Università degli studi di Padova a.a. 2012/2013 La Matematica in Arabia e in Europa nel Medioevo: la nascita dell’Algebra Conte Greta 2 Indice 1 Gli Arabi 1.1 Breve storia dell’Arabia Medievale . . . . . 1.2 La Matematica di al-Khwārizmı̄ . . . . . . 1.2.1 La vita di al-Khwārizmı̄ . . . . . . 1.2.2 La restaurazione, il completamento, 1.3 Altri matematici di spicco. . . . . . . . . . 1.3.1 Khayyam . . . . . . . . . . . . . . 1.3.2 Thabit . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.3 Al Kashi . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Il sistema di numerazione . . . . . . . . . . 1.5 La trigonometria . . . . . . . . . . . . . . 1.6 La geometria . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 L’Europa nel Medioevo 2.1 Breve introduzione storica . 2.2 Alcuino e Gereberto . . . . 2.3 La rinascita . . . . . . . . . 2.3.1 Fibonacci . . . . . . 2.3.2 Giordano Nemorario 2.3.3 Nicola Oresme . . . . 2.4 Conclusioni . . . . . . . . . 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l’equilibrio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 5 8 8 10 17 17 20 22 23 25 26 27 . . . . . . . 29 29 30 33 35 37 39 40 4 Capitolo 1 Gli Arabi 1.1 Breve storia dell’Arabia Medievale Al tempo in cui viveva Brahmagupta, la penisola arabica attraversava una profonda crisi, essa era popolata in gran parte da nomadi del deserto, chiamati beduini, i quali non sapevano né leggere né scrivere. Fra di essi c’era il profeta Maometto, nato a La Mecca intorno al 570 d.C. Nel corso dei suoi innumerevoli viaggi Maometto venne a contatto con diverse religioni, quella cristiana e quella ebrea, e questo miscuglio di sentimenti religiosi provocato nel suo animo lo portarono a considerarsi come l’apostolo di Dio mandato sulla terra per guidare il suo popolo. Egli infatti predicò a La Mecca per una decina d’anni. Si potrebbe affermare che la storia dell’Arabia, come siamo abituati a pensarla, inizi nel 622 d.C. con l’Egira, la fuga di Maometto a Medina a causa di alcune minacce di congiura. Un tale allontanamento dalla società del tempo, organizzata su base tribale, significava una aperta rottura dei vincoli con le suddette tribù, che esponeva a gravissimo rischio tutti coloro che avessero abbandonato nella Penisola araba il loro gruppo. Per sfuggire all’eventualità di ritorsioni di questo tipo, Maometto approfitta del’offerta fatta ai suoi fedeli dai clan dell’oasi-città di Yathrib (che poi verrà rinominata Medina) che si offrivano di dargli un comando politico oltre che spirituale sui suoi fedeli. Maometto, quindi, divenne non solo un capo religioso ma anche militare e fondò lo stato maomettano con centro La Mecca una decina d’anni più tardi, all’interno del quale era offerta protezione e libertà di culto anche ad ebrei e cristiani. 5 Nel 632 d.C. Maometto muore, ma la sua nazione si prepara a far guerra a Bisanzio. Si tratta di una vera guerra-lampo, con la quale, nel giro di pochi giorni, viene conquistata gran parte della vallata mesopotamica: si espugnano Gerusalemme e Damasco. Inoltre, dopo un’avanzata inarrestabile, nel 641 d.C. fu espugnata anche Alessandria che per parecchi secoli era stata il centro matematico mondiale. È aneddoto comune che di fronte all’immensa biblioteca di Alessandria il generale dell’esercito di Maometto (tal ’Omar ibn al-Khat.t.āb) propose di bruciare tutti i libri, dacché . . . se contenevano cose che si accordavano con il Corano erano superflui, ma se contenevano cose che contrastavano con esso erano oltre che superflui anche dannosi. In ogni caso sembra esagerata la leggenda secondo la quale per anni i bagni vennero scaldati con il fuoco dei libri bruciati. Infatti, in realtà, oggi sappiamo bene che a quell’epoca poco era rimasto dei circa 40.000 libri che la popolavano appena due secoli prima, a causa di precedenti saccheggi che l’avevano spopolata. Per più di un secolo, fino al 750 d.C., i conquistatori arabi continuarono la loro espansione, al suo apogeo, l’impero islamico parte dal Portogallo e taglia in due il continente fino a lambire i confini indiani. Figura 1.1: L’impero arabo al suo apogeo 6 In seguito, a partire da un nucleo compatto iniziale, le varie regioni si sono sempre più distaccate dal potere centrale e, analogamente a quanto successe a Roma quando essa entrò in Grecia, gli Arabi conquistatori (ma dalla povera cultura nomade) assorbirono in fretta il sapere delle civiltà dominate, rendendosi sempre più culturalmente indipendenti da quella che era la capitale dell’impero. In quest’ottica, sia per motivi geografici che storici, è soprattutto il califfato di Baghdad a diventare in fretta lo snodo di commerci e scambi culturali, divenne il nuovo centro degli studi matematici: dalla metà del VIII secolo furono chiamati a Bagdad molti scienziati e filosofi da molte parti d’Europa e del medio oriente, grazie a queste presenze incominciò l’interesse del popolo arabo anche per le discipline scientifiche. Vennero importati testi di astronomia, alchimia, medicina, dai quattro angoli del mondo occidentale e orientale, per esempio, nel 766 d.C. venne portata a Bagdad dall’India un’opera di natura astronomica-matematica, nota agli arabi con il nome di Sindhind, forse si tratta del famoso Brahmasphuta siddhanta o del Surya siddhanta. In ogni caso, quasi a volersi redimere dall’aver contribuito a distruggere la biblioteca di Alessandria, tutto questo sapere venne custodito nella Bayt al-H . ikma (“Casa della Sapienza”) la più grande Biblioteca della storia dell’impero islamico (si parla di circa 500.000 volumi, in lingua greca, siriaca, persiana, sanscrita. . . ) fondata da Al-Mamun. Come primo interesse gli arabi cominciarono a tradurre le opere più interessanti della cultura greca, come la versione completa degli Elementi di Euclide e l’Almagesto di Tolomeo, e, anche se in parte minore, della cultura indiana e cinese. Di qui nasce e si sviluppa l’interesse arabo per le discipline matematiche. Il fatto impressionante del popolo arabo non sta tanto nella rapidità con cui sorse e si estese il loro impero politico ma nella prontezza con cui, una volta stimolata la sete intellettuale, gli arabi assorbirono e rielaborarono il sapere dei popoli vicini. Posti al crocevia di una tradizione matematica in cui confluivano i resti della cultura egiziana e babilonese, i testi della geometria greca classica e le innovazioni dei matematici indiani, gli arabi assimilano rapidamente gran parte di queste differenti tradizioni, e le fondono in un metodo originale, che consegneranno alcuni secoli più tardi agli studiosi della nascente Europa. 7 Gli arabi, infatti, non furono semplici traduttori degli scritti greci ma elaborarono molte parti della matematica che poi ricomparve in Europa tra il ’500 e il ’600. Se infatti essi non avessero dato alcun contributo originale allo sviluppo della matematica significherebbe che il cammino della scienza, in particolare della matematica, si è interrotto per circa 1000 anni per poi riprendere dal punto in cui i greci l’avevano lasciata. Attraverso la mediazione araba giungono in Occidente alcune scoperte fondamentali, sia tecnologiche, come la carta, che avrà un peso determinante per la diffusione della cultura e per l’avanzamento della scienza, sia scientifiche, come l’uso delle cifre dette comunemente arabe, ma che sarebbe più esatto chiamare indiane, e della numerazione posizionale. A differenza degli indiani e dei cinesi precedentemente considerati constatiamo che gli arabi amavano argomentazioni ben fondate, chiaramente presentate dalle loro premesse alla loro conclusione, e si preoccupavano inoltre di curare l’organizzazione sistematica della trattazione. 1.2 1.2.1 La Matematica di al-Khwārizmı̄ La vita di al-Khwārizmı̄ Abū Ja’far Muhammad ibn Mūsā al-Khwārizmı̄, quello che verrà chiamato in seguito l’“Euclide arabo”, nasce nel 780 d.C. circa, ma non è certo dove sia nato, in effetti non ci sono note molte cose della sua vita. Il suo nome fa pensare che potrebbe essere originario del Khwārezm, il nome Persiano della regione in cui sorgeva Baghdad (questa parte del suo nome sarebbe quindi un locativo): non è improbabile che, dopo la conquista islamica delle regioni mesopotamiche e persiane al-Khwārizmı̄ si trasferì in questa città come fecero molti mercanti e scienziati arrivati persino dalla Cina e dall’India. Non è certo nemmeno quante e quali opere egli abbia effettivamente composto: la storiografia ne attesta sei, che spaziano dall’Astronomia alla Matematica vera e propria (prevalentemente opere su Aritmetica e Geometria). Una sola di queste ci è pervenuta in latino: si tratta del De numero indorum, la cui traduzione si deve alla solerzia del matematico britannico Adelardo di Bath nel 1126. È opinione comune che al-Khwārizmı̄ abbia in gran parte tradotto una precedente opera dell’indiano Brahmagupta sullo stesso argomento, dato che in essa descrive il sistema di numerazione decimale e posizionale 8 Figura 1.2: Abū Ja’far Muhammad ibn Mūsā al-Khwārizmı̄ in un francobollo emesso dall’unione sovietica nel 1983, a (circa) 1200 anni dalla sua nascita. tutt’oggi in uso. In più, al-Khwārizmı̄ dice chiaramente di non essere l’inventore di questo sistema, dovuto all’inventiva indiana in fatto di aritmetica. Egli è però talmente completo e preciso nell’esporne le regole che la scoperta è stata attribuita a lui (forse anche a causa di un fraintendimento da parte di Adelardo di Bath). C’è però di più: questo fraintendimento arriva al punto da confondere il nome dell’opera con il suo autore, nel senso che dopo che il De Numero Indorum si diffonde, con il nome di “algorismi” si comincia a chiamare qualsiasi regola di manipolazione dei numeri decimali. La fortuna di questa curiosa metonimia è palese nel momento in cui si osserva il processo di inserzione del nuovo termine nella lingua occidentale: al-Khwārizmı̄, attraverso una traduzione latina, diventa algorismus e alla fine si trasforma in algorythmus. Nell’ultimo passaggio è molto probabilmente un tentativo di giustificazione etimologica che parte dalla 9 radice greca “arythmos” (αριθµóς), numero. . . cosa curiosa è che “algos” (άλγoς) significa dolore! Con ciò l’opera completa, confusi autore e titolo, diventa “Algoritmi de numero indorum”, e noi stessi ad oggi con algoritmo indichiamo una sequenza, possibilmente finita, di operazioni elementari volte a ottenere, mediante la manipolazione formale di simboli, un risultato esprimibile in termini dei simboli stessi. 1.2.2 La restaurazione, il completamento, l’equilibrio. L’opera più famosa di al-Khwārizmı̄ prende il nome di al-Kitāb al-mukhtasar fı̄ hisāb al-jabr wa l-muqābala, ovverosia Trattato sulla restaurazione, il completamento e l’equilibrio, che tratta di soluzioni sistematiche di equazioni lineari e di secondo grado. Per questo al-Khwārizmı̄ viene considerato il padre dell’algebra, titolo che divide con Diofanto anche se, rispetto a quest’ultimo presenta un regresso infatti, è di livello molto più elementare di quello che si riscontra nei problemi diofantei e non utilizza alcun tipo di forma di abbreviazione propria dell’algebra sincopata presente nell’Aritmetica di Diofanto o nell’opera di Brahmagupta. Ma allo stesso tempo l’al-jabr si avvicina all’algebra elementare moderna più delle opere di Diofanto e di Brahmagupta: esso infatti non tratta difficili problemi di analisi indeterminata, ma presenta una esposizione piana ed elementare delle soluzioni di equazioni. Si narra che il califfo al-Mamun, allora capo della Casa della Sapienza, avesse invitato al-Khwārizmı̄ a comporre “... una breve opera sull calcolo per mezzo (delle regole) di Completamento e Riduzione, limitandosi a quegli aspetti più facili e utili della matematica di cui ci si serve costantemente nei casi di eredità, donazioni, distruzioni, sentenze e commerci e in tutti gli altri affari umani, o quando si vogliono effettuare misurazioni di terreni, scavi di canali, calcoli geometrici di altre cose del genere.” Non è eccessivo pensare che i problemi di eredità e spartizioni di proprietà cui si accenna siano stati, da soli, ottime ragioni per far progredire le conoscenze nel campo della risoluzione di equazioni: una grossa spinta 10 allo studio di equazioni algebriche è probabilmente stata data dall’urgenza di problemi legali, sorti a causa delle intricatissime leggi arabe in materia di eredità. Il significato dei termini al-jabr e muqābala non si conosce con certezza, ma solitamente la parola al-jabr significa “restaurazione” o “completamento”, ovvero la regola della trasposizione dei termini sottratti da un membro all’altro dell’equazione, cioè la regola per cui a + b = c ⇐⇒ a = c − b, mentre la parola muqābala significa “riduzione” o “equilibrio”, ovvero la regola della cancellazione dei termini simili che compaiono in entrambi i membri di una equazione, cioè la regola per cui x + y = z + y ⇐⇒ x = z. Struttura dell’al-jabr. L’opera si apre con una esposizione del sistema posizionale dei numeri; procede a studiare sei tipi di equazioni, di grado al massimo due, a cui ci si poteva ricondurre applicando metodi di al-jabr, cioè completamento, e metodi di al-muqabala, cioè di bilanciamento ovvero il procedimento utilizzato per portare le quantità dello stesso segno allo stesso membro dell’equazione. Queste venivano descritte utilizzando le seguenti convenzioni verbali: all’incognita x ci si riferiva con le parole radice o cosa, all’incognita x2 ci si riferiva con la parola quadrato, la costante, invece, era nota come numero. • Nel capitolo “dei quadrati uguali a radici” si studiano le equazioni (in notazione moderna) x2 = 5x, x2 /3 = 4x; • Nei due capitoli successivi si trattano “quadrati uguali a numeri” e “radici uguali a numeri” • Nei successivi si trattano equazioni di 2o grado a tre termini: si risolvono tra le altre x2 + 10x = 39, x2 + 21 = 10x. Quindi le sei tipologie di equazioni base che considerò al-Khwārizmı̄ sono le seguenti: • bx = ax2 ; • bx = c; 11 • ax2 = c; • ax2 + bx = c; • bx + c = ax2 ; • ax2 + c = bx. con a, b, c interi positivi. L’opera ha uno stile profondamente retorico, non c’è traccia di un calcolo simbolico (persino i numeri vengono scritti in lettere!), nè di abbreviazioni, molto comuni in Brahmagupta e in Diofanto (che sappiamo essere molto letto in ambiente arabo anche grazie ad una sua traduzione in lingua): soprattutto quest’ultimo fatto è strano, perché l’al-jabr è per altri aspetti molto vicino a entrambe le opere. Proprio in base a questo, al-Khwārizmı̄ è considerato come punto di collegamento tra la matematica greca, di spirito squisitamente geometrico, e quella indiana, predisposta ad una impostazione astratta e simbolica: per molti versi egli è figlio del suo tempo, e pure in quell’immenso bacino di attrazione culturale che era la Baghdad del tempo egli conserva molte delle caratteristiche dell’impostazione “volta alle applicazioni” nella soluzione dei problemi. Egli rifiuta per esempio lo zero come radice di una equazione e rifiuta soluzioni negative; tuttavia, pur limitato dalla mancanza di un formalismo conciso e dall’inscindibile legame fisico, è anche capace di avere intuizioni profonde e assolutamente non-banali. Per esempio, riesce ad osservare che in una equazione di secondo grado, un discriminante negativo (oggi diremmo ∆ < 0) impedisce l’esistenza di soluzioni (oggi diremmo di soluzioni reali), il discriminante deve essere quindi positivo, infatti egli scrisse: “Devi sapere che, quando prendi metà delle radici in questa forma di equazioni e poi moltiplichi tale metà per sé stessa, se ciò che risulta dalla moltiplicazione è inferiore alle succitate unità che accompagnano il quadrato, avrai una equazione.” L’intento, di al-Khwārizmı̄ è di ricondurre una generica equazione di secondo grado a uno dei sei tipi particolari che espone come casi paradigmatici. Al-Khwārizmı̄ fornì le regole per risolvere queste equazioni e in molti casi anche la logica geometrica di tali soluzioni. L’esposizione di 12 al-Khwārizmı̄ fu così sistematica ed esauriente che i suoi lettori non dovevano trovare alcuna difficoltà a raggiungere le soluzioni. Inoltre queste esauriscono davvero ogni possibilità, ed è quindi adeguato l’appellativo di “padre dell’algebra” che gli è stato dato. Come già accennato, è innegabile che al-Khwārizmı̄ abbia attinto profondamente a tutta la tradizione precedente: si apprezza nitidamente il suo essere un abitante dell’Arabia cosmopolita medievale se si notano nell’al-jabr: • influenze orientali nella impostazione rigosoramente numerica (non spaziale) dei problemi proposti, come da tradizione babilonese e (soprattutto) indiana; • influenze greche, se si procede nella lettura dopo il sesto capitolo: “Abbiamo detto abbastanza, per quanto riguarda i numeri, circa i sei tipi di equazioni. Ora, però è necessario dimostrare geometricamente la verità di quei medesimi problemi che abbiamo spiegato in numeri.” Al-Khwārizmı̄ ridimostra tutti i procedimenti usati per risolvere gli esempi, con opportune costruzioni geometriche. L’idea che non esista un concetto di numero se non come rappresentazione di una grandezza geometrica (una lunghezza, un rapporto tra segmenti,. . . ) è palesemente greca! Due esempi dell’“algebra geometrica” nell’al-jabr. 1) Riportiamo un esempio della risoluzione di un’equazione di secondo grado presentata da al-Khwārizmı̄. Il testo dice: “Risolvete mal e 10 radici uguale a 39.” Secondo la notazione moderna ciò si traduce in: risolvete x2 + 10x = 39. La spiegazione di al-Khwārizmı̄ ci suggerisce i seguenti passi: i) dividete per due il numero delle radici: il risultato è 5; ii) moltiplicate 5 per sé stesso: risultato 25; 13 iii) addizionate 25 a 39: risultato 64; iv) prendete la radice quadrata di 64: risultato 8; v) sottraete da 8 il risultato dato al passo i): risultato 3. Quest’ultima è la radice del quadrato, la radice negativa −13 viene ignorata. In termini moderni con la notazione algebrica i precedenti passi si traducono in: x2 + 10x = 39 x2 + 10x + 25 = 39 + 25 (x + 5)2 = (8)2 x+5=8 x = 3. Con ogni probabilità questo procedimento descritto da al-Khwārizmı̄ fu formulato a partire da fonti indiane e babilonesi. La vera novità invece dell’approccio arabo, come abbiamo precedentemente notato, sta nel tentativo di dimostrare un’affermazione algebrica tramite la geometria. Riguardo all’esempio precedente troviamo il seguente disegno come dimostrazione geometrica ai passi algebrici: Egli disegna il quadrato ABCD per rappresentare x2 , aggiunge poi i due rettangoli CDEH e CBF G con lati x e il coefficiente 14 nell’equazione di x diviso per due, nel nostro esempio quindi 10/2 = 5 e quindi i due rettangoli avranno area 5 · x. Ora per completare il quadrato AEKF dobbiamo aggiungere un quadrato di area 5 · 5, questo risulta proprio il termine che dobbiamo aggiungere ad ambo i membri della nostra equazione per poter completare il quadrato e quindi determinare il valore di x. 2) Uno dei problemi geometrizzati da al-Khwārizmı̄ è curiosamente identico a quello proposto da Erone (è quasi certo che lo mutuò dalla traduzione araba di una delle sue opere): per “giustificare” l’equilibrazione di x2 − 10x + 48 = x2 egli immagina di avere un triangolo isoscele di lati 10 m e di base 12 m; va trovato il lato di un quadrato che possa esservi inscritto, come nella seguente figura: C x A B 48 − x(6 − x/2) − x(4 − x/2) = area x2 q. area tr. aree lat. area sup. L’autore riesce immediatamente a trovare, con il teorema di Pitagora, che l’altezza de triangolo misura 8 m, quindi l’area del triangolo misura 48 m2 . “Chiamato il lato del quadrato con il nome di “cosa”, fa osservare che si troverà il quadrato della “cosa” togliendo dall’area del triangolo grande le aree dei tre piccoli triangoli che si trovano al di fuori del quadrato, ma all’interno del triangolo grande. Egli sa che la somma delle aree dei due piccoli triangoli inferiori è uguale al prodotto della “cosa” per sei meno la metà della “cosa”, e che l’area del piccolo triangolo superiore è uguale al prodotto di otto meno la “cosa” per la metà della “cosa”. ” [1] Come appare nell’originale, è evidente lo stile prettamente discorsivo di questa esposizione: 15 Figura 1.3: Una pagina dell’al-jabr. Soprattutto l’innovazione araba sta nel fatto che un matematico successivo ad al-Khwārizmı̄ (che ha dimostrato la correttezza a partire da un caso specifico con valori noti) dimostrò in generale la correttezza dei passaggi algebrici del metodo fornito da al-Khwārizmı̄ per la soluzione delle equazioni. Questo fatto costituisce un’ulteriore prova dell’abilità degli arabi a rielaborare e riunire due correnti diverse del pensiero matematico: l’approccio geometrico sviluppato essenzialmente dai greci e i metodi algebricialgoritmici che erano stati efficaciemente utilizzati da Babilonesi, indiani e cinesi. 16 Dalla parola al-jabr, che appare frequentemente nei testi matematici arabi e che deriva dalla trattazione di al-Khwārizmı̄, nasce il termine algebra. A tale termine venivano associati quindi due significati. Il primo, il più comune era restaurazione, perché era applicato all’operazione di addizionare i termini uguali in entrambi i membri di un’equazione in modo da eliminare le quantità negative oppure ricostruire una quantità che viene sottratta da un membro per addizionarla all’altro. L’altro significato meno comune si riferisce al moltiplicare entrambi i membri di un’equazione per un certo numero in modo tale da eliminare le frazioni. 1.3 Altri matematici di spicco. Anche data la sua posizione di primo piano all’interno dell’ambiente scientifico dell’epoca, non è difficile credere che al-Khwārizmı̄ non sia stato l’unico matematico talentuoso del suo tempo. 1.3.1 Khayyam Figura 1.4: Omar Khayyam L’opera del matematico arabo Khayyam, vissuto nel XI sec., può essere considerata l’apogeo dell’approccio geometrico alla soluzione di 17 equazioni, nel suo caso di equazioni cubiche in generale. In tale opera egli suddivide le equazioni secondo il loro grado e utilizza un procedimento di risoluzione per le quartiche molto simile a quello che utilizziamo noi oggi. Esplorò la possibilità di utilizzare metodi geometrici e in particolare cercò di verificare se parti di coniche intersecanti potessero essere utilizzate per risolvere le equazioni cubiche. Vediamo infatti come Khayyam risolve per esempio l’equazione c 3 = b2 a supponiamo il caso in cui b = 1, allora la radice cubica di a si può calcolare finchè esistono c e d tali che: c2 = d d2 = ac. Il grande contributo di Khayyam fu quello di considerare a come costante e c e d come variabili in modo tale che queste ultime due equazioni descrivino due parabole con assi perpendicolari e lo stesso vertice e si intersechino quindi in un punto che risulta essere la nostra soluzione. Applicando un ragionamento simile, Khayyam estese il suo metodo alla soluzione di ogni equazione di terzo grado con radici positive. Discusse 19 tipi di equazioni cubiche. Cinque di questi casi potevano essere ricondotti a equazioni quadratiche mentre gli altri li risolse caso per caso attraverso le sezioni coniche. Egli scoprì che (ovviamente la notazione è quella attuale) : 18 x3 + c = 0 x3 + ax = c x3 + c = ax x3 = ax + c x3 + ax + c = 0 è intersezione di due parabole è intersezione di cerchio e parabola è intersezione di iperbole e parabola è intersezione di due iperboli non ha alcuna radice positiva e ricordiamo che la conoscenza riguardo le coniche di Khayyam deriva dall’opera di Apollonio di Perge Coniche (200 a.C.). Omar Khayyam e i suoi successori non riuscirono tuttavia a trovare una soluzione algebrica alle equazioni cubiche, ne danno solo soluzioni geometriche. I matematici cinesi utilizzavano un procedimento numerico per risolvere tali equazioni ma gli arabi dimostrarono scarso interesse per l’algebra di queste soluzioni. Il metodo di usare intersezioni di coniche per risolvere equazioni di terzo grado era già stato usato da Menecmo, Archimede e Alhazen, ma a Omar Khayyam si deve l’importante generalizzazione di tale metodo in modo da includere tutte le equazioni di terzo grado. Quando in un’opera precedente si era imbattuto in un’equazione di terzo grado, aveva osservato in proposito: “Questa non può venir risolta mediante la geometria piana (ossia con il solo utilizzo di riga e compasso) giacchè contiene un cubo. Per la sua soluzione sono necessarie le sezioni coniche.” Per equazioni di grado superiore al terzo Omar Khayyam non prevedeva la possibilità di utilizzare metodi geometrici del genere perché lo spazio non contiene più di tre dimensioni. Possiamo affermare che, grazie a questo metodo per la soluzione di equazioni di terzo grado, venga effettuato il primo piccolo passo decisivo a colmare la frattura esistente tra geometria e aritmetica, leggiamo infatti ancora dall’opera di Khayyam: “Chiunque pensi che l’algebra sia uno stratagemma per conoscere ciò che non si sa, ha un’idea sbagliata di essa. Non si dovrebbe fare alcuna attenzione al fatto che l’algebra e la geometria presentano un aspetto così diverso. L’algebra non è altro che la dimostrazione di fatti geometrici.” 19 Oltre alla risoluzione di equazioni per via geometrica Khayyam diede un forte contributo anche per l’estensione del concetto di numero. Tramite la teoria delle proporzioni, in cui Khayyam afferma che due numeri possono essere definiti uguali se possono essere ridotti, con un alto grado, a √ un rapporto tra numeri interi, egli afferma che 2 (rapporto tra diagonale e lato di un quadrato) e pigreco (rapporto tra diametro e circonferenza in un cerchio) non possono essere equiparati a nessun altro rapporto. Egli propone quindi di comprendere sotto il concetto di numero anche i numeri irrazionali positivi. 1.3.2 Thabit Ottimo contrappunto alla genialità di al-Khwārizmı̄ può essere la persona di Thabit ibn-Qurra. Figura 1.5: A modern artistic depiction of Thabit ibn Qurra Thabit è un matematico che visse nella seconda metà del IX secolo, egli fu il commentatore di alcuni tra i più importanti testi matematici. Thabit fondò una scuola di traduttori a cui dobbiamo la conoscenza delle Coniche di Apollonio nella loro (quasi) interezza. A lui dobbiamo la traduzione in arabo di tutte le più grandi opere elleniche, tradusse infatti Euclide, Archimede, Apollonio, Tolomeo. 20 Figura 1.6: Il Teorema di Pitagora generalizzato da Thabit ibn-Qurra. La somma delle aree dei quadrati verde e blu equivale alla somma delle aree dei rettangoli verde e blu; il triangolo è scaleno e non ci sono ipotesi sugli angoli. Chiaramente nel caso di un triangolo rettangolo si riottiene il vecchio teorema di Pitagora. Se non fosse stato per le traduzioni di Thabit il numero di opere matematiche greche oggi esistenti sarebbe molto più piccolo. Ma Thabit non si limitò solo a tradurre, a lui si deve anche la nuova formula per determinare coppie di numeri amici o amicabili, ovvero coppie di numeri in cui ciascuno è pari alla somma dei divisori dell’altro: se p, q e r sono numeri primi della forma p = 3 ∗ 2n − 1 q = 3 ∗ 2n−1 − 1 r = 9 ∗ 22n−1 − 1 allora M = 2n pq e N = 2n r sono numeri amicabili. Inoltre egli, aveva assimilato così profondamente il contenuto dei classici da lui tradotti, che ne apportò delle modifiche e delle generalizzazioni. La sua prova d’artista come matematico consiste nell’aver generalizzato il teorema di Pitagora come nella figura 1.6, senza però fornirne alcuna dimostrazione. Fra gli altri contributi di Thabit sono da ricordare dimostrazioni alternative del torema di Pitagora, studi sui segmenti parabolici, una trattazione sui quadrati matematici, trisezioni di angoli e nuove teorie astronomiche. 21 1.3.3 Al Kashi Altro matematico arabo di cui è necessario almeno citarne il nome ed elencarne i contributi fu Al Kashi. Figura 1.7: Al Kashi Egli portò delle innovazioni importanti riguardo la matematica e l’astronomia. Notevole è l’accuratezza dei suoi calcoli, specialmente in relazione alla soluzione delle equazioni con il metodo di Horner appreso quasi senza dubbio dai testi cinesi. Oltre al metodo di Horner dai cinesi apprese anche l’utilizzo delle frazioni decimali, egli cercò di diffondere tale utilizzo in quanto esse risultavano convenienti per problemi che richiedevano un alto grado di approssimazione. Inoltre egli si dilettava in calcoli lunghi e complessi ed era riuscito ad ottenere una approsimazione di π che era più accurata di qualsiasi valore ottenuto dai predecessori. Al Kashi espresse, in linea con l’inclinazione degli arabi per diverse notazioni, il valore di 2π sia in forma sessagesimale (6; 16, 59, 28, 34, 51, 46, 15, 50) che in forma decimale (6, 2831853071795865). Con la morte di Al Kashi nel 1436 possiamo considerare concluso il periodo di grande importanza per la matematica araba. Il già iniziato collasso culturale fu completato dalla disintegrazione politica dell’impero musulmano. Fortunatamente per il patrimonio scientifico mondiale, in corrispondenza al crollo della cultura araba, la cultura europea iniziò la sua ascesa grazie soprattutto al contributo e alle traduzioni arabe. 22 1.4 Il sistema di numerazione È un errore comune etichettare i numeri che oggi utilizziamo come arabi, abbiamo invece visto che questi sono di origine indiana. Il grande contributo che dobbiamo agli arabi è quello di aver diffuso in Europa i numeri indiani. Figura 1.8: I numeri arabi Come già abbiamo notato, gli arabi assimilarono molto rapidamente le culture dei popoli vicini conquistati, inoltre, entro lo stesso confine dell’impero arabo convivevano popoli di orgini etniche molto diverse tra loro come, ad esempio, siriani, greci, egiziani, persiani e turchi. Quindi non c’è sicuramente una grande uniformità a livello culturale che si evidenzia soprattutto nella matematica: in alcune opere era adottata la notazione numerica indiana e in altre quella greca ma la notazione indiana finì per prevalere. Sembra che, grazie alle fiorenti relazioni tra Alessandria e l’India, il sistema numerico indiano avesse raggiunto le coste dell’Egitto già nel V secolo. Gli arabi riconoscono e apprezzano il grande valore della matematica indiana come si legge in queste righe: “E così per i simboli di calcolo. Dobbiamo pensare che gli indiani avevano un’intelligenza acutissima e le altre nozioni erano molto arretrate rispetto a loro nell’arte del calcolo, nella geometria e nelle altre arti liberali. E questo apparve evidente sin dai nove simboli con i quali essi rappresentavano ogni ordine di numeri a qualsiasi livello.” Segue poi nella trattazione un insieme di simboli noti come numeri arabi occidentali dai quali derivano direttamente i nostri numeri moderni. Leghiamo a questo punto la diffusione dei numeri indiano-arabi alla storia medioevale dell’Europa. Leonardo da Pisa detto Fibonacci nel suo 23 Liber abaci presenta per la prima volta questi numeri. Fibonacci era cresciuto in Nord Africa, qui i suoi insegnanti lo portarono a conoscenza dei numeri indiani. Fibonacci nella sua giovinezza viaggiò per tutto il Mediterraneo ed ebbe così la possibilità di confrontare tutti i vari sistemi di numerazione rendendosi così conto dell’enorme vantagio nell’utilizzare il sistema indiano: “I nove numeri indiani sono 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Con questi soli nove numeri e con il segno 0, che in arabo viene chiamato sifr, si può scrivere qualsiasi numero si voglia. . . ” La prima trattazione araba scritta in cui viene esposto il sistema posizionale indiano è appunto l’opera di al-Khwārizmı̄ che, come già evidenziato, ci è prevenuta solamente in una traduzione latina recante il titolo De numero indorum, essendo andata perduta la versione originale araba. In quest’opera al-Khwārizmı̄ presenta una esposizione così completa del sistema di numerazione indiano che fu forse per causa sua se si diffuse l’errata convinzione che il nostro sistema di numerazione sia di origine araba. Al-Khwārizmı̄ non avanza nessuna pretesa di originalità in relazione a tale sistema numerico; quando però cominciarono a diffondersi in Europa traduzioni latine di quest’opera, i lettori poco attenti gli attribuirono il sistema di numerazione lì descritto. La nuova notazione diventò familiare in Europa con il nome di alKhwārizmı̄ o, con meno precisione, di algorismi. Infine lo schema di numerazione facente uso di cifre indiane venne chiamato semplicemente algorismo o algoritmo: termine che ancora oggi indica qualsiasi regola di procedimento o di operazione. Nei testi arabi successivi al X sec. che affrontano il “nuovo sistema posizionale” e la teoria dei numeri, campo in cui gli arabi produssero una sintesi creativa delle idee assimilate da diverse tradizioni matematiche, compaiono le frazioni decimali. È curioso accennare alla notazione che utilizzavano gli arabi, questa consisteva nell’indicare un piccolo segno sopra alla cifra alla cui destra c’era il primo numero decimale (0, 321 veniva scritto come 0321). Altra e successiva notazione indicava sopra l’ultima cifra il numero di cifre decimali. Si faccia attenzione al fatto che le nostre cifre numeriche sono note come cifre arabiche anche se, in realtà, sono notevolmente diverse. Esse 24 vengono così definite in quanto i principi dei due sistemi di numerazione sono gli stessi e perchè la forma delle nostre cifre sembra essere derivata dalla forma di quelle arabe. 1.5 La trigonometria I testi astronomici indiani, contenenti tavole dei seni, vennero tradotti in arabo già nell’VIII secolo d.C. alla corte del sultano di Baghdad. Gli autori arabi non solo copiavano i testi ma riuscivano anche ad ottenere nuovi risultati grazie all’enorme padronanza dei metodi greci e orientali. Gli astronomi arabi studiarono sistematicamente le funzioni circolari, e vi apportarono importanti innovazioni e miglioramenti. D’altra parte, oltre che per motivi astronomici, la trigonometria, e in special modo la trigonometria sferica, era particolarmente importante anche per motivi religiosi. Come si sa, i musulmani recitano le loro preghiere con il viso rivolto verso La Mecca, la città natale di Maometto. Nel mondo arabo, la direzione della Mecca, la Qibla, è indicata da una nicchia, la mihrab, tracciata su tutti gli orologi solari pubblici, la cui direzione era determinata risolvendo il triangolo sferico che ha come vertici il posto, La Mecca e il polo nord, a partire dalla conoscenza della latitudine e della longitudine del posto e della Mecca. Come in molti altri campi della matematica, anche nella trigonometria gli arabi operarono una selezione di concetti ellenistici e indiani e li combinarono in una disciplina nuova che aveva poco in comune con quelle da cui aveva avuto origine. La trigonometria divenne quindi, grazie al contributo arabo, una componente essenziale della matematica moderna. I tre aspetti essenziali della trigonometria araba sono i seguenti: • introduzione di sei funzioni trigonometriche fondamentali: seno (metà della corda sottesa dell’arco doppio), coseno, tangente, cotangente, secante e cosecante; • la formulazione del teorema dei seni e la costituzione di altre identità fondamentali trigonometriche; • la costruzione di tavole trigonometriche estremamente dettagliate (con intervalli di 15’ e valori corretti fino a 8 cifre decimali) con l’aiuto di vari procedimenti di interpolazione. 25 1.6 La geometria Le uniche testimonianze geometriche proprie del popolo arabo, e non derivanti quindi da influenze precedenti, risultano strettamente legate alle decorazioni degli edifici islamici che si compongono di complessi e intricati disegni geometrici. Tali ornamenti rappresentano una caratteristica comune dell’arte islamica che risale al divieto di ritrarre esseri viventi. Questa tradizione ornamentale si tradusse in un artigianato molto specializzato che necessitava una conoscenza geometrica non indifferente per la loro realizzazione. Riportiamo per esempio un metodo descritto, in un manuale per le decorazioni, per la costruzione di una parabola: “Tracciate una linea AB e costruite una perpendicolare CE tagliando AB in D. Sul segmento di retta BD segnate un certo numero di punti G, F, . . . Successivamente costruite cerchi con diametri AB, AF , AG, . . . che intersechino CE in H e L, in J e M , in K eN , . . . rispettivamente. Attraverso H e L, tracciate linee parallele ad AB, e attraverso B una linea parallela a CE. Fate in modo che queste linee attraverso H, L, e B si incontrino in P e S. Linee simili verranno poi tracciate attraverso J, M e F , e attraverso K, N e G, intersecandosi rispettivamente nei punti Q e T , e in R eU .” 26 Pe concludere questo breve paragrafo dedicato alla geometria ritengo interessante fare accenno anche al tentativo di dimostrare il postulato delle parallele da parte del matematico Eddin al Tusi (1201-1274). Egli provò a dimostrare tale postulato partendo da tre ipotesi simili a quelle che furono considerate cinque secoli dopo anche da Saccheri (ipotesi dell’angolo retto, ipotesi dell’angolo ottuso e l’ipotesi dell’angolo acuto). La sua dimostrazione dipendeva dalla seguente ipotesi, la quale risulta essere però equivalente al postulato di Euclide: Se una retta r è perpendicolare ad una retta s in A, e se la retta t è obliqua rispetto a s in B, allora le perpendicolari tracciate dalla retta r su t sono minori di AB dalla parte dove t forma un angolo acuto con la s, e maggiori dalla parte dove la t forma un angolo ottuso con la s. 1.7 Conclusioni Da al-Khwārizmı̄ in poi, chiunque era autorizzato, una volta ricondotta una equazione ad uno dei casi studiati nell’al-jabr, a concludere “si operi ora secondo le regole dell’algebra e dell’almucabala”: Pacioli (il matematico che compare nella copertina di una vecchia edizione della Storia della Matematica di Boyer) scrive nella sua Arte Maggiore che lo scopo dell’Algebra è ristorare gli estremi de’ diminuti e quello dell’Almucabala è di levare da li extremi li superflui, e accetta come postulato (“verità di commune scïenzia”) il precetto per cui si æqualibus æqualia addas, tota æqualia sunt; si ab æqualibus æqualia auferas, sunt quae restant æqualia. L’introduzione dell’algebra e dei procedimenti algebrici costituì una delle più grandi rivoluzioni nella storia della matematica. L’algebra era una teoria unificatrice che avrebbe consentito di trattare oggetti tanto diversi quanto i numeri razionali, i numeri irrazionali e le grandezze geometriche sotto l’unica categoria degli oggetti algebrici. Fatto ancor più importante fu che l’algebra fu applicata alla teoria euclidea dei numeri e alla geometria e, viceversa, la geometria fu applicata all’algebra. Ne derivarono l’algebra dei polinomi, l’analisi combinatoria, l’analisi numerica, la soluzione numerica delle equazioni e la costruzione geometrica delle soluzioni delle equazioni. 27 È ora facile osservare che la vittoria della impostazione astratta di cui al-Khwārizmı̄ è padre non è stata gratuita. La conditio sine qua non perché la sua opera potesse efficacemente diffondersi e servire da punto di partenza a una nuova teoria, fu lo svilupparsi di una notazione adatta a sostituire la forma della sua esposizione, verbale e retorica. Eccezion fatta per l’adozione del sistema posizionale, agli arabi mancò sempre la capacità di fare questo passo. 28 Capitolo 2 L’Europa nel Medioevo 2.1 Breve introduzione storica Sia dal punto di vista economico che dal punto di vista culturale, fu sempre l’Oriente la parte più avanzata dell’impero romano. In realtà poi, a suo modo, la parte occidentale se la cavò comunque con un minimo di astronomia, un po’ di aritmetica e qualche misurazione per il commercio e rilievi topografici, ma il maggior stimolo a sviluppare queste scienze veniva dall’Oriente. Quindi, quando Oriente e Occidente si separarono, venne meno anche questo stimolo. Si è soliti considerare la caduta dell’impero romano, avvenuta nel 476 d.C., come l’inizio del Medioevo e la caduta di Costantinopoli ad opera dei turchi, avvenuta nel 1453 d.C., come la fine di esso. Per quanto riguarda la storia della matematica si preferisce considerare l’anno 529 d.C. come data d’inizio del periodo medievale, e l’anno 1436 d.C. come la fine di tale periodo. Infatti il 1436 è probabilmente l’anno della morte di Al-Kashi ed è anche l’anno della nascita di un altro matematico di rilievo, Johann Müller (1436-1476), noto con il nome di Regiomontano (forma latinizzata del suo luogo di origine, Königsberg). Questo anno, perciò, mette in evidenza il fatto che durante il Medioevo i matematici di maggior rilievo scrivevano in arabo e vivevano nel mondo della cultura islamica, mentre all’alba della nuova epoca i matematici più importanti scrivevano in latino e vivevano nell’Europa cristiana. 29 L’anno 529 d.C. è, invece, l’anno in cui Giustiniano fece chiudere le scuole filosofiche di Atene, così gli studiosi si dispersero. Questo periodo fu definito l’“Età buia” della scienza ma non dobbiamo commettere l’errore di dedurre che altrettanto si possa dire del Medioevo nel suo complesso. In tutti i regni germanici, fatta forse eccezione per quelli della Britannia, le condizioni economiche, le istituzioni sociali e gli interessi culturali rimasero fondamentalmente quelli che erano stati durante il declino dell’impero romano. La vita economica era basata sull’agricoltura, gli schiavi vennero sostituiti dai contadini o da fittavoli, in più, però, c’era un commercio su larga scala con una economia monetaria. La Chiesa Cattolica d’Occidente, attraverso le sue istituzioni, cercò di portare avanti la tradizione culturale dell’impero romano. Anicio Manlio Severino Boezio, scrisse testi di matematica che furono considerati una autorià per più di mille anni. Essi riflettono le condizioni culturali dell’epoca, infatti sono poveri di contenuto: la sua Institutio arithmatica presenta una rudimentale teoria pitagorica dei numeri. Per altri due secoli, quindi, la cultura europea continuò ad essere avvolta da un buio profondo. Infatti si diceva che in Europa si poteva sentire solo il graffiare della penna del Venerabile Beda (637 circa - 735), il quale, in Inghilterra, scriveva solamente a riguardo della matematica necessaria per il calendario ecclesiastico o della rappresentazione dei numeri per mezzo delle dita. Vediamo ora come si sviluppa la matematica in questo periodo buio. 2.2 Alcuino e Gereberto Subito dopo la caduta dell’impero romano gran parte della matematica greca andò persa. Molte biblioteche, come quella di Alessandria, come abbiamo precedentemente detto, andarono distrutte. Nei primi secoli del feudalesimo occidentale si constata uno scarso interesse per la matematica, anche nei monasteri: solitamente gli studiosi cristiani non diedero importanza alla matematica nei loro lavori. Nei primi secoli dopo la fine dell’Impero romano non ci fu, quindi, quasi nessun progresso nel sapere matematico. Nella società agricola di questo periodo, ritornata ad essere primitiva, i 30 fattori di stimolo per la matematica, anche quelli di natura prettamente pratica, erano praticamente inesistenti. Alcuino da York (735 circa - 804) fu chiamato da Carlomagno in Francia per dare nuova vitalità all’istruzione, il suo operato fu a tal punto efficace che qualche storico fu indotto a definire questo periodo come il Rinascimento carolingio. Figura 2.1: Alcuino da York In realtà scrisse riguardo all’aritmetica, alla geometria e all’astronomia ad un livello veramente basilare. Egli scrisse le Propositiones ad acuendos juvenes, che costituiscono una raccolta di questioni matematiche che per molti secoli influenzarono gli autori dei libri di testo. Molti di questi problemi risalgono all’antico Oriente, come per esempio: “Un cane insegue un coniglio, che in partenza ha un vantaggio di 150 piedi; il cane per ogni salto copre 8 piedi, mentre per ogni salto nello stesso tempo il coniglio ne percorre 7. In quanti salti il cane raggiungerà il coniglio? ” oppure, “Un lupo, una capra e un cavolo debbono essere trasportati da una sponda all’altra di un fiume su una barca, e il barcaiolo 31 può portarne solo uno alla volta. Come deve portarli, in modo che la capra non mangi il cavolo e il lupo non mangi la capra? ” La matematica languì in Francia e in Inghilterra per altri due secoli, infatti per oltre un secolo e mezzo non si verificò alcun cambiamento degno di nota nell’ambito della matematica in Europa occidentale. Qualcosa cambiò con Gereberto (940 circa - 1003), il quale nacque in Francia ma fu educato in Spagna e in Italia. Figura 2.2: Papa Silvestro II Egli divenne maestro e consigliere dell’imperatore del Sacro Romano Impero Ottone III e poi, dopo essere stato arcivescovo a Reims e a Raven32 na, fu innalzato al soglio pontificio con il nome di Papa Silvestro II (nome forse dovuto al fatto che Papa Silvestro I fu un simbolo dell’unità del papato e dell’impero). Gereberto fu dedito anche a problemi che riguardavano l’istruzione, scrisse testi di aritmetica e di geometria; egli fu forse il primo in Europa ad insegnare l’uso delle cifre indo-arabiche ma non è affatto chiaro in che modo sia venuto a conoscenza di questa notazione. Un’ipotesi a riguardo potrebbe essere che, nel momento in cui si recò in Spagna, sia venuto a contatto con la cultura moresca che utilizzava il sistema di numerazione arabico con le cifre di forma occidentale, ma nei documenti esistenti non ci sono prove di un influsso arabo. Proprio la questione riguardante l’introduzione delle cifre numeriche in Europa è tanto confusa quanto il problema riguardante l’invezione di tale sistema; non risulta nemmeno chiaro se vi sia stato un utilizzo continuo delle nuove cifre nei secoli successivi a Gereberto, infatti è solo nel XIII secolo che tale sistema viene definitivamente introdotto in Europa. 2.3 La rinascita Fino a Gereberto probabilmente l’Europa non era ancora pronta a sviluppi nel campo della matematica. Ma all’inizio del XII secolo la situazione cominciò a cambiare notevolmente: la cultura occidentale entrò in contatto con quella araba, i mercanti italiani visitarono l’Oriente e ne studiarono la civiltà. Essi cercarono di studiare la scienza e le arti per riprodurle e assimilarle nella loro società mercantile. Ovviamente non si può assimilare il sapere dei vicini senza conoscerne la lingua, per questo tutti i matematici o astronomi veri e propri sapevano molto bene la lingua araba. La rinascita ebbe inizio grazie anche alla scuola di traduttori di Toledo e a persone come Adelardo di Bath, scienziato inglese. Cominciarono, infatti, a dilagare le traduzioni dall’arabo di classici matematici antichi come gli Elementi (versione del 1142 di Adelardo di Bath) ma anche di lavori arabi quali l’Algebra di Al-Khwārizmı̄ e greci come l’Almagesto di Tolomeo. Queste traduzioni inizialmente erano esclusivamente dall’arabo al latino ma, in un secondo tempo, ci furono anche traduzioni dall’arabo in spagnolo, in ebraico o dal greco in latino. 33 Verso quel periodo si situa anche l’inizio delle Crociate ma non è facile capire se esse abbiano avuto un influsso positivo sullo sviluppo della cultura, è invece opinione diffusa che abbiamo interrotto gli esistenti canali di comunicazione più che averli facilitati. Però i canali più importanti, ovvero quelli per la Spagna e la Sicilia, non furono presi di mira dalle armate saccheggiatrici e distruttrici dei crociati quindi potremmo affermare che “la rinascita del sapere nell’Europa latina ebbe luogo durante le Crociate, ma probabilmente si verificò nonostante le Crociate. ” [1] L’Europa occidentale si dimostrò molto più aperta verso la matematica araba di quanto non lo fosse mai stata verso la geometria greca, probabilmente questo è dovuto al fatto che l’aritmetica e l’algebra degli arabi era di un livello elementare rispetto alla geometria greca al tempo dei romani. Anche se, in realtà, essi non dimostrarono interesse neppure per la trigonometria greca nonostante fosse utile ed elementare, mentre erano molto inclini alla trigonometria araba contenuta nelle opere astronomiche. Una curiosità a proposito è che fu la traduzione dall’arabo di Roberto di Chester che introdusse il nome tutt’oggi in uso di “seno”: gli indiani avevano utilizzato il termine jiva e gli arabi avevano ereditato questo termine trasformandolo in jiba, sembra che Roberto di Chester quando ha incontrato negli scritti questo termine lo abbia confuso con la parola jaib che significa “baia” o “insenatura” e, così, ricorse alla parola latina sinus che aveva appunto questi significati. Inoltre, come già accennato nello scorso paragrafo, nonostante le numerose descrizioni del sistema numerico arabo, l’abbandono del vecchio sistema numerico romano avvenne molto lentamente, questo forse era dovuto al fatto che era ancora molto diffuso l’uso dell’abaco (una tavola con palline o ciottoli per contare) e quindi, probabilmente, non erano ancora chiari i vantaggi del calcolo con carta e penna. I numeri romani erano usati per registrare i risultati del calcolo effettuato prima con l’abaco, infatti lungo tutto l’arco del Medioevo troviamo i numeri romani nei libri mastri dei mercanti. L’introduzione delle cifre indo-arabe incontrava l’opposizione del pubblico in quanto rendeva di difficile lettura 34 proprio i libri dei mercanti. Ma nel tardo Medioevo esse si diffondono definitivamente. 2.3.1 Fibonacci Il primo mercante occidentale i cui studi dimostrarono una certa maturità fu Leonardo Pisano (1180 circa-1250), detto anche Fibonacci, fu probabilmente il più grande matematico del periodo. Figura 2.3: Leonardo Pisano Nel suo Liber Abaci, completato nel 1202 al ritorno dai suoi viaggi in Oriente, fece conoscere in Europa il sistema di numerazione decimale e lo zero. Il titolo del libro sembra quasi inesatto, infatti Liber Abaci significa “libro dell’abaco” ma in realtà non tratta dell’abaco, ma discute dei problemi algebrici difendendo l’uso delle cifre indo-arabiche. Questo probabilmente è dovuto al fatto che il padre di Fibonacci era un mercante pisano che aveva affari nell’Africa settentrionale, quindi il figlio ebbe modo di studiare con un maestro musulmano e di viaggiare molto in Egitto, Siria e Grecia, quindi in queste occasioni venne a contato con la cultura araba. Il Liber Abaci si apre con una idea che sembra provenire dall’opera di Al-Khwārizmı̄, ovvero che l’aritmetica e la geometria sono connesse profondamente l’una con l’altra, ma comunque si occupa più dei numeri che della geometria. Egli descrive il sistema numerico indiano con il segno 35 0 che era chiamato dagli arabi zefiro. Questa descrizione svolse un ruolo fondamentale nello sviluppo della cultura matematica. Inoltre espone le regole per trasformare una qualunque frazione in una frazione egizia. È quasi paradossale che il principale vantaggio della notazione posizionale, ossia la sua applicazione alle frazioni, sia sfuggito; anche Fibonacci non utilizza le frazioni decimali ma usa quelle comuni, sessagesimali e a numeratore unitario. Nella sua opera vengono esposte anche l’identità di Fibonacci e il metodo di falsa posizione e quello della doppia falsa posizione. Nel trattato si trovano molti problemi di natura pratica o commerciale, fra questi c’è un problema che forse fu suggerito da un problema simile contenuto nel papiro di Ahmes: “Sette vecchie donne andarono a Roma; ciascuna donna aveva sette muli; ciascun mulo portava sette sacchi, ciascun sacco conteneva sette forme di pane; e con ciascuna forma di pane v’erano sette coltelli; ciascun coltello era infilato in sette guaine.” Alcuni di essi comunque svelano le grandi doti di matematico di Fibonacci come quello della moltiplicazione dei conigli: “Quante coppie di conigli verranno prodotte in un anno, a partire da un’unica coppia, se ogni mese ciascuna coppia dà alla luce una nuova coppia che diventa produttiva a partire dal secondo mese? ” Questo problema genera la “sequenza di Fibonacci”: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, ...., un , ... dove un = un−1 + un−2 , ossia ciascun termine, dopo i primi due, è la somma dei due termini immediatamente precedenti. Si tratta di una serie molto importante anche per le notevoli proprietà che presenta: per esempio, due termini successivi qualsiasi sono √ ( 5−1) un−1 primi tra loro, e limn→∞ un è il rapporto della sezione aurea 2 . Nel Liber Abaci particolarmente interessante risulta anche la mescolanza di algoritmo e di logica nella trattazione dell’equazione di terzo grado x3 + 2x2 + 10x = 20. Egli dimostrò che le radici di questa equazione 36 Figura 2.4: Serie di Fibonacci non qpossono essere espresse per mezzo di irrazionali euclidei nella for√ ma a ± b, e quindi non possono essere costruite solamente con riga e compasso. Ma il grande passo in avanti fu che egli riuscì ad esprimerne la radice positiva approssimata in forma sessagesimale fino alla sesta cifra dopo la virgola. Tale valore rappresentava l’approssimazione più accurata di una radice irrazionale di una equazione algebrica mai ottenuta finora. Leonardo Pisano fu indubbiamente il matematico più importante nel panorama cristiano medievale, ma gran parte della sua opera era di un livello troppo elevato per essere di facile comprensione per tutti. 2.3.2 Giordano Nemorario Figura di spicco fu anche Giordano Nemorario del quale sono incerte le date di nascita e di morte: da alcuni fu identificato con Giordano Teutonico o Giordano di Sassonia, esponente dell’ordine Domenicano, morto nel 1237 e, di conseguenza, la data di nascita è da considerarsi probabilmente intorno alla fine del 1100. Egli viene considerato l’iniziatore degli studi medievali sulla meccanica, infatti fu lui a dare una prima formulazione corretta della legge sul 37 piano inclinato: “la forza lungo un percorso obliquo è inversamente proporzionale all’obliquità, dove l’obliquità viene misurata dal rapporto tra un dato segmento del percorso obliquo e l’altezza verticale misurata da tale percorso. ” [1] Ma Giordano scrisse anche libri di aritmetica, geometria e astronomia. In particolare l’opera simbolo fu l’Arithmetica, in quanto in essa si iniziano ad utilizzare le lettere invece delle cifre in modo da poter formulare dei teoremi algebrici generali. Per esempio, nell’Algebra di Al-Khwārizmı̄ le dimostrazioni erano tutte accompagnate da figure nelle quali comparivano delle lettere, ma tutti i coefficienti delle equazioni erano dei numeri ben precisi, quindi, anche se nella sua trattazione era implicita l’idea della generalità, non aveva gli strumenti necessari per esprimere algebricamente le sue intuizioni generali. Nell’Arithmetica, invece, l’utilizzo delle lettere suggerisce l’idea di “parametro”, ma purtroppo i successori di Giordano sottovalutarono l’importanza dell’introduzione delle lettere. I suoi successori erano più interessati agli aspetti arabi dell’algebra riscontrati nel De numeris datis, ovvero una raccolta di regole algebriche per individuare, a partire da un dato numero, altri numeri ad esso collegati grazie a delle particolari proprietà. Per esempio Giordano scrisse nella sua opera: “Il numero dato sia abc, e venga diviso in due parti ab e c, e d sia il prodotto dato dalle due parti ab e c. Il quadrato di abc sia e, e il quadruplo di d sia f , e g sia il risultato della sottrazione di f da e. Allora g è il quadrato della differenza tra ab e c. Sia h la radice quadrata di g. Allora h è la differenza tra ab e c. Poiché h è nota, c e ab sono determinate.” Si noti da questo tratto della sua opera che l’uso delle lettere, in realtà, è piuttosto confusionario in quanto, per indicare un numero, alcune volte usa due lettere e altre volte una sola, ma, in ogni caso, gli va comunque attribuito l’enorme merito di aver formulato per primo la regola per la risoluzione delle equazioni di secondo grado in forma completamente generale. 38 2.3.3 Nicola Oresme Nei secoli successivi lo sviluppo della matematica accelerò con Nicola Oresme, dotto parigino divenuto anche Vescovo di Lisieux, il quale nacque nel 1323 nel villaggio di Allemagne, oggi Fleury-sur-Orne, vicino a Caen e morì nel 1382 a Lisieux. Figura 2.5: Nicola d’Oresme Egli ha una più ampia visione del concetto di proporzionalità, inoltre anticipò anche i concetti di potenza irrazionale e grafico di una funzione: fu infatti il primo ad avere l’idea di rappresentare il movimento con un grafico alla maniera moderna. Fu uno dei primi ad occuparsi di serie infinite, scoprendo i risultati di molte di esse e dimostrando la divergenza della serie armonica. Lo studio delle serie infinite fu forse l’argomento più innovativo della matematica medioevale. Inoltre egli inventa la notazione qui riportata: (l’immagine viene da [4]). La base della potenza sta sotto p, l’esponente alla sua sinistra. Curiosità storico-tecnica: questa notazione permette a Nicole d’Oresme di trattare potenze con esponenti frazionari e gli suggerisce una prefigurazione del temperamento equabile della scala musicale (che si basa su numeri irrazionali, al contrario della scala pitagori39 ca). Oresme rimane una delle menti più innovative di tutta la matematica medioevale europea ma molte delle sue idee furono dimenticate e dovettero aspettare secoli per essere riscoperte e rielaborate. 2.4 Conclusioni Dall’età buia dei primi secoli del Medioevo fino alle opere di Fibonacci e Oresme nel XIII e XIV secolo la matematica aveva fatto progressi notevoli ma non erano di certo paragonabili alle conquiste matematiche greche. Così come in Babilonia, Grecia, Cina, India, Arabia, la matematica non ebbe uno sviluppo costante, anche in Europa occidentale la matematica entrò in una fase di declino dopo Oresme. In questo periodo, infatti, l’Europa fu colpita dalla peste e il numero di coloro che morirono nel giro di un anno o due fu enorme, si pensa che si aggiri tra un terzo e la metà dell’intera popolazione. Ovviamente questa catastrofe portò sicuramente gravi perdite anche sul piano intellettuale. Inoltre, l’Inghilterra e la Francia, le zone in cui ebbe un maggior sviluppo la matematica, furono anche colpite nel XV secolo dalla Guerra dei Cent’anni e dalla Guerra delle Due Rose, quindi risulta naturale un rapido declino del sapere. 40 Bibliografia [1] Boyer C. B. ’Storia della matematica’, Oscar studio mondadori. [2] Dirk J. Struik ’Matematica: Paperbacks il Mulino. unn profili storico’, Universale [3] Morris Kline ’Mathematical thought from Ancient to Modern Times (volume1), Oxford University Press. [4] Cajor, F. ’A History of Mathematical Notations’, Dover Publications. [5] Informazioni ricavate in rete. 41