COME SPIEGARE LO STERMINIO DEGLI EBREI
di Michele Battini
Il tema di cui mi devo occupare è naturalmente centrale rispetto alla problematica della
Giornata della Memoria. Avrete capito benissimo che il mio titolo contiene un'omissione: manca un
punto interrogativo. “Come spiegare lo sterminio degli ebrei?” è una domanda. La storiografia su
questo problema si è a lungo interrogata e divisa. Io non farò altro che riproporre il succo delle tesi
e delle opere principali e, soprattutto, cercare di rispondere ad un'ulteriore questione, preliminare,
forse, alla domanda “Come spiegare lo sterminio degli ebrei?”. Bisogna chiedersi infatti: lo
sterminio degli ebrei d'Europa è spiegabile? Si tratta di una questione di dimensioni non soltanto
storiografiche, evidentemente. Nell'ambito più limitato della riflessione storica, il primo problema
riguarda sostanzialmente come riconsiderare, alla luce della Shoah, la storia dei rapporti tra
cristianesimo ed ebraismo nei secoli precedenti. Come ha detto Yehoshua, lo sterminio ha mutato
non soltanto la percezione che gli ebrei avevano avuto della propria storia e del proprio mondo, ma
anche la percezione che il resto del mondo ha dell'ebraismo e della presenza degli ebrei nella storia
europea. Lo sterminio impone anche una riconsiderazione totalmente diversa del significato del
totalitarismo fascista e nazionalsocialista europeo. Non c'è dubbio che la considerazione che noi
abbiamo del fascismo dopo il 1945 e la conoscenza della portata dell'impresa nazista è sicuramente
diversa da quello che era il giudizio che potevamo dare dei fascismi europei e del
nazionalsocialismo tedesco prima del 1945.
Infine la terza questione concerne l’”unicità” dello sterminio degli ebrei e la comparabilità di
esso con altri massacri della storia mondiale. Tre questioni che rinviano comunque al dilemma
preliminare sulla possibilità stessa di spiegare lo sterminio degli ebrei, che lascio sullo sfondo con la
consapevolezza piena dei limiti, non solamente di questa comunicazione, ma della stessa
storiografia su questo problema: i limiti di un'interpretazione storica e quindi razionale dello
sterminio degli ebrei. Il punto interrogativo della domanda deve essere dunque mantenuto.
L'opera più completa su questa enormità della storia europea del '900 è, come voi sapete, La
distruzione degli ebrei d’Europa, di Raul Hilberg, pubblicata da Einaudi nel 1995. Un'opera a cui
l'autore ha dedicato più di 50 anni. La sostanza della tesi di Hilberg è che lo sterminio degli ebrei
d'Europa, dal 1942 al 1945, certamente il prodotto di una decisione politica degli alti poteri del
Terzo Reich, può essere compreso storicamente soltanto se lo si situa all'interno di un contesto
storico preciso. E' il contesto degli anni 1942-1945, e degli eventi che caratterizzano la seconda
metà della Seconda Guerra Mondiale: in particolare l’impossibilità per i comandi militari tedeschi e
per la dirigenza politica del Reich di realizzare i piani di espulsione degli ebrei dall'Europa che
erano stati previsti precedentemente.
Il secondo elemento importante è quello della guerra, condotta a partire dal 1941 dal Reich
nei territori dell'Europa orientale, in particolare dal giugno del 1941 con la dichiarazione di guerra
all'URSS e l'invasione del territorio sovietico: una guerra profondamente diversa da quella condotta
ad occidente dal Reich contro la Francia, l'Olanda e altri Paesi invasi. Nella guerra di sterminio
nell'Europa orientale intervengono procedure ispirate a criteri politici, e non solamente militari: in
particolare i criteri di gerarchizzazione etnica su cui la nuova organizzazione di questi territori si
doveva fondare essenzialmente in funzione anti-slava, ma anche antiebraica. L'organizzazione di
questi territori si sarebbe ispirata al progetto politico del Lebensraum, lo “spazio vitale”; per la
Germania si trattava di un progetto politico caratteristico di molte correnti nazionaliste e
pragmatistiche tedesche sin dagli anni della Prima Guerra Mondiale. Consisteva
nell’organizzazione imperiale del territorio e nel controllo delle risorse economiche, industriali,
agricole, energetiche di quelle zone in funzione della realizzazione di uno spazio vitale per
l’economia tedesca, che naturalmente veniva concepita come l'economia che avrebbe avuto il ruolo
centrale nella nuova organizzazione dell'Europa, nel Nuovo Ordine Europeo.
Tale contesto spiega molto bene, secondo Hilberg, l'esito della politica nei confronti degli
ebrei praticata a partire dal 1941. Ciò non significa che questo esito sarebbe stato possibile senza le
fasi precedenti della politica tedesca, in particolare senza l'inasprimento continuo che la politica di
persecuzione dei diritti degli ebrei aveva conosciuto nei territori sotto controllo diretto dei
nazionalsocialisti: in primo luogo, a partire dal 1933, in Germania e successivamente, a partire dal
1938, nell'Austria annessa e poi negli altri territori conquistati dal Reich prima della e con la guerra
stessa: i Sudeti, la Cecoslovacchia, la Polonia (il governatorato polacco), i territori balcanici. L'esito
dello sterminio non sarebbe stato possibile senza la partecipazione di grande parte delle
organizzazioni burocratiche e dell' amministrazione del Reich e dei regimi di collaborazione con i
tedeschi nei territori dell'Europa occupata, e anche dei Paesi alleati dell'Asse. Il regime di Vichy in
Francia partecipò attivamente con la propria politica di persecuzione dei diritti e poi con
l'organizzazione della deportazione. Analogo fu il comportamento delle autorità italiane della RSI
dal settembre 1943. La Repubblica Sociale Italiana passò ad una politica di persecuzione attiva, di
privazione della cittadinanza e di persecuzione delle vite degli ebrei italiani, in continuità con le
scelte precedenti del regime, a partire naturalmente dai provvedimenti di legge del 1938, 1939 e
1942 elaborati con il fine di perseguire i diritti dei cittadini italiani di religione ebraica.
Ci fu un un'escalation, una radicalizzazione del processo di persecuzione che conobbe
modalità e procedure simili all'interno della Germania, e successivamente nell'area europea da essa
controllata. Il caso dell'Italia è un caso di estremo interesse, perché conduce a sfatare il mito di un
fascismo italiano immune dall' antisemitismo: componenti anisemitiche nel fascismo italiano (e nel
precedente nazionalismo) vi erano sempre state, seppure minoritarie. Dal 1937 esse divennero più
importanti e più evidenti.
Per fissare una prima cronologia importante, le date significative per la costruzione delle
premesse dello sterminio degli ebrei sono quelle che vanno dal 1938 al 1942. Nel 1938 c'è già una
legislazione operante in buona parte dell'Europa totalitaria o filo-totalitaria, non solo in Germania e
in Italia, ma anche in Ungheria e in Austria (anzi, spesso in alcuni di questi Paesi la legislazione è
per certi aspetti ancora più radicale di quella dei Paesi fascisti). Dal 1938 nasce la consapevolezza
che l’esito finale sarà quello della scomparsa degli ebrei dall'Europa. Non dico “sterminio” ma
“scomparsa” degli ebrei dall'Europa, e poi preciserò perché è importante questa distinzione. Sino al
1941 rimarrà impregiudicato lo strumento con cui realizzare tale eliminazione. Probabilmente si
pensa all'espulsione e all'emigrazione forzata. Ma nel 1939 c'è un ulteriore e importante passaggio.
Una soluzione di sterminio viene praticata nei confronti di una componente della società tedesca, le
persone portatrici di handicap e menomate: il Progetto eutanasia, che viene realizzato in continuità
con le biopolitiche razziali ispirate a criteri eugenetici insanamente diffusi nella cultura scientifica
europea (pratiche di sterilizzazione furono richieste anche in Scandinavia).
In Germania, il Progetto eutanasia sperimentò le procedure di eliminazione fisica. In seguito,
alla conferenza tenuta a Berlino nel quartiere residenziale del Wansee, la soluzione obbligata dello
sterminio fu per la prima volta proposta anche per tutti gli ebrei d'Europa. Ma già da mesi erano
iniziate le fucilazioni in massa degli ebrei polacchi.
Recentemente è stato tradotto in italiano un altro libro che vorrei ricordare (anche perché la
sua presentazione è stata organizzata dalla Comunità Ebraica di Pisa in collaborazione con la
Provincia): di K. Patzold e E. Schwarz, Ordine del Giorno: sterminio degli ebrei. La conferenza del
Wansee del 20 gennaio 1942, un libro pubblicato da poche settimane da Bollati Boringhieri. Si
tratta di un testo interessante perché offre documenti originali della discussione tra i dirigenti del
Reich. Innanzitutto il verbale, redatto da Eichmann, all'epoca membro della Direzione generale di
sicurezza del Reich, dirigente della sezione “Emigrazione ed evacuazione”, responsabile della
deportazione degli ebrei tedeschi e del protettorato nei territori del governatorato polacco. Il verbale
della conferenza del Wansee documenta come la Direzione generale di sicurezza del Reich fosse
determinata a organizzare il passaggio dalla persecuzione allo sterminio. Il mandato al capo della
Sezione fu dato direttamente da Göring e da Himmler: il verbale documenta dunque esplicitamente
come l'input all'intensificazione delle procedure di persecuzione venisse direttamente dai vertici del
Reich, in particolare da Göring che, nel luglio 1941, avrebbe autorizzato Eichmann a preparare la
“soluzione globale” della questione ebraica.
L'autorizzazione di Göring è il più importante dei documenti di questa prima fase, perché
esplicita formalmente che la direzione del Reich, già nel luglio del '41, e quindi prima della
conferenza del 1942, si era posta quattro obiettivi: il primo era l'attribuzione del trattamento degli
ebrei in Germania e in Europa alla competenza della Direzione generale di sicurezza del Reich; il
secondo era che il fine del trattamento fosse l'eliminazione integrale, o la “soluzione globale”, degli
ebrei dall'Europa. Ciò significava l'eliminazione in primo luogo dei tre milioni d'ebrei presenti nel
territorio del governatorato polacco, tra cui anche gli ebrei tedeschi espulsi dal territorio nazionale e
gli ebrei polacchi espulsi dai territori occupati. La prospettiva, a brevissimo termine, era però quella
dell'eliminazione di undici milioni d'ebrei presenti su tutto il territorio europeo. Il terzo obiettivo era
il coordinamento di tutte le istanze del Reich a questo scopo, e infine l'ultimo era l'organizzazione di
un sistema che coinvolgesse i vari livelli della burocrazia e dell'amministrazione dello Stato, per
concepire e realizzare lo spostamento di questa massa di popolazione verso i luoghi dove si sarebbe
dovuta applicare la soluzione finale. Non c'è quindi in questo documento la decisione formale dello
sterminio. E questo è il punto su cui vorrei attirare la vostra attenzione.
Nei documenti non c'è la rivelazione esplicita e non c'è la “svolta sensazionale”. Grazie a
ciò, uno storico inglese che è stato imputato in un processo penale in cui è stato condannato per le
proprie affermazioni menzognere, David Irving, ha fondato anche sull'assenza in questi documenti
di un ordine formale la menzogna che non esistesse l'intenzione ed il progetto di sterminare gli ebrei
d'Europa. In molti paesi europei la menzogna che lo sterminio degli ebrei sia stata un'invenzione di
una storiografia ideologizzata è stato argomento che ha tenuto banco nelle polemiche pubbliche nel
corso degli anni '80 e '90, alimentando un'opinione neonazista. Pensate alla Francia e alle polemiche
che un personaggio come Paul Faurisson ha alimentato per anni (Faurisson tra l'altro è un
personaggio proveniente dall'ambiente di sinistra). Quindi nei documenti nazisti noi troviamo
soltanto la prova di un processo già iniziato, perché nei verbali pubblicati sul libro di Patzold e
Schwarz ci sono le cifre del bilancio dell’operazione di polizia che già nel 1941 era stata iniziata
soprattutto nei territori del Governatorato. Quando nel gennaio del 1942 si organizza il meccanismo
dei campi nei territori dell'est, era già iniziata una procedura di sterminio degli ebrei che aveva
utilizzato altre tecniche, in particolare quella delle fucilazioni di massa o dell'uso dei camion a gas.
A mio avviso, la storiografia più accorta ha da tempo cercato di suggerire una spiegazione
delle origini dello sterminio degli ebrei non legata alla dimostrazione di una coerenza del percorso
politico-ideologico da parte del gruppo dirigente nazionalsocialista, una spiegazione
“intenzionalista”. Molti storici hanno insistito su quest'intenzionalità da parte di Hitler, che avrebbe
cominciato a concepire il progetto tra il 1920 e il 1925, o addirittura a Vienna prima della Prima
Guerra Mondiale. In realtà, l'ossessione antiebraica è un problema importante ed è vero che c'è stata
una continuità ideologica nella vicenda nazionalsocialista, prima e dopo l'ascesa al potere, che
documenta sicuramente un progetto politico di persecuzione. Però non ci documenta il progetto
dello sterminio e il passaggio dalla persecuzione dei diritti allo sterminio. La spiegazione
intenzionalista rischia dunque di scontrarsi con l'assenza del documento che dovrebbe contenere un
esplicito ordine di sterminio. Non lo troveremo mai, forse, questo documento. Non sono mancate
esplicite affermazioni di Hitler; pensate al famoso discorso del gennaio 1939 al Reichstag, ripetuto
nel settembre '39 in un delirante comizio: la “profezia” che la guerra avrebbe significato anche la
scomparsa degli ebrei dall' Europa. Ma anche questo può essere considerato una spia dell'esistenza
di un ordine. I biografi di Hitler hanno illustrato come fosse un tipico atteggiamento di Hitler, molto
importante per capire il suo modo di agire, quello di creare le condizioni perché certi processi
s'innescassero e far sì che i processi procedessero per proprio conto, secondo una dinamica che era
tipica della burocrazia del Reich e anche delle burocrazie preposte all'organizzazione dello
sterminio. Non una catena di comando lineare dall'alto verso il basso, ma un input da parte del
Fuhrer, attraverso illuminazioni (spesso non chiarissime dal punto di vista pratico) che poi le alte
sfere traducevano in ordini pratici.
Si trattava di un meccanismo che sottraeva Hitler da una responsabilità diretta e che egli
aveva praticato già all'esordio delle persecuzioni nei confronti degli ebrei, nel 1933. Decreti e
legislazioni processarono prima di “definire” chi fosse un ebreo, poi giunsero al licenziamento dalla
pubblica amministrazione dello Stato, alla soppressione delle imprese, alle imposte sul patrimonio.
Nel 1935 seguirono le leggi sul sangue e sulla cittadinanza e nel 1938 ulteriori provvedimenti e
ulteriori persecuzioni. Ma in nessuno di questi casi voi trovate un ordine di Hitler esplicito. Trovate
semmai un atteggiamento molto attento ai contraccolpi che i provvedimenti più radicali potevano
avere sulle classi dirigenti del Reich, in particolare in alcuni settori conservatori che non amavano le
radicalizzazioni di certi ambienti nazionalsocialisti. E questa linea di condotta Hitler la mantenne
sino alle decisioni fatali del 1942.