DOSSIER / UNIFEED È la situazione da ricercare, tanto nell’allevamento del bovino da latte quanto in quello del bovino da carne, per ottenere un unifeed spinto al punto giusto L’obiettivo Fibra, amido e zuccheri in equilibrio di C.A. Sgoifo Rossi*, G. Baldi.*, R. Compiani*, C. Ulgheri**, V. Dell’Orto* È ormai assodato come un “unifeed” ben fabbricato sia il punto di partenza per conseguire performance eccellenti; esso infatti limita la possibilità di cernita del singolo alimento da parte dell’animale, riduce le variazioni del pH rumina­ le e i conseguenti rischi di dismetabolie, promuove una maggiore assunzione di alimento e, stimolando un maggior numero di pasti, riduce le variazioni di assunzione alimentare da un giorno all’altro (De Vries et al., 2005; Krause e Oetzel, 2006; Dohme et al., 2008; DeVries et al., 2009). Qualora l’animale abbia la possibilità di scegliere tra concentrato e foraggio, infatti, esso tenderà ad assumere inizialmente elevate quantità del primo con conseguente riduzione del pH ruminale, evento deleterio per la microflora in quanto ridotti valori di pH promuovono lo sviluppo dei batteri amilolitici inibendo crescita e funzionalità dei batteri cellulosolitici: i primi infatti riconoscono come ottimali valori di pH inferiori a 6, mentre i secondi superiori a 6,2 (Russel et al., 1992). Tale situazione può determinare la comparsa di fenomeni di acidosi subclinica o clinica a causa di un aumento della produzione di acidi grassi volatili (AGV) superiore alle potenzialità di assorbimento da parte dell’epitelio ruminale e riduzione del pH fino ai valori corrispondenti all’acidosi clinica quando la situazione è talmente grave da portare all’accumulo di acido lattico (Figura 1). Emerge pertanto e chiaramente come la somministrazione di un substrato con caratteristiche il più possibilmente costanti garantisca a sua volta una stabilità dei prodotti di fermentazione e della composizione della popolazione microbica, basilari per un efficiente funzionamento di un vero e proprio fermentatore quale il rumine. Il pH ruminale lungo la giornata *) Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per la Sicurezza Alimentare, Facoltà Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano. **) ED&F Man Liquid Products Italia. 30 Nonostante la corretta fabbricazione dell’unifeed rappresenti una garanzia per un ambiente ruminale il più possibile costante ed ottimale, indagini effettuate attraverso l’utilizzo di boli reticolo­ruminali dimostrano come vi sia comunque un’elevata variabi­ INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 DOSSIER / UNIFEED Fig. 1 – Conseguenze fisiologiche della riduzione del pH ruminale •(Schwartzkopf­Genswein et al., 2003). lità individuale nei valori di pH ruminale nell’arco della giornata (Figura 2. Krau­ se et al., 1998). Si osserva infatti una diminuzione del pH ruminale nelle ore immediatamente successive alla distri­ buzione della miscelata, poiché l’anima­ le tende ad assumere elevate quantità di alimento nel momento immediatamente seguente alla sua somministrazione. La variabilità tra i soggetti è da ricondur­ si, oltre che alle peculiarità digestive soggettive, anche alla differente quanti­ tà di alimento assunto, in quanto questa è in grado di condizionare il valore di pH ruminale. Nella figura 3, che evidenzia l’andamento del pH in un soggetto dota­ to di bolo ruminale, si osserva infatti co­ me ad un’elevata assunzione di alimento ad alto contenuto energetico nei giorni 1 e 2 faccia seguito una importante ridu­ zione del pH a cui però consegue nei giorni successivi un aumento dovuto ad una minor assunzione (“off feed”) indotta dalle condizioni di acidosi subclinica (pH < 5,8 per più di 12 h/giorno) e volta a ripristinare valori di pH ruminale ottimali (Schwartzkopf­Genswein et al., 2003). Altri meccanismi possono però interve­ nire nel regolare l’assunzione alimentare nei ruminanti. Allen et al. (2009) riporta­ no a riguardo la “Teoria dell’ossidazione INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 Fig. 2 – Variazione del pH ruminale in funzione della distanza dal momento di •somministrazione della dieta in manzi in fase di finissaggio (Krause et al., 1998). epatica del propionato”, secondo la qua­ le, l’elevata assunzione di alimento deter­ mina una altrettanto elevata produzione di acido propionico a livello ruminale ed il conseguente accumulo di quest’ultimo a livello epatico qualora la sua quota ecce­ da quella necessaria al processo gluco­ neogenetico. Il propionato in questione, sempre a livello epatico, viene quindi os­ sidato a scopi energetici con produzione di ATP, il cui accumulo determina l’invio del segnale di riduzione dell’appetito at­ traverso la via afferente, tramite il nervo vago, dal fegato a livello cerebrale. In una recente review, Sartin et al. (2011) descrivono ulteriori meccanismi che intervengono nella regolazione del­ l’assunzione, evidenziando che l’aumen­ to della glicemia e della concentrazione di AGV a livello ruminale conseguenti ad elevata assunzione di alimento determi­ nano una maggiore secrezione di greli­ na, la quale promuove il senso di sazietà. Prevenire fenomeni di sub­acidosi Come visto in precedenza, fenomeni di acidosi e sub­acidosi oltre che penalizza­ re il funzionamento del complesso pre­ stomacale, sono in grado di determinare, – Variazione di pH ruminale e assunzione alimentare in un manzo alimentato con tecnica unifeed •perFig.un3periodo di 7 giorni (dieta: 115% del fabbisogno, 14,6% PG, 92% di concentrati, orzo prevalente fonte amilacea). Le frecce indicano il momento di somministrazione della miscelata, la linea indica il valore di pH pari a 5,8 (Bauchemin, dati personali, da Schwartzkopf­Genswein et al., 2003). 31 DOSSIER / UNIFEED • Fig. 4 – Effetto della peNDF 1,18 dietetica sull’attività masticatoria (Zhao et al., 2011). attraverso varie vie, una riduzione di as­ sunzione alimentare con intuibili riflessi negativi sulla produzione di latte e carne. Pur considerando come una quota di va­ riabilità sia fisiologica, emerge quindi co­ me sia necessario mettere in atto tutte le strategie nutrizionali in grado di prevenire tali fenomeni ed in particolare se si consi­ dera che il continuo incremento dei costi di produzione impone la massimizzazione dell’efficienza e delle performance pro­ duttive, obiettivo normalmente ricercato attraverso la somministrazione di diete caratterizzate da elevato livello nutritivo. • Fig. 5 – Correlazione tra peNDF 1,18 dietetica e pH ruminale (Zebeli et al., 2008). TAB. 1 – VALORI DI NDF E peNDF DI ALCUNI ALIMENTI FIBROSI Alimento Fieno di leguminosa, lungo NDF (%s.s) 42­55 > 1,18 mm peNDF (%s.s.) 0,92 39­51 Fieno di leguminosa, macinato grossolano 42­55 0,82 34­45 Fieno di leguminosa, macinato fine 42­55 0,67 28­37 Fieno di graminacea, lungo 55­70 0,98 54­68 Fieno di graminacea, macinato grossolano 55­70 0,88 48­62 Fieno di graminacea, macinato fine 55­70 0,73 40­51 Insilato di mais, trinciato grossolano 51 0,81 41,3 Insilato di mais, trinciato fine 51 0,61 31,1 Polpe di barbabietola 54 0,33 17,8 Trebbie di birra 46 0,18 8,3 Farina di erba medica 45 0,06 2,7 Buccette di soia 67 0,03 2 Crusca di frumento 40 0,02 0,8 (Mertens, 1997 modificata) 32 Tale approccio eleva però il rischio di fenomeni di acidosi clinica o subclinica, i quali possono essere evitati solo equili­ brando in maniera corretta le varie com­ ponenti dell’unifeed e in special modo quelle da cui principalmente dipende quantità e tasso di produzione degli AGV, cioè fibra fisicamente efficace (peNDF) e carboidrati non fibrosi (NFC). La peNDF L’efficacia fisica dell’NDF (peNDF = NDF fisicamente efficace) di un alimen­ to definisce la sua capacità di stimolare l’attività masticatoria e la ruminazione, nonché di influenzare la costituzione bi­ fasica del contenuto ruminale. La peN­ DF è determinata moltiplicando il valore di NDF per la frazione di alimento tratte­ INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 DOSSIER / UNIFEED nuta da un setaccio con maglie da 1,18 mm (Allen, 1997; Mertens 1997). Come si può evincere dalla tabella il peNDF è direttamente proporzionale al­ la lunghezza dell’alimento ed è maggio­ re nei foraggi rispetto ai concentrati fi­ brosi (Tabella 1), fattore da tenere ne­ cessariamente presente qualora si operasse una sostituzione, anche solo parziale, dell’NDF da foraggio con l’NDF da concentrato. La presenza di adeguate concentrazioni di peNDF nelle diete dei ruminanti è fondamentale in quanto da un lato sti­ mola la masticazione promuovendo la secrezione di saliva necessaria a tampo­ nare l’acidità prodotta a livello ruminale, dall’altro favorisce la costituzione del co­ siddetto “mat”, aggregato di natura fibro­ sa galleggiante posto a livello dorsale nella stratificazione ruminale, che tratte­ nendo le componenti di dimensioni mi­ nori (siano esse fibrose o meno) ne con­ sente un maggior tempo di permanenza nel rumine. L’attività masticatoria (Figura 4) e il valore di pH ruminale (Figura 5), sono infatti strettamente correlati al li­ vello di peNDF della dieta. Recentemente è stato inoltre evidenzia­ to come, nella bovina da latte, oltre alla peNDF precedentemente descritta, de­ finita peNDF1,18, sia utile considerare TAB. 2 – VALORI DI peNDF1,18 RACCOMANDATI IN FUNZIONE DELL’ASSUNZIONE DI ALIMENTO E DELLA CONCENTRAZIONE DI AMIDO DEGRADABILE DA CONCENTRATI (RDSG). Assunzione di sostanza secca (kg/d) RDSG (% s.s.) 18 20 22 24 26 10 28,5 29,2 29,9 30,7 31,4 14 30 30,8 31,5 32,2 32,9 18 31,6 32,2 33 33,8 34,5 22 33,1 33,8 34,6 35,3 36 (Zebeli et al, 2012) anche la peNDF8, ovvero la quota di NDF con lunghezza maggiore ad 8 mm in quanto maggiormente correlata all’at­ tività masticatoria e ruminativa, pur in assenza di differenze apparenti in termi­ ni di pH ruminale rispetto alla peNDF1,18. (Zebeli et al., 2012) Alcuni autori (Zebeli et al., 2008 e 2012), evidenziano che il livello di peN­ DF ottimale non è assoluto ma è in fun­ zione sia dell’assunzione giornaliera di alimento che della concentrazione di carboidrati non strutturali della dieta. In­ fatti, al fine di evitare il rischio di incorre­ re in fenomeni di SARA (acidosi sub­cli­ nica: pH ruminale medio giornaliero < di 6,1 o pH ruminale < di 5,8 per più di 5,24 ore al giorno), il livello raccomanda­ TAB. 3 – CARBOIDRATI: DEGRADABILITÀ RUMINALE Frazione CNCPS Degradabilità ruminale (%/h) CHO A 1 (AGV) 0 CHO A 2 (acido lattico) 7 CHO A 3 (altri acidi organici) 5 CHO A 4 (zuccheri) CHO B1 (amido) CHO B2 ( CHO B 3 CHO C fibra solubile: pectine e β­glucani) 40 – 60 20 – 40 20 – 40 (NDF disponibile) 4–9 (NDF non disponibile) 0 (CNCPS V6.1. Da Van Amburgh et al., 2012) INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 to di peNDF1,18 nell’alimentazione della bovina da latte dovrebbe essere ade­ guato in relazione alla concentrazione di amido degradabile (Tabella 2). È comunque riconosciuto che l’apporto di elevate concentrazioni di peNDF se da un lato riduce il rischio di importanti oscillazioni del pH ruminale, dall’altro può causare una riduzione dell’assun­ zione di alimento e della produzione lat­ tea, aspetti questi che, nella pratica, sti­ molano il nutrizionista alla continua ri­ cerca del delicato equilibrio tra massimo livello nutritivo e “benessere” del rumine. I carboidrati non fibrosi NFC I carboidrati non fibrosi (NFC) sono co­ stituiti sia da alcuni componenti della parete cellulare ad elevata degradabilità ruminale, che da carboidrati endocellu­ lari in soluzione o con funzione di riserva. Nello specifico trattasi di pectine (non contemplate nei carboidrati non struttu­ rali, NSC), amido (che rappresenta circa il 90% degli NFC nei cereali), fruttani, β­glucani, zuccheri semplici (mono e di­ saccaridi) ed acidi organici. Amido e zuccheri semplici hanno come principale prodotto terminale di fermen­ tazione l’acido propionico e l’acido butir­ rico e rappresentano il substrato d’ele­ zione per il batteri lattici (Streptococcus bovis soprattutto). Dalla fermentazione di pectine (di cui sono ricche le polpe di bietola ed il pastazzo d’agrumi) e β-glu­ 33 DOSSIER / UNIFEED Effetto della degradabilità ruminale dell’amido dietetico sui valori di •pHFig.e sul6 –rapporto acetato:proprionato (Gulmez e Turkmen, 2007). cani (di cui è particolarmente ricco l’orzo) invece, viene prodotto acetato ma non lattato, con conseguente riduzione dei feno­ meni acidogeni e positivo contributo sul livello lipidico del latte. Per quanto concerne la degradabilità di tali componenti l’ultima versione del sistema sistema CNCPS (Cornell Net Carbohydra­ te and Protein System), distingue otto frazioni di carboidrati in funzione della degradabilità oraria a livello ruminale (Tabella 3). La degradabilità ruminale e il tasso di degradazione (Tabella 4) dipendono oltre che dalla fonte vegetale anche dai trattamenti termo­meccanici condizionando sia la disponibilità di scheletri carboniosi a livello ruminale per la sintesi di proteina microbica che la quantità e cinetica di produzione degli AGV (acido propionico in particolar modo). Ad esempio, la macinatura aumenta la superficie esposta all’attacco batterico, i tratta­ menti termo­pressori (fioccatura, estrusione, laminatura) au­ mentano la superficie esposta e promuovono la rottura del globulo di amido e la sua gelatinizzazione rendendolo mag­ giormente degradabile, mentre con l’insilamento l’umidità fa­ vorendo la replicazione dei microrganismi presenti sui vegetali, promuove la degradazione delle prolamine e la destrutturazio­ ne del globulo di amido (Villas Boas, 2009). Amido degradato a livello ruminale o intestinale? La degradabilità ruminale dell’amido somministrato con la dieta influenza direttamente il valore di pH ruminale ed il rapporto tra acetato e propionato; all’aumentare della degra­ 34 INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 DOSSIER / UNIFEED dabilità ruminale dell’amido dietetico si ha infatti un aumento della sintesi di propionato in luogo dell’acetato con ri­ duzione del pH ruminale (Gulmez e Tu­ rkmen, 2007, Figura 6). L’aumento della concentrazione di ami­ do comporta quindi un aumento del­ l’energia disponibile ma anche il rischio di un’eccessiva diminuzione del pH ru­ minale con pericolo di dismetabolie di­ gestive. Con l’intento di ridurre tale ri­ schio pur mantenendo un livello nutritivo delle diete elevato, spesso si interviene sulla granulometria della fonte amilacea al fine di aumentarne la quota di amido digerita a livello intestinale. Da un punto di vista teorico tale approc­ cio risulta certamente condivisibile dal momento che l’efficienza di metaboliz­ zazione dell’amido a livello intestinale è superiore rispetto a quella ruminale ma, INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 Fig. 7 – Spostamento del sito di digestione dell’amido dal rumine all’intestino ed efficienza energetica. •Digeribilità intestinale dell’amido: 0.60; ■ 0.65; ▲ 0.70; × 0.75; ■ 0.80; ● 0.85; + 0.90. (Hunington et al, 2006). u come specificato in seguito, vi sono, an­ che in questo caso, dei meccanismi di regolazione che devo essere tenuti in stretta considerazione in relazione alle caratteristiche delle diete utilizzate. È infatti opportuno precisare che, in pri­ mis, la digestione enterica dell’amido pur determinando un aumento del glu­ cosio disponibile da parte dei visceri drenati dalla vena porta (apparato ga­ 35 DOSSIER / UNIFEED • Fig. 8 – Relazione tra l’amido in ingresso e quello digerito nell’intestino tenute (Huntington et al., 2006). TAB. 4 – CONTENUTO E DEGRADABILITÀ RUMINALE DELL’AMIDO IN ALCUNI ALIMENTI % s.s. Degradabilità (%) Tasso di degradazione (%/h) Mais insilato granella rotta 30,9 82 32 Mais insilato granella non rotta 30,9 82 25 Mais pastone 71,4 86 30 Mais granella rotta 74,8 65 10 Mais farina 74,8 76 15 Mais fiocchi 75,6 85 25 Mais semola 40 81 50 Orzo farina 52,3 88 30 Orzo fiocchi 52,3 93 35 Frumento farina 64 89 40 Frumento crusca 13 88 40 Alimento (Nocek e Tamminga, 1991; Lanzas et al., 2007) stroenterico, pancreas e milza), spesso non si traduce effettivamente in aumen­ to dell’attività metabolica, dal momento che tale glucosio viene utilizzato come fonte energetica preferenziale al posto di acidi grassi volatili, lipidi ed aminoacidi altrimenti utilizzati a tale scopo (Hunti­ gton et al., 2006; Noizère et al., 2010). È comunque indiscusso che l’efficienza di digestione dell’amido, espressa come % di energia digeribile (Ed) sul totale del­ l’energia lorda, risulta massima a livello dell’intestino tenue (97%), mentre è mi­ nore a livello ruminale (80%) e ancor più bassa nell’intestino crasso (62%) (Hunti­ gton et al., 2006). La digeribilità dell’ami­ 36 do è però costante a livello dell’intestino crasso (44%), mentre a livello ruminale e di intestino tenue dipende dalla quantità somministrata, dalla fonte vegetale e dai trattamenti termo­meccanici (Huntigton et al., 2006; Noizère et al., 2010). Nello specifico e al fine di comprendere i complessi meccanismi da considerare per una corretta ripartizione tra amido di­ sponibile a livello ruminale e di intestino tenue, si sottolinea che mentre vi è un aumento proporzionale della digeribilità dell’amido a livello ruminale all’aumentare della sua disponibilità per una progressi­ va selezione a favore dei batteri amilolitici, lo stesso non si verifica nel tratto enterico in cui la relazione può risultare persino inversa per i seguenti 3 motivi (Harmon et al., 2004; Huntington et al., 2006): ­ down regulation della secrezione di α­amilasi a livello pancreatico, fonda­ mentali per la digestione dell’amido ­ saturazione delle maltasi e delle α­glu­ cosidasi situate a livello della membrana dei microvilli intestinali e fondamentali per l’assorbimento ­ saturazione del trasportatore per il glu­ cosio anch’esso fondamentale per l’as­ sorbimento. In termini di efficienza energetica, Hunti­ gton et al. (2006), sostengono come in diete per bovini da carne risulti conve­ niente spostare il sito di digestione del­ l’amido dal rumine all’intestino solo quan­ do la digeribilità a livello di intestino tenue sia superiore al 75% (Figura 7), situazio­ ne che si verifica unicamente quanto l’af­ flusso di amido non trattato termicamen­ te risulti inferiore ai 700 g/d (Figura 8). Con valori di digeribilità inferiori infatti giungerebbe una quantità eccessiva di TAB. 5 ­ COMPARAZIONE DELL’EFFETTO SULLE PERFORMANCE DI ALLEVAMENTO IN MANZI ALIMENTATI CON MAIS SOTTOFORMA DI GRANELLA ESSICATA O DI FARINA. Autore % Mais nella dieta IPMG Assunzione di alimento Corona et al., 2005 75,30 ­3,70% ­2,00% Scott et al., 2003 62,50 ­1,60% ­4,70% Scott et al., 2003 62,50 ­1,10% pari media 66,77 ­2,13% ­2,23% (Zinn et al., 2011 modificata) INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 DOSSIER / UNIFEED amido nell’intestino crasso, ove la sua digestione è, come precedentemente sottolineato, molto inefficiente e tale da render lo spostamento del sito digestivo energeticamente sconveniente. Considerando una degradabilità rumina­ le media dell’amido del 75% (Huntign­ ton et al., 2006) e pertanto un by­pass del 25%, lo spostamento del sito di dige­ stione dal rumine all’intestino risultereb­ be pertanto conveniente solo per apporti di amido inferiori ai 2,8 kg/capo/d (equi­ valenti a circa 4 kg di mais farina) in quanto con 2,8 kg già si raggiunge la soglia dei 700 g/d poc’anzi evidenziata. Huntignton et al. (2006), riportano infatti che in una dieta per vitelloni al 40% di amido e considerando un’assunzione di s.s. pari a 10 kg/capo/d, la digeribilità dell’amido a livello di intestino tenue già si riduce a circa il 60% (Figura 7), evi­ denziando che in tali condizioni, corri­ spondenti in sostanza a quelle normal­ mente presenti negli allevamenti intensi­ vi del bovino da carne, lo spostamento del sito digestivo dell’amido dal rumine all’intestino risulta sconveniente. Tale considerazione diventa ancor più Fig. 9 – Effetto sulla produzione di butirrato dell’inclusione di lattosio nella dieta di bovine da latte •(DeFrain et al., 2006) (p < 0,01). evidente con apporti di mais sottoforma di granella intera anziché farina, condi­ zione in cui certamente la degradabilità ruminale dell’amido si riduce a valori pari o inferiori al 60 % (Tabella 4), e pertanto la soglia dei 700 g/d di amido intestina­ le si raggiunge già con l’apporto di 1,750 kg/capo/d di amido, equivalenti a circa 2,340 kg di granella di mais. A tale pro­ posito, in una recente review Zinn et al. (2011) evidenziano come, in diete per bovini da carne caratterizzate da elevata inclusione di mais, l’utilizzo di granella intera in luogo della farina determini uno scadimento delle performance di alleva­ mento (Tabella 5). A riguardo è inoltre doveroso precisare che uno spostamento inadeguato, cioè non ponderato in relazione alle caratteri­ stiche della dieta, a livello enterico del sito digestivo dell’amido, comporta un aumento della quantità di amido fermen­ tata a livello dell’intestino crasso, con produzione soprattutto di acido lattico, il TAB. 6 – CONCENTRAZIONE DI ZUCCHERI (% S.S.) NEI PRINCIPALI FORAGGI E CONCENTRATI UTILIZZATI NELL’ALIMENTAZIONE DEI RUMINANTI Insilati Fieni Concentrati Contenuto medio, % Contenuto medio, % Mais 1,1 Frumento 7,8 Frumento 4,3 Loiessa Loiessa 5,3 Panico Prato polifita 4,4 Orzo Mais, granella 1,48 10,8 Mais, glutine 0,95 6,6 Mais, distillers 2,5 Sorgo 4,6 Orzo, granella 2,5 0,9 Prato polifita 8,9 Crusca di frumento 6,03 2 Medica 5,5 Farinaccio di frumento 8 4,4 Paglia 1 Girasole, f.e. 24% PG 4 Colza, f.e. 11,12 Soia, f.e. 11,45 Soia seme integrale 11,45 Polpe di barbabietola 5,11 Sorgo foraggio Medica Mais, pastone integrale 1,74 Mais, pastone granella Contenuto medio, % 1,92 (Crovetto, 2007; Dell’Orto e Savoini 2005). INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 37 DOSSIER / UNIFEED Fig. 10 – Effetto della somministrazione di diete a bassa (2,8 %) ed elevata (5,7 %) concentrazione di •zuccheri sui valori di pH ruminale (Penner et al., 2009) (p < 0,1). quale può determinare un calo del pH con selezione di ceppi acido resistenti, quale l’E. coli enterotossigeno con con­ seguente pericolo di enterotossiemie per l’animale ed il possibile aumento di E.coli O157:H7 pericoloso per l’uomo. Di più, in concomitanza dei fenomeni diar­ roici normalmente associati ad una pre­ senza eccessiva di amido, si ha un’ulterio­ re riduzione della digeribilità dell’amido a livello di intestino tenue il quale viene fer­ mentato ad acido lattico con produzione dei 2 isomeri, l’acido L­ e D­lattico i quali vengono entrambi assorbiti e diffondono nel sangue ma mentre l’acido L­lattico viene metabolizzato a livello epatico ciò non avviene per l’acido D­lattico che si accumula a livello ematico causando aci­ dosi metabolica. A conforto di tale tesi, si evidenzia come Omole et al. (2001) ri­ scontrarono maggiori livelli di entrambi gli epimeri dell’acido lattico sia nelle feci che a livello ematico in vitelli diarroici. contrario di quanto spesso ritenuto, a limitare il rischio di acidosi se il loro con­ tenuto risulta adeguato. Gli zuccheri semplici, intesi come mono­ e disaccaridi (saccarosio, lattosio, malto­ sio, cellobiosio, glucosio, galattosio), so­ no fisiologicamente presenti nella com­ ponente vegetale dei principali costi­ tuenti della dieta dei ruminanti, siano essi foraggi o concentrati (Tabella 6). Varietà e momento di raccolta sono fattori in gra­ do di influenzare la concentrazione zuc­ cherina. Berthiaume et al., in una review del 2010, riportano in animali alimentati con una varietà di loietto ad elevata con­ centrazione di carboidrati solubili rispetto al loietto tradizionale, una maggior sintesi di proteina microbica, una maggior effi­ cienza di utilizzo dell’azoto dietetico ed un maggiore incremento di peso. Relativamente al momento della raccolta è noto che la pianta accumula i carboidra­ ti durante il giorno tramite la fotosintesi e li utilizza a fini energetici nelle ore nottur­ ne tramite la respirazione. Un foraggio raccolto nelle ore tardo­pomeridiane pre­ senta pertanto una concentrazione mag­ giore di carboidrati solubili (zuccheri). Si ricorda inoltre che l’insilamento riduce la concentrazione zuccherina dei forag­ gi in quanto i microrganismi li utilizzano quale substrato per la sintesi in via ana­ erobia di acido lattico e per tale motivo le diete caratterizzate da quantità rappre­ sentative di insilati come quelle delle nostre realtà da carne e da latte andreb­ bero bilanciate per apporto di zuccheri. Le principali materie prime zuccherine sono rappresentate dai melassi di bietole e di canna da zucchero, dal siero (in pol­ vere o liquido, da noi poco usato però nell’alimentazione dei ruminanti) e dal pastazzo di agrumi, residuo della lavora­ zione industriale degli agrumi, particolar­ mente ricco in zuccheri e pectine. Le ma­ terie prime zuccherine liquide (melasso), oltre ai benefici dietetici sono in grado di operare un’efficace azione “legante” del­ l’unifeed in grado di ridurre la possibilità di scelta da parte dell’animale sia della Zuccheri semplici Gli zuccheri rappresentano un'altra componente essenziale della dieta in grado di elevare il livello nutritivo della razione e possono inoltre contribuire, al 38 11 – Effetto della sostituzione di amido con zuccheri semplici sull’ingestione di alimento in vacche •in Fig. lattazione (Broderick et al., 2008) (a,b p < 0,05). INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 DOSSIER / UNIFEED componente grossolana che di quella fi­ ne, operando tale azione in maniera più efficace rispetto all’aggiunta di acqua (Sgoifo Rossi et al., 2010; Firkins, 2011). L’inclusione di zuccheri nella dieta dei ruminanti ha un importante impatto sia sulla fisiologia del rumine che, di riflesso, a livello produttivo, come recentemente evidenziato in una esaustiva review sul­ l’argomento di Oba (2011). pH ruminale, produzione di AGV e sintesi microbiche Numerosi studi condotti sia vitro che in vivo hanno dimostrato un incremento della produzione di butirrato a seguito di somministrazione di zuccheri. Tale risul­ tato è stato evidenziato anche a seguito di sostituzione di quota parte dell’amido dietetico con glucosio, saccarosio, latto­ sio e anche galattosio (Figura 9), ma INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 non a seguito di sostituzione con poli­ saccaridi come xylosio e arabinosio. A riguardo è interessante precisare che la misurazione della produzione di butir­ rato ruminale è difficoltosa e spesso sot­ tostimata in quanto la concentrazione è funzione sia della quantità prodotta che di quella assorbita e il suo assorbimento è decisamente più rapido rispetto a quel­ lo di acetato e propionato. L’inclusione di zuccheri in sostituzione di quota parte dell’amido nella razione di ruminanti de­ termina invece o una riduzione o l’assen­ za di differenze significative sulla con­ centrazione ruminale di propinato con riflessi pertanto positivi sul pH ruminale. L’utilizzo di zuccheri semplici sembra inoltre determinare un aumento della concentrazione di acido valerico. Nonostante il tasso di degradabilità più elevato rispetto all’amido (CNCPS: 40­ 60 %/h per gli zuccheri vs 20­40 %/h per gli amidi), diversi sono gli studi che evidenziano un aumento del pH rumina­ le a seguito di inclusione nella dieta di zuccheri in sostituzione di quota parte dell’amido (Figura 10. Chamberlain et al., 1993; Heldt et al., 1999; Penner et al., 2009; Penner e Oba, 2009). Nonostante tali evidenze, non è comun­ que ancora ben chiaro l’esatto meccani­ smo attraverso il quale l’aumento della concentrazione zuccherina della dieta determini una riduzione del pH ruminale anche se tra le ipotesi più accreditate e condivise figurano le seguenti: ­ gli zuccheri forniscono una minore quantità di carboni fermentabili dai mi­ crorganismi ruminali per unità di massa rispetto all’amido; ­ gli zuccheri sono in grado di promuove­ re un maggiore tasso di passaggio attra­ 39 DOSSIER / UNIFEED • Fig. 12 – Effetto della sostituzione di amido con zuccheri semplici sul titolo lipidico del latte (Broderick et al., 2008) (a,b p < 0,05). verso il rumine ed una maggiore sintesi microbica, riducendo la quota di sub­ strato disponibile per esser fermentato ad AGV ed il tempo di contatto con la popolazione microbica ruminale; ­ gli zuccheri vengono utilizzati per la sinte­ si di glicogeno specialmente da parte dei protozoi Olotrichi (soprattutto glucosio, fruttosio e saccarosio), con conseguente riduzione della quota fermentescibile; ­ gli zuccheri determinano un’aumentata sintesi di butirrato e valerato a discapito di acetato e propionato, con una riduzione di protoni prodotti per unità di sostanza or­ ganica degradata; dalla fermentazione di una mole di glucosio è ottenibile una sola mole di butirrato, mentre sono ottenibili due moli o di acetato o di propinato; ­ grazie alla maggior produzione di butir­ rato gli zuccheri promuovono sviluppo e attività dell’epitelio ruminale, inoltre esso determina una riduzione dell’apoptosi cellulare (Connor et al., 2009), come conseguenza le cellule dell’epitelio sono in grado di assorbire una maggiore quantità di AGV determinando un au­ mento del pH ruminale. In linea teorica quindi, l’utilizzo di una fonte energetica a fermentescibilità mol­ to rapida potrebbe essere inoltre in gra­ do di promuovere una maggiore sintesi di proteina microbica, a seguito di un 40 aumento della possibilità di matching della produzione di scheletri carboniosi con la produzione di ammoniaca deri­ vante soprattutto dalla fermentazione di fonti di proteina solubile. Assunzione di alimento e performance produttive L’inclusione di zuccheri in razione si tra­ duce normalmente in un aumento di as­ sunzione di alimento (Figura 11) conse­ guente sia alle loro proprietà appetizzan­ ti sia alla modulazione nella produzione di AGV sopra descritta. Stimolando infat­ ti la sintesi di valerato (derivante dalla condensazione di acetato e propionato), si ha una riduzione della quota di propio­ nato assorbito e veicolato al fegato, evi­ tando il rischio di un suo eccesso rispet­ to alla quantità necessaria alla sintesi di glucosio e alla sua conseguente ossida­ zione e accumulo di ATP (adenosina tri­ fosfato) con effetti negativi sull’assun­ zione alimentare (Allen et al., 2009). Alcuni autori ipotizzano inoltre un mi­ glioramento del consumo di sostanza secca dovuto ad un aumento della dige­ ribilità della frazione fibrosa. Diversi studi condotti in vivo evidenziano infatti come l’inclusione di zuccheri in luogo di amido nelle razioni per bovine da latte migliori la digeribilità dell’NDF o non determini effetti negativi. Firkins (2011) riporta che il miglioramento della digeribilità dell’NDF conseguibile attra­ verso il corretto bilanciamento degli zuc­ cheri nella razione è la conseguenza di una maggiore disponibilità a livello rumi­ nale di prodotti secondari con azione di fattori di crescita per i batteri fibrolitici, derivanti dalla fermentazione stessa de­ gli zuccheri. A riguardo, un recente stu­ dio di Wang et al., (2012) evidenzia co­ me la somministrazione di butirrato in bovini da carne determini un’aumentata attività di xilanasi e carbossimetilcellula­ si con conseguente maggiore digeribili­ tà dell’NDF della dieta. Dal punto di vista produttivo, la maggiore assunzione e degradabilità della frazione fibrosa sono notoriamente e strettamente correlate alla produzione di latte e all’incre­ mento ponderale medio giornaliero men­ tre la maggiore produzione di acido butirri­ co è sempre associata ad una migliore efficienza alimentare (Guan et al., 2008). Nelle bovine dal latte, l’inclusione di zuc­ cheri in razione, determina inoltre un au­ mento del tenore lipidico (Figura 12). Tale effetto viene ascritto ad una riduzione a livello ruminale delle bioidrogenazioni par­ ziali a carico degli acidi grassi, principale causa della depressione del titolo lipidico del latte. Riberiro et al., 2005 riportano INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 DOSSIER / UNIFEED infatti una riduzione dei fenomeni di bioidrogenazione a seguito dell’incremento della concentrazione di saccarosio in vitro, men­ tre Penner e Oba (2009) evidenziano, in vivo, una riduzione della concentrazione lattea di acidi grassi trans C 18:1. A seguito di tali evidenze, Firkins (2011) sostiene che l’inclu­ sione di zuccheri nella dieta (fino al 5% di della s.s. della dieta) rappresenti una strategia decisamente efficace al fine di ridur­ re il rischio di comparsa della sindrome da depressione del titolo lipidico del latte. In conclusione In conclusione e sulla base di quanto riportato si vuole sottolinea­ re come la fabbricazione di un unifeed “adeguato” si debba basa­ re non solo su aspetti importanti come l’accuratezza di carico, i tempi di miscelazione, la lunghezza di taglio, la conoscenza delle caratteristiche nutrizionali degli alimenti, la salubrità degli stessi, ecc., argomenti attualmente alla ribalta, ma anche su aspetti più “datati” ma comunque sempre basilari e in alcuni casi ancora da chiarire, come le caratteristiche composizionali della razione con specifico riferimento al tipo di allevamento, al livello genetico e di management dell’azienda e agli obiettivi dell’allevatore. Non a caso Zebeli et al. (2010, 2012) evidenziano che il livello di peNDF ottimale non è assoluto ma è in funzione sia dell’assunzione giornaliera di alimento che della concentrazione di carboidrati non strutturali della dieta consigliando un rapporto tra peNDF e amido degradabile a livello ruminale di 1,45:1 o ancora Firkins (2011) che raccomanda un’inclusione massima pari al 37% della s.s di NFC e del 25% della s.s. di amido in diete a base di insilato di mais e pari al 40% della s.s. di NFC e valori anche superiori al 25% di amido, in diete invece a base di erba medica o graminacee affienate o insilate. Relativamente agli zuccheri diversi autori concordano che una loro supplementazione in quota pari al 2,5­5% della dieta (oltre a quelli naturalmente presenti negli alimenti), promuova un significativo aumento del tenore lipidico del latte e dell’assun­ zione di sostanza secca. Con specifico riferimento a quest’ultimo argomento certamente meno considerato nella pratica rispetto ad NDF, peNDF, Amido e NFC, le più recenti acquisizioni evidenziano come gli zuccheri svolgano un ruolo importante nelle diverse fasi del ciclo produttivo sia del bovino da latte che da carne. Nello specifico, nella vacca in transizione e nel bovino da carne di nuovo arrivo svolgono un’azio­ ne cruciale nell’innalzare la glicemia, stimolare l’assunzione di ali­ mento e ripristinare la funzionalità ruminale mentre nel corso della normale lattazione o nell’ingrasso la loro inclusione consente di aumentare la concentrazione energetica della dieta riducendo il rischio di acidosi. Nel bovino da carne inoltre il loro utilizzo favorisce la presenza di adeguate riserve di glicogeno muscolare fondamentali per una corretta trasformazione del muscolo in carne. • INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012 41