21. d) Sistemi di scrittura e tipi di strumento e di supporto usati Nel corso del III sec., quando Roma estende i suoi domini alla Sicilia e alla Magna Grecia, si hanno i primi contatti con la civiltà ellenistica, contatti che segnano l’inizio di profonde trasformazioni della compagine sociale romana e, pertanto, anche dei metodi educativi. I Romani scrivevano su supporti di vario genere: tavolette, papiro, pergamena. Le tavolette erano di legno, rivestite di cera nera, generalmente legate a due a due con un cordoncino, erano usate per le annotazioni personali e per le lettere familiari. Si scriveva su di esse con uno stiletto, di cui un’estremità era appuntita, mentre l’altra era tagliata a ugnatura e consentiva di cancellare, ridistribuendo ugualmente la cera. Il papiro, intorno alle cui tecniche di fabbricazione Plinio il Vecchio ci fornisce interessanti ragguagli, veniva dall’Egitto. Era usato in rotoli (volumina) ed era costituito di materiale estremamente fragile. Nel corso del II sec. d.C., fu progressivamente sostituito dal quaderno (codex) di pergamena. Tanto sul papiro che sulla pergamena i Romani scrivevano con inchiostro, nero per le parti del testo, rosso per i titoli, usando una penna (penna) o un calamo di canna. Si servivano talora anche di un portapenne di bronzo. Nel corso del secondo secolo, le scuole elementari si diffusero in tutto l’impero, ma nonostante ciò, soprattutto nelle province, non dovettero mancare gli analfabeti, i quali erano spesso costretti a ricorrere alle prestazioni di uno scrivano pubblico: è appunto uno scrivano il personaggio, riportato nell’illustrazione grande a sinistra, in atto di scrivere su tavolette di legno quanto gli dettano i clienti. Dai sette ai tredici anni circa, i bambini frequentavano scuole private, nelle quali apprendevano a leggere, a scrivere e a far di conto. Sul bassorilievo di un sarcofago del Museo di Treviri (figura a destra in basso), vediamo un maestro seduto tra due suoi allievi, impegnati a leggere testi scritti su dei rotoli. 1 In effetti, la penetrazione della cultura greca, nonostante fosse fieramente avversata dalle classi conservatrici, che trovarono in Catone il loro portavoce, rispondeva al processo storico di romanizzazione del mondo ellenistico. Per governare il mondo ellenistico, si presentò ai Romani la necessità di imparare il greco, per trattare direttamente con le autorità locali delle loro province. E non si trattava solo di conoscere la lingua per farsi intendere. Trattare con i maggiorenti di una pólis greca era cosa ben diversa dal trattare con i capi tribù della Spagna e della Gallia. Di fronte agli eredi di una civiltà che si riteneva superiore, aristocratica e sprezzante di ogni aspetto culturale che non fosse stato espresso dal seno suo, il rozzo magistrato romano doveva sentirsi in condizione di inferiorità, schiacciato dal fiume di un’eloquenza, che traeva mille risorse da una lunga tradizione di logica formale. In rapporto a queste esigenze pratiche, nel corso del II sec. si andarono diffondendo in Roma le scuole superiori di grammatica e di retorica, riservate ai ceti socialmente elevati, o comunque a quanti aspiravano a ricoprire incarichi di responsabilità1. 1 M.A. Levi, Roma Antica, pag. 223. 2 Splendido esemplare di frammento di papiro che riporta un passo del Bellum Jugurthinum «Guerra contro Giugurta» dello storico Sallustio (I sec. a.C.): il documento è tra le più antiche trascrizioni dell’opera sallustiana a noi note, ed è conservato alla John Rylands Library di Manchester. 3