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D
i Regina Jonas, per
cinquant’anni
nessuno ne ha parlato.
Da quando nel 1944
è stata ingoiata dalla
voragine mortale di Auschwitz, su di lei neanche
una parola. Poi, nel 1991,
dopo la caduta del Muro,
una ricercatrice del dipartimento di psicologia del
St. Mary’s College nel Maryland, Katerina von Kellenbach, trovò negli archivi
segreti di Berlino Est una
busta che attirò la sua attenzione. Conteneva un certiÀFDWR VFULWWR LQ WHGHVFR HG
ebraico, conferito nel 1930
a una giovane donna per
l’abilitazione all’insegnamento degli studi ebraici
nelle scuole ebraiche tedesche. La busta conteneva
anche una foto singolare:
Regina Jonas che indossa
indumenti rabbinici.
Nella busta c’era pure un
FHUWLÀFDWR ÀUPDWR GDO UDEbino Max Dienemann, capo
dell’Associazione dei Rabbini Liberali della città di
Offenbach, con il quale egli
ordinava rabbino la signorina Jonas. Sebbene già altre donne, come la Asenath
Barzani, avessero esercitato
ruoli analoghi senza essere ordinate, la Jonas risulta
essere la prima donna rabbino nell’ebraismo. Non intendiamo addentrarci nelle
complesse discussioni che,
nel mondo ebraico, sollevano le ordinazioni femminili,
ma vogliamo mettere in luce la singolare esperienza
di questa donna che ha voluto, con passione e determinazione, essere fedele a
sé stessa.
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RISCOPERTE
di Michele Genisio
Regina Jonas
la rabbina
La storia della prima donna
abilitata ad insegnare la Torah,
morta nel lager di Auschwitz
Il mondo ebraico contemporaneo
comprende
varie correnti, spesso in
aperta disputa tra di loro.
Alcune non ammettono
che la donna studi la Torah
e il Talmud. Oggi infatti le
donne possono essere ordinate rabbini da seminari
riformati e conservatori,
ma non nelle correnti ortodosse. La scoperta del
dossier sulla Jonas fu di
grande importanza perché
ÀQRDTXHOPRPHQWRVLULteneva che la prima donna
rabbino fosse Sally Priesand, ordinata nel 1972.
La Jonas non aveva
grande simpatia per l’ebraismo riformato che
al suo tempo muoveva i
primi passi in Germania:
ella si sentiva ebrea ortoGRVVD ÀQR DO PLGROOR 6L
WURYzFRVuDVÀGDUHO·establishment religioso quasi
contro voglia: fu ordinata
da un rabbino riformato
perché nessun altro la voleva ordinare. Ma il movimento riformato non
l’avrebbe poi ricordata
perché non la considerava
parte della propria tradizione; e lo stesso accadde
col movimento ortodosso
che non la poteva accettare come una sua esponente. Ella si sentiva spinta a
perseguire l’ordinazione
rabbinica perché percepiva che il compito della sua
vita era insegnare la Torah, essere esempio e guida della sua comunità. «Se
proprio devo rivelare cosa
mi ha guidata come donna
a diventare rabbino – affermava –, mi vengono in
poi rabbina, fu infaticabile
insegnante delle giovani
generazioni e grande “curatrice di anime”.
mente due punti: la certezza della chiamata di Dio e
il mio amore per la gente.
Le competenze e vocazioni che Dio ci ha posto nel
cuore non fanno distinzioni di sesso. Così ognuno
di noi ha il dovere, uomo
o donna che sia, di agire
secondo i doni che Dio ha
elargito».
La sua umiltà e dedizione alla Torah servirono a
spianarle la pur tormentata
La porta d’ingresso e (in alto) la ferrovia
con cui i deportati arrivavano nel lager “modello”
di Theresienstadt. A fronte: Regina Jonas
con indosso gli indumenti rabbinici.
strada all’ordinazione. Nel
suo originale percorso fu
aiutata da uno sparuto numero di persone tra le quali
alcuni rabbini ortodossi
– come Isidor Bleichrode,
Felix Singermann e Max
Weyl – che non potevano
condividere la sua scelta,
ma erano affascinati dalla
sua vicenda umana. La Jonas impostò la sua tesi per
chiedere l’ordinazione non
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della Halakhah (la tradizione normativa dell’ebraismo) ma proprio basandosi su di essa. Divenuta
Nel 1942 fu arrestata
dalla Gestapo e deportata nel lager “modello” di
Theresienstadt, dove erano
internati intellettuali e artisti ebrei. Lì continuò il suo
lavoro come rabbino, aiutando anche lo psicologo
Viktor Frankl – lì detenuto – a predisporre un’unità
di crisi per migliorare le
possibilità di sopravvivenza dei prigionieri. Il suo
compito era accogliere alla stazione i deportati che
arrivavano con i famigerati treni e aiutarli in quel
momento di shock e disorientamento. Nel 1944 fu
trasferita ad Auschwitz,
dove probabilmente fu ammazzata lo stesso giorno in
cui arrivò.
«Regina Jonas è stata
una donna eccezionale e
carismatica – afferma la
studiosa israeliana Shalin
–. Nel ghetto si fece carico
di compiti molto duri, sapeva come dare speranza
alle persone il cui mondo
era stato completamente
distrutto».
Ma la cosa che più colpisce è stata la sua capacità
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il compito che, secondo lo
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a ciascuno di noi: «Si tratta
di dire di sì a sé stessi, di
porsi dinanzi a sé stessi come al compito più grave».
Per fare della nostra vita
quell’opera unica, quel capolavoro, che solo a noi è
chiesto di realizzare.
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