Modelli di sviluppo, etica ed economia Gandhiana.

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Modelli di sviluppo, etica ed economia
Gandhiana.
Roberto Burlando
Dipartimento di Economia, Università di Torino
School of Psychology, University of Exeter
Convegno: Alain Caillè. Lo spirito del dono.
Dipartimento di Economia, Finanza, Statistica
Facoltà di Economia
Università degli Studi di Perugia
Perugia, 17 maggio 2007
Incorso di stampa in P. Grasselli e C. Montesi (a cura di), L’interpretazione dello spirito
del dono, Milano, Angeli
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
Modelli di sviluppo, etica ed economia Gandhiana.
Roberto Burlando
Dipartimento di Economia, Università di Torino
School of Psychology, University of Exeter
“La civiltà consiste non nel moltiplicare i nostri desideri e i mezzi per soddisfarli, ma
nell’affinamento della loro qualità ... una nazione che fa del suo fine la produzione di
oggetti anziché la vita delle persone merita di scomparire”. A. K. Coomaraswamy
Spero non sia lontano il giorno in cui l’economia occuperà quel posto di ultima fila
che le spetta, mentre nell’arena dei sentimenti e delle idee saranno protagonisti i nostri
problemi reali: i problemi della vita, dei rapporti umani, del comportamento, della
religione. J.M. Keynes
“I hold that economic progress, in the sense I have put it, is antagonistic to real
progress. Hence, the ancient ideal has been the limitation of activities promoting
wealth”. Gandhi (citato in R. Diwan, Gandhian economics and contemporary society)
1. INTRODUZIONE: CRISI ECOLOGICA E SOCIALE E ALTERNATIVE PRATICABILI.
Un aspetto drammatico della condizione economica e sociale nella quale ci troviamo
a vivere (e della quale facciamo “in qualche modo” parte) è ormai sotto gli occhi di tutti
ed anche riconosciuta come tale dalla stragrande maggioranza degli scienziati naturali
che del tema si sono occupati: la crisi ambientale profonda con le sue conseguenze
disastrose per la biosfera e per milioni di persone e potenzialmente assai dannose per la
stragrande maggioranza degli altri. Anche i recenti rapporti della Commissione Stern e
del IPCC1 hanno messo in evidenza prospettive preoccupanti e la necessità di interventi
urgenti e profondi.
Su questi due aspetti sembra esserci ormai una sostanziale
convergenza di valutazioni, malgrado i pesanti (e ormai resi noti anche dalla stampa
mondiale) sforzi dell’amministrazione Bush e di diverse multinazionali (del settore
petrolifero ma non solo2) di mettere a tacere le voci critiche (specie degli scienziati
statunitensi) o di fornire evidenze fuorvianti3.
1
Nonché i resoconti della stampa relativamente al rapporto di N. Stern (economista inglese piuttosto noto
sia a livello accademico che per il suo lavoro per la Banca Mondiale) e della riunione di Parigi (iniziata il
29 gennaio 2007) degli esperti dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) per discutere
appunto del 4° rapporto sul clima. Per un quadro più generale dei problemi ambientali, e non solo, rinvio
invece a E. Laszlo,1997.
2
Con questo - sembra ovvio ma può essere meglio precisarlo esplicitamente - non si intende certo
coinvolgere e condannare tutta la politica e tutte le imprese statunitensi (e non solo). Non solo è noto
2
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Per il momento però, a parte gli usuali articoli preoccupati (spesso tanto da risultare
disarmanti e indurre il rifiuto di prestare ulteriore attenzione alla questione) che di tanto
in tanto appaiono su quotidiani e riviste, nulla di significativo sembra essersi mosso e –
almeno da noi – al di là di formali dichiarazioni benintenzionate (ben definite in inglese
come lip-service) non si sono neppure sentite voci particolarmente attente da parte della
grande maggioranza dei politici e degli amministratori locali, presi dalle contingenti
necessità della politica (che – almeno da noi – assomiglia sempre più una sorta di guerra
di trincea) e dalle usuali preoccupazioni nostrane.
Il concetto di sviluppo sostenibile pare orami diventato un termine di comodo4 dietro
cui coprire il classico approccio del “business as usual5”, pratica che del resto in Italia ha
persino assunto gattopardesca dignità letteraria.
Sul piano teorico questa comoda
posizione è stata avvalorata dalla interpretazione “morbida” del concetto di sostenibilità,
che considera esista un elevato grado di “sostituibilità” tra capitale naturale e capitale
creato dall’uomo.
L’aspetto più inquietante di questa situazione è che più si aspetta a mutare
decisamente obiettivi ed a modificare i modelli di sviluppo e maggiori saranno sia le
incertezze sui possibili esiti positivi degli interventi sia i costi, umani e materiali, degli
stessi. Da più parti ormai e con frequenza crescente emergono richiami non solo ad una
rigorosa attenzione al principio di precauzione ma anche ai rischi di forme di “collasso”
sistemico globale e di imbarbarimenti progressivi6.
l’impegno ambientalista di un importante uomo politico statunitense come Al Gore ma sono note le
opinioni in merito di diversi commentatori americani (di sinistra e di destra).
3
Questa è stata la denuncia del climatologo James E. Hansen che ha lavorato per quasi trenta anni alla
Nasa (riportata sul New York Times del 29.1.2006 e ripresa poi dalla stampa internazionale, tra cui La
Repubblica del 30.1.06) e suffragata dalle dichiarazioni del suo superiore nella struttura della Nasa, Franco
Einaudi (un torinese). Più di recente (inizio 2007) la Royal Society britannica ha censurato il
comportamento della Exxon, che ha finanziato con somme ingenti la diffusione di notizie false sulle
condizioni climatiche attraverso alcune Ong costituite ad hoc. La polemica sulle “false Ong”, finanziate
della grandi imprese per produrre e diffondere studi ad hoc aveva già infiammato diversi paesi
anglosassoni da alcuni anni. Da rilevare anche la denuncia pubblica nei confronti dello statunitense CEI
(Competitive Enterprise Institute) da parte del professor Curt Davis (università del Missouri-Columbia)
per aver compiuto un “deliberato tentativo di confondere” nel modo di presentare i risultati delle sue
ricerche nell’antartico in una serie di spot pubblicitari televisivi tesi a negare gli effetti climatici negativi.
4
H. Daly ha icasticamente dichiarato che “non vi è nulla di più insostenibile dello sviluppo sostenibile”, e
si veda come persino una rivista non specializzata bensì di cultura generale ed a sfondo religioso (Rocca,
agosto-settembre 2006) abbia commentato qualche tempo fa in questo senso. In Gran Bretagna ha fatto
scalpore la dichiarazione pubblica di uno dei personaggi pubblici più rispettati, il giornalista scientifico e
documentarista David Attenborough, che dopo anni di dubbi e scetticismo si è detto ormai convinto che il
cambiamento climatico sia la maggior sfida del mondo d’oggi (cfr. The Independent, 24.5.2006).
5
Che coinvolge sia imprese che consumatori. In Gran Bretagna è stato calcolato che nel 2006 cinque
grandi imprese locali producono più inquinamento da ossido di carbonio di tutto il traffico veicolare e la
maggior produttrice corporate di CO2 (la EON UK, che produce elettricità) ne produce più che l’intera
Croazia (cfr. The Guardian, 16.5.06).
6
Penso ai già citati lavori di Laszlo e del Global Scenaric Group dello Stockolm Environment Institute di
Boston, alle previsioni (queste sì catastrofiche) degli ultimi lavori di Lovelock, ma anche ai tantissimi
3
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In questo quadro diventano un riferimento ancor più rilevante le riflessioni critiche e
le elaborazioni che hanno individuato i limiti e gli elementi di inadeguatezza nella
visione economica predominante dal secondo dopoguerra e soprattutto dagli anni ’80, e
proposto linee di riflessione e approcci costruttivi diversi.
Tra queste merita sicuramente considerare quella del movimento anti-utilitarista
nelle scienze sociali (MAUSS), che ha avuto un significativo sviluppo soprattutto in
Francia ma significativa eco anche in Italia (seppure poco tra gli economisti
accademici). Da questo ambito di riflessioni è nata anche la provocazione intellettuale
di Serge Latouche, che con lo slogan della decrescita7 pare davvero aver lanciato una
sorta di “grido nel deserto” nel tentativo di scuotere l’attenzione di chi continua a
crogiolarsi nel disinteresse o in una comoda ma colpevole illusione che il problema non
esista, o che possa essere risolto dal solo funzionamento del meccanismo dei prezzi
attraverso l’induzione di un accelerato sviluppo tecnologico (risposta di mercato) o da
questo più le tradizionali forme di intervento sui sistemi socio-produttivi (risposta
politico-economica)8.
La prima “visione” (quella del mercato che risolve tutto in tempi adeguati) in
particolare è quella tipicamente più popolare dopo la svolta neo-conservatrice (ma
soprattutto ultra-liberista) degli anni ’80 del secolo scorso, che da un lato ha
rappresentato una drammatica semplificazione ideologica e dall’altro ha modificato
radicalmente anche i modi di funzionamento dei sistemi economico-sociali (soprattutto
attraverso i processi di de-regolamentazione dei mercati e di liberalizzazione di tutti i
movimenti di capitale).
Non a caso parlando della visione del mondo che caratterizza l’interpretazione
predominante (almeno sui media del mondo occidentale) in questo periodo storico si è
spesso usato il termine “pensiero unico”. Molti hanno anche visto e definito questa
visione dominante come la “nuova religione” dei nostri tempi9, che ha messo
l’arricchimento personale (a qualunque costo) al centro della scena – assumendolo anche
ad unico e fondamentale criterio di efficienza e razionalità – ed ha contribuito
fortemente a disgregare ogni altro orizzonte di senso e di socialità, nonché a svilire ogni
lavori meno complessivi ma non meno preoccupati e preoccupanti di cui troviamo traccia ormai sempre
più spesso su riviste più o meno specializzate e persino su quotidiani e settimanali. Da rilevare anche
l’uscita di alcuni seri libri, tra cui quello intitolato “Collasso” dello scienziato Jared Diamond (fisiologo,
biologo evoluzionista e biogeografo), sulle ragioni e le scelte che hanno portato a crolli o alla
sopravvivenza di diverse società umane nella storia.
7
Latouche, 2006. Si veda anche la collezione di interventi curata da Mauro Bonaiuti 2005.
8
Sulla insufficienza di entrambe le opzioni nella crisi attuale rinvio alle analisi del saggio “Great
Transformations” del Global Scenaric Group.
9
Si vedano in particolare i libri di Dussel, Chiavacci e Petrella, 2000 e di Nelson e Stackhouse, 2001.
4
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riferimento a valori (spirituali ed umani) altri rispetto dall’egoismo ed alla razionalità
strumentale auto-interessata. Qualcuno ha parlato di una sorta di “legge di Gresham10
applicata ai valori, che testimonierebbe di una lunga fase di decadenza morale ed umana.
Altri11 hanno letto in modo ancora più radicalmente critico le due fasi del secondo
dopoguerra, ritenendo che la prima sia stata caratterizzata da una sorta di “ideologia
dello sviluppo” il cui fallimento ha poi reso necessaria la sua sostituzione con il
“progetto della globalizzazione”, divenuto “un nuovo esercizio del potere di mercato su
scala mondiale, basato sulla ideologia neoliberista di una crescita economica organizzata
globalmente”. Dunque né “lo sviluppo” né la globalizzazione andrebbero considerate
come processi naturali – e tanto meno inevitabili – del mutamento storico bensì
andrebbero letti come “progetti elaborati e diretti da gruppi storicamente determinati e
come meccanismi di potere e di gestione dell’ordine su scala mondiale”12.
La globalizzazione ha poi ulteriormente enfatizzato il ruolo del consumo, facendone
sempre più il “fondamento delle identità sociali degli individui13” almeno in molte
economie avanzate14, e proprio su questa base si è organizzato il consenso sociale in
questi anni.
Questi sviluppi hanno poi contribuito al netto peggioramento di un altro aspetto
critico della condizione attuale, meno considerato (salvo che per le reiterate
stigmatizzazioni di singoli episodi drammatici o inquietanti) eppure sempre più
drammatico e che merita invece ricordare per la sua profonda rilevanza: la condizione
delle famiglie e l’educazione delle nuove generazioni.
Relativamente al secondo di questi aspetti, il biologo e filosofo Humberto
Maturana15 ci avverte che nell’attuale modo di vivere siamo “intrappolati in due
tipologie di comportamenti prevalenti. Da un lato ci sono i fondamentalismi, i quali
sostituiscono comportamenti etici con moralismi religiosi o politici che nel momento
stesso in cui vengono posti negano la possibilità di riflettere sui loro fondamenti.
Dall’altro lato c’è la cecità educativa, cioè il non comprendere che il compito più
importante per l’integrità di una comunità umana o di una unità sociale è la formazione
dei suoi componenti da parte dei membri già esistenti. Gli atteggiamenti fondamentalisti
10
Bruni e Zamagni, 2004, pag.20. La cosiddetta “legge di Gresham” sostiene che la moneta cattiva (meno
preziosa) sostituisce sempre quella buona (che viene tesaurizzata e quindi tolta dalla circolazione).
11
Si veda il volume del sociologo dello sviluppo (e docente in una prestigiosa università statunitense)
Philip McMichael, 2006
12
Al riguardo si veda anche A. Surian, 2007
13
Di Nallo, Paltrinieri (a cura di), 2006.
14
Anche a questo ha contributo lo sviluppo e l’utilizzo dei media con il rapporto che questi hanno
costituito tra imprese e consumatori (Di Nallo e Paltrinieri).
15
H. Maturana e X. Davila 2006, pagina 7.
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Roberto Burlando
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portano inevitabilmente alla discriminazione, al risentimento e all’aggressività. La cecità
nell’educazione porta alla disgregazione sociale, all’emarginazione, alle droghe, alla
delinquenza.” Quantomeno da noi, le attuali tendenze sembrano soprattutto seguire la
seconda di queste direttrici e però spesso indurre poi reazioni di tipo fondamentalista,
senza che nessuna appaia davvero in grado di prospettare una via d’uscita efficace e
condivisa.
Questa situazione sembra però discendere dal fatto che le famiglie stesse paiono
“travolte” dalla progressiva prevalenza – imposta dal contesto sociale di riferimento e
dalla inadeguatezza delle risposte istituzionali – delle preoccupazioni per gli aspetti
economici e di consumo rispetto a quelli valoriali e relazionali, che anche all’interno dei
nuclei famigliari trovano sempre meno spazio di riconoscimento effettivo e di
espressione. Non si può non notare come tale tendenza trasformi quel che era concepito
come un mezzo, l’economia (intesa un tempo come strumento mirato a conseguire
efficacemente obiettivi e priorità definiti in altra sede, in genere morale e/o politica),
anche nel fine ultimo delle azioni.
Non c’è dubbio che a questa tendenza abbia significativamente contribuito una
concezione economica e antropologica che anche l’approccio antiutilitarista del Mauss
ha contribuito a far riconoscere come fortemente riduzionistica: quella che dalla
concezione dell’ homo oeconomicus ha proceduto verso la teorizzazione dell’approccio
della scelta razionale (che A. Caillè16 definì il “primo paradigma”), che si vorrebbe porre
a fondamento non solo della analisi economica (che si autodefinisce moderna proprio in
quanto fondata su questo principio) ma anche della visione di tutte le scienze sociali. A
fronte di questa situazione occorre da un lato mettere in discussione sia la visione
dell’uomo e dei rapporti sociali sottostanti a questa concezione che il loro
completamento con una interpretazione ideologica e irrealistica del mercato, pur oggi
prevalente 17, recuperando più approfondite analisi del funzionamento dello stesso e dei
sistemi socio-economici nella loro complessità.
16
A. Caillè, 1998.
Persino un economista ultraliberista e fortemente conservatore come il monetarista Milton Friedman
invocava l’intervento dello Stato per mantenere la condizione di concorrenza perfetta, proprio perchè la
reputava necessaria per il buon funzionamento dei mercati e la loro capacità di svolgere “la” loro funzione.
La concorrenza perfetta, come si evince da qualsiasi testo introduttivo di economia, richiede però quattro
condizioni fondamentali: la presenza di 1) tante imprese tutte di piccole dimensioni rispetto a quelle del
mercato, 2) omogeneità del prodotto, 3) informazione trasparente e simmetrica, 4) libertà di entrata e
uscita dal mercato a costi assai contenuti. Le altre forme di mercato (per le quali non esistono teoremi
generali di ottimalità neppure nella teoria neoclassica e monetarista) sono tipicamente intese come
originate dall’assenza di una o più di queste condizioni. I limiti del mercato però non finiscono qui e
proprio chi li considera strumenti utili, seri e importanti si dedica allo studio delle condizioni della loro
efficacia e dei loro limiti, mentre ci si chiede che valore attribuisca ad essi chi li considera come
17
6
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Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
Non dovrebbe stupire nessuno, tanto meno in questi tempi, che chi davvero ritiene i
mercati uno strumento importante a vantaggio di tutti ne voglia anche considerare
attentamente le diverse forme e modalità di funzionamento ed i limiti di operatività
(come si dovrebbe fare abitualmente per qualunque strumento), anziché trattarli
acriticamente come una panacea che non richiede analisi approfondite e distinguo. Una
cieca fiducia in qualunque strumento appare inappropriata e costituisce una forma di
fideismo, sempre mal riposto.
D’altro canto appare sempre più necessario formulare analisi e modelli basati su
diversi presupposti antropologici, comportamentali e sociali e realizzare iniziative
economiche concrete, che siano al tempo stesso emancipatrici e realizzabili18, pacifiche
e costruttive, perché il compito delle analisi critiche non può che essere il recupero di
una reale “capacità di futuro” attraverso l’affermazione di alternative economiche e
sociali che siano fondate su più profondi valori umani (e spirituali per chi riconosce
questa dimensione) e dunque veramente etiche19 e democratiche.
A questo scopo credo serva anche tornare a far uso di “utopie progressive” che
possano al contempo sia costituire un ideale “alto” sia servire da riferimento concreto
per progettare un futuro non dominato solo da consumismo e materialismo20 e dunque a
produrre effetti dall’elevato contenuto emancipatorio (inteso come la capacità di “creare
spazi economici in cui predominano i principi dell’uguaglianza, della solidarietà e/o del
rispetto dell’ambiente” 21).
meccanismi automatici ad aggiustamento istantaneo in qualunque situazione. Di certo alcuni storici del
pensiero economico (ad esempio Evensky) ritengono che la famosa “mano invisibile” invocata da Adam
Smith, pastore anabattista e filosofo morale prima che economista, fosse in realtà quella divina. C’è da
chiedersi quanti “esegeti” o ideologi contemporanei si muovano su una linea di indagine concreta o invece
su ipotesi di meccanismi di funzionamento che non hanno riscontro effettivo nella realtà naturale e sociale
che conosciamo.
18
Questo è il tema, sia pur trattato solo limitatamente agli aspetti produttivi, del volume “Produrre per
vivere”, curato da Boaventura da Sousa Santos e in particolare del lungo e articolato saggio introduttivo di
Santos e Cesar Rodriguez.
19
Merita evidenziare come nel vuoto attuale proprio questi due termini – etica e democrazia – siano
utilizzati ampiamente per cercare di connotare attività che, in genere, con essi poco hanno a che fare. Uno
dei danni di queste forme di marketing è il progressivo “svuotamento” del senso delle parole, fino al punto
di “far sparire” dall’immaginario collettivo (e personale, almeno per le giovani generazioni che non ne
hanno conosciuto altro) persino i concetti che esse esprimevano un tempo e che devono essere “reinventati” in forme nuove, con gran spreco e dispendio del patrimonio ideale e culturale dei popoli.
20
Nel senso tecnico che la psicologia economica attribuisce al termine. Si rinvia al capitolo 5 del volume
di Webley et al 2004.
21
Lasciando ad altri discettare se questi principi e valori siano o meno compatibili con il capitalismo in
senso lato o con qualche sua forma specifica, ci limitiamo a rilevare il fatto che essi sono in chiara
opposizione con le conseguenze emerse dalla forma che esso ha assunto in questa fase storica (degli ultimi
venticinque anni in particolare. Come si è detto, i termini che connotano questi valori trovano oggi,
almeno nei paesi più industrializzati, una eco significativa nella pratica di marketing (che in genere solo di
questo si tratta) adottata da molte iniziative economiche che si sutodefinscono etiche o socialmente
responsabili anche quando nei fatti non sono né l’una né l’altra cosa. Il serio problema di valore e
significato dei termini (e quindi sia di loro definizione che poi di verifica della corrispondenza delle
7
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Nel prosieguo di questo contributo tratteremo (sia pur in modo schematico e
parziale) di una particolare “utopia concreta” che
va sotto il nome di economia
gandhiana, considerandone il quadro filosofico, antropologico e sociale e la proposta
economica22.
Diversi sono gli aspetti di interesse di questo approccio, ma ciò che colpisce
maggiormente è sua capacità di fornire un quadro di riferimento complessivo ampio e ad
un tempo articolato e coeso in termini di immagine dell’uomo, di valori e obiettivi di
vita, di inquadramento degli aspetti economici nella prospettiva degli sviluppi personali
e in sintonia con la visione etica e sociale. L’elaborazione economica di questa visione23,
infatti, segue – anziché precedere ed imporsi “imperialisticamente” ad esse – le linee
della sua riflessione etica ed antropologica, poiché le radici profonde del pensiero
gandhiano vanno rintracciate nelle riflessioni etiche non violente cristiana e dello Yoga.
Dedicheremo qui particolare attenzione alla seconda di queste due radici, sia perché
indubbiamente meno nota in Occidente sia perché questa prospettiva – altra ma non
aliena – può fornire una chiave importante per rivedere considerazioni che sono
essenziali anche nell’ambito delle nostre radici culturali24 e particolarmente in
riferimento al codice etico universale (o “legge naturale”), di cui si parla nuovamente in
questo periodo25.
Però, prima di procedere con la presentazione dello Yoga per quanto è rilevante ai
suoi rapporti con l’economia gandhiana
e poi discutere di quest’ultima, conviene
richiamare alcune considerazioni generali sulle difficoltà insite nel discutere prospettive
pratiche alle definizioni) di cui si è detto va oltre i classici confini dell’economia, e tocca anche termini
universalmente ritenuti di valore positivo, come pace e democrazia.
22
Non c’è, però, spazio a sufficienza per dar conto anche delle iniziative concrete che da essa traggono
spunto e che pure esistono e resistono, particolarmente in India, agli effetti devastanti – anche in quel
Paese - della globalizzazione. In particolare merita mettere in risalto il ruolo delle iniziative di alcune Ong
locali e internazionali. Per alcune testimonianze a proposito di iniziative concrete che si muovo lungo
percorsi sostanzialmente coerenti con queste prospettive di rinvia al libro voluto dal TOES (The Other
Economic Summit) statunitense e curato da T. Schroyer 1997.
23
Certo bisognosa di ulteriori significativi approfondimenti, come del resto tutte le alternative su cui non
vi è stato un massiccio investimento di risorse intellettuali per periodi sufficientemente lunghi.
24
Il guardare alle nostre radici e tradizioni attraverso la prospettiva fornita da un'altra tradizione è un
compito al quale ha dedicato gran parte della propria vita il filosofo francese F. Jullien, che ha trascorso
molti anni in Cina. L’esperienza personale da cui deriva questo scritto è assai più limitata, ma anche in
questo caso l’esercizio pare fruttuoso soprattutto perchè si avvantaggia, sia pure indegnamente, delle
riflessioni di due gradi autori indiani che hanno vissuto direttamente e riflettuto sul rapporto tra le due
tradizioni, Raimond Pannikar e Romesh Diwan, e di due occidentali che sono profondi conoscitori della
tradizione yogica, Charles Berner e Silvano Brunelli.
25
Quando considera questo tema è inevitabile doversi misurare con la questione dell’assolutismo o
relativismo etico. Senza entrare più di tanto nella questione è opportuno precisare che nello yoga, come si
vedrà più avanti, si ritiene esista un codice etico universale e impersonale (il sanatana dharma), che però
si declina in modi diversi a seconda dei livelli evolutivi delle persone (swadharma) e anche delle culture.
In ogni caso gli unici che potrebbero vantarsi di aver raggiunto altissimi traguardi in questa direzione, che
comporta il perfezionamento personale per tutta la vita, sono proprio coloro che per questo non lo fanno. Il
che non vuol dire che non possano essere esempi di vita e anche maestri.
8
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Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
e proposte fondate su paradigmi culturali diversi da quello predominante26 nel contesto
culturale cui ci si rivolge.
Difficoltà del confronto tra paradigmi alternativi.
Le difficoltà anzidette sono molteplici e presentano gradi diversi di generalità.
Conviene iniziare considerando come il significato delle parole risieda soprattutto nelle
menti di chi ascolta o legge e dunque che il significato che ciascuno attribuisce ad un
termine è fortemente collegato alle proprie esperienze. Se, come spesso è il caso, un
concetto è un costrutto multidimensionale è facile che persone diverse ne considerino
solo, o prevalentemente, alcune delle diverse dimensioni o sottoinsiemi di esse. Questi
possono avere alcuni elementi in comune (ma, in casi estremi, anche nessuno) e però
differenziarsi per diversi altri elementi inclusi o esclusi. Problemi di questo genere
accadono anche all’interno di una stessa cultura generale, e tanto più si danno quando i
concetti che si cerca di trasmettere e cogliere provengono da un quadro di riferimento
significativamente diverso. Non a caso Gandhi scelse parole sanscrite (o comunque di
lingue indiane) per esprimere concetti cruciali del suo pensiero e Illich definì termini
nuovi per esprimere le proprie idee, per evitare fraintendimenti nell’uso di termini noti27
legati a loro accezioni diverse già entrate nelle menti di molti. Le idee gandhiane
vengono facilmente “mal” interpretate quando sono utilizzate al di fuori del paradigma
in cui erano state pensate e tipicamente nel paradigma “razionalista” occidentale28.
Queste considerazioni acquistano poi ulteriore peso alla luce del fatto che nella
realtà, e in quella sociale in particolare, l’osservatore e la cosa osservata non sono
reciprocamente indipendenti, come ha compreso anche il paradigma occidentale
26
Tale opportunità è stata più volte messa in evidenza dal compianto amico Romesh Diwan, di certo uno
degli autori che più hanno contributo allo sviluppo dell’economia gandhiana, e a me pare opportuno
riproporla qui. Di Diwan si vedano al riguardo in particolare “On understanding Gandhian ideas”, su cui si
basa la discussione che segue, e l’introduzione al suo ultimo volume “Gandhian Economics”.
27
Su questo aspetto si veda anche Pannikar (2006), e in particolare il Prologo e la nota 2. Oltre a questo
aspetto, andrebbe considerato anche il problema della “perdita di senso” delle parole a causa del loro
abuso (i.e. uso non conforme al significato originale, loro manipolazione), che crea svuotamento e
difficoltà di comprensione persino all’interno di una singola cultura (e molti di noi lo sanno dolorosamente
bene). Sempre Pannikar (2006) afferma che “Tutte le parole si erodono per l’uso ma ancora più per
l’abuso” (pag. 36).
28
In questi contesti esse richiedono un complesso (e spesso lungo) lavoro di “traduzione” concettuale e
questo è appunto uno degli obiettivi di lavori come questo e la ragione della attenzione che qui verrà
prestata alla visione filosofica dello Yoga. Nelle ripetute interazioni e lunghe discussioni sul tema con R.
Diwan mi accorsi progressivamente di quanti aspetti fossero per lui semplicemente dei dati di fondo della
sua cultura originaria, che dava per scontati, mentre per me si trattava di acquisizioni culturali nuove che
necessitavano di riconoscimento e integrazione esplicita nel quadro complessivo, di cui spesso
costituivano elementi essenziali.
9
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
(seppure non da molto e senza che questa sia ancora divenuto una acquisizione
generale).
Per di più in società ampie, caratterizzate da forme di pluralismo culturale e sociale,
sezioni diverse della società hanno esperienze diverse e per questo attribuiscono
facilmente significati diversi alle medesime parole o concetti. Se osservata da questo
punto di vista, la tradizione scientifica razionalista occidentale presenta alcune
interessanti peculiarità. Schematicamente: i) attribuisce grande enfasi al concetto di fatto
e di obiettività, salvo poi avere grosse difficoltà a definire ciò che effettivamente è un
fatto (visto che la concettualizzazione gioca pesantemente anche in questa area) e dover
riconoscere che la realtà appare diversa a seconda di chi la definisce e da quale punto di
vista29; ii) considera spesso una serie di eventi socio-economici come isolati anziché
come parti di un processo dinamico o tende a ridurre questa dinamica ad una sorta di
processo deterministico attraverso l’uso di categorie concettuali altamente astratte
superimposte ai fatti30.
Vi sono poi una serie di artifici e “trucchi” retorici, tanto ampiamente utilizzati da
rischiare di passare inosservati anche a chi non intende deliberatamente servirsene per
motivi strumentali31, e che per questo è utile mettere in evidenza, quali:
- il confrontare un principio che appartiene ad uno dei paradigmi in considerazione
con realizzazioni e pratiche appartenenti all’altro, anziché più correttamente confrontare
principi con principi e pratiche con pratiche32;
- l’invocare, nel confronto tra due approcci, un principio di autorità per stabilire
quale ha maggior senso in termini di “conoscenza consolidata”. Ciò avviene tipicamente
richiedendo o citando l’opinione di un esperto o l’autorità di una istituzione che si è
espressa nel senso desiderato. Ormai la strumentalità di molte pratiche di questo tipo è
sufficientemente nota, dato il loro utilizzo persino in molti processi (nei quali ormai
29
Un aspetto rilevante di queste osservazioni è che spesso ai fini della persuasione è sufficiente
familiarizzare gli altri membri della società a certe interpretazioni, tanto che proprio la familiarizzazione è
uno degli obiettivi delle ideologie, della propaganda, della pubblicità e persino della scienza.
30
Si aprirebbe qui lo spazio per la storica querelle tra individualismo metodologico ed olismo;
fortunatamente oggi l’approccio sistemico consente di non dover scegliere ciò che pare il meno peggio tra
i due sapendo che entrambi escludono elementi fondamentali di comprensione dei fenomeni.
31
Si riconoscerà in quel che segue l’influenza anche del lavoro sulla retorica dell’economia di D.
McCloskey.
32
L’esempio riportato da Romesh al riguardo merita di essere citato per la sua assurda comicità. James
Mill (padre del più famoso John Stuart), autore di una classica Storia dell’India Britannica”, attaccò
l’India (nel sistema delle caste, la struttura sociale e la religione) per le sue tendenze non utilitariste.
Criticò anche la qualità letteraria dei uno dei grandi poemi indiani, il Mahabharata, senza peraltro essere in
grado di leggerlo in originale e non disponendo di una traduzione in inglese, visto che ancora non era stata
realizzata. Il vero pezzo di bravura del nostro fu però l’orgogliosa difesa della sua mancanza di
conoscenza personale del Paese e dei suoi costumi e letteratura, considerata utilissima in quanto gli
consentiva una “visione più ampia”.
10
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Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
usualmente una parte mette in discussione l’autorevolezza degli esperti della parte
avversa). Nel caso del confronto tra paradigmi diversi si pongono, in aggiunta, anche le
questioni relative a chi può effettivamente decidere chi è un esperto e della effettiva
indipendenza e autorevolezza “super partes” delle istituzioni;
- il presentare il proprio paradigma, programma e politiche, come le uniche possibili
o quantomeno le uniche ragionevoli. Nel fare questo si possono anche usare sofisticate
tecniche statistiche o argomentazioni pseudo-scientifiche, purché appaiano convincenti e
riescano a catturare l’attenzione dei terzi ed a familiarizzarli con il proprio punto di
vista. Tipicamente le alternative sono presentate come fonte di problemi e crisi future.
Viceversa paradigmi alternative andrebbero giudicati per la loro consistenza logica e per
la ragionevolezza delle loro assunzioni di base33.
Diversità del paradigma gandhiano.
Il paradigma gandhiano che considereremo differisce in molti aspetti essenziali da
quello attualmente predominante nelle economie occidentali, ma la differenza che
interessa qui sottolineare è legata alla visione complessiva del funzionamento della
società e dell’economia.
La figura 1 fornisce una rappresentazione visiva di questa diversità, che appare
ormai quasi come una contrapposizione tra prospettive diversi. Nel considerarla occorre
tenere presente che i cerchi ivi rappresentati non sono da intendersi come delineanti
sfere isolate, poiché le interazioni tra i diversi livelli esistono ma le influenze più forti
sono quelle che dal cerchio di dimensioni maggiori vengono esercitate su quello di
dimensioni inferiori.
Nel mondo industrializzato e finanziarizzato34 occidentale ormai la società nel suo
complesso (e quindi cultura, religione, famiglia, socialità ecc.) è trattata (se non ancora
pienamente considerata) come un sottoinsieme dell’economia, che dunque tutto domina
e che definisce i margini operativi e di autonomia delle altre sfere35.
33
Il punto della ragionevolezza o piuttosto del realismo delle assunzioni è particolarmente critico in
economia perché esplicitamente rifiutato come criterio dalla “metodologia dell’economia positiva”
proposta da Milton Friedman, che ha ancora una vasta eco tra gli economisti anche se sempre meno tra i
filosofi della scienza. Si veda il capitolo 5 di Guala 2006.
34
La considerazione esplicita del processo di finanziarizzazione e dei rapporti tra capitale industriale e
finanziario sarebbero importanti e istruttivi, ma è necessario limitarsi ad alcuni rinvii. Si vedano Andriani
2006 e Panizza 2001, ma anche due film americani che considerano esplicitamente questi aspetti, “Pretty
Woman” e”I soldi degli altri”.
35
Chi nutrisse dubbi sulla rappresentazione schematica della “economia industriale e finanziaria attuale”
può provare a valutare come in essa gli esseri umani spendono il loro tempo e quali, progressivamente,
tendono ad essere e risultano nei fatti – anziché nelle speranze o nell’immaginario – le loro priorità.
11
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
Viceversa nella economia gandhiana è l’economia (e ancor più la finanza, che a
questa dovrebbe essere funzionale e non viceversa) ad essere una componente, e certo
non prevalente e/o prevaricante, della società nel suo insieme. Ovviamente lo schema
che nella figura appare sulla destra non connota solo l’economia gandhiana ma ogni
visione economico-sociale che si rifaccia seriamente a principi etico-umanistici e/o
etico-spirituali.
Figura 1. Visioni del mondo e strutture sociali alternative
Valori
Economia
(produzione,
Individui
Cultura
Valori
Cultura
Società
consumo,
finanza)
Economia industriale e
finanziaria attuale
Economia
Economia Gandhiana
Questa considerazione tende a richiamare la questione del senso che può avere, oggi,
muovere da principi etici (e persino spirituali) per costruire una visione ed una teoria
economiche. Una risposta adeguata all’interrogativo richiederebbe di considerare una
molteplicità di aspetti, a partire dalle origini (filosofiche ed etiche, fin dall’Etica
Nicomachea di Aristotele) e gli sviluppi dell’economia nel mondo occidentale, dai suoi
rapporti nel corso del tempo con la filosofia in tre aree diverse ma tra loro collegate:
etica, metodologia e razionalità36. Non è in questa sede che tale rassegna può essere
presentata37, e dunque ci limitiamo a poche e brevi considerazioni.
36
Ma anche varie altre discipline e riflessioni andrebbero poi interrogate.
Anche la bibliografia da consultare al riguardo sarebbe assai ampia, e di essa si trovano almeno alcuni
spunti nei riferimenti bibliografici di questo saggio, a partire dai testi di Daly e Cobb, Etzioni, Mini, Sen,
Evensky, Furnham, oltre ovviamente a quelli di Gandhi, Kumarappa e Diwan. Rinvio anche ad alcuni miei
ben più modesti lavori, che cito solo per indicare come sarebbe stato facile includere qui argomenti e
37
12
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
A tutt’oggi appare innegabile la rilevanza di considerazioni etiche, spirituali e
religiose in vari aspetti della vita quotidiana, inclusi scelte e comportamenti che hanno
una sostanziale rilevanza economica38. Anche se i loro spazi sembrano venire
progressivamente erosi, sia l’etica sia la spiritualità continuano a costituire le radici di
usi e norme sociali rilevanti in ogni area ed a fungere da stimolo per attività anche in
ambito economico39. Nella sfera pubblica appare poi evidente – spesso purtroppo – la
riscoperta della religione soprattutto in chiave identitaria ed etnica40, mentre. nella sfera
personale sembra invece trovare sempre più spazio un desiderio di spiritualità che cerca
di coniugare il rapporto con il sacro con la ricerca di significato della propria vita
(inclusi la realizzazione ed il benessere personali). A ciò sembrano anche collegarsi il
bisogno di spazi di riconoscimento (proprio e altrui) e di espressione per i propri
sentimenti ed emozioni e, talvolta almeno, l’attenzione sia per l’ambiente naturale in cui
si è inseriti sia per il corpo (di nuovo proprio e altrui)41.
Va rilevato come Gandhi riconobbe che le principali influenze sul suo pensiero
venivano dalla cultura e spiritualità (ma conviene anche ricordare che per lui la spiritualità
era essenzialmente etica) in cui crebbe, l’Induismo (e in particolare lo Yoga), e dal
Cristianesimo (il Nuovo Testamento e in particolare il Sermone della Montagna) anche
attraverso alcuni grandi intellettuali cristiani del suo tempo come J. Ruskin e L. Tolstoj
(col quale mantenne corrispondenza fino alla morte di questi). Inoltre un discepolo di
Gandhi e suo consigliere in materie economiche, Joseph Cornelius Kumarappa (1892 -
riflessioni sintetiche sul tema non fosse stato per la mancanza di spazio: Burlando 2004, 2005 b e c, 2001.
Iannaccone costituisce una ulteriore fonte di riferimenti, sia pur molto più vari di quel che interessa
specificamente qui. Altrettanto lunghe sarebbero le bibliografie sugli aspetti metodologici, per i quali mi
limito a rinviare ai soli Hausmann, Guala e McCloskey senza alcuna pretesa di coprire neppure tutti gli
aspetti principali, e sulla razionalità, per la quale rinvio ai due libri di Hargreaves Heap ed alle loro ampie
bibliografie.
38
In realtà non è neppure così semplice definire quali comportamenti vadano considerati economici e
quali no (si veda il capitolo 1 di Webley at al. 2004). Sulla rilevanza attuale della religione e della
spiritualità rinvio solo a Hill et al. 2000 ed a Giordan 2006, ma gli aspetti principali e innumerevoli
esempi sono stati considerati ampiamente nella storia della cultura. L’esempio più noto è probabilmente
quello del lavoro di Max Weber sull’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Iannaccone 1998
afferma che "Social scientists have little choice but to take account of religion, because religion shows no
sign of dying out" (pagina 1466).
39
Negli ultimi decenni si sono notevolmente sviluppate le iniziative economiche con forti motivazioni e
orientamenti etici e spirituali. Gli esempi più noti sono quelli del Commercio equo e solidale (Perna) e
della Finanza etica (Burlando 2001b), ma anche molte Ong e varie componenti del Terzo settore aspirano
ad un approccio etico rilevante. Anche in questi casi il divario tra aspirazioni e realtà può poi risultare
significativo. Merita anche ricordare l’ampio (anche se molto più vario, anche nelle motivazioni)
movimento per la Responsabilità sociale d’impresa.
40
Si veda anche il recente libro di Amartya Sen (2006).
41
Giordan 2006.
13
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
1960), era un cristiano di etnia Tamil che già aveva portato nelle sue ricerche ed
elaborazioni economiche42 la sua fede e la sua esperienza umana.
D’altro canto va anche evidenziato come egli considerasse la religione una questione
essenzialmente personale43, ne apprezzasse in particolare il ruolo nel fornire criteri di
valutazione morale e quindi aiuto nelle scelte della vita quotidiana, ma fosse anche
adamantino nel ritenere che ogni parola ed ogni verso dei testi religiosi (di qualunque
religione, a partire dallo stesso induismo) non dovesse essere presa alla lettera come un
diretto pronunciamento divino bensì andasse assoggettato alla valutazione dell’etica e
della ragione44.
2. LO YOGA E LA “VISIONE” DELL’ECONOMIA GANDHIANA.
Un aspetto che raramente viene preso esplicitamente in considerazione nei lavori
sull’economia gandhiana è appunto il quadro di riferimento filosofico ed etico, che o
viene dato per conosciuto (dagli autori di cultura induista) o altrimenti non considerato o
ritenuto meno rilevante delle componenti più direttamente e squisitamente economiche.
Anche alla luce delle considerazioni della sezione precedente questo autore ritiene tale
valutazione un errore esiziale, da un lato perché considera che il contesto di riferimento
sia tuttora assai poco noto fuori dell’India e dall’altro perché lo ritiene cruciale sia per
una comprensione non banalmente superficiale della riflessione e delle prescrizioni
economiche gandhiane che (e ancor più) per gli auspicati sviluppi di questo approccio45.
Inoltre vari aspetti di questa ampia riflessione trovano riscontri in sviluppi recenti delle
indagini scientifiche in varie discipline.
Il quadro di riferimento su cui ci concentreremo è, come si è detto, costituito dallo
Yoga e dal suo codice etico, il Dharma e dunque la nostra considerazione dei principi
dell’economia gandhiana inizierà con una presentazione (per quanto terribilmente
42
Kumarappa studio contabilità in Gran Bretagna e, dopo alcuni anni di pratica in UK e in India, decise di
continuare gli studi negli Usa, dove aveva un fratello. Nel 1927 ricevette una laurea in amministrazione
finanziaria dall’Università di Syracuse e più avanti un master in finanza pubblica dalla Columbia
University, con una tesi sulle cause del declino economico dell’India nel XIX e XX secolo. Da questa tesi
trasse materiale per il suo primo libro, “Public Finance and our Poverty “(1930), in cui analizzò i
meccanismi dello sfruttamento dell’India da parte dell’impero britannico.
43
Per questo non amava la dimensione sociale delle religioni e rigettava ogni forma di fondamentalismo.
44
Per altro per lui (e per lo Yoga e l’induismo) la ragione è cosa nettamente distinta dalla razionalità.
45
Devo un ringraziamento particolare all’amico Romesh Diwan per l’incoraggiamento a perseguire la
ricerca su questa prospettiva ed a Silvano Brunelli per i preziosi insegnamenti e per il sostegno anche in
questa attività. Purtroppo la valutazione riduttiva del pensiero economico gandhiano causata dalla
mancata considerazione del suo contesto filosofico affligge da noi anche dei convinti gandhiani.
14
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
schematica e “razionalista”) della “visione filosofica” dello Yoga e in particolare del
dharma, che costituisce il fondamento dello stesso e di tutto l’induismo46.
Se è vero che “l’induismo non è una religione nel senso comune (e volgare) della
parola, ma semplicemente dharma”(Pannikar 2006, pag. 31) e che la sua grande
intuizione “consiste nel fatto che qualunque verità nell’ordine dell’intelletto esige una
limitazione e quindi l’esclusione di altre verità” e dunque esso “per rispetto alla Verità le
ammette tutte nell’ordine logico” (p. 27), questo è almeno altrettanto vero per lo Yoga,
che infatti ritiene che tutte le “vere” religioni siano sentieri differenti (almeno fino a un
certo punto del cammino) che conducono alla stessa realizzazione.
Lo Yoga è uno dei sei darshan 47 (sistemi ortodossi di conoscenza che accettano gli
insegnamenti dei Veda) della tradizione induista48 e, secondo Patanjali49, nella sua
dimensione di percorso etico e spirituale comprende otto componenti: yama e niyama
(limitazioni e osservanze, le 2 parti del dharma50 come codice etico), asana (posture),
pranayama
(controllo
(concentrazione),
del
dhyana
respiro),
pratyahara
(meditazione),
(ritiro
samadhi
dai
sensi),
(contemplazione
dharana
pura
o
illuminazione).
Gandhi ha più volte affermato di non poter neppure concepire una economia che non
fosse fondata sull’etica ma, per lui come per lo Yoga, questo non significa muovere da
un piano normativo (del dover essere) per improntare ad esso le altre dimensioni. Lo
Yoga infatti presenta una concezione fondamentalmente evolutiva della vita in tutte le
sue forme, che è vista come percorso verso la propria realizzazione (o “liberazione”,
moksa in sanscrito o “salvezza” per usare invece un termine greco-cristiano). Questo
processo corrisponde alla realizzazione di un “ordine ontologico reale” che esiste non
solo “come un ordinamento estrinseco della natura delle cose, ma come sua struttura
ontica più fondamentale”. Quindi “la moralità e tutti i valori positivi acquistano valore e
46
Pannikar 2006 (pag. 28) afferma che “se l’induismo dovesse darsi un nome, si definirebbe sanatana
dharma” e che “il concetto di dharma è forse il più fondamentale di tutto l’induismo. L’induismo è
semplicemente dharma”. D’altronde egli stesso ha dedicato questo intero libro (e molti altri scritti) a
cercare di trasmetterci la propria comprensione dell’induismo, che non è una religione ma semmai un
termine (di definizione esterna allo stesso) che abbraccia un insieme di religioni. Riferendoci qui al solo
Yoga cerchiamo di delimitare almeno un poco il campo pur mantenendo la centralità dei riferimenti.
47
Gli altri sono: Purva-Mimamsa, Uttara Mimansa or Vedanta, Nyaya, Vaisesika e Samkya.
48
“Induismo” è però un termine recente, usato dai conquistatori britannici per indicare I vari popoli in
India che semplicemente non erano musulmani (Shattuck, 1999).
49
Patanjali considerato il primo sistematizzatore o almeno compilatore, nelle sue Sutra, della conoscenza
allora esistente e colui che diede dello Yoga la prima versione scritta e “filosofica”. Le stime sul periodo
storico in cui questo testo comparve vanno dal 5.000 AC al 300 DC. Le origini storiche dei Veda come
tradizione orale sono invece datate tra il 5.000 e il 2.000 AC e le versioni scritte dei suoi primi quattro
componenti tra il 1.500 e 600 AC. Si veda anche l’introduzione a Panikkar 1977.
50 In un altro dei testi classici, lo Hatha Yoga Pradipika, Swatmarama non include il dharma nello Yoga,
considerandolo come un prerequisito indispensabile.
15
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
realtà in quanto sono espressioni di questo ordine che non è una legge esterna imposta
alle cose, ma è la natura stessa delle cose vista dal suo aspetto dinamico e
gerarchizzato51”.
Dharma è sia il termine attribuito a questo ordine naturale sia quello che indica il
codice etico naturale e universale, che, proprio in virtù di questa sua natura profonda,
non può essere interpretato come un qualcosa di “esterno”, imposto da una qualche
autorità, bensì costituisce il riconoscimento e il corrispondere – anche delle azioni
umane – a come le cose stanno realmente.
Con maggior precisione si utilizza
Sanatama dharma52 per indicare l’ordine perenne, ciò che appunto “permane e
soggiace a ogni assetto”, mentre con svadharma53 ci si riferisce al dharma (dovere)
personale, che corrisponde al “posto ontico di ognuno nella scala degli esseri”54.
Se gli uomini comprendessero questo ordine perenne e ciascuno potesse vedere
chiaramente il proprio compito sarebbe tutto più facile55, ma invece… lo Yoga ritiene
che la nostra percezione del mondo sia alquanto soggettiva e potenzialmente instabile
perché frutto della “interpretazione” da parte della mente di innumerevoli
“impressioni” ricevute attraverso gli organi di senso ed elaborate dal sistema nervoso.
La rappresentazione complessiva del mondo che ne deriva è dunque considerata
una nostra costruzione mentale ed una sorta di illusione (Maya). Date le similarità nel
funzionamento dei nostri organi di percezione e della mente noi umani condividiamo
molti aspetti di questa costruzione, ma vi sono anche significative differenze nella
percezione di ciascuno del mondo e della vita perché le registrazioni delle impressioni
e le loro interpretazioni, nonché le reazioni (specie per quelle infantili) ad esse possono
51
Pannikar 2006, pagg. 28 e 29, ove si richiamano anche testi che propongono una analoga lettura del
Cristianesimo e della Torah.
52
Chiamato invece Rta nei Veda e Dharma nelle Upanishad. Il Sanatana dharma è rivelato nella sruti
(rivelazione divina, contenuta principalmente nei Veda e nelle Upanishad) e nella smrti (tradizione sacra
di origine umana: Manava, Purana, etc.) e ogni individuo può sentirne gli echi (svadharma) dentro se
stesso. Si ritiene che anche i testi sacri delle altre vere religioni contengano la gran parte di (o anche tutti)
tali principi di questo “Codice etico universale e impersonale”, e che ciascuno di tali testi costituisca una
sorta di “traduzione” delle stesse leggi naturali (presumibilmente ciascuno con alcune interpretazioni
particolari o anche variazioni improprie, dovute a difficoltà di espressione o ad errori di interpretazione
umana legate al contesto storico).
53
Che emerge come cominazione del proprio livello evolutivo, fase di vita e circostanze di vita.
54
La distanza dalla concezione di chi, nella nostra “cultura” attuale, sostiene che gli argomenti etici sono
deboli perchè corrispondono ad una visione normativa in cui il soggetto non si riconosce non potrebbe
essere maggiore. Resta aperta la questione del perché nella nostra “cultura” l’etica sia orami percepita in
questi termini. Una stimolante (e a tratti provocatoria) interpretazione è offerta dal filosofo morale P.
Singer.
55
Ricordo una classica battuta inglese che recita più o meno “La vita è una lunga commedia, ma mi
sarebbe più facile recitare adeguatamente la mia parte se ne conoscessi almeno la trama”.
16
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
avvenire in modi, tempi56 e contesti culturali diversi57. Le nostre menti e i nostri corpi
sono dunque normalmente “pieni” di impressioni (fisiche ed emozionali) e di credenze,
identità (risultato di vari processi di identificazione) accumulate negli anni ed
“intrappolate” dentro di noi. Queste rendono la nostra mente (e dunque anche noi)
“reattiva” e quindi instabile, rendendoci ancora più difficile percepire la “verità” dietro
ciò che percepiamo58”.
Obiettivo delle tecniche yogiche (e in questa prospettiva anche passo necessario di
qualunque seria investigazione sulla vita e sugli esseri umani) è quindi il
raggiungimento di uno stato di “quiete” della mente, che solo in queste condizioni
diviene uno strumento davvero utile nel perseguimento del proprio percorso di vera
realizzazione. Per ottenere questo risultato sono necessarie anche una dieta appropriate
(mitahara, un elemento del dharma) la pratica fisica (asana)59 e, progressivamente, le
varie componenti dello Yoga. Nulla però si ottiene se manca un chiaro orientamento
etico, ritenuto necessario sia per la serenità mentale che per ottenere risultati positivi e
durevoli sia nella vita sia nella realizzazione evolutiva.
I risultati positivi nella vita 60 sono importanti per lo Yoga, che si distingue per un
approccio pragmatico nel quale ha significativa importanza il comportamento61,
considerato la causa principale del karma, ciò che un individuo deve attraversare nel
corso del proprio cammino evolutivo.
Tutto ciò appare significativamente diverso dalla attuale visione consumistica e
materialista, che trova riscontro anche nella visione predominate dell’economia. Da
questa “moderna” prospettiva emergerebbe, a questo punto, una domanda cruciale:
perché la gente dovrebbe essere interessata ad un qualche tipo di “progresso”
spirituale? Mentre non si esclude certo che la possibilità che qualcuno presenti un
ordinamento di preferenze (o meglio una funzione di utilità) particolare, nel quale
questa voce abbia un ruolo importante, si ritiene trattarsi ovviamente (basta guardarsi
intorno) di una netta minoranza che non modifica la tendenza media, la sola a cui
56
Il timing degli eventi è considerato di particolare rilevanza durante l’infanzia, come del resto in tutti gli
approcci psicoanalitici.
57 Una brillante interpretazione moderna (e in diversi sensi tecnica) di questo approccio è presentata nella
Quantum Psychology di S. Wolinsky.
58 Non è necessario qui assumere nulla di trascendentale (anche se ovviamente lo Yoga non lo esclude),
perchè ci si riferisce anche semplicemente ad un punto di vista più calmo ed quilibrato (rispetto a quello
che si manifesta in circostanze particolari della vita).
59
Questo principio trova corrispondenza nel motto Latino "mens sana in corpore sano".
60
Anche in termini di benessere e di piacere conquistati e ”goduti”, come si dirà nella sezione successiva
dedicata appunto agli obiettivi della vita.
61
Il terzo capitolo della Gita (abbreviazione di Bahagavad-Gita) in particolare è dedicato alla discussione
dei due tipi di Yoga, della conoscenza e dell’azione.
17
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
l’economia sia interessata. La questione pare interessante e importante, e si può
rispondervi in vario modo ed a più livelli.
La risposta più sbrigativa, ma non meno importante sia a livello personale che
pubblico (incluse le politiche economiche), è che l’approccio materialistico procura
soddisfazione solo su un orizzonte temporale breve62 e lascia nella maggior parte degli
individui un crescente senso di insoddisfazione, cui si tende a rispondere con la ricerca
di altro consumo e possesso, in un circolo vizioso che è ben noto nell’ambito delle
dipendenze (non a caso in Gran Bretagna sono ormai sorti centri di “disintossicazione”
per i malati di consumo compulsivo). Non c’è nulla di nuovo in queste considerazioni
(a parte la scala assunta dai fenomeni del consumismo e materialismo) che erano già
ben note al filosofo greco Epicuro e costituiscono uno dei classici punti di partenza
della visione Buddista63. Nel gergo degli economisti questo argomento si tradurrebbe
nella considerazione che per massimizzare la soddisfazione di lungo periodo – che in
questo ambito non può (almeno nella maggioranza dei casi) essere ridotta alla somma
di quelle di breve perché vi è un serio problema di inconsistenza temporale delle scelte
ottime – si richiede l’elaborazione di una regola, attraverso un approccio la cui
definizione concreta è un compito complesso che include la considerazione, tra gli altri
aspetti, di varie caratteristiche personali.
Un secondo livello di risposta, che costituisce una delle letture di fondo di questo
contributo, mette invece in discussione l’intera costruzione intellettuale da cui muove
la domanda stessa, ritenendola provenire da una interpretazione riduttiva delle
motivazioni e scelte umane e, in ultima analisi, da una visione complessivamente
riduzionista.
2.1. Evoluzione, obiettivi di vita, valori ed etica.
Si è detto come, secondo lo Yoga, la traduzione sul piano individuale umano
dell’ordine evolutivo universale (Sanatana dharma) sia la realizzazione delle proprie
potenzialità nel rispetto di questo ordine, e questo è dunque “il” compito (svadharma)
degli uomini, sia che accettato ed attivamente perseguito che rifiutato o semplicemente
ignorato. Ogni persona ha un proprio percorso individuale ma, seppure ciascuno possa
62
Questa sembra essere una delle conclusioni della letteratura psicologico-economica sul consumismo e il
materialismo. Per una presentazione riassuntiva di queste ricerche si rinvia alla sezione 5.2 del volume di
Webley et al.
63
Si veda, ad esempio, Daniels 2005.
18
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
percorrere il cammino lungo percorsi parzialmente differenti e con tempi e modi assai
diversi, molte tappe, difficoltà e raggiungimenti sono comuni64.
Ognuno dunque ha obiettivi specifici (life-tasks) propri che sono però la
concretizzazione a livello personale degli obiettivi generali della vita umana: i)
Dharma (l’etica, l’ordine intrinseco), ii) Artha (il benessere nel senso più ampio), iii)
Kama (soddisfazione, piacere in senso ampio), iv) Moksa (salvezza, liberazione,
realizzazione spirituale). L’ordine in cui essi sono elencati non è casuale, poiché
ciascuno è costruito, in buona misura, sul precedente. Perché benessere e piacere siano
stabili, duraturi, occorre che siano ottenuti in modo etico. Il quarto obiettivo poi, la
realizzazione spirituale, può essere perseguito seriamente solo dopo che gli altri tre
sono stati realizzati almeno in una certa misura: si ritiene infatti che chi cercasse di
“saltare” questi altri compiti non farebbe progressi. Il karma individuale, che dipende
dal nostro comportamento precedente, definisce, interagendo con quello altrui e
dunque col contesto generale nel quale viviamo e con la nostra fase di vita, le
circostanze nelle quali ci troviamo.
In questo cammino evolutivo ci fanno da guida e da motivatori i nostri valori, che
costituiscono una sorta di “ponte” che consente alla nostra consapevolezza di
attraversare il mondo sensoriale duale e dunque la forma in cui evolvono vita e
consapevolezza65. Anche in questo snodo cruciale però la mente reattiva rischia di
ingannarci e occorre stare attenti a distinguere una gerarchia superficiale di valori, che
contribuisce a definire la nostra “maschera”, da quella profonda (spesso inconscia) che
è quella effettivamente operativa nel determinare i nostri comportamenti66. Questa
seconda è anche quella che definisce lo stato evolutivo, la maturità, di una persona o di
una società 67.
In questa lettura sono i valori che definiscono la direzione, gli scopi e le azioni e la
loro gerarchia (importanza relativa) effettiva è proporzionale all’ammontare di
attenzione ed energia attribuite al perseguimento di ciascuno di essi. Anche in questo
aspetto si registra una significativa differenza con una diffusa interpretazione dei valori
nel nostro contesto culturale, che li vede originati dalla aspettativa di un qualche
64
Una tale "fisiologia etica" è ritenuta la fonte dei cosiddetti Archetipi che, quando sufficientemente
maturati dall’individuo, emergono spontaneamente producendo la scoperta di quegli stessi valori e verità.
Si veda Brunelli, 2001.
65
Brunelli 2001 e1998.
66
Malgrado l’interesse per la psicologia economica (e non solo) non mi risulta ci siano ancora serie
ricerche psicologiche sull’ipotesi di doppia struttura di valori, che peraltro sembra in linea con la generale
riflessione psicoanalitica. Test preliminari sembrano però confermarne la presenza e rilevanza.
67
I valori principali hanno un peso cruciale nel determinare la personalità, le scelte e le azioni e dunque
nel creare lo stile di vita e il benessere individuali e sociali.
19
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
guadagno. Per lo Yoga ciò può essere vero nei confronti di un qualche valore
superficiale68, ma non per quelli “primari”, che sono addirittura ciò che crea le
condizioni perché qualcuno concepisca, in una data situazione, la possibilità di un certo
guadagno in funzione di un certo comportamento.
Evidentemente questo implica che – secondo questa prospettiva – per realizzare un
qualche cambiamento occorre partire da un mutamento dei valori di riferimento. Anche
questo aspetto è centrale per comprendere la visione e il senso delle “parole chiave”
dell’economia gandhiana69.
2.2. Fasi di vita, categorie e dinamiche evolutive.
Lo Yoga attribuisce a ciascun essere umano70 (ed anche a ciascuna creatura
vivente, sebbene in forma e misura diverse) un valore intrinseco fondamentale, che si
ritiene debba essere riconosciuta non solo a livello filosofico (o comunque teorico) ma
soprattutto nella pratica di vita quotidiana, che costituisce la gran parte della nostra
esperienza umana e prelude ad ogni altra. Il dharma quindi costituisce anche una guida
per la vita quotidiana, fatta di impegni familiari, lavoro e relazioni sociali, e
caratterizzata da obiettivi e responsabilità concreti. In questa sua funzione (prima
ancora che in quella teorica) esso prospetta anche una sorta di “mappa” del nostro
percorso umano e spirituale e indicazioni per individuare a quale stadio del percorso ci
si trova e segnalare quali sono, in quella specifica fase, i principali ostacoli che si
incontrano e dunque anche le sfide che ci si presentano. Elementi costitutivi di tale
mappa sono le fasi di vita, le categorie e le dinamiche evolutive che, insieme,
concorrono a definire quello che è indicato come “il livello evolutivo” di ciascuno71.
Fasi di vita72. Da un certo punto di vista la distinzione della vita umana in diverse
fasi appare addirittura ovvia, e lo Yoga non ne propone una peculiare, neppure nel
considerare la possibilità (anzi auspicare) il realizzarsi di una fase finale della vita
dedicata anche esclusivamente alla ricerca spirituale.
68
Al riguardo sono istruttivi, e anche assai divertenti (nella vita personale solo se si riesce ad avere un
sufficiente distacco), i casi in cui una dissonanza cognitiva si traduce in mutamento di questi valori.
69
Questo fornisce una visone assi differente, per quanto non nuova o isolata, di come creare le condizioni
per dei cambiamenti. In questa prospettiva le iniziative di promozione della occupazione e/o dello
sviluppo possono contribuire a creare migliori circostanze “esterne” per i soggetti coinvolti, ma ciò può
non essere sufficiente e occorre prestare attenzione anche alle condizioni “interne” (motivazioni,
atteggiamenti) che sono prodotte dai valori individuali e/o condivisi in ambito sociale.
70
Come del resto il cattolicesimo. Cfr. il cap. 3° del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 2004.
71
Ovviamente la nostra presentazione di ciascuno di questi elementi sarà estremamente schematica e
condensata e ha alcuna speranza di rispettare la ricchezza di questi aspetti nella visone dello Yoga.
72
Al riguardo si veda Pannikar 2006, pag. 183-200
20
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
Tuttavia considerare che è fondamentalmente (qualitativamente) diverso essere
nella fase giovanile dello studente73 o in quella della famiglia o del pensionamento non
è ciò che fa quantomeno la teoria economica tradizionale, che considera le diverse fasi
semplicemente come caratterizzate da diversi profili di reddito e diversi vincoli (di
liquidità o di credito), che incidono sul profilo temporale del consumo. I problemi di
tutti e i modi di affrontarli sono però assolutamente analoghi (massimizzazione
intertemporale dell’utilità attraverso il consumo sotto i diversi vincoli dinamici), anche
se quantitativamente differenti74. Non c’è il riconoscimento esplicito delle diversità
fondamentali negli obiettivi, nei problemi, capacità cognitive e modi di intendere se
stessi, la vita e la società 75 che caratterizzano fasi diverse della vita.
Diversi, e molto più in linea con la concezione che qui proponiamo, sono alcuni
approcci psicologici a stadi, purtroppo solo parzialmente utilizzati in psicologia
economica76, ed in particolare quello di Erikson (1963, 1982). Sulla stessa linea opera
il concetto di “obiettivi di vita” (life tasks) di Cantor.
Secondo lo Yoga i quattro obiettivi generali della vita sono articolati in modo
profondamente diverso nelle fasi della vita.
Nella fase dello studente gli individui dovrebbero solo preoccuparsi di sviluppare al
meglio le loro capacità e abilità, e per questo un significativo grado di egotismo è
considerato normale e funzionale. Gli studenti non dovrebbero preoccuparsi di
produrre reddito per se stessi (e tantomeno per altri) ma dovrebbero essere impegnati
(questo è il loro svadharma) ad investire su se stessi sia per raggiungere le migliori
condizioni personali possibili che per offrire poi alla società i frutti delle loro capacità,
sia in termini produttivi che di capacità relazionali, che vengono sviluppate proprio in
questa fase.
Nella fase della famiglia invece gli obiettivi (e compiti) dei coniugi sono il
benessere e il piacere, ma non solo né primariamente per se stessi bensì prima di tutto
per la famiglia e poi, se e come si è in grado, per la comunità in cui si vive. In questa
73
A differenza di “fare” lo studente in una fase di vita diversa, in cui si hanno altre esperienze e
responsabilità, e così anche per le altre fasi.
74
Questa concezione sembra, purtroppo, guadagnare terreno anche nella vita quotidiana di parecchie
famiglie, nelle quali i genitori rischiano di ridurre il proprio ruolo a quello di dispensatori di regali e,
magari, di qualche consiglio.
75
Nel quadro dell’approccio life-cycle, si considera che il capitale umano vari con l’età e si accetta che le
preferenze possano modificarsi anche, sebbene si considerino le ragioni del cambiamento esogene, mentre
si suppone che il modo di pensare alla vita ed alle scelte economiche non particolare non cambi e sia
sempre in linea con l’ipotesi di razionalità strumentale.
76
Si veda in particolare il capitolo 1 di Webley et al, ma in generale tutto il volume segue questa
impostazione, fin dal titolo e dalla progressione dei capitoli.
21
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
fase le relazioni rivestono un ruolo cruciale e richiedono l’investimento di molte
energie, anche qui prima di tutto nella famiglia e poi in ambito sociale.
La fase successiva viene fatta iniziare da quando i figli diventano indipendenti e
costituiscono la propria famiglia77. A questo punto si dovrebbe smettere di
preoccuparsi dei raggiungimenti economici (ed anche di quelli psicologici), e passare
ad utilizzare le proprie abilità ed energie a beneficio degli altri in attività utili e
aumentando il tempo (fino ad allora assolutamente secondario) dedicato alla ricerca
spirituale. Solo se e quando, in questa fase, qualcuno sente di voler dedicare il resto
della propria vita a questo ultimo obiettivo prende avvio la fase chiamata della
rinuncia.
Categorie. Anche questa distinzione è ovvia e semplicemente conveniente, ma il
suo uso può essere di significativo aiuto. Tutti gli aspetti della vita possono essere
considerati come componenti di una di cinque “grandi” categorie: il corpo, l’ambiente,
le relazioni, la mente, il sé più elevato78, il che consente di riferirsi sinteticamente ad
una e/o a tutte queste. Ognuna di esse è soggetta ad evoluzione e richiede attenzione ed
energie, a livello individuale e sociale, per consentirci di elevarla verso livelli maggiori
di compimento, o purezza. Si ritiene che miglioramenti in una area tendano a favorire
lo sviluppo anche nelle altre (e viceversa) e che il livello evolutivo complessivo di una
persona corrisponda al livello della categoria meno sviluppata.
Spesso ciascuno di noi sente una particolare attenzione verso uno o alcuni di questi
ambiti, e rischia di trascurarne qualcun altro, ma indubbiamente diversi sviluppi sia
nelle scienze che nella sensibilità delle persone sembrano evidenziare anche nei nostri
tempi la presenza di una tensione del genere79. Quel che spesso sembra mancare è un
principio ordinatore che aiuti ad armonizzare gli sviluppi in ciascuna di queste
direzioni. Nello Yoga il dharma svolge appunto questa funzione complessiva e (come
77
Preciso, visto che mi è stato più volte specificamente chiesto, che è qui indifferente se siano femmine o
maschi. Quello che è significativo invece, nel nostro tempo, è che questa autonomia dei figli è attesa ad
una età ragionevole e un suo ritardo è considerato un problema, dovuto a mancanze dei genitori, dei figli
stessi e presumibilmente anche della società in cui si vive.
78
Indicato in genere come Atman o anima. Ma vi sono interpretazioni dello Yoga che non contemplano
una piena trascendenza, come del resto ve ne sono che sottolineano fortemente l’aspetto della
reincarnazione e del ciclo delle rinascite (samsara) e altre che invece ritengono che vita a livello umano
sia una sola.
79
Si pensi alla crescente attenzione per l’ambiente naturale ma anche per le nostre case, o a quello per il
corpo e per le relazioni affettive e sociali.
22
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
vedremo) i suoi diversi principi sono rivolti ad elevare progressivamente ciascuna delle
categorie80.
Attraverso le fasi della vita e le categorie si comincia a delineare la trama concreta
degli obiettivi della vita, il cui ordito è fornito dalle dinamiche evolutive: anche in
queste ciascuno si colloca individualmente, seppure nel quadro di una sorta di
“fisiologia” evolutiva.81.
Dinamiche e stadi evolutivi. Lo Yoga distingue una progressione di dinamiche
evolutive che caratterizzano, con la loro sequenza, il percorso verso la piena
realizzazione e che corrispondono a livelli crescenti di impegno e responsabilizzazione:
1) se stessi, 2) famiglia, 3) comunità, gruppo sociale di appartenenza, 4) umanità, 5)
esseri viventi, 6) universo, 7) la realtà ultima.
Merita notare come ciascuno debba “realizzarsi” in una data dinamica prima di
poter efficacemente passare a quella successiva: si ritiene che i salti e le “scorciatoie”
portino essenzialmente a decadere. Così prima di mettere su famiglia una persona deve
essere in grado di “avere se stessa”, cioè deve trovare il proprio equilibrio ed essere in
grado di provvedere alle proprie esigenze primarie. Il passaggio alla fase ulteriore è
indotto dalla evoluzione dei propri valori e dunque in genere impone qualche sacrificio
rispetto alle conquiste precedenti (la rinuncia a valori superati, e.g. a parti di sé per
dedicare attenzione alla famiglia). Così le comunità sono originariamente create da
gruppi di famiglie funzionali che decidono di mettere insieme le forze per realizzare
progetti comuni (scuole, servizi pubblici etc.). Il livello evolutivo di una persona, ma
anche di una famiglia o comunità o nazione, corrisponde alla dinamica su cui opera
efficacemente ed alla sua gerarchia di valori, che si rispecchia nel livello delle
categorie.
Come si è detto il concetto di stadi di sviluppo definisce una sorta di fisiologia
evolutiva, lungo la quale gli individui e le comunità si muovono nel corso della propria
vita, fino al raggiungimento della salvezza o liberazione, che è l’obiettivo di una vita.
Nulla è più lontano da questa visione del ritenere che chiunque si trovi imprigionato
80
Ad esempio mitahara (cibo appropriato) può significare semplicemente non mangiare troppo, o anche
evitare cibo contenente componenti dannosi (coloranti e conservanti nocivi) o ancora evitare cibo pesante
e inadatto per la fase di età (come il latte per gli adulti), oppure mangiare solo prodotti organici e solo
vegetali e in moderata quantità etc. Ci sono anche diversi gradi di non violenza: da quello fisico più
evidente (non uccidere, non ferire fisicamente, non picchiare) a forme ulteriori, come non ferire i
sentimenti altrui, non criticare con le parole o i gesti, o addirittura con i pensieri etc.
81
C’è un interessante parallelo col concetto di “life tasks” sviluppato da Cantor (1987, 1992, 1994), che li
definisce come meta-obiettivi sul lungo periodo, che sono definiti nell’ambito delle relazioni tra
l’individuo, le sue relazioni sociali più significative a l’ambiente in cui vive.
23
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
per tutta la vita in un dato livello evolutivo ed in una data condizione, come invece
avviene in India col sistema delle caste82 e altrove in forme diverse.
Il codice etico (dharma): yama e niyama. Date le diverse collocazioni di fase di
vita e livello evolutivo e le caratteristiche personali e di vita, non ci si aspetta che tutti
osservino l’etica nello stesso modo e tanto meno con la stessa profondità. Ciò spiega la
differenza tra il Sanatana dharma (codice etico universale ed eterno) e lo svadharma,
nonché l’attesa di evoluzione positiva nel percorso individuale, poiché ogni conquista
apre la strada ad una comprensione maggiore83. Questo implica anche significative
differenze nei comportamenti e richiede, per produrre positivi risultati sul piano
sociale, il riconoscimento esplicito su questo delle differenze e delle conquiste84. Come
si è detto il dharma è diviso in due gruppi di precetti: le limitazioni (yama) e le
osservanze (niyama). Le principali yama sono85: i) aihmsa, non violenza (completa
assenza di desiderio di ferire chiunque o qualunque animale o cosa in ogni modo
possibile); ii) satya, sincerità, verità; iii) asteya, non rubare (nel senso più ampio
immaginabile); iv) brahmacarya, controllo della sessualità (in accordo con la propria
fase di vita e condizione evolutiva); v) aparigraha, assenza di desiderio di possesso86.
Le principali niyama sono: i) sauca, purezza (esterna e interna); ii) santosh, essere
soddisfatti (di ciò che si ha, il che contribuisce alla serenità mentale); iii) tapas,
austerità (del corpo, del linguaggio, della mente); iv) svadhyaya, lo studio della Verità
(e quindi sia dei libri sacri che della verità che troviamo in noi stessi) v) Isvar-
pranidhan, arresa a Dio.
82
Le funzioni di ciascuna casta sono descritte nel Manava-dharma-sastra (il Libro delle leggi di Manu,
I, 87-91).), che le considerate flessibili, anche se presenta aspetti per noi inaccettabili. Pannikar 2006
scrive (pag. pag. 179): “Si specifica che la condotta può cambiare un brahamano in un sudra (II, 168) e
viceversa (X, 65)” e continua (a pag. 182) “Le leggi di Manu contengono certamente punti molto positivi
per un giusto ordine sociale, ma sono al contempo crudeli e ingiuste..[.] Ciò che si richiede è una
trasformazione, una metanoia..[ .] Il dharma dell’induismo non è sufficiente, ma il dharma attuale della
competitività individualistica non è neppur esso una soluzione. Gandhi tentò un compromesso, ma la
società attuale è andata troppo oltre perché una riforma sia possibile. Occorre un nuovo dharma che
sorga dalle ceneri della tradizione – ma le ceneri sono indispensabili; il modello occidentale non serve.”
83
See Brunelli, 2001.
84
In quest’ottica si può interpretare la confusione attuale nei comportamenti e la decadenza dei costumi
come il prodotto anche della prevalenza nella società e in funzioni pubbliche rilevanti di persone non di
adeguato livello evolutivo, che (ad esempio) utilizzano le funzioni che ricoprono per tornaconto
personale.
85
Seguiamo qui la suddivisione proposta da Kripalvananda e Yogeshwar, in accordo con quella di
Patanjali, che però menziona solo cinque yama e cinque niyama, invece dei più noti dieci e dieci. Altri
autori, e segnatamente Swatmarama, riconoscono gli stessi principi ma suggeriscono una classificazione
diversa (e.g. l’inclusione di ahimsa nella niyama e simili).
86
I primi cinque yama costituiscono il maha-vrata (grande giuramento) degli yogi, e si suppone
conducano alla purificazione della mente.
24
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
Una delle conseguenze – sul piano teorico – dell’incrocio di questi diversi aspetti
nelle vite dei singoli è la significativa differenza, qualitativa, dei comportamenti delle
persone. Una scienza sociale che non voglia essere brutalmente riduzionista deve
trovare il modo di tener conto di questa sostanziale eterogeneità, certo astraendo dalle
caratteristiche individuali di ogni singolo soggetto ma al contempo riconoscendo a
seconda della scala delle analisi e della loro estensione che vi sono dimensioni cruciali
di questa eterogeneità che non possono essere trascurate.
L’altra conseguenza, ancor più cruciale, che emerge da questo quadro è la
necessità di un più adeguato riconoscimento della multidimensionalità della vita e degli
esseri umani e della rilevanza nelle loro scelte di diverse motivazioni, tra le quali vanno
annoverati i valori e le convinzioni etiche.
3. IL DHARMA E I PRINCIPI DELL’ ECONOMIA GANDHIANA87.
Nel presentare ed esaminare l’economia gandhiana è importante evidenziare come
essa sia stata sviluppata (e continui ad essere nelle realtà che cercano di concretizzarla
in India e non solo) come un approccio rivolto alle caratteristiche ed alle necessità delle
migliaia di villaggi dell’India rurale. Questa origine la caratterizza nettamente, anche se
non ne limita le implicazioni e la rilevanza su livelli diversi ed in particolare su piano
macroeconomico. Nel quadro che abbiamo testé tracciato, questo approccio dunque
nasce e muove nella terza dinamica evolutiva, che è la prima propriamente sociale, ed a
partire da questa si estende sulle successive. Mentre vi sono diverse sue applicazioni a
questo primo livello, sui piani più ampi si registrano finora solo tentativi di ispirarsi ad
alcuni suoi principi, come nel caso del precedente governo indiano e di alcuni governi
di singoli stati del subcontinente.
Questa origine e forte riferimento corrisponde,
evidentemente, anche alla convinzione che quello delle comunità locali sia il terreno
fondamentale di aggregazione e di esercizio dell’autogoverno, quindi di una più piena
democrazia. In entità sociali di dimensioni maggiori i rapporti sociali non riescono più
ad essere prima di tutto rapporti umani complessivi tra le persone, che in genere non
hanno modo di conoscere personalmente tutti gli altri, ed è dunque a livello delle
comunità locali (e di contenute dimensioni) che si compie lo sforzo più ampio di
87
Non entreremo qui in discussioni particolareggiate del pensiero economico di Gandhi attraverso le
differenti interpretazioni che di esso sono state proposte. Per una prospettiva del genere rinviamo
piuttosto a Dasgupta, 1996. Qui ci concentreremo piuttosto (dati anche i limiti di spazio) sul rapporto tra
l’economia Gandhiana come elaborata e presentata più recentemente da Diwan e i principi dello Yoga,
poiché riteniamo questo collegamento di fondamentale importanza per una più adeguata comprensione
della visione economica gandhiana.
25
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
attenzione e cura nei confronti di altri con cui si hanno rapporti diretti. Questo vale, in
una certa misura, pure nei confronti dell’ambiente in quanto anche in questo ambito è
la dimensione locale quella che consente una conoscenza diretta e approfondita. Oltre
si passa su piani più impersonali, sui quali si può operare bene solo se si è prima
imparato a farlo con pienezza e rispetto su quello più ridotto.
Quello del rapporto locale–globale è un tema complesso e difficile, sia in generale
che anche nella prospettiva gandhiana, spesso accusata di “localismo” se non
addirittura di favorire forme di autarchia economica e di isolamento. Mi auguro che le
note precedenti abbiano chiarito come nella visione gandhiana non di chiusura si tratti,
ma di forme e livelli di sviluppo. Di certo né Gandhi né Keynes avrebbero valutato la
internazionalizzazione o globalizzazione produttiva e consumistica (e tantomeno, come
si evince dalla citazione di Keynes in apertura, quella finanziaria) come un valore ed un
progresso in sé, né come un fenomeno storico inevitabile.
Evoluzioni in questa
direzione potrebbero avere l’aspetto positivo di maggiori aperture nei confronti del
resto dell’umanità, ma ciò che è ritenuto cruciale è il modo in cui queste si realizzano,
quali ne sono gli aspetti positivi e quali e quanti invece quelli negativi. Riprenderemo
questo tema dopo alcune ulteriori considerazioni e trattando di una delle sei parole–
chiave dell’economia gandhiana.
Oltre alle dinamiche evolutive l’economia gandhiana si sviluppa in armonia anche
con la progressione di attenzione e cura nei confronti di tutti i diversi aspetti della vita,
quindi delle sue diverse fasi e delle categorie. Suo impegno primo è dunque quello di
tutelare, non recare danno ai corpi, all’ambiente naturale, alle relazioni sociali, ed a
tutte le facoltà umane. Non è cosa da poco, e quel che appare più evidente e peculiare
della economia gandhiana è proprio il grosso lavoro di “traduzione” dei principi etici in
prassi, attraverso l’elaborazione di principi derivati e di strumenti che rispettino e
rispecchino, sul piano umano e sociale, l’ordine naturale.
Le politiche economiche di stampo gandhiano saranno dunque concentrate sul
sostegno alle famiglie e le comunità locali, perché possano svolgere al meglio i propri
compiti e sostenere a loro volta gli individui in tutte le fasi del loro percorso evolutivo,
attraverso la disponibilità di tempo attenzione e risorse per ciascuno nelle relazioni
personali e, sul piano sociale, scuole e servizi migliori, maggiori conoscenze e
opportunità.
Sia nello Yoga che nell’approccio gandhiano le famiglie sono considerate il nucleo
centrale e il motore delle comunità e società, perché provvedono alla sopravvivenza,
nutrimento, protezione e benessere di tutti i componenti, compresi giovani e anziani
26
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
che o non sarebbero in grado di farlo per conto proprio o per farlo distoglierebbero le
proprie energie dai compiti specifici della loro fase di vita.
Lo sviluppo armonico e pacifico dei giovani e la loro progressiva socializzazione
sono forse tra gli aspetti più cruciali, in quanto concorrono a creare un futuro migliore
attraverso lo sviluppo delle abilità e dei valori e della capacità di assumersi
responsabilità per se stessi e poi per la propria famiglia, comunità etc. Mancanza di
responsabilità e tendenze e atteggiamenti egoistici oltre la fase giovanile tendono
facilmente a ferire gli altri (creando esclusione sociale, danni ambientali e distorsioni di
ogni tipo rispetto all’ordine naturale) e costituiscono in generale delle difficoltà sul
percorso evolutivo, proprio e altrui.
Per poter svolgere adeguatamente queste funzione, però, le famiglie necessitano
almeno che il loro ruolo sia riconosciuto e rispettato entro l’organizzazione sociale.
Una delle evidenze più cruciali del danno causato dalla globalizzazione attuale (cioè
dall’operare sul piano mondiale globale nel modo che conosciamo) è proprio quella
della progressivo perdita di rilevanza e centralità delle famiglie, che sono
costantemente sotto stress perché la loro base – fatta di tempo e attenzione reciproca,
stabilità e almeno relativa tranquillità – viene costantemente e sistematicamente
minata.
La stessa definizione di benessere è però fondamentalmente diversa nei due
approcci: nella visione economica predominante e nella realtà dei processi globali
attuali questo è visto sostanzialmente come l’accresciuta possibilità di consumo
individuale grazie all’allargamento della produzione e dei mercati, a prescindere da
qualunque altra considerazione ed effetto.
Per lo Yoga questo ha a che fare con la realizzazione evolutiva (il che va ben al di
là della mera dimensione consumistica e/o materialistica) che è un fatto essenzialmente
individuale ma che per compiersi richiede allo stesso individuo di trascendere il
proprio egotismo in una serie di passaggi successivi (le dinamiche evolutive) che ne
allargano la consapevolezza e lo elevano. Seguendo questa traccia dunque l’economia
gandhiana definisce il benessere sia come bene comune (sarvodaya) sia come
necessariamente multidimensionale e includente valori etici, umanistici e spirituali in
aggiunta a quelli materiali.
Un altro confronto tra i due approcci che pare istruttivo è quello relativo ai due
modelli “normativi” (gli ideali che si vorrebbero raggiungere) ed al modo di
raggiungerli (la “transizione”).
L’ideale dell’ideologia neo-conservatrice e ultra27
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
liberista che ha fin qui orientato e diretto il concreto processo di globalizzazione
sembra concentrarsi essenzialmente sullo sviluppo dei mercati e della produzione,
come si è detto.
Il modello teorico che richiama è quello dell’equilibrio economico generale
competitivo (che nella storia del pensiero economico ha un ruolo rilevante, specie dopo
il secondo dopoguerra88) che presenta un quadro in cui l’esistenza di mercati
perfettamente competitivi e di un meccanismo peculiare di definizione dei prezzi di
equilibrio su ciascuno di essi assicura il raggiungimento di un equilibrio complessivo89,
nel quale tutti i fattori produttivi sono pienamente impiegati (non vi è disoccupazione
involontaria) e, nel lungo periodo, i prezzi dei beni sono al minimo consentito dalla
tecnologia disponibile, grazie sia all’utilizzo ottimale degli impianti che alla
impossibilità per qualsiasi imprenditore di realizzare extraprofitti grazie all’operare del
meccanismo concorrenziale. La transizione verso questo modello ideale non può che
essere la rimozione di qualsiasi ostacolo all’operare della concorrenza perfetta (di cui si
è detto nella nota 15, nella prima parte), ma francamente l’attuale processo di
globalizzazione non sembra neppure andare esattamente in questa direzione90.
Il modello ideale gandhiano non può, ovviamente, che essere la realizzazione in
terra della Verità, o Sanatama dharma, e il processo di transizione verso di esso non
può che essere guidato (visto che in un mondo etico non ci può essere separazione tra
mezzi e fini) dai principi etici stessi, e in particolare dalla non violenza e dalla ricerca
della verità (Diwan 2001). A compiere questa transizione però sono chiamati gli
individui stessi, attraverso le loro scelte quotidiane di adottare comportamenti più
eticamente elevati ed il loro progressivo elevare i propri valori e le proprie categorie.
Tali scelte possono solo essere originate dalla consapevolezza individuale
(auspicabilmente seguita – perchè queste scelte abbiano significative implicazioni
sociali – da quella sul piano culturale e concreto di una società che si evolve
88
Il suo primo ideatore, Leon Walras, uno dei padri dell’approccio denominato “neoclassico” (nato
intorno al 1870 dalle opere del nostro, di Carl Menger e di Stanley Jevons), non ricevette in vita grande
apprezzamento da parte dei suoi colleghi.
89
La cui esistenza (e stabilità e unicità) è peraltro stata dimostrata matematicamente solo un secolo dopo
la sua originaria formulazione e sotto vincoli assai restrittivi e molto irrealistici, come affermò uno dei
suoi “dimostratori”, Frank Hahn.
90
Il processo di deregolamentazione ha casomai favorito le grandi imprese e i processi di aggregazione
di grandissime dimensione. In queste condizioni i mercati sono definiti liberi non nel senso della
concorrenza perfetta bensì solo in quello della libertà per ciascuno di fare su di essi quel che vuole e che
il proprio potere economico consente. Ma per l’oligopolio non esistono teoremi che ne dimostrino
proprietà ottimali, anzi. Questo tipo di libertà è stato ironicamente definito come “libere volpi in libero
pollaio”. Sui limiti dell’attuale processo di globalizzazione visti da un fautore della stessa, e che ha
indubbiamente potuto osservarla da vicino da vari osservatori privilegiati, si rinvia a Stiglitz 2002 e
2006.
28
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
positivamente) che esse sono “giuste” e utili sia a livello personale che sociale e
necessarie per essere in armonia con la Vita e l’ordine naturale e per evitare il
decadimento e il disastro naturale e sociale91. Le scelte etiche individuali e la
costruzione di una cultura fondata su valori più elevati costituiscono dunque l’elemento
primo e necessario per una positiva evoluzione sociale, ma affinché producano questo
risultato occorre anche che esse individuino e si coordinino su dei principi condivisi,
delle linee-guida, per l’azione comune e la definizione di un ordine sociale
corrispondente allo stesso sviluppo valoriale. Per questo la riflessione economica
gandhiana propone alcuni principi guida, che costituiscono un ulteriore elemento del
lavoro di “traduzione dei principi etici in prassi” di cui si è detto.
4. LE PAROLE CHIAVE DELL’ECONOMIA GANDHIANA92.
L’impostazione economica gandhiana è stata riassunta in sei parole-chiave:
93
: i)
Aparigraha, non possesso (uno delle yama); ii) Yajna, lavoro autodiretto e socialmente
orientate, a volte indicato come “lavoro per il pane”; iii) Swadeshi, autosufficienza,
sviluppo locale autocentrato (lo swadharma applicato a livello del gruppo di
appartenenza, della comunità); iv) Amministrazione fiduciaria (o Trusteeship, assenza
di privilegi, decentralizzazione); v) Non sfruttamento; vi) Uguaglianza di opportunità e
garanzia di disporre dei mezzi di sostentamento.
Di esse la prima è un principio etico fondamentale, la seconda e la terza hanno
legami strettissimi con gli stessi principi, e le altre discendono direttamente dalle
applicazioni del dharma.
Lo swadeshi è il principio più noto e criticato (insieme all’insistenza sulle
tecnologie locali e intermedie) della visione gandhiana, anche perché è quello dalle più
91
A ciascuno si richiede poi anche l’umiltà di verificare che i propri comportamenti siano effettivamente
coerenti con verità e non violenza, perché il rischio di autodefinirsi “etici” e con ciò esimersi dalla verifica
e/o autoassolversi automaticamente è grande, come mostra da noi la storia di varie iniziative così
connotate.
92
Seguiamo in questa presentazione le linee indicate da Diwan nel corso di molti anni di lavoro e riassunte
in particolare nel suo lavoro del 2001. Va riconosciuto che essa si basa essenzialmente sui testi di Gandhi
stesso e non considera con sufficiente attenzione alcuni sviluppi successivi, in particolare le riflessioni di
Kumarappa ma non solo. Con Romesh avevamo definito l’indice e molti contenuti di un nuovo libro
sull’economia gandhiana (ed egli aveva già completato diverse delle “sue” parti ), che ne fornisse una
trattazione generale sufficientemente completa e collegandola più ampiamente che in passato a varie
riflessioni contemporanee, ma la sua malattia prima e morte poi hanno bruscamente interrotto questo
progetto. Mi auguro di riuscire a riprenderlo e portalo a compimento quanto prima anche se confesso che
da un lato, per rispetto nei suoi confronti, non sono disposto a ridurre la portata del lavoro ed a pubblicarne
solo parti o versioni non sufficientemente elaborate e dall’altro che il farlo da solo non solo mi richiede
molto più tempo e sforzo ma mi è ancora pesante.
93
Ho qui parzialmente modificato l’ordine di presentazione della parole chiave usato nel libro di Romesh,
anticipando lo Yajna, la cui illustrazione mi pare aiuti a comprendere altri principi.
29
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
immediate implicazioni politiche, per di più opposte a quelle della ideologia
predominante che, come si è detto all’inizio, pretende di essere “pensiero unico”.
A mio avviso però le due pietre angolari, dal punto di vista logico e teorico, –
nonché i contributi più originali e rilevanti – dell’economia gandhiana sono
Aparigraha e Yajna. Da esse discendono in buona misura le altre e ad esse occorre
rifarsi per comprenderne adeguatamente il significato. Entrambe queste muovono dal
livello individuale e da questo punto di partenza esercitano ampie implicazioni su
quello sociale, mentre lo swadeshi si presenta già come applicazione a livello sociale
del principio della responsabilità individuale (lo svadharma). Già in questi elementi
emerge la concreta dinamica tra livello individuale e sociale, senza che vi sia una
prevalenza e tanto meno la possibilità di riduzione dell’uno all’altro, che caratterizza
tutta questa impostazione94.
Aparigraha.
Aparigraha può essere tradotto sia come “non possesso” che come “resa
volontaria”95 ed implica l’atto etico consapevole di rinunciare al desiderio di
possedere96 qualcosa di cui non si ha bisogno e che invece è necessario a qualcun altro.
Nello Yoga rappresenta la rinuncia ai falsi desideri che ci imprigionano e costringono a
vivere una vita superficiale, lontana dalla comprensione di come le cose effettivamente
sono. Nella prospettiva gandhiana il non possesso personale implica il possesso da
parte di parte di tutti i membri della nostra famiglia (la cui estensione dipende dal
nostro livello evolutivo, visto che il punto di partenza del dharma è che “siamo tutti
una famiglia”).
Merita notare come a proposito di questo principio Gandhi faccia anche
riferimento al Sermone della Montagna, incentrato sulla rilevanza della semplicità e
della povertà. Va inoltre ricordato come in molti paesi industrializzati siano nati in
anni recenti movimenti per “la semplicità volontaria97”, spesso di matrice cristiana ma
non solo.
Questo principio appare invece come opposto ad una delle assunzioni tradizionali
della microeconomia neoclassica, quello detto “di non sazietà”, che peraltro è stato
94
Da un lato questo è tipico dell’induismo in generale, come segnala Pannikar, e dall’altro richiama la
moderna visione sistemica, che si oppone sia all’individualismo metodologico – riduzionista per sua
natura – che all’olismo. Cfr Laszlo e Bunge.
95
Diwan 2001, pagina 116.
96
Sebbene non necessariamente alla proprietà, si vedano i commenti successive a proposito della
amministrazione fiduciaria.
97
Si veda Bologna, Gesualdi, Piazza e Saroldi 2000.
30
Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
oggetto di molte riflessioni e critiche sia da parte di ecologisti e scienziati in genere
preoccupati dei danni causati dalla continua crescita produttiva e dei consumi e dunque
interessati ai “limiti della crescita” sia da parte di chi si è occupato del cosiddetto
“paradosso della felicità”98, ovvero del fatto che le misure soggettive della felicità non
mostrano alcuna correlazione positiva con la crescita economica99.
Molti ormai
ritengono (del resto basta vedere i testi di marketing per averne una controprova) che
parecchi attuali “bisogni” siano percepiti come tali essenzialmente in quanto indotti
dalla pubblicità e dai media, che contribuiscono a costruire una gerarchia di valori
contraddittoria ed eterodiretta ma largamente condivisa. Questa infatti pare costituire
anche un elemento rilevante per la definizione di una propria identità sociale, che è
difficile da costruzione in una società atomistica100.
Yajna.
L’etimo della seconda parola chiave la collega al senso del sacrificio ed è dunque a
volte tradotta come “sacrificio senza curarsi di sé”; qui però il termine sacrificio è inteso
nel significato (che è quello originario anche nella nostra cultura) di “compiere un atto
sacro” (sacrum facere), cioè “un’azione difficile e dolorosa, tollerata e anche voluta per
il beneficio degli altri” (Pannikar pag. 63) e per amore loro. Come si vede siamo assai
lontani dal senso che a questo termine si attribuisce ormai usualmente (in Italiano e non
solo).
Ma perché qualcuno dovrebbe “tollerare e volere” compiere un’azione difficile e
dolorosa, e qui chiaramente si intende il lavoro, per amore ed a beneficio degli altri?
Che il lavoro sia spesso connotato come sacrificio è cosa bene nota e nella teoria
microecomica neoclassica dell’offerta di lavoro questa valutazione è ripresa
esplicitamente nella affermazione che il lavoro comporta “disutilità”. In quest’ultima
ottica si sceglie comunque di lavorare perché l’utilità (nella versione gretta strettamente
personale) che si ricava - tramite il reddito - dal consumo dei beni che ciò consente di
acquistare è maggiore.
Per lo Yoga invece “tutta la creazione è un sacrificio e il ruolo di questo mondo
temporale è rifare in senso inverso il sacrificio creatore e ritornare a Dio” (Pannikar
2006, pag. 62). Anche “la lode dell’inno vedico, a rigore, è un sacrificio”. Dunque
nell’economia gandhiana si guarda al lavoro come ad un atto sacro, e che è tale perché è
98
Si vedano in particolare i lavori di Esterling e l’imponente bibliografia raccolta nel suo sito.
Si vedano al riguardo sia le critiche al PNL come indicatore di benessere e gli studi su indicatori
alternativi (ad esempio in Daly e Cobb per comiunciare) sia i lavori di Esterling sulla felicità.
100
Si vedano i già citati lavori di Di Nallo e Paltrinieri 2006 e Haslam.
99
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Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
un dono, un ringraziamento, una lode (“Chi santifica l’offerta è l’altare e non viceversa”
ricorda ancora Pannikar). Le grandi visioni spirituali concordano poi nell’indicare che il
modo migliore di rendere grazie a Dio è amare e servire gli altri, e
da questo
riconoscimento nasce il senso profondo del termine nella visione gandhiana. Il dono
dunque ha senso se è una scelta personale, quindi il valore del lavoro è maggiore se esso
è autodiretto e se impiega le proprie migliori capacità nel servizio degli altri. Questi altri
sono innanzitutto la propria famiglia e poi il gruppo sociale di cui si è parte; solo
successivamente
(quando
questi
livelli
funzionano
sufficientemente
bene)
o
parzialmente ci si può muovere su dinamiche più ampie (i “salti” non producono effetti
positivi si è detto parlando delle dinamiche evolutive).
Gandhi ha anche sottolineato l’importanza di un certo ammontare di lavoro manuale
da parte di ciascuno, in parte perché questa è una importante lezione di umiltà e di
sacrificio per tutti e in parte ragioni connesse agli altri principi chiave (e che
emergeranno dopo averli considerati).
Swadeshi.
Lo Swadeshi è, come si è già detto, il più discusso e criticato dei principi gandhiani.
Etimologicamente deriva da sva = il mio e desh = ambiente, e dunque viene in primis
tradotto come “attenzione per il mio ambiente”, per via del suo collegamento con sva-
dharma che ne fa appunto il proprio compito relativamente all’ambiente in cui si vive ed
alla comunità cui si appartiene. Per comprendere il senso profondo dello Swadeshi
occorre rifarsi al richiamo a rafforzare e stabilizzare le dinamiche iniziali prima di
intervenire sulle quelle più ampie. Giunti al terzo stadio dunque occorre operare
innanzitutto per rendere sano, sicuro ed elevato l’ambiente fisico e la comunità umana
locali, mentre ci si apre a considerare le loro interazioni col resto del mondo101.
L’obiettivo dello swadeshi è raggiungere lo swaraj, che significa essenzialmente
“regola autodefinita”102 (nel senso del riconoscimento di quale è nel proprio ambito
l’ordine naturale), e dunque solo subordinatamente l’indipendenza economica e politica,
che sono condizioni essenziali per la capacità di autodeterminazione. L’attenzione è
nuovamente sulla responsabilità, personale e di gruppo, nel perseguire gli obiettivi
comuni. Questa prospettiva dunque appare sostanzialmente antitetica sia rispetto alla
attitudine (piuttosto imperante) che ritiene centrale il diritto di ciascuno di fare ciò che
101
L’attuale intreccio tra locale e globale rende, ovviamente, questa distinzione più difficile e impone da
subito sul piano positivo di considerare le interdipendenze, ma non inficia la rilevanza della distinzione sul
piano dei principi. L’articolazione di questi aspetti è oggetto degli odierni principi della sussidiarità.
102
Diwan 2001 (pagina 112) rende il termine con “disciplined rule from within”.
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Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
gli pare, anche a prescindere dalle conseguenze sugli altri delle sue azioni, sia nei
confronti di visioni che attribuiscono, anche solo nelle fasi definite di “transizione”, un
ruolo centrale allo Stato (espressione di una classe o un gruppo dominante) nell’imporre
la propria volontà sui cittadini, sia pure nell’ottica di un superamento di questa
condizione103. Per Gandhi le autorità di governo devono sempre essere il risultato della
libera104 partecipazione degli individui al processo decisionale e operare per realizzare la
libera volontà popolare, non la loro o quella della classe dominante.
In questo senso si parla di “sviluppo locale autocentrato”, non perché non si
concepiscano relazioni economiche e sociali più ampie, ma perché queste non devono
mai minare la saldezza del livello locale, rendendolo vulnerabile agli effetti di scelte
prese altrove e da soggetti che, non facendone parte, non ne hanno la stessa cura. Se è
pressoché impossibile pensare che una singola famiglia possa raggiungere l’autosufficienza completa non si vuole neppure che tutto il mondo funzioni alla perfezione
per essere sicuri. Le dimensioni locali sono importanti sia per la sicurezza che per la
dimensione ancora personale, diretta delle relazioni, di cui si è già detto. Alla visione
gandhiana non manca certo la dimensione dell’universalismo dei diritti fondamentali,
anche se oltre a questi Gandhi tende sempre a mettere in evidenza come prima dei diritti
vengano i doveri.
Per approfondire questi aspetti e toccare almeno i principali argomenti evidenziati
da una ampia letteratura occorrerebbe uno spazio che qui non abbiamo, ma mi sembra
importante sottolineare ancora come la contrapposizione locale-globale non esaurisca gli
aspetti cruciali dello Swadeshi. Infatti non basta concentrasi sulla dimensione locale per
elevare l’ambiente fisico e sociale in cui si vive, occorre farlo in modo etico e
appropriato. Si possono dunque inscrivere in questa linea gli sviluppi recenti delle
“filiere corte”, i gruppi di acquisto solidale che cercano non solo prodotti locali ma
anche relazione coi produttori per garantirne e farne crescere la qualità, e le iniziative
che in questi ambiti puntano a garantire il rispetto di principi etici. Anche i rapporti tra
comunità diverse, mirati alla conoscenza, sostegno e rispetto reciproco entrano (almeno
a mio avviso) in questo quadro.
Questa considerazione si lega poi ad un altro elemento rilevante e su cui a suo
tempo si sono scatenate grandi polemiche: quello della scelta tecnologica, sul quale la
103
Come si è già detto in quest’ottica i fini non giustificano mai i mezzi, perché non c’è netta separazione
tra i due.
104
E piena quanto seriamente possibile, non manipolata attraverso l’uso di strumenti di potere vari. Oggi
tipicamente questa considerazione imporrebbe anche serissime leggi (vista la mancanza di una seria etica
pubblica al riguardo) sui media e sul loro uso.
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Roberto Burlando
Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
letteratura è addirittura amplissima. Qui possiamo solo notare come la gran parte delle
critiche, provenienti indifferentemente da destra e da sinistra105, alla indicazione
Gandhiana a favore della tecnologia intermedia e fortemente critica di quella più
avanzata soffra dei “vizi” di cui abbiamo detto nella seconda sezione. Relativamente a
questo aspetto si è spesso dipinto Gandhi come un retrogrado oscurantista, sia
estrapolando dal loro contesto storico e geografico (l’India di quel periodo e le
possibilità in essa di comunicare con la massa della popolazione, rurale) le sue
affermazioni sia evitando di considerare quelli che erano – e sono – i veri problemi che
la questione tecnologica solleva e che egli già evidenziava (al di là di possibili enfasi
polemiche e contrapposizioni): quelli sulla sua natura e sulle prospettive che apre e
chiude, sul suo controllo meno o più democratico, sul contributo che modelli tecnologici
diversi possono fornire allo sviluppo locale, sulla dipendenza che la tecnologia può
ingenerare.
Il raggiungimento della auto-realizzazione individuale richiede dunque anche una
società civile106 ordinata e ben funzionante; il meccanismo principale individuato in
questo approccio per raggiungere queste condizioni è l’amministrazione fiduciaria.
L’amministrazione fiduciaria.
Questo è certo uno dei principi più innovativi tra quelli dell’economia gandhiana
(sembra avere pochi, seppur illustri, antecedenti storico-teorici) ma forse anche il più
difficile da immaginare sul piano concreto107. Deriva da una considerazione attenta della
natura del non possesso e ne prevede una concreta attuazione: poiché nulla (non solo i
beni ma neppure le nostre abilità) è veramente nostro, è giusto e adeguato che ci
comportiamo (sia a livello individuale che fino al livello di specie umana nei confronti
del resto del Creato) come amministratori fiduciari di ciò che pure abitualmente
definiamo come “nostro”. Dunque un amministratore fiduciario (trustee) è qualcuno che
“assume consapevolmente la responsabilità per preservare, proteggere e mettere a buon
105
Scontate le posizioni dei tecnocrati e delle multinazionali, fu quasi sconcertante la diatriba che vide un
buon numero di autori (per citarne uno Arghiri Emanuel) del filone marxista terzomondista schierati a
favore delle tecnologie più avanzate (in una logica che pare assolutamente succube ad una visione
industrialista e sviluppista) mentre il solo Samir Amin (politicamente loro assai vicino) predicava invece
lo “sganciamento” dei Pvs dal processo di globalizzazione ultra-liberista. Cfr. i diversi volumi dello stesso
S. Amin e l’introduzione e i saggi contenuti nel volume a cura di R. Burlando 1989.
106
Il tema della società e della economia civile sta tornando ad essere apprezzato e c’è da augurarsi che
diventi progressivamente più centrale nel dibattito attuale. Per una serie di stimolanti riflessioni in merito
rinvio a Bruni e Zamagni.
107
Specie in un periodo in cui si nutrono sempre più dubbi sul funzionamento effettivo della democrazia
anche in molti paesi occidentali e persino europei (la “culla” della democrazia), e nel quale i leader di
opposti schieramenti sono considerati con scarsissima fiducia dalle altrui basi.
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Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
uso qualsiasi cosa possieda, acquisisca o guadagni”108. Evidentemente è qui cruciale
cosa debba intendersi per “buon uso”, ma è facile qui sentire una forte affinità con la
parabola dei talenti e con il senso di un uso non privatistici proprio perché è costitutivo
del senso del dono il concetto di gratuità, di qualcosa fatto per gli altri (anche qui per
amore ed a vantaggio loro).
Ci troviamo nuovamente in una dimensione di senso assai lontana da quella
attualmente prevalente, specie in ambito economico. La sua logica è praticamente
opposta a quella della privatizzazione dei beni e servizi pubblici, ora tanto in auge presso
amministrazioni di (quasi) qualunque colore (e di una parte significativa della enfasi
attuale sulla “tutela” dei cosiddetti diritti di proprietà intellettuale e di altre pratiche
innaturali in ambito agricolo, e non solo)109. Secondo Gandhi infatti chiunque possieda
beni e risorse di qualunque tipo oltre ciò che serve a soddisfare le necessità proprie e
della propria famiglia dovrebbe amministrare tale surplus per conto e a favore (cioè per
il benessere) della comunità prima e poi dell’intera umanità (e così via lungo la gerarchia
delle dinamiche evolutive).
Sebbene questo principio muova (come si è appena visto) dal livello individuale, le
sue implicazioni si manifestano sui piani sociale e politico non appena viene seguito da
un numero sufficiente di persone, rendendolo uno strumento potenzialmente
importantissimo per il cambiamento e progresso sociale, a partire da una più equa
distribuzione delle risorse110. Il problema ovviamente è se e come questa potenzialità si
può tradurre in pratica: una importante iniziativa in questa direzione fu il movimento
Bohodan (per la donazione delle terre da parte dei latifondisti ai poveri) guidato da una
latro seguace di Gandhi, Vinoba Bhave, certo esemplare ma anche di limitata efficacia
anche nel solo ambito indiano.
Anche a proposito del non sfruttamento e dell’uguaglianza merita considerare ciò
che Gandhi intendeva anziché fermarsi solo al senso usuale del termine. Essi erano
ritenuti principi centrali nella realizzazione non violenta del processo di indipendenza.
Certo la prima preoccupazione era una sostanziale riduzione della clamorosa
sperequazione esistente in India tra i pochi ricchissimi e i tantissimi diseredati111, ma
108
Iyer 1985.
See E. Anderson 1990, and Petrella 1999.
110
Merita ancora ricordare come quel che invece è successo negli ultimi venticinque-trenta anni vada
esattamente nella direzione opposta, con un enorme processo di concentrazione della ricchezza a livello
mondiale a seguito dei fenomeni di finanziarizzazione dell’economia e della globalizzazione ultra liberista
fondata su deregolamentazione dei mercati, liberalizzazione dei movimenti di capitale (diventati sempre
più speculativi grazie alla finanziarizzazione) e privatizzazione. Si vedano, tra gli altri, Gallino e Ruffolo.
111
Gandhi 1941, pag. 177.
109
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questo era “solo l’inizio”. Uguaglianza per Gandhi voleva dire assicurarsi che ciascuno
avesse abbastanza per le necessità effettive proprie e della propria famiglia, ma nel
quadro del riconoscimento che il lavoro autodiretto è un dovere morale e tenendo
presente che il principio guida nei confronti dell’utilizzo del surplus deve essere
l’amministrazione fiduciaria.
In questo orientamento si avverte anche l’eco delle riflessioni di John Ruskin112 a
proposito delle “fonti della ricchezza”113”. Nel secondo saggio del volume, infatti,
Ruskin due tipi sostanzialmente differenti di ricchezza e scrive che “what is desired
under the name of wealth is, in reality, the power upon men”.
Egli distingue nettamente la sacrosanta preoccupazione per la produzione, il
mantenimento e la distribuzione dei beni e delle “amenità”, riconosciuta positiva da
qualunque approccio economico, da ciò che definisce come l’“economia mercantile”,
che implica sopra ogni altro aspetto l’accumulazione di diritti legali di potere sul lavoro
(ma per questa via spesso anche sulle vite) di altri uomini.
La differenza di
distribuzione tra le persone del primo tipo di ricchezza è considerata – entro limiti
ragionevoli – sia naturale sia positiva quando la ricchezza sia stata acquisita
onestamente ed equamente, ma Ruskin ci allerta nei confronti del secondo tipo di
ricchezza e, in generale, contro la ricchezza accumulata in modo disonesto e/o ingiusto.
Già Einstein avvertiva che la logica che ci ha messo in situazioni difficili non può
aiutarci a venirne fuori, e dunque che per uscire dalla empasse o dalla crisi occorre
muoversi su di un piano diverso, più elevato. Occorre cercare ed utilizzare una logica
diversa, più ampia. Le nostre società e la “nostra” cultura occidentale sembra essersi
infilata nel vicolo cieco di una concezione dannatamente limitata e ristretta che
pretende persino di essere l’unico modo “razionale” di concepire le cose, il mondo, gli
altri e che non vede più neppure (o vuole o fa fina di non vedere) quanto ristretta sia la
propria concezione di razionalità e di efficienza (si veda anche Bruni e Zamagni).
Sembra paradossale ma è anche assai indicativo che le antiche saggezze, adattate alla
realtà odierna, costituiscano un riferimento così significativo nel riconoscimento di
112
Particolarmente in “Unto this last”, che si propone di costituire una sorta di “economia del Vangelo”.
Merita ricordare come già John Webley (il fondatore della chiesa Cristiana Metodista) avesse evidenziato
la frequenza con cui nel Vangelo si fa riferimento ad aspetti economici e, ritenendo che ciò non fosse un
caso, avesse deciso di conseguenza di attribuire a questi aspetti della vita una particolare attenzione. Non a
caso i Metodisti sono stati tra i primissimi e sono tuttora tra i più convinti e coerenti sostenitori della
finanza etica (cfr. Burlando 2001b).
113
Questo è appunto il titolo della prima edizione di “Unto this last”, nel 1908.
36
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Modelli di sviluppo, etica ed economia gandhiana
valori e senso più elevati, e dunque nella direzione che ci può aiutare a superare lo
stallo attuale114.
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114
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