“LA POLITICA MONETARIA”
PROF. MATTIA LETTIERI
Università Telematica Pegaso
La politica monetaria
Indice
1
GLI OBIETTIVI DELLA POLITICA MONETARIA ----------------------------------------------------------------- 3
2
I MECCANISMI DI TRASMISSIONE DELLA POLITICA MONETARIA -------------------------------------- 5
3
LA POLITICA DI STABILIZZAZIONE DEI TASSI DI INTERESSE -------------------------------------------- 7
3.1
L’ESPERIENZA ITALIANA ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
4
LA POLITICA MONETARIA PER I KEYNESIANI E PER I MONETARISTI-------------------------------- 11
5
GLI STRUMENTI DELLA POLITICA MONETARIA -------------------------------------------------------------- 13
6
I CANALI DI TRASMISSIONE ------------------------------------------------------------------------------------------- 16
7
EFFICACIA DELLE POLITICHE MONETARIE -------------------------------------------------------------------- 17
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1
La politica monetaria
Gli obiettivi della politica monetaria
La politica monetaria e creditizia è, insieme alla politica fiscale, una componente
importantissima della politica economica.
L’intervento dello Stato nell’economia mediante la spesa pubblica e il prelievo tributario è la
cosiddetta politica fiscale, ma non è l’unico tipo di intervento possibile perché vi sono anche
strumenti di tipo monetario che servono a orientare le scelte private, che danno luogo a quella che si
chiama la politica monetaria.
Lo strumento tipico di politica monetaria è la variazione dell’offerta di moneta.
Quando la moneta aumenta, ad esempio, l’offerta di credito aumenta e il tasso di interesse si
riduce. La riduzione del tasso di interesse provoca un aumento degli investimenti che gli
imprenditori vorranno realizzare.
L’aumento degli investimenti provoca un aumento del valore di equilibrio del reddito
nazionale. Perciò, una variazione dell’offerta di moneta e di credito consente alle autorità monetarie
di influire sul valore di equilibrio del reddito in modo da favorire la piena utilizzazione delle risorse.
La politica monetaria si intreccia con la politica fiscale, perché la variazione dell’offerta di
moneta, che è un atto di politica monetaria, si accompagna con la variazione della spesa pubblica,
che è un atto di politica fiscale.
Per poter valutare gli effetti di un aumento dell’offerta di moneta che serve a finanziare un
deficit di bilancio bisogna, perciò, esaminare al contempo gli effetti di un aumento della spesa
pubblica e quelli di un aumento dell’offerta di moneta.
Spesso risulta difficile distinguere se una misura di politica economica rientra nella politica
fiscale o in quella monetaria.
Si è soliti operare la distinzione sulla base di due diversi criteri: in basa alle autorità che
prendono la decisione o in base ai mercati che da tale decisione sono influenzati.
Secondo la definizione di Hansen, la politica fiscale comprende ogni transazione
governativa in tema di tasse, imposte, spesa pubblica che influenzi l’ammontare del debito pubblico
ma non la sua composizione.
Di conseguenza, è un atto di politica monetaria ogni decisione che riguardi la composizione
del debito pubblico ma non il livello del suo ammontare.
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La politica monetaria
La politica monetaria deve tener conto di obiettivi ugualmente desiderabili ma, spesso, fra
loro contrastanti.
I principali obiettivi cui la politica monetaria si rivolge sono:

La crescita dell’attività economica ed il contenimento delle sue fluttuazioni.
Ciò si sostanzia nel sostegno alla produzione per limitare la disoccupazione;

La stabilità monetaria, ovvero la difesa del potere di acquisto della moneta ed
il contenimento della crescita dei prezzi;

L’equilibrio nei conti con l’estero, soprattutto per quanto riguarda la stabilità
del cambio;

La crescita del capitale reale, conseguente ad un elevato saggio di
investimenti.
Oltre a questi obiettivi la politica monetaria può perseguire altri obiettivi più specifici, quali
una migliore efficienza dei mercati e degli intermediari finanziari, uno sviluppo della struttura
creditizia capace di assicurare stabilità al sistema e prevenire crisi bancarie, un’ottimale allocazione
del risparmio.
Tali obiettivi sono configgenti: perseguire la piena occupazione comporta quasi sempre
pericoli inflazionistici e non sempre l’equilibrio della bilancia dei pagamenti è, almeno nel breve
periodo, compatibile con la stabilità dei prezzi e la crescita del sistema economico. Di qui la
necessità che i policy makers esplicitino le proprie preferenze e che i tecnici scelgano gli strumenti
più appropriati.
La scelta fra i diversi strumenti a disposizione viene diversamente valutata dalle varie scuole
economiche.
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I meccanismi di trasmissione della politica
monetaria
Possiamo ora comprendere come la politica monetaria contribuisce a modificare il reddito
nazionale.
Secondo Keynes, sul mercato monetario si determina il saggio di interesse i.
Il saggio di interesse è essenziale per determinare il livello degli investimenti privati I.
Infatti, più è alto il tasso di interesse, meno imprenditori potranno prendere capitali a prestito
dal settore bancario. Se invece il tasso di interesse è basso, un numero più alto di imprenditori potrà
chiedere prestiti alle banche ed effettuare nuovi investimenti I.
Gli investimenti privati I, così come i consumi aggregati C e la spesa pubblica G, sono
componenti della domanda aggregata (C + I + G), quindi, un loro aumento ha un effetto espansivo
sul reddito nazionale, effetto accresciuto grazie al meccanismo del moltiplicatore.
Così se la Banca Centrale vuole incrementare il reddito nazionale, politica monetaria
espansiva, dovrà aumentare l’offerta di moneta Ms.
Tale decisione comporterà le seguenti conseguenze:
aumento offerta di moneta (Ms), diminuzione saggio di interesse (i), aumento investimenti
privati (I), aumento delle vendite delle imprese (Y = 1/1-c (C + I + G)), aumento del consumo
aggregato (C + I + G).
Quindi, un aumento dell’offerta di moneta ha tanta più efficacia quanto più essa è in grado
di ridurre il tasso di interesse e quanto più la riduzione del tasso di interesse stimola gli
investimenti.
La differenza fra politica di bilancio e politica monetaria consiste in:

La politica di bilancio agisce direttamente sulla domanda aggregata grazie
alle variazioni della spesa pubblica G. Tali variazioni si ripercuotono sul
reddito nazionale in misura amplificata grazie al meccanismo del
moltiplicatore;
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
La politica monetaria
La politica monetaria, invece, agisce sulla domanda aggregata solo in forma
indiretta, attraverso le variazione indotte dal saggio di interesse i sugli
investimenti privati I.
Rispetto alla politica di bilancio il percorso è più tortuoso poiché prevede un numero
maggiore di passaggi.
Se il sistema economico è caratterizzato da una situazione di trappola della liquidità, la
politica monetaria è inefficace, infatti, non essendo in grado di abbassare il tasso di interesse, essa
non potrà influenzare gli investimenti e il reddito.
In questa situazione solo la politica di bilancio, aumento della spesa pubblica, di munizione
delle imposte, potrà elevare il reddito nazionale di equilibrio.
L’efficacia della politica monetaria dipende da:

La flessibilità del tasso di interesse, che è tanto maggiore quanto meno
elastica è la curva della preferenza per la liquidità;

L’elasticità della curva dell’efficienza marginale del capitale.
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La politica di stabilizzazione dei tassi di
interesse
Una politica di tipo Keynesiano è quella che tende a stabilizzare i tassi di interesse e, con
essi, i prezzi delle obbligazioni.
La politica consiste nel fare continue operazioni di mercato aperto nella misura necessaria a
mantenere costanti i tassi di interesse.
Consiste, quindi, nella vendita di obbligazioni da parte delle autorità monetarie quando il
prezzo di esse sale e nell’acquisto di obbligazioni quando il mercato tende al ribasso.
Supponiamo ad esempio, che vi sia un aumento della domanda globale di merci che faccia
aumentare la produzione e con essa la domanda di moneta.
Se l’offerta di moneta fosse mantenuta costante, questo aumento della domanda di moneta
farebbe aumentare il tasso di interesse, perché imprese e famiglie sarebbero indotte a vendere titoli
allo scopo di procurarsi le disponibilità monetarie desiderate.
In questo caso, il Tesoro o la Banca Centrale, se vogliono contrastare l’aumento dei tassi di
interesse, devono fare operazioni di mercato aperto, acquistando titoli e fornendo in cambio la
moneta di cui il sistema ha bisogno.
La conseguenza di questa politica è che l’offerta di moneta diventa endogena, perché, se si
vuol evitare ogni aumento del tasso di interesse, l’offerta di moneta deve variare nello stesso
ammontare in cui varia la domanda di moneta.
In questo modo, l’offerta di moneta sfugge al controllo delle autorità monetarie e viene ad
essere determinata esclusivamente dalla domanda: ad ogni tasso di interesse, quale che sia la
domanda di moneta, l’offerta di moneta si deve adattare passivamente ad essa.
La politica della stabilizzazione dei tassi di interesse è una politica di tipo opposto a quella
suggerita dai monetaristi, perché nel caso le autorità monetarie rinunciano ad ogni controllo
sull’offerta di moneta , che diventa endogena, e rinunciano così a controllare sia il livello del
reddito che il livello dei prezzi tramite il controllo della base monetaria.
Quindi, una politica di stabilizzazione dei tassi di interesse è per sua natura una politica
monetaria accomodante, una politica cioè che adatta l’offerta di moneta alla domanda di essa.
Una politica accomodante elimina lo spiazzamento e rende, quindi, più efficace la politica
fiscale.
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Quando la politica monetaria è accomodante il moltiplicatore della spesa pubblica e della
tassazione esplica appieno i suoi effetti.
Il saggio di interesse sale quando il prezzo dei titoli scende, e viceversa, ed è in equilibrio
quando domanda e offerta di titoli sono eguali.
Se la Banca D’Italia, ad esempio, vuole stabilizzare il prezzo dei titoli, evitando che salga o
scenda al di là di certi valori, deve vendere, senza limiti, titoli quando il loro prezzo sale ad un certo
livello, e deve comprare titoli quando il loro prezzo scende al livello più basso che si vuol
consentire.
Ma in tal caso l’offerta di titoli sarà data dall’offerta del pubblico più quella della Banca.
La Banca d’Italia è disposta a vendere tanti titoli quanti ne occorrono per stabilizzare il tasso
di interesse, ovvero tanti titoli quanti ne sono domandati, ed è tendenzialmente infinita, o
infinitamente elastica rispetto al tasso di interesse, perché l’offerta di titoli da parte della Banca
Centrale aumenta illimitatamente quando il tasso di interesse tende anche solo un poco a diminuire.
La domanda di titoli sarà data dalla domanda del pubblico più quella della Banca e la curva
della domanda complessiva di titoli risulterà anch’essa una spezzata.
Ma, se il prezzo dei titoli ha un limite massimo e un limite minimo, anche il tasso di
interesse potrà oscillare solo all’interno di una fascia e non potrà salire al di sopra o scendere al di
sotto dei limiti stabiliti.
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3.1
La politica monetaria
L’esperienza italiana
In Italia si è avuta una politica di stabilizzazione dei tassi di interesse per buona parte degli
anni ’60 e. in particolare, nel periodo 1966-1969 e poi dal 1971 al 1973.
Dal 1958 al 1969 la Banca d’Italia ha fatto operazioni di risconto e di anticipazione con il
sistema bancario senza ricorrere a variazioni dei tassi di interesse, a differenza di quel che accadeva
in altri paesi.
Solo dal 1969, ovvero da quando i mercati finanziari internazionali hanno manifestato una
fortissima instabilità, che la Banca d’Italia ha preso a manovrare sistematicamente il tasso ufficiale
di sconto.
La vera e propria politica di stabilizzazione dei tassi cominciò nella prima metà del 1996,
quando la Banca d’Italia decise di diventare acquirente o venditrice di una serie di titoli pubblici,
teoricamente per una quantità illimitata, a prezzi prefissati.
Lo scopo della politica fu quello di tenere basso il costo del finanziamento degli
investimenti e del debito pubblico, favorendo l’acquisto di titoli sia da parte delle banche sia da
parte del pubblico, perché si pensava che la stabilizzazione del prezzo dei titoli ne avrebbe reso più
facile la vendita, senza perdite in caso di necessità di vendite improvvise, e li avrebbe resi più
appetibili.
La politica di stabilizzazione dei tassi è durata in Italia dal 1966 al 1969 ad ha avuto, a
quanto è sembrato, molto successo, perché la stabilizzazione del prezzo dei titoli si estese anche a
titoli non oggetto di transazioni da parte della Banca d’Italia e nel periodo si ebbe un forte aumento
della domanda di titoli, sia da parte delle banche sia da parte delle famiglie, tanto che la Banca
d’Italia, anziché compratrice di titoli, divenne venditrice netta di essi.
La politica di stabilizzazione dei tassi è ritenuta inflazionistica dai monetaristi, perché essa
tende a tenere basso il tasso di interesse mediante emissione di moneta, per acquistare titoli.
In Italia in quegli anni, però, non sembra che sia stato questo il caso, perché la
stabilizzazione dei corsi stimolò la domanda di titoli da parte delle famiglie e delle aziende di
credito al punto tale che la Banca d’Italia, invece, di comprare, al netto, titoli li vendette.
Una politica di stabilizzazione dei corsi dei titoli può essere inflazionistica solo quando dà
luogo ad un aumento del rapporto moneta-obbligazioni, e se è vero che nel caso italiano nel periodo
in esame il rapporto in questione è diminuito, se ne deduce che la politica di stabilizzazione dei tassi
di interesse in Italia non è stata affatto inflazionistica.
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La politica monetaria
Un altro caso di stabilizzazione dei tassi di interesse si ha quando il governo emette titoli
dallo Stato in pubblica sottoscrizione imponendo alla Banca Centrale di acquistare tutti i titoli che
non riesce a collocare sul mercato. In questo caso il tasso di interesse sui titoli dello Stato avrà un
limite superiore al di sopra del quale non può salire.
In Italia un sistema del genere di aste di titoli pubblici è stato in vigore a partire dal 1975,
quando fu modificata la tecnica di emissione dei BOT precedentemente in vigore.
Con la riforma del 1975, infatti, furono autorizzati a partecipare all’asta dei BOT, oltre alle
aziende di credito, anche altri operatori, e tra essi la Banca d’Italia. A quest’ultima fu dato un ruolo
attivo nelle aste, allo scopo di far sì che la sua miglior conoscenza della situazione del mercato e le
sue opinioni sulla politica monetaria da perseguire potessero influenzare il prezzo di aggiudicazione
dei titoli.
Ma l’offerta di BOT fu tenuta alta, al di sopra della quantità che il mercato avrebbe
presumibilmente assorbito. Poiché la Banca d’Italia si era impegnata a comprare tutti i BOT che
non si riuscivano a collocare presso le famiglie, le imprese e le banche, in tal modo si venne di fatto
a fissare un limite massimo al tasso d’interesse.
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La politica monetaria
La politica monetaria per i Keynesiani e per i
monetaristi
Facendo riferimento all’efficacia di una politica monetaria, per i neoclassici il sistema
economico è sempre in equilibrio ed il reddito è sempre un reddito di piena occupazione, una
politica monetaria espansiva, che aumenti l’offerta di moneta, provocherà semplicemente un
aumento dei prezzi.
Infatti, se vale l’equazione quantitativa MV = PQ un aumento di M a parità di V e Q, che è
costante perché indica il reddito di piena occupazione, si scaricherà su P, provocando inflazione.
Per i Keynesiani, invece, un aumento dell’offerta di moneta provocherà un aumento della
domanda di titoli e, di conseguenza, della loro quotazione.
Però, poiché la quotazione di un titolo è inversamente proporzionale al suo rendimento,
ovvero al tasso di interesse, ne deriva che il saggio di interesse cadrà. Questo stimolerà gli
investimenti, cioè la domanda globale, e grazie all’effetto moltiplicatore si avrà un reddito più alto.
In una situazione di trappola della liquidità, però, tale processo non avverrà poiché
l’aumento dell’offerta di moneta andrà ad aumentare le scorte monetarie degli operatori. Occorrerà,
quindi, ricorrere alla politica fiscale, attraverso l’aumento della spesa pubblica.
Le idee principali su cui il monetarismo si incentra sono poche ma tutte di vasta portata.
La prima di queste idee parte da una critica al cosiddetto meccanismo di trasmissione degli
impulsi monetari descritto dalla teoria Keynesiana e suggerisce un allargamento della prospettiva.
Per la teoria Keynesiana un aumento dell’offerta di moneta può trasmettere un impulso
espansivo al sistema solo attraverso la riduzione del tasso di interesse che esso provoca e il
conseguente aumento degli investimenti.
Secondo la teoria Keynesiana un aumento dell’offerta di moneta può avere effetti rilevanti
sul tasso di interesse solo se la domanda di moneta è poco elastica e una diminuzione del tasso di
interesse può avere effetti rilevanti sulla domanda globale solo se la funzione dell’efficienza
marginale del capitale è molto elastica.
Poiché i Keynesiani ritengono che la curva di moneta sia molto elastica rispetto al tasso di
interesse e la curva dell’efficienza marginale del capitale sia poco elastica rispetto al tasso di
interesse, il meccanismo di trasmissione per un Keynesiano è tale che un aumento dell’offerta di
moneta non può avere effetti rilevanti sul livello di attività e sul livello dei prezzi.
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La politica monetaria
Questa descrizione è giudicata dai monetaristi poco convincente, poiché, per i monetaristi, la
domanda di moneta non è molto sensibile alle variazioni del tasso di interesse e che gli investimenti
crescono in modo apprezzabile quando il saggio di interesse si riduce.
Ma questa è solo una critica di tipo empirico al modello Keynesiano.
La seconda idea-chiave del monetarismo è la convinzione che la moneta non è uno stretto
sostituto delle altre attività finanziarie.
La moneta, dai monetaristi, viene considerata un bene con caratteristiche tali che la rendono
un sostituto non duna classe di beni ad essa simili, ma di tutte le attività patrimoniali, reali o
finanziarie.
Secondo i Keynesiani un aumento dell’offerta di moneta, riducendone il prezzo, dà luogo ad
una sostituzione tra moneta e titoli, mentre secondo i monetaristi l’aumento dell’offerta di moneta
provoca un’ampia sostituzione tra moneta e attività patrimoniali di ogni genere, comprese le attività
non finanziarie, come i beni di consumo durevoli.
Quindi, secondo i monetaristi, la riduzione dell’offerta di moneta dovrebbe dar luogo ad una
riduzione proporzionale della spesa nel mercato delle merci e darebbe luogo quindi ad una
riduzione del livello generale dei prezzi.
I Keynesiani, inoltre, sostengono che ogni qual volta un individuo ha più moneta di quanta
ne desideri tenderà a sostituire moneta solo con attività finanziarie, mentre i monetaristi sostengono
che in tal caso vi sarà una sostituzione di moneta con beni patrimoniali di ogni genere, finanziari e
reali.
Si può concludere affermando che la politica fiscale è considerata
dai Keynesiani lo
strumento più adeguato per stabilizzare il livello del reddito a favorire la piena occupazione, mentre
alla politica monetaria danno poco peso, poiché pensano che sia poco efficace.
I monetaristi, all’opposto, credono nella validità della teoria quantitativa della moneta,
ovvero, credono che il livello dei prezzi sia determinato soprattutto dalla quantità di moneta in
circolazione. Quanto alla politica fiscale, invece, per i monetaristi essa è di scarsa efficacia nel
determinare il livello del reddito perché essa non fa altro che sostituire in gran parte la spesa
pubblica alla spesa privata.
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La politica monetaria
Gli strumenti della politica monetaria
Per strumenti della politica monetaria devono intendersi quelle variabili economiche sotto il
diretto controllo della Banca Centrale e che possono essere manovrate tempestivamente per il
raggiungimento degli obiettivi dell’azione monetaria.
In genere, gli strumenti sono costituiti da:

Base monetaria: tramite il controllo dell’offerta di base monetaria la Banca
Centrale regola anche la crescita dei depositi bancari, grazie al meccanismo
del moltiplicatore monetario;

I tassi di interesse del mercato monetario: tra questi assumono particolare
rilevanza il tasso “pronti contro termine” e il tasso di sconto;

I controlli diretti o amministrativi sui flussi finanziari: spesso temporanei, tali
controlli cono stati comunque sempre meno utilizzati nel corso dell’ultimo
decennio in ragione della progressiva deregulation del sistema.
Ora, esamineremo come i singoli strumenti vengono manovrati.
La base monetaria.
Il volume dei depositi bancari dipende dal volume della base monetaria e dal coefficiente di
riserva obbligatoria. Dunque, il controllo della base monetaria implica quello del credito e dei
depositi bancari e influenza tutti gli altri mercati monetari e finanziari.
Dopo il 1993, in Italia, con il divieto per il Tesoro di ricevere anticipazioni dalla Banca
Centrale, il controllo della componente interna della base monetaria, ovvero quella non derivante da
un surplus della bilancia dei pagamenti, avviene tramite le operazioni di mercato aperto e le
variazioni della riserva obbligatoria.
Le operazioni di mercato aperto consistono nell’acquisto o nella vendita di titoli di Stato. Se
la Banca Centrale vuole immettere liquidità nel sistema essa acquisterà titoli, mentre, se l’obiettivo
è quello di diminuire la base monetaria, la Banca venderà titoli.
Tramite le variazioni del coefficiente di riserva obbligatoria la Banca Centrale ha un
controllo completo dell’offerta di moneta anche in un sistema in cui gran parte della moneta è
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La politica monetaria
costituita da moneta bancaria. Ad un coefficiente più elevato corrisponderà un moltiplicatore dei
depositi più piccolo, cosicché minore sarà l’ammontare dei depositi bancari conseguente ad una
variazione della base monetaria.
I tassi di interesse del mercato monetario.
Si è soliti attribuire un particolare valore al tasso di sconto, cioè al tasso di sconto praticato
dalla Banca Centrale sui propri risconti, sconti di titoli fatti alle banche ordinarie.
Infatti, in ogni Paese alla Banca Centrale compete la funzione di lender of last resort
(prestatore d’ultima istanza) e ad essa ricorrono le banche ordinarie per fronteggiare squilibri
temporanei di cassa.
Il tasso praticato dalla Banca Centrale per il risconto di cambiali, così come quello praticato
sulle anticipazioni, è stato per lungo tempo considerato un importante strumento di politica
monetaria. Infatti, il maggior, minor, costo del ricorso al credito di ultima istanza comporta per le
banche ordinarie la necessità di aumentare, diminuire, il tasso praticato ai propri clienti.
La manovra del tasso di sconto ha, però, oggi un’importanza molto minore. Questo perché i
tassi bancari possono essere molto vischiosi e perché non sempre le banche sono costrette a
ricorrere al credito della Banca Centrale.
Molto più rilevante, invece, è la funzione di “annuncio” che la variazione del tasso di sconto
comporta. Essa, infatti, orienta le aspettative degli operatori sull’andamento futuro dei tassi di
mercato, con ciò accelerando l’adeguamento di questi ultimi. Per questo motivo, più che per il
maggior o minor rischio di illiquidità per le banche, un aumento o una diluizione del tasso di sconto
comporta l’adozione di una politica monetaria restrittiva o espansiva.
Ben più rilevante, per effettivo controllo dell’offerta di moneta, risultano essere le variazioni
dei tassi sulle operazioni pronti contro termine.
Con queste operazioni la Banca Centrale disciplina la liquidità a breve e brevissimo termine
delle banche ed il tasso applicato, pur non potendosi discostare di molto da quello di mercato, è
comunque influenzato dalla Banca Centrale. Tale tasso, a sua volta, ha ripercussioni sui tassi a
brevissimo termine del mercato monetario e sulla scelta delle banche tra prestiti e titoli pubblici.
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La politica monetaria
I controlli diretti sui flussi finanziari.
Rispetto al controllo della base monetaria ed alle variazioni dei saggi di interesse, i controlli
amministrativi del credito presentano il vantaggio di una applicabilità più diretta, non immediata dal
mercato. Però, nel lungo periodo essi possono provocare effetti discorsivi sull’ottimale allocazione
delle risorse finanziarie.
Con il controllo diretto le autorità monetarie impongono vincoli o regole di comportamento
agli intermediari finanziari, al fine di regolare il volume globale del credito o per tentare di
correggere un imperfetto funzionamento del mercato finanziario.
In Italia sono stati adottati due tipi di controllo del credito: il massimale sui prestiti bancari,
che ha posto un limite all’espansione degli impieghi bancari; il vincolo di portafoglio, con cui si
obbligavano le banche ad acquistare una quantità minima di titoli, nella fattispecie quelli emessi
dagli Istituti di Credito Speciale.
Il primo strumento fu introdotto dalla Banca d’Italia nel 1973 ed eliminato dieci anni dopo.
Successivamente si è fatto ancora temporaneamente ricorso ad esso in due situazioni di
congiuntura difficile per il mercato valutario.
Il vincolo di portafoglio, invece, fu introdotto sempre nel 1973 e poi progressivamente
attutito fino alla sua definitiva soppressione nel 1983.
Un’efficacia immediata e pericolo di effetti discorsivi hanno anche i provvedimenti adottati
dalle autorità monetarie e tesi al controllo dei movimenti di capitali. In questo caso, fine ultimo è
quello di preservare l’equilibrio della bilancia dei pagamenti attraverso l’imposizione di determinati
comportamenti, quali l’obbligo di un deposito vincolato infruttifero sull’acquisizione di attività
estere o il divieto di acquisto di attività estere a breve termine, o attraverso l’utilizzo di incentivi o
disincentivi.
Dopo un periodo di forti restrizioni negli anni Settanta, dovuto alle crisi energetiche ed alle
turbolenze valutarie seguite all’abbandono della convertibilità in oro del dollaro, gli anni Ottanta
hanno visto un impetuoso processo di deregulation, agevolato anche dalla sempre maggiore
integrazione del nostro mercato finanziario con quelli degli altri Stati membri della Comunità
Europea in vista dell’Unione Economica e Monetaria.
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La politica monetaria
I canali di trasmissione
Secondo uno schema semplificativo del modo di operare della politica monetaria di Keynes,
un aumento dell’offerta di moneta provoca una riduzione del tasso di interesse, per l’accresciuta
domanda di moneta speculativa, stimolando così gli investimenti e, di conseguenza, il reddito.
Tale schema può essere raffinato tenendo conto della scuola delle scelte del portafoglio,
secondo cui la ricchezza detenuta da ciascun operatore è formata da un portafoglio di investimenti
che includono attività liquide, titoli con diverse scadenze, beni reali ecc.
In questo modo è possibile superare il troppo rigido aut-aut fra moneta e titoli tipica del
pensiero Keynesiano, tener conto che le decisioni degli operatori dipendono dalla loro ricchezza più
che dal loro reddito e, infine, considerare l’intera struttura dei tassi di interesse, a differenza di
Keynes che considera il solo tasso di interesse monetario.
Il modo di operare della politica monetaria viene spiegato da questo schema teorico
attraverso un progressivo aggiustamento dei portafogli degli operatori con conseguenti variazioni
del prezzo dei titoli e quindi del loro rendimento.
Infatti, un aumento dalla base monetaria attuato tramite acquisto sul mercato aperto
provocherà un aumento della liquidità in possesso delle banche, che hanno venduto titoli, ed hanno
un deprezzamento dei titoli stessi, con conseguente riduzione del tasso di rendimento.
Si innesca così un processo di sostituzione nel portafoglio delle banche, verranno acquistati
altri titoli e concessi nuovi crediti ad un tasso più basso, ed in quello delle famiglie e delle imprese.
I privati, in particolare, modificheranno il modo di impiego della propria ricchezza in
relazione ai nuovi rendimenti finanziari e, se vi è sufficiente grado di sostituibilità, potranno anche
rimpiazzare le attività finanziarie caratterizzate da rendimenti troppo bassi con beni reali.
Il processo di adeguamento, aumento dei corsi e riduzione del rendimento, interesserà
l’intero spettro delle attività finanziarie secondo i relativi rapporti di sostituibilità.
L’aumento di base monetaria si concretizzerà in un aumento del reddito tanto più
efficacemente quanto più alto è il grado di sostituibilità fra attività finanziarie a lungo termine ed
attività reali, investimenti.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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La politica monetaria
Efficacia delle politiche monetarie
Anche gli interventi delle autorità monetarie sono condizionati da un numero molto elevato
di variabili.
Rispetto alla semplicità con cui opera un moltiplicatore del reddito, la variazione della base
monetaria comporta, almeno a livello teorico, un processo abbastanza tortuoso prima di riflettersi
sulle variabili reale.
Pur non considerando il caso limite della trappola della liquidità, è comunque possibile che
gli input monetari non influenzino le grandezze reali nella misura sperata se vi è scarsa sostituibilità
fra attività finanziarie ed attività reali.
Va, inoltre, considerato che gli studi sugli interventi di politica monetaria hanno evidenziato
una notevole asimmetria nella sua efficacia.
Infatti, se essa si dimostra adatta a raffreddare una situazione congiunturale caratterizzata da
eccessiva crescita dei prezzi o da deficit nella bilancia dei pagamenti, essa si è dimostrata meno
efficace quando si è trattato di ridare slancio all’economia, politica monetaria espansiva.
Fra le possibili spiegazioni di questo fenomeno vi è il fatto che il moltiplicatore effettivo dei
depositi è relativamente più grande in occasione di una riduzione, piuttosto che di un aumento, della
base monetaria.
Inoltre, i tassi di interesse nominali hanno sempre un valore minimo al di sotto del quale è
impossibile che essi scendano.
Sarà sempre possibile, invece, un innalzamento dei tassi di inflazione.
Inoltre, non va sottovalutata l’ipotesi di razionamento del credito.
Con tale termine si definisce la situazione in cui, al tasso di interesse corrente, la domanda di
credito eccede l’offerta.
Infatti, poiché i mercati finanziari, più che in condizioni di concorrenza perfetta, agiscono in
situazione prossima all’oligopolio, le banche tenderanno a selezionare i clienti, escludendo quelli
più rischiosi.
Per la stessa ragione, configurazione oligopolistica del mercato, i tassi bancari, in particolare
quelli attivi, presentano una alta vischiosità, così che gli effetti di una politica espansiva si
trasmettono più lentamente di quelli di una politica restrittiva.
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La politica monetaria
Ultima spiegazione avanzata, di questa asimmetria consiste nell’effetto lock-in o effetto
Roosa.
Tale effetto si verifica quando in conseguenza ad un aumento dei tassi di interesse a seguito
di una manovra economica restrittiva, posta in essere dalle autorità monetarie centrali, c’è un
ribasso dei prezzi di mercato titoli a reddito fisso che determina l’immobilizzo.
I titoli a reddito fisso in portafoglio in caso di vendita presenterebbero una perdita in conto
capitale.
Quindi, una politica restrittiva provoca perdite in conto capitale sui titoli a reddito fisso nel
portafoglio delle banche e quindi, ne rende più difficile lo smobilizzo (lock-in).
In tal senso, una politica restrittiva agisce non solo sulla domanda ma anche sull’offerta di
credito.
L’effetto Roosa dimostra come in realtà le banche all’aumentare del tasso di interesse,
saranno scoraggiate nel fare credito, in quanto non saranno disposte a concedere crediti finanziari
dalla vendita di titoli.
L’aumento del tasso di sconto determina, quindi, una diminuzione, anziché un aumento,
della propensione del sistema bancario a finanziare la domanda di credito da parte del sistema.
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