Organismi pionieri e rocce: le patine a ossalati di calcio di Marco Del Monte Università di Bologna, Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali Via Zamboni 67, 40127, Bologna, Italy E- mail: [email protected] Gli organismi “pionieri” sono quelli che colonizzano per primi una roccia nuda in campo: quindi batteri (che in realtà organismi non sono), alghe, funghi e soprattutto licheni. Noi qui parleremo brevemente solo di questi ultimi rimandando per più precise e dettagliate informazioni alla letteratura specializzata (Ahmadjian, 1993; Brown, 1984; Carlile et al., 2001; Dalby et al.,1988; Deacon, 2000; Gilbert, 2000; Hale, 1983; Hawksworth and Hill, 1984; Laundon, 1986; Nash, 1996; Ozenda et Clauzade, 1978 ; si veda anche l’elenco dei siti web in calce alla bibliografia). I licheni sono associazioni mutualistiche, vale a dire simbiosi, tra un fungo e un partner capace di fotosintetizzare (un’alga o un cianobatterio) che danno vita a un organismo composito. Il fungo forma un tessuto attorno alle cellule algali, fornendo loro acqua e sostanze minerali assorbite tramite le ife dal substrato roccioso. A sua volta il partner fotosintetico fornisce al fungo carbonio organico (amidi e zuccheri) e, nel caso dei cianobatteri, azoto organico (nitrati e sali d’ammonio) a partire dall’N2 presente in atmosfera. L’alga fornisce inoltre alla simbiosi anche sostanze auxotrofiche (vitamine). Le “informazioni” e lo scambio dei nutrienti tra i due partner avvengono attraverso propagoli del fungo, che penetrano la parete algale, detti austori. Sotto il profilo nutrizionale dato che l’alga è un organismo autotrofo mentre il fungo è eterotrofo, il più avantaggiato è il fungo. Sotto il profilo ecologico il fungo, attraverso il fitto intreccio di ife (che formano il corpo o tallo lichenico), protegge l’alga dall’essiccamento e dal congelamento risultando così fondamentale nella colonizzazione di ambienti “estremi” (Alstrup, 1993; Alstrup and Cole, 1998; Andreev et al., 1996; Hertel, 1987; Kershaw, 1985). I licheni giocano così un ruolo fondamentale sia alla base della catena ecologica sia come precursori della pedogenesi. Essi si comportano come pionieri dell’insediamento vegetale. Colmate le microcavità o le microfratture con l’humus prodotto dopo la morte dal lichene stesso essi rendono possibile lo sviluppo di muschi e, concorrendo alla degradazione della roccia sottostante, quello di piante erbacee prima e legnose poi. Durante l’evoluzione i partner lichenici (micobionte e ficobionte) si sono adattati in modo talmente stretto, che molte alghe dei licheni (ad esempio Trebouxia spp.) probabilmente non hanno esistenza autonoma. Anche per quanto riguarda il tipi di 1 funghi, circa 14000 per il 96% ascomiceti, solo pochissimi ( < 1% ) sono stati osservati in condizioni di vita libera (Deacon, 2000). Il tallo di un lichene è, di solito costituito da una singola specie di fungo e da una singola specie fotosintetizzante. Ospiti del lichene sono sempre batteri di uno o più tipi e in diversi casi funghi parassiti (Faltynowicz, 1993; Goward and Thor, 1992). Tra i funghi dominano, come appena detto, gli ascomiceti, molto meno comuni sono i basidiomiceti ed infine eccezionali sono i licheni nei quali partecipano i deuteromiceti. Sotto questo aspetto i licheni si possono dividere in Ascolicheni e Basidiolicheni. Il partner fotosintetizzante è costituito da un alga verde (Tribouxia già citata, Clorella, Pleurococcus, Protocossus, Cystocossus) o da un cianobatterio ( o alga azzurra del genere Nostoc, Gloeocapsa, Rivularia): si tratta di alghe monocellulari anche se esistono rari licheni formati da alghe filamentose (ad es. Trentepholia). Nella costituzione morfologica di un lichene la partecipazione del fungo è dominante rispetto a quella dell’alga: quello che noi comunemente chiamiamo lichene (il tallo) non è altro che un fitto intreccio di ife fungine. Secondo diversi A.A. i licheni dovrebbero far parte del dominio dei Funghi sotto la denominazione di Funghi lichenizzati. I licheni, in base all’aspetto esteriore, vale a dire alla morfologia del tallo, possono essere distinti in crostosi, fogliosi e cespugliosi. Parlando di rocce hanno interesse praticamente solo i licheni crostosi: in questo caso il tallo si sviluppa sulla roccia come crosta appiattita a forma spesso subcircolare. Inoltre occorre fare una distinzione tra licheni epilitici e licheni endolitici: i primi, come dice il nome, vivono all’esterno incrostando in superficie la roccia, i secondi vivono all’interno (sino a qualche centimetro nelle pietre più trasparenti dove comunque deve essere garantita la fotosintesi) della roccia colonizzata. Mentre i funghi liberi crescono molto velocemente, il fungo del lichene epilitico, e quindi il tallo, sotto l’azione dell’alga si accresce in modo estremamente lento (solo qualche mm/anno; Ozenda et Clauzade, 1978). Nel caso poi dei licheni endolitici la crescita è lentissima: essi sarebbero gli organismi viventi del nostro Pianeta di età maggiore (Price, 1992). Il tallo può essere coriaceo, carnoso o gelatinoso. Nel caso delle rocce è quasi sempre coriaceo. Molto vario è il colore che va dal bianco al verde marcio, al verde brillante, al giallo, al rosso ruggine, al rosso vivo, al violetto. Se si osserva un tallo lichenico in sezione trasversale le cellule fotosintetizzanti possono essere omogeneamente distribuite o essere disposte in un sottile strato. Nel primo caso si parla di tallo omomero e nel secondo di tallo eterometro. In genere i licheni incrostanti superficialmente le rocce presentano un tallo eterometro, mentre è omomero quello dei licheni endolitici. 2 Per quanto concerne l’azione dei licheni nella degradazione meteorica, questa è una conseguenza dell’ azione svolta dalle ife fungine che penetrano in profondità: esse ancorano al substrato il lichene, forniscono i macroelementi e i microelementi della nutrizione al simbionte estraendoli dai minerali della roccia sottostante alterandoli e modificano le caratteristiche superficiali della roccia. Per quanto riguarda la profondità massima di penetrazione delle ife, questa varia a seconda del litotipo. Ad esempio in calcari e marmi essa raggiunge i 14 mm (Fig. 1; Del Monte 1990; Del Monte e Ferrari, 1989). Fig. 1 - Sezione trasversale di un lichene epilitico eterometro crostoso su calcare (Pietra d’Istria). Le cellule algali si trovano in superficie, protette da un sottile cortex superiore. Le ife fungine (diametro ≈ 2 µm) penetrano in profondità (max, osservata su questo tipo litologico 14 mm) alla ricerca degli elementi della nutrizione canalizzando fortemente la pietra, alterandone così le caratteristiche fisiche superficiali e favorendo la pedogenesi. La funzione di ancoraggio del tallo alla superficie della roccia è importante ma subordinata a quella nutrizionale. Nel caso di graniti la profondità è maggiore e può raggiungere i 25 mm (Del Monte, 1996). Le ife fungine penetrano attraverso la dissoluzione dei minerali (chelazione) e forse anche attraverso la pressione determinata dal turgore cellulare. In ogni caso l’apice dell’ifa ha dei sensori capaci di distinguere i minerali ricchi di elementi chimici utili da quelli poveri o da quelli del tutto privi. Nel granito, ad esempio, il quarzo (che non presenta nella sua struttura alcun elemento della nutrizione) viene ignorato dalle ife che privilegiano innanzitutto la biotite (fig. 2) seguita dal plagioclasio e infine dal K-feldspato (Del Monte et al., 1996). 3 Fig. 2 - Cristallo di biotite separata da un granito. Nei graniti le ife del micobionte penetrano a profondità notevoli alla ricerca degli elementi della nut rizione (max. osservata 25 mm). Il minerale più attaccato è la biotite che viene fortemente canalizzata. Le ife fungine penetrano sia lungo i piani di sfaldatura (001), sia trasversalmente a questi ultimi. Seguono nell’ordine il plagioclasio e l’ortoclasio. Il quarzo, al contrario, privo di elementi utili alla nutrizione, non è interessato dall’attacco. Gli apici delle ife presentano evidentemente dei sensori chimici che permettono di riconoscere gli elementi chimici e quindi i minerali utili. La perforazio ne avviene attraverso la dissoluzione chimica (chelazione) e l’azione meccanica (pressione dovuta al turgore cellulare). (Cattedrale di S. Giacomo di Compostela, Spagna). Per quanto riguarda la riproduzione dei licheni essa può essere sia asessuata sia sessuata. In numerosissime forme di licheni la riproduzione asessuata avviene mediante i soredi che sono piccole formazioni globulari, ovvero licheni in miniatura, in cui le ife fungine avvolgono alcune cellule dell’alga o del batterio specifico. I soredi sono dispersi nell’ambiente dal vento o dall’acqua ruscellante. Inoltre, per quanto riguarda il fungo, esiste anche la tipica riproduzione sessuata: i corpi fruttiferi prendono il nome pericarpi (periteci o più comunemente apoteci) che attraverso gli asci disperdono con forza nell’ambiente le spore fungine. Queste o incontrano nel loro viaggio il partner fotosintetizzante specifico (ma ciò è poco probabile) o, più comunemente, viaggiano portandosi dietro alcune cellule algali dedicate. Si è parlato subito sopra di organismi compositi: definire i licheni associazioni mutualistiche o simbiosi è infatti riduttivo: l’unione porta a nuove e distinte unità viventi. In altri termini il lichene va ben oltre alla semplice somma delle caratteristiche e delle funzione dei due partner il micobionte e il ficobionte. Questo “nuovo” organismo assume pertanto proprietà morfologiche e fisiologiche non possedute dai due simbionti quando essi siano isolati. 4 I licheni ad esempio hanno una grande versatilità ecologica che manca ai partner isolati. Si possono sviluppare sui substrati più disparati: oltre alle rocce, i vetri (Green and Snelgar, 1977), i laterizi (Del Monte, 1989), i metalli (Richardson, 1978) e naturalmente i tronchi e i rami degli alberi. Molti di essi mostrano resistenza a temperature estreme, resistenza all’essiccamento, ecc.. Noto a tutti è il caso di Cladonia rangiferina (“lichene delle renne”) che rappresenta nelle zone nordiche subpolari l’unico alimento di renne e caribù (Thomson and Ahti, 1994; Zhurbenko, 1999). D’altronde i licheni sono estremamente sensibili agli inquinanti aerodispersi e in particolare ai composti dello Zolfo. Questa loro sensibilità che da una misura integrata della qualità dell’aria in una data area nel tempo viene da tempo utilizzata per il monitoraggio ambientale (Del Monte, 1989; Henderson, 1990; Richardson, 1975; Richardson, 1992). Infatti le varie specie hanno limiti di tolleranza diversa: ad esempio Lecanora conizaeoides o Lepraria incana sopportano sino a 150 µg/m3 di SO2 in aria, Lecanora chlarotera sino a 50 µg/m3 e specie come Parmeliella plumbea o Pannaria rubiginosa meno di 3 µg/m3 I “deserti lichenici” (fondamentalmente le grandi metropoli e le grandi aree industrializzate come ad esempio la Valle Padana) sono (stati) prodotti principalmente dagli alti valori di SO2 in atmosfera ( > 150 µg/m3 , negli anni ’90, in inverno, in città). Sembra che quest’ultima eserciti un effetto deleterio sui cloroplasti dell’alga portando il lichene ad una rapida morte (Richardson and Nieboer, 1983). Per quanto riguarda il metabolismo i licheni producono un numero straordinario di sostanze licheniche o prodotti lichenici o acidi lichenici (Cordoba, 1975; Culberson, 1969) che alga e fungo, quando crescono isolati, non sono assolutamente in grado di sintetizzare. Si danno questi nomi, che sono sinonimi, a tutti i composti organici, anaboliti e ai cataboliti, che hanno a che fare coi licheni. Queste sostanze sono in massima parte solide, hanno un punto di fusione di diverse decine di °C (i valori più comuni sono compresi tra 125 e 260 °C) e in genere, ad eccezione dell’acido ossalico, sono da scarsamente solubili a insolubili in acqua. Esse ammontano a diverse centinaia e farne un elenco anche parziale sarebbe del tutto privo di significato. Si rimanda perciò alla letteratura specializzata (Cordoba, 1975). Le sostanze che comunque, per la (modestissima) esperienza dello scrivente, compaiono più spesso sono ad esempio gli acidi: ossalico, lecanorico, lobarico, usnico, pulvinico, olivetorico, evernico, imbricarico, umbilicarico, lobarico, barbatico, tamnolico, salacinico, galico e molti altri. Un ruolo del tutto particolare è giocato dall’acido ossalico H2C2O4 (Ethanedioic acid): quest’acido che sublima a 157 °C e si decompone a 189.5 °C e viceversa solubile in H2O ( sol.: 3; Lider, 2000). Esso è prodotto in notevole quantità dal micobionte, ma talora anche dal ficobionte, in particolare dai cianobatteri (Del Monte 5 and Sabbioni, 1983). Si suppone che l’eccesso in Ca venga eliminato dal lichene attraverso la precipitazione di due ossalati di calcio: la Weddellite (CaC 2O4 . 2H2O, Tetragonale bipiramidale) e la Whewellite (CaC 2O4 . H2O, Monoclina prismatica). Questi due minerali (ovvero o l’uno o l’altro) si trovano spesso in piccoli cristalli da idiomorfi a subidiomorfi all’interno del tallo lichenico. La Whewellite è statisticamente più diffusa della Weddellite e sembra perciò essere il minerale più stabile in natura (Del Monte and Sabbioni, 1987). L’acido ossalico può anche disciogliersi nell’acqua di pioggia, e seguirne la sorte durante il suo ruscellamento verso il basso, sulla superficie delle rocce. In questo caso, nei sottosquadri, nelle rientranze, nelle nicchie e più in generale in tutte le zone a valle bagnate ma non soggette a forte wash-out la soluzione acida può interagire con la calcite formando sottilissimi veli bruni di ossalato (o ossalati) di calcio (Fig. 3). Queste patine brune (in realtà il colore va dal nocciola, al bruno rosa, al bruno scuro sino al rosso ruggine) sono estremamente diffuse in natura ma abbastanza difficili da evidenziare (Del Monte et al., 1987). Il motivo consiste nel fatto che di solito il loro spessore è dell’ordine della decina di µm e solo eccezionalmente raggiunge il centinaio di µm. Ne consegue che se si raschia la patina senza le dovute cautele ( occorre cioè asportarla delicatamente da una superfici abbastanza estesa) si preleva soprattutto la calcite del substrato: sarà questo alla fine l’unico minerale messo in evidenza mediante XRD. Fig. 3 – I licheni crostosi colonizzano tutte le superfici delle rocce più esposte alla circolazione d’aria, all’acqua di pioggia e alla radiazione solare. L’acqua delle idrometeore raggiungendo e impregnando il tallo dei licheni si acidifica per acido ossalico, prodotto da questi organismi (in ragione di alcune centinaia di ppb/g). La soluzione acida così formata, scorrendo verso il basso può reagire con la calcite del calcare o del marmo: l’acido ossalico, essendo l’ossalato di calcio, meno solubile della calcite, sposta l’acido carbonico portando alla precipitazione della Weddellite e/o della Whewellite. Col passare del tempo si formano così sottili veli di Ca-ossalati (10-100 µm circa) di colore nocciola, bruno rosa, bruno scuro o rosso ruggine. Il colore è dato da corpuscoli organici imprigionati nel precipitato, come spore fungine, frammenti di ife, colonie batteriche, ecc..Queste patine sono caratteristiche delle nicchie, dei sottosquadri e delle rientranze in genere in quanto qui i licheni sono assenti e l’acqua di pioggia acidificata, bagnando la pietra senza 6 ruscellare, può interagire con essa per un tempo sufficientemente lungo a indurre la reazione chimica Ca++ + 2HCO3 - + C2O4-- ⇒ CaC2O4 .H2 O + CO2 ⇑. I licheni colonizzano sia le pietre degli affioramenti naturali, sia ovviamente anche quelle messe in opera nella realizzazione di manufatti (miliari, muretti, mura di cinta, fabbricati, ecc.) o monumenti (chiese, palazzi, bassorilievi, altorilievi, rilievi a tutto tondo, ecc.). In queste opere dominano sia le superfici verticali sia i sottosquadri, le sporgenze e le rientranze, le nicchie ecc.., vale a dire geometrie simili a quelle schematizzate in figura 3. Per questo le patine a ossalati di calcio sono così comuni sulle superfici dei monumenti (Fig. 4). Fig. 4 - Pinnacolo in campo aperto in calcare. La superficie della pietra è quasi totalmente ricoperta da licheni crostosi epilitici (grigio-neri nella foto). Le due nicchie, non colonizzate dai licheni (bianche nella foto), sono invece ricoperte da una sottile patina bruno-rosata costituita da ossalati di calcio. (Nostra Signora della Battaglia, Portogallo, particolare) I licheni che, come abbiamo detto, non tollerando i composti dello zolfo aereodispersi hanno da tempo abbandonato le città (Bates and Farmer, 1992. Del Monte, 1991). Gli ossalati di calcio, così comuni sulle superfici dei monumenti urbani rappresentano la memoria dei tempi passati quando la qualità dell’aria era buona, i licheni vivevano felici nelle città, il biodegrado era uno dei principali fattori di danno e la lotta alle “male erbe” uno dei principali interventi conservativi che si rendeva necessario per la salvaguardia delle opere d’arte (Del Monte and Sabbioni, 1987; Del Monte and Sabbioni, 1988). Bibliografia Ahmadjian V. The Lichen Symbiosis. Wiley, Chichester, 1993. 7 Alstrup V.. News on lichenicolous fungi from the Nordic countries. Graphis Scripta, 5, 96-104, 1993. Alstrup V.and M.S. Cole. Lichenicolous fungi of British Columbia. Bryologist, 101, 221-229, 1998. Andreev M., Y. Kotlov and I. Makarova. Cheklist of lichens and lichenicolous fungi of the Russian Arctic. Bryologist, 99, 137-169, 1996. Bates J.W. and A.M. Farmer. Bryophytes and Lichens in a Changing Environment. University Press, Oxford, 1992. Brown D. H. (ed.). 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