Arresto cardiaco: Acls e risultati a lungo termine In pazienti colpiti da arresto cardiaco, la somministrazione endovenosa di farmaci, pur determinando una più elevata incidenza di sopravvivenza a breve termine, non produce miglioramenti significativi nella sopravvivenza alla dimissione dall'ospedale e in quella a lungo termine. È quanto riferiscono alcuni studiosi norvegesi in un recente studio pubblicato su Journal of the American Medical Association. L'indagine ha messo a confronto pazienti (n= 418) sottoposti a somministrazione endovenosa dei farmaci in aggiunta ad assistenza Acls (Advanced cardiac life support) e pazienti (n=433) trattati esclusivamente secondo le raccomandazioni Acls. In breve, nei due gruppi, la percentuale di sopravvivenza al momento della dimissione ospedaliera è risultata pari al 10,5% e 9,2%; quella di sopravvivenza con outcome neurologici favorevoli di 9,8% e 8,1% e quella a un anno pari a 10% e 8%, rispettivamente. In conclusione, dopo le opportune correzioni per fibrillazione ventricolare, intervallo della risposta, arresto cardiaco in presenza di testimoni o in luoghi pubblici, non è stata osservata alcuna differenza significativa tra i due gruppi nel tasso di sopravvivenza alla dimissione dall'ospedale (odds ratio= 1,15). Jama, 2009, 302, 20, 2222-2229 Livelli troponina T correlati a rischio cardiaco In individui con patologie coronariche croniche, la concentrazione plasmatica di troponina T risulterebbe strettamente associata all'incidenza di morte cardiovascolare e di insufficienza cardiaca ma non a quella di infarto miocardico. La messa a punto di un test altamente sensibile per la misura dei livelli plasmatici di troponina T, troppo bassi in questi pazienti da poter essere valutati con i saggi convenzionali, è avvenuta presso la Division of Medicine, Akershus University Hospital in Norvegia. L'indagine pubblicata su New England Journal of Medicine, ha riguardato circa 3.700 pazienti con condizioni cardiache stabili e normale funzione ventricolare sinistra. Il nuovo test ha permesso di evidenziare concentrazioni di troponina T pari o superiori a 0,001 e 0,0133 microgrammi/litro, rispettivamente nel 97,7% e nell'11,1% dei pazienti. Dopo le opportune correzioni per altri fattori prognostici, l'associazione tra aumento dei livelli di troponina e incremento dell'incidenza di morte cardiovascolare e di scompenso cardiaco è apparsa evidente anche al di sotto dei suddetti valori (hazard ratio = 2,09 e 2,20; rispettivamente, per incrementi unitari nel logaritmo naturale dei livelli di troponina T). Nessuna associazione è stata invece osservata tra concentrazioni di troponina T e incidenza di infarto del miocardio (hazard ratio= 1,16). New England Journal of medicine, 25 november 2009, early online pubblication Chirurgia bariatrica riduce rischio aterosclerotico La perdita di peso mediante chirurgia bariatrica determina una significativa riduzione del rischio di aterosclerosi. L'indicazione arriva da uno studio pubblicato su American Journal of Cardiology in cui è stato osservato un effetto positivo di interventi bariatrici anti-obesità sui marker infiammatori, funzionali e strutturali di patologie coronariche. Cinquanta individui con indice di massa corporea pari o superiore a 40 kg/m2 oppure compreso tra 35 e 40 kg/m2 e con due o più condizioni di comorbidità correlate all'obesità sono stati sottoposti prima e dopo 6, 12 e 24 mesi dall'intervento chirurgico a misurazioni della dilatazione flusso-mediata dell'arteria brachiale; dello spessore dell'intima media carotidea e dei livelli di proteina C reattiva. Tutti questi marcatori di aterosclerosi hanno mostrato un significativo miglioramento dopo bypass gastrico. In particolare, dopo 24 mesi dall'intervento, l'indice di massa corporea diminuisce da 47 a 29,5 kg/m2; lo spessore intima-media carotideo si riduce da 0,84 a 0,50 mm; la dilatazione flusso-mediata dell'arteria brachiale aumenta dal 6% al 14,9% e, infine, i livelli di proteina C-reattiva da 1,23 a 0,35 mg/dl. American Journal of Cardiology 2009, 104, 9, 1251-1255 Cuore a rischio con troppo sale Consumare abitualmente a tavola quantità eccessive di sale compromette seriamente la salute del cuore. A stabilirlo è un ampio studio pubblicato di recente sulla rivista British Medical Journal che ha definitivamente confermato la correlazione, da tempo ipotizzata dagli esperti, tra l'assunzione elevata di sale e l'aumento del rischio di malattie cardiovascolari. In particolare, i ricercatori coordinati da Pasquale Strazzullo del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell'Università Federico II di Napoli prendendo in considerazione numerosi studi clinici presenti in letteratura, della durata compresa tra 3,5 e 19 anni, hanno analizzato in totale risultati relativi a oltre 170mila partecipanti e a circa 11mila episodi cardiaci. In breve, per ogni incremento di 5 grammi nell'assunzione giornaliera di sale, è stato stimato un aumento del rischio di ictus e di malattie cardiovascolari pari al 23% e al 17%, rispettivamente. «Per inevitabili imprecisioni nella misura della quantità di sale consumate, le conseguenze sulla salute sono state probabilmente sottovalutate» ha commentato Strazzullo. «I nostri risultati sottolineano la necessità di un consumo adeguato di questo ingrediente, durante la giornata, per una corretta prevenzione dei problemi cardiovascolari». British Medical Journal 24 novembre 2009, early online pubblication Aumento del volume atriale negli obesi Secondo uno studio pubblicato su Journal of the American College of Cardiology, l'obesità rappresenterebbe il maggiore fattore di rischio di aumento del volume atriale sinistro (Left atrial enlargement, Lae). Ricercatori tedeschi hanno, per la prima volta, stabilito i parametri che nella popolazione generale possono causare alterazioni delle dimensioni dell'atrio sinistro e, conseguentemente, incrementi del rischio di fibrillazione atriale, ictus e morte. Circa 1.200 individui, di età compresa tra 25 e 74 anni, sono stati sottoposti, per un periodo di 10 anni, a misurazioni di: peso corporeo, pressione arteriosa e volume atriale sinistro. Quest'ultimo è stato indicizzato per l'altezza corporea e l'ingrandimento atriale definito come iLA >/=35,7 e >/=33,7 ml/m, negli uomini e nelle donne, rispettivamente. All'inizio dell'indagine, l'incidenza di Lae era pari a 9,8%. Sia l'obesità sia l'ipertensione sono risultati fattori predittivi indipendenti di Lae (odds ratio= 2,4 e 2,2, rispettivamente). I valori di iLa, significativamente inferiori nei pazienti ipertesi normopeso che in individui obesi normotesi (25,4 vs 27,3 ml/m, rispettivamente), sono apparsi massimi negli obesi ipertesi (30,0 ml/m). Quest'ultimo gruppo ha inoltre mostrato, al termine del follow-up, i maggiori incrementi nei valori iLA (+6,0 ml/m) e l'incidenza più elevata di Lae (31,6%). Journal of the American College of Cardiology 2009, 54, 1982-1989 Più scompenso cardiaco per dislipidemici La dislipidemia espone a un maggiore rischio di insufficienza cardiaca. È quanto chiarisce, per la prima volta, uno studio pubblicato su Circulation da Daniel Levy e collaboratori del National Heart, Lung and Blood Institute, nel Massachusetts. Circa 6.900 individui, di età media pari a 44 anni e senza alcun problema cardiovascolare, hanno preso parte al Framingham Heart Study, un'indagine durata 26 anni, che ha consentito di registrare un'incidenza inferiore di scompenso cardiaco (7,9% vs 13,8%) nei partecipanti che al momento del reclutamento avevano bassi livelli di colesterolo non-Hdl (inferiori a 160 mg/dl) rispetto a coloro con valori alti (190 mg/dl). Allo stesso modo, concentrazioni elevate di colesterolo Hdl (pari o superiori a 55 mg/dl per gli uomini e pari o superiori a 65 mg/dl per le donne) sono risultate associate a una minore percentuale (6,1% vs 12,8%) di insufficienza rispetto a quelle basse (al di sotto di 40 mg/dl per gli uomini e di 50 mg/dl per le donne). Infine secondo gli autori, il rischio di scompenso cardiaco che, nella popolazione generale, può essere attribuito a livelli elevati di colesterolo non-Hdl e a basse concentrazioni di colesterolo Hdl è pari al 7,5% e 15%, rispettivamente. Circulation 2009 23 november, early online publication Tev, dabigatran efficace e sicuro Dabigatran rappresenterebbe una valida alternativa alla warfarina nel trattamento del tromboembolismo venoso acuto (Tev). Si tratta dei risultati di uno studio apparso su New England Journal of Medicine che ha consentito di ampliare le indicazioni terapeutiche di questo anticoagulante orale. L'indagine ha riguardato oltre 2.500 pazienti con Tev che, in precedenza, erano stati sottoposti, per circa nove giorni, a terapie anticoagulanti parenterali. In breve, episodi di Tev si sono verificati nel 2,4% dei pazienti trattati con dabigatran (150 mg due volte al giorno) rispetto al 2,1% del gruppo esposto a dosi aggiustate di warfarina (hazard ratio= 1,10). Con l'anticoagulante orale, la percentuale di eventi emorragici maggiori è risultata assolutamente paragonabile a quella registrata con warfarina (1,6% vs 1,9%; hazard ratio= 0,82). Situazione del tutto analoga si è verificata con le altre tipologie di emorragia (16,1% vs 21,9%; hazard ratio= 0,71). In aggiunta, il numero di decessi, eventi coronarici acuti e alterazioni della funzionalità epatica sono stati gli stessi per i due gruppi. Infine, l'incidenza di eventi avversi che hanno causato l'interruzione del trattamento è stata del 9% con dabigatran e di 6,8% con warfarina. N Engl J Med. 2009 Dec 6. Clopidogrel, efficacia simile in uomini e donne Efficacia e sicurezza del clopidogrel risulterebbero paragonabili in uomini e donne. A renderlo noto è un'indagine pubblicata su Journal of the American College of Cardiology. Si tratta, in particolare, di una metanalisi comprendente cinque trial randomizzati riguardanti circa 80mila individui, da cui è chiaramente emerso che la somministrazione del farmaco riduce, in generale, del 14% il rischio di eventi cardiovascolari (odds ratio= 0,86). In particolare, sia nelle donne sia negli uomini trattati con clopidogrel la percentuale di eventi cardiovascolari è risultata inferiore rispetto ai partecipanti che hanno ricevuto placebo (11,0% vs 11,8% e 7,8% vs 9,0%, rispettivamente). In aggiunta, mentre per le donne la riduzione ottenuta con il farmaco, rispetto al placebo, è significativa soprattutto per l'infarto del miocardio (or= 0,81) e non per ictus (or= 0,91) e mortalità (or= 0,99), negli uomini lo è per infarto miocardico (or= 0,83) ictus (or= 0,83) e mortalità totale (or= 0,91). Infine, il farmaco determina un aumento del rischio emorragico nelle donne (or= 1,43) e negli uomini (or= 1,22). J Am Coll Cardiol. 2009 Nov 17;54(21):1935-45 Telmisartan e ramipril, effetti sul ventricolo sinistro Telmisartan e ramipril mostrano effetti paragonabili sulle variazioni di volume e sulla massa ventricolare sinistra, così come la combinazione dei due farmaci, in pazienti cardiovascolari e a elevato rischio di diabete. A stabilirlo è uno studio pubblicato di recente su American Journal of Cardiology che conferma i precedenti risultati di Ontarget (ONgoing Telmisartan Alone and in combination with Ramipril Global Endpoint Trial) che non includevano evidenze relative a tali variazioni. Circa 300 pazienti inclusi in Ontarget sono stati sottoposti ad analisi di risonanza magnetica dopo essere stati randomizzati al trattamento per due anni con 80 mg di telmisartan; 10 mg di ramipril e con terapie di combinazione dei due farmaci. In tutti e tre i gruppi sono state osservate riduzioni della massa ventricolare sinistra, ma senza significative differenze, se non per quanto riguarda il maggiore decremento osservato con la doppia terapia rispetto al telmisartan. In aggiunta, storia di ipertensione, valori basali della massa e riduzioni della pressione sistolica sono apparsi fattori determinanti per decrementi significativi della massa ventricolare sinistra. Il volume sistolico finale è risultato il dato di risonanza magnetica che ha predetto nella maniera più accurata gli eventi cardiovascolari compositi. American Journal of Cardiology, 2009; 104 (11): 1484-89 Più ulcere emorragiche con Asa a lungo termine In pazienti cardiovascolari sottoposti a trattamento endoscopico di ulcere peptiche sanguinanti, causate da basse dosi di acido acetilsalicilico (Asa), il protrarsi di terapie con Asa aumenta il rischio di recidive di eventi emorragici, ma riduce potenzialmente il tasso di mortalità. Si tratta dei risultati di uno studio apparso su Annals of Internal Medicine in cui 78 pazienti hanno assunto, per otto settimane, 80 mg/giorno di Asa e 78 pazienti placebo subito dopo intervento endoscopico. Tutti i pazienti hanno, inoltre, ricevuto per 72 ore infusione di pantoprazolo seguita da terapia orale con pantoprazolo. Entro 30 giorni dall'inizio dello studio, si sono verificate recidive di ulcera nel 10,3% dei pazienti trattati con Asa rispetto al 5,4% del gruppo placebo. In aggiunta, l'impiego protratto di Asa ha fatto osservare rispetto al placebo una minore incidenza sia di mortalità per qualsiasi causa (1,3% vs 12,9%) sia di decesso dovuto a problemi cardio- e cerebrovascolari o a complicazioni gastrointestinali (1,35 vs 10,3%). Annals of Internal Medicine 2009, 151,11 Nt-proBnp predittore e statine nello scompensato Pazienti con insufficienza cardiaca dovuta a evento ischemico e con livelli plasmatici del frammento N-terminale del pro-peptide natriuretico cerebrale (Nt-proBnp) inferiori a 103 pmol/l possono trarre benefici dall'impiego di rosuvastatina. Lo stabilisce Corona (Controlled Rosuvastatin Multinational Trial in Heart Failure) uno studio pubblicato su Journal of the American College of Cardiology che ha preso in esame oltre 5mila pazienti con scompenso cardiaco, ridotta frazione d'eiezione ventricolare e condizione ischemica. In breve, per i pazienti randomizzati al trattamento con 10 mg/giorno di rosuvastatina oppure placebo, l'end-point primario era rappresentato da un indice composito comprendente morte cardiovascolare, infarto non fatale del miocardio e ictus. L'aumento unitario del logaritmo Nt-proBnp è risultato il predittore più affidabile di tutti gli outcome cardiaci, soprattutto per i decessi dovuti a scompenso cardiaco severo (hazard ratio= 1,99), mostrando minore valore prognostico per morti improvvise (Hr= 1,69) ed eventi aterotrombotici (Hr= 1,24). Le migliori prognosi si sono registrate per i partecipanti con i più bassi valori di NtproBnp, i quali se trattati con rosuvastatina, piuttosto che con placebo, hanno mostrato una maggiore riduzione dell'end-point primario rispetto a quelli con concentrazioni superiori (Hr= 0,65). Journal of the American College of Cardiology 2009, 54, 1850-1859 Infarto, pericolo emorragie con più antitrombotici Nei pazienti con infarto miocardico, il rischio di ricovero ospedaliero per eventi emorragici aumenta con il numero di farmaci antitrombotici utilizzati. A stabilirlo è uno studio pubblicato su Lancet che ha considerato 40.812 pazienti (età pari o superiore a 30 anni), inclusi in un registro nazionale danese, che erano stati ricoverati, per la prima volta, tra il 2000 e il 2005. Dopo un follow-up medio di 476,5 giorni, il 4,6% dei pazienti sono stati nuovamente ammessi in ospedale a causa di episodi emorragici. L'incidenza annua di emorragia con l'aspirina è risultata pari a 2,6%; con clopidogrel 4,6%; con antagonisti della vitamina K 4,3%; con aspirina e clopidogrel 3,7%; con aspirina e agonista della vitamina K 5,1%; con clopidogrel e agonista della vitamina K 12,3% e con triple terapie 12%. In aggiunta, utilizzando come riferimento terapie con aspirina, l'hazard ratio per emorragie è risultato pari a 1,33 per clopidogrel; 1,23 per antagonisti della vitamina K; 1,47 per aspirina e clopidogrel; 1,84 per aspirina e antagonista della vitamina K; 3,52 per clopidogrel e antagonista della vitamina K e 4,05 per triple terapie. "I nostri risultati ci spingono a raccomandare l'impiego di triple o doppie terapie con farmaci antitrombotici solo dopo scrupolose e attente valutazioni dei rischi individuali" ha commentato Rikke Sørensen, principale autore dello studio . Lancet 2009, 374, 9706, 1967-1974 Incremento di lipidi durante transizione menopausale In coincidenza del termine dei cicli mestruali, le donne andrebbero incontro a un sostanziale aumento dei livelli plasmatici di alcuni lipidi. Lo sottolineano gli autori di Swan (Study of Women's Health Across the Nation), un'indagine prospettica apparsa su American College of Cardiology, riguardante oltre 3,300 donne di differente etnicità, che ha consentito di evidenziare, per la prima volta, l'associazione tra incremento di fattori di rischio cardiovascolare e transizione menopausale. In particolare, ricercatori del Department of Epidemiology, University of Pittsburgh in Pennsylvania, hanno utilizzato due differenti approcci: un modello lineare basato sull'invecchiamento anagrafico oppure una combinazione di modelli lineari basata sul deterioramento dell'ovaio. In sintesi, i livelli di colesterolo totale, Ldl e apolipoproteina B sono aumentati, in maniera sostanziale e senza differenze tra i gruppi etnici, nell'intervallo di un anno comprendente il periodo precedente e successivo alla fine dei cicli mestruali, consistentemente con i cambiamenti indotti dalla menopausa. Altri fattori di rischio sono invece apparsi correlati all'invecchiamento anagrafico. J Am Coll Cardiol, 2009; 54:2366-2373 Agente di perfusione miocardica ok in nefropatici Regadenoson, agonista selettivo dei recettori A2A dell'adenosina recentemente approvato per l'imaging di perfusione miocardica sotto stress vasodilatatorio, considerato vantaggioso per la sua rapidità e brevità d'azione e per la sua efficacia pari a quella dell'adenosina pur con meno effetti collaterali, può essere somministrato a pazienti neuropatici allo stadio terminale (Esrd) sebbene sia escreto per via renale. Lo ha verificato un'analisi retrospettiva dell'Università di Alabama (Birmingham) che ha considerato 277 pazienti consecutivi con Esrd a Spect gatizzata con regadenoson (bolo ev 400 microgrammi) e hanno paragonato il loro profilo di sicurezza con quello di 134 pazienti con funzione renale normale. Il gruppo Esrd includeva 164 uomini (59%) e quello controllo 73 (54%; p=ns). I pazienti con Esrd erano più giovani dei controlli (52+11anni vs 61+12anni;p<0,001). I reperti di perfusione miocardica sono risultati anomali in 53 pazienti (19%) con Esrd e in 24 del gruppo controllo (18%;p=ns). La frazione di eiezione del ventricolo sinistro è risultata 57+12% nel gruppo Esrd e 64+12% nel gruppo controllo (p<0,001). I cambi nella frequenza cardiaca e nella pressione sistolica sono stati 20+12 battiti/minuto vs 22+13 battiti/minuto e -11+24mmHg vs -12+23mmHg nei gruppi Esrd e controllo, rispettivamente. Pochissimi pazienti in ogni gruppo hanno riportato sintomi durante il test da stress. In conclusione, il farmaco è risultato ben tollerato e anche l'emodinamica e i profili degli effetti collaterali sono risultati simili a quelli dei pazienti con normale funzione renale. Am J Cardiol 2009;54:1123-30