Ogni utilizzo del materiale diverso dalla visione personale dovrà essere previamente autorizzato dall'autore o dovrà contenere la citazione della fonte CRITICITÀ NELLA GESTIONE DEL LIBRO SOCI VIRTUALE 1. CENNI STORICI E DI DIRITTO COMPARATO L’originario sistema italiano del Codice del 1942 consentiva il trasferimento della partecipazione sociale di s.r.l. in modo informale, potendo mancare del tutto la documentazione scritta della compravendita nel caso in cui l’iscrizione nel libro dei soci fosse stata richiesta agli amministratori congiuntamente dalle parti dell’alienazione o anche solo dalla parte alienante. Si trattava di un’impostazione di segno capitalistico, che aveva generato nella prassi veri e propri abusi connessi con la mancanza di controllo sui flussi finanziari del trasferimento, sulla data di sua conclusione e sulla responsabilità fiscale che ne derivava, fino a far emergere in situazioni limite la tenuta di due o più libri dei soci con differenti compagini sociali. Tale sistema, che garantiva quasi in assoluto l’anonimato dei soci e si avvicinava a quello previsto per le società per azioni nelle quali i titoli non fossero emessi, è stato superato mediante l’introduzione dell’obbligo di forma autentica ad regularitatem di documentazione del passaggio con la Legge 12 agosto 1993 n. 310 (Legge Mancino), prima riservata ai soli notai e poi affidata (con le modalità ed i limiti di cui all’art. 36 del Dl. 25 giugno 2008 n. 112 e successiva legge di conversione) anche a ragionieri e dottori commercialisti. Pur essendo sempre rimasto in ombra, è forte il legame tra forma autentica e impedimento al mercato, essendo tratto connotante della s.r.l. il carattere della partecipazione e la possibilità di farla circolare. Ed infatti, anche se nel nostro ordinamento vige il principio della libertà di trasferimento, questo (rielaborato in riscontro al tipo empirico della s.r.l. italiana come società normalmente chiusa che accoglie di solito nel proprio statuto quelle clausole di gradimento, prelazione e addirittura inalienabilità assoluta, che il tipo legale consente ma non prevede come naturali) deve rispettare la regola che la partecipazione non può essere oggetto di un mercato, né ad iniziativa della società in fase di collocamento, né successivamente. Per le s.r.l. l’unica modalità di mercato ammissibile è la ricerca diretta della controparte contrattuale a trattativa privata, diffusa per le attività reali ma non frequente nei mercati finanziari. E’ per questo che si giustifica la pretesa di forme documentali che ancora si mantengono nonostante le accresciute potenzialità dell’informatica, forme che vengono impiegate anche per un tracciamento nell’interesse pubblico economico di evitare nel settore un anonimato, permesso ma con molte cautele e comunque non in generale solo nei mercati finanziari strutturati. E’ per tale motivo che le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni ne costituire oggetto di sollecitazione all’investimento, ed è sempre in applicazione di tali principi che alle s.r.l. è concessa la possibilità di emissione di titoli di debito, insuscettibili però di collocamento diretto e bisognosi della garanzia di solvenza degli intermediari là dove gli acquirenti non siano investitori qualificati o soci dell’emittente. Tra l’estremo della sollecitazione di massa (tipico delle azioni) e quello dell’intrasmissibilità assoluta della partecipazione (ammesso in Italia come scelta statutaria bilanciata dalla possibilità del recesso) si pone comunque l’esigenza di regolamentare le ipotesi di cessione della partecipazione al di fuori del mercato, da effettuare attraverso strumenti probatori e presidi idonei a garantire al compratore diligente e di buona fede la sicurezza e la stabilità del suo acquisto. Per questo, pur in vigenza del divieto di incorporazione della partecipazione in un titolo destinato alla circolazione, nulla sarebbe di ostacolo al rilascio da parte della società di un documento probatorio al quale attribuire una qualche valenza di legittimazione al fine dell’esercizio di uno o più diritti sociali. Tale documento potrebbe, pur non rappresentando l’oggetto della negoziazione, essere consegnato dal vecchio al nuovo socio in modo da ancorarvi almeno una situazione di apparenza e di buona fede giuridicamente rilevante. Il cosiddetto certificato di quota, se però travisato nella sua funzione e valenza probatoria, rischia di ingenerare, in caso di mancata consegna al nuovo socio, un affidamento dei terzi di buona fede (indotti ad acquistare la partecipazione già trasferita nelle more dell’iscrizione del socio vero acquirente nei libri sociali) che non troverebbe tutela alcuna nel sistema. Infatti il divieto di incorporazione, funzionale ad evitare l’utilizzazione di titoli di massa per l’investimento nel capitale delle s.r.l., impedisce la circolazione del titolo probatorio attraverso la girata, e più in generale rappresenta un consapevole ostacolo alla standardizzazione dell’oggetto (la partecipazione) e alla creazione di un sistema di Borsa attraverso il quale concludere le transazioni di vendita. Di conseguenza la possibilità di suddividere nell’atto costitutivo della s.r.l. le quote in quanta fra loro uguali (standardizzazione) non ha trovato consensi nella nostra dottrina e giurisprudenza, che hanno da subito negato che il soggetto socio possa essere titolare di più quote, affermando che il socio ha una ed un’unica partecipazione, misurabile in percentuale o in moneta, fermo restando che il medesimo soggetto è socio una volta soltanto, giacché quello che varia è unicamente l’unità con la quale si può misurare il suo essere socio rispetto agli altri. Questo sistema (quota unica permanente) è proprio del nostro ordinamento e di quello austriaco, mentre non trova cittadinanza nei modelli francese, belga e spagnolo, che consentono la standardizzazione e suddivisione in più unità fra loro eguali della partecipazione. Altri infine, come quello tedesco, avevano aderito al modello della quota unica iniziale, alla quale affiancare come distinte le successive quote acquisite dallo stesso soggetto, salvo poi di recente abbandonarlo ed introdurre la sistematica del modello francese. L’impossibilità della standardizzazione impedisce così di poter classificare la partecipazione attraverso le unità di cui essa si compone, attribuendo ad ognuna di esse un numero identificativo allo stesso modo con cui si opera in campo immobiliare con il sistema della suddivisione del territorio in fogli di mappa, dei fogli in particelle e delle particelle in subalterni. Tornando al tema della tutela dell’acquirente, in generale la sistematica del conflitto, da affrontare e risolvere nel caso del trasferimento della partecipazione sociale, è stata correttamente posta per problemi rispettivamente attinenti: a) al conflitto tra alienante e acquirente, b) al conflitto tra creditore pignorante (o curatore fallimentare) e acquirente, c) alla questione della legittimazione dell’acquirente rispetto all’organizzazione societaria. Ai tre piani della validità del trasferimento: inter partes, opponibilità verso i terzi e legittimazione all’esercizio dei diritti sociali, corrisponde una diversa disciplina quanto a forma del negozio circolatorio, pubblicità del trasferimento e comunicazione dello stesso alla società, a seconda che, in diritto comparato, si rinvenga o meno nel singolo ordinamento l’istituzione di un libro dei soci. Ad esempio in Belgio l’efficacia del trasferimento, sia nei confronti dei terzi che nei confronti della società, si ricollega all’iscrizione nel libro dei soci, peraltro liberamente ispezionabile da chiunque. In Francia invece, in applicazione del principio del consenso traslativo, il trasferimento è subito efficace tra le parti, indipendentemente dalla forma, ma deve essere notificato alla società mediante Ufficiale Giudiziario, ovvero da questa accettato; l’opponibilità verso i terzi è poi subordinata all’iscrizione nel Registro di Commercio. In Austria nel 1991 è stato abolito il libro dei soci e istituito presso il Registro delle Imprese un Firmenbuch, tenuto sotto il controllo del giudice. L’iscrizione del trasferimento nel Registro avviene previa comunicazione dell’atto notarile alla società e richiesta da parte dell’amministratore dell’iscrizione del nominativo del nuovo socio nel Firmenbuch, previo controllo formale da parte del giudice della regolarità del passaggio. In Germania, dove pure non esiste un libro dei soci, dopo l’ultima riforma e l’adozione del sistema della standardizzazione delle quote, il trasferimento della quota si attua attraverso l’intervento del notaio ed obbligo a carico del professionista di inviare al Registro delle Imprese la lista dei soci aggiornata dopo ogni atto cui abbia preso parte nella sua attività professionale. L’esercizio dei diritti sociali viene poi fatto dipendere dall’inserimento nella lista dei soci depositata nel Registro delle Imprese, così da incentivare l’aggiornamento tempestivo delle sue risultanze. In questo ordinamento, poi, sempre in tema di acquisto di partecipazioni, si è optato per la costruzione di un nuovo istituto giuridico, riconducibile ad un’ipotesi di acquisto a non domino assimilabile ad un’usucapione abbreviata della titolarità della partecipazione. L’acquisto viene fatto dipendere dall’inerzia protratta nel tempo del vero titolare e quindi il soggetto iscritto in maniera erronea nella lista dei soci tenuta dall’ufficio del Registro delle Imprese, purché non sia in mala fede o ignori per colpa grave la vera titolarità, vede consolidarsi il proprio acquisto a condizione che il vero titolare non formuli opposizione entro tre anni dalla data di iscrizione. L’acquisto a non domino prevale poi anche in caso di opposizione del vero titolare resa pubblica nel Registro delle Imprese nei termini, qualora l’apparenza della situazione erronea su cui esso si basa sia imputabile allo stesso opponente (come nel caso dell’erede che non si cura di fare aggiornare la lista dei soci da cui invece risulta l’acquisto dell’erede apparente). La scelta del legislatore tedesco del 2008 per la soluzione dei conflitti e la tutela dell’acquisto di buona fede in collegamento con l’apparenza derivante dalle risultanze dell’iscrizione nella lista dei soci presso il Registro delle Imprese, porta all’estremo il processo di reificazione delle partecipazioni sociali, in abbinamento con il contestuale abbandono del principio della quota unica iniziale e l’introduzione della standardizzazione e numerazione delle quote. Si è attuato così un parallelo con il sistema della pubblicità immobiliare del diritto tavolare e del principio in esso vigente dell’apparenza titolata, con una differenza importante gravida di conseguenze: la lista dei soci resta di produzione privata e non è soggetta ad un controllo pubblico, cosicché soltanto il controllo privato può verificarne la correttezza e sollecitare l’intervento dell’autorità a modifica delle risultanze erronee. In conclusione si può dire che il libro dei soci, dove previsto, consente alla società di verificare tempestivamente e senza oneri eccessivi la legittimazione al momento dell’esercizio di qualunque diritto o prerogativa sociale, ed, ammettendone la consultazione da parte di chiunque, laddove ad esso sia attribuito un rilievo anche nei confronti dei terzi, rende non necessarie altre forme di pubblicità. Dove invece, per la presunta parzialità dell’organo amministrativo e la non consultabilità del libro dei soci, non si riconoscano rispettate queste esigenze di trasparenza, altri ordinamenti hanno affidato la tenuta del libro dei soci (ovvero della registrazione dei passaggi) ad un ufficio pubblico, ritenendo preminente la conoscibilità del dato rispetto ad ogni altra esigenza organizzativa e di riservatezza. 2. IL SISTEMA ITALIANO PRIMA E DOPO LA RIFORMA DEL 2009 In applicazione di questi principi il legislatore italiano, partendo dalla circostanza che nel nostro sistema è impedita la consultazione del libro dei soci da parte dei terzi e la tenuta dello stesso è affidata all’esclusiva responsabilità degli amministratori, ha coerentemente introdotto la previsione dell’obbligo di forma autentica del passaggio e della pubblicità del trasferimento nel registro delle imprese, come adempimento imprescindibile per la successiva legittimazione all’esercizio dei diritti sociali. Nella convinzione dell’insufficienza dell’adempimento pubblicitario a risolvere di per sé ogni situazione di conflitto, la riforma del 2003, confermata nel 2009, ha introdotto nel terzo comma dell’art. 2470 C.C. una norma che disciplina il caso non frequente, ma sistematicamente importante, della alienazione della partecipazione ad acquirenti diversi. Essa dispone che “se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l’iscrizione nel registro delle imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore”. Con l’ultima modifica, si è voluto poi ancorare alla sola iscrizione (o per alcuni al solo deposito) nel R.I. l’efficacia del trasferimento della partecipazione nei confronti della società, eliminando l’obbligo di tenuta del libro dei soci e le conseguenze prima collegate con l’iscrizione in esso del passaggio. Il procedimento viene così ad articolarsi in tre fasi consistenti: a) nella stipula del contratto traslativo immediatamente efficace inter partes, b) nell’adempimento dell’obbligo pubblicitario, a sua volta sviluppantesi nella presentazione della domanda di iscrizione, contestuale al deposito dell’atto, nella registrazione e protocollazione della ricezione della richiesta, nell’iscrizione vera e propria, una volta eseguito il controllo di regolarità formale da parte del R.I., e da ultimo nell’archiviazione ottica del documento iscritto che solo allora diventa conoscibile da parte dei terzi. All’iscrizione nel R.I. corrisponde l’efficacia verso i terzi ed ora anche verso la società del passaggio (salvo quanto in appresso precisato). c) nell’esercizio dei diritti e facoltà, ovvero nella soggezione agli obblighi, collegati con la partecipazione (che ancora oggi si potrà ritenere coincidente con la richiesta di iscrizione nel libro dei soci facoltativo se istituito). Questa scelta, se può apparire un progresso in un ordinamento nel quale il libro dei soci è sempre mancato e la raccolta dei documenti relativi ai trasferimenti è sempre stata problematica (come in Germania), non appare altrettanto evolutiva in un sistema che non è impostato alla stregua di un registro nel quale le quote sono distinte e numerate e dove i poteri di verifica del Conservatore del Registro si limitano alla forma esteriore. La relazione ministeriale alla riforma del diritto delle società ha espressamente escluso l’equiparazione del regime di circolazione delle partecipazioni a quello degli immobili, sottolineando il rilievo della buona fede dell’acquirente primo iscrivente in similitudine a quanto previsto dall’articolo 1155 C.C. ed avallando all’apparenza la tesi dell’efficacia dichiarativa della pubblicità del trasferimento, salvo poi rinviare alla prassi ed alla interpretazione successiva un più deciso e chiaro inquadramento scientifico dell’istituto. I problemi di sistema non risolti per il diritto italiano, vengono così ad essere: 1- l’esistenza o meno di un principio della continuità delle iscrizioni (prima nel registro delle imprese e nel libro dei soci, ora quanto meno nel solo registro delle imprese), 2- la competenza e la connessa responsabilità a sindacare la legittimazione del dante causa dell’atto di trasferimento (prima nel triplice passaggio dell’atto, dell’iscrizione nel registro delle imprese e dell’iscrizione nel libro dei soci: notaio, conservatore del R.I., organo amministrativo della società o soggetto delegato alla tenuta del libro dei soci; ora nel duplice passaggio dell’atto e dell’iscrizione nel R.I.: notaio o altro intermediario abilitato, conservatore del R.I.), 3- la configurabilità di un acquisto della partecipazione anche a non domino. In generale per il nostro ordinamento i criteri per dirimere i conflitti fra più acquirenti di un medesimo bene (inteso in senso ampio come ogni entità in grado di apportare utilità finale al suo fruitore) sono a seconda dei casi: 1 - rispetto ai beni immobili e ai beni mobili registrati, chi abbia trascritto o iscritto il proprio acquisto in data anteriore (artt. 2644 e 2688 C.C.), 2 - relativamente ai crediti, colui a favore del quale la cessione sia stata per prima notificata al debitore ovvero da questi accettata con atto avente data certa (art. 1265 C.C.), 3 – con riguardo ai diritti personali di godimento, fatte salve le norme relative agli effetti della trascrizione, l’acquirente che per primo abbia conseguito il godimento o che vanti un titolo avente data certa anteriore (art. 1380 C.C.), 4 – rispetto ai beni mobili ed ai titoli di credito, chi ne abbia acquistato in buona fede il possesso (artt. 1155 e 1994 C.C.). In un ordinamento come il nostro, che accoglie in pieno il principio del consenso traslativo (art. 1376 C.C.), le diverse regole individuate per la soluzione del conflitto, vanno pertanto a seconda dei casi: - ad esprimere una soluzione di tutela assoluta del primo acquirente, in stretta applicazione del principio prior in tempore potior in jure, mettendo al riparo chi vanta l’atto di acquisto anteriore da ogni successivo atto di disposizione del proprio dante causa senza bisogno di compiere ulteriori formalità ed a prescindere dai suoi stati d’animo (prevalenza della fattispecie primaria), restando al secondo acquirente unicamente il diritto di rivalersi nei confronti del proprio dante causa, - all’opposto a tutelare l’affidamento (buona fede) ingenerato nei terzi da fatti e circostanze imputabili al titolare del diritto, spesso sostanziatesi in una inerzia colpevole e prolungata, e riconoscere il diritto sul bene al non primo acquirente, anche in ipotesi, addirittura, in cui l’alienante non sia mai stato titolare (acquisto a non domino), - in una prospettiva intermedia, ad assegnare la preferenza a chi per primo compia determinate formalità, come la trascrizione o la notifica (rilevanza della fattispecie secondaria), senza distinguere tra primo o successivo acquirente e senza dare rilievo all’anteriorità del titolo, che diventa di per sé inidoneo a consolidare l’acquisto del diritto, fatto dipendere da eventi non sempre o non totalmente soggetti al controllo dell’acquirente. A parte la possibilità di un suo inquadramento all’interno di schemi già noti, è necessario anche stabilire se la norma di conflitto dettata per l’acquisto delle partecipazioni di s.r.l. (prevalenza del primo iscrivente in buona fede) si configuri come norma eccezionale ovvero come espressione di un principio generale. Non è affatto chiaro infatti se essa possa essere applicata per la risoluzione di tutti i conflitti (ivi compresi quelli fra soggetti muniti di titolo di contenuto diverso ma incompatibili agli effetti pratici) ovvero soltanto per l’ipotesi espressamente prevista del conflitto fra più persone che abbiano acquistato con contratti successivi (e non contemporanei) da un medesimo dante causa, come suggerirebbe un’interpretazione letterale. Se eccezionale, ad esempio, la regola non troverebbe spazio nel conflitto fra creditore pignoratizio il cui titolo non sia stato iscritto e il successivo acquirente in mala fede che abbia invece già iscritto il proprio atto di trasferimento di data posteriore, trovando in tal caso forse applicazione il principio prior in tempore potior in jure. Ma prima di affrontare più nello specifico le problematiche connesse alla interpretazione dell’art. 2470 C.C., può essere forse utile un breve esame della natura della partecipazione nella s.r.l.. 3. LA NATURA DELLA PARTECIPAZIONE NELLA S.R.L. La Cassazione ha più volte ribadito che le quote sociali, sia delle società di capitali che delle società di persone, costituiscono posizioni contrattuali obiettivate, suscettibili come tali di essere negoziate in quanto dotate di un autonomo valore di scambio che consente di qualificarle come beni giuridici (Cass. 7 novembre 2002, n. 15605). La definizione utilizzata nella pronuncia, che s’inserisce nel solco della reificazione della partecipazione definita come bene mobile immateriale, si affianca a numerose altre di identico o assimilabile contenuto (come Cass. 20 febbraio 2004 n. 3370 dove la quota di s.r.l. viene definita come bene di secondo grado), e trova riscontro in dottrina in quegli autori, come il Cottino, che l’hanno per primi introdotta. Conseguenza della considerazione della quota come bene mobile immateriale è la configurabilità di un suo possesso, talvolta individuato nel momento dell’iscrizione nel libro dei soci, talaltra con quello dell’esercizio dei diritti ad essa collegati. Antagonista alla tesi della quota come bene è quella che focalizza l’attenzione sulla matrice contrattuale da cui normalmente sorge la società, per considerare la partecipazione una posizione contrattuale il cui trasferimento va qualificato in termini di cessione del contratto (di società). Così intesa la partecipazione diventa una posizione giuridica unitaria, non riconducibile né a un diritto di credito né a un diritto reale, con la conseguente applicabilità al suo trasferimento, anche solo come criterio integrativo, delle regole dettate in materia di cessione del contratto dagli artt. 1406 e seguenti C.C. In particolare si è istituito un parallelo tra la funzione della notificazione al contraente ceduto (art. 1407 I° comma C.C.) e quella dell’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci, e comunque ammesso che la cessione nei contratti con comunione di scopo non può essere esclusa a priori, seguendo però regole in tutto o in parte differenti rispetto a quelle generali qui in esame. Senza prendere posizione sul punto, non c’è dubbio che il sistema oggi consideri la quota come un bene, se si vuole necessariamente immateriale (volendo rinnovare l’equivoco della materialità/immaterialità dei beni sulla scorta della partizione di Gaio tra res quae tangi possunt e res quae in jure consistunt). Infatti il legislatore del 2003, accogliendo le tesi prevalenti della giurisprudenza, ha disciplinato compiutamente la fattispecie negli artt. 2471 e 2471-bis del C.C.., ammettendo che essa possa formare oggetto di pegno, sequestro, usufrutto e pignoramento. Infatti solo se la quota viene qualificata come bene si può far sì che la tutela cautelare ad essa accordata e la situazione soggettiva costituita possano soddisfare con pienezza le aspettative e l’interesse del fruitore (acquirente, creditore pignoratizio, sequestrante o usufruttuario che sia). Si tratta di un processo di avvicinamento tra quota e azione che trae spunto dalla coincidenza del loro contenuto economico, differenziandosi i due strumenti invece nella circolazione: a) negoziabile nelle forme brevi del commercio l’azione, b) trasmissibile soltanto con le forme ordinarie del diritto civile la quota, costituita dal complesso dei diritti e dei doveri del socio. La quota quindi rappresenta anch’essa un’entità patrimoniale qualificabile come bene, che si arricchisce dei diritti ad essa connessi, quali il diritto al voto, all’opzione, alla ripartizione degli utili, all’ispezione dei libri sociali, ed infine al riparto del patrimonio residuo in caso di scioglimento e liquidazione. Certo la partecipazione sociale non è rappresentabile come una cosa in senso giuridico, e comunque non riceve dall’ordinamento una tutela assoluta rispetto all’organizzazione societaria, essendo soggetta alle regole di disciplina interna e di sistema che possono comportarne una diminuzione – estinzione - accrescimento anche contro la volontà del titolare in contrasto con il generale profilo di intangibilità della posizione soggettiva, riacquistando il carattere di assolutezza rispetto ai terzi o agli altri soci uti singuli, nel momento in cui la posizione individuale oggetto del diritto soggettivo del socio (la partecipazione) non può essere imputata ad altri in mancanza di un atto o fatto dispositivo che provenga dalla sfera giuridica del titolare. Se allora la quota è definibile come un bene, sorge naturale la domanda se l’introduzione dell’obbligo dell’iscrizione del trasferimento nel R.I. consenta di qualificare la partecipazione sociale nella s.r.l. come un bene mobile registrato. Il ragionamento ha una sua logica. Secondo Ferri junior: a) sulla base della coincidenza fra il termine di trenta giorni stabilito per il deposito da parte del notaio dall’art. 2470 C.C. e quello massimo per la trascrizione indicato dall’art. 2671 C.C.; b) coordinata la nuova ipotesi di pubblicità con il sistema degli effetti della pubblicità commerciale ex art. 2193 II° comma C.C.; c) ribadito che l’art. 2683 C.C. non esaurisce il novero dei pubblici registri e che è lo stesso art. 2188 C.C. a definire il registro delle imprese come pubblico; d) superato l’ostacolo dell’eccezionalità della norma dell’art. 2644 C.C., sulla base della natura residuale della regola della priorità cronologica dell’acquisto da determinarsi in base alla data certa, posta dall’art. 1380 C.C. in tema di conflitto tra acquirenti di più diritti personali di godimento, si deve concludere nel senso della necessaria continuità delle iscrizioni nel registro delle imprese degli atti di trasferimento relativi alle quote e che l’opponibilità del trasferimento tra aventi causa dal medesimo autore è risolta dall’art. 2470 C.C. attribuendo un ruolo centrale all’iscrizione nel PUBBLICO REGISTRO DELLE IMPRESE. Questa tesi, accolta e sostenuta con enfasi anche dal Di Sabato, ha sorretto quei provvedimenti giurisprudenziali, in particolare del Tribunale di Milano, che, in estensione analogica delle norme sulla pubblicità per i beni mobili registrati, ha consentito l’iscrizione nel R.I., in funzione prenotativa degli effetti della sentenza, dell’atto di citazione introduttivo di una controversia per l’accertamento della simulazione del trasferimento di una partecipazione. Se quanto precede è vero, resta però il fatto che l’art. 2470 C.C. conferma l’applicazione del principio consensualistico dell’art. 1376 C.C., di per sé indifferente rispetto all’oggetto del contratto, giacché l’immediatezza del trasferimento inter partes si verifica in relazione alla circostanza della disponibilità del diritto e della sua effettiva disposizione da parte del titolare, senza che sotto questo profilo rilevi il carattere reale o non reale del diritto trasferito, che appare indifferente e/o superfluo ai fini dell’indagine in oggetto. 4. IL PRINCIPIO DEL CONSENSO TRASLATIVO E LA NORMA DI CONFLITTO Conseguenza diretta dell’accoglimento del principio consensualistico dovrebbe essere che, in mancanza di altre norme che dispongano diversamente, l’ipotesi anomala di un soggetto titolare che alieni due volte il medesimo diritto si risolva in base a considerazioni logiche elementari: - Se A cede a B un diritto e poi dopo ancora A aliena a C lo stesso diritto, la prima vendita produce subito l’effetto di trasferire la titolarità del diritto da A a B, mentre invece la seconda non produce alcun effetto perché A mentre cede a C non è più titolare del diritto oggetto del negozio, avendone già disposto a favore di B. Per poter trasferire il diritto a C nonostante la previa alienazione a B, A dovrebbe essere stato investito della legittimazione a disporre di un diritto altrui, con la conseguenza che comunque anche in tal caso il passaggio avverrebbe dal patrimonio di B, e non di A, a favore di quello di C. Quanto sopra viene abitualmente riassunto nel brocardo nemo plus juris in alium transferre potest quam ipse habet. Solo la norma può ammettere eccezioni a tale principio laddove consente al non titolare di alienare o far alienare il diritto altrui indipendentemente o addirittura contro la volontà del titolare, a seconda dei casi o nell’interesse dello stesso titolare (artt. 54, 1686, 1690, 1718 C.C.) o a tutela esclusiva dell’interesse del non titolare, con funzione sanzionatoria dell’inadempimento da parte del titolare di un’obbligazione collegata all’acquisto del diritto. Si è già messo in risalto come un punto debole della circolazione della partecipazione nella s.r.l. consista nell’accoglimento del modello della partecipazione unica permanente, che determina un problema di identificazione sconosciuto a quegli ordinamenti che adottano il modello della pluralità di partecipazioni standard numericamente identificate e distinte. La quota risulta così qualitativamente nel tempo dalla combinazione del riferimento fra la società (estremo invariabile della relazione) e il socio, la cui individualità può mutare e viene comunicata alla quota. La variazione quantitativa poi della quota nel tempo, per effetto di acquisti, cessioni, aumenti o riduzioni di capitale, pone ulteriori problemi per la sua misura e la sua individuazione nel momento in cui viene ad essere considerata come oggetto separato di disposizione. Per favorire la conoscenza della consistenza e caratteristiche delle quote in ogni momento, il sistema della pubblicità commerciale ha imposto, in concomitanza dello start up della nuova disciplina, il deposito da parte degli amministratori entro il 30.03.2009 di una dichiarazione per integrare le risultanze del R.I. con quelle del libro dei soci, a guisa di un impianto dello schedario, liberamente accessibile da chiunque per attingervi informazioni utili sulla partecipazione e l’esistenza di eventuali gravami o versamenti ancora dovuti ad essa relativi. Essendo però la quota un organismo elastico che potrà subire continue modificazioni per effetto di operazioni sul capitale, oltre che dei trasferimenti iscritti successivamente all’impianto, il metodo prescelto non sembra idoneo a prevenire tutte le situazioni di crisi. Qualche esempio potrà chiarire la criticità del problema: - Tizio è titolare di una quota di Euro 1.000 nella società Alfa. Il 1° aprile 2009 la società delibera un aumento gratuito del capitale iscritto nel R.I. il giorno 10 aprile, portando il valore della quota di Tizio ad Euro 1.200. Nel periodo intercorrente tra approvazione ed iscrizione della delibera nel R.I. , Tizio cede una quota di Euro 950 a Caio il 2 aprile ed una quota di Euro 150 a Sempronio il 3 aprile; infine, a delibera iscritta, Tizio cede una quota di Euro 100 a Silano il giorno 11 aprile. L’acquisto di Caio e di Silano non pongono problemi mentre invece Sempronio risulta avere acquistato il 3 aprile una quota che in quel momento superava di Euro 100 la residua titolarità dell’alienante, divenuto poi effettivamente portatore dell’aumento della sua quota in epoca successiva. In questo caso si dovrà ritenere che Sempronio abbia acquistato una quota in parte (per Euro 50) già presente ed in parte (per Euro 100) futura e che questa seconda parte dell’acquisto si perfezioni secondo quanto previsto dall’articolo 1472 C.C. (vendita di cosa futura). - Un ulteriore complicazione si ha nel caso in cui l’ammontare complessivo della somma delle carature di quota cedute da Tizio prima e dopo l’esecuzione dell’aumento di capitale venga a superare quello della quota che gli compete ad aumento concluso. Poniamo infatti che al terzo acquirente (Silano) venga ceduta una quota di Euro 200 anziché di Euro 100. Secondo e terzo acquirente in questa ipotesi si trovano in un conflitto non risolto dall’articolo 1472 C.C., avendo acquistato Sempronio una parte di quota in quel momento non ancora esistente, e Silano invece quella quota residua divenuta di Caio a seguito del perfezionamento dell’aumento di capitale, - Si faccia poi l’ipotesi in cui la società Alfa deliberi una riduzione del capitale sociale che vada a incidere proporzionalmente sulla quota di Tizio portandola da Euro 1.000 ad Euro 200, che nelle more dell’iscrizione nel R.I. della delibera, Tizio cede prima a Caio una quota di Euro 50 e poi a Sempronio una quota di Euro 950. Una volta conclusosi l’iter di iscrizione della delibera si avrà un conflitto tra i due successivi acquirenti che dovrà essere risolto, a seconda dei casi in applicazione del terzo comma dell’articolo 2470 C.C., potendo il primo acquirente o ricevere integralmente quanto disposto a suo favore o anche nulla se il secondo acquirente in buona fede riuscirà ad iscrivere il proprio titolo in data anteriore. Simili eventualità non sono concepibili nel sistema di pubblicità dei trasferimenti dei beni immobili e di quelli mobili registrati. La recente pronuncia del Giudice del Registro di Roma n. 6052/2009, se difficilmente condivisibile nella parte in cui attribuisce al Conservatore del R.I. un potere di controllo generalizzato sugli atti (sulla base di una lettura allargata dell’articolo 2189 C.C.), più stringente laddove l’atto sia soggetto alla formalità dell’iscrizione e non del semplice deposito, è certamente sintomo del malessere di un sistema che, in caso di abuso della forma, possa ritenersi consentire un depauperamento-arricchimento contro od in assenza della volontà del titolare in mancanza di una norma che lo disponga chiaramente. Allo stato, infatti, una tutela dell’acquirente di buona fede nell’ipotesi in cui venga alienata una quota di s.r.l. da parte di chi non ne sia mai stato titolare appare eversiva. Data per scontata la possibilità che un atto di disposizione di tal genere, formalmente ineccepibile, non sia non iscrivibile presso il R.I., nel momento in cui successivamente l’apparente titolare di ciò che mai è entrato nel suo patrimonio o che mai è esistito trovi modo a sua volta di trasferire ad un terzo acquirente di buona fede ciò che non è mai stato suo, solo una difesa acritica della formulazione letterale del terzo comma dell’articolo 2470 C.C. porterebbe alla conclusione di dover attribuire al terzo in questione un bene mai entrato nel patrimonio del suo dante causa. Il rischio di abusi incontrollabili ed il risvolto pratico inquietante che ne consegue non consentono all’interprete di ritenere ammissibile questa soluzione, che si pone in contrasto con l’efficacia dichiarativa dell’iscrizione e con la convinzione, oggi avvertita dagli interpreti, di poter rilevare nel D.N.A. del sistema della pubblicità commerciale la presenza del principio della continuità delle iscrizioni. Non è un caso che le ultime riforme e le circolari interpretative ed applicative emanate dal Ministero delle Attività Produttive si muovono nel tentativo di evitare equivocità nel passaggio, conformando il contenuto del modulo INT.S in forte similitudine con quello della nota di trascrizione o iscrizione immobiliare, ma non si deve dimenticare che in linea generale il sistema della pubblicità immobiliare funziona bene soltanto laddove esista un accurato sistema di mappatura del territorio (e da noi uno simile riferito alle compagini sociali manca completamente) e che inoltre, mentre nel sistema di pubblicità immobiliare si pubblica la nota ed il suo contenuto, in quello della pubblicità commerciale si iscrive l’atto, il cui contenuto prevale ma non è subito disponibile per la lettura (dovendosi prima attendere la sua archiviazione ottica, che segue di qualche giorno la data dell’iscrizione). Impossibile quindi un’assimilazione tra nota di trascrizione e risultanze dell’iscrizione Nel sistema del Registro delle Imprese non vi sono poi elenchi alfabetici dei nominativi dei soci dai quali risulti quali singoli atti di disposizione hanno interessato ogni singolo socio, e la ricostruzione dei passaggi e dei frazionamenti di quota (o di riduzione o ampliamento della medesima) richiede da parte di chi effettui la visura l’esame di tutti gli atti di proprio interesse che si siano susseguiti dal momento della costituzione della società. Quanto poi al principio della continuità delle iscrizioni esso appare contraddetto dall’articolo 2207 I° comma C.C. che impone l’iscrizione degli atti di modifica o revoca della procura institoria anche nel caso in cui la procura non sia stata pubblicata. Pur potendosi aderire alla tesi dell’eccezionalità di tale norma, che confermerebbe come tale la normale vigenza del principio di continuità, allo stesso non potrebbe essere certo attribuita la medesima rilevanza giuridica che gli articoli 2650 e 2688 C.C. prevedono per la continuità delle trascrizioni. E’ vero che, a seguito dell’abolizione della trasmissione dell’elenco annuale dell’elenco soci in allegato al bilancio (formalità non soggetta a iscrizione), si è tentato di costruire una sorta di riepilogo generale degli assetti proprietari con dati aggiornati forniti dalle stesse società, quale valido punto di riferimento per la partenza del nuovo sistema, ma, come dimostra l’intervento del Giudice del Registro di Roma, non è dato attribuire a questi elenchi un valore assoluto in termini di veridicità del contenuto, giacché essi sono un documento di parte privo di riscontri ufficiali e di valore assoluto, ed è difficilmente ipotizzabile che i Registri Imprese di tutta Italia vogliano e/o possano effettuare un controllo incrociato tra i dati forniti e i dati risultanti dai propri archivi, al fine di espungere eventuali errori. Nè poi si riuscirebbe nel frattempo ad evitare l’affastellamento di ulteriori atti di trasferimento che complichino ancor più la situazione. Non si comprenderebbe, infine, come una serie di cancellazioni a catena, generate dalla mancanza di veridicità dell’elenco trasmesso, possa conciliarsi con il rispetto delle altre formalità iscritte (di cessione o di costituzione di garanzia o di esecuzione da parte di terzi in buona fede) operate prima dell’intervento del provvedimento di cancellazione dell’elemento erroneo su cui si sono fondate. Solo in un sistema come quello tedesco, infatti, laddove si imputa alla parte che trasmette la responsabilità del contenuto delle comunicazioni e si è imposto l’obbligo di trasmissione di un elenco dei soci aggiornato dopo ogni atto di trasferimento, si può correttamente imputare alla società, a titolo sanzionatorio, nel caso di acquirente a non domino che abbia fatto affidamento sull’apparenza titolata, l’onere di far nascere la quota “inesistente” ceduta o mediante aumento del capitale nominale o mediante riduzione proporzionale delle quote di tutti i soci. 5. IL PROCEDIMENTO DI ISCRIZIONE. CENNI Il primo comma dell’articolo 2470 stabilisce ora che l’efficacia del trasferimento della partecipazione ha effetto di fronte alla società dal momento del deposito dell’atto presso il R.I.. La parola “deposito” va intesa come sinonimo di “deposito per l’iscrizione”, ma la sua apparente brachilogia avalla l’interpretazione della classe notarile che l’acquirente abbia diritto di esercitare le facoltà connesse alla quota prima di dover attendere la vera e propria iscrizione del suo titolo. Questa circostanza, venuta meno l’obbligatorietà del libro dei soci, potrà creare elementi di difficoltà prima sconosciuti nel caso in cui il soggetto, legittimato in base al solo deposito, spenda la sua qualità di socio ma si veda poi negata l’iscrizione nel R.I. del proprio titolo. Diventerebbero così inefficaci tutti gli atti ricollegabili all’erronea legittimazione e potrebbe emergere una responsabilità (degli amministratori) per aver fatto affidamento su ciò che si è poi rivelato essere privo di fondamento. Per porre rimedio a ciò, ed in parallelo all’eventualità che si ritenga decorrente dalla data del trasferimento il termine per il deposito della dichiarazione o variazione di unico socio, nella prassi si sta affermando una interpretazione che ricolleghi l’effetto (e la decorrenza) dell’efficacia del trasferimento al momento dell’iscrizione e non più a quello del mero deposito. Il previo passaggio dell’atto presso il R.I. si atteggia poi come inderogabile, non potendosi ammettere prassi o norme statutarie che consentano l’attribuzione della qualità di socio e/o l’esercizio dei diritti dipendenti in assenza dell’avvenuto deposito dell’atto presso il R.I. e della prova dell’adempimento di tale formalità. Pertanto, pur certamente legittime quelle clausole statutarie che introducano il libro dei soci facoltativo e facciano dipendere l’efficacia del trasferimento verso la società dall’iscrizione in tale libro, non potranno invece ritenersi valide quelle clausole che consentano l’iscrizione in assenza della prova del rispetto dell’onere pubblicitario. A ben riflettere, l’ultima formulazione dell’articolo 2470 primo comma C.C., anche a prescindere dall’abrogazione dell’obbligo della tenuta del libro dei soci, si presenta come coerente applicazione del principio di libera trasferibilità della quota salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo. Ed infatti la norma ha il carattere della generalità e come tale si ricollega all’altrettanto generale principio di libertà che configura come struttura aperta la s.r.l. salvo patto contrario. Essa resta indifferente al problema della introducibilità di clausole limitative o impeditive del trasferimento come espressione di singole scelte concrete, che non impedisce né impone. Sarà onere della singola struttura organizzativa societaria, nel rispetto deill’art. 2469 C.C., produrre per scelta consapevole una frattura tra efficacia verso i terzi del passaggio (sempre dipendente dall’iscrizione nel R.I.) ed efficacia verso la società (immediata in assenza di limiti, ovvero subordinata all’esame da parte degli amministratori del rispetto degli stessi prima del riconoscimento della legittimazione a socio, o impossibile in caso di sancita intrasferibilità assoluta, inter vivos e/o mortis causa, della quota). Con riferimento al procedimento di deposito per l’iscrizione dell’atto di trasferimento nelle R.I., pur dovendosi dare atto che dal 2004 l’evasione delle pratiche segue un rigoroso ordine cronologico di protocollazione, è bene mettere in rilievo che l’ottenimento di tale risultato varia a seconda che chi spedisce la pratica richieda o meno contemporaneamente la protocollazione automatica. Infatti in mancanza di richiesta, la protocollazione manuale avviene in un momento successivo alla spedizione, allorquando un operatore esamini la pratica. Questa differenza di modalità di inoltro può consentire il ribaltamento dell’ordine di iscrizione a favore della spedizione di data successiva, se protocollata in automatico, rispetto a quella di data anteriore ma protocollata in manuale. Una volta ricevuta e protocollata la pratica, le coordinate del problema del controllo sulle richieste di iscrizione possono essere riassunte secondo il seguente schema: a) l’Ufficio del R.I. effettua i controlli previsti dall’articolo 11 comma 6 D.P.R. 581/95, b) fra questi controlli è previsto genericamente che l’ufficio accerti la corrispondenza dell’atto o del fatto del quale si chiede l’iscrizione a quello previsto dalla legge: vedi anche gli articoli 2188 e 2189 C.C., c) dalla necessità di previsione legale delle iscrizioni si desume il principio di tipicità delle stesse nel R.I. d) dalla lettera della legge non è dato supporre che l’ufficio del R.I. debba e possa controllare la legittimazione dell’alienante o la corrispondenza tra alienante e titolare della quota come individuabile dalle risultanze del R.I. (continuità delle iscrizioni), e) la stessa previsione del metodo di risoluzione del conflitto presuppone l’esistenza di più iscrizioni tra loro in contrasto totale o parziale. 6. LA CRITICITA’ ED I LIMITI DELLA NORMA DI CONFLITTO Veniamo adesso al problema se l’articolo 2470 C.C. costituisca applicazione dei principi (efficacia negativa, efficacia positiva) stabiliti in generale per la pubblicità commerciale dall’articolo 2193 C.C., ovvero si ponga come norma speciale per la risoluzione dei conflitti in disarmonia parziale o totale rispetto agli stessi. In particolare è necessario domandarsi se anche nel caso del trasferimento delle partecipazioni sia necessario ritenere vigente il principio dell’efficacia assoluta degli atti iscritti. Un esempio chiarirà la questione: - A, falsus procurator, cede a B la quota di C nella società Alfa, spendendo il nome di C senza però allegare una procura o allegandone una revocata, inadeguata o contraffatta. C iscrive il proprio titolo nel R.I.. Nel frattempo C cede la propria quota a D prima del deposito dell’atto fra il falsus procurator e B; l’atto di cessione tra C e D viene depositato al R.I. dopo l’iscrizione del trasferimento inefficace della quota di C fatta dal falsus procurator A a favore di B. Se fosse necessario interpretare la sequenza temporale secondo l’articolo 2193 secondo comma C.C., dal momento dell’iscrizione dell’atto inefficace D, pur non essendone concretamente a conoscenza, non potrebbe più opporre la propria ignoranza circa l’esistenza del titolo di B. Pertanto nel momento dell’iscrizione del titolo efficace che opera il trasferimento da C a D questi non potrebbe più essere considerato in buona fede rispetto all’anteriorità dell’altro titolo anche se questo è inefficace. Se dopo C, venuto in contatto con A, fraudolentemente ratifichi nelle forme necessarie l’operato di A ed il trasferimento della quota a B ed il suo atto venga iscritto nel R.I., in base al principio della retroattività della ratifica stabilito dal secondo comma dell’art. 1399 C.C., B viene a prevalere rispetto a D. Ma l’assurdo non finisce qui: nell’esempio fatto l’acquisto di B deriva dalla successione di due atti: il primo, l’acquisto dal falsus procurator; il secondo la ratifica da parte di C. Siccome nel frattempo è stato iscritto anche l’atto con cui C aliena a D la sua quota, nel momento dell’iscrizione della ratifica anche B è in mala fede. La soluzione allora dovrà rintracciarsi nel limite alla retroattività che deriva dalla tutela dei diritti dei terzi di cui all’articolo 1399 C.C., che impedisce di far salvo l’acquisto di B a danno di D, prescindendo dalla buona o mala fede di quest’ultimo nel momento dell’iscrizione nel R.I. del proprio titolo. L’esempio fatto, già di per se illuminante, può essere ulteriormente confortato mettendo in rilievo altri aspetti della inapplicabilità dell’articolo 2193 C.C.: - Si ponga questo caso: Tizio, che ha acquistato la quota di Caio in buona fede, venendo a conoscenza di un’altrui acquisto della stessa quota di data anteriore al proprio, preoccupato delle potenziali conseguenze negative a suo carico, sollecita all’intermediario abilitato il deposito per l’iscrizione del proprio atto nel R.I., venendo così a mancare la sua buona fede al momento dell’iscrizione del titolo nel R.I.. In applicazione dell’art. 2193 C.C. la sua posizione viene automaticamente a soccombere rispetto a quella dell’acquirente per atto successivo a prescindere dalla priorità dell’una o dell’altra iscrizione? E se poi Tizio, pur venendo a conoscenza dell’altrui acquisto, comunque successivo al proprio, non fa nulla per sollecitare l’iscrizione del proprio titolo e ne ottiene però l’iscrizione prima dell’altro, è perciò solo da considerare in mala fede e non preferibile, oppure la sua pretesa mala fede sopravvenuta non può essergli di danno in alcun modo, come è giusto che sia? - Si supponga ancora che Caio, primo acquirente da Tizio, nel tempo intercorrente fra la stipula del suo atto di cessione e il deposito da parte del Notaio od altro intermediario, si cauteli inviando una raccomandata al Conservatore del R.I. in cui comunica con tutti i dati il contenuto dell’atto di cessione, al fine di precostituire la prova della conoscenza del fatto a carico del Pubblico Ufficiale. Nel frattempo un secondo acquirente deposita il proprio titolo dallo stesso dante causa prima del deposito del titolo di Caio ma dopo il ricevimento della raccomandata. Chi prevale? Rileva o meno la buona fede del secondo acquirente primo depositante o la conoscenza in modo diverso dall’iscrizione del primo titolo configura automaticamente il secondo acquirente come in mala fede? Sorgerebbe addirittura in capo al Conservatore un obbligo di rifiutare l’iscrizione del secondo atto, considerata l’incompatibilità con il primo che per altro non è ancora stato depositato presso il R.I? Ritorna con urgenza il problema dell’individuazione dei poteri del Conservatore del R.I. e della loro estensione, ricollegata per altro alla concezione e funzione del Registro e della considerazione della partecipazione come bene mobile registrato. La questione deve essere poi allargata e collegata con l’ammissibilità dell’iscrizione (in deroga al principio di tipicità legale delle iscrizioni insito all’articolo 2188 C.C.) di atti giudiziari o addirittura di contratti preliminari di cessione della partecipazione tesi a creare un effetto prenotativo inteso come conoscibilità assoluta del contenuto del documento iscritto che ponga automaticamente in mala fede chi pretenda successivamente di iscrivere un proprio titolo di acquisto. La tesi positiva sostenuta dalla giurisprudenza del Tribunale di Milano, che anche prima del 2003 ha ammesso l’iscrivibilità di atti giudiziari afferenti procedimenti aventi ad oggetto la partecipazione, non può comportare come effetto automatico una presunzione di mala fede del successivo acquirente, dando spazio altrimenti a strategie ostruzionistiche e dilatorie e non tenendo conto altresì che la mala fede non deve essere intesa come semplice conoscenza dell’esistenza del titolo del terzo (quale che ne sia la natura), ma semmai come assenza della convinzione della prevalenza e legittimità della propria posizione a cagione dell’altrui pretesa, e, a contrario, la buona fede anche come certezza, o quantomeno dubbio, della infondatezza delle ragioni avverse. Si segnalano qui di seguito alcuni interessanti applicazioni pratiche del criterio dettato dal terzo comma dell’articolo 2470 C.C.: - certamente deve ritenersi in mala fede il secondo acquirente primo iscrivente che figuri come testimone in sede di conclusione del primo atto che viene iscritto come secondo acquisto, potendosi addirittura ritenere questo caso come ipotesi di contratto stipulato a danno del terzo, facente nascere una responsabilità risarcitoria di natura aquiliana a carico del soggetto in mala fede, - poiché la norma fa riferimento ad alienazioni operate con successivi contratti a più persone, se le cessioni tra loro in contrasto vengono concentrate in un unico documento (atto in più luoghi) la norma di conflitto non è applicabile e l’atto non produce alcun effetto, a meno che non si sia voluta una investitura comune intesa come contitolarità (non conflittuale), - se i contratti di alienazione sono distinti ma le diverse richieste di iscrizione sono contemporanee e gli acquirenti sono tutti in buona fede, la norma non consente di risolvere il conflitto e dovrà trovare applicazione il principio prior in tempo potior in jure (anteriorità del titolo di acquisto), - sviluppando l’ipotesi precedente il conflitto potrebbe approfondirsi se anche la doppia alienazione sia avvenuta con atti contestuali (uno concluso dal titolare e l’altro dal suo procuratore), giacchè in questo caso nessun contratto può essere considerato successivo all’altro, - se i soggetti acquirenti nei due diversi e contemporanei atti vengono reciprocamente a conoscenza del conflitto prima dell’iscrizione dei titoli nel R.I., entrambi dovrebbero essere considerati in mala fede al momento della iscrizione. Si potrebbe far prevalere comunque il primo iscrivente, se emergente? - se i titoli operano alienazioni di diverso contenuto quanto al diritto (si cede la piena proprietà e successivamente il solo usufrutto) la regola troverà applicazione temperata in riferimento alle situazioni di incompatibilità: ad esempio il primo iscrivente, anche se in mala fede, acquisterà comunque la nuda proprietà, - in ipotesi di conflitto tra creditore pignoratizio e acquirente della quota lo stato di buona o mala fede del creditore è indifferente rispetto alla prevalenza della sua iscrizione, mentre invece può essere rilevante quello dell’acquirente primo iscrivente, - similmente in caso di conflitto tra soggetto che chiede l’iscrizione del sequestro e acquirente delle quota, - il criterio della buona o mala fede è applicabile per decidere la prevalenza tra chi abbia iscritto un vincolo di destinazione (fondo patrimoniale) e acquirente della quota, - controversa l’applicabilità della norma dettata in tema di usucapione per i beni mobili registrati (articolo 1162 C.C.); se si interpreta l’iscrizione nel R.I. di un titolo idoneo all’acquisto della partecipazione sociale, ove il dante causa non sia titolare e l’avente causa sia in buona fede, la soluzione positiva transiterebbe per l’identificazione dell’iscrizione come atto di immissione nel possesso del bene. E’ preferibile la soluzione negativa attesa l’impossibilità di tale identificazione (da altri ricollegata all’iscrizione nel libro dei soci ed all’effettivo esercizio dei diritti sociali) e la conseguente irrilevanza del successivo decorso del tempo, - nel caso di pegno di quota iscritto in base ad atto unilaterale di concessione, anche non ritenendosi l’iscrizione come equipollente della consegna del bene, avremo da una parte il creditore che conseguirà l’esclusiva disponibilità della cosa attraverso la richiesta di esercizio dei propri diritti nei confronti della società (atto o fatto non soggetto ad iscrizione) e dall’altra l’impossibilità di dirimere il conflitto con l’altro acquirente in base allo stato di buona o mala fede del primo, non essendo lo stesso colui il quale ha richiesto l’iscrizione e non potendo certo in alcun modo essere utile lo stato d’animo del debitore concedente. - in tema di vendita di quota altrui: Tizio vende a Caio la quota di Sempronio senza spendere il nome di quest’ultimo e informando Caio che Sempronio si è già obbligato a trasferirgliela. Il contratto di vendita di quota altrui viene stipulato in forma autentica, depositato e iscritto nel R.I.. Successivamente viene formalizzato l’atto di trasferimento da Sempronio a Tizio che viene iscritto nel R.I. dopo quello sottoscritto tra Tizio e Caio. Ai sensi dell’articolo 1478 C.C. Caio acquista la quota nel momento del secondo atto ed il suo titolo di proprietà rispetto ad eventuali terzi aventi causa da Sempronio è costituito dal primo contratto con Tizio (ad effetti obbligatori) e dal secondo contratto tra Tizio e Sempronio. Qualora sorgesse un conflitto tra Caio ed altri aventi causa da Sempronio o dallo stesso Tizio a quale titolo andrà riferita la priorità di iscrizione di Caio e la sua buona fede al momento dell’iscrizione nel R.I.? - ancora in tema di vendita di cosa altrui: Mevio cede la sua quota a Sempronio che iscrive l’atto nel R.I.. Dopo Mevio, con un atto che richiama espressamente l’altruità della quota, la rivende a Tizio ed anche il secondo atto viene iscritto nel R.I.. Successivamente Mevio riacquista da Sempronio la quota che gli aveva già prima ceduto ed a questo punto per effetto dell’articolo 1478 C.C. diventa efficace la cessione a favore di Tizio. Purtroppo dopo il secondo atto fra Mevio e Sempronio quest’ultimo in mala fede vende la quota a Caio che non è a conoscenza del ritrasferimento a Mevio non essendo questo stato ancora iscritto nel R.I.. Che cosa deve essere inteso come necessario che sia iscritto prima nel R.I. per dare soluzione a un conflitto del genere? Il primo atto con effetti obbligatori od il secondo che realizza l’effetto richiesto dall’articolo 1478 C.C. per l’automatico ingresso nel patrimonio del compratore del bene venduto come altrui? - in materia di contratto a favore del terzo: Tizio vende a Caio che acquista a favore del terzo Mevio la quota di partecipazione della s.r.l. Alfa. Successivamente nelle more dell’iscrizione dell’atto nel R.I. Tizio rivende la stessa quota a Sempronio, informando di tale circostanza Mevio. Il primo atto viene quindi iscritto nel R.I. in un momento in cui il terzo a favore del quale il contratto è stato stipulato era a conoscenza della seconda cessione, mentre Caio ne era completamente ignaro. In successione viene iscritto nel R.I. il secondo atto, dopo di che Mevio viene informato da Caio della prima stipula a suo favore. La mala fede di Mevio, intesa come conoscenza del secondo trasferimento, nuoce alla prevalenza del suo acquisto oppure, essendo egli formalmente non partecipante all’atto, il suo atteggiamento è completamente indifferente per la risoluzione del conflitto? Dove la regola della buona fede al momento dell’iscrizione rileva tutta la sua inadeguatezza è il caso della tripla alienazione: - Mevio aliena la stessa partecipazione nella s.r.l. prima a Tizio, poi a Caio e poi a Sempronio. Sempronio sa che Mevio ha ceduto a Tizio (ed è in mala fede rispetto alla prima vendita), non sa invece che Mevio ha venduto la stessa quota anche a Caio (ed è invece in buona fede rispetto alla seconda vendita). Caio da parte sua è ignaro dell’acquisto di Tizio ed è in buona fede rispetto alla prima vendita. Si supponga che il primo titolo iscritto nel R.I. sia quello di Sempronio, a seguire quello di Caio ed infine quello di Tizio. Secondo il principio del terzo comma dell’articolo 2470 C.C. (prevalenza di chi per primo effettua in buona fede l’iscrizione): a) Sempronio prevale su Caio. Tuttavia Sempronio è in mala fede rispetto a Tizio. b) Tizio prevale su Sempronio. Ma tra Tizio e Caio prevale Caio che in buona fede ha iscritto il suo titolo prima di quello di Tizio. c) Caio prevale su Tizio. A questo punto non si capisce chi abbia acquistato da Mevio prevalendo sui concorrenti, determinandosi una situazione di circolarità che non consente di risolvere il problema dell’attribuzione della titolarità in termini assoluti. Questa ed altre considerazioni, alla luce dei tanti esempi prposti, ha portato allo sviluppo di una tesi che adotta una nozione di buona fede in termini assoluti e non relativi, la cosiddetta buona fede continua, che cerca di sopperire alla mancanza di una regola che attribuisca ad uno dei soggetti in conflitto una situazione analoga al possesso. Se poi si riflette che forse l’unico momento davvero conclusivo della fattispecie era da molti individuato nell’iscrizione del libro dei soci, solo momento davvero impeditivo all’alienante di disporre ulteriormente della quota e circostanza illuminante al fine di preferire chi potesse vantare un acquisto anteriore, non c’è dubbio che appare controversa la scelta del legislatore di rendere non più obbligatorio questo strumento e concentrare l’attenzione dell’interprete sulla fattispecie secondaria della pubblicità commerciale, che non può essere ritenuta corrispondente all’acquisto in buona fede del possesso dei beni mobili. Almeno non per ora con l’attuale formulazione della norma. Dott. Giovanni Varchetta Notaio