L’impresa che diventa sistema:
una lettura nel duecentenario darwiniano
ROBERTO CAFFERATA *
Abstract
Il tema dell’evoluzione, a maggior ragione se affrontato nel 200° della nascita di Charles
Darwin, è un tema sensibile oltre che complesso.
In filosofia e teologia, la netta contrapposizione tra le due linee di pensiero che si sono
imposte (il creazionismo e l’evoluzionismo) è un’evidenza della sensibilità accumulatasi
attorno al tema prescelto. Anche nelle scienze sociali numerosi studiosi delle organizzazioni
complesse seguono un’impostazione teorica basata su L’Origine delle Specie, dimenticando
tuttavia che, in quell’importante opera, Charles Darwin studiò piante e animali, ovvero
creature ben diverse dalle organizzazioni e dalle imprese. È comunque importante il
contributo teorico del darwinismo sociale.
Il tema dell’evoluzione viene trattato, in questa relazione, in modo intrecciato a quello
della natura sistemica dell’impresa. L’Autore sottolinea che diventare sistema implica
decisioni e processi concepiti razionalmente e graduali, i quali percorrono il ciclo di vita
aziendale in modo ben diverso da quelli casuali e spesso caotici che riguardano il sistema
naturale e gli organismi viventi.
Parole chiave: evoluzione, darwinismo, sistemicità dell’impresa, management strategico
The theme of evolution is a sensitive and complex theme, even more so if it is discussed in
the 200th anniversary of Charles Darwin’s birth.
In philosophy and theology, the sharp contrast between the two prevailing lines of
thought (creationism and evolutionism) is evidence of the sensitivity surrounding this subject.
Also in social sciences a large number of scholars of complex organizations follow a
theoretical framework based on The Origin of the Species, forgetting, however, that in that
important work Charles Darwin studied plants and animals, i.e. creatures which are very
different from organizations and enterprises. The theoretical contribution of social
Darwinism is anyway important.
The theme of evolution is discussed in this paper in an intertwined way with that of the
systemic nature of the enterprise. The Author underlines that to become system implies
rationally conceived and gradual decisions and processes, which go through the enterprise’s
cycle of life in a very different way from the casual and often chaotic ways concerning the
natural system and the living organisms.
Key words: darwinism, evolution, systemness of the firm, strategic management
*
Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università di Roma Tor Vergata
e-mail: [email protected]
sinergie n. 81/10
L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
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1. Introduzione
1.1 Il tema dell’evoluzione, a maggior ragione se affrontato a ridosso di un
anniversario darwiniano, appare un tema sensibile, oltre che complesso. L’economia
e il management aziendale contemporanei non sembrano tuttavia avere problemi
irrisolti o irrisolvibili al riguardo. L’economia aziendale italiana - intrisa
dell’insegnamento seminale di Zappa (1927 e 1956) e memore della lezione
evoluzionistica di Ceccherelli (1948) - concepisce l’impresa in continuo divenire,
come un tema che “si svolge” nel tempo. Altre scienze sociali, nonché la filosofia e
la teologia hanno, invece, idee contrastanti in tema di evoluzione sia degli organismi
viventi, sia delle organizzazioni sociali (Brancato F., 2009; Marmefelt T., 2009;
Timossi R.G., 2009).
La contrapposizione, spesso attivamente cercata, tra le due linee di pensiero che
si sono imposte (il creazionismo e l’evoluzionismo)1 è un’evidenza della sensibilità
cumulatasi attorno al tema prescelto. In verità, almeno dalla Humani Generis di Pio
XII fino alla concezione di Giovanni Paolo II dell’evoluzione come creatio continua
(Brancato F., 2009, p. 43 e p. 80) non emerge - per restare in ambito di cattolicesimo
- un’inappellabile opposizione alla dottrina evoluzionistica2. È, in particolare,
significativo il fatto che - riunitasi in seduta plenaria dal 30 ottobre al 4 novembre
2008 - la Pontificia Accademia delle Scienze ha ribadito che, a livello scientifico,
l’evoluzione rappresenta un dato acquisito della conoscenza, pur restando aperta
l’importante questione, posta con semplicità disarmante e chiara dal Catechismo
della Chiesa Cattolica (Cfr. n. 284), che riguarda il “senso” della creatio ovvero
dell’origine del cosmo, dell’uomo e degli organismi viventi: se tale processo, cioè,
sia governato “dal caso”, da un destino cieco, da una necessità anonima, oppure da
un Essere trascendente, intelligente e buono, chiamato Dio3.
1.2 A fronte di tale problematicità si evidenzia, invece, in questo inizio del secolo,
una chiusura totale alle istanze metafisiche e al dialogo - anche con le scienze sociali
- da parte di numerose correnti neodarwinistiche che tutto affidano, nell’evoluzione,
all’intervento dei geni ereditari e del caso (tra tutti Dawkins R., 1982). Impostazione
1
2
3
Si veda, in particolare, la prolusione del Presidente della C.E.I., card. Angelo Bagnasco,
letta di fronte al Consiglio episcopale permanente a Roma, il 3 marzo 2009,
(“L’Avvenire”, 24 marzo 2009, p. 7).
Nella Lettera ai cercatori di Dio, elaborata dalla Commissione Episcopale per la Dottrina
della Fede, l’Annuncio e la Catechesi, si può leggere: “Quando Dio ha creato il mondo,
non lo ha creato compiuto: la creazione non è finita. L’uomo ha preso possesso
lentamente della terra, forgiandola, adattandola alle sue esigenze, sviluppando le
potenzialità del creato per il suo bene e per la gloria di Dio. In modo particolare stiamo
oggi assistendo a trasformazioni impensabili fino a pochi decenni fa. Esse ci fanno vedere
come l’uomo abbia capacità sconfinate, di cui sono strumento le nuove tecnologie”
(Conferenza Episcopale Italiana, 2009, p. 24).
In altre parole: “La Chiesa non si oppone alla teoria dell’evoluzione biologica ed è aperta
ad essa, purchè siano salvi sia la possibilità della creazione da parte di Dio, sia il peccato
originale, oggi spiegato in molti e complessi modi” (Martini C.M., 2009, 9).
ROBERTO CAFFERATA
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teorica che, basata soprattutto su L’Origine delle Specie, viene seguita anche da
studiosi delle organizzazioni complesse - cioè da studiosi di un altro mondo! - i quali
dimenticano che, in quell’opera, Charles Darwin studiò e congetturò a proposito di
piante e animali, ovvero creature ben diverse dalle organizzazioni e dalle imprese,
ancorché avesse certamente un’idea sua dell’evoluzione sociale4.
Ma il neodarwinismo è differenziato e variegato al suo interno (Timossi R.G.,
2009, p. 241), così come varie e differenziate sono le specie studiate da Darwin. È,
questo, un argomento che riprenderemo più avanti, quando daremo atto
dell’importanza del darwinismo sociale (Dagnino G.B., 2006; Ghiselin M.T., 2009;
Marciano A., 2009; Ruse M., 2009), almeno quello che s’ispira a interpretazioni del
mondo biologico utili per le discipline economico-aziendali.
Sembra giunto, quindi, il momento, di addentrarci nel tema della natura
sistemica dell’impresa, che noi leggiamo intrecciato a quello dell’evoluzione.
Rispetto al primo dei due temi, sottolineeremo che diventare sistema implica
l’intervento di processi lenti, costosi e graduali - ma non caotici e casuali - i quali
attraversano lo “svolgimento aziendale”. Rispetto al secondo dei due temi sopra
accennati, daremo spazio alle suggestioni che emergono dalla lettura dell’opera sia
di Charles Darwin, sia di suoi eccezionali epigoni contemporanei (in primis
Lewontin R.C., 1983), ricavandone qualche valida lezione - ai più non del tutto
sconosciuta - ma restando nel contempo ben avvinti all’idea che il sistema
economico-sociale e le organizzazioni complesse, pur incontrandosi con entità
diversissime l’una dall’altra, mantengono identità e caratteri ben diversi da quelli del
sistema naturale e degli organismi viventi.
2. Le imprese: tutte sistemiche?
2.1 Nelle discussioni correnti e in numerosi testi di economia aziendale e
management s’incontra spesso la seguente affermazione: “L’impresa è un sistema”.
Nello stesso tempo, tuttavia, si dice poco sui processi costitutivi intervenuti, sulle
caratteristiche acquisite, in sintesi sulle condizioni che debbono sussistere affinché
l’impresa diventi o sia sistema. Si argomenterà, pertanto, in questo paragrafo,
dell’importanza del diventar sistema.
In proposito, facciamo due considerazioni preliminari, le quali hanno a che fare
con le fasi del ciclo di vita e con le dimensioni d’impresa.
4
È singolare venga dimenticato che, dopo la prima uscita del 1859 - e almeno dalla
seconda edizione de L’origine delle specie fino all’ultima del 1872 curata direttamente
dall’insigne Autore - nell’evoluzione entri in ballo il Divino Creatore anche secondo
Charles Darwin. In tutte le sue pagine, Darwin è affascinato dal “meraviglioso mondo” di
varietà che scopre, fino a concludere: “C’è qualcosa di grandioso in questa concezione per
cui la vita, con le sue diverse forze, è stata in poche forme o in una sola originariamente
infusa [‘dal Creatore’, nelle edizioni seconda e seguenti]; e, mentre il nostro pianeta
continuava a ruotare secondo la legge costante della gravità, da un inizio così semplice
innumerevoli forme bellissime e meravigliose si sono evolute, e tuttora si evolvono”
(Darwin C., 1859, trad. it. 2009, p. 515).
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L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
La prima considerazione riguarda gli iniziali anni di vita delle aziende produttrici
di beni e servizi. Ad avvio delle proprie attività, l’impresa si presenta generalmente
come un’organizzazione semplice, un’entità tutta da specificarsi, che può
trasformarsi - ma non sempre si trasforma - in organizzazione articolata e
complessa. A parte quelle che escono rapidamente dal settore di attività economica
in cui sono entrate5, le imprese nei primi anni di vita sono entità suscettibili di
evolversi in più direzioni, tutte da scoprire - ad esempio possono crescere o, invece,
non crescere - e non tutte ce la fanno ad assumere le caratteristiche di “sistemicità”
volute da chi le fa nascere; non tutte proseguono con successo o vantaggio
competitivo il loro percorso esistenziale.
La seconda considerazione si rivolge al fatto che, quando superano le difficoltà
iniziali della loro creazione e verificano la formazione e sussistenza delle
caratteristiche di “sistemicità”, le imprese non sono mai certe di mantenersi
automaticamente in tale condizione, a tempo indefinito, né lo devono presumere. Al
contrario, esse continuamente s’interrogano (o devono interrogarsi) se stiano
conservando o rafforzando le predette condizioni o, all’opposto, se le stiano
perdendo.
L’imprenditore intelligente - almeno a nostro avviso - è o deve essere sempre
colto dal dubbio a proposito della sua “sistemicità” e dell’evoluzione di tale
condizione. E quando non è in grado di farlo da sé, deve porre tale problema a terzi,
cioè a collaboratori o consulenti che lo aiutino a risolvere il problema. In sintesi:
l’affermazione secondo cui “l’impresa è un sistema” è tutta da dimostrare e implica
ricerca. Non si nega il concetto di sistema aziendale (Amaduzzi A., 1967;
Churchman C.W., 1971; Kast F.E., Rosenzweig J.E., 1973, 1988; Seiler A., 1976;
Von Bertalanffy L., 1977; Rullani E., 1984; Bertini U., 1990; Tagliagambe S., Usai
G., 1999; Golinelli G.M., 2000, 2008; Usai G., 2002; Barile S., 2006; Vicari S.,
2007; Massaroni E., Ricotta F., 2009); si vuole, al contrario, richiamare l’attenzione
sull’importanza che ha il periodo di tempo in cui l’impresa è sistema ancora “in via
di compimento” (Barile S., 2009, p. 69); e, infine, si vuole sottolineare che arrivare
“a sistema” richiede tempo e fatica, implica costi da reintegrare con ricavi, nonché
capacità di affrontare e superare le contraddizioni del non semplice percorso vitale.
2.2 Il dubbio che tutto sia perfettamente sistemico là dove c’è una qualsiasi impresa
- in particolare, che tutte le imprese siano sistemi fin dalla loro nascita e agiscano
sempre come tali - viene alimentato da una duplice considerazione di merito.
Si può partire dall’ipotesi che tutte le imprese neonate (o tutte le imprese che
scelgono di rimanere piccole) trovino la loro genesi in un progetto di vita del loro
5
Il maggior numero di nuovi entranti si rileva nei settori di attività economica ove ci si
aspetta un elevato tasso di crescita del settore stesso e più alte sono le attese di profitto.
Ma i rischi sono altrettanto elevati. Proprio per questa ragione, in tali ambienti, la
mortalità infantile dell’impresa è la più elevata. In particolare, cfr. Gray C., Stanworth J.
(1986), Bannock G., Stanworth J. (1990), Audretsch D.B. (1991), Stanworth J., Gray C.,
(1991), Baldwin J.R., Rafiquzzaman M. (1995), Vivarelli M. (1997), Stanworth J. et al.
(1998).
ROBERTO CAFFERATA
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fondatore o del continuatore di quest’ultimo: quello dell’indipendenza e del lavoro
autonomo. Tale progetto si sostanzia nella deliberata intenzione di costruire un fatto
organizzato, destinato ad avere un non breve ciclo di vita. Tuttavia, nelle imprese
neonate, o che restano minori, non si rilevano i tratti della “sistemicità” (Golinelli
G.M., 2000; Usai G., 2002) ben conosciuti. In particolare, non si rileva una
combinazione di fattori basata su una significativa pluralità di parti e partecipanti in
dinamica interazione, né si evidenzia una formale separazione tra proprietà e
controllo, né ordinariamente emerge la necessità di rendere scientifico il processo
decisionale, secondo un disegno superiore, di tipo olistico-sistemico. Non è un caso
che la maggioranza assoluta delle imprese giovani e minori - almeno nel nostro
Paese - sia costituita da imprese individuali, ragionevolmente non ipotizzabili come
sistemiche, anche se è sempre più elevato il numero delle imprese che si registrano
come società di capitali, personalità giuridica che, in ogni caso, di per sé non
garantisce “sistemicità”6.
In secondo luogo, si deve osservare che, nonostante le buone intenzioni dei
fondatori, il ciclo di vita delle imprese non riesce sempre a essere tanto lungo,
quanto quello desiderato e progettato. La maggior parte delle imprese neonate
scompare in breve tempo dal settore in cui è avvenuta la loro entrata. Risultati di
importanti ricerche empiriche in Italia e in Europa segnalano, in particolare, che i
primi 3-4 anni di vita sono critici per la continuità dell’impresa neonata e
neoentrata in un settore di attività economica: solo un’impresa su tre, di quelle
neonate, sembra in grado di sopravvivere alla “selezione naturale” e alla “lotta per
l’esistenza” nel triennio che contraddistingue i primi anni di vita7. Ciò è - per così
dire - molto darwiniano: anche il naturalista inglese ebbe a osservare che la
“distruzione”, ovvero l’estinzione degli organismi viventi, è forte “nella fase
iniziale” del loro percorso, nel pur “meraviglioso mondo” cui si adattano (Darwin
C., 2009, p. 76).
Considerato il pericolo sempre immanente di esclusione dal campo competitivo,
il diventar sistema e il sopravvivere in equilibrio - superando la liability of newness e
6
7
In Italia, tra quelle regolarmente iscritte nel 2006 ai registri gestiti dalle Camere di
Commercio, le imprese individuali erano pari al 57,1%; ma è cresciuto lo stock di società
di capitali (arrivate al 20%). In proposito si consulti il Centro Studi Unioncamere (2007).
Qui selezione è da intendersi in senso stretto darwiniano: “L’aggettivo naturale implica
che le caratteristiche dell’ambiente favoriscono in modo differenziale la riproduzione di
alcune mutazioni e la distruzione di altre”. Ed è possibile che “tutto questo adattarsi,
fallire, mutare e riprodursi avvenga senza guida, sia casuale o che abbia almeno scarsa
razionalità” (Weick K., 1993, p. 245). La selezione non cessa mai e “lavora
silenziosamente e impercettibilmente, quando e dovunque se ne offra l’occasione, al
miglioramento di ogni essere vivente in relazione alle sue condizioni di vita organiche e
inorganiche” (Darwin C., 2009, p. 94). Quando ci trasferiamo del sistema economico,
poiché nulla o poco resta fermo, il comportamento dell’impresa può però attivare propri
sensori e proprie capacità, che sono in grado di modificare l’ambiente di riferimento e
piegarlo a una desiderata strategia: è questo che avviene dopo i primi anni vita, quando
l’impresa sopravvissuta si avvale dei risultati tratti dall’esperienza, determinando processi
che definiamo di selezione competitiva (Cafferata R., 2009, p. 197).
56
L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
la minorità delle dimensioni (Stinchcombe A.L., 1965) - implicano la costruzione di
non contingenti contesti all’interno dell’impresa, di solide relazioni all’esterno,
nonché l’applicazione di criteri di amministrazione generale orientati durevolmente
alla razionalità. L’esistenza di tali condizioni e criteri di conduzione aziendale deve
essere oggetto di monitoraggio ed effettivo accertamento, di tempo in tempo, di
periodo in periodo. Non bastano la voglia di fare e lo slancio emotivo per garantire
successo o dare semplicemente continuità e “sistemicità” a una nuova iniziativa,
anche quando le attese di crescita del settore di entrata e le aspettative di profitto
siano elevate. Al contrario, occorrono capacità di orientamento strategico, scrutinio
accurato del settore, metodo e calcolo nell’azione8. Diventare sistema, essere e
restare tale, in equilibrio, è il punto di arrivo - non quello di partenza - di un fattuale
svolgimento aziendale9. È un processo lento, graduale. In impresa, la crescita
esplosiva e la “sistemicità” cercata col turbo nel motore non sempre fanno ben
sperare sul futuro aziendale.
Di qui, cioè dalla chiamata in causa della volontà e dell’almeno intenzionale
razionalità dell’imprenditore, il quale è soggetto non solo oggetto del suo divenire, il
nostro approccio al tema prescelto, che è di tipo evolutivo (Hayek F.A., 1988, pp.
21-25), ma - come meglio vedremo in seguito - non evoluzionistico in senso
darwiniano classico.
3. Alla ricerca delle condizioni per cui l’impresa si fa sistema
3.1 Quali sono le caratteristiche di sistemicità cui più volte ci siamo riferiti, che
devono essere conquistate da un impegno non semplice delle persone che hanno
dato vita e/o continuato l’impresa?
Per avviare il nostro discorso, si propone la seguente assai diffusa definizione di
“sistema aziendale”: è sistema l’azienda (di produzione) in quanto sia una totalità
strutturata e coordinata di parti, partecipanti e relazioni tra detti elementi, indirizzata
al raggiungimento di un preciso fine nel proprio ambiente di riferimento (è per noi
rilevante “in quanto sia”, in corsivo).
Non va dimenticato, infine, che è compito dell’amministrazione aziendale
portare e mantenere tale sistema in equilibrio.
Dalla definizione sopra in esteso è possibile estrarre e commentare la prima
condizione che deve ricorrere affinché l’impresa si costituisca in vero e proprio
sistema. La prima condizione di “sistemicità” è data dall’esistenza di una ben
8
9
In particolare, qui ci riferiamo ai risultati delle ricerche di Baldwin J.R., Rafiquzzaman M.
(1995) e di Vivarelli M. (1997).
Lasciati i primi anni di vita - soprattutto se cresce - l’impresa può sviluppare capacità in
grado di selezionare il campo competitivo e farne un ambiente per così dire “artificiale”.
Rispetto a prima “la selezione è guidata meno dal capriccio che dall’intenzione delle
persone di essere metodiche, ponderate e plausibili; in poche parole di agire come
allevatori, piuttosto che come giocatori di dadi [.…] l’ambiente è artificiale piuttosto che
naturale” (Weick K., 1993, pp. 245-246).
ROBERTO CAFFERATA
57
studiata differenziazione nel lavoro che si svolge entro i confini aziendali; confini
che dividono l’entità che si vuole sistema dalla variegata complessità di tutto quello
che resta, cioè dall’ambiente competitivo. Poiché la differenziazione - dal mitico
Ernest Dale (1964) in poi - fa tutt’uno con la divisione del lavoro sottoposto ad
amministrazione, quanto più il lavoro è diviso, tanto più l’impresa sarà differenziata
in “parti”. E quanto più l’impresa è grande o cresce, tanto più le parti e attività
pertinenti alla governance si separeranno da quelle del management; e queste ultime
si differenzieranno a vari livelli nella gerarchia.
Uscendo dai primi anni di vita - se l’impresa cresce - il soggetto economico
aziendale avverte o dovrebbe capire di non poter più essere il personificatore
dell’entità che ha creato; che può essere rischioso continuare ad accentrare decisioni
e operazioni. Tutto ciò evoca la seconda condizione di “sistemicità”: l’edificazione
della struttura organizzativa. In altre parole, come esiste un fabbisogno di
finanziamento o di approvvigionamento e, più in generale, di risorse produttive da
soddisfare, così emerge e deve essere soddisfatto in impresa un fabbisogno non solo
di differenziazione, ma anche di strutturazione delle funzioni, delle decisioni e delle
responsabilità operative10. Nel contesto della strutturazione assume rilevanza il
concetto di ordine: dopo aver differenziato il lavoro d’impresa, occorre, infatti,
definire le procedure attraverso le quali si realizzano le attività in ciascuna unità
organizzativa e le regole in base alle quali si svolgono le interazioni tra parti e
partecipanti. Occorre, infine, inserire operazioni e responsabilità in una catena di
comando.
Il discorso sulle regole è fondamentale in impresa. Nell’attuale fase storica
prevale la discussione sulle regole soprattutto con riferimento al rapporto impresasettore-mercati. L’importanza, tuttavia, delle regole concernenti i rapporti all’interno
dell’impresa deve considerarsi non meno elevata dell’importanza delle regole dettate
in fatto di concorrenza tra imprese. Infatti, come le aziende di produzione sono
interessate a conoscere quali siano le regole del gioco concorrenziale, così chi
svolge qualsiasi operazione aziendale deve (o dovrebbe) conoscere quali siano le
regole del processo decisionale e dei comportamenti previsti; qual sia, cioè, il
progetto delle relazioni tra livelli di autorità e tra funzioni all’interno dei confini
aziendali (Ansoff H.I., 1984; Child J., 1984; Teece D., 1993). E tutti sono interessati
a chè le regole infrasistemiche vengano rispettate.
Costruita secondo razionalità economica e correlata a una precisa strategia, la
struttura organizzativa è un vero e proprio capitale; non è un oggetto da usare e poi
gettare secondo le bizzarrie di chi ne ha il comando o secondo questa e quella
turbolenza ambientale. È, quindi, uno strumento della lotta competitiva, un
10
Il rapporto in cui sta la struttura al sistema si può approfondire attraverso l’importante
saggio di Mayer M., Whittington R. (1999), che contiene un’analisi comparativa crosscountry. In proposito, si segnala la lezione thompsoniana, nella quale la sistemicità appare
la conseguenza della ricerca di determinatezza e certezza: “We will conceive of complex
organizations as open systems, hence indeterminate and faced with uncertainty, but at the
same time as subject to criteria of rationality and hence needing determinateness and
certainty” (Thompson J., 1967, p. 10).
58
L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
investimento destinato a durare, che sottende costi da reintegrare, sempre
sottoponibile ad affinamenti o cambiamenti quando insopprimibili pressioni interne
o esterne lo consiglino o l’impongano (Cafferata R., 1995, 2009).
S’introduce, a questo punto, la terza condizione di “sistemicità”: l’integrazione.
Ci si trova di fronte a un’impresa con parti e partecipanti razionalmente
differenziati e strutturati. Nel contempo, essa è sottoposta al combinarsi e
all’interagire dei fattori produttivi impiegati, in particolare ai dinamismi del capitale
umano, che con le sue emozioni, con i suoi limiti di razionalità, col suo
opportunismo, nonché con i conflitti che alimenta è una delle più evidenti cause di
“imperfezione” dei sistemi sociali (Katz D., Kahn R.L., 1966, p. 33). In questo
contesto si colloca la funzione d’integrazione, che innanzitutto significa
riconduzione a unità di ciò che è stato differenziato, ordinato e regolato,
individuando il minimo comune denominatore delle relazioni tra persone e tra cose;
prevenendo e/o risolvendo le rotture dell’equilibrio organizzativo. Il bisogno di
integrazione nasce, quindi, nel momento stesso della soddisfazione dei bisogni di
differenziazione e strutturazione. Ogni sottosistema e ogni fattore produttivo
devono, infatti, essere mobilitati, tenuti coesi e indirizzati verso l’unico fine della
produzione del bene o servizio. Come si soddisfa tale fabbisogno? Delle due l’una: o
l’integrazione si crea e ricrea da sé, oppure occorre procurarsela.
La prima alternativa è implicita, per un verso, nelle teorie biologiche
dell’impresa e, per l’altro verso, nel pensiero degli economisti classici, i quali
concepiscono non tanto l’impresa, quanto piuttosto la produzione come un’unica
funzione self-sustaining, una funzione di offerta che si giustifica da sé. Gli
aziendalisti e i cultori del management scientifico studiano, al contrario, l’impresa
nelle sue dinamiche, oltre che nella statica dei suoi assetti produttivi e
amministrativi. Se l’impresa è un’organizzazione “semplice” e di ridotte dimensioni,
le sue dinamiche sono direttamente governate dal soggetto economico che è anche il
suo fondamentale soggetto integratore; se invece l’impresa è un’organizzazione
“complessa” e richiede separazione di funzioni e decentramento decisionale, le
dinamiche infraorganizzative sono affidate all’attenzione di manager e altri
collaboratori del soggetto economico, che se ne curano per delega. In ogni caso,
l’integrazione deve essere procurata dalla visible hand di un agente
permanentemente in servizio (Grün A., Assländer F., 2008).
Nell’impresa rappresentativa del nostro tempo la figura del manager assume
sempre di più le caratteristiche dell’integratore sociale. Il manager in carriera sa che
la sua funzione è soprattutto quella di essere un efficace gestore di sistemi di
personalità, un risolutore di conflitti, un integratore di cose e persone, un
diplomatico delle relazioni aziendali.
3.2 Consideriamo a questo punto la quarta condizione di “sistemicità”:
l’orientamento dell’impresa al conseguimento di un preciso fine istituzionale e
l’orientamento di ogni singola operazione al conseguimento di obiettivi ispirati alla
realizzazione del predetto fine istituzionale (o generale). Il tema è, in sintesi, quello
della finalizzazione dell’impresa che vogliamo sistema.
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L’impresa che creiamo - se ci poniamo nell’ottica del fondatore - oppure quella
che analizziamo - se essa già esiste - non può essere, né restare senza scopo
(Parsons T., 1960, p. 16). Il tema è da sempre dibattuto in dottrina11. Dal nostro
punto di vista, quello dell’economia e gestione delle imprese, sia consentito fare
riferimento a un preciso momento del ciclo di vita e a un preciso documento, per
uscire dalla diffusa vaghezza dei dibattiti sulla finalizzazione delle operazioni
aziendali: tale momento fa tutt’uno con la nascita dell’impresa e il documento
s’identifica civilisticamente con l’atto costitutivo dell’impresa. Lo scopo ovvero la
“finalità istituzionale-generale” dell’impresa che vogliamo sistema si legge, con
tutta evidenza, nell’atto predetto e nell’allegato statuto aziendale: tale scopo
s’identifica sempre, elementarmente e chiaramente, nel produrre un preciso bene o
servizio. Ciò si evidenzia in capo a qualsivoglia tipologia di atto costitutivo
aziendale (per la società per azioni si legga l’art. 2328, comma 2, punto 3, c.c.)12.
Per arrivare al risultato (output) produttivo desiderato, la gestione aziendale ha
anche bisogno di generare (autoprodurre in senso “economico”) fattori o risorse di
cui avvalersi in via esclusiva - ad esempio mezzi finanziari, conoscenza,
professionalità - ciascuno dei quali è simile a un “bene intermedio” assolutamente
necessario per raggiungere lo scopo programmato13.
Per trovare evidenza di una qualche aggiuntiva finalità - ad esempio reddituale inerente allo svolgimento dell’attività prescelta, occorre pazientemente scorrere le
pagine dell’atto costitutivo aziendale; pagine che, nella società per azioni, accolgono
quanto precisamente disposto dal c.c. al punto 7 dell’art. 2328. Solo a tale livello
l’atto costitutivo fa esplicito riferimento al reddito e invoca la necessità che si
definiscano le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti, posto che
l’esercizio si riveli redditivo.
Ricapitolando: la finalità generale fa tutt’uno con la produzione di un bene o
servizio (fare auto o calcolatori elettronici o impianti o formaggi; o prestare servizi
assistenziali o dar luogo a servizi informativi o altri output del processo di
trasformazione). La predetta finalità si evince in atto costitutivo ed è ripetuta alla
lettera nello statuto aziendale. In quest’ambito, emergono le imprese che vincolano
la produzione del bene o servizio alla generazione del reddito d’esercizio, da
distribuire ai titolari dei diritti di proprietà: sono tali le imprese che nascono e si
evolvono for profit. Altre imprese emergono invece per avere una ben distinta
finalizzazione: ad esempio, scelgono di servire, a scopo non di lucro, una clientela
(ad esempio i malati o i disagiati) trascurata dagli altri produttori. Esistono, infine,
enti pubblici e variegate forme di aziende, la cui fondazione e il cui svolgimento nel
tempo sono orientati al perseguimento di fini macroeconomici che nulla o poco
hanno a che fare con quelli del reddito.
11
12
13
Ne offre un magistrale esempio Simon H.A. (1986).
“L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e deve indicare: […] l’attività che
costituisce l’oggetto sociale” (art. 2328 c.c.). Spiega, inoltre, l’art. 2082 c.c. che, sempre,
ove c’è “imprenditore”, siffatta attività è la produzione di beni o di servizi.
Devo tale precisazione a una discussione avuta col prof. Francesco Ranalli,
nell’Università di Roma “Tor Vergata”, in fase di reviewing del presente lavoro.
60
L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
La nostra conclusione è la seguente: il tema dell’orientamento dell’impresa verso
un fine è un tema eccezionalmente rilevante, perché senza scopo le imprese non
possono esistere. La finalità costitutiva dell’impresa è quella di produrre beni,
servendo la soddisfazione di bisogni (Coda V., 2007). Dove sta il reddito? Il reddito
non è certamente un fantasma, ma non è tutto in impresa, né è tutto per tutte le
imprese. Non sparito dall’economia delle aziende di produzione, il reddito deve
essere collocato in una gerarchia di fini, nella quale lo scopo della produzione di
beni viene “prima”, in considerazione dell’intrinseca funzione di servizio che
assolvono le imprese nella società14.
4. A proposito di equilibrio
organizzazioni complesse
degli
organismi
viventi
e
delle
4.1 Abbiamo fin qui sostenuto la tesi che l’impresa diventa sistema - non lo è per
definizione - posto che si verifichino le seguenti condizioni:
a. sia un insieme di parti, partecipanti e relazioni, differenziate l’una dall’altra in
modo razionale;
b. questo insieme non sia sconnesso, anzi sia consapevolmente integrato da una
visible hand;
c. venga strutturato secondo un progetto, e mantenga il suo ordine;
d. sia chiaramente finalizzato; e detto fine, che passa attraverso la gerarchia, sia
fatto condividere e sia ampiamente condiviso, grazie a un appropriato stile di
leadership.
A proposito di condizioni di “sistemicità” da conquistare, monitorare e
conservare - condizioni largamente dipendenti dalla dimensione aziendale raggiunta
e dalla razionalità dell’imprenditore (lo vogliamo cioè intelligente, ancorché lo
sappiamo “limitato”, “imperfetto” e forse “peccatore”) - fermiamo ora l’attenzione
sulla condizione di equilibrio, vero e proprio anello di congiunzione con Darwin e il
darwinismo.
4.2 L’impresa che opera nei mercati e per i mercati non sopravvive alla lotta
competitiva se non si mantiene in equilibrio; equilibrio che subisce variazioni, cioè è
“dinamico” (Amaduzzi A., 1967) nel tempo. Discutendo di innovazione tecnologica
o di virtù del marketing mix spesso ce se ne dimentica. Se l’equilibrio manca,
ovvero se lo squilibrio si protrae artificialmente nel tempo, si può parlare - à la
Roberto Fazzi (1982, p. 75) - di “pseudo-impresa”, cioè di organizzazione che prima
o poi è destinata a lasciare lo specifico settore in cui è entrata.
Nel sistema naturale, gli organismi viventi trovano una ben precisa situazione di
equilibrio (omeostasi) al loro interno. Si pensi, ad esempio, al corpo umano: esso
trova automaticamente e spontaneamente un equilibrio tra le sue parti (braccia,
14
Ovvero, come scrive Lorenzo Caselli, per lo “sviluppo ordinato della società” (2006, p.
79).
ROBERTO CAFFERATA
61
mani, torace, ecc….); le disfunzioni e le difficoltà nelle relazioni tra una parte e
l’altra si giustificano solo come eccezione (si pensi alle malattie). L’organismo
s’inserisce, dalla sua genesi, in un ambiente preesistente, che può trasformare con il
suo comportamento voluto o non voluto, trovando una omeostasi all’esterno.
Nel sistema economico e sociale, la nozione di equilibrio automatico e
spontaneo non può, tuttavia, essere normalmente applicata alle imprese. A
quest’ultimo riguardo, alcune osservazioni ci sembrano pertinenti. La
differenziazione e la struttura organizzativa che caratterizzano il corpo dell’impresa
devono essere create e integrate secondo un disegno consapevole, provviste di un
senso e d’un orientamento rispetto allo scopo prescelto. Tali caratterizzazioni sono
attribuite al sistema dal suo soggetto fondatore o continuatore. Progettazione,
costruzione e cambiamento dei sistemi aziendali sono largamente il risultato di
volontà, conoscenza e manovra. In impresa, evolvere in sistema e mantenersi in
equilibrio necessitano d’investimenti e discrezionalità; essi sono una conquista, non
uno stato e un progresso naturale. In altre parole, mentre l’essere vivente, di regola,
si amministra da sé e solo come eccezione abbisogna di qualche altro meccanismo
che ne regoli la “sistemicità” e l’omeostasi, l’impresa - anche quella iper
informatizzata - ha, invece, sempre bisogno d’interventi, cioè della visible hand di
proprietari e/o manager, talvolta anche di consulenti (nonché di intelligenza
artificiale) per amministrarsi e durare nel tempo.
In sintesi: tutte le condizioni di “sistemicità” si giustificano in funzione di
un’opera di costruzione sociale e nulla hanno normalmente a che fare con l’azione di
meccanismi spontanei o automatici, meno che mai col caso o con l’esercizio di
magie.
Di qui, la nozione di contrived system, ovvero d’impresa come sistema studiato,
programmato e organizzato, che propongono Johnson, Kast e Rosenzweig (1967,
1988) nei loro cartesiani lavori; caratterizzazione sine qua non perché esso esista e si
mantenga in omeostasi.
4.3 L’accattivante similitudine tra mondo biologico e mondo sociale-imprenditoriale
(Penrose E.T., 1952) va ricondotta al fatto che si tratta di due generi complessi,
sistemici ed equilibrati sia nel loro assetto interno, sia nelle loro relazioni
ambientali; e, inoltre, destinati a durare, ancorché non siano immortali. Ma la
similarità - ci sembra - non va significativamente oltre.
Abbiamo detto che la divisione del lavoro e la differenziazione emergono in
impresa come risultato di un disegno almeno intenzionalmente razionale. La
strutturazione, cioè la costruzione di una sorta di “spina dorsale” del corpo
dell’impresa, è parimenti procurata all’impresa secondo un progetto, che si
formalizza a mezzo di organigrammi e funzionigrammi; la struttura organizzativa
non nasce da sé e ben raramente si definisce per caso. Quanto all’integrazione, essa
è in impresa tipicamente affidata a “motori di ricerca” quali i manager, giacchè le
comunicazioni e le interazioni tra parti e tra partecipanti non sono automatiche, anzi
62
L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
sono spesso intasate da problemi e colli di bottiglia15. E, infine, lo scopo per cui nel
collettivo si lavora non si dà e si disfa a livello di routine: esso è pensato e dato
all’impresa dal suo fondatore, è diligentemente scritto nell’atto costitutivo e messo a
statuto; ed è destinato a durare nel tempo.
In conclusione: di norma, le imprese non trovano spontaneamente l’equilibrio
ovvero il “normale stato” delle condizioni sistemiche e delle operazioni che
consente loro di amministrarsi, per durare nel tempo. Ordinariamente, le imprese
vanno alla ricerca di tale stato e se lo procurano con metodo, strumenti, meccanismi,
persone varie, cioè con l’uso, il riuso e lo sviluppo dei fattori produttivi ereditati,
acquisiti o autogenerati. Ogni fattore/risorsa/competenza costituisce, di per sé, non
solo un’opportunità, ma anche un limite. Di qui la necessità del contriving delle
operazioni in cui ciascuno di essi viene impiegato.
5. Diventare sistema, cioè evolvere. Darwinianamente?
5.1 È diventata nostra la tesi che il sistema d’impresa non sia tale e quale a un
sistema biologico in incessante, spontaneo, cambiamento. Tutto ciò premesso, è
lontana da noi anche l’idea che l’impresa sistemica sia un monolite ultrarazionalistico che fa tutto quello che vuole, per quanto sia contrived, cioè bene
progettato, metodicamente amministrato e strategicamente orientato.
Nel discutere il concetto di sistema, abbiamo trovato che - pur nelle distinzioni
reciproche - esistono, tuttavia, almeno alcuni aspetti di convergenza tra sistemi
aziendali e sistemi viventi. Ad esempio: come la specie umana, così il mondo delle
imprese annovera distinte tipologie (o specie); e l’una differisce dall’altra per questa
o quella caratteristica morfologica, fisiologica e comportamentale. Sappiamo,
inoltre, che entrambi si articolano in subsistemi differenziati, generalmente
funzionali l’uno all’altro. Ancora, le imprese hanno un ciclo di vita che per taluni
aspetti ricorda un ciclo di vita biologico: nascono, crescono, toccano la maturità,
arrivano al declino e all’estinzione, pur con significative discontinuità e
contraddizioni tra le fasi del ciclo.
In sintesi: lavorando su tali convergenze, qualche importante lezione possiamo
ricavare dalla consultazione sia dell’opera principale di Charles Darwin, sia di opere
di originali suoi follower contemporanei a proposito di evoluzione degli organismi
viventi. Di qui, possiamo arrivare a un’interpretazione di tipo darwiniano
dell’evoluzione delle organizzazioni imprenditoriali, interpretazione che - convinti o
dissenzienti, volenti o nolenti - ha un non trascurabile interesse per l’economia
aziendale e il management contemporanei16. E’ indispensabile, però, almeno a
15
16
Devo questa puntualizzazione a una discussione col prof. Giuseppe Usai, dell’Università
di Cagliari, in fase di reviewing del presente lavoro.
Sebbene il darwinismo detto sociale sia in sé controverso e applicabile solo con cautela
alle discipline economico-aziendali, vale la pena di sottolineare che spesso i suoi critici
“tendono a buttar via il bambino con l’acqua sporca allorquando rifiutano l’approccio
evolutivo in quanto tale” (Dagnino G.B., 2006, p. 103). Cfr. anche Rullani E., Vicari S.
ROBERTO CAFFERATA
63
nostro avviso, andare sempre alla fonte del pensiero - cioè riandare a Darwinperché non pochi autori fanno dire al Nostro le “cose” da essi desiderate, invece che
le “cose” chiaramente enunciate.
5.2 Charles Darwin ricorda nel modo seguente, nella sua opera maggiore, le leggi
che - egli afferma - “agiscono attorno a noi” (2009, p. 515):
a. il mondo in cui viviamo si caratterizza per “la grande diversità” degli organismi
che lo popolano (p. 13); varietà e sottovarietà organiche (specie, generi,
famiglie) sono i portatori di fattori costitutivi ereditati che ne giustificano
comportamento e adattamento;
b. “la natura produce variazioni successive. L’uomo è in grado di appropriarsene,
aggregarle e indirizzarle verso direzioni che gli siano utili” (p. 31);
c. tutti gli organismi sono soggetti a modificazione - “prolungata e lenta” (p. 185) in funzione delle condizioni di vita che essi si trovano, delle abitudini contratte,
della continuità dell’uso o del disuso delle proprie forze; tra genitori e
discendenti, nel percorso storico, in un divenire fondamentalmente “casuale” (p.
145), emergono numerose “piccole differenze” che sono “importantissime” per
comprendere le trasformazioni che insorgono in ciascuna specie e nei rapporti tra
le specie (p. 54 e p. 60);
d. per ciascun organismo, le variazioni positive si devono considerare “materiali da
accumulare” (p. 60), destinati a essere “ereditati” e a lasciare segni - ora
marginali, ora radicali - nei discendenti;
e. nessuno sfugge alla lotta per l’esistenza: “essa comprende la dipendenza di ogni
essere dall’altro e, cosa più importante, comprende non solo la vita
dell’individuo, ma anche la sua capacità di lasciare una discendenza” (p. 72);
f. la lotta per l’esistenza deriva dal “tasso elevato” (p. 73) con cui tutti gli
organismi tendono a crescere di numero; ed è “quasi sempre durissima tra gli
individui della stessa specie” (p. 86);
g. la selezione naturale è il fenomeno per cui, da una parte, si verificano la
conservazione e la trasmissione delle variazioni favorevoli per la discendenza;
mentre, dall’altra parte, si verifica l’estinzione delle forme viventi meno
migliorate (dunque “nocive”);
h. la selezione naturale ha una diretta “relazione con il potere di selezione
dell’uomo” (p. 71); in ciò esercitandosi, “l’uomo seleziona solo per il proprio
vantaggio” (p. 93);
i. la selezione naturale è il fenomeno che più contraddistingue la lotta per
l’esistenza (p. 91): “La selezione naturale sottopone ad esame, giorno per giorno,
in tutto il mondo, qualsiasi variazione, anche la più piccola” (p. 94); se una
specie non ne esce migliorata rispetto ai competitori, la stessa sarà prima o poi
esclusa e “nuove specie si formeranno” (p. 122).
(1999). Nel 150o anniversario della pubblicazione di On the Origin of Species - a Londra
nel 1859 - è opportuno richiamare l’utilità della lettura dell’opera anche da parte dei
policy makers istituzionali (“The Economist”, 2008, p. 117).
64
L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
5.3 Commentiamo più da vicino, a questo punto, le leggi ovvero i principles, sopra
sintetizzati, che governano l’evoluzione degli esseri organici17.
Nel “grande sistema naturale” - osserva affascinato Darwin (p. 348) - trionfano
diversità e cambiamento (lento e graduale). È, questo, il principle of variation (cfr.
in elenco sub a, b, c). Le variazioni dei fattori costitutivi ereditati e di quelli
eventualmente intervenuti nella storia sono in primis “dovute al caso” e solo in
secondo luogo si devono “all’azione cumulativa della selezione naturale e alle
condizioni di vita” (p. 145 e 147). L’ambiente sembra avere un’influenza minore. È
celebre, al riguardo, l’esempio del picchio, ovvero dell’uccello nel quale il becco, la
coda e i piedi si sono “mirabilmente” formati e adattati non per le condizioni
ambientali, ma in funzione del bisogno di cogliere gli insetti nella corteccia degli
alberi su cu tali esseri vivono (p. 9). Notiamo immediatamente che nel principle of
variation si possono riconoscere anche le organizzazioni della società. Dal punto di
vista proprio delle nostre discipline è lecito osservare che le imprese differiscono,
anche nello stesso settore di entrata, per morfologia, fisiologia, comportamento; ma
tra i fattori primari che ne giustificano costituzione ed evoluzione non emergono salvo eccezione e contingenze - quelli tipicamente darwiniani, cioè l’eredità e caso.
All’opposto - come già sottolineato nel nostro paragrafo 4 - la discrezionalità
dell’imprenditore e la visible hand dei dirigenti imperversano nell’amministrazione
aziendale, dati ovviamente certi vincoli ambientali.
Solo in apparenza si hanno evoluzioni nel sistema naturale in ragione del passare
del tempo. Al contrario, l’evoluzione del macrosistema si spiega - nota Lewontin
(1983, p. 66) - in ragione del cambiamento intervenuto nelle proporzioni in cui
stanno l’una all’altra le componenti del mondo degli esseri viventi; l’uno all’altro i
membri della stessa specie; l’una all’altra caratteristica costitutiva entro ciascuna
entità. L’evoluzione si determina nello spazio, non nel tempo.
Le piccole variazioni in un qualsiasi sub-sistema possono innescare anche una
grande variazione sia all’interno di un sistema, sia tra sistemi, per cui l’uno può
avere successo, l’altro subire un insuccesso e anche scomparire. L’accumulazione di
innumerevoli lievi variazioni migliorative è funzionale alla ricerca della
“perfezione”; ma non quella assoluta, sibbene quella richiesta dal “livello di forza
nella battaglia per la vita” (Darwin C., 2009, p. 223).
5.4 Si precisa, a questo punto, il secondo fondamentale principio della lezione
darwiniana. “Tutti variano”, ma solo alcuni riescono a conservare le modificazioni
vantaggiose; in funzione di quest’ultima capability “alcuni membri o componenti
del macrosistema permangono, mentre altri scompaiono, sicché la natura dell’intero
sistema cambia” (Lewontin R.C., 1983, pp. 65-66). È, questo, il principle of natural
selection. Di qui lo svolgersi di processi di primaria importanza che giustificano
l’evoluzione del sistema naturale (Cfr. in elenco sub g, h, i).
17
Dalle ricerche di Darwin emergerebbe che “gli animali siano discesi da non più di quattro
o cinque progenitori; le piante da un numero uguale o anche minore” (2009, p. 508) e
“probabilmente tutti gli esseri organici sono discesi da qualche forma primordiale, nella
quale la vita venne infusa per la prima volta” (2009, p. 509).
ROBERTO CAFFERATA
65
A livello macro, tradotto il principio della selezione naturale degli organismi
viventi nei termini propri del sistema della società, si può dire: alcune persone
fisiche/giuridiche e alcune tipologie organizzative resistono, migliorano e restano,
mentre altre non ce la fanno, escono dai macro aggregati e non vi rientrano più.
Nella sua totalità, il sistema economico e sociale sembra variare nel tempo. In realtà
- lo abbiamo appena sopra accennato - esso varia nello spazio: i) per la diversa
proporzione in cui una parte sta all’altra ovvero un settore di attività/un insieme
d’imprese sta rispetto all’altro; e/o ii) per il diverso modo di variare di questa o
quella particolare caratteristica sub-sistemica, che determina il vantaggio di una
tipologia organizzativa rispetto all’altra; e/o iii) per il diverso modo in cui le parti in
gioco interagiscono e competono, appropriandosi del mondo in cui vivono,
adattandosi al meglio.
A livello micro - fatto riferimento alle organizzazioni imprenditoriali - le parti e
le caratteristiche in discussione possono riconoscersi nelle funzioni aziendali, nei
progetti o negli altri sub-sistemi che recano in sé differenti capabilities competitive.
Queste ultime sono, in origine, darwinianamente, quelle ereditate dal fondatore, dai
geni della famiglia proprietaria. Tuttavia, nell’uso e nei comportamenti di fatto, cioè
nello svolgimento aziendale, alcune possono anche impercettibilmente variare, altre
essere affinate e tutte sono trasmesse in avanti, ai discendenti. Se ciò viene tenuto
presente, si può intendere come all’interno di un settore di attività economica la
concorrenza varî dinamicamente, ora perché taluni soggetti maturano o rafforzano le
risorse/competenze originarie o la proporzione dei fattori positivi detenuti rispetto a
quelli in mano ai concorrenti; ora perché, invece, altri manifestano carenze o
debolezze ereditate e non migliorate, venendo alla fine espulsi dall’ambiente in cui
hanno scelto di operare.
5.5 Variazione e selezione naturale si esplicano su un terreno che è intriso di storia,
ovvero di originarie caratteristiche e modificazioni ereditate (Cfr. in elenco sub d).
In altre parole, variazione e selezione naturale non appaiono dal nulla, anche se ammette Darwin - “la variabilità è governata da molte leggi sconosciute” (p. 51). È,
questo, il terzo principio darwiniano dell’evoluzione: il principle of heredity.
Insieme con la selezione naturale, il principio dell’eredità è una vera e propria
architrave della teoria dell’evoluzione, che l’illustre studioso definisce ripetutamente
e significativamente “teoria della discendenza con modificazioni, mediante
selezione naturale” (p. 363).
È una teoria che anticipa, in opposizione, le convinzioni di sociologi ed
economisti contemporanei innamorati della teoria delle contingenze strutturali.
Scrive Darwin: “La maggior parte dell’organizzazione di ogni essere vivente è
dovuta semplicemente all’eredità; di conseguenza, anche se ogni essere vivente è
certamente adatto al posto che occupa in natura, molte strutture non hanno alcuna
relazione diretta con le condizioni di vita” (p. 224). Non c’è da meravigliarsi, quindi,
che, affrontando la problematica del rapporto degli esseri viventi con l’ambiente che
li accoglie, Darwin parli di “adattamenti ereditati” (supra).
66
L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
5.6 Quando si riferisce all’organizzazione dell’essere vivente e al modo in cui
l’organismo si struttura, Darwin è attratto dalla funzione delle parti in cui è diviso
l’intero, non già dalla totalità sistemica. Emerge la convinzione che la vita
dell’organismo nella sua totalità sia essenzialmente una conseguenza di forze - a
cominciare dai geni - che sono endogene alle singole differenziate specie. Talune
forze sono stabili, altre invece si segnalano per l’instabilità. Il processo storico può
modificarle, in un divenire largamente imprevedibile, prevalentemente casuale.
Alcune forze si migliorano, altre invece deperiscono. Tutte variano, ma come se
ciascuna fosse una componente autonoma, autoreferenziale, “quasi alienata rispetto
alla totalità in cui è immersa”, cioè rispetto al corpo dell’organismo vivente,
commenta Lewontin (1983, p. 67). Nella sua interezza sistemica, ogni organismo è
puramente l’oggetto della variazione delle singole forze, radicate nelle differenziate
parti/caratteristiche esistenti al suo interno. Sono queste che lo fanno resistere, lo
fanno crescere o, invece, lo fanno perire. L’organismo è oggetto, non soggetto di
cambiamento evolutivo. Non c’è nulla di contrived, cioè di programmato e
organizzato nel suo essere e nella sua azione: quindi, tutto ciò che varia in modo
nuovo, in ciascuna parte o caratteristica endogena, è il frutto del caso o di se stessa,
non dell’organismo in quanto tale, nella sua efficacia sistemica.
Il cambiamento non è nemmeno funzione dell’ambiente: l’ambiente è una
nicchia pre-esistente, che resta sempre qualcosa di “esterno”, cioè un puro dato della
situazione cui adeguarsi. In definitiva: ciascun essere è l’oggetto delle sue forze; e
grazie a tali forze - ereditate, autoreferenziali, talora esclusive - esso lotta per
sopravvivere, prima ancora che per togliere la ragion di vita agli altri.
S’introduce, a questo punto, il quarto principio evoluzionistico darwiniano: il
principle of the struggle for survival (Cfr. in elenco i punti e, f).
Molto lentamente - troppo lentamente secondo taluni critici di Darwin - le forze
interne all’organismo possono accumulare cambiamenti vantaggiosi. Per queste
interne modificazioni possono delinearsi e affermarsi durevolmente nel sistema
naturale “varietà ben marcate”, altrimenti dette “specie incipienti”; ma nessuna
emergerebbe se non sotto la formidabile spinta della lotta per la vita (Darwin C.,
2009, p. 71). Da questo punto di vista, l’evoluzione sembra essere darwinianamente
basata su di un rapporto primitivo: non quello dell’organismo con gli altri, che
popolano l’intero sistema naturale-sociale o un determinato ambiente; ma quello
dell’organismo con se stesso, cioè con le proprie forze. Traducendo il suddetto
principio della lotta per la sopravvivenza nel linguaggio e nelle vicende delle
aziende di produzione, potremmo affermare quanto segue: i) l’organismo
imprenditoriale è costituito di parti, partecipanti, risorse/competenze; ii) ciascuna
entità è portatrice di differenziate dotazioni di risorse/competenze e dissimili
capacità di farne uso; iii) ciascun sistema aziendale vive, interagisce e compete con
organizzazioni differenziate, grazie a forze che gli sono proprie; iv) poiché a lottare
sono propriamente le forze - per taluni sono solo i geni contro tutto il resto (Dawkins
R., 1982) - resistere e sopravvivere è innanzitutto una lotta con se stessi, per
conservare e accumulare forze, poi diventa una lotta con gli altri; v) adattarsi,
nell’evolvere, è semplice adeguamento a un ambiente che accoglie l’oggetto.
ROBERTO CAFFERATA
67
5.7 Un importante contributo di Darwin e del darwinismo riguarda, infine, il tema appena sopra accennato - dell’ambiente. Ci si rivolge in proposito, al “ meraviglioso
mondo” che avvolge ogni organismo “per la sua vita”; un mondo pieno di varietà
interne alle specie e pieno di diversità, ciascuna “generata da meccanismi vari di
riproduzione e mutamento” (Lewontin R.C., 1989, p. 157 e p. 166).
Nel darwinismo classico l’ambiente è un dato di fatto per ciascuno degli
organismi esistenti. Tale dato si forma in conseguenza di un processo storico che lo
riempie di contenuti. L’ambiente è pieno di organismi e, quindi, di forze, ciascuna
delle quali - ormai sappiamo - è dotata di propria autonomia, indeterminatezza e
casualità nel variare. Nell’interazione tra dette entità organiche o, meglio,
nell’incrocio delle rispettive forze si creano occasioni di positiva convivenza o,
all’opposto, emergono difficoltà e conflitti tali da mettere in discussione la
continuità dell’una o dell’altra specie.
L’ambiente è un dato, ma è tutt’altro che estraneo alla sorte degli organismi che
lo popolano18. Esso conta “per qualcosa”, spiega Darwin a pagina 51.
Nell’evoluzione (e per l’evoluzione) esso, ad esempio, conta significativamente
meno dei geni ereditari. Pur tuttavia, l’ambiente qualcosa pur sempre offre: ora
presenta opportunità di miglioramento nella lotta per la vita, ora non ne presenta
alcuna. Può presentarsi munifico di risorse e, perciò, è attraente; oppure, se è povero
di risorse, esso si presenta respingente e talvolta pericoloso. Entro tale situazione, o
ci si sta appropriatamente con le proprie forze, oppure non ha luogo alcun fit, cioè
non vi è inserimento efficace, né spazio per la sopravvivenza. Il darwinismo classico
è l’equivalente del liberismo classico (Hofstadter R., 1944, p. 22).
Gli organismi che esistono - cioè sopravvivono - hanno un marvellous fit
nell’ambiente. Qualcuno invece si esclude, perché è il contenitore ovvero l’oggetto
di forze insufficienti, darwinianamente “nocive”. Ma tutto ciò è diverso dall’essere
esclusi.
In altre parole, in Darwin e nel darwinismo classico, l’ambiente rileva nella
misura che offre opportunità e, a suo modo, sceglie. Poiché le forze che animano
ciascun sistema sono forze autonome, l’ambiente non fa altro che prendere atto di
quel che accade, “scegliendo tra possibili stati interni agli organismi che lo
popolano, determinando chi sopravvive” (Lewontin R.C., 1983, p. 67).
6. Dall’organismo all’impresa
cambiamento evolutivo
soggetto
non
solo
oggetto
di
6.1 Si è visto come nella lezione darwiniana classica venga operata una distinzione
singolare - almeno così ci pare - tra organismo nella sua totalità e forze che lo
compongono e l’animano dall’interno. Da una parte, la distinzione è netta e chiara;
18
Un originale darwinista, qual è Karl Weick, la spiega così: “Perché un processo evolutivo
abbia luogo ci devono essere: a) delle variazioni […] e degli aspetti stabili dell’ambiente
che selezionano fra tali variazioni in modo differenziale; b) e un sistema di ritenzionepropagazione che si tiene saldamente attaccato alle variazioni selezionate” (1993, p. 173).
68
L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
dall’altra parte, è facile osservare che viene rovesciata una vera e propria piramide
organizzativa: la soggettività dell’organismo è quasi irrilevante sia rispetto al
determinismo delle forze interne di cui lo stesso è incubatore, sia rispetto alle forze
esterne che lo accolgono, anzi, più propriamente, lo adattano.
Nel classicismo darwiniano l’organismo si forma a un crocevia, ove si dirigono
autonomamente e s’incontrano forze interne e forze esterne, ciascuna delle quali ha
un proprio percorso evolutivo. Essendo ridotto a luogo, anzi a punto d’intersezione
(locus of interaction) - spiega Lewontin (1983, p. 68) - “l’organismo vivente è
meramente il medium attraverso il quale le forze esterne incontrano le forze interne”,
quelle che apportano effettiva variazione.
Siffatta concezione riduttiva degli esseri viventi - e di ciò che ad essi è almeno
tentativamente assimilabile, ad esempio, per taluni studiosi anche le organizzazioni
sociali - viene corretta da una significativa corrente del “darwinismo sociale”
(Hofstadter R., 1944). Quest’ultima rivolge la sua attenzione a tre fondamentali
aspetti dell’evoluzione organica, che la teoria biologica dell’impresa è stata pronta a
interiorizzare e sono di notevole interesse per l’economia aziendale e il management
contemporaneo19. Li sintetizziamo come segue.
Primo aspetto. È ben vero che “ogni produzione della natura ha avuto una storia”
(Darwin C., 2009, p. 511); che tutti gli esseri viventi sono la conseguenza di un
processo storico, che comprende nascita ed esistenza (possibilmente progresso) con
selezionate modificazioni. Ma tra la loro creazione e la loro eventuale scomparsa c’è
qualcosa in più delle componenti originarie e della loro evoluzione casuale. C’è
anche la totalità dell’organismo; c’è anche l’interazione sinergica tra ciascuna delle
forze che, in modo pur distinto e con caratteristiche differenziate, vivificano
dall’interno l’organismo e - se vogliamo - l’organizzazione sociale di cui trattasi.
C’è la forza complessiva dell’unità sistemica.
Secondo aspetto. L’organismo vivente è oggetto di mutamenti, ma - in ragione
delle sue capabilities, della sinergia e dell’integrazione - esso è in grado di
partecipare attivamente al suo sviluppo quali-quantitativo, alla sua creatio
continua20. L’organismo non è solo un di cui del principio di variazione, un
elemento inerte del cambiamento; è anche “un oggetto che entra direttamente nella
determinazione del suo futuro” (Lewontin R.C., 1983, p. 73). E così è
l’organizzazione sociale consapevolmente governata.
Terzo aspetto. Per tutto quanto sopradetto, l’organismo non è una mera
conseguenza dell’incontro tra interno ed esterno, un topografico locus of interaction.
Non è solo un oggetto passivo, è anche una unità attiva, un soggetto dell’evoluzione,
protagonista del suo futuro, trasformatore di altre cose, persone, entità. L’organismo,
le sue forze interne, le forze esterne, s’influenzano reciprocamente, si codeterminano, cioè evolvono assieme21.
19
20
21
Una documentata rassegna critica del darwinismo sociale è contenuta in Weickart R.
(2009) e Leonard T.C. (2009).
Sul tema, qui appena richiamato, inerente alla creatio continua, rimandiamo alla nostra
introduzione a questo stesso testo.
Rinviamo ampiamente a Lewontin R.C. (1983, pp. 65-68; 1989, pp. 157-160).
ROBERTO CAFFERATA
69
In proposito, s’è aperto non da poco tempo, per gli economisti aziendali e per i
cultori delle scienze manageriali, un terreno d’incontro d’indubbia utilità col
darwinismo contemporaneo. Le organizzazioni sociali, del tipo dei sistemi
d’impresa, non sono solo appese all’eredità; esse anche partecipano alla loro storia,
grazie a una meditata e almeno intenzionalmente razionale azione nel presente. Le
imprese non sono solo buoni osservatori e ascoltatori dei segnali dell’ambiente. Le
imprese sopravissute alla liability of newness cercano di coordinare
consapevolmente e sinergicamente le forze ereditate, le forze autogenerate e quelle
acquisite, rinnovandosi nella loro totalità sistemica. Esse competono non solo per la
loro sopravvivenza, ma anche per il loro sviluppo quali-quantitativo. Esse cercano
attivamente il successo, non sono solo in balia delle perturbazioni ambientali, né
attendono pazientemente di essere adattate. Sono anche un soggetto del
cambiamento evolutivo, se possibile strumento attivo di esclusione (Vaccà S., 1973;
Tagliagambe S., Usai G., 1999; Cantwell G., Piscitello L., 2008; Rullani E., 2009).
Tutto ciò significa che le imprese - a maggior ragione se grandi e sistemiche - non
solo si adeguano a ciò che trovano, ma anche pensano e realizzano strategie di
adattamento, orientandosi per la propria evoluzione22.
Da ciò trae conforto la conclusione che, accumulando variazioni positive e
orientandosi per il proprio tornaconto, “those (organizations) that adapt best displace
the rest” (Henderson B.D., 1989, p. 140), cioè selezionano il campo.
6.2 Abbiamo sopra ricordato come, nel darwinismo classico, l’ambiente rappresenti
un dato, in ogni istante, per gli organismi viventi. È la situazione ovvero la preexistent niche (marvellous or not) in cui ciascuno si colloca.
L’ambiente ha proprie regole, non sta fermo, a tutti pone problemi. Ognuno deve
trovare la forma (struttura) e il modo (processi) per risolverli. L’adattamento è un
fenomeno vissuto dal darwinismo classico come problema da risolvere in
dipendenza dalle forze ambientali, ovvero grazie a esse. Data siffatta prospettiva
teorica, l’adattamento si definisce, correttamente, come quel “processo di
cambiamento evolutivo in cui l’organismo si crea una sempre migliore soluzione al
problema che ha di fronte, il cui risultato finale è rappresentato dall’essere adattato”
(Lewontin R.C., 1989, p. 157).
È rilevante la prospettiva dell’essere adattato. Per stabilirsi appropriatamente in
una nicchia preesistente - costruita da autonome forze ambientali - e per modellarsi
rispetto a esse “ogni organismo deve essere come una chiave forgiata, che
s’inserisce in una serratura” (Lewontin R.C., 1983, p. 74).
Non tutti, però, stanno allo stesso modo nell’ambiente; non tutti ce la fanno a
sopravvivere e trovare il buco. Vi è un successo differenziale nell’adattamento.
Inoltre, non tutto quello che avviene nel processo evolutivo, nella lotta per la vita,
può essere interpretato come adattamento passivo. La nicchia che pre-esiste, ovvero
22
Gino Zappa (1956) - fondatore in Italia dell’economia aziendale come disciplina - vede
l’ambiente come un contesto “per il quale” l’impresa “opera” e “sul quale continuamente
reagisce”. L’impresa è, pertanto, anche in questa prospettiva, non solo oggetto, ma anche
soggetto di evoluzione/cambiamento.
70
L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
l’ambiente che ospita lo specifico organismo è costruito pro quota anche dall’azione
di quest’ultimo. Nel venire alla luce, ogni organismo trova una situazione data, ma
almeno qualcuno dei neonati e cresciuti è in grado di ridefinirla attraverso proprie
operazioni, propri comportamenti.
Tradotta quest’ultima considerazione in termini di rapporto tra impresa e
ambiente, si potrebbe scrivere: all’interno dei sistemi aziendali esistono capacità
competitive e operano centri nevralgici - quali gli organi volitivi, le persone dotate
di leadership, nonché individui o gruppi umani fortemente creativi e innovativi - che
sono in grado di prendere decisioni discrezionali, svolgendo attività influenti sullo
stato della nicchia in cui operano, mettendo in moto l’ambiente, di fatto stimolando
l’emergere di generazioni di follower. In sintesi: le imprese trovano storici problemi,
ma possono crearne dei nuovi, trasformare il settore d’attività economica che le ha
accolte, e anche modificare il sistema economico-sociale.
Settori e ambienti competitivi di tipo differenziato si co-determinano assieme
alle loro componenti, cioè alle imprese. Anche i nuovi venuti partecipano alle
dinamiche presenti e future. Ogni organizzazione di tipo imprenditoriale produce e
consuma al tempo stesso risorse, a cominciare da quelle assolutamente necessarie
alla sua esistenza; costruisce e ricostruisce il suo ambiente. Si giustifica la
conclusione cui si può pervenire grazie al darwinismo non ortodosso: “The
metaphor of adaptation must therefore be replaced by one of construction”
(Lewontin R.C., 1983, p. 78).
Entrata in un settore d’attività economica, l’impresa lotta per l’esistenza; rende
atto del “creato” che c’è (in quanto è oggetto, è storia), ma al tempo stesso detiene
un bundle of resources (Hamel G., Prahalad H., 1994) che possono trasformare
almeno in parte il predetto “creato” (in quanto ogni organizzazione sociale è anche
soggetto del cambiamento evolutivo). Può, anzi, giungere a un successo
differenziale, maturare un vantaggio competitivo rispetto a tutte le altre
organizzazioni del suo settore ed essere esemplare per molte altre parti del sistema
sociale.
Trova in proposito giustificazione il concetto di enactment, adottato da Karl
Weick, ovvero il concetto di consapevole attivazione dell’ambiente, grazie al quale
si riesce a cogliere assai bene “il ruolo pro-attivo che giocano i membri organizzativi
nella creazione dell’ambiente che grava su di loro” (1993, p. 184).
6.3 Da tutto quanto sopra si può trarre una prima sintesi in tema di adattamento.
L’adattamento si concilia con l’evoluzione non solo per la necessità che hanno
organismi e organizzazioni di risolvere un problema di fit nell’ambiente; non solo - e
non sempre - esso comporta il semplice adeguamento. L’adattamento può anche
essere cercato attivamente e quanto più possibile controllato e guidato; esso può
essere consapevolmente scelto non solo da chi ha un’eredità favorevole, ma anche
da chi ha sviluppato risorse/competenze e sa come usarle efficientemente ed
efficacemente.
In conclusione: in che rapporto sta, nel darwinismo sociale, l’evoluzione
all’adattamento?
ROBERTO CAFFERATA
71
Nel meraviglioso mondo in cui viviamo tutto è aperto al cambiamento evolutivo:
l’innovazione si manifesta ora a piccole onde - in modo via via incrementale - ora a
onde lunghe e in forma radicale. Nell’evoluzione, i problemi che s’incontrano sono
differenziati e numerosi. A risolverli non pensano, però, solo la natura e/o il libero
mercato; a risolverli pensano - sia con la loro storia, sia con la loro capacità e fattiva
autonomia - anche gli organismi viventi e/o le organizzazioni razionali.
7. Conclusioni
7.1 Il più convincente darwinismo sociale contemporaneo offre una batteria di
proposte utili ad interpretare l’evoluzione dei sistemi aziendali, che può riassumersi
nel seguente modo:
a. nel sistema della società vivono organizzazioni e persone (ovvero entità
molteplici) che si differenziano per le caratteristiche costitutive e le varianti di
dette caratteristiche;
b. continuità col passato (eredità) e cambiamento (accumulazione di differenze)
rispetto al passato s’intrecciano nel corso del processo evolutivo aziendale;
c. competere nella lotta per l’esistenza significa misurarsi e, se occorre, lottare
duramente con altre entità attraverso proprie risorse - non solo ereditate, ma
anche autogenerate o acquisite dall’esterno - facendole sinergicamente interagire,
cercando di migliorarle costantemente, attivandosi come soggetto della propria
esistenza e della costruzione del proprio futuro;
d. tutti cercano soluzioni ai loro problemi, cioè si adattano: coloro che lo fanno
meglio, costruendosi il migliore ambiente possibile, spiazzano e soppiantano
tutto il resto;
e. la selezione naturale è il fenomeno che più di ogni altro contraddistingue il
cambiamento evolutivo, nel senso che (sia a livello macro, sia a livello micro) si
conservano solo gli elementi che accumulano variazioni positive ovvero
favorevoli alla sopravvivenza, mentre si perdono gli elementi deboli e inservibili
alla riproduzione sociale: tutti variano, solo alcuni permangono, gli altri
scompaiono; non tutti - in altre parole - hanno successo riproduttivo.
L’impresa è non solo spettatrice, ma anche co-protagonista dell’ambiente in cui
opera. Essa non può inventarsi tutto il creato, ma può partire da esso, trasformarlo,
rendere un servizio.
Diventata sistema, l’impresa non è solo determinata dallo stress ambientale, non
è passivamente scelta, ma è anche capace di scegliere. Essa mette in moto
l’ambiente, si misura, può generare esclusione. Ad esempio: superate le difficoltà
dei primi anni di vita e conquistato un certo posizionamento competitivo (ad
esempio, una determinata quota di produzione e/o di mercato delle vendite),
l’impresa non si limita ad adeguarsi al settore di attività economica di riferimento,
ma cerca anche d’influenzarlo e ristrutturarlo.
Se resiste, se compete e/o coopera con altre organizzazioni, ciò vuol dire che,
nella lotta per l’esistenza, il sistema d’impresa è riuscito a crearsi una zona di
72
L’IMPRESA CHE DIVENTA SISTEMA
rispetto sociale (Cafferata R., 2009, p. 242), radicandosi appropriatamente
nell’ambiente che l’accoglie, ponendo anche le premesse per svilupparsi fuori della
propria nicchia ecologica, coinvolgendo di fatto nella propria sorte altre
organizzazioni, parimenti sopravvissute alla selezione naturale.
Del pari, se subisce pressioni che ne mettono in crisi la “sistemicità”, l’impresa
deve sapere rivitalizzare la propria funzione economica, ri-adattandosi o
conquistando un adattamento di tipo nuovo. In difetto di tale manifestazione di
capacità, altre organizzazioni possono prenderne il posto, legittimarsi e occuparne il
ruolo sociale. La raggiunta “sistemicità” è il fattore di base della competitività, ma
non rende immortali o immodificabili i sistemi. Lotta per l’esistenza, selezione e
adattamento non hanno mai fine.
7.2 Emerge, a questo punto, la dialetticità del rapporto tra impresa, ambiente
competitivo e resto della società e, quindi, dell’adattamento23.
Il punto di partenza è quello del più convincente darwinismo sociale, à la
Lewontin: l’impresa è, al tempo stesso, oggetto e soggetto di cambiamento
evolutivo. Il suo comportamento sistemico è sempre in qualche modo vincolato da
strutture, processi di mercato, azioni individuali, residui della storia propria e di
quella di altre organizzazioni; ma nel contempo il suo comportamento è sempre
suscettibile di diventare trasformatore, innovatore, produttore di “sistemicità” e
anche di lasciare una discendenza di nuove imprese.
Nella lotta per l’esistenza, il rapporto tra impresa, ambiente e resto della società
non è linearmente continuo e non si svolge sempre come desiderato da chi governa il
sistema aziendale. Esso può comportare conflitti, paradossi, conseguenze non
volute24. Ad esempio: a un accumulo positivo di risorse può seguire una crisi;
l’impresa in vantaggio - cresciuta e potente - può subire influenze darwinianamente
“nocive”, regredire a stati precedenti, cioè rimpicciolire o addirittura uscire dal
settore ove si era procurata il primitivo successo. Nella contraddittorietà del
percorso evolutivo (sviluppo/crisi) e nella variazione (progresso/inversione) dei
rapporti di forza sta la natura dialettica dell’adattamento dell’impresa al proprio
ambiente e alla società.
Vale la pena di osservare come - nell’evoluzione del sistema sociale - i fenomeni
di distruzione di organizzazioni e di selecting out siano contrastati dalla continua
autogenesi di organizzazioni e dai fenomeni di selecting in. Tali fenomeni non sono,
però, esattamente simmetrici, né danno necessariamente un saldo positivo. Ad
esempio: in ogni settore d’attività economica nascono imprese in ogni istante, ma
non in ugual numero e con le caratteristiche di quelle che esistono o di quelle che
sono costrette a lasciar la nicchia. Inoltre: dal seno di un grande gruppo aziendale
possono essere generati sistemi che rimangono per sempre avvinti alla holding, ma
altre parti se ne possono staccare per diventare indipendenti; altre ancora possono
23
24
Influenzati da Benson J.K. (1977) e Zeitz R. (1980), ne parlammo la prima volta in
Cafferata R. (1987).
L’aspetto contraddittorio e, talvolta, irrazionale del rapporto impresa-ambiente
caratterizza fortemente il contributo seminale di Benson J.K. (1977).
ROBERTO CAFFERATA
73
venir soppresse. Oppure può accadere che un intero gruppo abbia a morire, dopo che
- nella sua storia - sembrava invincibile. Da tale dissolvenza nuovi gruppi possono
formarsi, nuove organizzazioni possono emergere, che assumono compiti similari o,
al contrario, molto dissimili da quelli andati perduti: ora potenzialmente innovativi
per l’intero sistema della società, ora imprevedibilmente egoistici e addirittura
nocivi.
Il rapporto tra impresa, ambiente e società è dialettico nel senso che si orienta
consapevolmente e dà effettivamente luogo a processi di costruzione sociale - cioè
genera organizzazioni, prodotti e servizi - utili a risolvere problemi; ma, dall’altra
parte, può irrazionalmente squilibrarsi e mettere in difficoltà tutto il resto del creato,
seminando nuovi problemi, innescando fenomeni di crisi/distruzione.
In conclusione: l’approccio dialettico al rapporto tra impresa, ambiente e società
facilita la comprensione sia dei processi di formazione o conservazione dei sistemi,
sia dei processi di cambiamento, ricostruzione o - al contrario - distruzione dei
sistemi25. Il principio evocato dall’approccio dialettico è quello di tesi e antitesi, per
cui, ad esempio, alcune imprese sopravvivono e si riproducono mantenendo
semplicemente la loro identità, altre si sviluppano in una sintesi superiore. E mentre
diverse scompaiono, alcune - squilibrate e prossime ad andar perdute - si danno da
fare per costruirsi un nuovo inizio, ridefinendosi in una radicalmente nuova sintesi.
7.3 Impresa non solo oggetto, ma anche soggetto di cambiamento; adattamento
come ricerca pro-attiva di soluzioni; co-evoluzione tra impresa e ambiente: sono
questi i risultati del pensiero darwinista, utili per l’approfondimento delle nostre
riflessioni attorno agli eventi che le imprese subiscono e alle innovazioni che esse
creano.
La lotta competitiva non si esaurisce nell’adattamento imposto dal di fuori, cioè
dall’ambiente; essa si esplica anche nella ricerca di forme di adattamento tramite
controllo delle forze ambientali, in senso ora estensivo, ora intensivo.
Di qui, ancora, la natura dialettica del rapporto tra impresa, ambiente e sistema
della società: nel ciclo di vita dell’impresa non ci sono solo adeguamento e ricerca
delle condizioni minime per restare, ovvero per sopravvivere; ma ci sono anche la
contraddizione nei comportamenti e, soprattutto, un giro articolato di mosse,
contromosse, azioni consapevoli in cui l’impresa cerca di differenziarsi, trasformare
l’ambiente, controllarlo in tutto o in parte. Se possibile vincere.
Bibliografia
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ANSOFF H.I., Implanting Strategic Management, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1984.
25
L’approccio dialettico ha anche intenti normativi-propositivi: “Dialectical analysis […]
must be concerned with the active reconstruction of organizations. This reconstruction is
aimed towards the realization of human potentialities by the removal of constraints,
limitations upon praxis” (Benson J.K., 1977, p. 18).
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