La Guerra del Peloponneso
Perché si parla di Guerra del Peloponneso?
La definizione è connessa alle cause della guerra, che possono essere riassunte
schematicamente in 3 episodi fondamentali:
1. Nel 433 Atene intervenne in un conflitto scoppiato tra Corinto, alleata di Sparta e
rivale commerciale di Atene, e Corcira (oggi Corfù), colonia corinzia. Al termine
di questo conflitto, Corinto ebbe la meglio, ma cominciarono ad avvertirsi forti
sintomi di risentimento verso Atene, anche da parte dell’alleata Sparta.
2. Nel 432 Atene assedia Potidea, nella penisola calcidica, anch’essa colonia di
Corinto, ma affiliata alla lega delio-attica, che si era rifiutata di rompere i legami
con la madrepatria. Ancora una volta, Atene e Corinto si scontrarono;
3. L’ultimo incidente si verificò nel 431, quando Atene negò a Megara, alleata di
Sparta, nonché affiliata alla Lega Peloponnesiaca, l’accesso a tutti i porti della
Lega delio-attica: un tale divieto ne decretava di fatto la rovina economica. A
questo punto Sparta, temendo di perdere la supremazia sul Peloponneso e la guida
della Lega Peloponnesiaca, intimò ad Atene di ritirare il decreto; Pericle rifiutò e
questo determinò l’inizio della guerra.
Stando ai fatti, dunque, l’iniziativa della guerra fu dei Peloponnesiaci (e per questo è la
guerra “del” –che vuol dire “dal”- Peloponneso), ma nelle cause ultime, quelle indirette e
lontane nel tempo, la responsabilità autentica spetta ad Atene ed è il riflesso della sua
politica espansionistica (ovvero imperialista).
In gioco ci sono interessi economici e politici che investono da un lato l’area del
Peloponneso, dove però Sparta si pone quale garante della libertà delle poleis sue alleate;
dall’altro c’è Atene, punto di riferimento per le fazioni democratiche di cui sosteneva il
potere nelle poleis subordinate al suo dominio. Di fatto, dunque, Sparta garantiva una libertà
effettiva alle sue alleate, mentre Atene imponeva con la forza l’instaurarsi di regimi
democratici.
La guerra del Peloponneso si può dividere in tre fasi:
a. la prima (431-421), la cosiddetta “guerra archidamica” -dal nome del re
spartano Archidamo II che fu a capo dell’esercito che invase l’Attica e Atene nel
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431, anno d’inizio delle ostilità-, o anche “guerra decennale” come la chiama il
grande storico Tucidide, la nostra fonte più importante. In questo periodo non fu
possibile per nessuno dei due schieramenti prevalere sull’altro;
b. la seconda, (415-413), vide Atene impegnata in una spedizione in Sicilia, nel
tentativo di estendere la propria sfera di influenza. Questo tentativo costò ad
Atene una sconfitta, benché non decisiva;
c. la terza (411-404), che segnò la ripresa delle ostilità dopo un periodo di
sospensione del conflitto, vide l’intervento decisivo della Persia al fianco di
Sparta.
Quest’ultima fase va sotto il nome di “guerra deceleica”.
La prima fase: la guerra archidamica
La guerra ebbe inizio nella primavera del 431 con l’invasione di Platea, da sempre alleata di
Atene, da parte di un contingente tebano. I Tebani vennero sconfitti e giustiziati, ma la pace
stipulata tra Atene e Sparta nel 446 venne violata per sempre.
Due mesi dopo l’attacco a Platea, 20.000 opliti al seguito del re spartano Archidamo
invasero l’Attica, devastandone le campagne. Gli Ateniesi si rifugiarono all’interno delle
Lunghe Mura del Pireo e la flotta ateniese compì scorrerie sulle coste del Peloponneso.
Cominciò una guerra di logoramento che proseguirà per tutta la durata di questa fase. Nel
430, tuttavia, un evento intervenne a sconvolgere gli equilibri: lo scoppio della peste, che
decimò la popolazione dell’Attica e che provocò la morte dello stesso Pericle1.
Alla morte di Pericle, seguirono forti tensioni politiche: da un lato c’erano i proprietari
terrieri che avrebbero voluto la pace immediata e che erano sostenuti dai capi militari, tra i
quali Nicia; dall’altra c’erano gli interessi di marinai, commercianti e artigiani che
incitavano all’espansione marittima di Atene, capeggiati da Cleone, commerciante del
cuoio. Si composero così due partiti, quello degli oligarchici o conservatori e quello dei
democratici o radicali, e nel 426 Cleone e il partito della guerra presero il sopravvento.
Dopo che nel 427 Platea venne distrutta da truppe spartane e tebane e l’isola di Lesbo
abbandonò la lega senza che gli Ateniesi potessero ricondurla con la forza, gli Ateniesi
inflissero un duro colpo a Sparta occupando Pilo, sulla costa occidentale del Peloponneso, e
catturando 120 spartiati che presidiavano l’antistante isola di Sfacteria (425). Poco dopo
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La peste ci viene descritta da Tucidide nel II libro delle sue storie.
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però Sparta reagì con orgoglio e un contingente guidato dal generale Brasida attraversò
tutta la Grecia giungendo fino ad Anfipoli (422), caposaldo di Atene in Tracia, dove fu
accolto come liberatore. Per Atene era un colpo durissimo, sia perché dal controllo di
quell’area dipendevano i regolari rifornimenti di grano provenienti dal Mar Nero, senza i
quali Atene sarebbe stata ridotta alla fame, sia perché ad Anfipoli c’erano le miniere d’oro e
d’argento del monte Pangeo. Cleone accorse per fronteggiare Brasida e i due eserciti si
scontrarono alle porte della città. Entrambi i generali persero la vita e dunque scomparvero i
due più importanti sostenitori della guerra.
Allora sia ad Atene che a Sparta prevalsero le fazioni moderate: nel 421 fu stipulata una
pace di compromesso, la “pace di Nicia”: entrambe le fazioni dovevano restituire tutti i
territori occupati e la tregua doveva durare cinquant’anni.
La seconda fase: la guerra in Sicilia
La nuova pace, tuttavia, non serviva a nessuno e di fatto le clausole non vennero rispettate:
Atene riprese le sue mire espansionistiche, sostenuta dal politico allora emergente,
Alcibiade, spregiudicato nipote di Pericle. Nel 416, infatti, si impadronì dell’isola di Melo,
nelle Cicladi, che fino ad allora si era mantenuta neutrale, ma i cui abitanti erano di origine
dorica, come gli Spartani. I Meli si rifiutarono di entrare a far parte della Lega delio-attica e
per questo la città fu occupata e i suoi abitanti furono venduti o uccisi.
Alcibiade non si accontentò e, per estendere l’influenza di Atene verso occidente, approfittò
di una guerra scoppiata in Sicilia fra Segesta, alleata di Atene, e Siracusa, alleata di Sparta
(415).
La grande spedizione, capeggiata dallo stesso Alcibiade, in effetti fallì e il comandante,
accusato di sacrilegio, si rifugiò a Sparta. Nel mentre, la flotta ateniese, capeggiata da Nicia,
non seppe escogitare una strategia vincente e nel 414 Sparta, su consiglio di Alcibiade,
inviò un contingente, comandato dal generale Gilippo, che distrusse la flotta ateniese
nell’autunno del 413. L’esercito, sbarcato a terra, in un vano tentativo di fuga, fu catturato: i
generali furono giustiziati e i soldati vennero gettati nelle latomie2.
Nello stesso anno di questa disfatta, era ripresa la guerra con Sparta e l’Attica era
nuovamente sotto assedio.
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Impressionanti cave di pietra, ancor oggi visitabili a Siracusa.
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La terza fase: la guerra deceleica
Nel 413 ricominciò la guerra tra Sparta e Atene: Sparta sfruttò, su consiglio di Alcibiade,
l’alleanza dei Persiani, che rifornivano la polis di armi e denaro, per limitare l’egemonia di
Atene. La Persia avrebbe guadagnato da questa alleanza la riconquista della città dell’Asia
Minore.
Nel 413 gli Spartani conquistarono Decelea, un borgo non lontano da Atene, il cui blocco
impediva lo sfruttamento delle miniere del Laurion, rendeva impossibile lo sfruttamento
agricolo dei terreni della regione e favoriva la fuga degli schiavi, mettendo in ginocchio
Atene e favorendo il ritorno del regime oligarchico, che si instaurerà nel 411, abolendo ogni
forma democratica3; contemporaneamente allestirono una flotta con le sovvenzioni dei
Persiani, cosicché la guerra si combatté per mare ed ebbe come obiettivo il controllo
dell’Ellesponto.
Gli oligarchi, tuttavia, rimangono poco al potere: malvisti dalla popolazione che, non a
torto, temeva la loro propensione di accordarsi con Sparta, se non addirittura arrendersi al
nemico, vengono spazzati via da una rivolta cittadina.
Teramene, che aveva attivamente partecipato all'organizzazione oligarchica, riesce a gestire
la transizione alla democrazia: il potere non torna immediatamente all'assemblea generale,
ma viene temporaneamente gestito dai cinquemila. Secondo Tucidide, questo è il periodo in
cui Atene gode della migliore amministrazione di tutta la sua storia.
Nel 410 Alcibiade, richiamato ad Atene dai democratici che avevano ripreso il potere,
ottenne una vittoria a Cizico in Bitinia (Asia Minore), ma successivamente subì una disfatta
(407) e venne definitivamente bandito. Atene, a questo punto, riuscì a sopraffare la flotta
spartana ancora nel 406 presso le isole Arginuse; un errore politico, tuttavia, – gli strateghi
vennero accusati di non aver soccorso i dispersi in mare dopo la battaglia e furono per
questo condannati a morte -, provocò la disfatta definitiva l’anno successivo (405), presso la
foce del fiume Egospotami, dove decisiva fu l’abilità del comandante spartano Lisandro.
Nel 404, dissanguata di uomini e mezzi, Atene dovette arrendersi ad una pace umiliante:
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sciogliere la lega,
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divenire alleato-suddito di Sparta,
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abbattere le Lunghe Mura,
In un’assemblea straordinaria infatti si decretò l’abolizione delle indennità, i diritti politici furono ristretti ad un
gruppo di 5000 cittadini da scegliere in base al censo, la bulé venne sciolta mentre un consiglio di 400 membri
assumeva con pieni poteri il governo della città. Sotto il peso della sconfitta militare crollava la democrazia ateniese.
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
rinunciare a tutti i possedimenti esterni e alle cleruchìe,

consegnare la flotta da guerra, tranne dodici navi,

entrare a far parte della lega del Peloponneso,

accettare una nuova costituzione di stampo oligarchico, redatta da una commissione
di 30 persone di orientamento filo-spartano (i Trenta Tiranni).
Sottoscrivendo il trattato, gli Ateniesi decretarono di fatto la fine della loro potenza.
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