Il conflitto fra il bene comune e il bene individuale

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"Il conflitto fra il bene comune e il bene individuale"
Parte 1
Bene comune e bene individuale sono necessariamente in conflitto, in contrapposizione? Uno non
può esistere in armonia con l’altro? Nelle regole e esperienze della nostra civiltà europea e nella
nostra società possono convivere per il bene e il progresso dell’uomo? Del più povero e indifeso?
Questo è un tema educativo, sul quale evidentemente punta anche lo stato italiano se tra la prove
allo scritto di italiano all’esame di maturità nel 2012, a tutti i giovani è stato proposto il tema “Bene
individuale e bene comune”.
Ai ragazzi sono stati dati alcuni spunti da cui partire:
• «Ora, le leggi devono essere giuste sia in rapporto al fine, essendo ordinate al bene comune,
sia in rapporto all’autore, non eccedendo il potere di chi le emana, sia in rapporto al loro
tenore, imponendo ai sudditi dei pesi in ordine al bene comune secondo una proporzione di
uguaglianza. Essendo infatti l’uomo parte della società, tutto ciò che ciascuno possiede
appartiene alla società: così come una parte in quanto tale appartiene al tutto. Per cui anche
la natura sacrifica la parte per salvare il tutto. E così le leggi che ripartiscono gli oneri
proporzionalmente sono giuste, obbligano in coscienza e sono leggi legittime.» S. TOMMASO
D’AQUINO (1225-1274),
La somma teologica,
San Tommaso rappresenta uno dei principali pilastri teologici e filosofici della Chiesa cattolica: egli
è anche il punto di raccordo fra la cristianità e la filosofia classica, nella cultura italiana è un
riferimento anche per l’amministrazione statale laica e non confessionale. Ci tengo ad evidenziare
nel testo “..Essendo infatti l’uomo parte della società, tutto ciò che ciascuno possiede appartiene alla
società: così come una parte in quanto tale appartiene al tutto.” E ancora prima “ le leggi devono
essere giuste sia in rapporto all’autore…sia in rapporto al loro tenore, imponendo ai sudditi dei pesi
in ordine al bene comune, tutto ciò che ciascuno possiede appartiene alla società.
In queste parole non esiste contrapposizione, non esiste conflitto almeno nel concetto di possedere
qualcosa, possiamo liberamente interpretare evangelicamente in tutto il capitolo 23 del Vangelo di
Matteo:
“Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli (2) dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli
scribi e i farisei. (3)Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché
essi dicono e non fanno. (4) Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle
della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. (5) Tutte le loro opere le fanno per essere
ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; (6) si compiacciono dei posti d'onore
nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, (7) dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati
«rabbì» dalla gente.”
Tutto il capitolo 23 ci mette in guardia dal rischio di associare a potere personale la chiamata alla
responsabilità, alla guida, ecco in questo esiste il conflitto tra bene comune e individuale, perché si
separa individuale da comune, in sintesi individuale assume il significato di egoistico.
Non esiste legge o ideologia “giusta” e sottolineo giusta tra virgolette, con puro significato
filosofico che in mano all’egoismo e all’autoritarismo “dicono e non fanno”, nei drammi storici che
abbiamo vissuto noi in prima persona e sicuramente i nostri nonni e genitori, ma ancora nella crisi
attuale europea civile e economica che colpisce ogni stato emerge l’urgenza di affermare che ciò
che si possiede appartiene alla società. Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in veritate ci dice
al paragrafo 6: La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all'altro; ma
non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in
ragione del suo essere e del suo operare. Non posso « donare » all'altro del mio, senza avergli dato
in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto
verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o
parallela alla carità: la giustizia è « inseparabile dalla carità » (In questa prima parte della relazione
non tratto direttamente enciclica e compendio di dottrina sociale della Chiesa, perché sarà trattato
nella seconda relazione).
1
•
«Da quanto precede consegue che la volontà generale è sempre retta e tende sempre
all’utilità pubblica: ma non ne consegue che le deliberazioni del popolo abbiano sempre la
stessa rettitudine. Si vuol sempre il proprio bene, ma non sempre lo si vede: non si corrompe
mai il popolo, ma spesso lo si inganna, ed allora soltanto egli sembra volere ciò che è male.
V’è spesso gran differenza fra la volontà di tutti e la volontà generale: questa non guarda che
all’interesse comune, l’altra guarda all’interesse privato e non è che una somma di volontà
particolari […]. Ma quando si creano fazioni, associazioni parziali a spese della grande, la
volontà di ciascuna di queste associazioni diventa generale rispetto ai suoi membri, e
particolare rispetto allo Stato: si può dire allora che non ci sono più tanti votanti quanti
uomini; ma solo quante associazioni. Le differenze diventano meno numerose, danno un
risultato meno generale. […] Importa dunque, per aver veramente l’espressione della
volontà generale, che non vi siano società parziali nello Stato, e che ogni cittadino non pensi
che colla sua testa. […] Finché parecchi uomini riuniti si considerano come un corpo, non
hanno che una sola volontà, che si riferisce alla comune conservazione e al benessere
generale. Allora tutte le forze motrici dello Stato sono vigorose e semplici, le sue massime
chiare e luminose; non vi sono interessi imbrogliati, contraddittori; il bene comune si mostra
da per tutto con evidenza, e non richiede che buon senso per essere scorto. La pace,
l’unione, l’uguaglianza sono nemiche delle sottigliezze politiche.» Jean-Jacques ROUSSEAU, Del
contratto sociale o principi del diritto politico, 1762,
Con Ruosseau, si entra nella seconda fase del pensiero illuminista, l’elemento razionale viene a
convivere obbligatoriamente con il recupero del sentimento e la ricerca dell’uguaglianza e della
comunanza dei diritti come condizione base dell’esistenza dell’uomo. L’uomo non può vendere
nessun diritto, la società è un corpo sociale che rappresenta tutti i suoi componenti, nella società
hanno stipulato liberamente un patto con il quale hanno riposto tutti i diritti nella stessa comunità di
cui sono partecipi. Vi è quindi un corpo sociale composto da tutti gli individui che lavorano per la
stessa comunità. Lo scritto riportato è uno dei testi principali di “dottrina politica” della storia del
pensiero moderno. Secondo Rousseau è l’ineguaglianza innaturale l’origine dei rapporti conflittuali.
Infatti ineguaglianza e conformismo sono aspetti di una stessa realtà sociale, nella quale la ricerca
del successo può comportare la necessità di apparire diversi da come si è in realtà, e quindi di
compromettere la libertà personale e determinare la schiavitù.
Rousseau individua vari stadi e qualità diverse dell’uomo naturale:
il primo uomo possiede la pietà e l’amor di sé, cioè ama l’umanità che egli vede in sé e riconosce
nel suo simile. Ma essi possiedono anche la perfettibilità che contribuisce a determinare le
differenze fra gli uomini: l’ineguaglianza naturale, che permette al più forte di produrre di più, al
più abile di trarre maggior profitto dal suo lavoro, accentua sempre di più le differenze fra gli
uomini e questi dimenticano la pietà e l’amor di sé, e sviluppano l’amor proprio, ossia un amore
egoistico.
In tale fenomeno va collocata l’origine della divisione del lavoro e della proprietà.
Anche nell’Antico Testamento se vogliamo considerare bene individuale, la ricchezza è considerata
complessivamente in modo positivo. Se legata alla sapienza, all’imprenditorialità, alla giustizia, alla
solidarietà, la ricchezza dà onore e merita di essere elogiata. Anche l’imprenditorialità femminile è
elogiata nel cap.31 del libro dei Proverbi: attraverso la laboriosità e l’impegno la donna ottiene
agiatezza ed il titolo di “donna ideale”
Il patto sociale per Rousseau è l’atto in virtù del quale un popolo è popolo.
Lo Stato è padrone di tutti i beni dei suoi membri in base al contratto sociale. La comunità
ricevendo i beni dai singoli non solo non glieli toglie ma gliene assicura il possesso legittimo.
Il bene più grande di tutto il fine di ogni sistema legislativo si riduce a due obiettivi principali:
libertà e eguaglianza.
Nessuno è privilegiato nei confronti degli altri; gli uomini sono tutti uguali in quanto creature
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razionali; tutti devono partecipare alla cosa pubblica (si rifà alla confederazione svizzera e alla
democrazia greca); il popolo deve riunirsi in assemblea per decidere.
Ritornando all’Antico Testamento vi sono una serie di testi dove la ricchezza è associata non solo
alla sapienza e alla virtù, ma anche alla giustizia. La proprietà privata non fu un diritto assoluto per
l’antico Israele, la Terra Promessa fu divisa fra le 12 tribù, poi fra clan e famiglie, secondo un
criterio di parità rispetto agli altri. Il desiderio di possedere e arricchirsi smodatamente è considerato
come una negazione della sovranità di Dio, il quale mette i beni della terra a disposizione di tutti e
non solo di alcuno. Comunque anche in Israele si realizzò una forte disparità di beni e ricchezze.
Alcuni israeliti divennero sempre più ricchi e potenti, mentre altri a causa di debiti e altri fattori
economici si impoverivano sempre più. Per ovviare alle sperequazioni sociali, Mosè istituì l’anno
sabbatico (ogni sette anni) e l’anno giubilare (ogni cinquanta anni). L’anno sabbatico serviva a
preservare la forza feconda della terra e l’integrità personale di chi lavora, quello che oggi in
economia chiamiamo rotazione. Nell’anno giubilare oltre al riposo ogni proprietà territoriale e
immobiliare doveva ritornare al suo proprietario o agli eredi, qualunque fosse la causa per cui
l’aveva persa. Tali prescrizioni tuttavia furono largamente disattese, e su questo tema i profeti
facevano sentire la loro vibrante denuncia sociale. Amos denuncia i meccanismi che creano miseria.
A fronte di una classe emergente di nuovi ricchi, che esibisce la propria “dolce vita” in club
esclusivi (Am 3,15 4,1 6,4-6) vi era una massa di cittadini strozzati da prestiti ad usura (Am 2,8) e
dal mercato selvaggio (Am 8,4-6) sono costretti a vendere le proprietà e vendere se stessi come
braccianti. Potremmo dire che la storia si ripete, perché è l’uomo che incurante degli insegnamenti
filosofici e morali ritorna costantemente al peccato originale e all’origine della sua infelicità.
•
«Vi sono certamente due tipi di uomini: coloro che pensano a sé soli e quindi restringono i
propositi d’avvenire alla propria vita od al più a quella della compagna della vita loro. […]
Accanto agli uomini, i quali concepiscono la vita come godimento individuale, vi sono altri
uomini, fortunatamente i più, i quali, mossi da sentimenti diversi, hanno l’istinto della
costruzione. [...] Il padre non risparmia per sé; ma spera di creare qualcosa che assicuri
nell’avvenire la vita della famiglia. Non sempre l’effetto risponde alla speranza, ché i figli
amano talvolta consumare quel che il padre ha cumulato [...]. Se mancano i figli, l’uomo
dotato dell’istinto della perpetuità, costruisce perché un demone lo urge a gettare le
fondamenta di qualcosa.» Luigi EINAUDI, Lezioni di politica sociale, Einaudi, Torino
1949
Luigi Einaudi è stato il primo presidente della repubblica italiana uscita dalla dittatura fascista e dal
disastro della seconda guerra mondiale. Economista di fede liberale, scrisse questi saggi in esilio,
delinea alcuni principi base dell’economia quale oggi la conosciamo (quindi di impianto capitalista)
e alcune sue convinzioni di come uno Stato debba intervenire al fine di garantire la sua crescita e la
ripartizione dei profitti tra coloro i quali hanno contribuito, ognuno secondo le proprie capacità, alla
crescita del benessere. molti dati e riflessioni riportati da Einaudi sono vere ancora oggi e stupisce
la sua preveggenza a riguardo per esempio della decrescita della popolazione e del bisogno di
garantire uno spazio vitale adeguato allo sviluppo oltre che della società dell’individuo.
Ad una lettura superficiale, oppure limitandosi alla cronaca dei mezzi di comunicazione di massa
l’Italia non appare certo un modello di virtù. Il nostro paese appare per lo più popolato da uomini
che pensano solo a se stessi restringendo i propositi di avvenire alla propria vita. Oggi come allora
per fortuna accanto a uomini che concepiscono la vita come godimento individuale, vi sono altri
uomini … che hanno l’istinto della costruzione.
Einaudi liberale si trovo comunque a camminare insieme con buona parte della società cristiana che
affondava le proprie radici nel pensiero e nella formazione storica dei quarant’anni precedenti la
prima guerra mondiale, quando il movimento cattolico si struttura e si diffonde in Italia.
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Un’Italia reale si contrappone a una Italia legale. Nel contesto sociale dell’enciclica Rerum
Novarum di Leone XIII, nascono e si diffondono leghe operaie e contadine, società di mutuo
soccorso, banche cattoliche, quotidiani e settimanali.
Questa esperienza nasce grazie al lavoro di tanti uomini, tra loro, uno in particolare ha saputo
ricondurre i concetti tradizionali di economia in definizione teorica di scienza di mezzi utili.
Il beato Giuseppe Toniolo morto nel 1918, nei suoi testi, specie nel suo TRATTATO, chiarisce che
utilità significa attitudine a conseguire un risultato, ma rimane del tutto priva di significato senza la
conoscenza del fine. In questo modo cade ogni pretesa di neutralità della scienza economica.
Il pensiero di Toniolo si contrappone all’individualismo liberale. Il fattore economico, per il
richiamo all’etica, non può che essere finalizzato al bene comune e in questo consiste l’utilità
dell’economia. "L'economia invero è scienza di mezzi utili, qual è la ricchezza servente ai fini
umani. Ma l'utilità, che significa attitudine a conseguire un risultato, non si comprende ed estima
senza la conoscenza del fine. La economia, pertanto, deve designare le leggi dell'utile in dipendenza
delle leggi di fini umani in tutta la loro gerarchia, quali sono dimostrati dall'etica..."
I principi che sostengono la dottrina sociale cristiana trovano in Toniolo un fondamento scientifico:
“il bene comune inteso come insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle
collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più
celermente” sostengono il pensiero e la sua vita. Scrive ancora Toniolo “"L'utile è il benessere
individuale o sociale? Momentaneo o duraturo? E in che consiste questo benessere? Nella quantità
assoluta della ricchezza ovvero nella distribuzione proporzionale di essa? E giusto quale criterio
distributivo? È impossibile rispondere a tutto ciò senza il concetto dei fini dell'individuo, della
società, dello Stato, della civiltà". Si tratta di un modo, visto nella concretezza delle teorie e della
economia reale del suo tempo, per dare corpo e spessore al "bene comune"
Toniolo con i suoi studi dà un apporto consistente all'elaborazione di un tema cardine della dottrina
sociale della Chiesa. Lo fa a partire da una innovazione che introduce nella visione dell'economia,
distaccandosi dalle teorie del tempo. Si differenzia infatti dal contesto teorico e pratico di tipo
liberistico, proponendo una concezione sociale dello Stato, capace di temperare il liberalismo
economico in nome degli interessi sociali delle categorie più povere. Individua, così, un possibile
percorso che avrebbe tolto attrattiva allo stesso socialismo, in quegli anni in via di progressiva
affermazione.
I destinatari dell'azione economica dovranno essere quella "infinita moltitudine dei proletari" di cui
parlava la Rerum Novarum. Di qui, da questa attenzione religiosa, evangelica, potremmo dire, nasce
la sensibilità che genera una "economia sociale" e che, chiede allo Stato di allargare il suo orizzonte
e di perseguire il "bene comune".
Nel suo scritto progettuale sulla democrazia cristiana si manifesta - come egli lega la teoria sociale
al messaggio evangelico della predilezione di Dio per i poveri. Su questa base, il suo concetto di
democrazia ha una dimensione qualificante nel vantaggio che da un tale sistema deve essere
garantito alle classi sociali più deboli". Vi è, quindi, una ispirazione profondamente religiosa che
coinvolge una idea di servizio nella Chiesa e nella società.
Scriverà ancora con parole che, pur segnate dallo stile del tempo, restano attualissime: "Oh!
Veramente da quel dì in cui si vide Gesù piegare le ginocchia dinanzi a dodici pescatori, e ad essi
riluttanti lavare i piedi, prescrivendo che per lo innanzi essi pure facessero altrettanto; da quel dì
solenne il mondo assistette allo spettacolo nuovo e commovente di tutta intera la gerarchia sociale,
che a grado a grado fra le resistenze di una natura orgogliosa, ripiega all'ingiù a servire le
moltitudini ignare, povere, sofferenti. Ecco la democrazia cristiana!"
Di notevole interesse è quanto Toniolo scrive a proposito di un tema, allora assai controverso nel
mondo cattolico: la democrazia. In sintesi, per lo studioso può definirsi "democrazia"
"quell'ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche, nella pienezza
del loro sviluppo gerarchico, cooperano proporzionalmente al bene comune, rifluendo nell'ultimo
risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori". Anche in questo caso, come per l'economia,
torna il tema del fine che, nel caso della democrazia, "consiste nella cospirazione del pensiero e
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delle opere di tutti gli elementi e gradi sociali al bene comune e proporzionalmente al bene
prevalente delle moltitudini più bisognose di tutela e soccorso sociale". Le parole ci suonano
lontane nella loro formulazione ma il pensiero di Toniolo è importante e attuale. Vi è una sostanza
che non coincide con la forma della democrazia – pure importante - ma con il fine che si intende
perseguire.
Per Toniolo quindi la democrazia, nelle sue varie versioni, si incarna necessariamente in un
determinato regime o forma di governo. Essa va riconosciuta in quanto concetto etico-sociale, in
quanto categoria prepolitica che rappresenta tutto ciò che, in vari modi, si fa per il bene comune:
"Per meglio servire al bene comune dei cittadini – egli scrive – la costituzione fondamentale politica
deve atteggiarsi alla costituzione sociale della nazione, ottemperando alle sue tradizioni e
seguendone lo sviluppo storico successivo. Di qui il rispetto non solo delle private libertà civili, ma
ancora di ampie autonomie locali, che lo Stato per il bene comune deve garantire e integrare, non
menomare e sopprimere". Per questa via, in differenti modi tutte le classi e le entità sociali
partecipano ai poteri dello Stato in modo da rappresentare e far valere proporzionalmente il bene di
tutti.
Poco prima dell'uscita della Graves de communi di Leone XIII nel 1899, che come è noto delimita
la possibilità di utilizzare l'espressione stessa "democrazia cristiana", Toniolo scrive: "Noi vogliamo
l'organizzazione graduale della società in associazioni professionali, autonome, generale e ufficiali.
Lo Stato dovrebbe lasciare piena libertà e dare il riconoscimento giuridico alle Unioni professionali
che sotto l'azione dell'iniziativa privata verranno formandosi". Per rendere possibile e concreta
questa impostazione egli lavora intorno a un programma organico che copre i diversi ambiti
dell'economia, della finanza, dell'istruzione, dei rapporti internazionali.
Certo, in sostanza il pensiero di Toniolo risente dei condizionamenti storici del tempo, lo notava De
Gasperi (Primo presidente del consiglio della repubblica italiana) nella prefazione ai volumi
dell'Opera omnia: nelle relazioni tra Stato italiano e Chiesa pesa ancora la questione romana, per
tanti aspetti superata ma non certo risolta, neppure nel vissuto di tanti credenti, specie di quelli più
coinvolti nel Movimento cattolico. Scriverà De Gasperi che questo aspetto "lo portava fatalmente a
lasciare in ombra la distinzione fra la sfera d'azione dello Stato e quella della Chiesa, a non valutare
sufficientemente la trasformazione dello Stato moderno a cui si attribuiscono sempre nuovi compiti
economico-sociali e a dilatare la sfera propria della Chiesa, quasi che essa dovesse assumersi, sul
terreno politico-sociale, responsabilità dirette". Nel pensiero di Toniolo non è possibile trovare, per
tutti questi motivi, quello che potremmo chiamare una visione politica della democrazia. Altro sarà
lo scenario quando si potrà accedere alla politica: nel momento in cui De Gasperi nota che il
pensiero sulla democrazia di Toniolo esula dal "carattere politico che la storia le aveva ormai
assegnato" parla ormai in un contesto diverso, dopo aver sperimentato nel parlamento di Vienna e
in quello italiano la stagione di un cattolicesimo non più sociale ma politico.
Osservazioni certamente valide che non escludono tuttavia l'utilità del confronto con il pensiero e le
intuizioni di Giuseppe Toniolo, per tanti aspetti ancora capaci di interrogare il presente.
In definitiva, il bene comune si qualifica come un criterio per rendere conto della realtà e della
finalità di qualsiasi gruppo o comunità umana. Sicuramente bene comune viene distinto da bene
individuale, anche se perseguire un bene individuale dovrebbe ripercuotersi positivamente su
ciascun individuo del corpo sociale. Negli ultimi anni in Italia si è dato grande risalto al bene
comune parlando di beni comuni come l’acqua pubblica difesa in un referendum popolare come
bene comune, questa definizione è associabile alla definizione inglese di “commons” che indica
beni e risorse condivisi e utilizzabili in comune come terreni, foreste, pascoli, anche se non
posseduti. I beni comuni costituiscono al plurale quello che al singolare è inteso come un bene
immateriale, che raggruppa in sé i diritti fondamentali alla salute, al lavoro all’istruzione ecc…
Acqua, aria, terra, ma anche beni naturali e culturali, ma ancora le norme, le regole e le istituzioni.
Anche beni come orbite satellitari e bande e frequenze radio per trasmissioni e comunicazioni, big
data compresi.
F.T.
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