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I SCHEDA DI RIFLESSIONE (gennaio-febbraio)
1. La scala del presbiterio : l’incontro di un povero, sacramento di Cristo
La scala del presbiterio
“Voi conoscete infatti la grazia del Signore nostro Signore Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché
diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9).
“Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo
una condizione di servo/schiavo, divenendo simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso,
facendosi obbediente fino alla morte, e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò (…)” (Fil 2,6-9).
“Se per la caduta di un solo uomo (Adamo), ha regnato la morte, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della
grazia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo (…). Là dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm
5,17. 20).
Ci troviamo nel presbiterio di Saint-Pierre-de-Maillé (3). Andrea Uberto diventa parroco di questa grande
parrocchia all’età di 30 anni. Si trova lì da pochi anni quando capita questo fatto. Immaginiamo la scena: una scala, quindi
un alto e un basso. L’incontro con questo povero segna una tappa decisiva di conversione nella sua vita e nel suo
ministero pastorale. Ritorniamo all’interpretazione data fin dalla prima biografia: “La sua fede lo ha convinto che era Gesù
Cristo stesso che gli rivolgeva questo rimprovero per la bocca di un povero” (4).
In effetti, Andrea Uberto rimane in cima alla scala (= in alto), a causa della sua condizione sociale e della sua agiatezza
materiale e culturale. “La sua casa era considerata e mantenuta a un livello di alta stima secondo il mondo. Un suo
fratello, che era commerciante, si era dato la soddisfazione di ammobiliarla con una certa eleganza. La sua tavola, servita
in generale abbastanza semplicemente, prendeva un’aria di ricchezza e anche di lusso quando riceveva i suoi confratelli e
amici, cosa che capitava molto frequentemente” (5). Chiaramente, lui non vive come la gente che abita nel paese. E’ un
sacerdote stimato, lo sappiamo. Ma vive come il clero del suo tempo. Ci troviamo in Francia sotto l’Antico Regime,
dunque prima della Rivoluzione francese. Ci troviamo in una società organizzata e gerarchizzata. Il clero ha il suo proprio
statuto (la sua cultura, i suoi mezzi finanziari, il suo riconoscimento sociale). Così è per Andrea Uberto. Sappiamo che gli
piace ricevere persone. Sta al di sopra della condizione sociale degli abitanti – contadini, artigiani, commercianti – di
Maillé. In fondo alla scala sociale - della scala – c’è un povero, un uomo bisognoso e che viene a chiedere… La società è
dunque organizzata seguendo un alto e un basso. Questa logica sociale non subisce contestazioni, allora è così. Ma la
parola di questo povero trapassa visibilmente Andrea Uberto: “Non avete denaro - argent - e la vostra tavola ne è
ricoperta”. Andrea Uberto non misura la distanza che esiste tra la sua parola e le sue azioni, perchè in effetti la sua tavola
quel giorno è ben guarnita: riceve degli invitati, non gente di basso ceto, ma coloro che sono come lui. La parola di un
povero permette ad Andrea Uberto di udire Cristo stesso. Cristo parla in questo povero. Cristo parla attraverso i poveri.
Che capovolgimento! Che rivoluzione! La parola “crea” poiché la sua vita cambia: “Da questo momento, l’argenteria
sparisce dalla canonica di Maillé (…)” (6). Assistiamo alla trasformazione coerente di una vita. Andrea Uberto unisce
l’azione alla parola ascoltata. Osserviamo bene: egli “riceve” la parola come venuta da Dio. “Riceve” la parola come un
saluto. E “noi riceviamo”, noi, questa parola come una annunciazione. Essa annuncia una conversione, annuncia una
missione. Egli si lascia toccare da questa parola. Apertamente, visibilmente, essa lo trafigge.
Ma questa parola iniziale – questa prima parola – include una parola finale che ci lascia Andrea Uberto. Siamo a
La Puye nel giorno 8 maggio 1834, cioè cinque giorni prima della sua morte: “All’indomani, giorno dell’Ascensione –
all'inizio sembrò che stesse molto meglio. (…) Raccolse tutte le sue forze per dire alla sorella che vegliava accanto al suo
letto di andare dai poveri per vedere se non avevano bisogno di nulla. 'Padre, gli disse la sorella, se hanno bisogno,
verranno loro'. 'No, figlia mia, riprese, il sovrappiù di quello che abbiamo appartiene a loro; siamo noi che dobbiamo
portarglielo'. – Padre, quanto dobbiamo dare? – A piene mani, figliola: bisogna forse contare?” (7). Colui che aveva
l’argenteria e che amava ricevere a tavola i suoi uguali al presbiterio di Saint-Pierre-de-Maillé, è ormai colui che rimane
con le mani aperte, senza contare. Più ancora, previene. Potremmo anche dire che la parola di San Vincenzo de Paoli è
diventata sua: “I poveri sono i nostri padroni e signori” (8). Andrea Uberto ha dato tutto, non si appartiene più e si affida
interamente alle mani di Dio. La sua vita è iscritta nella logica della sovrabbondanza divina (9) e della carità pastorale.
Questa carità si radica nella figura del Buon Pastore: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”
(Gv 10,10).
Per Andrea Uberto, il ministero pastorale consiste nella scienza dello spogliamento. E’ la strada che ha percorso
durante la sua esistenza. Al termine della sua vita, ne raccogliamo il frutto. Non è un ricco che dà al povero, si è fatto
povero lui stesso fino a dare senza contare. I biografi raccontano come dà tutto, persino le sue camicie. Certo, l’esilio in
Spagna si iscrive in questa discendenza spirituale di espropriazione, privazione. Si è lasciato plasmare dalla parola iniziale
di quel povero di cui non sapiamo nulla, nemmeno il nome. Quel povero contribuisce a farlo nascere alla sua vera
esistenza, cioè alla sua vocazione profonda e al suo ministero pastorale.
Siamo in grado ora di inscrivere la vita di Andrea Uberto nella luce della Pasqua. Egli sovverte l’alto/basso (il
sopra/sotto) della società gerarchizzata del suo tempo per inscriverlo nel movimento abbassarsi/innalzarsi della Pasqua.
L’alto/basso cambia di significato. Non dipende più da un ordine sociale, ma dalla logica pasquale. L’Apostolo Paolo ci
illumina: “Conoscete infatti la grazia del Signore nostre Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi
diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9). O ancora, secondo l’inno ai Filippesi: “Egli, pur essendo nella
condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla
morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò (…)” (Fil 2,6-9). Abbassarsi/innalzarsi, è questa la chiave di ogni vita
spirituale autentica. Eccoci rimandati all’evento della Croce, sorgente della vita di Andrea Uberto e vostra sorgente – di
voi, Figlie della Croce – in conformità con il nome che avete. La vostra missione si trova nella vostra sorgente. Quello che
ricevete di più prezioso da Andrea Uberto costituisce il luogo della vostra missione. Dalla bocca di un povero, Andrea
Uberto riconosce la voce di Gesù Cristo. E’ la sua fede che gli fa capire questo. La fede della Chiesa si capisce alla luce
dell’evento pasquale: confessiamo la discesa del Figlio nella carne della nostra storia – fino agli inferi – e una salita nella
gloria. Così è la vita di Andrea Uberto. Scende dalla scala per andare ad incontrare le persone, le visita nei paesi e nelle
case, manifesta la prevenienza (iniziativa?) divina esercitando il suo ministero pastorale. Condivide la loro condizione di
vita, scende nei luoghi più isolati e abbandonati, vive per rivelare loro il Cristo. Non è più a strapiombo. Da questo povero
capisce che si può vedere bene solo all’altezza del volto. Entra ormai in una relazione di scambio e di servizio facendosi
prossimo di ognuno. Così, per esempio, “distribuiva il suo frumento per mangiare il grano di segale” (10). Il frutto di una
tale sequela di Cristo nel suo abbassarsi (annichilimento?) – la sua kenosi – è il riscatto dei poveri. Li rende capaci di
entrare nel movimento pasquale. Li toglie dalla morte, dalla fragilità dell’esistenza, dalla oppressione delle condizioni di
vita, li ristabilisce nella loro dignità. La Buona Nuova annunciata ai poveri è il segno messianico per eccellenza (Lc 4,18). E’
davanti alla Croce che Andrea Uberto attinge le sue ragioni di credere, sperare e amare. Sotto i tratti del volto del
Crocifisso, egli vede il povero spogliato e denudato, abbandonato allo scherno di tutti, il povero che chiama. Nel Medio
Evo si conosce bene un’espressione: “il povero, sacramento di Cristo”. Conserviamo questa espressione medievale,
perché chiaramente l’incontro di questo povero è per Andrea Uberto incontro con Cristo. Esso segna un cambiamento di
vita, una conversione nel senso più radicale della parola.
VERIFICA PERSONALE E DI GRUPPO
La Fede in Cristo è la tavola della Condivisione: Condivisione di Parola - di Pane- di Vita.
Oggi, da quale parte della porta sono?Sono il mendicante che sale la scala...che è nel bisogno e
che chiede?
Sono al posto del sacerdote ben piazzato?Sono al posto del povero, indignato?
Sono sulla soglia o sto già condividendo la Tavola?Che tavola devo aprire e che pane devo
condividere?
Come dare e che cosa dare, quando si ha così poco, quando ci si sente miseri?Che cosa posso dare?
Aprire gli occhi sulle mie vere ricchezze :materiali, morali, intellettuali, spirituali, artistiche,
relazionali…Che cosa ne faccio?So, posso, voglio… condividere?
Qual è la Parola e quali sono i Gesti di Gesù in merito alle ricchezze…?E alla relazione con gli
altri...?
I bambini, gli adolescenti, i giovani di oggi, così come sono, troveranno nella Chiesa l’amore
Personalmente, noi che cosa possiamo fare?