301 VERSO UNA DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE glie del Novecento, si è interpretata la drammaturgia sempre meno come composizione del testo e sempre più come composizione di tutti gli elementi espressivi della messinscena. Di conseguenza, la figura dell'autore teatrale ha visto cambiare la sua identità - anche se non tutti concordano con questa prospettiva - coincidendo più con l'autore della messinscena, cioè il regista, che con l'autore del testo. Oggi possiamo perciò individuare quattro diverse e articolate accezioni di 6. Drammaturgia: una definizione aperta drammaturgia, compresenti; la prima è un'accezione restrittiva e tradizionale, che si riferisce esclusivamente alla parte letteraria del teatro, il copione Il termine «drammaturgia» ha assunto nell'arco del Novecento una molteplicità di teatrale; la seconda è un'accezione più generale ed estensiva: concepisce la significati che ne hanno fatto una definizione aperta e anche piuttosto ambigua, drammaturgia come l'organizzazione artistica degli elementi espressivi che una sorta di campo semantico che raccoglie diverse concezioni del teatro e compongono lo spettacolo o la performance teatrale; l'estensione ha che ne riflette l'evoluzione. Se prendiamo la definizione da un odierno dizionario linguistico, troviamo che la drammaturgia è «l'arte di comporre drammi» (Garzanti); attraversato tre fasi cruciali: l'utopia dell'opera totale e della sintesi delle arti se invece consultiamo un dizionario etimologico, troviamo che l'origine più (da Wagner ad Appia, alle avanguardie del primo Novecento); il teatro di antica del termine, quella greca, corrisponde a drama e dramatikòs che hanno regia (teorizzato da Stanislavskij, Mejerchol'd, Craig); l'happening e la la radice dorica dran (che equivale ad «agire»), da cui dramatourgòs, che performance (dagli anni Cinquanta, sulla scia neo-dadaista, con Cage, sarebbe il «demiurgo dell'azione» (Zanichelli). Se ricorriamo poi a una Cunningham, Kaprow ecc.) e la nuova avanguardia degli anni Sessanta-Settanta, spiegazione enciclopedica specifica, leggiamo che «in senso stretto, il che sviluppa una visione totalizzante di «regia d'autore» (da Kantor a termine indica la tecnica di composizione di un testo drammatico; più Mnuochkine, da Ronconi a Wilson), e che in larga parte si ispira alle idee di ampiamente, la riflessione su di questo, ed equivale quindi a poetica teatrale» Artaud, traendone però percorsi molto diversi (dal Living Theatre a Brook, da (Garzanti). Nella Poetica di Aristotele, il dramma è una delle forme Grotowski a Barba o Carmelo Bene). fondamentali di scrittura che si distingue dalla narrazione (l'epica) perché il Un'accezione più tecnica-professionale è invece quella che si lega alla pratica suo oggetto è il confronto e il conflitto diretto tra i personaggi: gli eroi del reale del rapporto tra testo e scena, articolandosi in quattro tipologie: 1) il dramma agiscono e parlano in prima persona, non attraverso lo svolgersi di un drammaturgo-regista, quando il regista è anche autore del testo o di un racconto. Il primo drammaturgo dell'era moderna è considerato Gotthold adattamento; 2) la drammaturgia collettiva, tipica delle compagnie del teatro di Ephraim Lessing, perché è il primo a definirsi tale e nel 1767 è incaricato da ricerca; 3) il drammaturgo puro, che affida il suo testo teatrale al regista. Il un gruppo di finanziatori di farsi promotore e responsabile artistico del primo Dramaturg in tedesco ha il duplice significato di «autore teatrale», il teatro nazionale tedesco ad Amburgo. La figura del Dramaturg in Germania drammaturgo puro, e di «poeta di compagnia», colui che lavora sul testo pur non nasce quindi insieme alle stesse istituzioni teatrali, come elemento chiave di essendone l'autore, come esperto, traduttore, adattatore e collaboratore alla sua una rifondazione culturale che riceve il suo slancio dalla rivoluzione francese e trova in Goethe e Tieck i suoi illustri artefici. Una corrente tedesca di studi messa in scena, una definizione che risale al Settecento; come abbiamo visto teatrali (la Theaterwissenschaft) suggerisce di distinguere fra il Drama (la nasce in Germania insieme alle istituzioni teatrali nazionali e viene poi letteratura drammatica) e il Theater (lo spettacolo). Infatti, nell'epoca rifondata negli anni Quaranta del Novecento da Bertolt Brecht. moderna l'accezione del termine «drammaturgia» non è più circoscritta a un Nell'Inghilterra del XVIII e del XIX secolo questo ruolo è assunto da attori genere teatrale, appunto d dramma, che entra definitivamente in crisi con manager, che rielaborano il repertorio classico interpretandolo e adattandolo ai Beckett e tende a oltrepassare i suoi confini storici del teatro di parola per gusti contemporanei del pubblico; negli Stati Uniti è introdotto approdare alla scrittura scenica (G. Bartolucci). Con l'avvento del teatro di tardivamente, grazie ad alcune organizzazioni teatrali, scuole e università, negli anni Sessanta del Novecento. In Italia, la figura del Dramaturg non è mai regia, alle so stata riconosciuta ufficialmente (il termine stesso non è tradotto ed è di ardua traduzione, per la complessità delle funzioni che accorpa, anche il neologismo «drammatologo» potrebbe avvicinarsi), ma è esistita di VERSO UNA DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE Andrea Balzola ANDREA BALZOLA 302 fatto - come ha ricordato Claudio Meldolesi - fin da quando, a metà Ottocento, Gustavo Modena la importa dall'estero; nel secondo Novecento svolge un ruolo fondamentale nell'ombra dei grandi registi, ne sono tiri esempio emblematico le collaborazioni di Gerardo Guerrieri con Visconti, di Tofano, Lunari e Raimondo con Strehler, di Zorzi con De Bosio, di Taviani con Barba. Oggi il suo ruolo professionale è ipercodificato in Germania, dove è presente in ogni teatro con importanti responsabilità artistiche e nei teatri più grandi si specializza in diverse funzioni, mentre nel resto d'Europa è da un ventennio in fase di sviluppo e di ridefinizione (il Dramaturg può essere assunto da un teatro, da una compagnia o essere un collaboratore fisso di un regista), ma la sua funzione essenziale è quella di assistere il regista e gli attori nel lavoro di ricerca, eventuale traduzione, interpretazione, commento o adattamento di un testo alla scena. 4) L'ultima accezione, ancora in via sperimentale e sulla quale concentreremo la nostra attenzione, è la drammaturgia multimediale (o ipermediale), intesa come scrittura di una partitura ipertestuale per uno spettacolo che utilizza le nuove tecnologie audiovisive, digitali e interattive. Questa pratica affonda le sue radici nella nuova drammaturgia novecentesca, che ha cercato di integrare il linguaggio filmico nel testo teatrale (a due livelli: mediante l'uso di proiezioni in scena, e attraverso l'interiorizzazione della «grammatica» cinematografica nella scrittura teatrale) e che poi riprende slancio dagli anni Ottanta, con l'uso del video in teatro e successivamente con il teatro tecnologico. 303 VERSO UNA DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE della percezione sinestetica e una nuova estetica dello spettacolo. Come molti rivoluzionari, nella loro opera prevalsero le utopie e le «profezie» piuttosto che un'effettiva realizzazione delle loro idee, ma poiché erano idee spesso fondate su intuizioni valide e su sperimentazioni autentiche, il tempo diede loro ragione. Infatti, tutto il teatro di ricerca (o cosiddetto di «avanguardia») che prende avvio in Nord America e in Europa a partire dagli anni Sessanta del Novecento, pur nei suoi molteplici e differenziati percorsi, fa riferimento ai citati «padri» della rivoluzione teatrale e mette finalmente alla prova dei fatti e della scena le loro «utopie». La parola non scompare dalla rappresentazione, ma il suo ruolo è notevolmente ridimensionato e soprattutto muta di senso. Il testo teatrale diventa più simile a una partitura, dove le parole e i dialoghi interagiscono fin dalla loro genesi con le altre pulsioni espressive:musica, danza, invenzione dello spazio scenico e dell'illuminazione ecc. L'autore del testo e il regista, o in molti casi il gruppo, concepito come autore collettivo, tendono sempre più a identificarsi, la tradizionale separazione dei ruoli tende a svanire. Il più delle volte è il regista stesso che, mediante adattamenti dalla 2. Scacco matto al testo teatrale classico Nel Novecento, la drammaturgia teatrale tradizionale, quella legata alla scrittura di un testo teatrale che poi viene rappresentato in scena, subisce un triplice scacco, mortale. Il primo scacco proviene dalla rivoluzione teatrale (tra la seconda metà dell'Ottocento e il primo scorcio del Novecento) profetizzata dai teorici di un teatro totale come Wagner e Appia e poi di un teatro di regia sottratto al dominio esclusivo della parola, come indicano Mejerchol'd, Craig, Artaud. Con visioni e modalità molto diverse tra loro,1 costoro promuovevano un teatro di regia, piuttosto che di parola, un teatro dove tutti i linguaggi, dello spazio e della luce, del gesto e del movimento, del suono e dei sensi, fossero esplorati e concorressero alla creazione di un evento teatrale multisensoriale, un nuovo mondo 1 Cfr. il mio testo ivi pp. 25-53. letteratura, rifacimenti dei classici o canovacci originali, realizza i testi dello spettacolo. Il secondo scacco proviene dai drammaturghi stessi, cioè da quegli autori, quasi tutti con esperienze anche di regia, come Pirandello, Claudel, Brecht, Beckett, Bernhard, Pinter, che hanno portato alle estreme conseguenze la scrittura drammaturgica, ripensandone il senso e le forme e fondando il canone drammaturgico moderno. Per tutti questi autori, il testo è portatore di una nuova concezione teatrale. Nel Pirandello maturo il testo diventa metateatrale, cioè fa del teatro l'ambientazione e l'oggetto stesso della pièce teatrale; in realtà il «teatro nel teatro» è sempre esistito (basti pensare alla rappresentazione teatrale dell'omicidio del padre orchestrata da Amleto), ma Pirandello ricostruisce la fenomenologia stessa della scrittura drammaturgica: smonta ironicamente il meccanismo del testo e della sua rappresentazione, oppone la finzione dichiarata al naturalismo e al simbolismo, rompe la sua linearità logica e cronologica, si apre a una molteplicità di punti di vista e di sviluppi possibili, svela e ostenta la crisi d'identità dell'autore e dei suoi personaggi (la trilogia Ciascuno a suo modo, Sei personaggi in cerca d'autore, Questa sera si recita a soggetto, ma anche, per ragioni diverse: Enrico IV e l'incompiuto I giganti della montagna). Paul Claudel, è invece un autore spiritualista che esalta la dimensione poetica e simbolica della scrittura teatrale e int isce molto precocemente la possibilità di n'organica integra ione ANDREA BALZOLA 304 e teorizzando la necessità di riformulare in tale prospettiva la stessa arte dell'autore teatrale (ispirandosi probabilmente al Methusalem scritto dal surrealista tedesco Iwan Goll nel 1919, rappresentato nel 1922 in Germania e nel 1927 in Francia, nel quale i sogni del protagonista sono ricreati con proiezioni filmiche). Bertolt Brecht è il grande riformatore della figura del Dramaturg tedesco nell'ambito della straordinaria esperienza del Berliner Ensemble (anni Quaranta); nella sua visione politica del teatro prende forma la poetica dello «straniamento» dove l'attore non si immedesima nel personaggio ma è in una relazione dialettica e critica con esso. Nella sua poetica il teatro mescola le forme popolari della canzone e della ballata con quelle colte del testo storico, trasformando lo spettacolo in forma di riflessione collettiva, di impegno etico e politico. L'opera di Samuel Beckett segna la crisi definitiva del «dramma,>, con lui e con il Teatro dell'assurdo (a cui contribuisce soprattutto Ionesco) la scrittura teatrale raggiunge il grado zero, si scarnifica fino all'essenza, riempiendosi di silenzi e di paradossi, di attese insolute e di vuoti, segna l'apocalisse della comunicazione e del linguaggio; inoltre la scrittura beckettiana si apre ai nuovi media del ci-nema (Film, un corto con Buster Keaton), della radio e della televisione (con i suoi radiodrammi e teledrammi per la BBC). L'eredità beckettiana trova in Thomas Bernhard una dimensione ossessiva fino al parossismo e alla parodia, una scrittura alienata che spinge la rappresentazione all'annichilimento, all'autodistruzione (che diventa vera e propria devastazione esistenziale in alcuni autori delle generazioni successive, come l'inglese Sarah Kane, i cui testi sono cronache atroci di un suicidio annunciato e inevitabile). Anche la scrittura di Harold Pinter, che è insieme drammaturgo e sceneggiatore cinematografico, risente dell'impronta beckettiana in una chiave che è meno estrema, ma che attualizza la scrittura teatrale con i ritmi della sintassi cinematografica. Il terzo scacco deriva dalla comparsa delle nuove tecnologie audiovisive e della comunicazione: in ordine di apparizione il cinema, prima muto e poi sonoro, la televisione e la telematica. La grande svolta tecnologica si annuncia nel primo ventennio del Novecento, con la scoperta del cinema da parte delle avanguardie storiche, che intuiscono le potenzialità creative di quella nuova invenzione tecnica, inizialmente relegata a intrattenimento da baraccone o a pura funzione documentaria. A partire dai futuristi, letteralmente invasati dal mito moderno dell'innovazione tecnologica, la concezione del teatro subisce una trasformazione radicale: da medium convenzionale di massa dominato dal dramma borghese, a luogo di un evento performativo (di carattere sia propagandistico sia artistico) che provoca il pubblico per teatralizzare il suo ruolo (in una forma plateale di dissenso o di consenso) e che scar 305 VERSO UNA DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE dina i meccanismi del progetto drammaturgico. Il testo diventa canovaccio per l'improvvisazione, i temi consueti sono derisi o cancellati, il linguaggio si disarticola nel verso libero o si concentra in una antirrarrazione costruita da brevi frammenti, con l'obiettivo esplicito di creare un teatro sintetico, capace di «vincere la concorrenza col cinematografo».2 Il cinema diventa lo strumento ideale per contaminare e ridefinire lo statuto stesso della comunicazione teatrale. I poeti e gli artisti delle avanguardie, prima ancora dei teatranti, portano la finzione scenica teatrale dentro lo schermo3; (basti pensare al Gabinetto del dottor Caligari di Wiene, del 1920) e lo schermo dentro il teatro (come On Trial di Elmer Rice, del 1914, Methusalem di Goll, del 1919, Sensualità di Fillia, del 1923, o Entr'acte di Clair, del 1924, concepito come intermezzo cinematografico di un balletto moderno, oppure come i film di Man Ray proiettati durante le serate dadaiste e surrealiste). Il cinema viene poi inserito organicamente all'interno della scena teatrale da registi teorici come Burian,4 Mejerchol'd, Eisenstein e Piscator o da geniali scenografi come Kiesler (nel 1922, per la messinscena di R.U.R. di Capek, realizza una macchina scenografica che prevede l'uso di proiezioni cinematografiche) e Svoboda. In seguito il cinema ha continuato a influenzare la scrittura teatrale mediante le innovazioni del suo linguaggio. Dagli anni Settanta il teatro scopre la televisione, come strumento utile di documentazione ed eventuale trascrizione degli spettacoli, e poi, dagli anni Ottanta, sull'onda delle sperimentazioni videoartistiche delle arti visuali, il teatro di ricerca si affaccia al video, usandolo come mezzo di potenziamento e ridefinizione poetica della scena (A. Balzola, F. Prono, 1994). In quest'ultimo decennio, le realtà artificiali e virtuali, la rete, i software interattivi e la robotica rimettono ancora una volta radicalmente in discussione il modo di costruire e di fruire la dimensione dello spettacolo (E. Quinz, 2002; A. Pizzo, 2003). 2 Cfr. F.T. Marinetti, Manifesto dei drammaturghi futuristi (11 gennaio 1911) e Teatro futurista sintetico (11 gennaio-18 febbraio 1915), in M. Verdone (1969, 1970) e L. Lapini, Il teatro futurista italiano, Mursia, Milano 1977. 3 Cfr. sulla scenografia cinematografica delle avanguardie A. Cappabianca, M. Mancini, U. Silva, La costruzione del labirinto, G. Mazzotta editore, Milano 1974. 4 E. Frantisek Burian, nato a Pilsen nel 1904 e praghese d'adozione, teorico, regista e musicista, è uno dei primi a teorizzare (dal 1925), nella sua «estetica polidinamica», l'uso delle proiezioni cinematografiche in scena come veicolo di sintesi dei linguaggi, fino a inventare insieme allo scenografo M. Kouril il teatrografo (7936), un sistema che combina proiezioni di diapositive e retroproiezioni cinematografiche integrato nell'apparato scenico. ANDREA BALZOLA 306 3. Le trasformazioni sulla scena L'idea di utilizzare una tecnologia extrateatrale per potenziare la macchina scenica precede l'invenzione del video e si affaccia fin dagli albori del cinema, con le precoci intuizioni drammaturgiche di Saint-Pol-Roux (che nel suo testo La dame à la faulx, del 1895, immaginava di riprodurre cinematograficamente sul palcoscenico la sequenza di una cavalcata) e più tardi con gli esperimenti dei futuristi, dei surrealisti e dei pionieri del teatro di regia Mejerchol'd, Eisenstein e Piscator (che proiettano documenti filmati o immagini visionarie durante gli spettacoli). Il cinema induce anche una duplice trasformazione nella drammaturgia: da una parte, fin dalla stagione futurista e dada, gli autori teatrali interiorizzano le innovazioni linguistiche del cinema (soprattutto le scansioni e i salti temporali del montaggio) all'interno della loro scrittura (Arthur Miller, Samuel Beckett, Marguerite Duras, Harold Pinter fino ai più recenti Sani Shepard, David Mamet e Michel Vinaver); dall'altra parte, cominciano a pensare l'integrazione dell'immagine cinematografica già nella costruzione del testo (tra i precursori di questa tendenza ci sono i futuristi, i citati Rice, Goll e Claudel). 5 Questo duplice filone si riproduce e si sviluppa con l'arrivo del video. L'immagine video in scena è stata uno degli elementi caratterizzanti della ricerca teatrale degli anni Ottanta ed è poi entrata molto più facilmente del cinema nel codice teatrale, anche per ragioni di maggiore economicità e flessibilità del medium. Sia negli spettacoli teatrali sia nella danza, l'utilizzazione del video è presto diventata una pratica piuttosto corrente della messa in scena, approdata anche sui palcoscenici delle più canoniche istituzioni teatrali. La tendenza più diffusa è stata quella di inserire la proiezione video nello spettacolo in funzione prevalentemente scenografica o alla ricerca del puro effetto spettacolare. Un'opzione più che legittima, ma che in molti casi riflette una concezione riduttiva del rapporto tra scena reale e scena virtuale, e in alcuni casi rievoca addirittura i fondali dipinti del teatro ottocentesco. Sostituire all'architettura scenografica o integrare in essa uno schermo con immagini animate non costituisce infatti, necessariamente, l'apertura di una nuova dimensione comunicativa ed espressiva per il teatro,ma piuttosto rischia di appiattire quest'ultimo su un modello di fruizione televisiva. Si tratta infatti di teatralizzare il video piuttosto che «televisizzare» il teatro. - 'Uno studio utile sul rapporto tra drammaturgia e nuove tecnologie, concentrato sull'area francofona, è l'articolo di j. Danan, De l'influence de la teclanologie suT l'é-criture dramatique, inThéàtre/Public, dossier Théatre et technologie, 1996. 307 VERSO UNA DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE Se questo è un vicolo cieco nel quale si sono infilate le produzioni teatrali che simulano un'innovazìone del linguaggio, eludendone la sostanza, ci sono dei percorsi alternativi, che spostano l'uso dell'immagine video o digitale dal momento della messinscena al momento del concepimento dell'idea drammaturgica. In realtà, i due momenti s'intrecciano continuamente, perché è proprio caratteristica della ricerca drammaturgica sulle nuove tecnologie non voler e non poter prescindere dalle sperimentazioni sulla scena. Ciò che fa la differenza è il ruolo che si attribuisce alle immagini video o digitali in scena, che diventano elementi costitutivi del testo drammaturgico e non solo elementi integrativi della messinscena. A titolo di esempio (ma non certo con valore esaustivo) è utile ricordare alcuni episodi emblematici di questo nuovo corso. In Italia, i Magazzini Criminali, con la regia di Federico Tiezzi, introducono il video in scena fin dal 1979, in Punto di rottura, dove quattro monitor sezionano lo spettacolo, isolandone le azioni e i particolari; in Come è (1987) l'attore riprende sé stesso, in una specularità straniante e narcisistica del proprio corpo recitante. Mario Martone, in Missione Alphaville (1987), scrive e dirige un ideale seguito teatrale di un film-cult di Jean-Luc Godard (Alphaville, 1965), dove si assiste a un dialogo bilingue tra l'agente segreto in missione e l'immagine video del suo istruttore. Un'idea sviluppata nel Filottete, dove il protagonista, esiliato e nascosto su un'isola, sogna il ritorno degli eroi omerici dialogando con la loro immagine (video) mimetizzata nell'acqua e nella sabbia.6 Il francese Michel Vinaver nelle sue opere teatralizza invece la manipolazione dei media, soffermandosi in particolare sul processo di contraffazione della realtà attuato dai programmi televisivi d'attualità: in A la renverse (1980) prevede l'allestimento di alcune postazioni televisive nelle quali un reality show trasmette le interviste al personaggio pubblico Bénédicte de Bourbon-Beaugency e racconta in diretta la sua malattia mortale; in L'èmission de télévision (1990) si svelano ancora più esplicitamente i meccanismi di manipolazione televisiva su uno sciopero di lunga durata, messi in opera dagli autori di un altro reality show. Il nord-americano John Jesurun, in Deep Sleep (1985) immagina una scena centrale a due livelli: sul primo agiscono gli attori dal vivo e sul secondo si fronteggiano due proiezioni video laterali con battute e azioni regìstrate; in questo modo durante lo spettacolo si creano molte varianti 6 Uno dei più attenti testimoni critici del rapporto tra ricerca teatrale, cinema e video in Italia, dal Teatro Immagine di Perlini agli esordi di Tiezzi (con i quali ha collaborato come sceneggiatore e drammaturgo) è Nico Garrone, anche autore dinumerosi video sulla processualità creativa degli spettacoli (da Corsetti a Vacis, da Martìnelli a Baliani). ANDREA BALZOLA 308 di un dialogo incrociato tra attori reali e attori virtuali. Hélène Pedneault nel suo testo La déposition (1988) prevede che le due testimonianze cruciali delle sorelle del protagonista, sotto processo, siano realizzate con il video e interagiscano con le reazioni dal vivo dell'accusato. In Democrazia (Lia e Rachele) (1995) di Andrea Balzola, una stessa attrice, Marisa Fabbri, si sdoppia in video e in voce nei personaggi opposti di due sorelle; il video evidenzia qui il contrasto drammatico tra la loro specularità e una distanza forse incolmabile. Il loro «incontro» finale avviene tramite un campo e controcampo d'ispirazione cinematografica, realizzato grazie a un'originale soluzione scenografica ideata da Luca Ronconi, dove l'attrice dal vivo e il suo doppio sullo schermo (trasparente) sono collocate l'una di fronte all'altro, su una pedana girevole che consente allo spettatore di vedere il dialogo da punti di vista sempre diversi, appunto come accade nel cinema. Bob Wilson negli anni Ottanta e il regista canadese Robert Lepage nel decennio successivo sono forse tra i più significativi esploratori teatrali di una nuova poetica tecnologica. Wilson cerca il superamento dei vincoli spazio-temporali con due grandiosi progetti teatrali, The Civil Wars e Die Goldenen Fenster, la cui idea fondante è l'allestimento in cinque nazioni diverse delle cinque parti di cui si compone ciascuno spettacolo e la loro ricomposizione televisiva, da trasmettere via satellite in tutto il mondo. Lepage sperimenta invece la scena come un montaggio di visioni tecno-teatrali, tramite specchi, diapositive, film e soprattutto video (registrati e in diretta), ma il suo progetto nasce a partire dalla costruzione del testo drammaturgico, sempre in progress, come dimostra in modo emblematico Les sept branches de la rivière Ota (1994). Un'operazione diversa, inedita e che ha una continuità nel tempo viene inaugurata negli anni Ottanta in Italia, dal gruppo di Studio Azzurro e da Giorgio Barberio Corsetti con la trilogia Prologo a diario segreto contraffatto, Correva come un lungo segno bianco e La Camera astratta. Qui si assiste all'invenzione di una doppia scena, la scena si sdoppia infatti tra la dimensione virtuale del video (in ripresa diretta) e la dimensione reale della performance teatrale, e i corpi degli attori passano senza soluzione di continuità dall'una all'altra. Poi, negli anni Novanta, mentre Barberio Corsetti sviluppa ancora quest'idea con altri videomaker e in alcuni importanti spettacoli esportati all'estero come Dottor Faustus o il mantello del diavolo (1994), Studio Azzurro avvia una lunga collaborazione video-teatrale-musicale con il compositore Giorgio Battistelli: Il combattimento di Ettore e Achille (1989), con una videoproiezione sincronizzata su doppio schermo; Delfi (1990) con l'uso di telecamere infrarosse che rendono visibile in diretta una scena buia, Kepler's Traum (1990), che utilizza in scena schermi mobili che ricevono 309 VERSO UNA DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE immagini in diretta dai satelliti, Il fuoco l'acqua, l'ombra (ispirato al regista Tarkovskij e in collaborazione con il coreografo Roberto Castello, 1998), con videoproiezioni sincronizzate con i movimenti coreografati di quattro danzatori su una pedana-zattera mobile; l'opera musicale The Cenci (da Artaud, 1997) e Giacomo mio, salviamoci! (1998, versi, lettere di Leopardi, drammatizzati da Seimonti) nei quali l'intera scena praticabile si trasforma in un ambiente virtuale parzialmente interattivo dove i personaggi con le loro azioni, gesti e suoni, possono provocare degli eventi visivi e sonori. Questi ambienti sensibili sono stati sperimentati da Studio Azzurro in molte videoinstallazioni interattive (dal 1995, con Tavoli), che mutano radicalmente il rapporto dell'opera con lo spettatore e dove l'esperienza di quest'ultimo diventa performativa. Entra quindi già nell'installazione una drammaturgia dell'interazione opera-pubblico che trasferita in teatro diventa interazione opera-attoripubblico e segna un decisivo passaggio dal video in scena alla scena-video interattiva e sinestetica. In Storie mandaliche, uno spettacolo laboratorio in progress (19982004), realizzato dal gruppo ZoneGemma (G. Verde, A. Balzola, M. Lupone, M. Cittadini, L. Paolini, A. Monteverdi), il testo di Balzola è una mappa variabile di sette storie concepite come degli ipertesti: sono collegate tra loro mediante link e interagiscono con sequenze visive e sonore generate da un software (prima il Mandala System, poi Flash). Il narratore-regista (Giacomo Verde) ha perciò la possibilità di cambiare ogni volta il percorso della narrazione, in relazione alle scelte dello spettatore. Un esempio di come si possa coniugare la forma più antica della narrazione orale (quella del rapsodo e del cantastorie) con la drammaturgia multimediale contemporanea. La Germania, insieme alla Gran Bretagna, è la realtà europea dove una forte tradizione si combina con un attento sostegno istituzionale alla drammaturgia contemporanea e dove quindi le diverse ricerche dei nuovi autori trovano un immediato riscontro nella verifica del palcoscenico, anche nell'ambito di una ancora minoritaria scrittura multimediale. Un esempio recente è la pièce Electronic City di Falk Richter (prima rappresentazione nel 2004 alla Schaubuhne di Berlino, per la regia di Tom Kúhnel): una storia d'amore contemporanea tra due pendolari dei cieli e del lavoro che si sviluppa negli ambienti omologati degli aeroporti internazionali (Berlino, New York, Singapore, Sydney e Los Angeles) e che mescola ironicamente i due generi oggi dominanti della fiction di massa: soap opera e videogame. Così come il videogame (che è stato anche, storicamente, il terreno di sperimentazione tecnologica e creativa di un percorso narrativo interattivo) influenza o pilota le sceneggiature fiction della grande produzione cinematografica ANDREA BALZOLA ___________________________________________________ 310 311 VERSO UNA DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE (Tomb Raider & C.), la sua trasposizione nella drammaturgia teatrale consente di creare, con l'ausilio di apparati scenici video e multimediali, delle strutture con molteplici diramazioni possibili, plot paralleli e finali aperti. Ormai la circolarità e l'integrazione tra le «drammaturgie» cinematografica, multimediale e teatrale si sta consolidando e capita che autori di formazione cinematografica importino nel «montaggio» della loro scrittura teatrale il montaggio filmico ed elettronico, come nel caso di un'altra autrice tedesca, Felicia Zeller. Il suo testo lo, valigia è scritto e ambientato su un treno, ha per protagonisti anonimi viaggiatori, i loro incontri effimeri, il loro reciproco osservarsi e i loro dialoghi frammentati. Ispirandosi agli appunti raccolti nei suoi viaggi, la giovane autrice elabora in chiave paradossale e rimonta «cinematograficamente» questi frammenti di esistenza, di pensieri e di conversazioni, come un arazzo collettivo a molte voci: «Il linguaggio, simulando ironicamente la conversazione quotidiana, si compone in gran parte di frasi sconnesse e sbrindellate, ripetizioni continue che si trasformano spesso in veri e propri loop autistici, gioca con le frasi fatte sviluppando veri e propri esilaranti combattimenti linguistici di modi di dire. Le storie dei passeggeri si incrociano scivolando nell'assurdo [...] Il testo e il treno intanto proseguono inarrestabilmente verso il deragliamento ... ».7 (C. Menin, 2004). Un altro ambito di ricerca drammaturgica, ancora in fase embrionale ma con interessanti prospettive di sperimentazione interattiva, è l'uso teatrale della rete e dei suoi strumenti (webcam e chat). Uno dei primi progetti è stato quello delle due artiste californiane Lisa Brenneis e Adriene Jenik (fondatrici del gruppo DeskTop Theater), 8 che a partire dalla seconda metà degli anni Novanta hanno messo sulla scena della rete alcuni testi teatrali, coinvolgendo il «pubblico» mediante lo strumento della chat. Nel 1997, utilizzando il celeberrimo Aspettando Godot di Beckett, il DeskTop Theater ha coinvolto gli utenti, a loro insaputa, inducendoli tramite il dialogo via chat a identificarsi con la situazione e i personaggi del testo teatrale e a far emergere le loro personali ansie, aspettative e inquietudini esistenziali. In questo modo gli utenti sono diventati essi stessi personaggi della pièce beckettiana. Un altro gruppo californiano, il George Coates Performance Group, improvvisa i propri spettacoli dal vivo sulla base dì una scelta dei testi che i frequentatori del loro sito inviano on-line. In Italia, il primo ad aver utilizzato il Web per realizzare delle performance tea-trali interattive on-line è stato Giacomo Verde con il suo webcam-thea-ter. Nella performance Connessione remota, al Museo Pecci di Prato (2001), Verde si è collegato in rete presentando tramite webcam una decina di videoazioni, con le quali gli utenti collegati potevano interagire dialogando in una chat visualizzata insieme alle immagini. In questo modo la performance era percepibile con tre modalità diverse: in rete, dal vivo e un mix. Tre diversi esempi di come il medium della chat può essere usato come luogo di creazione collettiva interattiva, mediante una teatralizzazione della scrittura virtuale, che può anche sconfinare dalla rete e far dialogare evento reale con evento virtuale. Attualmente con l'evoluzione delle chat grafiche e in 3D, questo strumento è ulteriormente potenziato anche nella prospettiva di una drammaturgia multimediale interattiva on-line. 7 Cfr. C. Menin, Drammaturghi da scoprire, in «ateatro», n. 63, febbraio 2004. 9 Cfr. A. Balzola, Quer pasticiaccìo bello de Ronconi. Da Gadda un invito a ripensare la drammaturgia contemporanea, in «Sipario», aprile 1996 e La scrittura drammaturgica . Luca Ronconi in Ateatro n.35, maggio 2002. 8 Cfr. il sito www.desktoptheater.org. 4. 1 modelli della scrittura drammaturgica contemporanea Prima di affrontare l'analisi dei diversi modelli di riferimento dell'innovazione drammaturgica, nel cui ambito s'inserisce la prospettiva multimediale, è necessaria una premessa. In questo scenario aperto sul futuro, si assiste anche al cosiddetto «ritorno al testo» (R. Alonge, 2004) e alla rivalutazione degli ambiti specifici dell'arte scenica, come la recitazione, la scenografia, la stessa regia. Questo «ritorno», praticato da molti protagonisti della ricerca degli anni Settanta e Ottanta e in certi casi attuato fino ai risvolti più restaurativi, ha un senso che va pienamente compreso per non incorrere nella semplicistica e spesso fasulla opposizione fra teatro di ricerca e teatro di tradizione. Per esempio un grande regista come Luca Ronconi, protagonista dagli anni Settanta dell'innovazione teatrale non solo italiana e da sempre impegnato in complessi adattamenti drammaturgici di testi letterari spesso giudicati irrappresentabili, ha dato precise indicazioni per la rifondazione di una tradizione teatrale europea (creando scuole per attori e registi, organizzando delle compagnie stabili, facendo una programmazione che rifletta una lettura culturale del mondo contemporaneo) e per un rinnovamento della drammaturgia del testo. 9 Suggerendo di perseguire nella scrittura l'idea di complementarità tra alto e basso, tra lingua alta, letteraria e mitologica, e parlato quotidiano, su tematiche non effimere. Sul modello trainante della drammaturgia inglese i cui protagonisti non a caso sono anche tra i migliori sceneggiatori cinematografici (come la drammaturgia teatrale ha dato i fonda- ANDREA BALZOLA 312. menti alla sceneggiatura cinematografica, così oggi quest'ultima, per la sua capacità di drammatizzare il contemporaneo in un linguaggio attuale, diretto e molto visivo, diventa un modello possibile per il rinnovamento della scrittura teatrale e letteraria). Il «ritorno al testo» in questo caso non è sinonimo di regressione o conservazione, ma al contrario corrisponde a una maturazione consapevole della necessità di superare la sterile «routine» del repertorio e nello stesso tempo di evitare i pressapochismi di molto sperimentalismo improvvisato. Come un autentico rìnnovamento della scrittura drammaturgica non può prescindere dalle esperienze della scrittura scenica e delle mutazioni introdotte dal cinema, dal video e dalle nuove tecnologie multimediali, allo stesso modo non può non confrontarsi con le indicazioni che emergono dal consolidamento di una tradizione che vede nella relazione con il testo un elemento centrale dell'identità registica. Quale sintesi è dunque possibile tra le tracce della scrittura scenica, le tracce di una rigenerata tradizione del testo che però invoca il nuovo, e le tracce di una presenza invasiva sulla scena (ma ancor più nel quotiiano) delle tecnologie audiovisuali? Quando ci si riferisce alla drammaturgia contemporanea, territorio piuttosto fluido e ancora poco codificato, è opportuno in prima istanza individuare i modelli, impliciti o espliciti, a cui essa fa riferimento. Questi sono riconducibili a sei tipologie: 1) il canone drammaturgico moderno, di cui abbiamo parlato, che ha un'influenza determinante sulla produzione drammaturgica dell'ultimo trentennio; 2) la riscrittura del testo teatrale classico (o di un testo letterario) che è la scelta più diffusa trai registi e gli attori-autori e consiste in una sorta di rovesciamento del teatro classico e borghese dove la regia era al servizio del testo: qui invece si attualizza, si riduce, si smonta e si rimonta il testo classico adattandolo alle idee registiche o alle inclinazioni attoriali; 3) il testo mitologico, che rievoca i modelli e le varianti del racconto orale e di un repertorio mitologico transculturale molto esteso nello spazio, nel tempo, e nei suoi valori simbolici; 4) il testo destrutturato, frammento concettuale, poetico o prosastico di una narrazione esplosa e non ricomponibile, tipicamente post-moderna; 5) il testo iperstrutturato, che riproduce schemi narrativi chiusi, sedimentati e prestabiliti, le cui radici si trovano nella grande letteratura romantica ottocentesca e ora tendono a rispecchiare` la fiction cinetelevisiva contemporanea; 6) la cronaca rielaborata, intesa come drammatizzazione di vicende biografiche o di eventi reali, dalla cronaca o dalla storia, particolarmente drammatici o emblematici Il racconto mitologico porta sicuramente in sé una forte chiave simbolica di lettura e di coinvolgimento emotivo, ma rischia di mantenere un alto grado di astrazione dall'esperienza del contemporaneo, a meno 313_____________________________ VERSO UNA DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE che riesca a interiorizzare nell'universalità dei suoi procedimenti espressivi la singolarità del qui e ora. I risultati più efficaci giungono quando si riesce a realizzare una sintesi tra i grandi temi contemporanei e le forme del racconto mitologico o teologico (come in Genesi, della Raffaello Sanzio Socìetas, 1999) o della sua dimensione epica (come nell'«Odissea» dei migranti contemporanei in Le dernier Caravansérail del Théàtre du Soleil, 2003). Oppure quando l'interpretazione «mitologica» del contemporaneo mantiene nella scrittura dell'autore le tracce «etniche» delle sua comunità d'origine (come nella drammaturgia del premio Nobel nigeriano Wole Soyinka). Infine, può rientrare in questo ambito la teatralizzazione delle mitologie proiettate sul futuro (come quelle della letteratura cyberpunk). La narrazione destrutturata e quella c o n c e t t u a l e rischiano nei casi più estremi un'ermeticità elitaria, penalizzando la comunicazione con il grande pubblico (è il caso di una certa ricerca che si situa tra la performance e il teatro), nello stesso tempo, quando rimettono al centro dell'evento teatrale una ricerca poetica autentica, si riallacciano alla nobile tradizione del teatro simbolista (da Mallarmè in poi) o alla vitalità degli happening poetici (dalle avanguardie storiche alla beat generation). La narrazione iperstrutturata, all'opposto, tende a riprodurre un modello di narrazione ipercodificata, sottomessa agli schemi strutturali della narrazione tradizionale o alle rigide leggi seriali della fiction cinematografica e televisiva, ma ripropone anche, in rari casi (soprattutto derivati dalla letteratura), un ritorno alla «grande narrazione», importante come veicolo di massa di una cultura e di una memoria del contemporaneo. La cronaca rielaborata è uno dei modelli più praticati e fortunati, soprattutto nei monologhi degli attori-autori; i temi affrontati sollevano problemi etici, di indagine storica, di denuncia politica e sociale, con forti richiami alla memoria collettiva della realtà e perciò con un'immediata presa sul pubblico (uno dei più riusciti esempi italiani è Il racconto del Vajont di Paolini e Vacis, 1993). Qui il principale rischio da evitare è quello di appiattire il linguaggio sulla semplice illustrazione degli enti e di costruire una prevedibile retorica dei sentimenti. È comunque molto importante, in questo modello drammaturgico, la volontà di valorizzare il rapporto tra memoria e comportamento, tra consapevolezza e atto. La scrittura è per statuto memoria della parola, ma è oggi una memoria insufficiente e si rende necessaria una riconfigurazione della scrittura della memoria come laboratorio della scrittura plurisensoriale. La memoria storica, che è condizione fondamentale per la formazione di un patrimonio culturale, oggi è quantitativamente estesa dalla tecnologia ANDREA BALZOLA 314 digitale, ma nello stesso tempo viene continuamente cancellata dalla cronaca mediatica del presente. Qualsiasi evento sia sociale sia culturale, anche di grande portata come le guerre e le catastrofi umanitarie di questi decenni, non ha un tempo di deposito e di riflessione, perché è immediatamente sovrimpresso da una sequenza ininterrotta di altri eventi. La scrittura ritrova qui una funzione più che mai vitale: ancorare la proliferazione di immagini e parole a una memoria poetica, simbolica e riflessiva capace di depositare le sue tracce in un processo artistico che è nello stesso tempo una visione del mondo. Una visione che per esplicitarsi ha però bisogno dì nuove coordinate espressive e nuovi strumenti comunicativi. Infatti, tanto la memoria quanto il comportamento necessitano oggi più che mai di essere interpretati e trasmessi sinesteticamente, cioè attraverso un'esperienza plurisensoriale che renda conto delle indissolubili interazioni che avvengono nel nostro scenario quotidiano tra modelli narrativi, modelli iconici, modelli sonori, anche modelli tattili e olfattivi. 5. Prospettive della drammaturgia multimediale Le mutazioni ipermediali della scena procedono nella direzione di un progressivo coinvolgimento dello spettatore nel processo della creazione artistica e la mutazione «genetica» dello spazio in un ambiente che non è più luogo neutro contenitore di eventi, ma spazio sensibile, estensibile, modellante e modulabile. Questa mutazione, che coinvolge il divenire di tutte le arti, ha sulla scena delle ripercussioni forse ancora lente ma sicuramente irreversibili che procedono nella direzione di una perdita della «frontalità» spaziale, una perdita della «linearità» temporale del testo spettacolare, e nella conseguente apertura alla nuova dimensione di un «ambiente ipertestuale» (A. Menicacci ed E. Quinz, 2001). Un ambiente che deve essere «programmato», perciò scritto, con un linguaggio interattivo dove parole, suoni e azioni si configurano mediante la generazione potenzialmente illimitata di interfacce. Un altro aspetto fondamentale di questa trasformazione riguarda il pro, cesso creativo della scrittura drammaturgica, in cui viene superata la tradizionale separazione tra la fase progettuale del testo (o fase letteraria) e le fasi di visualizzazione e sonorizzazione dello stesso: il modello ipertestuale consente di lavorare contestualmente sui diversi linguaggi, attuandone così un approccio multimediale. Alcuni grandi registi cinematografici (come Antonioni, Coppola, Godard, Greenaway, Kubrick) intuiscono fin dai primi anni Ottanta che il futuro del cinema stesso sarebbe stato elettronico e introducono delle innovazioni di 315 VERSO UNA DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE grande rilevanza nei procedimenti tecnici e creativi del film. Francis Ford Coppola in particolare inventa la «sceneggiatura elettronica» che anticipa l'ipertesto drammaturgico multimediale (in occasione della realizzazione del film Un sogno lungo un giorno, del 1981, un'onirica commedia cinematografica misconosciuta dalla critica ma molto innovativa nella sua concezione e realizzazione). In essa cade la tradizionale distinzione tra la fase di progettazione del film (ridefinita da Coppola previsualizzazione») e la fase della sua realizzazione. Dal momento della scrittura al momento delle riprese è un unico work in progress: «Lo script si è trasformato in una sceneggiatura audiovisiva o meglio in un "copione elettronico". Questo costituiva l'armatura sulla quale avremmo strutturato il film. Il copione elettronico è diventato il filo di collegamento sul quale l'informazione passava, veniva tagliata e spedita al laboratorio per la rimozione o correzione.»10 La trasposizione sull'elaboratore della sceneggiatura scritta realizza un copione elettronico; recitato dalle voci degli attori e provvisoriamente musicato diventa un «radiodramma»; con l'illustrazione delle scenografie (tramite diapositive dei modellini animate al videotape) l'elaborato si trasferisce su nastro magnetico, organizzando la sceneggiatura in un primo tempo filmico. Questa fase viene a sua volta aggiornata e sviluppata con l'inserimento di scene recitate dagli attori negli studios, e poi dalla ripresa in videotape dell'intero film negli ambienti reali di Las Vegas per favorire una ricostruzione e una recitazione fedele all'atmosfera originale (poiché gli ambienti del film sono totalmente ricostruiti); intanto la composizione musicale di Tom Waits procede di pari passo con la composizione dell'immagine. Tutto questo con la possibilità di rivedere il materiale in qualsiasi momento; la previsualizzazione permette così di sperimentare le riprese prima di girarle nella loro versione definitiva, riducendo al minimo i tempi, i costi, e semplificandone le modalità. Le riprese sono poi controllate su un monitor durante la realizzazione e riviste subito dopo per la verifica finale, con la facoltà immediata di correzione; tutta la produzione audiovisiva viene simultaneamente seguita e guidata dal regista. Infine il montaggio, decisamente agevolato da questo sistema, può avvenire con la sperimentazione di tutte le combinazioni al computer (A. Balzola, 1985). Le trasformazioni della scrittura drammaturgica in relazione ai nuovi media si possono riassumere in quattro «passaggi» principali, tra loro conseguenti. Il Passaggio dalla macronarrazione lineare alla micronarrazione non se 10 T. Brown, Film e tecnologie video, in T. Verità (a cura di), Il cinema elettronico, Liberoscambio, Firenze 1982, p. 115. ANDREA BALZOLA 316 quenziale fa seguito a due innovazioni portate dall'evoluzione interattiva dei media. La prima è lo zapping, cioè l'uso televisivo del telecomando che frammenta la fruizione di un programma e consente una visione parallela di più programmi. La seconda innovazione, ancora più radicale, è quella aperta dai nuovi media digitali, on-line come il Web e off-line come cd-rom e dvd, dove letturavisione-ascolto non sono più lineari ma sviluppano una navigazione non sequenziale e ipertestuale. Allora la scrittura drammaturgica, o si frantuma caoticamente come nella narrazione destrutturata, oppure elabora delle unità testuali minimali e nomadi, ma compiute, che possono agganciarsi e sganciarsi nell'ipertesto spettacolare. Il passaggio dal testo all'ipertesto e dall'autore singolo all'autore collettivo: invece di creare un singolo testo, si tende a creare un ipertesto, cioè una mappa di testi, immagini e suoni tra loro linkati, realizzabili da uno o più autori o da un team artistico. Nella definizione ormai classica di Landow, l'ipertesto è un testo composto da blocchi di informazioni verbali, visive e sonore e da collegamenti (link) elettronici (G. Landow, 1992). C'è un'ulteriore differenza tra una scrittura non sequenziale, dove l'autore crea delle ramificazioni nel testo, introducendo una molteplicità di percorsi possibili collegati fra di loro, ma decisi e pilotati dall'autore stesso, in genere con un finale predefinito, e una scrittura iper-testuale vera e propria, dove l'autore crea una mappa di possibilità ma è il lettore (o l'attore o lo spettatore o entrambi) a decidere quali percorsi fare, quindi quale testo costruire e come concluderlo. In questo caso c'è un autore (o più) che crea e organizza i materiali iniziali e poi un autore collettivo che ricrea, con molteplici variabili, la sua sequenza testuale. Le repliche dello spettacolo saranno così ogni volta differenti. Secondo tale modalità, inoltre, si produce uno spettacolo dove gli autori, il performer e gli spettatori possono interagire tra loro e con le interfacce tecnologiche, sia nella fase laboratoriale sia nella fase finale della messinscena. Tomàs Maldonado, tra gli altri, ha espresso delle legittime riserve sull'efficacia e sulla fondatezza dei due princìpi distintivi dell'ipertesto: la non sequenzialità e la relativizzazione del ruolo dell'autore. Nel primo caso, la ramificazione dei percorsi può rischiare di trasformarsi in una sorta di gioco letterario, nel secondo caso il ruolo dell'autore non sarebbe ridimensionato a vantaggio del fruitore, sarebbe piuttosto occultato come un regista del testo che pilota il lettore/spettatore in una serie di scelte solo apparentemente libere (vedi Antologia). Ora, se l'ipertesto non è composto in modo meccanico, e la molteplicità dei percorsi formali corrisponde a una molteplicità dei sensi possibili, la componente ludica (rivendicata già dai dadaisti) diventa un valore aggiunti- 317 VERSO UNA DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE vo che favorisce anche la teatralizzazione; la limitazione del campo di scelte del fruitore all'interno di un ipertesto teatrale garantisce invece ampi margini interattivi senza disgregare però le articolazioni che generano il senso, o i sensi, dell'evento scenico. Il passaggio dal testo scritto e dalla scrittura scenica alla scrittura sinestetica rianima le differenti utopie dell'opera d'arte totale, delle corrispondenze sinestetiche e dell'accostamento/contrasto tra i linguaggi espressivi che, come abbiamo visto nella prima parte di questo volume, avevano acceso molte generazioni di artisti dal romanticismo alle avanguardie del Novecento. Per superare una semplice giustapposizione delle arti in un loro insieme realmente integrato, la «sintesi delle arti» secondo Appia deve essere il frutto di una «necessità organica», e quindi va «governata da un principio regolatore che è l'espressione diretta della volontà creatrice dell'artista, e ciascuna arte, mantenendo la sua specificità è condizionata dai rapporti con questo principio regolatore».11 Il principio regolatore, che nella visione gerarchica di Appia era la musica, nell'ambito non gerarchico della sintesi multimediale (o ipermedíale) delle arti è l'idea drammaturgica. Nell'ambiente ipertestuale infatti non si scrivono più (soltanto) dialoghi e didascalie ma eventi performativi in tempo reale, che uniscono fin dal loro nucleo costitutivo la pluralità dei linguaggi sensoriali. Qui la scrittura drammaturgica non precede più l'evento, ma procede con esso, lo pilota e ne è pilotato. Anche quando l'obiettivo non sia una sintesi tra i linguaggi, ma creare una risonanza tra essi (sulla scia di Baudelaire o Kandinskij), una dissonanza o contrasto (Mejerchol'd ed Eisenstein), un accostamento casuale (Cage e Cunningham), la genesi creativa parte dalla scrittura di una partitura dei linguaggi e delle loro relazioni. La scrittura sinestetica digitale differisce dalle precedenti esperienze e teorie, perché la condizione di percezione sinestetica non è più il punto d'arrivo di una convergenza o corrispondenza tra linguaggi «naturali» (corpo, voce, suono ecc.), ma è il punto di partenza degli ambienti virtuali interattivi. Lo ricorda con chiarezza De Kerckhove: «Il lavoro della pittura, della musica, della scultura era di coltivare ciascuno dei sensi separatamente, al servizio del senso nelle arti figurative o nelle strutture melodiche. Quello del virtuale sarà di riunirli e di tradurli nella sinestesia obbligata del digitale. Se il testo aveva separato il corpo dalla mente, e il senso dai sensi, il virtuale adesso li sta riunificando». Quindi il progetto drammaturgico diventa: come usare creativamente l'esperienza sinestetica, o, in termini più precisi, come modellare la percezione e l'azione sinestetica indotta ANDREA BALZOLA 318 artificialmente mediante l'hardware e il software in una scena completamente virtuale. Nello stesso tempo, come suggerisce Paolo Rosa, c'è una nuova forma di sinestesia che si affaccia nel nostro tecno-mondo, ed è quella di una percezione simultanea del reale e del virtuale, cioè quando le due sfere percettive - accade sempre più spesso - tendono a sovrapporsi, fino a confondersi. L'ultimo passaggio evolutivo nell'ambito della drammaturgia multimediale è il passaggio dal teatro-spettacolo allo spettacolo-laboratorio, che unifica i momenti tradizionalmente separati della scrittura, del progetto registico, dell'interpretazione e della fruizione. Il testo, o meglio, l'ipertesto drammaturgico, il progetto scenico o coreografico, la partitura sonoramusicale, l'installazione, il video digitale, il software, non appartengono più a generi diversi ma divengono fasi di un processo aperto, tasselli di un mosaico spaziale e temporale mutante, flessibile e comunicativamente forte che dà un'opportunità creativa senza precedenti alla comunità autorale e alla comunità pubblico di disegnare insieme una mappa sinestetica delle narrazioni possibili del contemporaneo. Il pubblico, in questa prospettiva, non è soltanto coinvolto alla fine del percorso drammaturgico e registico, ma durante il percorso stesso, mediante laboratori aperti (qualcosa di più e di diverso delle «prove aperte»), che mostrano anche l'uso creativo delle tecnologie, togliendo quell'aura di impenetrabilità tecnica che spesso separa il valore d'uso creativo della tecnica dalla consapevolezza collettiva. Questi passaggi presuppongono però una diversa relazione «etica» con l'innovazione tecnologica, che segni una netta distinzione tra finzione artistica e simulazione manipolatoria della realtà e che valorizzi la singolarità di ogni esperienza (e delle relative radici storiche e culturali). In opposizione al modello seriale della globalizzazione, che trova oggi nell'uso politico dei mass media e nell'uso commerciale dei new media gli strumenti privilegiati di omologazione.