SULLE TRACCE DELLA PIRATERIA E DELLA

SULLE TRACCE DELLA PIRATERIA
E DELLA GUERRA DI CORSA
NEL MEDITERRANEO
02. I pirati nel mito e nell’antichità
di
Michele Langella
G. DF. - S. A. per www.vesuvioweb.com
Nell’immaginario collettivo la pirateria è quella che si è svolta nei mari del
centro – sud America (Mar delle Antille, Caraibi, ecc.) e che ha avuto la sua epoca
d’oro tra il 1500 ed il 1700. In realtà essa è un fenomeno molto più antico, diffuso su
tutti i mari e gli oceani del pianeta, praticato nel Mediterraneo già nel secondo
millennio a.C. e conosciuto da Micenei, Fenici, Greci, Etruschi e Romani. Persino il
grande Giulio Cesare fu catturato da giovane dai pirati illirici e fu liberato solo in
seguito al pagamento di un forte riscatto.
Ritengo che si possa tranquillamente affermare che la pirateria sia nata
con l’uomo nel senso che, ancor prima che l’avventura dell’homo sapiens
avesse inizio, gli esemplari di ominidi più forti e prepotenti, in maniera del tutto
“naturale” e senza farsi scrupolo alcuno, approfittavano della loro forza o della
loro astuzia per strappare dalle mani (o dalle zampe?) dei loro simili meno
dotati un brandello di carne o un frutto.
L’esercito e le navi di Ramsete 3°, nel 1192 a.C., sconfissero alla foce
del Nilo quelli che le cronache dell’epoca definiscono “Popoli del mare” e che
erano certamente bande di predoni appartenenti ad etnie diverse i cui nomi
fanno venire alla mente i Sardi, gli Achei, i Tirreni ed altri popoli ancora
(Peleset, Thekker, Shakalesh, Uash, Dànaes, Turush, Shirdan, ecc.). Una vera e
propria orda che tutto travolse sul suo cammino e che abbatté anche il potente
Impero hittita (il paese di Hatti), Cadi (la Cilicia), Karkemish (la Siria), Arzawa
(la Lidia), Alasia (Cipro) ed i Regni micenei. Si fermarono ad Amurru (SiriaLibano) sterminando la popolazione e desertificando il territorio. La
celebrazione della vittoria e la descrizione della battaglia decisiva sono giunte
sino a noi nel bellissimo bassorilievo del tempio di Medinet Habu.
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Il fatto che la pirateria nel mondo antico fosse un fenomeno
estremamente diffuso è dimostrato dal gran numero di termini che le lingue
greca e latina contengono per definire la figura del pirata. Per citarne solo
alcuni: leistai, katapontistai, peiratoi, peiratikoi, piratae, latrones, praedones
maritimi. Sia in Omero che in altri autori antichi troviamo il termine leistés
derivante da leis e cioè bottino, preda mentre a parlare per primo di peirates
sarà Polibio verso la metà del 2° secolo a.C.
Dalle fonti storiche si apprende che i mercanti fenici pagavano il “pizzo”
per continuare ad esercitare i propri traffici marittimi con sufficiente sicurezza
senza vedere le proprie navi assalite e rapinate dai predoni del mare. I Fenici
tuttavia, all’occorrenza e quando se ne presentava l’opportunità, la pirateria non
disdegnavano di praticarla a loro volta.
Nel Mediterraneo molte erano le popolazioni che fondavano la loro
economia sulla pirateria. In Adriatico, in particolare gli Etruschi di Spina, gli
Illiri, i Peuceti, i Messapi, i Frentani di Histonium (Vasto) e la situazione non
mutò fino a che Roma, in età augustea, non decise di debellare il fenomeno in
maniera drastica istituendo un regolare servizio di pattugliamento delle coste. Il
Regno d’Epiro che intratteneva rapporti commerciali con l’occidente, per quasi
tutto il III secolo a.C. combatté la pirateria illirica ottenendo in conseguenza
anche di frenare l’estendersi del fenomeno verso sud.
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Nell’ottavo secolo a.C. gli abitanti dell’isola Paro commerciavano con i
Fenici ai quali fornivano il loro pregiato marmo. Avendo raggiunto il controllo
delle vie di comunicazione dell’Egeo, essi fecero dell’isola una forte potenza
marittima che però non disdegnava di attingere le propria ricchezze anche dalla
pirateria attuata dalle proprie navi.
La mitica spedizione degli argonauti guidata da Giasone figlio del Re
della città di Iolco si spinse sin nella Colchide alla conquista del vello d’oro ma
comportò la devastazione del paese ed il rapimento di Medea, figlia del Re la
quale aveva aiutato l’eroe con le sue arti magiche.
Tornando ad Omero, nell’Iliade, Achille, figlio di Peleo, Re dei
Mirmidoni, non fa mistero di aver praticato in passato la pirateria e così pure
Ulisse. In Omero i concetti di guerra e di pirateria sono praticamente
indistinguibili in quanto sia l’una che l’altra sono finalizzate alla conquista di
un bottino costituito indifferentemente da oro e/o da esseri umani da ridurre in
schiavitù. Lo scopo dell’arricchimento è lo stesso che si prefigge anche il
mercante solo che, nel caso della pirateria e della guerra, i “guadagni” si
ottengono in maniera molto più sbrigativa e, se ci sa fare, anche in modo…
eroico. Un eroe omerico mai e poi mai si sarebbe abbassato a praticare il
commercio, ritenuto un’attività per niente onorevole e men che mai…eroica.
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Secondo gli storici Tucidide ed Erodoto, anche in epoca minoica la
pirateria dovette essere molto diffusa ed il mito del Minotauro con il tributo che
i Greci erano costretti a pagare annualmente a Minosse in termini di giovani
d’ambo i sessi può agevolmente essere visto come un ricatto di stampo
piratesco. Sempre Tucidide, autore della “Storia della guerra del Peloponneso”,
afferma che Minosse mise in atto il primo tentativo di liberare il Mar Egeo dalla
piaga dei pirati che l’infestavano e riferisce anche che furono i Corinzi i primi
ad “agevolare” i propri commerci praticando la pirateria e che, nel corso della
guerra del Peloponneso, gli Spartani condussero una guerra di corsa contro i
territori greci nemici o neutrali situati in Asia Minore e nell’Ellesponto.
Anche Alcibiade, grande generale e uomo politico di Atene, saccheggiò
città e isole come Rodi con metodi sbrigativi e violenti non molto dissimili da
quelli dei pirati.
Demostene, in “Contra Democrito” racconta che un’ambasceria ateniese
in viaggio per la Caria catturò una nave egizia di Naucrati impossessandosi di 9
talenti e mezzo. Sebbene i Greci e gli Egizi fossero in pace, il bottino fu tuttavia
incamerato dallo Stato col pretesto che l’Egitto, in quel momento, era in
discordia con il Re di Persia, al momento, stranamente in pace con i Greci.
Nel fallito tentativo di conquistare Rodi, Demetrio 1° Poliorcete (337
a.C. – 283 a.C.) re di Macedonia, rinforzò la propria flotta ingaggiando tre navi
di pirati. I Rodii, in una breve battaglia navale, riuscirono a catturare queste
navi con il capo dei pirati, un certo Timocle. Rodi che fu sede di una fiorente
civiltà micenea fin dall’Età del Bronzo, ebbe fama di nemica della pirateria
anche grazie all’uso delle trihemolia, navi molto veloci sebbene avessero meno
file di rematori rispetto alle triremi. Il vero movente dell’ostilità dei Rodii nei
confronti della pirateria, tuttavia, non è da ricercarsi in un qualche senso di
umanità nei confronti delle persone catturate e sradicate dalla propria terra ed
alla fine abbassate al rango di bestie da lavoro bensì nei danni che i loro traffici
e la loro egemonia sul mare subivano dalle scorrerie piratesche. Durante la
prima guerra cretese, si stabilì che i pirati catturati dovessero essere inviati a
Rodi con le loro navi mentre gli alleati dovevano accontentarsi della metà del
bottino.
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Il problema costituito dalla pirateria nell’antica Grecia fu comunque
affrontato sin dall’antichità e a tale scopo furono creati “asylia” e “isopoliteia”
ovverosia santuari ed alleanze di città.
Policrate Tiranno di Samo dal 537 al 522 a.C., nella sua azione di
governo, diede molta importanza ai traffici marittimi potenziando sia la flotta
mercantile che quella militare che portò a cento penteconteri più una samaina,
un tipo di nave inventato da lui stesso. Le fortune di Policrate e della sua isola
crebbero non solo grazie al commercio sul mare ma anche in virtù della
pirateria ampiamente praticata tanto da raggiungere la supremazia su quasi tutto
l’Egeo. Policrate fu catturato e crocifisso dai Persiani nel 522.
Nella Grecia dell’età classica le merci predate e gli schiavi catturati
potevano essere venduti e comprati in molti luoghi. Uno di questi posti era
Egina nel Peloponneso un altro era Delo dove si arrivavano a vendere fino a
1.000 “capi” al giorno, intendendo per “capi” non soltanto il bestiame ma anche
gli esseri umani. Menandro in una sua commedia parla anche di Mylasa, città
della Caria. Per evitare che sorgessero problemi dal riconoscimento delle
persone catturate, queste di norma erano portate lontano dalla loro terra di
origine. Dopo la conquista di una città e il saccheggio, i superstiti sovente
tentavano subito dopo di intavolare trattative con i vincitori per riscattare i
prigionieri.
Anticitera (la antica Eghila), un’isoletta tra Creta e il Peloponneso,
dall’antichità e fino al Medio Evo rimane un attivissimo covo di pirati. Il porto
di Xirolimano e il formidabile centro fortificato di Kastro risalente al 4° sec.
a.C. saranno il rifugio di predoni che per secoli hanno minacciato le rotte che
dal Mediterraneo occidentale portavano all’Egeo. Le testimonianze
archeologiche hanno dimostrato che Kastro è stata attaccata più volte. Proiettili
da fionda in piombo con la scritta in rilievo “PARAPH” attestano che un
attacco è stato portato dai Cretesi di Falàssarna, anch’essi pirati. Un’altra
aggressione fu opera certamente degli Spartani di Re Cleomene 3° che,
sconfitto dagli Achei a Sellasia nel 222 a.C., fuggendo verso l’Egitto, occupò
Anticitera.
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Molti secoli più tardi i pirati dell’isola ebbero l’ardire di catturare una
nave di Venezia che trasportava le paghe dei soldati e, per eliminare le tracce
del misfatto uccisero tutto l’equipaggio. La Serenissima intuì l’accaduto per
l’improvvisa crescita del tenore di vita degli isolani ed intervenne spietatamente
trucidando tutti gli abitanti.
Alessandro Magno inferse un colpo particolarmente pesante alla
pirateria, ma alla sua morte, i Diadochi, presi dalle lotte dinastiche,
consentirono il risorgere del fenomeno.
Il grande filosofo Aristotele considerava la pirateria una normale attività
economica alla stregua della caccia e della pesca.
Gli abitanti di Rodi, la cui isola fu sede di una fiorente civiltà micenea fin
dall’Età del Bronzo, per mantenere la loro egemonia sul mare, riuscirono a
contrastare efficacemente la pirateria.
Tito Livio (10, 2, 4) racconta che alla fine del IV sec. a.C. lo spartano
Cleonimo, in navigazione in Adriatico verso la costa veneta, dovette scegliere
tra una rotta lungo la costa orientale infestata dai pirati (latrones maritimi) ed
una lungo la più sicura sponda occidentale dove però i porti scarseggiavano.
Roma, all’inizio della sua storia sul mare, si servì di pirati per contrastare
il potere marittimo di Cartagine attribuendo così a determinati soggetti la natura
di corsari. Sconfitta la potenza punica, per proteggere i suoi commerci sul mare,
si diede alla lotta contro la pirateria, in particolar modo quella degli Illirici. Nel
154 a.C. il console Quinto Opimio sconfisse in battaglia terrestre i pirati liguri
che si erano insediati sul massiccio dell’Estrel in Provenza.
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Nel 189 a.C. Annibale che è stato sconfitto a Zama nel 202 e che è
continuamente in movimento per sfuggire ai Romani, sbarca a Creta dove è
molto probabile che trovi rifugio presso i pirati dell’isola.
Nel 2° e nel 1° secolo a.C. i pirati del Mediterraneo li troviamo attestati a
Creta, in Asia Minore e sulle coste della Cilicia, regione situata tra Armenia e
Siria, e su quelle della Paflagonia corrispondente all’attuale provincia turca del
Kastamonu. Essi arrivarono a sbarcare addirittura ad Ostia dove catturarono
personaggi di rango dei quali chiesero il riscatto. Questi predoni del mare
assaltavano sistematicamente le navi cariche di grano e olio, e Mitridate re del
Ponto, nella sua rivolta antiromana, si avvalse della loro opera per contrastare la
potenza di Roma. Secondo Strabone, l’attività dei pirati cilici iniziò con la
rivolta di un certo Diodoto Trifone contro i Seleucidi. I pirati si insediarono
nella base di Korakesion e di lì andavano sistematicamente a saccheggiare la
Siria.
Quando Roma, per difendere i suoi traffici con l’amica Marsiglia, andò a
stanare i pirati dai covi di Sardegna e della Gallia Transalpina, i superstiti si
andarono ad insediare nelle Baleari, riprendendo a tormentare comandanti di
navi e mercanti romani e marsigliesi. La conquista delle isole da parte di
Quinto Cecilio Metello nel 121 a.C. ebbe finalmente un significativo effetto
positivo sullo sviluppo dei traffici mercantili tra l’Italia e il sud della Francia.
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Molto interessante è la legge “de piratibus persequendis” (rectius: “Lex
de provinciis praetoriis”) del 100 a.C. in quanto trattava della sicurezza dei
traffici commerciali dei romani, dei latini e degli alleati di Roma. La legge,
inoltre, vietava a Cipro, Alessandria, Siria e Cirene di ospitare sul proprio
territorio basi di pirati, considerati alla stregua dei nemici a tutti gli effetti ed
imponeva anche la distruzione delle basi in qualsiasi località esse sorgessero.
La legge tuttavia fu in buona parte vanificata a causa dei disordini creati da
Mitridate 6° Eupatore, nemico dichiarato di Roma. Lo storico Appiano (2° sec.
d.C.) ci fa sapere infatti che i pirati utilizzavano piccole imbarcazioni ma che in
seguito, dopo la caduta di Mitridate, presero ad usare un gran numero di
myoparones e di hemiolai (v. Gloss.), flotte di biremi e di triremi comandate da
veri e propri ammiragli.
Marco Ottavio Erennio, un mercante romano del 2° secolo a.C. fece
voto ad Eracle Invitto venerato nel grandioso tempio di Tivoli di offrire la
decima parte dei suoi guadagni in cambio della protezione del dio dai pirati.
Salvato effettivamente da un attacco dei predoni del mare, fece costruire a
Roma un sacello con una statua di Hercules Victor.
Gli Illiri furono tra i pirati più attivi dell’antichità. Erano questi una
popolazione semiellenizzata della costa orientale dell’Adriatico che raggiunse il
suo massimo sviluppo introno al 3° secolo a.C.. Lo storico Polibio riferisce che
la prima guerra illirica e l’intervento di Roma in Grecia furono determinati dalla
necessità di proteggere i commerci romani dai pirati di Teuta, Regina degli
Illiri, la quale aveva allestito una grossa flotta con la quale aveva messo in piedi
una vera e propria industria della pirateria. Quando Roma inviò a Teuta
un’ambasceria e questa ammazzò barbaramente i legati, si scatenò su di lei e sul
suo regno tutta la rabbia e la potenza romana e per Teuta e per i suoi pirati fu la
fine.
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Nel 67 a.C. Roma varò la Lex gabinia che conferì a Pompeo poteri
eccezionali per tre anni per estirpare la pirateria dal Mediterraneo. In soli tre
mesi Pompeo affondò più di 1.000 navi, uccise circa 10.000 pirati, catturò più
di 400 navi e 20.000 uomini ed infine distrusse tutti i siti in cui essi si
rifugiavano ed accumulavano i loro bottini. Molti soggetti furono deportati in
regioni lontane ed ebbero in concessione terre da coltivare. Il fenomeno tuttavia
riprese lena, tant’è che lo stesso Giulio Cesare nel 75 – 74 a.C., in viaggio per
Rodi, fu catturato dai pirati illirici e trattenuto per 40 giorni per poi essere
riscattato. Una volta libero, il grande generale si vendicò facendo crocifiggere i
suoi rapitori. Ottaviano Augusto, salito al potere, inflisse alla pirateria un
colpo mortale rendendo sicure le rotte del Mediterraneo. Il fenomeno riprese
vigore dopo ben tre secoli con il crollo dell’Impero Romano.
A proposito di Polibio, è da dire tuttavia che lo storico accusa di pirateria
anche i Cartaginesi, gli Etoli, i Cretesi, ecc, ovverosia ogni popolo che avesse
osato sfidare Roma e questo ci fa nascere il dubbio che gli Illiri abbiano sì
praticato la pirateria su larga scala ma che forse tale aspetto sia stato ancor più
enfatizzato dallo storico romano.
L’isola di Malta e le ridenti isole Eolie nell’antichità ospitarono a più
riprese covi di pirati.
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