il senso di una - Università degli studi di Bergamo

G. Bertagna
Pedagogia “dell’uomo”
e pedagogia “della persona”:
il senso di una differenza
A tutt’oggi, va rilevato che l’uomo in quanto uomo della tradizione filosofica
è stato ridotto a nient’altro che a un’astrazione fantasiosa,
al massimo un’oppiacea autoconsolazione religiosa.
Nel 1971 Skinner ha scritto: “all’uomo in quanto uomo diciamo
volentieri addio”.
Nel 1994, F. Crick ha definito l’anima come poco più di una secrezione
neuronale.
In entrambi i casi, si è lontani mille miglia da Cartesio, che, all’inizio dell’era
moderna, pur distinguendo fra “res cogitans” (sostanza spirituale)
e “res extensa” (sostanza materiale), cercò comunque di salvare
l’esistenza dell’anima, all’interno di un’antropologia filosofica
di tipo dualistico.
Viene negata all’uomo la possibilità
di avere una propria consistenza
ontologica al pari delle idee platoniche
o degli enti matematici pitagorici
Viene negata l’esistenza di un
“tipo uomo”,
non esiste nessuna idea
di uomo in universale
In epoca contemporanea
non si parla più di essenza dell’uomo
Non esiste alcun iperuranio
che ospiti l’esistenza veramente
esistente dell’uomo,
la sua ousia o sostanza o
essenza
Viene sancita la fine
di ogni metafisica oltre la fisica,
la fine di ogni antropologia filosofica,
soppiantata da un’antropologia
culturale occupata dal paradigma
scientifico moderno
Con la fine di ogni metafisica e di ogni antropologia
filosofica, si è giunti alla piena naturalizzazione dell’uomo,
grazie alle scienze che lo studiano (le cosiddette “scienze umane”).
Queste ultime mirano a spiegare i fenomeni che caratterizzano
l’essere umano, ma non vanno ad indagarne l’essenza profonda.
In questa direzione, esisterebbero solo singoli individui, empirici,
così come sono, come la natura (in senso naturalistico-materialistico)
li determina ogni volta, e come la loro esistenza nelle società storiche
ce li farebbe di fatto vedere, tempo dopo tempo.
L’ontico (ovvero l’esistente) viene privato dell’ontologico (piano
dell’essere), dell’assiologico (piano dei valori)
e del deontologico (piano del dover essere).
I “maestri del sospetto”:
K. Marx, F. Nietzsche, S. Freud
M. Heidegger:
fine dell’umanesimo
“L’uomo in quanto uomo è stato smascherato come
una menzogna”: viene meno ogni physis
(natura come essenza) dell’uomo
M. Weber:
l’ordinamento economico
moderno come una “gabbia
di acciaio” per l’uomo.
Per Heidegger la natura umana non è più una ousia, non è
più la ktisis di cui parla S. Paolo, cioè non si qualifica più come
quella dimensione spirituale stabile fatta di libertà e di responsabilità.
Heidegger intende la natura come un continuo nascor, un processo
che rimanda a qualcosa che deve ancora essere e che verrà
all’essere, mettendo così in luce i caratteri della mutevolezza e della
contingenza.
L’uomo appartiene all’ente (ontico) ma non più all’essere (ontologico),
che cambia di continuo a seconda dei contesti, del tempo, delle
contingenze e delle opportunità.
Per l’uomo non esiste più una verità, non esiste più una costituzione
assoluta delle cose, un noumeno: si cade così nel relativismo.
L’uomo non sarebbe altro che una infinita successione fenomenica
di singoli individui: l’uomo non è più in sé in quanto uomo,
ma esistono soltanto “questi uomini” così come sono
(ripresa dell’istantaneismo di Locke e di Hume: “l’uomo come un
fascio di percezioni”).
La prospettiva dell’uomo naturalizzato apre una serie
di interrogativi, innanzitutto sul piano etico:
Le persone non sono
addizionabili e ciascuna
ha un proprio posto
unico e singolare.
In ogni persona esiste
uno spazio sacro ed
inviolabile, indisponibile
a qualsiasi manipolazione
empirica e alla svalutazione
etica da parte di chiunque.
Il momento della costituzione
dell’essere umano
(concepimento)
è indisponibile, è sottratto
alle nostre intenzioni,
non è alla nostra portata.
La prospettiva dell’uomo naturalizzato apre una serie
di interrogativi anche sul piano pedagogico:
• Che senso avrebbe parlare di educazione dell’uomo e di rispetto del suo
essere (piano ontologico) se questo coincide con l’ontico, cioè se l’uomo
non ha più un’essenza che lo rende uomo ma è solamente un insieme di
io successivi?
•Che senso mai avrebbe voler educare l’uomo sulla base del suo
“dover essere”, se questo coincide con l’essere particolare
e contingente di ciascuno (ontico)?
•Che senso potrebbe avere educare l’uomo per realizzare il suo “bene”,
se non esiste più alcuna distanza fra essere e dover essere, quindi non è più
necessario far riferimento ad una prospettiva assiologica da cui mettere
in discussione il proprio modo di essere l’uomo che si è?
Si apre un ulteriore interrogativo: se manca la misura del dover essere,
quale legittimazione potrebbe mai avere l’agire educativo, senza far
cadere questo nell’abuso?
L’educazione dell’uomo naturalizzato si configurerebbe come
mero esercizio del potere, abuso, sia esso di tipo
individuale e/o sociale.
Verrebbe meno la possibilità di qualsiasi pedagogia,
perché sulla forza della verità prevarrebbe la verità
della forza: l’educazione sarebbe una successione di
forme di totalitarismo autoritario e di violenza legale.
Sono state prospettate due soluzioni per ricercare la misura del
dover essere, ma entrambe si sono rivelate insoddisfacenti.
La prima proposta ritiene di poter
tenere a freno il dover essere
come se l’uomo
fosse un legno storto e
ricurvo da raddrizzare,
con minacce e con percosse
(autoritarismo direttivistico).
La seconda proposta ritiene che
ogni uomo è se stesso,
“diventa chi è”, secondo
una direzione che da Pindaro
va alla self-reliance americana:
ciascun uomo è misura
inconfondibile ed
incomparabile di se stesso
(individualismo monadico).
In realtà, occorre chiedersi di quale natura sia la misura del dover essere,
ovvero se essa è riconducibile al piano dell’ontico
(dove l’essere di ciascuno coincide con
la forma che l’essere di ciascuno ha assunto)
o se è metafisicamente stabile ed
epistemica, cioè riguarda qualcosa che trascende l’empirico,
riportando di nuovo alla ribalta la questione dell’essenza.
A questo punto, occorre chiedersi se ci si può educare (autoeducazione)
e si può educare (eteroeducazione) senza avere a disposizione l’essenza,
la physis di ciascuno, senza presupporre l’esistenza
di una sostanza dell’uomo?
Per poter rispondere a questo interrogativo, occorre citare
L. Laberthonnière: “l’idea che ognuno si forma dell’educazione e
della funzione dell’educazione dipende evidentemente
dall’idea che si ha dell’uomo e del suo destino”.
A seconda del tipo di antropologia filosofica cui si fa riferimento,
si prospetta un certo tipo di agire educativo.
Di fronte a questa problematica, la pedagogia ha reagito sostenendo che
non si può educare né tanto meno teorizzare sull’educazione di nessuno
senza riferirsi alla (o, almeno, ad una) physis dell’uomo.
Infatti, la pedagogia, al contrario delle altre scienze dell’uomo,
non ha mai voluto abbracciare il paradigma scientifico-logico moderno,
che l’avrebbe condotta a divenire una “pedologia”,
alla stregua della altre scienze umane
(es. sociologia, psicologia, antropologia, ecc.).
La pedagogia (dal greco pais-agogé) ha in sé costitutivamente
l’esigenza di fare riferimento ad una concezione
metafisica normativa dell’uomo in quanto uomo,
non semplicemente una concezione di tipo naturalistico, di per sé
riduttiva, come hanno fatto le altre scienze umane.
Da tempo, la pedagogia, pur prodotta da diverse correnti di pensiero,
ha deciso di andare oltre questi interrogativi e di intraprendere la strada
aperta dalla “persona umana”, che ha sostituito il termine “uomo”.
Infatti, non si parla più di educazione dell’uomo, educazione umanistica,
formazione dell’uomo, teoria dell’uomo, ecc., ma di educazione
della persona, personalizzazione, formazione della persona,
teoria della persona, ecc.
La sostituzione del termine “persona” al termine “uomo” rappresenta
una scelta di epistemologia pedagogica, perché parlare di “persona”
significa fare riferimento a due ordini semantici differenti:
uno di tipo empirico-descrittivo e uno di tipo metaempirico-normativo.
In altre parole, la “pedagogia della persona umana” dichiara
esplicitamente che è impossibile una pedagogia che, mentre non
trascuri la dimensione empirico-naturalistica dell’uomo, non riconosca
la dimensione metaempirica e normativa (metafisica), all’interno del
proprio statuto disciplinare. Infatti, la pedagogia, in quanto
pais agogé (lett. “condurre il fanciullo in una danza”)
non può fare a meno,
per continuare ad essere tale, di queste due dimensioni.
Vantaggi della pedagogia della persona umana:
consente di cautelarsi dai rischi di
riduzionismo naturalistico o scientistico
(di cui non è esente la pedagogia
dell’uomo)
afferma il “di più” che
la prospettiva pedagogica,
al contrario delle altre scienze umane,
porta con sé, ovvero il guidare,
e non semplicemente spiegare,
i processi educativi, chiamando in gioco
anche una dimensione etica
ed assiologica.
La “persona umana” fra costrutto locale e globale:
mentre la parola “uomo” è universale, perché utilizzata da diverse culture
nel tempo,
la parola “persona” ha una ben precisa delimitazione spaziale e
temporale, perché è nata con la cultura ebraico-cristiana
ed è cresciuta nei paesi che hanno conosciuto tale cultura.
Il termine persona umana fu introdotto nel IV sec. d.C.
con il Concilio di Nicea,
per risolvere la questione della SS. Trinità:
Padre, Figlio e Spirito Santo non sono
altro che tre persone costituite dalla medesima sostanza divina.
In seguito ai processi di secolarizzazione che hanno coinvolto,
nel corso del tempo, la religione e la fede cristiana,
e dato che il Cristianesimo è un fatto
anche e soprattutto socio-culturale,
la questione della “persona umana” è stata laicizzata.
Ad oggi, gli stessi significati del termine “persona umana” e dei suoi
derivati, pur avendo, all’origine, il sigillo inequivocabile della teologia
trinitaria cristiana, esprimono soltanto un modo filosofico, epistemologico,
scientifico e storico di considerare l’uomo e il suo mondo che appare,
almeno in pedagogia, più ricco e più complesso, per questo più
convincente di quello che accompagna il termine “uomo”.
Quest’ultimo, infatti, se ridotto alle sue uniche dimensioni naturalistiche,
consente meno del termine persona di porsi in una
prospettiva finalistica di “educare bene o, almeno, meglio educare”.
La semantica della “persona” e la
sua struttura ironica
Homo
Humus
Dimensione centripeta
Mensh
Manere
Manus
PERSONA (umana)
Proliferatamente ironico.
rimanda sempre, da qualunque punto di vista lo si accosti e lo si consideri,
ad altro, ad oltre. Indica qualcosa che non c’è qui ed ora, ma che occorre
immaginare e supporre per poter capire il qui ed ora.
E’ un termine centrifugo a tutti i livelli.
La dimensione
STORICO-FILOSOFICA
La dimensione
ETIMOFILOLOGICA
La dimensione
STORICO-GIURIDICA
La dimensione etimofilologica
Radice etrusca
• Phersu
Didascalia di un personaggio mascherato, dipinto nella
Tomba degli Auguri della necropoli di Corneto Tarquinia
(V sec. a.c.).
• Persephone
La dea rapita da Ade (d’inverno) e restituita alla madre
Demetra (di primavera); rappresentava una doppiezza di
condizione e, per questo motivo, durante le feste portava
una maschera.
Radice greca
•
Prósopon
Pros = chi sta davanti Opè= allo sguardo
Questo termine ha 2 versioni di significato:
a)
Maschera teatrale che nascondeva (velava) e, proprio
per questo motivo, svelava (3 livelli di dinamica).
b)
Parte sottostante del cranio (Aristotele), cioè il volto.
Visus, da videre, richiama un volto che guarda e
l’esperienza teoretica (da Theoréo, osservo, vedo).
Facies da facere, per i latini invece è una sineddoche che
indica l’uomo caratterizzato dall’uso delle mani che fanno
per téchne.
Dimensione storico-giuridica
• Antichità romana
Giuridicamente il termine persona non stava ad indicare la
sostanza dell’essere umano e costringeva ad un sottile
gioco di distinzioni.
Non vi era identità tra persone e corpi umani.
C’erano uomini che
non erano persone
(schiavi)
La persona poteva
non avere corpo
(persona giuridica)
Una persona
poteva assumere
su di sé una pluralità
di corpi umani
(pater et filius una persona)
Dimensione storico-filosofica
(nettamente dipendente dalla teologia)
• Ebrei
Dio era Qualcuno
(TEOLOGIA)
• Greci (Aristotele)
Dio non veniva mai
indicato con un nome
proprio o con un
soistantivo, ma solo
come predicato, attributo o
aggettivo. Era un’eccellenza
nella scala degli enti.
(ONTOLOGIA)
Secondo Gilson, quando il cristianesimo si
diffuse, divenne necessario verificare se,
l’ “io sono” della Bibbia, coincideva con il Dio
di Gesù Cristo e, in che senso e fino a che
punto, era compatibile con il Dio della
tradizione filosofico classica.
Greci
Esistenza di esseri divini
Ebrei
Dio uno e persona
Cristiani
Dio una sostanza e tre individualità
• La persona divina è dotata di sostanza
razionale e di individualità, totalità essa
stessa, in relazione alla quale ciascuna
cosa è parte che agisce in rapporto a sé
(dominium sui actus).
• Le azioni della “persona divina” non sono
di Dio, ma atti divini così come le azioni
non sono dell’uomo, ma umane.
• Il termine PERSONA, divina o umana che
sia, è lo stato in cui una individualità
coincide con una sostanza razionale e,
specularmente, la sostanza razionale, per
definizione universale, è individua cioè di
ciascuno, in corpo, ragione e volontà. In
quanto tale è irripetibile, unica.
ironia
• Persona umana
Questo vocabolo necessita, per fondarsi e
giustificarsi, di un fondamento altro, nel caso
specifico, la trascendenza divina.
uomo
come
Persona umana
Persona divina
Ritorno alla “persona umana” o oltrepassamento della “persona umana”?
Kempf spiega che la scienza
contemporanea sta per compiere
una “transizione”paragonabile a quella
della rivoluzione
Neolitica.
L’antropocentrismo e il valore
della persona umana in sé, starebbero entrando in
stridente contraddizione con le possibilità
offerte dalla “fabbrica dell’umano”
determinando uno smarrimento etico
e un’afasia antropologica devastante.
Per far fronte a questo problema sarebbe
necessario eliminare qualsiasi
residuo antropocentrico e affrontare un
ricominciamento culturale radicale
e alternativo.
L’uomo occidentale, a seguito di un processo
di naturalizzazione, ha dissolto la teologia
in un’antropologia biologica.
Per questo risulta risibile affermare
che l’uomo “è colui che non è
vincolato dalla natura”(Herder)
La proposta di Kempft è perciò quella di
reintegrare la mentalità pre-cristiana.
L’uomo sarebbe una delle diverse forme che le
divinità decidono di assumere.
Quale divinità è quella che appare
nell’uomo attuale che invoca il proprio
oltrepassamento nichilistico?
E’ una divinità celeste o infernale?
• Un’antropologia pedagogica improntata ad una
mentalità pre-cristiana, scaricherebbe ogni
responsabilità dell’uomo su una imperscrutabile
necessità teofanica del divino.
• E’ necessario affrontare le sfide etiche ed
educative, rivisitando, senza le secolarizzazioni
conosciute,
l’antropologia
della
“persona
umana”, radicata nella “persona divina” rivelata
compiutamente, per il cristianesimo, da Gesù
Cristo.
Postulati ebraico-cristiani per una pedagogia
della “persona umana”
• Orientano l’elaborazione di una filosofia e di una pedagogia della
“persona umana” che non neghi il contributo delle “scienze
dell’uomo” anche nella loro versione naturalizzata, ma che pure non
se ne accontenti, rivendicando l’opportunità di confrontarsi
criticamente con le suggestioni antropologiche della tradizione
religiosa ebraico-cristiana.
• Dicono loro stessi di dover essere abbandonati come pericolosi se
dimostrati falsi, di ostacolo alla verità, a qualsiasi verità (storica,
scientifica, biologica ecc.).
• Loro stessi dichiarano di essere molto utili se lasciati, in tutto o in
parte, impregiudicati dalla critica razionale poiché, in questo modo,
tengono aperte prospettive di ricerca della verità e orizzonti di
senso.
Unicità dell’identità personale
Amore relazionale
Libertà, imputabilità e responsabilità personali
Persona come simbolo
Unicità dell’identità personale
• Dio è un “chi”.
•
Anche l’uomo, essendo selem (copia tangibile) e demut (prototipo
che rende presente una realtà originaria che è assente) è un “chi.”
• Questo “chi” si può mostrare e dire agli altri.
• L’unicità dell’identità personale non è soltanto diversità e differenza
singolare.
• Anche se questa singolarità è empirica, tuttavia non è possibile,
nemmeno attraverso la catalogazione del processo di fecondazione,
spiegare come si passa dalla non vita a una vita inconfondibile,
esclusiva, irripetibile. Questa è la vera questione dell’unicità
dell’identità personale senza la quale non esiste “persona”.
Dimenticare questa dimensione e ritenere che la singolarità e
la diversità empirico scientifica dell’uomo sia condizione non solo
necessaria, ma anche sufficiente per giustificare l’unicità delle
identità personali, significa tradire la causa e il fine dell’educazione
che sentiamo di dovere a qualunque essere umano.
Se l’identità personale non è unica e sostanziale, di quale identità
si potrebbe mai parlare? Perché dovrebbe essere un valore
cercarla nell’educazione di tutto e di tutti?
Amore relazionale
• E’ un postulato che la bibbia non teme di attribuire a Dio
stesso, prima ancora della creazione dell’uomo.
• Le tre persone della Trinità si riconoscono l’un l’altra, e
con questo reciproco riconoscimento possono ciascuna
rivendicare la propria identità, senza temere di
affidarsela l’un l’altra.
• Il cristianesimo ha valorizzato la relazione , ma sempre
collegandola alla sostanza. Dio è relazione sussistente.
Questa relazione è amore cioè reciproco e libero
riconoscimento, di un “io” e di un “tu” e, quindi,
l’altrettanto libero e reciproco riconoscimento di un “noi”.
• Dio trovò nella libertà riconosciuta alla sua creatura un
motivo aggiuntivo per dimostrare ancora meglio il suo
amore.
E’ importante recuperare nell’educazione la trama della
struttura relazionale che, attraverso il radicamento nella
“persona divina”, la lega a sua volta a tutte le persone umane di
questa terra.
Si tratta di assumere il “dover essere” da promuovere
per l’essere educativo che di fatto c’è, con tutti i suoi difetti.
Libertà, imputabilità e responsabilità
personali
• Agostino parla di libertas maior (la vita in senso
pieno propria di Dio e di chi sta con Dio, nel suo
bene e nella sua relazione), e di libertas minor
(quella di chi, proprio perché sradicato da Dio,
può anche sbagliare e perdersi).
• Per scegliere e fare il bene l’uomo ha bisogno di
Dio e in questo modo diventa veramente se
stesso.
• Il peccato è davvero mortale quando si sceglie il
il falso, il male e il brutto in piena libertà di
coscienza per renderli vero, bene e bello.
Non c’è crescita della “persona umana” e non c’è pienezza
senza il fondamento della libertà. Non c’è insegnamento da
“persona umana” quindi, se manca l’apprendimento motivato e
volontario che poi significa “personale”.
Non c’è ragione senza volontà e non ci sono abitudine e
virtù personali che non siano la sedimentazione di ripetuti
atti liberi che si mantengono sempre tali.
Il “dover essere” del piano educativo vale solo se
proviene e resta nella libertà. Tutto il resto non può essere
chiamato educazione della persona umana, ma plagio,
addestramento, potere o altro.
Non è accettabile un’educazione che teorizza la possibilità
della scelta del falso, del male e del brutto, come
mezzo per arrivare al vero perché in questo modo si distrugge
la “persona umana” e la sua possibile pedagogia.
La persona come simbolo
• Il simbolo è ciò che è unito, unisce, è l’unità che
non ha incrinature . Il simbolo per eccellenza è
Dio (tutto in tutti).
• Simbolo è anche la persona umana innanzitutto
perché unità non dissolubile di anima e di corpo.
• La persona umana è aperta al tutto, ha a cuore
tutto, contiene il tutto e si caratterizza, per
contrasto, ad ogni esclusivismo, materiale,
morale, culturale, sociale, religioso.
Una pedagogia della “persona umana” non può sviluppare
una componente educativa della persona stessa
senza dover contemporaneamente coinvolgere tutte le altre
presenti nel suo simbolo.
La pedagogia della “persona umana” non potrà mai , per quanto
cammini, esplorare nella sua interezza il tutto che contraddistingue
sia la pedagogia elaborata dalle “persone umane”, sia la “persona
umana” concreta studiata come oggetto di studio.
La pedagogia della “persona umana” si caratterizza per un
impianto teoretico e metodologico nomadico e mai stanziale.
Rifugge ogni sistematizzazione che pretenda assolutezza.