Classificazione degli
alimenti
Gli alimenti apportano agli animali le sostanze nutritive di cui questi hanno bisogno.
Di solito, però, un unico alimento è incapace di apportare, da solo, tutto ciò di cui
l’animale ha bisogno. E’ per questa ragione che le razioni sono composte da vari
alimenti.
Esempio di razione per bovine da latte:
4 kg di fieno di medica
4kg di insilato di medica
18 kg di silomais
4kg di farina di mais
2kg di nucleo proteico
Esistono alimenti semplici, costituiti da una sola materia prima (fieno di medica;
silomais; farina di mais) ed alimenti composti, preparati di solito da un
mangimificio che mescola diverse materie prime per produrre un alimento più
complesso, normalmente in forma di pellet (mangimi e nuclei).
pellet
Gli alimenti semplici vengono suddivisi in alcune grandi categorie:
a) foraggi
b) concentrati
c) prodotti complementari
1
A) Foraggi
I foraggi sono formati da piante o parti di piante spontanee o coltivate, utilizzate
soltanto per l’alimentazione del bestiame. Possono appartenere a diverse famiglie
botaniche: graminacee, leguminose, crucifere. Ne vengono usate foglie e steli. Se
vengono raccolte dopo la fioritura, si potrà trovare anche una certa parte – di solito
molto bassa – di semi, immaturi o maturi.
Esempi di piante foraggere1:
Figura 1 – Piante foraggere: medica (a sinistra) e loiessa (a destra)
La pianta è costituita da tessuti diversi, ognuno dei quali ha un differente valore
alimentare. Questi tessuti sono
1
-
parenchimi: presenti nelle foglie, hanno cellule con citoplasma abbondante e
ricco di sostanze nutritive, facilmente utilizzabili dall’animale
-
tessuti di sostegno, o sclerenchimi, e vasi conduttori: sono formati da
cellule a pareti spesse che servono ad assicurano la posizione eretta del
vegetale. Con l’invecchiamento della pianta, le pareti vegetali si
ispessiscono e s’impregnano di lignina, mentre il contenuto cellulare
sparisce poco per volta. Poiché la lignina è indigeribile, l’invecchiamento
della pianta causa anche una diminuzione della sua digeribilità per l’animale
-
tessuti di protezione: sulla superficie della pianta, formano un rivestimento
impermeabile e resistente: la cuticola. La cuticola copre e protegge
l’epidermide fogliare.
Per imparare a riconoscere le piante foraggere, si può consultare:
www.agrsci.unibo.it/~fcinti/foraggere/inizio.htm
2
In conclusione, la foglia è la
parte più interessante del
foraggio. Contiene una grande
quantità di citoplasma, in cui si
trovano sostanze molto digeribili
per gli animali. Anche i giovani
steli sono molto nutrienti, ma il
loro
invecchiamento
si
accompagna alla lignificazione,
responsabile del peggioramento
della loro digeribilità. Un foraggio
è tanto più interessante quanto
più è giovane e ricco di foglie.
Figura 2 – Raccolta del silomais
Un discorso a parte deve essere fatto per le varietà di mais da insilato: qui la
selezione genetica ha prodotto piante con molta foglia, ancora verde quando
già la spiga è in fase avanzata di maturazione (carattere “stay green”).
A seconda della modalità di conservazione e della quantità d’acqua contenuta nei
foraggi, distinguiamo:
1. foraggi verdi, contenenti dal 70 al 90% di acqua (10 - 30% di sostanza
secca, s.s.)
2. insilati, contenenti dal 60 all’85% di acqua (15 - 40% di s.s.)
3. foraggi secchi (fieni e foraggi disidratati) contenenti dal 5 al 15 % di acqua
(85 - 95% di s.s.)
4. radici e tuberi
Con qualsiasi metodo di conservazione, il valore alimentare del foraggio conservato
è inferiore o uguale a quello del foraggio verde.
3
1. Foraggi verdi:
vengono utilizzati immediatamente dopo lo sfalcio, oppure vengono consumati “sul
posto” dall’animale. Distinguiamo perciò prati (l’erba viene sfalciata) e pascoli
(l’erba viene mangiata sul posto).
Nei prati-pascolo in primavera
e/o autunno l’erba viene sfalciata,
mentre in estate viene pascolata. E’
il caso di molte malghe.
I prati possono essere permanenti,
se hanno una durata oltre i 10 anni
e non entrano nella rotazione
agraria; alterni, se durano 2-3 anni
come la medica; erbai se sono
formati da colture annuali, sia usate
come principali sia come colture
intercalari.
Figura 3 – Prato – pascolo
Infine, distinguiamo prati polifiti (composti da molte specie di piante) e monofiti, nei
quali è presente una sola specie foraggiera.
I foraggi verdi attualmente sono usati molto poco. Presentano infatti numerosi
inconvenienti:
4
•
è necessaria molta manodopera: occorre andare ogni giorno (o ogni due) a
sfalciare per avere il cibo necessario agli animali
•
l’erba matura giorno dopo giorno, cambiando continuamente le proprie
caratteristiche
•
l’erba verde contiene moltissima acqua, perciò per assumere le sostanze
nutrienti necessarie ad una discreta produzione, una bovina dovrebbe
mangiare ogni giorno circa 100 kg di erba
•
tanta più erba viene mangiata dalla bovina, tanto più liquide diventano le sue
feci. Una bovina che mangia più di 30 kg al giorno di erba va incontro alla
diarrea, ed ha una mammella (e perciò, molto probabilmente, un latte) molto
sporca.
Figura 4 – Classificazione dei foraggi verdi
5
2. Fieni
E’ perciò più conveniente fare il fieno durante la stagione primaverile – estiva, e
conservarlo per tutto l’anno. Per conservare senza rischi il fieno, occorre che esso
sia stabile, non fermenti e non si alteri.
Per assicurare la stabilità di un alimento da conservare occorre ottenere una
umidità massima del 16%.
Il processo con cui l’erba verde passa dal 75 – 80% di acqua al 16%, diventando
conservabile, si chiama

FIENAGIONE
Figura 5 – La fienagione tradizionale in montagna
La perdita di umidità nell’erba tagliata, con la fienagione tradizionale, si ottiene
grazie a fattori naturali di disseccamento: calore, sole, vento. La qualità del fieno
dipende da alcune variabili:
• tipo di pianta sfalciata: più o meno giovane; di una specie più ricca di
sostanze nutritive; cresciuta con un clima piovoso o con l’irrigazione,
oppure in un clima arido…
• condizioni meteorologiche e tecnica di fienagione. A seconda di queste
due variabili si possono avere perdite di sostanza organica più o meno
grandi, ma di solito abbastanza importanti.
6
Malgrado gli attuali miglioramenti nelle tecniche di fienagione, occorre sempre, per
questo tipo di attività, un certo numero di giorni di buon tempo. Nelle nostre zone,
possono essere necessari dai 2 ai 4 giorni.
Le perdite avvengono:
• nella fase successiva al taglio, per respirazione. La pianta sfalciata
continua a respirare consumando i suoi zuccheri solubili, fino alla morte
che interviene ad una umidità prossima al 30-35%;
• durante l’essiccazione, per lavorazione meccanica. Le foglie si staccano
dagli steli durante le lavorazioni della fienagione e durante la raccolta. Le
leguminose perdono più facilmente le foglie;
• durante la permanenza sul terreno, per lisciviazione. I componenti
citoplasmatici solubili possono essere cioè dilavati per l’azione della
pioggia, che li asporta da un foraggio già morto;
• durante lo stoccaggio in fienile. Alcuni agenti di fermentazione utilizzano
le componenti solubili, soprattutto gli zuccheri, impoverendo ancora
l’alimento. Possono anche svilupparsi muffe.
Figura 6 – Un fienile tradizionale. Osserva l’ampia possibilità di aerazione del prodotto
Per limitare queste perdite, si cerca di accelerare l’essiccazione lacerando gli steli o
le guaine con l’aiuto di una falciacondizionatrice. Si può anche effettuare una
fienagione in due tempi, raccogliendo un foraggio al 50-55% di s.s. e completando
la fienagione in strutture apposite con ventilazione di aria a temperatura ambiente o
riscaldata. Quest’ultima soluzione è però costosa.
7
Figura 7 – Falcia condizionatrice in azione
Figura 8 – Organi lavoranti della falciacondizionatrice
Figura 9 – Fieno in rotoballe
8
Attualmente la modalità più diffusa di raccolta del fieno prevede l’uso della
rotoimballatrice. Ogni rotoballa può pesare, a seconda della compressione attuata
al momento della raccolta, dai 3 agli 8-10 quintali.
Un’alternativa alla fienagione è rappresentata dalla
 DISIDRATAZIONE
Questa tecnica va applicata a foraggi eccellenti, in particolare alla medica, e ad
alimenti molto acquosi come le polpe di bietola.
Il foraggio verde va prima ammassato e poi rapidamente essiccato sottoponendolo
ad elevate temperature (circa 1000°C) per un tempo variabile da 30 secondi a 3
minuti. Dopo la disidratazione, il prodotto viene pellettato. Questo trattamento
permette di limitare le perdite e di facilitare la conservazione del prodotto.
Tenuto conto del costo energetico, questa pratica risulta dispendiosa. E’ molto
adatto alle leguminose, perché permette di mantenere la qualità iniziale del foraggio
verde, soprattutto perché conserva la gran parte delle foglie.
Figura 10 – Un impianto di disidratazione
La disidratazione correttamente realizzata non modifica la composizione chimica
del prodotto e limita le perdite che intervengono tra pianta in piedi ed assunzione da
parte dell’animale. Il riscaldamento comporta minore digeribilità della sostanza
organica, soprattutto delle proteine, e aumento della quota di proteina by pass.
Figura 11 – Medica disidratata in pellets ed in balloni
9
3. Insilati
L’insilamento è un metodo di conservazione che sfrutta la fermentazione degli
zuccheri solubili da parte di batteri anaerobi, soprattutto lattici.
L’acido lattico prodotto dai batteri fa abbassare il pH, e ciò impedisce qualsiasi altro
sviluppo di batteri, assicurando così la stabilità dell’alimento; una buona
conservazione è assicurata quando il pH assume un valore inferiore o uguale a 4.
Figura 12 – Il processo di insilamento
Una volta realizzato il cumulo, l’ossigeno presente nella massa continua a
consentire la respirazione delle piante. Intanto batteri aerobi coliformi presenti sulle
piante trasformano gli zuccheri solubili in acido acetico. Durante questa prima fase
aerobia, si assiste dunque ad una perdita di sostanza organica.
Il progressivo consumo dell’ossigeno permette lo sviluppo di una flora anaerobia. I
batteri lattici apportati dalle piante stesse trasformano gli zuccheri solubili in acido
lattico e provocano la caduta del pH. Se la produzione di acido lattico è
insufficiente, o se l’umidità delle piante è eccessiva, si sviluppa una popolazione
sporigena che degrada l’acido lattico ad acido butirrico e che provoca una notevole
degradazione delle proteine, con produzione di ammoniaca, e un innalzamento del
pH. Ciò compromette la conservazione del foraggio.
10
Figura 13 – La raccolta dell’insilato
 INSILAMENTO
La realizzazione di un insilato di buona qualità dipende dall’avvio rapido e intenso
della fermentazione lattica. Ciò si verifica spontaneamente quando si hanno in
contemporanea le seguenti condizioni:
1. Si instaurano rapidamente condizioni di anaerobiosi. Per questo:
• occorre esercitare una forte compressione dell’alimento nel silo;
• questa compressione è facilitata dalla trinciatura del foraggio;
• le pareti e la copertura del silo devono ostacolare il più possibile la
penetrazione dell’aria all’interno dell’insilato.
Figura 14 – Compressione dell’insilato
11
2. Il pH della massa insilata si abbassa rapidamente. Per questo:
• l’alimento deve contenere una quantità sufficiente di zuccheri solubili,
utilizzabili dalla flora lattica. Anche la trinciatura accelera la degradazione
dei componenti solubili da parte della flora lattica;
• i vegetali insilati devono permettere un rapido abbassamento del pH; non
devono perciò presentare un forte potere - tampone. Il potere - tampone
è dovuto a determinati sali minerali ed alle proteine; queste sostanze si
oppongono alle brusche variazioni di acidità. Sostanze del genere
esistono in maggior quantità nelle leguminose che nelle graminacee
foraggiere; il mais ne ha poche.
3. L’insilato non deve essere contaminato da spore di clostridi presenti
nel terreno. L’inquinamento del silo con terra è responsabile dello sviluppo di
una flora butirrica putrefattiva.
Alcune operazioni complementari possono consentire il rapido instaurarsi di una
forte acidità e limitano le fermentazioni butirriche:
• il pre-appassimento dei foraggi verdi e la pressatura delle polpe di
bietola limitano le perdite dovute allo scolo di succhi vegetali e si
oppongono allo sviluppo della flora butirrica. La compressione del silo è
resa più difficile quando il foraggio è troppo secco.
• l’aggiunta di polpe, di cereali macinati, di melasso apporta zuccheri ad
alimenti che non ne abbiano a sufficienza;
• l’incorporazione di fermenti lattici completa l’operazione precedente;
• l’addizione di acidi organici, in particolare di acido formico, instaura una
acidità immediata.
QUALITÀ DEGLI INSILATI
Nonostante le precauzioni prese nel corso delle diverse operazioni, si hanno
sempre delle perdite. Ciò si verifica da un canto durante la fase aerobia, nel corso
della quale si perdono zuccheri e proteine, dall’altro durante la fase anaerobia,
quando si sviluppano gas e liquidi: CO2, H2, NH3 e succhi ricchi di sostanze
solubili. Perdite si hanno anche nelle parti più superficiali del silo, là dove la tenuta
non è perfettamente stagna.
Per valutare la qualità degli insilati, si può fare riferimento alla quantità di sostanze
indesiderate che si sono comunque prodotte: acido acetico, acido butirrico,
12
ammoniaca, N solubile. Per quanto riguarda il pH, occorre notare che il valore
ottimale (quello a cui è garantita la conservazione stabile del foraggio) dipende dal
tenore in s.s. dell’insilato. Quanto maggiore è la s.s. dell’insilato, tanto più aumenta
il pH ottimale; i valori principali sono i seguenti:
s.s. %
15-20
20-25
25-30
30-35
35-40
pH
<4
<4.2
<4.4
<4.6
<4.8
In questo modo, un insilato il cui tenore di s.s. sia di 21% ed il pH di 4.1 può essere
considerato stabile. Invece un insilato col 16% di s.s. ed un pH di 4.1 è instabile:
presenta infatti dei rischi di ripresa delle fermentazioni aerobie, con conseguenze
negative sulla qualità dell’alimento.
DIMENSIONAMENTO DEL SILO
Per dimensionare correttamente un silo è necessario conoscere il consumo
giornaliero di silomais delle bovine aziendali ed il peso specifico dell’insilato.
Quest’ultimo, a sua volta, dipende dall’altezza del silo (più è alto il silo, maggiore è
la compressione, e di conseguenza il peso specifico). Occorre inoltre tenere
presente che è bene rinnovare ogni giorno (al massimo ogni due) la superficie di
taglio, per evitare la ripresa delle fermentazioni con produzione di sostanze
anomale; perciò la profondità del taglio è bene che si aggiri intorno ai 10 cm.
Ad esempio, in una stalla con 40 vacche il cui consumo medio è di 20 kg di insilato,
occorrono ogni giorno
20 x 40 = 800 kg di insilato
Considerando un’altezza media del cumulo di insilato pari a 3 m, il peso specifico
corrispondente è di 680 kg/m3. 800 kg di insilato perciò equivalgono a
800 3
m , cioè 1,17 m3 di insilato al giorno. Considerato che l’altezza del cumulo è,
680
appunto, 3 m, e che la profondità del taglio è, come abbiamo detto, di 10 cm (=0,10
m), ne consegue che la larghezza del silo deve essere di
1,17
1,17
=
= 3,90 m circa
3 × 0,10 0,3
4. Radici e tuberi
Questi alimenti hanno origine dall’accumulo di riserve glucidiche nelle parti
sotterranee dei vegetali: radici di bietola, di carota, di rutabaga, di rapa e di
manioca, tuberi di patata e di topinambur.
13
Le radici ed i tuberi sono caratterizzati dalla loro ricchezza d’acqua: 75% per la
patata, da 80 a 88% per le bietole da foraggio.
Le cellule racchiudono delle riserve glucidiche e possiedono delle pareti poco o per
niente lignificate. La manioca e la patata contengono amido, che costituisce dai 2/3
ai ¾ della loro s.s. Rape, rutabaga, topinambur, bietole foraggiere o semizuccherine contengono zuccheri solubili, che costituiscono dalla metà ai ¾ della
loro s.s. Rutabaga e rape contengono sostanze volatili che trasmettono sapori
particolari al latte se vengono distribuite in prossimità della mungitura.
Radici e tuberi sono povere di sostanze azotate, e queste a loro volta sono povere
di proteine. Questi alimenti acquosi, molto appetiti e digeribili, sono interessanti per
il loro apporto energetico.
I sottoprodotti principali possiedono le stesse caratteristiche generali delle materie
prime; le foglie e le parti aeree sono più ricche in sostanze azotate ed in pareti
cellulari rispetto alle radici ed ai tuberi corrispondenti.
Figura 15 – Da sinistra: rapa, rutabaga, topinambur
14
B) Concentrati
Base dell’alimentazione dei monogastrici, gli alimenti concentrati sono caratterizzati
dall’elevato tenore della loro sostanza secca in energia utilizzabile dall’animale, ed
in alcuni casi, come ad esempio per i semi di proteaginose e per i panelli, dalla
ricchezza in sostanze azotate. Distinguiamo:
• alimenti concentrati semplici come i semi di cereali, i semi di oleaginose
o proteaginose, i frutti, gli alimenti di origine animale;
• alimenti concentrati composti. La loro fabbricazione si effettua dopo
macinazione e miscela di alimenti semplici. Possono anche contenere
foraggi trinciati. Vengono presentati in forme diverse: polvere, granuli,
“pellet”.
1.
Cereali
Rappresentano la principale materia prima degli alimenti composti e, di
conseguenza, la principale fonte alimentare per i monogastrici.
1.1
Morfologia
Il seme dei cereali è costituito da una cariosside nuda o vestita delle sue glumelle.
Frumento, mais, sorgo, segale e triticale appartengono al primo gruppo; orzo ed
avena fanno parte del secondo. L’endosperma costituisce la parte principale del
seme dei cereali.
Il valore energetico più elevato è raggiunto dai semi nudi, che hanno una debole
quantità di involucri ed una maggiore proporzione di endosperma.
Figura 16 – Da sinistra: orzo, mais, sorgo
1.2
Componenti chimiche.
I semi dei cereali vengono raccolti ad un elevato contenuto di s.s., salvo casi
particolari di raccolta e conservazione di semi “umidi”, come ad esempio il mais.
15
Fig. 17 – A sinistra: amido di frumento; a destra: amido di mais
I cereali contengono scarse quantità di zuccheri solubili; l’amido ha invece un ruolo
importante: dal 44 al 72% della s.s. rispettivamente per l’avena ed il mais. Questo
polisaccaride di riserva, molto digeribile, si presenta sotto forma di granelli, di
struttura diversa a seconda della specie botanica. Questa struttura comporta anche
una diversa degradabilità ruminale dei diversi cereali.
I cereali contengono pochi glucidi parietali, ma le pareti sono ricche di emicellulose
poco digeribili.
In generale, i semi vengono macinati più o meno finemente oppure vengono
schiacciati; questa operazione spezza il pericarpo e migliora l’accessibilità delle
componenti agli enzimi digestivi e batterici. Vi sono altre tecnologie applicate per
migliorare la digeribilità; si rifanno a trattamenti idrotermici come la fioccatura e
l’estrusione.
Germe e zona aleuronica sono le parti più ricche di proteine. Le sostanze azotate
rappresentano circa il 10% della s.s. dei semi. Si tratta soprattutto di proteine di
riserva insolubili. Sono inoltre povere di alcuni aminoacidi, in particolare di lisina.
I semi contengono dal 2 al 6% di lipidi, localizzati soprattutto nel germe. Acido
linoleico ed oleico sono i principali acidi grassi insaturi essenziali dei cereali.
Fig.18 – Struttura di una cariosside
1.3.
Metodi di conservazione.
I cereali vengono generalmente raccolti od acquistati ad una umidità che ne
permette la conservazione in magazzino anche per lungo tempo. Quando il
16
contenuto d’acqua è troppo elevato, soprattutto nel caso della cariosside di mais, è
necessario praticare l’essiccazione o metodi alternativi di conservazione, come
l’insilamento.
Figura 19 – Silo per la conservazione dei cereali
2.
2.1.
Semi di proteaginose e di oleaginose
Proteaginose.
I semi di proteaginose provengono da leguminose: favetta, pisello, lupino, veccia,
fagiolo. La loro utilizzazione è legata alla ricchezza di proteine ben provviste di
lisina, deficitarie invece in aminoacidi solforati. Questi semi contengono anche in
proporzioni variabili lipidi, amido e glucidi parietali generalmente ben digeriti. Hanno
un buon valore energetico. La loro incorporazione nelle razioni è limitata da ragioni
fisiche (difficoltà di granulazione) o nutrizionali (presenza di alcaloidi).
2.2.
Oleaginose.
I semi di soia, colza e girasole sono semi oleaginosi caratterizzati dalla ricchezza in
sostanze grasse che varia tra il 20 ed il 40% della s.s. Ad un forte valore energetico
uniscono un buon valore proteico: di qui il nome di oleoproteaginose.
La loro utilizzazione è limitata dal ruolo dell’involucro intorno al seme o della
presenza di sostanze nocive. Alcuni trattamenti tecnologici consentono di ridurre
questi svantaggi. La decorticazione consente di eliminare gli involucri; i trattamenti
idrotermici invece hanno un doppio effetto: da un canto distruggono le sostanze
nocive, dall’altro migliorano la qualità della frazione proteica. Le proteine dei semi
trattati sono meno degradabili da parte della flora microbica e più digeribili da parte
degli enzimi digestivi.
Figura 20 – Da sinistra: soia, colza, girasole
17
3. Semi di cotone
Il seme integrale di cotone trova largo impiego nell’alimentazione dei ruminanti.
Viene commercializzato come residuo dell’industria tessile, ed è formato dal seme
intero circondato da un leggero strato di cellulosa. Contiene inoltre amido, proteine,
olio: presenta perciò caratteristiche particolarmente interessanti per i ruminanti, in
quanto apporta contemporaneamente proteina, energia, fibra. Viene somministrato
alle bovine in lattazione in dosi giornaliere fino a 2 – 3 kg, mescolato agli altri
alimenti nel carro unifeed.
Fig. 21 – Semi di cotone per l’alimentazione zootecnica
4. Residui delle lavorazioni industriali
4.1 Residui dell’industria olearia
L’estrazione di olio da moltissimi tipi di semi (arachidi, lino, colza, soia…) lascia
come residuo materiali contenenti ancora sostanze utili per l’alimentazione animale.
Questi materiali vengono normalmente lavorati per ottenere prodotti facilmente
commerciabili, come farine e pellet, sia da soli che miscelandoli con altri alimenti
(mangimi composti).
Il residuo dell’estrazione dell’olio, a seconda del tipo di seme, contiene quantità
variabili di proteina e viene perciò usato soprattutto come integratore proteico.
Fig. 22 – Residui dell’industria olearia
18
4.2 Residui dell’industria molitoria
La produzione di farina, a partire dal frumento e dal mais, è un processo che
prevede tappe successive di macinazione e separazione dei residui del tegumento
esterno, che contiene fibra, proteine e minerali, dalla parte interna di natura
soprattutto amilacea.
Fig.23 – Residui dell’industria molitoria
4.3 – Residui degli zuccherifici
Anche la lavorazione della bietola da zucchero, che subisce un lungo processo di
estrazione e raffinazione, dà origine a molti sottoprodotti. Diversi di essi possono
essere utilizzati per l’alimentazione animale.
Fig.24 – Schema della lavorazione della barbabietola da zucchero
19
In particolare, le polpe, soprattutto secche,sono molto utilizzate dagli allevatori per
la loro ricchezza in fibra facilmente fermentescibile. Le polpe secche sono molto
appetite dal bestiame, facilmente reperibili, ben conservabili.
4.4 Altri sottoprodotti
Numerosi altri alimenti possono derivare da varie lavorazioni industriali.
Tra i più diffusi, è opportuno ricordare
20
-
sottoprodotti di distilleria (distillers), residui di varia origine (cereali, patate,
manioca…) ottenuti per separazione della parte liquida da quella solida nel
corso della produzione industriale di alcool a partire da fermentazioni su
substrati zuccherini;
-
trebbie di birra, ricche di proteina e fibra, ottenute per filtrazione dei residui
di cereali utilizzati per ricavare il malto;
-
residui della produzione di succhi e sidro come il marcomele;
-
glutine di mais, ricavato dall’estrazione di amido dalla granella di mais;
-
siero, ottenuto durante il processo di caseificazione, ottimo alimento
tradizionale per la produzione del suino pesante da salumificio.
Fig. 25 – Schema riassuntivo dei diversi tipi di concentrati.
21
C) Prodotti complementari: le paglie
Le paglie, sottoprodotto della raccolta della granella di cereali, sono costituite
essenzialmente dagli steli e, in quantità assai piccola, da lembi fogliari e da rachidi.
Poiché la raccolta interviene ad uno stadio in cui l’essiccazione della pianta e la
lignificazione dei tessuti di sostegno sono assai rilevanti, le paglie sono caratterizzate dal
loro elevato tenore in pareti lignificate, e da un basso contenuto in sostanze azotate ed in
zuccheri.
Sono foraggi poveri, e la loro utilizzazione richiede una integrazione energetica, azotata,
minerale e vitaminica. Per migliorare il valore del prodotto, si può trattare la paglia con
ammoniaca; questo trattamento rompe i legami tra emicellulose e lignina, arricchisce il
foraggio in protidi grezzi e lo rende più digeribile. Utilizzate talvolta come integrazione nel
caso di penuria di foraggi, le paglie possono d’altra parte costituire la base alimentare per
animali dai fabbisogni limitati, o apportare la frazione fibrosa in razioni per animali
alimentati con cereali, come nel caso di vitelloni che ricevano a volontà cereali spezzati.
Figura 26 – Paglia in rotoballe
22