Dispensa n. 9c del corso di PLANETOLOGIA (Prof. V. Orofino) FORMAZIONE PLANETARIA: UN POSSIBILE MODELLO C. MIGRAZIONI PLANETARIE Università del Salento Corso di Laurea Magistrale in Fisica A.A. 2016-2017 Ultimo aggiornamento: Febbraio 2017 1 1. Introduzione Per molto tempo la struttura dell’odierno Sistema Solare, caratterizzata da orbite planetarie praticamente circolari, complanari ed equispaziate, è stata ritenuta il risultato di una tranquilla storia evolutiva che avrebbe portato ciascun pianeta a formarsi nella stessa posizione dove oggi lo vediamo e dove sarebbe rimasto stabilmente in una condizione di equilibrio dinamico con i suoi vicini. Negli ultimi anni ha però guadagnato consensi il punto di vista opposto che vede nelle migrazioni planetarie (in particolar modo quelle dei pianeti giganti) un fenomeno determinante per l’evoluzione del Sistema Solare, in quanto in grado di dare una spiegazione a varie questioni ancora poco chiare che discuteremo tra breve. Le migrazioni planetarie avvengono a causa dell’interazione gravitazionale tra il pianeta, appena formato o nelle fasi finali del suo processo di formazione, ed il disco protoplanetario ancora presente intorno alla stella centrale sia in forma solida (planetesimi) che in forma gassosa. Sicuramente l’interazione con la componente gassosa del disco domina nelle prime fasi. In termini molto generali l’evoluzione dinamica del pianeta è dovuta all’interazione mareale di quest’ultimo sia con il materiale gassoso posto all’interno della sua orbita che con quello posto all’esterno. Il primo, muovendosi più rapidamente del pianeta, tende a cedergli momento angolare e ad accelerarlo, a causa di un momento torcente τi (positivo) esercitato sul corpo celeste; il secondo, orbitalmente più lento del pianeta, tende a sottrarre momento angolare a quest’ultimo, decelerandolo a causa di un momento torcente τe (negativo). In prima approssimazione tutto dipende dal bilanciamento di questi due momenti contrapposti (Baruteau e Masset, 2013): se prevale l’azione del gas posto all’interno dell’orbita planetaria, quest’ultima progressivamente si allarga ed il pianeta migra verso l’esterno; in caso contrario si ha una migrazione verso l’interno. In genere predominano le migrazioni verso l’interno. Le migrazioni planetarie dovute al disco gassoso sono di tre tipi. La migrazione di primo tipo riguarda pianeti non molto massivi, che quindi non sono in grado di modificare apprezzabilmente la struttura del disco. Si tratta di un tipo di migrazione abbastanza rapida con tempi scala molto minori di 105 anni (Alexander, 2013); essa avviene verso l’interno per ogni ragionevole andamento di densità e temperatura del disco (Baruteau e Masset, 2013). Un secondo tipo di migrazione riguarda i pianeti dotati di grande massa (tipicamente dell’ordine di quella di Giove − Alexander, 2013; Baruteau e Masset, 2013), i quali producendo una lacuna (gap) nel disco protoplanetario, migrano verso l’interno più lentamente rispetto al caso precedente, con tempi-scala dell’ordine dei 105 anni (Alexander, 2013). La maggiore lentezza del processo rispetto al caso precedente è dovuta alla grande massa planetaria ed alla ridotta interazione con il gas causata dalla presenza della gap. All’aumentare della massa del pianeta la velocità di 2 migrazione diminuisce, ma lo spostamento è invariabilmente verso l’interno (Alexander, 2013) La migrazione di terzo tipo sembra essere un processo abbastanza raro che può verificarsi quando pianeti con massa paragonabile a quella di Saturno, in grado di aprire gap parziali nel disco, sono collocati all’interno di un disco molto denso e migrano molto più velocemente rispetto ai primi due casi (Walsh et al., 2012; Baruteau e Masset, 2013). Questo tipo di migrazione può essere sia verso l’interno che verso l’esterno (Baruteau e Masset, 2013). I due modelli che meglio descrivono il ruolo dei pianeti giganti nella formazione del Sistema Solare interno ed esterno sono rispettivamente il modello del Grand Tack (Walsh et al., 2011) e il modello di Nizza (Tsiganis et al., 2005). 2. Il modello del Grand Tack Questo modello descrive la migrazione di Giove e Saturno all’interno del disco protoplanetario ancora ricco di gas, 20-80 milioni di anni prima della formazione della Terra (Walsh et al., 2012). Come riportato nella tab. 1, secondo il modello, Giove fu il primo pianeta gigante a formarsi, ad una distanza di 3.5 UA dal Sole, nelle vicinanze della snow line, mentre Saturno era ancora in fase di formazione (Walsh et al., 2012). Simulazioni idrodinamiche hanno dimostrato che durante la sua formazione, Giove formò una gap nel disco protoplanetario circostante e migrò verso l’interno, effettuando una migrazione del secondo tipo (Walsh et al., 2012). Se non fosse intervenuto nessun altro evento, la migrazione gioviana sarebbe molto probabilmente continuata fino al raggiungimento di una stretta orbita intorno al Sole ed il pianeta sarebbe diventato uno dei tanti “Giovi caldi” (Hot Jupiters) scoperti in altri sistemi extrasolari. Tuttavia, quando Saturno, formatosi intorno a 4.5 UA, aumentò notevolmente le proprie dimensioni fino a raggiungere 60 masse terrestri, iniziò una migrazione del primo tipo verso l’interno del disco, muovendosi molto più velocemente di Giove (Walsh et al., 2011). Le simulazioni mostrano che, durante la sua migrazione, Saturno fu catturato in una risonanza di moto medio 3:2 con Giove (Masset e Snellgrove, 2001; 2004; Pierens e Raymond, 2011), mentre la gap parzialmente aperta dal pianeta nel disco si unì con quella più larga presente intorno a Giove. Questa doppia circostanza modificò in modo radicale l’evoluzione dinamica del sistema Giove-Saturno-disco, poiché il gas si trovò ad interagire non più con i due pianeti separatamente ma con un unico sistema di corpi saldamente accoppiati tra loro a causa della risonanza orbitale. In particolare, rispetto al caso dei pianeti singoli, venne drasticamente alterato l’equilibrio dei momenti torcenti agenti sul sistema Giove-Saturno e, di conseguenza, 3 entrambi invertirono le loro migrazioni, dirigendosi verso l’esterno (Masset e Snellgrove, 2001; 2004). Tab. 1 − Condizioni iniziali per i pianeti ed i corpi minori del Sistema Solare, utilizzate nel modello del Grand Tack. In effetti, la fusione delle due gap comportò una rimozione del gas posto tra Giove e Saturno, per cui l’evoluzione dinamica del sistema Giove-Saturno fu determinata unicamente dal bilanciamento tra il momento torcente τi (positivo) esercitato sul sistema dal gas posto all’interno dell’orbita di Giove e quello τe (negativo) dovuto al gas all’esterno dell’orbita di Saturno. Siccome in situazioni di questo tipo i momenti meccanici τi e τe esercitati sul sistema dal gas all’interno ed all’esterno della gap dipendono dal quadrato della massa del pianeta più vicino (Masset e Snellgrove, 2001; 2004), nel caso del Sistema Solare, il rapporto τi/τe aveva una dipendenza da (MJ/MS)2 ≈ 100 (con MJ ed MS masse di Giove e Saturno, rispettivamente) che facilitava grandemente valori maggiori dell’unità. Di conseguenza, quando i due pianeti si trovarono all’interno di un’unica gap, il 4 momento risultate (τ = τi + τe) esercitato dal disco sul sistema divenne positivo, comportando una deriva del sistema verso l’esterno. E’ proprio questa inversione del moto di migrazione di Giove e Saturno, simile alla virata (tack) di una barca a vela intorno ad una boa, che da il nome al modello. Secondo Pierens e Raymond (2011), Giove e Saturno continuarono a migrare verso l’esterno, accoppiati in risonanza, fino alla scomparsa del gas presente nel disco, il che arrestò lo spostamento radiale dei due pianeti grosso modo nelle posizioni da essi ora occupate. In fig. 1 è illustrata l’evoluzione orbitale di Giove e Saturno all’interno del disco gassoso, mentre in fig. 2 sono rappresentate le migrazioni dei pianeti giganti e la crescita della loro massa secondo le simulazioni effettuate da Walsh et al. (2011). Fig. 1 – Evoluzione della densità superficiale del disco gassoso perturbata da Giove e Saturno (da Baruteau e Masset, 2013). Dopo una migrazione verso l’interno del disco (riquadro in alto a sinistra), con la conseguente cattura in risonanza di moto medio, i due pianeti sovrappongono le loro gap (riquadri in alto a destra ed in basso a sinistra) e migrano verso l’esterno (riquadro in basso a destra). 5 Fig. 2 – Migrazioni dei pianeti giganti e loro relativa crescita nel tempo (da Walsh et al., 2011). Giove si forma a circa 3.5 UA e migra verso l’interno. Quando Saturno raggiunge 60 masse terrestri, migra verso l’interno per circa 105 anni. Nello stesso arco di tempo Urano e Nettuno, formati a 6 e 8 UA, crescono fino a raggiungere una massa di circa 5 masse terrestri senza subire migrazioni. Quando sono rispettivamente a 1.5 e 2.0 UA, Giove e Saturno entrano in risonanza 2:3 e migrano verso l’esterno. Condizionati dalla migrazione esterna dei giganti gassosi, anche Urano e Nettuno modificano le loro orbite. E’ opportuno sottolineare che, secondo la descrizione fatta da Masset e Snellgrove nei loro due lavori del 2001 e del 2004, la creazione di un’unica gap intorno a Giove e Saturno ed il loro accoppiamento in risonanza sono i due processi che, uniti insieme, sarebbero stati la causa dell’inversione della migrazione dei due pianeti Bisogna inoltre notare che per dar luogo all’evoluzione sopra descritta, Saturno avrebbe dovuto avere una massa ottimale: troppo piccola ed il pianeta non sarebbe stato in grado di influenzare la migrazione di Giove (in quanto tra Giove e Saturno ci sarebbe stata una quantità di gas sufficiente per esercitare sul primo un momento torcente negativo di intensità tale da provocare una prosecuzione della migrazione verso l’interno); troppo grande e, per quanto visto sopra, il rapporto τi/τe sarebbe stato minore dell’unità, causando di nuovo una prosecuzione della migrazione verso l’interno. D’altra parte il modello richiede anche una notevole sincronizzazione dell’evoluzione di Giove e Saturno, dal momento che Saturno avrebbe dovuto 6 formarsi al momento giusto: troppo presto e Giove non sarebbe mai penetrato nella fascia degli asteroidi; troppo tardi e al contrario avrebbe distrutto la regione in cui sono presenti oggi la Terra e Venere. Un possibile punto debole del modello del Grand Tack risiede nel fatto che esso calcola l’interazione tra il gas del disco ed i pianeti Giove e Saturno nell’ipotesi di flusso laminare. In effetti Motwani e Batygin (2016) hanno trovato che moti turbolenti su larga scala nel disco potrebbero inibire la cattura di Saturno nella risonanza orbitale con Giove, che, come abbiamo visto, è condizione necessaria per l’inversione del moto radiale dei due pianeti. Inoltre la migrazione non è descritta in modo univoco dalle diverse versioni del modello. Ad esempio secondo le prime simulazioni (Walsh et al. 2011) la migrazione di Giove si invertì ad una distanza di 1.5 UA dal Sole, mentre quelle recentemente ottenute da Brasser et al. (2016) suggeriscono che l’inversione si sarebbe manifestata ad una distanza di 2 UA. Anche la risonanza orbitale tra Giove e Saturno potrebbe essere stata di tipo 1:2 (Pierens et al. 2014) invece della 2:3, usualmente trovata nei primi lavori (Walsh et al. 2011). La validità del modello del Grand Tack sarà testata nei prossimi anni, ma per il momento esso risulta essere l’impianto teorico che meglio descrive l’evoluzione del Sistema Solare interno (Chambers e Mitton, 2016). Ad esempio esso spiega perché il Sistema Solare non possiede un pianeta gigante vicino al Sole (uno dei già citati Hot Jupiters), caratteristica riscontrata in molti sistemi extrasolari. Inoltre esso riproduce adeguatamente diverse importanti proprietà dei pianeti interni: orbite, masse, tempiscala d’accrescimento e presenza d’acqua; in particolare tale modello riesce a dar conto della piccola massa di Marte (v. sottoparagrafo successivo). Infine esso spiega la struttura della fascia asteroidale: deficit di massa, eccitazione orbitale e soprattutto coesistenza di due grandi classi di asteroidi, quelli di tipo S e di tipo C, molto diverse l’una dall’altra, rispettivamente associate alle condriti ordinarie ed alle condriti carbonacee (v. sottoparagrafo 2.2). 2.1 Il problema della massa di Marte Per quanto riguarda il problema della piccola massa di Marte bisogna osservare che le migrazioni interne ed esterne di Giove e Saturno modificarono le posizioni dei planetesimi e dei corpi minori presenti nel disco protoplanetario. In particolare la prima parte della migrazione di Giove (verso l’interno) provocò una modifica della distribuzione del materiale presente nella regione intorno ad 1.5 UA, che originariamente conteneva all’incirca una massa pari a 0.5-1.0 masse terrestri (Raymond et al., 2009), un valore molto più alto se confrontato con l’attuale massa di Marte (0.107 masse terrestri). La maggior parte degli oggetti venne proiettata ancor più all’interno del disco, fino ad 1 UA (Walsh et al., 2012) provocando lo svuotamento della regione dove si sarebbe formato Marte. 7 2.2 Struttura e massa della Fascia Principale degli asteroidi Durante la loro migrazione Giove e Saturno spostarono dalle loro orbite iniziali la maggior parte degli asteroidi, lasciandosi dietro un residuo di corpi orbitalmente eccitati provenienti sia all’interno che all’esterno della originaria posizione di Giove. Prima della migrazione di Giove i planetesimi si trovavano su orbite di bassa eccentricità ed inclinazione e la loro composizione dipendeva unicamente dalla distanza dal Sole: i planetesimi rocciosi (di tipo S) dominavano le regioni interne poste entro la snow line, mentre i planetesimi carbonacei (di tipo C) contenenti grandi quantità di sostanze volatili ghiacciate prevalevano nelle regioni esterne (v. tab. 1). Secondo il modello del Grand Tack, Giove attraversò due volte la zona ora occupata dalla Fascia Principale degli asteroidi (in un primo momento durante lo spostamento verso l’interno e poi durante il ritorno verso la regione di origine). In tal modo, a seguito di incontri ravvicinati con i planetesimi ivi presenti, inviò questi ultimi prima verso l’esterno e poi verso l’interno (secondo un meccanismo di diffusione descritto da Alexander, 2013), impoverendo pesantemente la loro popolazione. Successivamente Giove e Saturno, continuando la loro migrazione verso l’esterno, accoppiati in risonanza, superarono la snow line ed entrarono nella regione occupata dai primitivi asteroidi di tipo C (Walsh et al., 2011). Circa lo 0.5% di questi ultimi, a causa di incontri ravvicinati con i due giganti gassosi, fu immesso su orbite più strette andando a popolare la regione più esterna dell’attuale Fascia Principale degli asteroidi. Altri planetesimi ricchi di ghiaccio furono invece immessi su orbite ancora più strette ed eccentriche ed inviati nella regione di formazione dei pianeti terrestri dove, impattando su questi ultimi, fornirono loro grandi quantità d’acqua (O'Brien et al., 2015). Di conseguenza, la fascia asteroidale risultante ha una piccola massa, un ampio intervallo di inclinazioni ed eccentricità ed una popolazione mista di asteroidi di tipo S e C proveniente sia dalle zone interne che da quelle esterne alla snow line. 3. Il modello di Nizza Il modello di Nizza descrive l’evoluzione orbitale dei pianeti giganti dopo la dispersione del gas presente nel disco protoplanetario a causa sia della loro mutua attrazione gravitazionale che della loro interazione con un disco di planetesimi ghiacciati originariamente presente oltre 20 UA dal Sole. L’obiettivo del modello è di trovare uno scenario unificato per l’evoluzione del Sistema Solare dopo la formazione dei pianeti, che tenga conto dell’esistenza della fascia di Kuiper, dei satelliti irregolari dei pianeti giganti e del Late Heavy Bombardament (LHB, ossia pesante bombardamento tardivo), un evento verificatosi 8 circa 3.9 miliardi di anni fa e che ha riguardato numerosi impatti di corpi minori sui pianeti terrestri e sulla Luna. Secondo il modello di Nizza (Tsiganis et al., 2005; Gomes et al., 2005; Morbidelli et al., 2007) tutti e quattro i pianeti giganti erano originariamente collocati ben all’interno dell’attuale orbita di Urano (a 19 UA dal Sole) e si trovavano reciprocamente in condizioni di risonanza orbitale stabile. Le loro orbite erano quasi circolari, complanari e meno distanti le une dalle altre se confrontate con quelle attuali (Chambers e Mitton, 2016). Oltre la regione dei pianeti giganti, il modello prevede inoltre la presenza di un disco di planetesimi ghiacciati di cui l’attuale Fascia di Kuiper, con una massa 2 o 3 ordini di grandezza minore di quella originaria, rappresenta il tenue residuo. I pianeti interagirono gravitazionalmente con gli oggetti presenti in tale disco, causando la rottura delle originali risonanze stabili e generando un regime caotico. Secondo la versione originale del modello, Giove e Saturno entrarono in una risonanza di moto medio 1:2 e ciò produsse un aumento dell’eccentricità delle loro orbite. A causa della sua nuova orbita più allungata, Saturno si avvicinò a Urano e Nettuno. L’influenza gravitazionale di Saturno modificò anche le orbite di questi ultimi due pianeti che penetrarono nella parte principale del disco planetesimale, causando disordine all’interno di esso. Una vasta parte di corpi ghiacciati fu proiettata verso il Sistema Solare interno, dando luogo al LHB e provocando molti dei crateri presenti sui pianeti terrestri. E’ interessante notare come il 50% delle simulazioni di Tsiganis et al. (2005) prevedono uno scambio di posizione tra Nettuno ed Urano, circa 600 Myr dopo la formazione del Sistema Solare. Solo a partire da quest’epoca Nettuno sarebbe quindi diventato il pianeta più esterno del Sistema Solare. Il processo di migrazione si spense gradualmente dopo che Nettuno ebbe raggiunto il confine esterno della cintura dei planetesimi, quando la maggior parte dei membri della regione era stata espulsa. In fig. 3 sono rappresentate tre diverse fasi descritte dal modello di Nizza. 4. Conclusioni Il modello del Grand Tack e il modello di Nizza descrivono due fasi differenti dell’evoluzione del Sistema Solare. Il modello del Grand Tack prevede le migrazioni di Giove e Saturno prima verso l’interno e poi verso l’esterno del disco protoplanetario, provocate dalle interazioni con il gas presente nel disco. L’intero processo durò circa 4-5 Myr, fino alla scomparsa del disco gassoso (Walsh et al., 2012). Il modello di Nizza riguarda le migrazioni di Giove, Saturno, Urano e Nettuno causate delle interazioni gravitazionali con i planetesimi, nel periodo in cui il disco gassoso era assente, circa 400-600 Myr dopo la formazione del Sistema Solare (Walsh e Morbidelli et al., 2012). Nonostante i due modelli descrivano due scenari diversi, 9 essi sono intimamente legati l’uno con l’altro, poiché lo stato finale del Grand Tack fornirebbe le condizioni iniziali per il modello di Nizza (Walsh et al., 2012). In fig. 4 è possibile notare come in entrambe le fasi le orbite dei pianeti giganti hanno subito grandi modifiche. Fig. 3 – Tre diverse fasi evolutive descritte dal modello di Nizza (figura modificata a partire da quella riportata da Gomes et al., 2005). L’orbita verde è riferita a Giove, quella arancione a Saturno, quella blu a Nettuno, quella celeste ad Urano. a) configurazione iniziale, prima dell’instaurarsi della risonanza 1:2 tra Giove e Saturno; b) espulsione dei planetesimi in seguito all’interazione con i pianeti giganti; c) 200 Myr dopo il LHB, è rimasta solo il 3% della massa del disco. Fig. 4 – Evoluzione dinamica del semiasse maggiore dei pianeti giganti in funzione del tempo (dal sito web Vega78Astronomie). Sono indicate inoltre le varie fasi evolutive del Sistema Solare. 10 Bibliografia Alexander R.: 2013, pubblicazione online al sito http://www.astro.le.ac.uk/~rda5/ planets_2011/ lecture6_handout.pdf Baruteau C., Masset F.: 2013, in Tides in Astronomy and Astrophysics, Lecture Notes in Physics, Volume 861, J. Souchay, S. Mathis e T. Tokieda eds., ISBN 978-3-642-32960-9. Springer-Verlag Berlin Heidelberg, pp . 201-253. Brasser R. et al.: 2016, Astrophys. Jou. 821, doi:10.3847/0004-637X/821/2/75. Masset F., Snellgrove M.: 2001, Mon. Not. Roy. Astr. Soc. 320, L55. Masset F.S., Snellgrove M.D.: 2004, in Planetary Systems in the Universe, Proceedings of IAU Symposium #202, held 7-11 August 2000 at Manchester, U. K., A. Penny et al. eds., pp. 211-213. Motwani B., Batygin K.: 2016, articolo online al sito http://www.astro.caltech.edu/~lah/option/ qual_reports/2016_BMotwani.pdf Per gli altri articoli citati in questa dispensa si veda la bibliografia in: Masciavé A.: 2016, Tesi di Laurea Triennale in Fisica, Università del Salento, Lecce. 11