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annuncio pubblicitario
PUBBLICITÀ, ANZIANI E ALTRI SOGGETTI DEBOLI
[Enzo Marigonda]
Quando si parla di relativismo culturale, anziché chiamare in causa i massimi
sistemi, sarebbe bene volgere la mente prima di tutto ai consumi e ai
consumatori. L’espressione corrente ‘società dei consumi’ ha il merito di
evidenziare un tratto ideologico largamente condiviso nel mondo d’oggi,
globalizzato e disincantato (a dispetto dei rigurgiti confessionali). Tuttavia,
suona un tantino sbrigativa, o liquidatoria, in quanto trascura di sottolineare il
relativismo radicale, l’individualismo che domina le pratiche di scelta,
godimento, “consumo” dei beni e delle marche. La componente impersonale
e di massa sarà rilevante nelle tabelle statistiche sugli andamenti dei consumi
e dei mercati, ma non ha molto a che vedere con l’esperienza vissuta dei
consumatori, che presenta una caratteristica marca individualistica, sia pure
paradossale.
Il marketing «separa, non unisce; segmenta l’universo dei consumatori in
tanti piccoli sotto-universi che tendono sempre più a identificarsi con tratti
singolari…che rimandano più all’individuo che alla massa. E la pubblicità
consacra il senso di questa operazione costruendo messaggi che
stabiliscono un contatto privato con i singoli individui del target, e che fanno
dell’oggetto del consumo, quale oggetto seriale, un unicum» [Frontori, 1987,
p. 4].
I new media per parte loto contribuiscono potentemente a accelerare tale
processo di personalizzazione.
Su un piano di realtà, ognuno sa bene che il “proprio” prodotto, la “propria”
marca appartiene anche a milioni di altri individui, ma ciò non sembra
intaccare il senso di “proprietà” del legame. I consumi trovano la loro
elaborazione mitico-narrativa più esplicita nella pubblicità, ma in ultima analisi
soprattutto nella mente, nelle risonanze affettive, nei sogni dei singoli
consumatori. Il sistema mitico della pubblicità e degli oggetti di consumo si
frantuma così in una miriade di adattamenti e di simbolizzazioni individuali,
sottraendosi a un discorso comprensivo e unificante. La frammentazione
deriva inoltre dalla moltiplicazione stessa e dall’estrema diversificazione dei
prodotti e delle categorie merceologiche, che rimandano a specifici ordini di
bisogni, attese, desideri, motivazioni d’uso, aspirazioni.
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Ci si deve dunque limitare a cogliere alcuni pochi tratti fondamentali che
sembrano attraversare l’intero apparato mitopoietico della pubblicità e dei
consumi:
 la promessa di una relazione benefica tra l’acquisto/consumo (di un bene,
di una marca, di un servizio, etc.) e la qualità del vivere;
 l’enfasi sugli aspetti di novità, distintività, originalità, su cui si proietta
l’ombra lunga della moda
 la coloritura (più o meno) marcatamente positiva, euforica, ottimistica della
realtà: un mondo che non conosce il male, la tristezza, il fallimento.
In quanto portatori di una limitazione (di diritti, di possibilità d’azione, etc.), se
non di uno stato di sofferenza, i soggetti deboli appaiono estranei, o quanto
meno periferici, al mondo che la comunicazione pubblicita costituisce e
alimenta. In compenso, li si ritrova in abbondanza soprattutto all’interno di
quella provincia comunicativa all’insegna dell’anticlimax che è la cosiddetta
“pubblicità sociale”.
Le campagne di ‘Pubblicità e progresso’, realizzate di solito dalle stesse
agenzie che si occupano di pubblicità commerciale, utilizzano le tecniche
comunicative abituali rovesciandone alcune cruciali figure, significati e modi
espressivi. Un esempio è l’ampio utilizzo del bianco e nero, in chiave
drammatizzante e con connotazioni di cruda “realtà”, in opposizione alla ricca
e rasserenante gamma cromatica dei messaggi commerciali.
Più in generale, risultano predominanti i toni asciutti e amari, la denuncia,
l’indignazione, la colpevolizzazione del cittadino disattento, il richiamo alla
solidarietà e alla responsabilità, lo sforzo di togliere di mezzo quella barriera
tra la normalità e la difficoltà, tra il forte e il debole, che traspare in modo così
evidente nel comune discorso pubblicitario su marche e prodotti.
A parte lo spazio circoscritto della pubblicità sociale, alcune categorie di
soggetti deboli – disabili, pazienti psichiatrici, persone che soffrono di malattie
invalidanti – sono del tutto assenti a motivo di un’incongruenza di fondo con i
valori e i modelli eufemistici della comunicazione commerciale, dove la
salute, la forza, l’integrità fisica, la bellezza, il successo regnano incontrastati.
Altre categorie di deboli, come le donne o i minori, dove tale incongruenza
non c’è, risultano invece quasi onnipresenti.
Ogni tanto si scatenano polemiche su episodi di abuso o manipolazione nei
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confronti dei bambini o della figura femminile, con esiti eventuali di censura
delle pubblicità più offensive o insidiose, ma nell’insieme i comunicatori
mostrano buone capacità di autocontrollo. O forse la sensibilità collettiva è
così assuefatta al massiccio trattamento pubblicitario di belle donne, mamme
tenere, bimbetti da baciare e vivaci preadolescenti, da reagire solo di fronte
alle deviazioni più clamorose in direzione della volgarità o dell’inganno.
Il fatto è che donne e minori sono gruppi sociali di fondamentale rilevanza per
la sopravvivenza (e la profittabilità) di una grossa parte dell’apparato del
marketing e della produzione, della pubblicità e della distribuzione. Del
sistema economico, in breve. Sono consumatori e destinatari privilegiati di
una pluralità di beni e servizi: dai cosmetici ai detersivi, dagli snacks ai
latticini, dalla grande distribuzione ai videogiochi.
Da questo punto di vista, si tratta di soggetti tutt’altro che deboli. Saranno sì
sfruttati, sovraesposti, manovrati, usati in forme che potranno anche apparire
fastidiose o incivili agli occhi di un comune cittadino non troppo
videodipendente, ma il loro stesso impiego come “personaggi” della pubblicità
è talmente pervasivo, fin dalle origini della comunicazione commerciale, in
Italia (viene in mente la donna del dado per brodo Star, col suo filo di perle) e
altrove, da convertirli rapidamente in presenze simboliche – di seduzione,
bellezza, ingenuità, freschezza, etc. – che si sottraggono in certa misura al
giudizio morale che si esprimerebbe di fronte a quegli stessi comportamenti
su un piano di realtà.
C’è però una terza categoria di soggetti deboli “fisiologici” (affini quindi ai
minori e alle donne) che occorre considerare: gli anziani.
In una società e in una cultura dei consumi che valorizza al massimo grado la
gioventù e l’efficienza fisica, i vecchi sono percepiti come una presenza
marginale, incongrua. «Essere anziani è un’”inabilitazione”, perché
rappresenta la limitatezza dei deideri, la moderazione dei bisogni,
l’insensibilità alle seduzioni del mercato: insomma… è un anatema»
[Bauman, 2004, p. 42] Nessuna meraviglia, dunque, che in pubblicità gli
anziani per molto tempo abbiano occupato una posizione assai marginale,
che solo oggi mostra segni di modificazione.
Ripercorrendo velocemente le principali campagne pubblicitarie dei decenni
passati, se ne trovano tracce abbastanza labili. Per lo più, gli anziani erano
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utilizzati come personaggi di contorno, in ruoli da caratteristi: per rendere più
calda e inclusiva una riunione di famiglia (tipicamente, sotto le festività
natalizie), per aggiungere tenerezza alla figura di un bambino piccolo
(adorato dai nonni), per legittimare la pretesa di tradizionalità di una marca
(specie alimentare).
Qualche volta la macchietta diventava protagonista – la vecchietta della
candeggina ACE – o acquistava una funzione di emblema – l’anziano baffuto
bevitore birra Moretti (peraltro, ancora piuttosto vigoroso, e non poi tanto
vecchio).
Altre volte, si ricorreva a persone di successo di una certa età come testimoni
o presentatori del prodotto: Mike Bongiorno (Grappa Bocchino), Franca Valeri
(Pandoro Melegatti), etc. In questi casi, la simpatia, il prestigio,
l’autorevolezza del personaggio metteva tra parentesi l’età, ma era piuttosto
chiaro che ci si trovava di fronte a un’eccezione, non a una tipica figura
anziana. E comunque, malgrado la notorietà e l’apprezzamento del pubblico,
rimaneva sovente la sensazione di una certa quale incongruità, di una
leggera patina d’imbarazzo, come davanti a un oggetto fuori contesto.
Poteva darsi che pesasse anche la preoccupazione, un po’ cinica, di perdere
per strada il testimonial, nell’eventualità di una malattia o di un decesso a
campagna in corso. Ma il disagio pareva più profondo, legato a un contrasto
non sanabile tra la presenza della persona anziana e tutta una sfilza di
“valori” intrinseci alla struttura stessa della pubblicità: salute, bellezza, forza,
ottimismo, crescita, cambiamento, desiderio, progetto. E soprattutto gioventù.
Ovvero tempo davanti a sé, disponibilità a investire energie e affetti,
aspettative, speranze o fantasie di miglioramento e di benessere (se non di
felicità), reale o simbolico, mediante il consumo.
Del resto, la difficoltà d’integrare la vecchiaia nel linguaggio e nelle logiche
della comunicazione pubblicitaria trovava riscontro nell’atteggiamento stesso
del pubblico anziano, piuttosto scettico, o addirittura insofferente nei confronti
dei “consigli per gli acquisti”. I suoi comportamenti di consumo –
tendenzialmente pigri, limitati, scarsamente permeabili alle novità del mercato
– non facevano che confermare la distanza tra la condizione dell’anziano e le
lusinghe del marketing.
Ne discendeva una posizione di distacco e di disinteresse anche da parte dei
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pubblicitari e delle marche. La pianificazione dei mezzi di comunicazione da
usare per la campagna pubblicitaria prendeva raramente in considerazione il
pubblico sopra i 55 anni, percepito come residuale, irrilevante, passivo, ormai
“vecchio” e poco disposto a spendere.
Da una decina d’anni a questa parte le cose sono cambiate. Il marketing ha
“scoperto” gli ultrasessantenni come target interessante da seguire,
conoscere, raggiungere, per un insieme di ragioni. Tra queste, l’allungamento
dell’attesa di vita e l’innalzarsi della soglia oltre la quale una persona viene
comunemente considerata “vecchia”, l’aumento dell’età media della
popolazione italiana e il maggiore peso relativo degli anziani sul totale (a fine
2002, circa il 20% superava i 65 anni, secondo i dati Istat), lo spostamento
progressivo dell’età pensionabile, la maggiore disponibilità economica e
possibilità di spesa di una parte della popolazione anziana.
Di una certa rilevanza è anche la notevole esposizione al mezzo televisivo,
caratterizzata da una fedeltà ai programmi preferiti (sceneggiati, quiz, etc.)
superiore ad altre categorie di pubblico. Le reti più frequentate dagli over 65
sono quelle più istituzionali, RaiUno e Canale 5, che in certe fasce orarie
assorbono più della metà degli ascolti (nel preserale, addirittura i due terzi).
In coincidenza con l’accendersi dell’interesse verso il consumatore anziano,
si assiste anche a una maggiore articolazione della sua presenza all’interno
dei messaggi pubblicitari. E’ proprio questo recente rafforzamento – quasi un
nuovo ingresso – a rendere più significativo l’esame delle modalità secondo
cui viene trattata la figura dell’anziano. In altre parole, il fatto che solo di
recente si sia posto il problema di dare più spazio in comunicazione a questi
soggetti permette di osservare con una certa chiarezza qual è la
rappresentazione comune dell’anziano che la pubblicità non può non
riflettere, in modo anche più fedele e ingenuo di altre forme di comunicazione
di massa (il giornalismo d’inchiesta, le trasmissioni Tv che ospitano persone
anziane, etc.).
Naturalmente, la pubblicità non ha alcuna pretesa di rispecchiare la “realtà”
della condizione e della vita delle persone anziane (né di chiunque altro, del
resto). Il suo intento è piuttosto di offrire un’immagine positiva, piacevole,
edulcorata, favorevole dei soggetti che rappresenta, in modo da incoraggiare
i processi di riconoscimento da parte dei destinatari. Semmai, allora, si
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tratterà di verificare, a valle, se determinati tipi (o stereotipi) di vecchiaia e di
anziani risultino consonanti e accettabili, alla luce dell’immagine di sé che
intrattengono e che desiderano vedersi proporre.
La forma più piatta e didascalica di presentazione dell’anziano si trova nelle
pubblicità di prodotti esplicitamente indirizzati a questo tipo di pubblico. Un
esempio in tal senso è l’annuncio Finanza Attiva, apparso sui quotidiani
qualche tempo fa.
[anz A]
Il testo non pone molti interrogativi: è un invito a ottenere un prestito,
ipotecando la casa di proprietà, rivolto a chi ha più di 70 anni e non ce la fa a
tirare avanti con la sola pensione (“non basta”). I due ultrasettantenni che, a
quanto pare, hanno appena intascato il denaro (“una boccata d’ossigeno”:
non proprio una cosa rassicurante), o comunque deciso di aderire all’invito di
Finanza Attiva, appaiono sorridenti e soddisfatti. O meglio, è la donna a
sembrare più convinta, al punto da aver l’aria di consolare il marito (la mano
sulla spalla), che le sta dicendo qualcosa di affettuoso, o che è soltanto
sollevato per averla scampata bella.
Anche l’ilarità della coppia di pensionati che ha preso la decisione di chiedere
un prestito personale (anzi, un “prestitÒ”) a Italfin sembra dubbia, se non
eccessiva.
[anzB]
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L’annuncio assume (non si sa con quale logica) che i due fossero “stufi di
stare a guardare” (chi? che cosa?) e che finalmente abbiano fatto un passo in
direzione di un cambiamento, forse in vista di un acquisto a lungo desiderato,
o di una bella vacanza per festeggiare le nozze d’oro. In effetti, l’espressione
dei vecchi coniugi vuole essere furba, quasi compiaciuta, come per un tiro
ben riuscito. Certo che il loro gesto, in sé un poco impulsivo (non ci s’indebita
solo perché si è “stufi”), costerà caro: per un tot di anni la loro pensione
subirà una robusta tosatura. Forse si renderanno conto che i furbi non erano
loro, ma la finanziaria, il cui annuncio, dietro i toni colloquiali da cuore in
mano, si mostra un po’ troppo disinvolto nel tentare di circuire i suoi
destinatari.
Che gli anziani siano particolarmente vulnerabili a truffe e raggiri, è opinione
comune. Ne dà testimonianza anche una campagna di sensibilizzzione a
cura della Polizia di Stato.
[anzB2]
Benché realizzata in modo mediocre, per non dire pedestre, è una pubblicità
istruttiva, in quanto offre un’immagine non filtrata, quasi ingenua, della
persona anziana, sprovveduta e un po’ svanita, in opposizione con l’energia e
il senso pratico di una figura giovane, forte, protettiva come il funzionario di
polizia.
I sorrisi compiaciuti di chi ha tutto un futuro davanti a sé ritornano ancora più
larghi in un altro esempio di pubblicità sul tema del risparmio.
[anz C]
L’oggetto della comunicazione è un programma previdenziale integrativo del
Monte dei Paschi di Siena, così interessante se sottoscritto per tempo
(‘Pensaci in tempo’) da rendere la condizione di pensionati “esaltante”,
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anziché deprimente. Moglie e marito in effetti hanno l’aria tranquilla e distesa
di chi può contare su un buon reddito, attestato anche dal tipo di autovettura
con cui vanno in giro (un elegante cabriolet, non un’utilitaria qualsiasi). Sono
anziani, ma non più di tanto: segno che hanno abbastanza tempo (di nuovo, il
tema del tempo) per godersi la pensione. La situazione del viaggio estivo, in
una macchina scoperta, felici e contenti, diretti chissà dove, simbolizza
proprio l’apertura verso il nuovo e il futuro, avvicinandoli allo stereotipo della
coppia giovane, con possibili rischi in termini di credibilità.
L’accentuata assimilazione a modi e modelli di comportamento giovanile
contiene sempre qualche rischio di scivolamento nel patetico, nell’eccessivo
o nel ridicolo involontario. Si veda per esempio un recente TV-commercial di
un adesivo per protesi dentarie, con un uomo e una donna in età che si
rotolano nella neve abbracciandosi e baciandosi come due innamorati di
primo pelo.
D’altronde, il trattamento giovanilistico ricorre, oggi, in molte pubblicità che
cercano di rendere accettabile e attraente la figura del’anziano. Negare che
porti su di sé una serie di tratti scomodi e deprimenti propri della vecchiaia –
l’inefficienza psicofisica, i fantasmi della malattia e della morte, etc. – è in
fondo l’espediente più semplice per integrarlo nel linguaggio ottimistico delle
merci e delle marche.
Del resto, le indagini sugli anziani come target di comunicazione tendono a
incoraggiare l’evitamento. Risulta infatti che una parte non trascurabile del
pubblico anziano non vede tanto di buon occhio i messaggi che utilizzano i
vecchi come testimonial o protagonisti, orientandosi piuttosto verso i
personaggi più giovani. Il rifiuto d’invecchiare, o comunque di prendere atto e
rassegnarsi del proprio declino, è connesso con una serie di rappresentazioni
sociali, di pratiche del corpo, di prodotti estetico-salutistici (cosmetici anti-age,
macchine per il fitness, stimolanti della sessualità, integratori, beauty-farm,
psicofarmaci, idromassaggi, palestre, tinture, etc.), bene al centro
dell’attenzione del marketing e della pubblicità.
Una strategia piuttosto collaudata per incorporare senza stridore la figura
dell’anziano in pubblicità è l’accostamento a presenze infantili, nel contesto di
consumi destinati ai bambini o alla famiglia in generale. Una soluzione ben
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calibrata è rappresentata da Findus (Quattro salti in padella), dove un
anziano rubicondo, simpatico, fortemente infantilizzato, compete con un
bambino (prevalendo) per accaparrarsi un buon piattino a base di pollo. Il
vecchio qui non è il solito nonno, ma piuttosto un compagno di giochi, un
personaggio imprevedibile che sa come parlare ai bambini, quasi una figura
fiabesca.
In un altro soggetto della stessa campagna, la valorizzazione del’anziano
passa attraverso l’accentuazione della sua vivacità di parola e di pensiero.
Giustamente, come protagonista è stata scelta una vispa vecchietta toscana
dalla parlantina sciolta, che mostra tutta la sua malizia e la sua golosità (con
qualche sopratono, tuttavia).
[anzD]
Una variante dello schema consistente dell’accostamento/opposizione tra
vecchio e giovani è rappresentata da uno dei tanti spot con Giovanni Rana
come protagonista, beato tra le donne, anzi, tra le odalische.
[anzE]
Viene ad aggiungersi un elemento caratteristico di autocelebrazione, che
Rana condivide con altri anziani imprenditori affermati (Amadori, per sempio).
Il “padrone”, l’uomo che si è fatto da sé, a un certo punto decide di prestare la
propria faccia alla comunicazione sui prodotti che recano il suo nome
(solitamente, alimentari). In genere, si mostra compiaciuto, paterno,
ecumenico: si sta togliendo una soddisfazione, dopo tanti anni di lavoro. E’
una sorta di suggello al proprio successo, un ultimo segno d’intraprendenza.
Forse anche per questo, il boss dei tortellini (o del pollame, dei biscotti, etc.)
non è percepito come un anziano qualsiasi e non suscita speciali emozioni.
Un ulteriore dispositivo di assimilazione dell’anziano, reperibile specialmente
in pubblicità che puntano sugli effetti di sorpresa, si basa su un trattamento
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iperbolico dell’equivalenza tra vecchio e giovane, ovvero sull’attribuzione
consapevole all’anziano di condotte, modi, atteggiamenti marcatamente
incongruenti con la sua condizione.
[anzF]
Gli stagionati ballerini di bassa statura di una doppia pagina Camper sono un
buon esempio. In un ambiente dai colori caldi, dominato dal legno, che
trasuda nostalgia per il tango e le sale da ballo di un tempo, la coppia sta al
gioco della passione e della memoria: lui tutto serio e compreso, lei bionda
fatale seduttrice, con una gamba ben tornita che sfugge alla gonna e si pone
al centro dell’attenzione (bisogna pur guardare le calzature). La lentezza,
anzi, la comica solennità della danza, è sottolineata dal titolo ‘Walk, don’t
run’.
Decisamente più aggressivo e spiazzante è un altro annuncio che sviluppa il
tema della danza abbinato alla vecchiaia. Anche senza considerare l’evidente
simbolismo erotico, ballare è un’esperienza corporea e dinamica che è fuori
dalla portata di molta gente in là cogli anni. Colpisce quindi parecchio, quasi
come una provocazione, l’immagine di una donna anzianissima, più che
semplicemente anziana, che esegue disinvoltamente una spaccata degna di
una ballerina del Moulin Rouge. [anzG]
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E’ una comunicazione di notevole efficacia, basata sul paradosso, ma che
non si esaurisce nello scherzo. Sostenuto da uno slogan molto incisivo,
intimamente legato alla figura della vecchia e al suo atteggiamento
fieramente vitalistico, molto americano, rimanda a un insieme di suggestioni –
anticonformismo, indipendenza, spirito, etc. – in linea con lo stile e le qualità
innovative del marchio (Dimensione Danza).
L’utilizzo spregiudicato della figura dell’anziano difficilmente si rinviene nei
beni di consumo e nei media più popolari (TV, quotidiani, etc.). Sembra
essere piuttosto una prerogativa di ambiti più sofisticati, e in particolare del
fashion. Alcuni marchi della moda, alla perenne ricerca di effetti distintivi e
originali, trovano nella terza età una materia interessante, ricca di possibilità
stranianti e di potenziali contrapposizioni con gli standard di eleganza e
bellezza che propongono.
Un caso che val la pena segnalare è la pubblicità Kiton:
[anzH]
Un gruppo di uomini maturi dall’aspetto mediterraneo (amici, probabilmente,
che han l’aria di aver interrotto per un momento le loro attività ricreative per
farsi fotografare) domina la scena, mentre la modella che porta un abito
firmato Kiton (un marchio napoletano di sartoria di altissima qualità) se ne
rimane sullo sfondo, senza farsi troppo notare. Gli uomini hanno espressioni
tranquille, pacificate, quasi rassegnate, in nessun caso euforiche, semmai
vagamente incuriosite. Ciò che li contrassegna e che salta all’occhio sono i
corpi sfatti, quasi grotteschi nella loro normalità, i sederi e le pance
prominenti, che deformano il loro modesto abbigliamento estivo.
La condizione anziana (e maschile) diventa qui strumentale a un effetto di
contrasto con l’eleganza e la bellezza, neppure troppo esibita, della figura
femminile.
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In una località forse esotica (s’intravedono le palme), davanti a un negozio
elegante (s’indovina un’insegna con la scritta ‘Biasia’), una signora in nero,
una vedova probabilmente, vestita con cura, ammira una bella borsa bianca.
La consuetudine e il canone vorrebbero che la donna fosse giovane e bella, e
invece è parecchio in là con gli anni, gli occhi semichiusi, la faccia segnata,
tenuta su da creme e belletti che le danno l’aspetto di un mascherone triste.
[anzI]
Anche qui, sia pure in modo più discreto, si ottiene un notevole effetto di
spiazzamento tramite la sostituzione giovane/vecchia. La headline dice infatti:
‘The other side of fashion’. L’alterità sta appunto nella distanza d’età, ma
anche nell’opposizione nero/bianco (abiti/borsetta), dentro/fuori dalla vetrina,
prima/dopo la vedovanza
L’associazione tra vecchiezza e lusso si ripresenta in modo anche più
esplicito in un annuncio per E-bay.
[anzJ]
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Nessun segno di emozioni solidaristiche o moti di compassione, in questo
caso: il ritratto di vecchia signora che viene offerto è quello di una donna
fredda e autoconsapevole, immunizzata da certe tribolazioni della vecchiaia
grazie alla sua ricchezza, ai suoi privilegi. Anche il titolo suona lievemente
sarcastico.
Nel caso di prodotti che chiamano in causa problemi e limitazioni specifiche
della terza età, la comunicazione si fa più pratica e diretta. Per pubblicizzare
uno scooter e una “poltrona relax”(Biotech) per anziani disabili, si sceglie la
via più facile, il tono ottimistico e rassicuratorio, la funzionalità di un mezzo di
trasporto che fa recuperare in parte l’indipendenza e la mobilità perdute.
[anzK]
I progetti delle campagne pubbliche di carattere sociale rivolte agli anziani
spesso si caratterizzano per una certa pomposità, piuttosto buffa, derivante
anche dalle cattive abitudini e dal gergo socio-psico-ministeriale. Un buon
esempio è fornito proprio dal sito del Ministero della Salute, a proposito di
una campagna del 2004 sul tema ‘Benessere dell'anziano e corretto uso dei
farmaci’. Si precisa subito con sussiego pedagogico che «L'approccio …
intende essere assolutamente positivo: non si esalta il mito dell’eterna
giovinezza o del benessere apparente a tutti i costi, ma si invita a riflettere
sulle fasi della vita e sugli inevitabili 'acciacchi' dovuti all’età che avanza. Ed è
in quest’ottica che vengono offerti consigli e suggerimenti di carattere medico.
I messaggi riguardano sostanzialmente gli stili di vita: ciò che è consigliabile
fare o non fare per garantirsi un’aspettativa di vita tanto lunga quanto
sana…[,,]…sarà costantemente ribadito che…una vita attiva, sia sotto il
profilo fisico che sotto il profilo mentale, aiuta a preservare la qualità
dell'esistenza» [http://www.ministerosalute.it/servizio/ campagna.jsp]
Ma anche certe comunicazioni commerciali indirizzate agli anziani
presentano un lato di comicità involontaria, come in uno spot Actimel Danone
di qualche tempo fa. [anzL]
Lo speaker ricorda con tono paziente che “uno stile di vita sano è importante
per le difese naturali. E…quando s’indeboliscono, prova Actimel, etc.” Nel
frattempo, alla parola ‘indeboliscono’, si vedono due anziani, un uomo e una
donna, ridotti quasi allo stato di fantasmi, diafani e biancastri, che stanno
bevendo a più non posso lo yogurt probiotico, con cui presto riprenderanno
colore, carne, sembianze umane. L’immagine dei due che stanno per svanire
è quasi un trailer della loro scomparsa dalla vita: è quasi inevitabile vederla
così, con evidenti effetti di humour nero.
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E’ decisamente più abile, e consapevolmente spiritoso, uno spot Coca-Cola
centrato sulla figura di un anziano che è vissuto a lungo senza assaporare la
più famosa delle bibite gasate (“Non l’ho mai provata”: un vero emarginato,
dunque), e che solo in età avanzata si rende conto di ciò che si è perso,
quando la badante della casa di riposo gliene offre una bottiglia.
[anzM]
A quel punto, dopo un sorso o due, la fantasia del vecchio si scatena, e gli fa
vivere in un lampo emozioni intense, esperienze estreme e piacevoli che non
si era mai concesso nella vita (“Cos’altro, non ho mai fatto!”). Nell’ultima
inquadratura vediamo Mr. Jones (così si chiama il vecchio) che cammina
pieno di vitalità sui marciapiedi affollati di una grande città, essendosi lasciato
alle spalle la casa di riposo.
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