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d) Sistemi di scrittura e tipi di strumento e di supporto usati
Nel corso del III sec., quando Roma estende i suoi domini alla Sicilia e alla Magna
Grecia, si hanno i primi contatti con la civiltà ellenistica, contatti che segnano l’inizio
di profonde trasformazioni della compagine sociale romana e, pertanto, anche dei
metodi educativi.
I Romani scrivevano su supporti di vario genere: tavolette, papiro, pergamena. Le
tavolette erano di legno, rivestite di cera nera, generalmente legate a due a due
con un cordoncino, erano usate per le annotazioni personali e per le lettere
familiari. Si scriveva su di esse con uno stiletto, di cui un’estremità era appuntita,
mentre l’altra era tagliata a ugnatura e consentiva di cancellare, ridistribuendo
ugualmente la cera.
Il papiro, intorno alle cui tecniche di fabbricazione Plinio il Vecchio ci fornisce
interessanti ragguagli, veniva dall’Egitto. Era usato in rotoli (volumina) ed era
costituito di materiale estremamente fragile. Nel corso del II sec. d.C., fu
progressivamente sostituito dal quaderno (codex) di pergamena. Tanto sul papiro
che sulla pergamena i Romani scrivevano con inchiostro, nero per le parti del
testo, rosso per i titoli, usando una penna (penna) o un calamo di canna. Si
servivano talora anche di un portapenne di bronzo. Nel corso del secondo secolo,
le scuole elementari si diffusero in tutto l’impero, ma nonostante ciò, soprattutto
nelle province, non dovettero mancare gli analfabeti, i quali erano spesso costretti
a ricorrere alle prestazioni di uno scrivano pubblico: è appunto uno scrivano il
personaggio, riportato nell’illustrazione grande a sinistra, in atto di scrivere su
tavolette di legno quanto gli dettano i clienti.
Dai sette ai tredici anni circa, i bambini frequentavano scuole private, nelle quali
apprendevano a leggere, a scrivere e a far di conto. Sul bassorilievo di un
sarcofago del Museo di Treviri (figura a destra in basso), vediamo un maestro
seduto tra due suoi allievi, impegnati a leggere testi scritti su dei rotoli.
1
In effetti, la penetrazione della cultura greca, nonostante fosse fieramente
avversata dalle classi conservatrici, che trovarono in Catone il loro portavoce,
rispondeva al processo storico di romanizzazione del mondo ellenistico. Per
governare il mondo ellenistico, si presentò ai Romani la necessità di imparare il
greco, per trattare direttamente con le autorità locali delle loro province. E non si
trattava solo di conoscere la lingua per farsi intendere. Trattare con i maggiorenti di
una pólis greca era cosa ben diversa dal trattare con i capi tribù della Spagna e
della Gallia. Di fronte agli eredi di una civiltà che si riteneva superiore, aristocratica
e sprezzante di ogni aspetto culturale che non fosse stato espresso dal seno suo, il
rozzo magistrato romano doveva sentirsi in condizione di inferiorità, schiacciato dal
fiume di un’eloquenza, che traeva mille risorse da una lunga tradizione di logica
formale. In rapporto a queste esigenze pratiche, nel corso del II sec. si andarono
diffondendo in Roma le scuole superiori di grammatica e di retorica, riservate ai
ceti socialmente elevati, o comunque a quanti aspiravano a ricoprire incarichi di
responsabilità1.
1
M.A. Levi, Roma Antica, pag. 223.
2
Splendido esemplare di frammento di papiro che riporta un passo del Bellum
Jugurthinum «Guerra contro Giugurta» dello storico Sallustio (I sec. a.C.): il
documento è tra le più antiche trascrizioni dell’opera sallustiana a noi note, ed è
conservato alla John Rylands Library di Manchester.
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