterica cronica. La manifestazione più importante della prostatite batterica cronica è l’IVU recidivante, patologia molto refrattaria al
trattamento. Anche se l’eritromicina con alcalinizzazione dell’urina si è dimostrata efficace contro i patogeni Gram-positivi sensibili, la maggioranza dei
casi di prostatite batterica cronica è causata da bacilli enterici Gram-negativi.
Il cotrimoxazolo o il fluorochinolone sono i farmaci d’elezione; circa il 75%
dei pazienti migliora e il 33% guarisce con 12 settimane di trattamento con
cotrimoxazolo (160 mg/800 mg due volte al giorno). Per i pazienti intolleranti
al cotrimoxazolo o al fluorochinolone, la nitrofurantoina, 50 o 100 mg una
volta o due volte al giorno, può essere usata nell’ambito della terapia soppressiva a lungo termine (6-12 mesi).
3. La terapia per prostatite cronica non batterica è difficile, poiché non è stata
identificata un’eziologia precisa. A fronte di un potenziale allarme legato a
C. trachomatis, U. urealyticum e altri fastidiosi organismi difficili da isolare,
molti esperti raccomandano una prova di 6 settimane di tetraciclina o eritromicina. Ha trovato altresì impiego una terapia sintomatica con farmaci
antinfiammatori non steroidei e alfabloccanti
I. Raccomandazioni per la cura dei cateteri urinari. I cateteri urinari sono dispositivi essenziali per consentire il drenaggio della vescica e, se da una parte possono
essere associati a batteriuria asintomatica, il loro impiego è collegato anche a un
rischio apprezzabile di infezione nel tratto urinario, nello specifico pielonefrite.
Inoltre, sono complicanze riconosciute batteriemia e sepsi.
Negli USA, il 1° agosto, 2007, il Centers for Medicare and Medicaid Services
ha emesso una decisione con la quale si attuava una modifica al sistema statuni-
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
tense di rimborso delle spese sanitarie in regime di ricovero ospedaliero (Inpatient
Prospective Payment System), per cui un pagamento supplementare legato all’insorgenza di una complicanza o comorbilità di un’IVU correlata a catetere non
è rimborsabile. Pertanto, è fondamentale rafforzare le linee guida per la prevenzione e il trattamento rapido di IVU correlate a catetere. Inoltre, al momento del
ricovero si raccomanda la documentazione di eventuale IVU esistente.
In caso di cateterismo estemporaneo (in-and-out), il rischio è ridotto (12%),
anche se questa prevalenza è molto superiore in donne diabetiche e anziane.
Il cateterismo intermittente è un’alternativa sicura in presenza di quattro quadri
clinici: (a) bambini con vescica neurogena (come la spina bifida); (b) contrazione
del detrusore con riflesso incontrollato e conseguente incontinenza nelle donne;
(c) ritenzione urinaria cronica per contrazione inefficace o assente del detrusore e
(d) ostruzione egresso vescicale nell’uomo non candidato a trattamento chirurgico.
In assenza di ostruzione dell’egresso, i cateteri esterni (a preservativo) sono
un metodo alterativo di drenaggio urinario, che presenta una bassa incidenza di
batteriuria.
Questa insorge nella quasi totalità dei pazienti con cateteri urinari permanenti entro 3-4 giorni, salvo nei casi in cui il catetere sia stato inserito in ambiente
sterile e sia mantenuto un sistema di drenaggio sterile e chiuso (Figura 7-4).
L’uso di un irrigante neomicina-polimixina non previene l’insorgenza di infezioni associate a catetere. Per ridurne l’incidenza, l’uso di cateteri sovrapubici,
sistemi di drenaggio esterni o cateterismo intermittente può essere preferibile in
pazienti selezionati.
100
Percentuale infetta
80
Apertura drenaggio
60
40
Chiusura drenaggio
20
0
2
4
6
8
10
Durata del catetere permanente (giorni)
Figura 7-4. Prevalenza di batteriuria in pazienti cateterizzati secondo la durata del cateterismo e del tipo di sistema di drenaggio. (Da Fass RJ, Klainer AS, Perkins RL. Urinary
tract infection: practical aspects of diagnosis and treatment. JAMA 1973;225:1509.
Ristampato con autorizzazione.)
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Raccomandazioni esplicite per la prevenzione di IVU associate a catetere,
formulate dal Centers for Disease Control and Prevention, sono le seguenti:
1. Il catetere urinario permanente deve essere usato solo quando strettamente necessario. Va sempre evitato se considerato unicamente per comodità del personale infermieristico o medico, e rimosso non appena possibile.
La durata di permanenza del catetere è il fattore di rischio più importante
nell’ottica dello sviluppo di batteriuria.
2. Il catetere deve essere inserito solo da personale qualificato. Se ritenuto
utile ai fini pratici, la responsabilità legata al posizionamento e al mantenimento del catetere deve essere affidata a un team predefinito di persone.
3. Il catetere urinario deve essere inserito in condizioni asettiche mediante
l’impiego della corretta tecnica sterile e i seguenti dispositivi sterili:
guanti, telino fenestrato, spugne sterili e soluzione a base di iodoforo per pulizia periuretrale, gelatina lubrificante e catetere urinario di adeguata misura.
Dopo l’inserimento, il catetere deve essere fissato saldamente al fine di prevenirne spostamenti accidentali e trazione uretrale.
4. Le indicazioni di cura perineale prevista una volta o due volte al giorno
nei pazienti cateterizzati deve comprendere la pulizia della giunzione meatale-catetere con detergente asettico; successivamente può essere applicata una
pomata antimicrobica.
5. Il sistema di drenaggio deve sempre essere chiuso e sterile. Il catetere urinario e la porzione prossimale del tubo di drenaggio non devono essere scollegati (in tal modo aprendo il sistema chiuso), salvo laddove ciò sia necessario ai fini dell’irrigazione in caso di ostruzione del catetere. Ogni manovra
di apertura di un sistema di raccolta e di irrigazione del catetere deve essere
compiuta con tecnica sterile, con siringa sterile ad ampio volume e liquido
irrigante sterile, da eliminare successivamente. Qualora siano necessarie irrigazioni frequenti al fine di garantire la pervietà del catetere, è preferibile un
catetere a lume triplo che consenta un’irrigazione continua all’interno di un
sistema chiuso.
6. Piccoli volumi di urina per coltura possono essere aspirati dall’estremità
distale del catetere con una siringa sterile e un ago da 21 gauge. Il catetere
deve prima essere preparato con tintura di iodio o alcol. L’urina per le analisi
chimiche può essere raccolta tramite sacca di drenaggio con tecnica sterile.
7. Mantenere sempre il deflusso per gravità. A tal fine è necessario svuotare
la sacca di raccolta regolarmente, sostituendo il catetere laddove non funzioni
correttamente o sia ostruito e garantendo che le sacche di raccolta rimangano
sempre sotto il livello della vescica.
8. Tutti i sistemi di raccolta chiusi contaminati da manovre compiute
secondo una tecnica scorretta, scollegamento accidentale, perdite o altri
fattori di intervento devono essere sostituiti immediatamente.
9. La sostituzione di routine del catetere non è necessaria in pazienti con
cateterismo urinario di durata inferiore a 2 settimane, eccetto in presenza di
ostruzione, contaminazione o altro malfunzionamento. In pazienti con cateteri permanenti cronici, la sostituzione è necessaria alla palpazione di concrezioni nel catetere o in presenza di malfunzionamento o ostruzione.
10. I pazienti cateterizzati devono essere separati l’uno dall’altro quando possibile e non devono condividere la stessa camera o essere posti in letti adiacenti in caso di diversa sistemazione. La separazione dei pazienti con e senza
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Capitolo 7 • Il paziente con infezione delle vie urinarie
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batteriuria riveste particolare importanza. Queste linee guida devono essere
rispettate rigorosamente e l’uso di cateteri urinari permanenti deve sempre
essere tenuto responsabile in minima misura.
J. Infezioni associate a catetere. La batteriuria associata a catetere va trattata esclusivamente nel paziente sintomatico. Quando si decide di trattare
un paziente con infezione associata a catetere, la rimozione del catetere è un
aspetto importante della terapia. Se il catetere infetto rimane in sede, è molto
comune una recidiva dell’infezione. L’interazione tra gli organismi e il catetere
(corpo estraneo) causa la formazione da parte dell’organismo di un biofilm o
area, in cui gli antibiotici non sono in grado di eradicare completamente questi
organismi. Le raccomandazioni per terapia empirica sono simili alle raccomandazioni per IVU complicate (Tabella 7-4). La scelta della terapia empirica si
basa sull’iniziale colorazione di Gram di un campione urinario, sui pattern
di sensibilità locale, sui fattori dell’ospite e sull’uso recente di antibiotici nel
paziente. La decisione finale in merito all’antibiotico e la durata della terapia
si devono basare sull’identificazione e sulla sensibilità dell’agente eziologico
e sulla risposta alla terapia da parte dell’ospite. I pazienti che mostrano una
tempestiva risposta alla terapia possono essere trattati per 7 giorni, anche se
è molto difficile trarre conclusioni definitive circa la durata del trattamento.
I pazienti con candiduria possono rientrare in svariate categorie cliniche.
I soggetti altrimenti sani con candiduria asintomatica spesso richiedono solo la
sostituzione del catetere urinario, in alcuni casi senza necessità di terapia antimicotica. Il paziente con candidasi disseminata richiede una terapia sistemica a
base di flluconazolo o amfotericina B o preparato liposomale di amfotericina.
Le raccomandazioni generali per il trattamento di pazienti con candiduria e
senza evidenza di infezione disseminata comprendono la rimozione del catetere
urinario e la sospensione della cura antibiotica. Le opzioni antimicotiche comprendono fluconazolo (200 mg il primo giorno, quindi 100 mg per 4 giorni),
irrigazione continua della vescica con amfotericina B (50 mg/1000 ml di acqua
sterile in catetere a tre vie per 5 giorni) o terapia endovenosa a basso dosaggio con amfotericina (0,3 mg/kg in monodose). Occasionalmente, è necessaria
una terapia sistemica più a lungo termine con 5-fluorocitosina, amfotericina B
endovenosa, o entrambe.
Letture consigliate
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