CLUB ALPINO ITALIANO Sezione “M. Bacci” VIAREGGIO Domenica 3 Maggio 2015 Commissione Sezionale Tutela Ambiente Montano ISOLA PALMARIA Qualità ed importanza del SIC e vulnerabilità da impatto antropico Partenza: ore 8.00 dal parcheggio c/o circoscrizione Marco Polo - Viareggio Percorso: 4 ore circa Dislivello: 300m circa Difficoltà: E Direttore di escursione: Luca Tommasi ORTAM e componete CCTAM Accompagnati da Mirko Ferretti, ORTAM della sezione di Sarzana Tematiche ambientali: Le aree SIC (Siti Interesse Comunitario) sono identificate dalla Direttiva 92/43/CEE, conosciuta come “Direttiva Habitat”, con il preciso scopo di contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio. Altri aspetti di interesse naturalstico e storico: Cenni di Geologia dell’isola e del Golfo della Spezia con storia della formazione del Golfo della Spezia. Descrizione delle dinamiche vegetazionali a partire dalla geolitologia, climatologia e impatto antropico, quindi alcuni cenni della storia antropica dell’isola. Itinerario dell’escursione: La partenza avviene dal Terrizzo, punto di approdo dei traghetti, dal quale ci si dirige a levante verso la Batteria Fortificata Umberto I-oggi “Fortezza del Mare”- costruito nel secolo scorso sotto l’Amministrazione sabauda del conte Cavour ed adibito a carcere fino agli anni ’50. Esso sorge sulla punta della Scuola e sovrasta Cala Schenello. Poco prima del forte si svolta a destra per raggiungere il lato orientale dell’isola, quasi per nulla antropizzato, attraverso un sentiero che si snoda in mezzo a profumatissime ginestre, cisti dalle vivaci fioriture, orchidee selvatiche, mirti dall’aroma delicato ed altre piante dalla macchia mediterranea. Il sentiero raggiunge la Punta della Mariella, poi sovrasta la “Grotta del Roccio” e l’insenatura del Pozzale dove si trovano alcune cave di “portoro”, il caratteristico marmo pregiato nero con screziature chiare, attive fino a pochi anni fa. Da qui incomincia la salita verso il “Capo dell’Isola” dove si aprono numerose piccole cavità (notevole la Grotta dei Colombi) e poi verso la cima dell’Isola dove si trovano la Batteria del Semaforo ed il Forte Cavour. La discesa si snoda tra Pini d’Aleppo e Pini marittimi fino a raggiungere la punta nord-occidentale dell’Isola in prossimità di una nicchia che un tempo ospitava il busto di Re Carlo Alberto, eretto in onore di una sua visita alle cave nel 1837. Di fronte, oltre lo stretto braccio di mare, si staglia con la sua inconfondibile sagoma la chiesetta di San Pietro, e sullo sfondo si ergono imponenti le pareti calcaree di Muzzerone. Di nuovo in traghetto a Portovenere, visita del borgo e rientro. Gita con pullman e traghetto: iscrizione con versamento di caparra. Info: [email protected] Tel. Sezione 366 5042427 (martedì 17-19 venerdi 21-23) Arcipelago di Porto Venere: Isola Palmaria Delle tre isole dell’Arcipelago la Palmaria è quella più frequenta e conosciuta, soprattutto tra gli spezzini, per quanto riguarda il turismo balneare: ogni anno le sue spiagge vedono riversarsi migliaia di bagnanti che la scelgono per la limpidezza delle acque che lambiscono i litorali. La Palmaria ( che probabilmente deve l’origine del suo nome al termine “Balma”=Grotta, piuttosto che alla presenza di palme nane) presenta interessanti valori paesistici, determinati anche dalle differenti caratteristiche orografiche dei suoi versanti: l’orientale, che scende gradatamente a mare coperto da una ricca vegetazione di tipo mediterraneo; l’occidentale, definito da ripide scogliere che raggiungono i 188 m di altitudine. Per evidenziare le caratteristiche dell’isola ne forniamo una descrizione prendendo lo spunto da uno degli itinerari più interessanti. La partenza avviene dal Terrizzo, punto di approdo dei traghetti, dal quale ci si dirige a levante verso la Batteria Fortificata Umberto I- oggi “Fortezza del Mare”- costruito nel secolo scorso sotto l’Amministrazione sabauda del conte Cavour ed adibito a carcere fino agli anni ’50. Esso sorge sulla punta della Scuola e sovrasta Cala Schenello: dopo importanti lavori di restauro, eseguiti dal Comune di Porto Venere e dall’Amministrazione Provinciale della Spezia con il contributo della Comunità Europea, la “Fortezza del Mare” ospita Mostre tematiche, Convegni, spettacoli ed importanti eventi culturali. Poco prima del forte la strada si biforca e svoltando a destra, raggiunge il lato orientale dell’isola, quasi per nulla antropizzato, attraverso un sentiero che si snoda in mezzo a profumatissime ginestre, cisti dalle vivaci fioriture, orchidee selvatiche, mirti dall’aroma delicato ed altra piante dalla macchia mediterranea. La strada raggiunge la Punta della Mariella, poi sovrasta la “Grotta del Roccio” e l’insenatura del Pozzale dove si trovano alcune cave di “portoro” , il caratteristico marmo pregiato nero con screziature chiare, attive fino a pochi anni fa. Da qui incomincia la salita verso il “Capo dell’Isola” dove si aprono numerose piccole cavità (notevole la Grotta dei Colombi dove furono trovati resti umani ed animali risalenti al Neolitico ora ospitati presso il Museo Civico della Spezia) e poi verso la cima dell’Isola dove si trovano la Batteria del Semaforo ed il Forte Cavour. La discesa si snoda tra Pini d’Aleppo e Pini marittimi fino a raggiungere la punta nord-occidentale dell’Isola in prossimità di una nicchia che un tempo ospitava il busto di Re Carlo Alberto, eretto in onore di una sua visita alle cave nel 1837. Di fronte, oltre lo stretto braccio di mare, si staglia con la sua inconfondibile sagoma la chiesetta di San Pietro, e sullo sfondo si ergono imponenti le parti le pareti calcaree di Muzzerone. Accompagnati della visione unica del panorama della Case-torri che costituiscono l’indimenticabile palazzata a mare di Porto Venere, ci si avvia a concludere il giro dell’Isola ritornando al Terrizzo da dove aveva avuto inizio l’itinerario. Poiché l’Isola Palmaria per tutta la sua estensione insite nell’area del “Parco Naturale Regionale di Porto Venere” il Comune si è attivato per la realizzazione di importanti azioni volte alla sua tutela, ma soprattutto alla definizione di un progetto finalizzato ad una fruizione intelligente delle sue bellezze naturali e paesaggistiche. In questo ambito propositivo è stato costituito il Centro di Educazione Ambientale (C.E.A.), sito in località Semaforo. La struttura, ubicata in un fortilizio che ospitava una Batteria sperimentale della Marina Militare, consente il soggiorno in camerate con comodo di cucina ed ha ampi spazi al coperto e all’aperto – per attività di studio e ricreative; è meta ogni anno di un gran numero di giovani, che oggi si muovono non per diletto bensì per approfondire le proprie conoscenze. In quest’ottica il C.E.A. rappresenta un elemento di fondamentale importanza per la fruizione del Parco, soprattutto da parte dei ragazzi, e si avvia a divenire un centro di turismo consapevole, di educazione ai valori dell’ambiente, di sperimentazione, studio e ricerca. Grotta dei Colombi È la grotta più importante dell’isola, non solo per dimensioni, ma anche per il materiale paleontologico che ha conservato. Sotto questo aspetto è anche una delle più importanti della Liguria orientale. È stata scoperta e studiata per la prima volta dal Prof. Giovanni Capellini nel 1869 , successivi studi furono condotti da E. Regalia, D. Carazzi e U. Mazzini. Nell’immediato secondo dopoguerra venne eseguito un saggio scavo dall’Università di Pisa per verificare o meno l’esistenza di una stratigrafia. Questa grotta si trova nella punta sud della Palmaria, verso l’isola del Tino, di fronte però al mare aperto ad un’altezza di una trentina di metri dalla superficie marina in un dirupo sterposo a picco sull’acqua. È composta di un gran corridoio di acceso e di due caverne delle quali la più interna ,detta la gran Sala, è la più ampia. La grotta fu scelta come insediamento abitativo, perché più asciutta, meglio difesa e più comoda rispetto alle altre caverne presenti sull’isola.Nella grotta fu rinvenuto un vero archivio di oggetti di quell’epoca remotissima come: punte di frecce, raschiatoi di selce, stecche, punteruoli dosso, perle di calcare bianco, rozze stoviglie, conchiglie traforate e levigate. Furono scoperti inoltre un gran numero di resti umani e di varie specie di mammiferi. Tra i numerosi resti rinvenuti vi sono delle ossa fossilizzate di animali, che vivono abitualmente nelle zone fredde e glaciali quali lo stambecco, il camoscio, il ghiottone e la civetta delle nevi, il che sta a significare che la Grotta era abitata già nel periodo glaciale o immediatamente successivo. Batteria Fortificata Umberto I La Batteria Fortificata Umberto I,costruita dalla Regia Marina alla fine del XIX secolo, si trova sul lato orientale dell’isola Palmaria. Alla fine del XIX secolo per rispondere all'esigenza di una difesa capillare del Golfo della Spezia vengono costruite da parte della Regia Marina delle installazioni militari di vario tipo. A questo scopo alle estremità della diga, appositamente costruita, vengono poste delle piattaforme per le artiglierie con lo specifico compito di incrociare il tiro con le corrispondenti batterie poste, invece, sulla terraferma. Oggi l'intero sistema di fortificazioni del Golfo rappresenta senza dubbio uno dei sistemi fortificati costieri più vasti d'Italia. Fra le batterie terrestri, divisibili in alte e basse a seconda dell'obiettivo da colpire, fu realizzata anche la Batteria Umberto I, costruita fra il 1887 e il 1889, su progetto del Direttore della Fortificazioni della Regia Marina, Tenente Colonnello Ferdinando Spegazzini. La Torre risulta essere costruita con notevole rapidità anche grazie all'utilizzo di numerosa manodopera coatta, costituita essenzialmente dai detenuti che ogni giorno venivano condotti da S. Bartolomeo a La Spezia fino all'isola Palmaria. Ancor oggi, a ricordo di questa manodopera, il sentiero che collega le fortificazioni dell'isola è chiamato "sentiero dei condannati".Nel suo complesso, la struttura della Batteriarisulta essere strettamente dipendente dal suo uso di batteria anti-nave. La propaggine montuosa che scende al mare è stata infatti in parte sbancata per costruire l'edificio in modo da fondersi con lo sperone roccioso. Il risultato è che la costruzione segue docilmente l'andamento del terreno, nascosta quasi in una nicchia, tanto che dal mare risulta assolutamente invisibile, rimanendo completamente celata alla vista delle navi. A tutto ciò bisogna aggiungere che anche da terra risulta difficilmente aggredibile, mostrando solamente due lati esposti ad eventuali attacchi. Il prospetto principale si articola attorno al portale di ingresso che funge anche da asse di simmetria per i due ordini di aperture perfettamente giustapposti. Il camminamento laterale al piano terra è delimitato da un lato dal terrapieno e dall'altro da una serie di locali di servizio, mentre quello superiore, da cui si poteva raggiungere la copertura, serviva sia al controllo dell'impianto della fortezza sia all'aerazione dei locali sottostanti. Le stanze sul prospetto principale, più illuminate ed esposte, erano adibite ad alloggi e servizi, mentre le ampie sale del fronte laterale accoglievano i locali tecnici dei macchinari per il funzionamento della cupola.Da pochi anni è stata restaurata con finanziamenti europei dalla Provincia della Spezia e dal Comune di Porto Venere. Batteria del Semaforo Anticamente, in corrispondenza dell’attuale Stazione Segnali, vi era una torre a sezione circolare, per l’osservazione e l’allarme contro i pirati barbareschi.La Marina Militare vi installò una stazione semaforica che diede il nome al sito ed una stazione di segnalazione.I dati meteomarini osservati e registrati dal 1932 al 1962 da questa Stazione sono tuttora di fondamentale importanza per determinare le previsioni dello stato del mare ( i dati vengono pubblicati dall’Istituto Idrografico della Marina).L’esercito vi costruì la Batteria del Semaforo per la difesa esterna del Golfo: era una delle batterie cosiddette “alte” che dovevano colpire dall’alto, con tiri curvi dei suoi obici, i ponti delle navi nemiche. La Batteria Sperimentale è stata l’ultima ad essere smantellata nel 1962. Di recente, la batteria in concessione al Comune di Porto Venere, è stata restaurata ed adibita a Centro di Educazione Ambientale. Forte Cavour Il Forte Cavour nasce come forte in vetta alla Palmaria e per questo viene denominato anche forte Palmaria. Il primo modello progettuale risale al 1808 quando Napoleone decise di costruire questo forte per assicurare il dominio sull’isola. L’idea del forte venne ripresa, nel 1849, dalla commissione incaricata dal governo piemontese di studiare il trasferimento della Marina Militare da Genova alla Spezia.Tra il 1857 ed il 1859 venne elaborato il progetto del Forte Palmaria: vennero quindi recepiti i lineamenti dello schema elaborato in epoca napoleonica, con i due caratteristici cavalieri di ponente e di levante ed il fossato continuo. Caratteristica la copertura della caserma difensiva, costituita da un forte spessore di calcestruzzo(copertura a prova di bomba), dal sovrastante strato di terra vegetale e dal manto di copertura in tegole alla toscana per la raccolta dell’acqua piovana. La caserma difensiva del forte Cavour, progettata su due piani venne realizzata su un solo piano, ma era ugualmente in grado di ospitare 330 uomini.Un elemento tramandato dalle antiche fortificazioni e che in seguito non verrà più utilizzato è rappresentato dalla “feritoia a piombatolo”, presente lungo tutto il muro di scarpa del tipo distaccato, costruito a difesa del fossato.Il Forte Cavour riveste, quindi, un notevole interesse per lo studioso della storia delle fortificazioni costiere, perché è un involucro che denuncia le stratificazioni e le sovrapposizioni avvenute in un secolo di evoluzione fortificatoria. Porto Venere La Palazzata di case-torri Foto: Federigo Salvadori Le origini del toponimo Porto Venere sono documentate a partire dal II sec. d.c. quando in un antico itinerario nautico "Portus Veneris" è indicato quale stazione navale delle trireme romane per le rotte della Gallia e della Spagna. Sicuramente antecedente a questa data è però l'insediamento nel promontorio che a partire dal 1113 divenne "avamposto militare di Genova nel Tirreno" a seguito della cessione che ne fu fatta alla Repubblica marinara dai Signori di Vezzano. Furono proprio i Genovesi a costruire il borgo fortificato così come lo vediamo ancora oggi: le mura di cinta e la porta del Borgo, il castello Doria, la chiesa di San Lorenzo, la Grotta Arpaia - Byron, la chiesa di San Pietro e la Palazzata di case-torri sul fronte a mare. Dall'epoca medievale il destino di Porto Venere fu quindi legato alla grande repubblica marinara, soprattutto durante la lunga guerra tra Genova e Pisa (1119-1290), poi il dominio francese del 1396 e l'attacco aragonese del 1494 che danneggiò gravemente le due chiese monumentali. Con il perfezionarsi delle armi da fuoco a lunga gittata ebbe iniziò il declino militare del borgo, che perdette la sua "invulnerabilità", dovuta alla sua posizione arroccata e difendibile da attacchi fin quando questi non arrivarono dal mare aperto. Nonostante ciò Porto Venere continuò ad essere importante porto negli itinerari della navigazione commerciale. In seguito all'arrivo di Napoleone nel Golfo della Spezia e la proclamazione della Nuova Repubblica Ligure, il primo agosto 1791, iniziò un altro periodo di soprusi con l'occupazione di Porto Venere da parte delle milizie austro-russe e francesi che deturparono definitivamente le due chiese. Alla fine del XIX secolo ebbero inizio i lavori di restauro, opera proseguita con costanza e che ha consentito la conservazione di "...un'area culturale di eccezionale valore, che mostra l'armonioso rapporto tra uomo e natura cui si deve un paesaggio di straordinaria bellezza scenica dimostrazione di un tradizionale modo di vivere che si è conservato per mille anni e che continua a svolgere un'importante funzione socio economica nella vita della comunità" queste le ragioni che hanno spinto l'UNESCO a dichiarare Porto Venere "Patrimonio Mondiale dell'Umanità". Porto Venere si offre quindi oggi, nelle sue forme pressoché immutate nel corso di 8 secoli, alla visita del turista che ne può apprezzare l'ineguagliabile panorama, gli scorci caratteristici e pittoreschi, l'unicità degli antichi portali delle case torri che si allineano strette l'una all'altra sui carruggi e sulla calata. Il paese però affascina il visitatore anche per le sue bellezze naturalistiche: in prossimità dell'antica cinta muraria si trova il punto di arrivo del famoso sentiero n. 1 che collega Porto Venere a Levanto attraversando le Cinque Terre e che ogni anno è meta di un crescente turismo escursionistico: il sentiero, che si snoda a mezza costa lungo le pendici del Monte Muzzerone e del Monte Castellana, offre panorami unici ed emozioni indimenticabili. Dal molo prospiciente la Palazzata partono inoltre numerosi battelli diretti all' isola Palmaria, a Lerici e alle "Cinque Terre". La flora terrestre del Parco di Porto Venere Il Parco Naturale Regionale di Porto Venere si sviluppa lungo un territorio di formazione abbastanza recente: le isole di Palmaria, Tino e Tinetto infatti si sono separate dalla terraferma solo nel tardo Quaternario. Ciò non ha permesso una differenziazione a livello floristico e questo giustifica la presenza della medesima flora su isole e parte terrestre e di pochi, per questo importanti, endemismi. Inoltre sono svariate le specie mediterranee a gravitazione occidentale che raggiungono su queste coste il loro limite nord-orientale di distribuzione. Tutto il territorio è caratterizzato dalla macchia mediterranea nei suoi differenti stadi evolutivi: si passa da una situazione di “gariga” ad una macchia dai molteplici aspetti sino ad arrivare a lembi di lecceta e pinete a Pino d’Aleppo frammisto a Pino marittimo ed altre Querce (Cerro e Roverella). Ampelodesma Famiglia: Graminaceae Genere: Ampelodesmos Specie: mauritanicus (Poiret) Dur. & Sch. L’Ampelodesma (Ampelodesmos mauritanicus(Poiret) Dur. & Sch.)è un grosso cespuglio perenne che appartiene alla famiglia delle Graminaceae ed è ampiamente diffuso soprattutto nelle zone costiere sino ai 200 m di quota e lungo i sentieri che attraversano l’Area Parco. Cresce su terreni calcarei, molto poveri di humus ed areati e, come tutte le specie presenti nel territorio, è correlata agli stadi evolutivi che portano alla formazione della Lecceta, contribuendo all’evoluzione del suolo. E’ dotato di un rizoma strisciante dal quale si sviluppano le lunghe foglie molto taglienti e robuste e culmi portanti l’infiorescenza ancora più lunghi, il tutto a formare cespi che raggiungono tranquillamente il metro di diametro. Nel passato ha svolto un compito molto importante: le foglie venivano intrecciate per formare corde (cime in campo marinaresco) mentre i culmi per creare ceste. Barlia Famiglia: Orchidaceae Genere: Barlia Specie: robertiana (Loisel.)Greuter La prima cosa da sottolineare delle affascinanti Orchidee, erbacee perenni, è che si tratta di specie in pericolo, talora minacciate di estinzione. Quindi il consiglio spassionato è quello di osservarle e di fotografarle in tutti i modi possibili ma senza prelevarle, nemmeno per fare un foglio d’erbario: se non trattate adeguatamente le orchidee perdono ben presto i loro magnifici colori! Nel territorio del Parco si trovano numerose specie di Orchidee: sono caratterizzate da bulbi ipogei, biancastri e carnosi dai quali si diparte il fusticino eretto che porterà l’infiorescenza. I fiori sono molto variabili a seconda della specie ma quasi tutti caratterizzati da un labello vivacemente colorato con lo scopo primo di attrarre i maschi delle specie impollinatrici: i vari disegni e pelosità riproducono l’addome delle femmine delle specie di cui sopra, fungendo da richiamo sessuale. Il maschio, pensando di andare a “trovare” la femmina, si cosparge di polline (si tratta di masse polliniche) che verrà trasportato sul fiore successivamente visitato. La Barlia, come tutte le orchidee, è una Geofita bulbosa, una specie erbacea perenne che supera la stagione avversa (nel nostro caso i mesi invernali) proteggendo le proprie gemme al di sotto del terreno nel bulbo, un organo di riserva in grado di produrre annualmente foglie, fusti e fiori. Il fusto è unico, robusto e presenta, sulla superficie, delle striature rossastre che vanno a scomparire nella parte più vicina al terreno, dove è avvolto dalle foglie. Le foglie hanno una forma obovato-lanceolata e, mano a mano che si sviluppano, avvolgono sempre meno il fusto. Sia nella pagina superiore che in quella inferiore sono evidenti le nervature parallelinervie. La pagina inferiore e le zone vicine al fusto, sono di un verde tenero, tendente al biancastro. I fiori sono riuniti in una infiorescenza spigata che a maturità diviene cilindrica (all'inizio è simile ad una piramide in quanto i primi fiori ad aprirsi sono quelli in posizione basale). Il perianzio è costituito da 2 verticilli di 3 tepali: i tre esterni sono molto simili tra loro se non per le dimensioni, esternamente non di color violaceo mentre internamente sono più chiari e puntellati di violaceo. Dei tre tepali interni i due laterali sono identici tra loro e di color verdastro mentre quello centrale, detto "labello", è trilobo: il lobo mediano è di color violaceo, biancastro al centro dove sono visibili le punteggiature e le striature violacee ed è diviso in due lacinie divergenti; lateralmente sono presenti 2 lobi, lineari e con margine denticolato. La fioritura di questa orchidea è abbastanza precoce inizia infatti a Febbraio per terminare verso Maggio. Ciclamino Famiglia: Primulaceae Genere: Cyclamen Specie: hederifolium (Aiton) Il Ciclamino napoletano(Cyclamen hederifolium Aiton) è una Geofita bulbosa: una pianta erbacea perenne con le gemme protette dal tubero sotterraneo nella stagione avversa. Le foglie hanno lamina poligonale con 5-9 angoli e con il margine dentellato. La pagina superiore ha una colorazione di base verdastra, interrotta da disegni biancastri mentre la pagina inferiore è invece generalmente purpurea. Sono evidenti anche le nervature che nascono nella parte basale della foglia (all’attacco del peduncolo roseo) e da qui si diramano a raggiera con nervature secondarie. Le foglie sono visibili solo dopo la fioritura che avviene tra agosto e ottobre. Il fiore è unico e inodore, portato da un lungo peduncolo pubescente, ed è costituito da una corolla con 5 lacinie rosa pallido. Una delle particolarità dei ciclamini è che i petali, durante il loro sviluppo, si rigirano dal basso verso l’alto compiendo un angolo di 180°. È per questo motivo che il calice, di color verde, è visibile solo quando il fiore è ancora in bocciolo e i petali, avvolti a spirale, guardano il terreno. Le lacinie hanno una forma ellittica con un restringimento alla base e due orecchiette laterali dove la colorazione diviene più scura, purpurea. All’interno è possibile osservare gli stami e lo stilo che raramente fuoriesce dalla bocca del fiore. Il frutto è una capsula globosa contenente numerosi semi. Come in tutti i ciclamini, il peduncolo si attorciglia in una stretta spirale con al centro il frutto stesso, in modo che i semi, di forma globosa, rimangano vicino al terreno. Questo ciclamino è una specie tipica di leccete o comunque boschi di caducifoglie umidi e freschi, dal livello del mare sino agli 1300m. ed ha una distribuzione Steno-Mediterranea (areale limitato alle coste mediterranee); in Italia è presente su tutto il territorio insulare e peninsulare sino alla Liguria e all’Emilia Romagna. Fiordaliso di Porto Venere Famiglia: Compositae Genere: Centaurea Specie: veneris (Somm.)Bèg. Il Fiordaliso di Porto Venere (Centaurea veneris (Somm.) Bèg.) appartiene alla famiglia delle Compositae, la stessa della comune margherita e del tarassaco ed è inserito nel gruppo di Centaurea cineraria , non ancora completamente studiato ma comprendente elementi con areale prevalentemente litoraneo. E’ un endemismo tipico del Promontorio e dell’Arcipelago di Porto Venere, ossia è presente esclusivamente abbarbicata sulle falesie a picco sul mare che caratterizzano la costa sud-occidentale. E’ una pianta erbacea perenne che forma piccoli cuscinetti sulle rupi calcaree tipiche dell’ambiente costiero del Parco Naturale Regionale di Porto Venere. Le foglie, nettamente divise sino alla nervatura centrale, si presentano totalmente rivestite di peluria biancastra che viene persa durante la crescita. I fiori sono riuniti in infiorescenze violacee apicali dette “capolini” (tipici delle Compositae). I singoli fiori sono morfologicamente differenti: quelli esterni, sterili, sono divisi in 2 lobi; quelli centrali invece sono ermafroditi e con forma tubulosa. La dispersione dei semi, acheni, avviene grazie ai pappi, strutture simili a peli di color biancastro che vengono facilmente trasportati dal vento. Papavero Famiglia: Papaveraceae Genere: Glaucium Specie: flavum (Crantz) Glaucium flavum Crantz è un papavero perenne di consistenza carnosa, che cresce sulle coste mediterranee e, all’interno del Parco Naturale Regionale di Porto Venere, esclusivamente nella spiaggia sassosa di Punta Secca e nella zona di approdo dell’Isola del Tino.Le foglie sono caratterizzate da una colorazione glaucescente, un verde biancastro che caratterizza l’intera pianta, hanno una forma pennatosetta con segmenti dentati e sono rivestite da un fitta peluria.I fiori sono costituiti da 4 petali obovati e leggermente sovrapposti, di un color giallo lucido e da 2 sepali vellutati rapidamente caduchi ma spiralati nel bocciolo. E’ possibile imbattersi nella fioritura tra maggio ed settembre.I frutti sono capsule lineari sub-cilindriche, lunghe 15-30 cm, spesso ricurve. Sono costituite da due valve che si aprono dalla sommità alla base per rilasciare i numerosi semi. Cisti Famiglia: Cistaceae Genere: Cistus Specie: creticus (Greuter & Burdet) Il Cisto rosso (Cistus creticus L. subsp. eriocephalus (Viv.) Greuter & Burdet, ex C. incanus L.) è un cespuglio ramosissimo, dall’aspetto biancastro a causa della presenza di peli sulla superficie delle foglie e soprattutto sul margine delle stesse, tanto da formare un feltro bianco. Le foglie hanno una forma ovato-lanceolata e la superficie di questa si presenta con un aspetto “grinzoso” a causa delle numerose nervature che l’attraversano.Ha un fiore di color roseo dall’aspetto molto delicato, simile alla carta velina che fiorisce tra aprile e maggio. E’ una pianta ampiamente diffusa nelle aree mediterranee dell’Italia, nella zona di gariga e macchia e con predilezione per un substrato calcareo ma molto rara in Liguria dove rappresenta il limite settentrionale della sua distribuzione. Famiglia: Cistaceae Genere: Cistus Specie: monspeliensis (L.) Famiglia: Cistaceae Genere: Cistus Specie: salviifolius (L.) Nel territorio del Parco sono presenti anche il Cisto di Montpellier (Cistus monspeliensis L.) e il Cisto femmina (C. salviifolius L.).Anche in questo caso si tratta di cespugli ma ampiamente diffusi in tutta la costa. Differiscono per la morfologia fogliare: la prima ha una lamina lineare-lanceolata e vischiosa, la seconda invece, ricorda la foglia della salvia (da qui appunto il nome della specie). Presentano entrambe una fioritura bianca, anche se di diverse dimensioni, che va da maggio ad ottobre e sono ampiamente diffuse su tutto il territorio costiero italiano, con l’eccezione della parte più continentale della penisola. Papavero Famiglia: Papaveraceae Genere: Glaucium Specie: flavum (Crantz) Glaucium flavum Crantz è un papavero perenne di consistenza carnosa, che cresce sulle coste mediterranee e, all’interno del Parco Naturale Regionale di Porto Venere, esclusivamente nella spiaggia sassosa di Punta Secca e nella zona di approdo dell’Isola del Tino.Le foglie sono caratterizzate da una colorazione glaucescente, un verde biancastro che caratterizza l’intera pianta, hanno una forma pennatosetta con segmenti dentati e sono rivestite da un fitta peluria.I fiori sono costituiti da 4 petali obovati e leggermente sovrapposti, di un color giallo lucido e da 2 sepali vellutati rapidamente caduchi ma spiralati nel bocciolo. E’ possibile imbattersi nella fioritura tra maggio ed settembre.I frutti sono capsule lineari sub-cilindriche, lunghe 15-30 cm, spesso ricurve. Sono costituite da due valve che si aprono dalla sommità alla base per rilasciare i numerosi semi. Pino d' Aleppo Famiglia: Pinaceae Genere: Pinus Specie: halepensis (Miller) Il Pino d'Aleppo (Pinus halepensis Miller) rappresenta nel territorio del Parco Naturale Regionale di Porto Venere l’unica conifera tipica delle zone costiere del Mediterraneo anche se il problema dell’indigenato, in epoche assai remote, è ancora aperto (Pignatti, 1982: Flora d’Italia). Resta comunque la conifera che maggiormente si adatta alla vicinanza dell’ambiente marino, tanto da trovarla sulle falesie che si gettano a picco sul mare grazie alle forti radici che penetrano nelle fessure delle rocce. La chioma è più “leggera” rispetto agli altri pini, molto ramificata e con piccoli e sottili aghi riuniti a gruppi di 2; il tronco, che spesso è molto contorto, è caratterizzato da una corteccia grigio chiara con fessurazioni rossastre. Su tutto il territorio è presente anche il Pino marittimo (P. pinaster Aiton) sulla cui presenza non esistono dubbi: almeno in queste zone è sicuramente di origine antropica, piantumato nel dopoguerra per l’utilizzo del legno (non da ardere a causa della resina) o semplicemente per creare lavoro in un momento di forte crisi. Attualmente le pinete di pino marittimo sono fortemente minacciate da parassiti che non trovano competitori naturali nell’ambiente: la famosa processionaria (Thaumetopoea pityocampa) che forma quei pericolosi nidi biancastri sulle cime dei rami giovani e la cocciniglia (Matsucoccus feytaudi), un insetto fitomizio che ne succhia la linfa. Il risultato è una distesa arancione di pini, totalmente secchi e morti. Leccio Famiglia: Fagaceae Genere: Quercus Specie: ilex (L.) Il Leccio (Quercus ilex L.) è una quercia sempreverde che caratterizza l’ambiente mediterraneo e si ritiene che questa bella pianta ne rappresenti il climax: la vegetazione mediterranea (gariga prima, macchia poi), senza intromissioni antropiche, tenderebbe ad evolversi in leccete, boschi in cui il leccio rappresenta la specie dominante, unica.Le foglie sono coriacee, lanceolate od ellittiche con margine intero o dentellato (nelle foglie giovani che si trovano nella parte bassa della pianta, alla portata di erbivori voraci), la pagina superiore è verde brillante, l’inferiore bianco-tomentosa. Il frutto, la ghianda, è appuntito e rivestito per la metà della sua lunghezza da una cupola emisferica rivestita da tante piccole “squame”, talmente appressate da formare una superficie liscia.Altre querce presenti sul territorio sono la Roverella (Q. pubescens Willd.) e il Cerro (Q. cerris L.). Sono querce caducifoglie molto simili tra loro e la possibilità di ibridarsi rende il riconoscimento molto difficoltoso. La differenza è visibile al momento della fruttificazione: nella prima la cupola della ghianda è costituita da squame giustapposte, simile alla disposizione delle tegole di un tetto, nella seconda invece sono presenti dentelli ricurvi ben evidenti. Esistono altri 2 caratteri che le differenziano: la corteccia (il Cerro presenta delle spaccature longitudinali dove è visibile l’interno, “il fellema”, rossastro) e il fatto che la Roverella mantiene le foglie secche sui rami sino alla formazione delle nuove gemme fogliari.Le Querce sono le piante maggiormente utilizzate da Imenotteri del genere Cynips che inducono la produzione delle famose “galle”. Questi insetti, generalmente piccole vespette, depongono le proprie uova sulle foglie o sui rami delle querce, inducendo in quest’ultime una produzione anomala dei tessuti interessati, generando così particolari strutture che ingloberanno le uova e che forniranno cibo alle future larve. Viticcino autunnale Famiglia: Orchidaceae Genere: Spiranthes Specie: spiralis La prima cosa da sottolineare delle affascinanti Orchidee, erbacee perenni, è che si tratta di specie in pericolo, talora minacciate di estinzione. Quindi il consiglio spassionato è quello di osservarle e di fotografarle in tutti i modi possibili ma senza prelevarle, nemmeno per fare un foglio d’erbario: se non trattate adeguatamente le orchidee perdono ben presto i loro magnifici colori!Nel territorio del Parco si trovano numerose specie di Orchidee: sono caratterizzate da bulbi ipogei, biancastri e carnosi dai quali si diparte il fusticino eretto che porterà l’infiorescenza. I fiori sono molto variabili a seconda della specie ma quasi tutti caratterizzati da un labello vivacemente colorato con lo scopo primo di attrarre i maschi delle specie impollinatrici: i vari disegni e pelosità riproducono l’addome delle femmine delle specie di cui sopra, fungendo da richiamo sessuale. Il maschio, pensando di andare a “trovare” la femmina, si cosparge di polline (si tratta di masse polliniche) che verrà trasportato sul fiore successivamente visitato.La Spiranthes è una Geofita rizomatosa, una Orchidea perenne, erbacea, che porta le gemme in posizione sotterranea. Durante la stagione avversa non presentano organi aerei e le gemme si trovano in organi sotterranei (rizomi) dai quali, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei.Le foglie sono raccolte in una rosetta laterale, hanno una lamina ovale od ellittica nella quale sono appena accennate le nervature parallelinervie. Sullo scapo sono presenti come guaine bratteiformi, avvolgenti ed acuminate.I fiori sono raccolti in infiorescenze a racemo con la peculiarità che si inseriscono in modo spiralato (da qui il nome della specie). Come in ogni orchidea il fiore è rappresentato da un perianzio costituito da 3 tepali in posizione superiore e tre tepali inferiori. Di questi ultimi, il centrale "labello" si differenzia dagli altri con la funzione di attrarre insetti impollinatori. E' di colore bianco e, nella parte più esterna, il margine è crenulato. Tutto il fiore, visibile tra ottobre e novembre, come anche lo stelo, è rivestito da peluria.I Viticcini, questo il nome volgare, sono tipici di ambienti aridi e pinete, dai 0m ai 900m s.l.m. ed hanno una distribuzione Europeo-Caucasica; in Italia è presente in tutto il territorio.Come nella maggior parte delle Orchidee anche in Spiranthes Spirales il fiore è resupinato: il labello, che dovrebbe occupare una posizione superiore, si ritrova invece in quella inferiore a causa di una torsione o dell'ovario o del peduncolo. Gariga Con il termine “gariga” si indica un ambiente mediterraneo caratterizzato da un terreno molto povero, con rocce affioranti e pochi cespugli per copertura. I cespugli tipici sono i Perpetuini (Helychrysum italicum (Roth) Don., H. stocheas (L.) Moench), la Ruta (Ruta angustifolia Pers., R. chalepensis L.), il Timo (Thymus vulgaris L.) associati ad erbe quali il Trifoglio bituminoso (Bituminaria bituminosa (L.) C. H. Stirt.). Una caratteristica che accomuna tutti questi elementi è il forte profumo sprigionato soprattutto durante la calura estiva: si tratta di oli essenziali contenuti all’interno delle cellule delle piante che vengono liberati a causa del calore solare. Famiglia: Compositae Genere: Helychrysum Specie: italicum (Roth) Don., H. stocheas (L.) Moench I Perpetuini sono piccoli cespugli caratterizzati da infiorescenze a capolino, apicali, di colore giallo e da foglie lineari molto sottili e rivestite da peluria grigiastra. I fusti sono legnosi alla base e l’intera pianta è dotata di un odore aromatico molto gradevole, che ricorda la liquirizia. Famiglia: Rutaceae Genere: Ruta Specie: angustifolia Pers., R. chalepensis L. La Ruta è una specie perenne con fiori giallo-verdi, ermafroditi e costituiti da 4 o 5 petali dotati di lunghe frange contorte e raccolte in infiorescenze apicali; foglie divise in tanti segmenti lobati con una colorazione blu-verdastra. E’ tipica di ambienti aridi e caratterizzata da odore molto pungente. Famiglia: Labiatae Genere: Thymus Specie: vulgaris (L.) Il Timo è un cespuglio con fusti legnosi alla base e molto ramificati. La corolla è a forma di tubo e di colore roseo biancastra mentre le foglie sono lineari e, come tutta la pianta, molto profumati, tanto da essere ampiamente utilizzate per aromatizzare cibi e bevande. Macchia Mediterranea La macchia mediterranea rappresenta lo stadio evolutivo che tende alla lecceta maggiormente diffuso nel territorio del Parco Naturale Regionale di Porto Venere. Non dobbiamo aspettarci un paesaggio uniforme, caratterizzato dalle stesse specie: si parla infatti di macchia a cisti, macchia a ginestra, macchia a corbezzolo a seconda dell’elemento dominante in quel momento. Spesso si parla di “macchia alta” e “macchia bassa” per cercare di schematizzare ciò che ci troviamo davanti ma dobbiamo sempre ricordare che l’unico fattore certo è il continuo dinamismo vegetazionale. Famiglia: Leguminosae Genere: Spartium Specie: junceum (L.) La Ginestra (Spartium junceum L.) è sicuramente un elemento essenziale della macchia mediterranea. E’ un arbusto che vive in ambienti molto soleggiati e su terreni calcarei ed è caratterizzato da una splendida fioritura gialla visibile da maggio a giugno. Particolare è l’impollinazione: l’insetto si appoggia sul labbro inferiore della corolla, ancora chiuso. Con il proprio peso riesce ad aprirlo trovandosi immerso in una nube di polline che si attaccherà al suo corpo. Il successivo fiore riceverà così non solo la visita dell’insetto ma anche quella del polline di un altro fiore.La macchia è caratterizzata anche da arbusti di maggiori dimensioni, talvolta presenti come sottobosco in una lecceta giovane. Esempi tipici possono essere: l’ Alterno (Rhamnus alaternum L. ); il Lentisco (Pistacia lentiscus L.); il Terebinto (P. terebinthus L.); il Mirto (Myrtus communis L., famoso per il liquore); il Viburno (Viburnum tinus L.). Associati a questi si trovano altre specie che costituiscono il famoso intrico che rende la macchia mediterranea impenetrabile: la strappabraghe o salsapariglia (Smilax aspera L.) ; la Robbia (Rubia peregrina L.); le Clematidi (Clematis vitalba L., C. flammula L.); l’Asparago selvatico (Asparagus acutifolius L.) Esotiche invasive Per esotiche invasive si intendono tutte quelle specie che sono state introdotte dall’uomo, volontariamente o meno, in un dato territorio, differente da quello d’origine. In tali luoghi però hanno ritrovato condizioni pedo-climatiche simili al loro e ciò ne ha permesso l’ampia diffusione a scapito delle specie spontanee e dando inizio ad un inquinamento ecologico. Due fra gli esempi più eclatanti, semplicemente perché trattandosi di alberi sono più visibili, sono la Robinia (Robinia pseudoacacia L.) e l’Ailanto (Ailanthus altissima (Miller) Swingle). Famiglia: Leguminosae Genere: Robinia Specie: pseudoacacia (L.) La Robinia (erroneamente chiamata anche Acacia) è un albero caducifolio che può arrivare anche a grandi dimensioni, appartenente alla famiglia delle Leguminose. Le foglie sono tipicamente pennatosette ed imparipennate (divise in tante foglioline dispari) mentre i piccoli e profumatissimi fiori bianchi sono riuniti in infiorescenze pendule. La pianta presenta delle spine molto grandi ed appuntite fittamente distribuite sui rami. La sua zona d’origine è l’America orientale e fu introdotta in Europa, a Parigi, nel lontano 1601 come pianta ornamentale da Robin (giardiniere del Re di Francia). In Italia risulta essere coltivata sin dal 1662 e nei secoli successivi utilizzata come rimboschimento per le sue lunghe e robuste radici. Famiglia: Simarubaceae Genere: Ailanthus Specie: altissima (Miller) Swingle L’Ailanto (Ailanthus altissima (Miller) Swingle) è un albero caratterizzato da fusti con rami lunghi portanti all’apice un ciuffo di foglie, dotate di un odore molto sgradevole, divise in molti segmenti ed imparipennate. E’ originaria della Cina ed introdotta in Italia nel 1760 con lo scopo di allevare la Sfinge dell’Ailanto (Phylosamia cynthia) in sostituzione del più famoso baco da seta. Contrariamente alla pianta ospite, il “baco” non è riuscito ad adattarsi alle nuove condizioni climatiche e molto presto quindi tale “allevamento” fu abbandonato e con esso l’ailanto. Grazie alla sua capacità di adattarsi a tutte le condizioni pedo-climatiche (riesce addirittura a crescere a bordo strada e lungo le ferrovie), alla sua rapida crescita, alla riproduzione tramite seme (il frutto -samara– ha una facile dispersione anemofila, via vento) e soprattutto tramite i lunghi stoloni sotterranei, l’Ailanto è riuscito ad occupare tutte le nicchie ecologiche presenti, anche quelle occupate da piante endemiche (tipiche del luogo) a crescita più lenta.Con prove di laboratorio è stato dimostrato che anche una sola cellula delle radici è in grado di rigenerare una nuova pianta, da qui si può capire quanto tale specie possa divenire invasiva e creare problemi di inquinamento ecologico anche in considerazione del fatto che a tutt’ora, almeno nel nostro Paese, non esistano nemici naturali che possano limitarne la diffusione.