DOSSIER / UNIFEED
È la situazione
da ricercare, tanto
nell’allevamento
del bovino da latte
quanto in quello
del bovino da carne,
per ottenere un unifeed
spinto al punto giusto
L’obiettivo
Fibra, amido
e zuccheri
in equilibrio
di C.A. Sgoifo Rossi*, G. Baldi.*, R. Compiani*, C. Ulgheri**, V. Dell’Orto*
È
ormai assodato come un “unifeed” ben fabbricato sia il punto di partenza per
conseguire performance eccellenti; esso infatti limita la possibilità di cernita
del singolo alimento da parte dell’animale, riduce le variazioni del pH rumina­
le e i conseguenti rischi di dismetabolie, promuove una maggiore assunzione di
alimento e, stimolando un maggior numero di pasti, riduce le variazioni di assunzione
alimentare da un giorno all’altro (De Vries et al., 2005; Krause e Oetzel, 2006;
Dohme et al., 2008; DeVries et al., 2009).
Qualora l’animale abbia la possibilità di scegliere tra concentrato e foraggio, infatti,
esso tenderà ad assumere inizialmente elevate quantità del primo con conseguente
riduzione del pH ruminale, evento deleterio per la microflora in quanto ridotti valori di
pH promuovono lo sviluppo dei batteri amilolitici inibendo crescita e funzionalità dei
batteri cellulosolitici: i primi infatti riconoscono come ottimali valori di pH inferiori a 6,
mentre i secondi superiori a 6,2 (Russel et al., 1992).
Tale situazione può determinare la comparsa di fenomeni di acidosi subclinica o
clinica a causa di un aumento della produzione di acidi grassi volatili (AGV) superiore
alle potenzialità di assorbimento da parte dell’epitelio ruminale e riduzione del pH
fino ai valori corrispondenti all’acidosi clinica quando la situazione è talmente grave
da portare all’accumulo di acido lattico (Figura 1).
Emerge pertanto e chiaramente come la somministrazione di un substrato con
caratteristiche il più possibilmente costanti garantisca a sua volta una stabilità dei
prodotti di fermentazione e della composizione della popolazione microbica, basilari
per un efficiente funzionamento di un vero e proprio fermentatore quale il rumine.
Il pH ruminale lungo la giornata
*) Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per
la Sicurezza Alimentare, Facoltà Medicina Veterinaria,
Università degli Studi di Milano.
**) ED&F Man Liquid Products Italia.
30
Nonostante la corretta fabbricazione dell’unifeed rappresenti una garanzia per un
ambiente ruminale il più possibile costante ed ottimale, indagini effettuate attraverso
l’utilizzo di boli reticolo­ruminali dimostrano come vi sia comunque un’elevata variabi­
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
DOSSIER / UNIFEED
Fig. 1 – Conseguenze fisiologiche della riduzione del pH ruminale
•(Schwartzkopf­Genswein
et al., 2003).
lità individuale nei valori di pH ruminale
nell’arco della giornata (Figura 2. Krau­
se et al., 1998). Si osserva infatti una
diminuzione del pH ruminale nelle ore
immediatamente successive alla distri­
buzione della miscelata, poiché l’anima­
le tende ad assumere elevate quantità di
alimento nel momento immediatamente
seguente alla sua somministrazione.
La variabilità tra i soggetti è da ricondur­
si, oltre che alle peculiarità digestive
soggettive, anche alla differente quanti­
tà di alimento assunto, in quanto questa
è in grado di condizionare il valore di pH
ruminale. Nella figura 3, che evidenzia
l’andamento del pH in un soggetto dota­
to di bolo ruminale, si osserva infatti co­
me ad un’elevata assunzione di alimento
ad alto contenuto energetico nei giorni 1
e 2 faccia seguito una importante ridu­
zione del pH a cui però consegue nei
giorni successivi un aumento dovuto ad
una minor assunzione (“off feed”) indotta
dalle condizioni di acidosi subclinica (pH
< 5,8 per più di 12 h/giorno) e volta a
ripristinare valori di pH ruminale ottimali
(Schwartzkopf­Genswein et al., 2003).
Altri meccanismi possono però interve­
nire nel regolare l’assunzione alimentare
nei ruminanti. Allen et al. (2009) riporta­
no a riguardo la “Teoria dell’ossidazione
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
Fig. 2 – Variazione del pH ruminale in funzione della distanza dal momento di
•somministrazione
della dieta in manzi in fase di finissaggio (Krause et al., 1998).
epatica del propionato”, secondo la qua­
le, l’elevata assunzione di alimento deter­
mina una altrettanto elevata produzione
di acido propionico a livello ruminale ed il
conseguente accumulo di quest’ultimo a
livello epatico qualora la sua quota ecce­
da quella necessaria al processo gluco­
neogenetico. Il propionato in questione,
sempre a livello epatico, viene quindi os­
sidato a scopi energetici con produzione
di ATP, il cui accumulo determina l’invio
del segnale di riduzione dell’appetito at­
traverso la via afferente, tramite il nervo
vago, dal fegato a livello cerebrale.
In una recente review, Sartin et al.
(2011) descrivono ulteriori meccanismi
che intervengono nella regolazione del­
l’assunzione, evidenziando che l’aumen­
to della glicemia e della concentrazione
di AGV a livello ruminale conseguenti ad
elevata assunzione di alimento determi­
nano una maggiore secrezione di greli­
na, la quale promuove il senso di sazietà.
Prevenire fenomeni
di sub­acidosi
Come visto in precedenza, fenomeni di
acidosi e sub­acidosi oltre che penalizza­
re il funzionamento del complesso pre­
stomacale, sono in grado di determinare,
– Variazione di pH ruminale e assunzione alimentare in un manzo alimentato con tecnica unifeed
•perFig.un3periodo
di 7 giorni (dieta: 115% del fabbisogno, 14,6% PG, 92% di concentrati, orzo prevalente
fonte amilacea). Le frecce indicano il momento di somministrazione della miscelata, la linea indica il
valore di pH pari a 5,8 (Bauchemin, dati personali, da Schwartzkopf­Genswein et al., 2003).
31
DOSSIER / UNIFEED
• Fig. 4 – Effetto della peNDF
1,18
dietetica sull’attività masticatoria (Zhao et al., 2011).
attraverso varie vie, una riduzione di as­
sunzione alimentare con intuibili riflessi
negativi sulla produzione di latte e carne.
Pur considerando come una quota di va­
riabilità sia fisiologica, emerge quindi co­
me sia necessario mettere in atto tutte le
strategie nutrizionali in grado di prevenire
tali fenomeni ed in particolare se si consi­
dera che il continuo incremento dei costi
di produzione impone la massimizzazione
dell’efficienza e delle performance pro­
duttive, obiettivo normalmente ricercato
attraverso la somministrazione di diete
caratterizzate da elevato livello nutritivo.
• Fig. 5 – Correlazione tra peNDF
1,18
dietetica e pH ruminale (Zebeli et al., 2008).
TAB. 1 – VALORI DI NDF E peNDF DI ALCUNI ALIMENTI FIBROSI
Alimento
Fieno di leguminosa, lungo
NDF (%s.s)
42­55
> 1,18 mm peNDF (%s.s.)
0,92
39­51
Fieno di leguminosa, macinato grossolano
42­55
0,82
34­45
Fieno di leguminosa, macinato fine
42­55
0,67
28­37
Fieno di graminacea, lungo
55­70
0,98
54­68
Fieno di graminacea, macinato grossolano
55­70
0,88
48­62
Fieno di graminacea, macinato fine
55­70
0,73
40­51
Insilato di mais, trinciato grossolano
51
0,81
41,3
Insilato di mais, trinciato fine
51
0,61
31,1
Polpe di barbabietola
54
0,33
17,8
Trebbie di birra
46
0,18
8,3
Farina di erba medica
45
0,06
2,7
Buccette di soia
67
0,03
2
Crusca di frumento
40
0,02
0,8
(Mertens, 1997 modificata)
32
Tale approccio eleva però il rischio di
fenomeni di acidosi clinica o subclinica, i
quali possono essere evitati solo equili­
brando in maniera corretta le varie com­
ponenti dell’unifeed e in special modo
quelle da cui principalmente dipende
quantità e tasso di produzione degli
AGV, cioè fibra fisicamente efficace
(peNDF) e carboidrati non fibrosi (NFC).
La peNDF
L’efficacia fisica dell’NDF (peNDF =
NDF fisicamente efficace) di un alimen­
to definisce la sua capacità di stimolare
l’attività masticatoria e la ruminazione,
nonché di influenzare la costituzione bi­
fasica del contenuto ruminale. La peN­
DF è determinata moltiplicando il valore
di NDF per la frazione di alimento tratte­
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
DOSSIER / UNIFEED
nuta da un setaccio con maglie da 1,18
mm (Allen, 1997; Mertens 1997).
Come si può evincere dalla tabella il
peNDF è direttamente proporzionale al­
la lunghezza dell’alimento ed è maggio­
re nei foraggi rispetto ai concentrati fi­
brosi (Tabella 1), fattore da tenere ne­
cessariamente presente qualora si
operasse una sostituzione, anche solo
parziale, dell’NDF da foraggio con l’NDF
da concentrato.
La presenza di adeguate concentrazioni
di peNDF nelle diete dei ruminanti è
fondamentale in quanto da un lato sti­
mola la masticazione promuovendo la
secrezione di saliva necessaria a tampo­
nare l’acidità prodotta a livello ruminale,
dall’altro favorisce la costituzione del co­
siddetto “mat”, aggregato di natura fibro­
sa galleggiante posto a livello dorsale
nella stratificazione ruminale, che tratte­
nendo le componenti di dimensioni mi­
nori (siano esse fibrose o meno) ne con­
sente un maggior tempo di permanenza
nel rumine. L’attività masticatoria (Figura
4) e il valore di pH ruminale (Figura 5),
sono infatti strettamente correlati al li­
vello di peNDF della dieta.
Recentemente è stato inoltre evidenzia­
to come, nella bovina da latte, oltre alla
peNDF precedentemente descritta, de­
finita peNDF1,18, sia utile considerare
TAB. 2 – VALORI DI peNDF1,18 RACCOMANDATI IN FUNZIONE
DELL’ASSUNZIONE DI ALIMENTO E DELLA CONCENTRAZIONE DI
AMIDO DEGRADABILE DA CONCENTRATI (RDSG).
Assunzione di sostanza secca (kg/d)
RDSG (%
s.s.)
18
20
22
24
26
10
28,5
29,2
29,9
30,7
31,4
14
30
30,8
31,5
32,2
32,9
18
31,6
32,2
33
33,8
34,5
22
33,1
33,8
34,6
35,3
36
(Zebeli et al, 2012)
anche la peNDF8, ovvero la quota di
NDF con lunghezza maggiore ad 8 mm
in quanto maggiormente correlata all’at­
tività masticatoria e ruminativa, pur in
assenza di differenze apparenti in termi­
ni di pH ruminale
rispetto alla
peNDF1,18. (Zebeli et al., 2012)
Alcuni autori (Zebeli et al., 2008 e
2012), evidenziano che il livello di peN­
DF ottimale non è assoluto ma è in fun­
zione sia dell’assunzione giornaliera di
alimento che della concentrazione di
carboidrati non strutturali della dieta. In­
fatti, al fine di evitare il rischio di incorre­
re in fenomeni di SARA (acidosi sub­cli­
nica: pH ruminale medio giornaliero < di
6,1 o pH ruminale < di 5,8 per più di
5,24 ore al giorno), il livello raccomanda­
TAB. 3 – CARBOIDRATI: DEGRADABILITÀ RUMINALE
Frazione CNCPS
Degradabilità ruminale (%/h)
CHO A 1
(AGV)
0
CHO A 2
(acido lattico)
7
CHO A 3
(altri acidi organici)
5
CHO A 4
(zuccheri)
CHO B1
(amido)
CHO B2 (
CHO B 3
CHO C
fibra solubile: pectine e β­glucani)
40 – 60
20 – 40
20 – 40
(NDF disponibile)
4–9
(NDF non disponibile)
0
(CNCPS V6.1. Da Van Amburgh et al., 2012)
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
to di peNDF1,18 nell’alimentazione della
bovina da latte dovrebbe essere ade­
guato in relazione alla concentrazione di
amido degradabile (Tabella 2).
È comunque riconosciuto che l’apporto
di elevate concentrazioni di peNDF se
da un lato riduce il rischio di importanti
oscillazioni del pH ruminale, dall’altro
può causare una riduzione dell’assun­
zione di alimento e della produzione lat­
tea, aspetti questi che, nella pratica, sti­
molano il nutrizionista alla continua ri­
cerca del delicato equilibrio tra massimo
livello nutritivo e “benessere” del rumine.
I carboidrati non fibrosi NFC
I carboidrati non fibrosi (NFC) sono co­
stituiti sia da alcuni componenti della
parete cellulare ad elevata degradabilità
ruminale, che da carboidrati endocellu­
lari in soluzione o con funzione di riserva.
Nello specifico trattasi di pectine (non
contemplate nei carboidrati non struttu­
rali, NSC), amido (che rappresenta circa
il 90% degli NFC nei cereali), fruttani,
β­glucani, zuccheri semplici (mono e di­
saccaridi) ed acidi organici.
Amido e zuccheri semplici hanno come
principale prodotto terminale di fermen­
tazione l’acido propionico e l’acido butir­
rico e rappresentano il substrato d’ele­
zione per il batteri lattici (Streptococcus
bovis soprattutto). Dalla fermentazione
di pectine (di cui sono ricche le polpe di
bietola ed il pastazzo d’agrumi) e β-glu­
33
DOSSIER / UNIFEED
Effetto della degradabilità ruminale dell’amido dietetico sui valori di
•pHFig.e sul6 –rapporto
acetato:proprionato (Gulmez e Turkmen, 2007).
cani (di cui è particolarmente ricco l’orzo) invece, viene prodotto
acetato ma non lattato, con conseguente riduzione dei feno­
meni acidogeni e positivo contributo sul livello lipidico del latte.
Per quanto concerne la degradabilità di tali componenti l’ultima
versione del sistema sistema CNCPS (Cornell Net Carbohydra­
te and Protein System), distingue otto frazioni di carboidrati in
funzione della degradabilità oraria a livello ruminale (Tabella 3).
La degradabilità ruminale e il tasso di degradazione (Tabella 4)
dipendono oltre che dalla fonte vegetale anche dai trattamenti
termo­meccanici condizionando sia la disponibilità di scheletri
carboniosi a livello ruminale per la sintesi di proteina microbica
che la quantità e cinetica di produzione degli AGV (acido
propionico in particolar modo). Ad esempio, la macinatura
aumenta la superficie esposta all’attacco batterico, i tratta­
menti termo­pressori (fioccatura, estrusione, laminatura) au­
mentano la superficie esposta e promuovono la rottura del
globulo di amido e la sua gelatinizzazione rendendolo mag­
giormente degradabile, mentre con l’insilamento l’umidità fa­
vorendo la replicazione dei microrganismi presenti sui vegetali,
promuove la degradazione delle prolamine e la destrutturazio­
ne del globulo di amido (Villas Boas, 2009).
Amido degradato a livello ruminale o intestinale?
La degradabilità ruminale dell’amido somministrato con la
dieta influenza direttamente il valore di pH ruminale ed il
rapporto tra acetato e propionato; all’aumentare della degra­
34
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
DOSSIER / UNIFEED
dabilità ruminale dell’amido dietetico si
ha infatti un aumento della sintesi di
propionato in luogo dell’acetato con ri­
duzione del pH ruminale (Gulmez e Tu­
rkmen, 2007, Figura 6).
L’aumento della concentrazione di ami­
do comporta quindi un aumento del­
l’energia disponibile ma anche il rischio
di un’eccessiva diminuzione del pH ru­
minale con pericolo di dismetabolie di­
gestive. Con l’intento di ridurre tale ri­
schio pur mantenendo un livello nutritivo
delle diete elevato, spesso si interviene
sulla granulometria della fonte amilacea
al fine di aumentarne la quota di amido
digerita a livello intestinale.
Da un punto di vista teorico tale approc­
cio risulta certamente condivisibile dal
momento che l’efficienza di metaboliz­
zazione dell’amido a livello intestinale è
superiore rispetto a quella ruminale ma,
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
Fig. 7 – Spostamento del sito di digestione dell’amido dal rumine all’intestino ed efficienza energetica.
•Digeribilità
intestinale dell’amido: 0.60; ■ 0.65; ▲ 0.70; × 0.75; ■ 0.80; ● 0.85; + 0.90. (Hunington et al, 2006).
u
come specificato in seguito, vi sono, an­
che in questo caso, dei meccanismi di
regolazione che devo essere tenuti in
stretta considerazione in relazione alle
caratteristiche delle diete utilizzate.
È infatti opportuno precisare che, in pri­
mis, la digestione enterica dell’amido
pur determinando un aumento del glu­
cosio disponibile da parte dei visceri
drenati dalla vena porta (apparato ga­
35
DOSSIER / UNIFEED
• Fig. 8 – Relazione tra l’amido in ingresso e quello digerito nell’intestino tenute (Huntington et al., 2006).
TAB. 4 – CONTENUTO E DEGRADABILITÀ RUMINALE DELL’AMIDO IN
ALCUNI ALIMENTI
% s.s.
Degradabilità (%)
Tasso di
degradazione (%/h)
Mais insilato granella rotta
30,9
82
32
Mais insilato granella non rotta
30,9
82
25
Mais pastone
71,4
86
30
Mais granella rotta
74,8
65
10
Mais farina
74,8
76
15
Mais fiocchi
75,6
85
25
Mais semola
40
81
50
Orzo farina
52,3
88
30
Orzo fiocchi
52,3
93
35
Frumento farina
64
89
40
Frumento crusca
13
88
40
Alimento
(Nocek e Tamminga, 1991; Lanzas et al., 2007)
stroenterico, pancreas e milza), spesso
non si traduce effettivamente in aumen­
to dell’attività metabolica, dal momento
che tale glucosio viene utilizzato come
fonte energetica preferenziale al posto
di acidi grassi volatili, lipidi ed aminoacidi
altrimenti utilizzati a tale scopo (Hunti­
gton et al., 2006; Noizère et al., 2010).
È comunque indiscusso che l’efficienza di
digestione dell’amido, espressa come %
di energia digeribile (Ed) sul totale del­
l’energia lorda, risulta massima a livello
dell’intestino tenue (97%), mentre è mi­
nore a livello ruminale (80%) e ancor più
bassa nell’intestino crasso (62%) (Hunti­
gton et al., 2006). La digeribilità dell’ami­
36
do è però costante a livello dell’intestino
crasso (44%), mentre a livello ruminale e
di intestino tenue dipende dalla quantità
somministrata, dalla fonte vegetale e dai
trattamenti termo­meccanici (Huntigton
et al., 2006; Noizère et al., 2010).
Nello specifico e al fine di comprendere i
complessi meccanismi da considerare
per una corretta ripartizione tra amido di­
sponibile a livello ruminale e di intestino
tenue, si sottolinea che mentre vi è un
aumento proporzionale della digeribilità
dell’amido a livello ruminale all’aumentare
della sua disponibilità per una progressi­
va selezione a favore dei batteri amilolitici,
lo stesso non si verifica nel tratto enterico
in cui la relazione può risultare persino
inversa per i seguenti 3 motivi (Harmon et
al., 2004; Huntington et al., 2006):
­ down regulation della secrezione di
α­amilasi a livello pancreatico, fonda­
mentali per la digestione dell’amido
­ saturazione delle maltasi e delle α­glu­
cosidasi situate a livello della membrana
dei microvilli intestinali e fondamentali
per l’assorbimento
­ saturazione del trasportatore per il glu­
cosio anch’esso fondamentale per l’as­
sorbimento.
In termini di efficienza energetica, Hunti­
gton et al. (2006), sostengono come in
diete per bovini da carne risulti conve­
niente spostare il sito di digestione del­
l’amido dal rumine all’intestino solo quan­
do la digeribilità a livello di intestino tenue
sia superiore al 75% (Figura 7), situazio­
ne che si verifica unicamente quanto l’af­
flusso di amido non trattato termicamen­
te risulti inferiore ai 700 g/d (Figura 8).
Con valori di digeribilità inferiori infatti
giungerebbe una quantità eccessiva di
TAB. 5 ­ COMPARAZIONE DELL’EFFETTO SULLE PERFORMANCE DI
ALLEVAMENTO IN MANZI ALIMENTATI CON MAIS SOTTOFORMA
DI GRANELLA ESSICATA O DI FARINA.
Autore
% Mais nella dieta
IPMG
Assunzione di alimento
Corona et al., 2005
75,30
­3,70%
­2,00%
Scott et al., 2003
62,50
­1,60%
­4,70%
Scott et al., 2003
62,50
­1,10%
pari
media
66,77
­2,13%
­2,23%
(Zinn et al., 2011 modificata)
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
DOSSIER / UNIFEED
amido nell’intestino crasso, ove la sua
digestione è, come precedentemente
sottolineato, molto inefficiente e tale da
render lo spostamento del sito digestivo
energeticamente sconveniente.
Considerando una degradabilità rumina­
le media dell’amido del 75% (Huntign­
ton et al., 2006) e pertanto un by­pass
del 25%, lo spostamento del sito di dige­
stione dal rumine all’intestino risultereb­
be pertanto conveniente solo per apporti
di amido inferiori ai 2,8 kg/capo/d (equi­
valenti a circa 4 kg di mais farina) in
quanto con 2,8 kg già si raggiunge la
soglia dei 700 g/d poc’anzi evidenziata.
Huntignton et al. (2006), riportano infatti
che in una dieta per vitelloni al 40% di
amido e considerando un’assunzione di
s.s. pari a 10 kg/capo/d, la digeribilità
dell’amido a livello di intestino tenue già
si riduce a circa il 60% (Figura 7), evi­
denziando che in tali condizioni, corri­
spondenti in sostanza a quelle normal­
mente presenti negli allevamenti intensi­
vi del bovino da carne, lo spostamento
del sito digestivo dell’amido dal rumine
all’intestino risulta sconveniente.
Tale considerazione diventa ancor più
Fig. 9 – Effetto sulla produzione di butirrato dell’inclusione di lattosio nella dieta di bovine da latte
•(DeFrain
et al., 2006) (p < 0,01).
evidente con apporti di mais sottoforma
di granella intera anziché farina, condi­
zione in cui certamente la degradabilità
ruminale dell’amido si riduce a valori pari
o inferiori al 60 % (Tabella 4), e pertanto
la soglia dei 700 g/d di amido intestina­
le si raggiunge già con l’apporto di 1,750
kg/capo/d di amido, equivalenti a circa
2,340 kg di granella di mais. A tale pro­
posito, in una recente review Zinn et al.
(2011) evidenziano come, in diete per
bovini da carne caratterizzate da elevata
inclusione di mais, l’utilizzo di granella
intera in luogo della farina determini uno
scadimento delle performance di alleva­
mento (Tabella 5).
A riguardo è inoltre doveroso precisare
che uno spostamento inadeguato, cioè
non ponderato in relazione alle caratteri­
stiche della dieta, a livello enterico del
sito digestivo dell’amido, comporta un
aumento della quantità di amido fermen­
tata a livello dell’intestino crasso, con
produzione soprattutto di acido lattico, il
TAB. 6 – CONCENTRAZIONE DI ZUCCHERI (% S.S.) NEI PRINCIPALI FORAGGI E CONCENTRATI
UTILIZZATI NELL’ALIMENTAZIONE DEI RUMINANTI
Insilati
Fieni
Concentrati
Contenuto
medio, %
Contenuto medio, %
Mais
1,1
Frumento
7,8
Frumento
4,3
Loiessa
Loiessa
5,3
Panico
Prato polifita
4,4
Orzo
Mais, granella
1,48
10,8
Mais, glutine
0,95
6,6
Mais, distillers
2,5
Sorgo
4,6
Orzo, granella
2,5
0,9
Prato polifita
8,9
Crusca di frumento
6,03
2
Medica
5,5
Farinaccio di frumento
8
4,4
Paglia
1
Girasole, f.e. 24% PG
4
Colza, f.e.
11,12
Soia, f.e.
11,45
Soia seme integrale
11,45
Polpe di barbabietola
5,11
Sorgo foraggio
Medica
Mais,
pastone integrale
1,74
Mais,
pastone granella
Contenuto
medio, %
1,92
(Crovetto, 2007; Dell’Orto e Savoini 2005).
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
37
DOSSIER / UNIFEED
Fig. 10 – Effetto della somministrazione di diete a bassa (2,8 %) ed elevata (5,7 %) concentrazione di
•zuccheri
sui valori di pH ruminale (Penner et al., 2009) (p < 0,1).
quale può determinare un calo del pH
con selezione di ceppi acido resistenti,
quale l’E. coli enterotossigeno con con­
seguente pericolo di enterotossiemie
per l’animale ed il possibile aumento di
E.coli O157:H7 pericoloso per l’uomo.
Di più, in concomitanza dei fenomeni diar­
roici normalmente associati ad una pre­
senza eccessiva di amido, si ha un’ulterio­
re riduzione della digeribilità dell’amido a
livello di intestino tenue il quale viene fer­
mentato ad acido lattico con produzione
dei 2 isomeri, l’acido L­ e D­lattico i quali
vengono entrambi assorbiti e diffondono
nel sangue ma mentre l’acido L­lattico
viene metabolizzato a livello epatico ciò
non avviene per l’acido D­lattico che si
accumula a livello ematico causando aci­
dosi metabolica. A conforto di tale tesi, si
evidenzia come Omole et al. (2001) ri­
scontrarono maggiori livelli di entrambi gli
epimeri dell’acido lattico sia nelle feci che
a livello ematico in vitelli diarroici.
contrario di quanto spesso ritenuto, a
limitare il rischio di acidosi se il loro con­
tenuto risulta adeguato.
Gli zuccheri semplici, intesi come mono­
e disaccaridi (saccarosio, lattosio, malto­
sio, cellobiosio, glucosio, galattosio), so­
no fisiologicamente presenti nella com­
ponente vegetale dei principali costi­
tuenti della dieta dei ruminanti, siano essi
foraggi o concentrati (Tabella 6). Varietà
e momento di raccolta sono fattori in gra­
do di influenzare la concentrazione zuc­
cherina. Berthiaume et al., in una review
del 2010, riportano in animali alimentati
con una varietà di loietto ad elevata con­
centrazione di carboidrati solubili rispetto
al loietto tradizionale, una maggior sintesi
di proteina microbica, una maggior effi­
cienza di utilizzo dell’azoto dietetico ed un
maggiore incremento di peso.
Relativamente al momento della raccolta
è noto che la pianta accumula i carboidra­
ti durante il giorno tramite la fotosintesi e
li utilizza a fini energetici nelle ore nottur­
ne tramite la respirazione. Un foraggio
raccolto nelle ore tardo­pomeridiane pre­
senta pertanto una concentrazione mag­
giore di carboidrati solubili (zuccheri).
Si ricorda inoltre che l’insilamento riduce
la concentrazione zuccherina dei forag­
gi in quanto i microrganismi li utilizzano
quale substrato per la sintesi in via ana­
erobia di acido lattico e per tale motivo le
diete caratterizzate da quantità rappre­
sentative di insilati come quelle delle
nostre realtà da carne e da latte andreb­
bero bilanciate per apporto di zuccheri.
Le principali materie prime zuccherine
sono rappresentate dai melassi di bietole
e di canna da zucchero, dal siero (in pol­
vere o liquido, da noi poco usato però
nell’alimentazione dei ruminanti) e dal
pastazzo di agrumi, residuo della lavora­
zione industriale degli agrumi, particolar­
mente ricco in zuccheri e pectine. Le ma­
terie prime zuccherine liquide (melasso),
oltre ai benefici dietetici sono in grado di
operare un’efficace azione “legante” del­
l’unifeed in grado di ridurre la possibilità
di scelta da parte dell’animale sia della
Zuccheri semplici
Gli zuccheri rappresentano un'altra
componente essenziale della dieta in
grado di elevare il livello nutritivo della
razione e possono inoltre contribuire, al
38
11 – Effetto della sostituzione di amido con zuccheri semplici sull’ingestione di alimento in vacche
•in Fig.
lattazione (Broderick et al., 2008) (a,b p < 0,05).
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
DOSSIER / UNIFEED
componente grossolana che di quella fi­
ne, operando tale azione in maniera più
efficace rispetto all’aggiunta di acqua
(Sgoifo Rossi et al., 2010; Firkins, 2011).
L’inclusione di zuccheri nella dieta dei
ruminanti ha un importante impatto sia
sulla fisiologia del rumine che, di riflesso,
a livello produttivo, come recentemente
evidenziato in una esaustiva review sul­
l’argomento di Oba (2011).
pH ruminale, produzione
di AGV e sintesi microbiche
Numerosi studi condotti sia vitro che in
vivo hanno dimostrato un incremento
della produzione di butirrato a seguito di
somministrazione di zuccheri. Tale risul­
tato è stato evidenziato anche a seguito
di sostituzione di quota parte dell’amido
dietetico con glucosio, saccarosio, latto­
sio e anche galattosio (Figura 9), ma
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
non a seguito di sostituzione con poli­
saccaridi come xylosio e arabinosio.
A riguardo è interessante precisare che
la misurazione della produzione di butir­
rato ruminale è difficoltosa e spesso sot­
tostimata in quanto la concentrazione è
funzione sia della quantità prodotta che
di quella assorbita e il suo assorbimento
è decisamente più rapido rispetto a quel­
lo di acetato e propionato. L’inclusione di
zuccheri in sostituzione di quota parte
dell’amido nella razione di ruminanti de­
termina invece o una riduzione o l’assen­
za di differenze significative sulla con­
centrazione ruminale di propinato con
riflessi pertanto positivi sul pH ruminale.
L’utilizzo di zuccheri semplici sembra
inoltre determinare un aumento della
concentrazione di acido valerico.
Nonostante il tasso di degradabilità più
elevato rispetto all’amido (CNCPS: 40­
60 %/h per gli zuccheri vs 20­40 %/h
per gli amidi), diversi sono gli studi che
evidenziano un aumento del pH rumina­
le a seguito di inclusione nella dieta di
zuccheri in sostituzione di quota parte
dell’amido (Figura 10. Chamberlain et
al., 1993; Heldt et al., 1999; Penner et
al., 2009; Penner e Oba, 2009).
Nonostante tali evidenze, non è comun­
que ancora ben chiaro l’esatto meccani­
smo attraverso il quale l’aumento della
concentrazione zuccherina della dieta
determini una riduzione del pH ruminale
anche se tra le ipotesi più accreditate e
condivise figurano le seguenti:
­ gli zuccheri forniscono una minore
quantità di carboni fermentabili dai mi­
crorganismi ruminali per unità di massa
rispetto all’amido;
­ gli zuccheri sono in grado di promuove­
re un maggiore tasso di passaggio attra­
39
DOSSIER / UNIFEED
• Fig. 12 – Effetto della sostituzione di amido con zuccheri semplici sul titolo lipidico del latte (Broderick et al., 2008) (a,b p < 0,05).
verso il rumine ed una maggiore sintesi
microbica, riducendo la quota di sub­
strato disponibile per esser fermentato
ad AGV ed il tempo di contatto con la
popolazione microbica ruminale;
­ gli zuccheri vengono utilizzati per la sinte­
si di glicogeno specialmente da parte dei
protozoi Olotrichi (soprattutto glucosio,
fruttosio e saccarosio), con conseguente
riduzione della quota fermentescibile;
­ gli zuccheri determinano un’aumentata
sintesi di butirrato e valerato a discapito di
acetato e propionato, con una riduzione di
protoni prodotti per unità di sostanza or­
ganica degradata; dalla fermentazione di
una mole di glucosio è ottenibile una sola
mole di butirrato, mentre sono ottenibili
due moli o di acetato o di propinato;
­ grazie alla maggior produzione di butir­
rato gli zuccheri promuovono sviluppo e
attività dell’epitelio ruminale, inoltre esso
determina una riduzione dell’apoptosi
cellulare (Connor et al., 2009), come
conseguenza le cellule dell’epitelio sono
in grado di assorbire una maggiore
quantità di AGV determinando un au­
mento del pH ruminale.
In linea teorica quindi, l’utilizzo di una
fonte energetica a fermentescibilità mol­
to rapida potrebbe essere inoltre in gra­
do di promuovere una maggiore sintesi
di proteina microbica, a seguito di un
40
aumento della possibilità di matching
della produzione di scheletri carboniosi
con la produzione di ammoniaca deri­
vante soprattutto dalla fermentazione di
fonti di proteina solubile.
Assunzione di alimento
e performance produttive
L’inclusione di zuccheri in razione si tra­
duce normalmente in un aumento di as­
sunzione di alimento (Figura 11) conse­
guente sia alle loro proprietà appetizzan­
ti sia alla modulazione nella produzione
di AGV sopra descritta. Stimolando infat­
ti la sintesi di valerato (derivante dalla
condensazione di acetato e propionato),
si ha una riduzione della quota di propio­
nato assorbito e veicolato al fegato, evi­
tando il rischio di un suo eccesso rispet­
to alla quantità necessaria alla sintesi di
glucosio e alla sua conseguente ossida­
zione e accumulo di ATP (adenosina tri­
fosfato) con effetti negativi sull’assun­
zione alimentare (Allen et al., 2009).
Alcuni autori ipotizzano inoltre un mi­
glioramento del consumo di sostanza
secca dovuto ad un aumento della dige­
ribilità della frazione fibrosa.
Diversi studi condotti in vivo evidenziano
infatti come l’inclusione di zuccheri in
luogo di amido nelle razioni per bovine
da latte migliori la digeribilità dell’NDF o
non determini effetti negativi. Firkins
(2011) riporta che il miglioramento della
digeribilità dell’NDF conseguibile attra­
verso il corretto bilanciamento degli zuc­
cheri nella razione è la conseguenza di
una maggiore disponibilità a livello rumi­
nale di prodotti secondari con azione di
fattori di crescita per i batteri fibrolitici,
derivanti dalla fermentazione stessa de­
gli zuccheri. A riguardo, un recente stu­
dio di Wang et al., (2012) evidenzia co­
me la somministrazione di butirrato in
bovini da carne determini un’aumentata
attività di xilanasi e carbossimetilcellula­
si con conseguente maggiore digeribili­
tà dell’NDF della dieta.
Dal punto di vista produttivo, la maggiore
assunzione e degradabilità della frazione
fibrosa sono notoriamente e strettamente
correlate alla produzione di latte e all’incre­
mento ponderale medio giornaliero men­
tre la maggiore produzione di acido butirri­
co è sempre associata ad una migliore
efficienza alimentare (Guan et al., 2008).
Nelle bovine dal latte, l’inclusione di zuc­
cheri in razione, determina inoltre un au­
mento del tenore lipidico (Figura 12). Tale
effetto viene ascritto ad una riduzione a
livello ruminale delle bioidrogenazioni par­
ziali a carico degli acidi grassi, principale
causa della depressione del titolo lipidico
del latte. Riberiro et al., 2005 riportano
INFORMATORE ZOOTECNICO n.10 / 2012
DOSSIER / UNIFEED
infatti una riduzione dei fenomeni di bioidrogenazione a seguito
dell’incremento della concentrazione di saccarosio in vitro, men­
tre Penner e Oba (2009) evidenziano, in vivo, una riduzione della
concentrazione lattea di acidi grassi trans C 18:1.
A seguito di tali evidenze, Firkins (2011) sostiene che l’inclu­
sione di zuccheri nella dieta (fino al 5% di della s.s. della dieta)
rappresenti una strategia decisamente efficace al fine di ridur­
re il rischio di comparsa della sindrome da depressione del
titolo lipidico del latte.
In conclusione
In conclusione e sulla base di quanto riportato si vuole sottolinea­
re come la fabbricazione di un unifeed “adeguato” si debba basa­
re non solo su aspetti importanti come l’accuratezza di carico, i
tempi di miscelazione, la lunghezza di taglio, la conoscenza delle
caratteristiche nutrizionali degli alimenti, la salubrità degli stessi,
ecc., argomenti attualmente alla ribalta, ma anche su aspetti più
“datati” ma comunque sempre basilari e in alcuni casi ancora da
chiarire, come le caratteristiche composizionali della razione con
specifico riferimento al tipo di allevamento, al livello genetico e di
management dell’azienda e agli obiettivi dell’allevatore.
Non a caso Zebeli et al. (2010, 2012) evidenziano che il livello di
peNDF ottimale non è assoluto ma è in funzione sia dell’assunzione
giornaliera di alimento che della concentrazione di carboidrati non
strutturali della dieta consigliando un rapporto tra peNDF e amido
degradabile a livello ruminale di 1,45:1 o ancora Firkins (2011) che
raccomanda un’inclusione massima pari al 37% della s.s di NFC e
del 25% della s.s. di amido in diete a base di insilato di mais e pari al
40% della s.s. di NFC e valori anche superiori al 25% di amido, in
diete invece a base di erba medica o graminacee affienate o insilate.
Relativamente agli zuccheri diversi autori concordano che una
loro supplementazione in quota pari al 2,5­5% della dieta (oltre
a quelli naturalmente presenti negli alimenti), promuova un
significativo aumento del tenore lipidico del latte e dell’assun­
zione di sostanza secca.
Con specifico riferimento a quest’ultimo argomento certamente
meno considerato nella pratica rispetto ad NDF, peNDF, Amido e
NFC, le più recenti acquisizioni evidenziano come gli zuccheri
svolgano un ruolo importante nelle diverse fasi del ciclo produttivo
sia del bovino da latte che da carne. Nello specifico, nella vacca in
transizione e nel bovino da carne di nuovo arrivo svolgono un’azio­
ne cruciale nell’innalzare la glicemia, stimolare l’assunzione di ali­
mento e ripristinare la funzionalità ruminale mentre nel corso della
normale lattazione o nell’ingrasso la loro inclusione consente di
aumentare la concentrazione energetica della dieta riducendo il
rischio di acidosi.
Nel bovino da carne inoltre il loro utilizzo favorisce la presenza
di adeguate riserve di glicogeno muscolare fondamentali per
una corretta trasformazione del muscolo in carne.
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