This page was exported from - Libreria Filosofica | Diogene Multimedia Export date: Thu Jun 1 7:27:54 2017 / +0000 GMT Trombino - Identità della Filosofia e comunicazione filosofica: I. Le origini Mario Trombino Lezioni sulla identità della Filosofia e sulle forme di comunicazione filosofica. I. Le origini Per il corso completo di lezioni si veda l'Indice delle Lezioni "L'occhio si unì in società con l'orecchio, e vi è sempre rimasto senza mai sostituirlo." Eric A. Havelock, Dike (1) Nel libro primo della sua celebre indagine sulla Paideia greca, dedicato al periodo arcaico, Werner Jaeger tratta dei filosofi presocratici nel Capitolo IX, intitolato Il pensiero filosofico e la scoperta del cosmo. La filosofia quindi, nel suo panorama generale dell'epoca, occupa un posto a sé, distinto dagli altri. Tuttavia una parte notevole delle riflessioni di Jaeger è dedicata proprio a identificare che tipo di uomo fosse ciascuno dei filosofi rispetto ai poeti e agli scrittori, quale figura professionale e sociale ciascuno incarnasse: il che si rivela compito tutt'altro che agevole. E tutta la sua indagine connette in modo talmente fine la figura dei filosofi e le loro idee alla cultura della loro epoca che i contorni di ciò che si chiamerà filosofia sono appena distinguibili dalla generale sfera della visione del mondo che di quell'età ci è stata tramandata. La stessa impressione è possibile ricavare da altri studi sul periodo arcaico. Nel celebre libro di Eric R. Dodds, I Greci e l'Irrazionale, la trama delle indagini testuali alla ricerca dell'approccio greco all'irrazionale si rivolge del tutto indifferentemente a poeti, a filosofi, a storici. A fatica si distingue la natura non filosofica della concezione dell'"invidia degli dèi" di Erodoto dalla natura filosofica di altre e parallele concezioni (2). La trama qui è talmente fine che la filosofia di Platone appare nelle pagine di Dodds emergere in continuo dialogo con il mondo delle credenze, della cultura dei secoli precedenti, come un evento evolutivo interno, quasi senza fratture. Il punto è che i filosofi hanno costruito una loro identità in quest'epoca, ma è soltanto a partire dal tempo di Anassagora, di Democrito, dei Sofisti e di Socrate che i contorni precisi del loro operare si autodefiniscono con consapevolezza metodologica e critica. Quando Aristotele si volge al passato per misurare le proprie ricerche sul metro della tradizione di pensiero che identifica come filosofica, può costruire la prima "storia della filosofia" perché è ormai in possesso di una idea sulla identità della filosofia (3). Ora, questa idea deve essere distinta dalla filosofia aristotelica, ed anche da quella platonica, perché Aristotele è in grado di identificare come appartenenti ad una storia che porta alla filosofia - che la costruisce come identità - anche figure del tutto diverse dalla sua, e identifica come filosofiche idee che poco hanno a che vedere con i suoi metodi, le sue ricerche, le sue conclusioni. E questo benché tenda a ricostruire la "storia della filosofia", come spesso hanno poi fatto i filosofi, "entro uno schema in cui si traduce la sua personale concezione della natura della filosofia". (4) Al tempo di Aristotele - nel momento in cui l'età classica diviene età ellenistica, secondo una partizione della storia greca codificata dal tempo e influenzata dall'espandersi della grecità all'Oriente - l'identità della filosofia è già qualcosa di autonomo rispetto a questa o a quella concezione filosofica. In quel momento il filosofo del passato ha una sua identità riconoscibile, sia egli qualcosa di simile ad uno sciamano (5) come Empedocle o qualcosa di simile ad un professore come Aristotele. Che cosa, dunque, identifica la filosofia e i filosofi nel panorama del mondo arcaico, visto che è a quel tempo che si è formata quella tradizione che da Platone in poi si chiamerà filosofia? Omero ed Esiodo: leggere il mondo attraverso un racconto Si è spesso notato che già in Omero, che appartiene senza ambiguità al mondo del mito - del "racconto" come forma di comprensione e interpretazione del mondo - è all'opera lo stesso principio di selezione e di riflessione razionale che porta i filosofi a purificare l'idea che gli uomini si fanno degli dèi. Omero, come poi farà Esiodo, seleziona fortemente le credenze del suo tempo e le pratiche rituali. (6) E se Omero fa questo rivolto ad un mondo che non è popolare, ma aristocratico, Esiodo si rivolgerà, selezionando con la fermezza di un "teologo" le credenze e le pratiche religiose, proprio al mondo contadino. Sicché la visione di dike del suo poema sulle Opere e Giorni la ritroveremo in elegie politiche con Solone, in frammenti filosofici con Anassimandro, in aforismi con Eraclito, e così via. In piena continuità. E tuttavia leggere il mondo attraverso un racconto - anche se continueranno a farlo Platone e tanti altri filosofi in maniera più o meno consapevole dopo di lui - non è una operazione in sé filosofica: non è questo che identifica i filosofi, anche se anch'essi lo fanno. (7) Vale la pena di affrontare il tema dell'identità della filosofia e dei filosofi attraverso l'ottica dei generi letterari e delle forme della Output as PDF file has been powered by [ Universal Post Manager ] plugin from www.ProfProjects.com | Page 1/9 | This page was exported from - Libreria Filosofica | Diogene Multimedia Export date: Thu Jun 1 7:27:54 2017 / +0000 GMT scrittura, perché attraverso questa via potranno essere fatte precisazioni interessanti. I poeti e i primi filosofi Nel mondo arcaico, erede di tradizioni per noi in gran parte perdute, sono molto chiare la figura e il ruolo sociale dei poeti: è a loro che spetta di ammaestrare il popolo attraverso i canti, è compito loro la primaria funzione sociale della trasmissione dei valori e delle tradizioni che garantiscono continuità alla vita civile e religiosa, che tengono insieme un popolo garantendo i fondamenti della vita collettiva. (8) Il mito ha una precisa funzione sociale riconosciuta come tale nella figura professionalmente molto ben identificata dei poeti. Per conseguenza, quando i primi filosofi della Ionia scrivono in un dialetto locale e in prosa, piuttosto che in poesia nella lingua di Omero e di Esiodo, compiono una probabilmente ben consapevole operazione culturale, per noi certo difficile da valutare in ragione della estrema esiguità dei frammenti rimasti, ma percepita comunque in maniera chiara dai Greci stessi, come Aristotele. Ora, perché in prosa? Si ponga attenzione a due testi in cui è riscontrabile - pur in contesti profondamente diversi, su cui gli interpreti non concordano (9) una concezione arcaica comune, l'antica idea di dike come legge inesorabile di equilibrio tra gli elementi: le Elegie di Solone (per esempio la sua Elegia alle Muse) e il celebre frammento di Anassimandro. Un testo poetico e un testo filosofico. Se è al lavoro la stessa antica concezione arcaica, è davvero netta la differenza tra poesia e la prosa filosofica? Non si tratta forse soltanto di una differenza di genere letterario, tutto sommato secondaria? Si osservi che in Solone l'antica concezione è posta al servizio di una radicale novità, le sue riforme politiche ad Atene. Non siamo davanti ad un uomo della tradizione e ad un innovatore, ma a due uomini che hanno saputo sfidare il tempo e proporre, nella tradizione, il nuovo, ciascuno nel proprio campo. Ma Solone, scegliendo la poesia, sceglie per ciò stesso di proporsi come maestro così come avevano fato gli antichi poeti - anche se in una forma che si distacca nettamente dall'epica (10) - mentre Anassimandro sceglie una via di ricerca nuova. Si osservi che quest'ultima è una scelta assai radicale, perché limitava di fatto l'influenza che il filosofo poteva avere sulla cultura del suo tempo. Scrivendo in prosa (per noi la cosa è un po' paradossale) Anassimandro poteva parlare ai pochi, non a tutta l'Ellade (11): la scelta era per il registro della scrittura (12), mentre Solone, che noi leggiamo per iscritto come Anassimandro, stava invece scegliendo il registro dell'oralità, con quello che questo significa in una società dominata dall'oralità, non dalla scrittura. Ma non si trattava affatto di una scelta aristocratica: è la poesia, semmai, ad appartenere alla visione aristocratica del mondo. Quella di Anassimandro è, semplicemente, l'apertura di una nuova via (13). Eraclito e il genere letterario dell'aforisma Del resto, che i primi filosofi stessero rivolgendosi ai pochi e non ai molti risulta ben chiaro da Eraclito, l'"oscuro" già in fonti antiche. In effetti, che cos'è dal punto di vista che stiano esaminando il genere letterario che egli usa, l'aforisma? Resterà per tutta la sua storia un genere molto amato dai filosofi, ma certo la sua natura getta una luce inquietante sulla identità della filosofia (non sarà così anche con Nietzsche?). L'aforisma conserva elementi formali della poesia. Ha qualcosa del verso e della sua sonorità, conserva un elemento legato all'oralità, come i proverbi che hanno però tutt'altra origine. Ma ha in comune con la poesia anche qualcosa di più profondo. Come la poesia, l'aforisma è ricco di figure retoriche, di similitudini, di metafore, fa largo uso di quel pensiero per immagini che diverrà una costante della scrittura filosofica, come vedremo. Eppure è prosa. E già questo permette a Eraclito di allontanare la propria figura da quella del poeta della tradizione omerica ed esiodea e di presentarsi in termini nuovi, come prima di lui avevano fatto i milesii. In Eraclito è presente quella che diverrà una costante, la volontà di precisare la propria figura, per essere identificati: contrapporsi ai dormienti, rivendicare il lavoro del proprio io (14) , e così via. Analoga attenzione al presentarsi, definendo l'identità del proprio ruolo, è presente in figure nuove della filosofia, a volte con tratti di ambiguità ancora ai nostri occhi, come Empedocle, come i Sofisti. Ma il problema tornerà in Socrate, ed è altissimo il numero di pagine dedicate da Platone allo studio dell'identità del filosofo e della filosofia - questa volta con consapevolezza chiara, anche per la presenza della stessa parola "filosofia" all'interno di una tradizione ormai consolidata. L'aforisma di Eraclito si caratterizza per una estrema concisione, e più esattamente per una particolare forma di concisione, che ritroveremo in altri aforismi nella storia della filosofia, in cui nella stessa parola, o breve espressione, si uniscono senza sovrapporsi del tutto due linee di pensiero. I giochi di parole, il ricorso al pensiero per immagini, non hanno la stessa funzione che nella poesia epica: non hanno un funzione narrativa, non servono al "racconto". Servono ad esprimere il pensiero intuitivo rispettandone la complessità (15). Un pensiero che non si serve più del racconto, ma della contrapposizione tra intuizioni per farne scaturire una tesi. Output as PDF file has been powered by [ Universal Post Manager ] plugin from www.ProfProjects.com | Page 2/9 | This page was exported from - Libreria Filosofica | Diogene Multimedia Export date: Thu Jun 1 7:27:54 2017 / +0000 GMT È ancora da osservare, perché questo sarà importante nella futura storia dell'aforisma, che quando con Eraclito questa forma di espressione del pensiero compare in filosofia non serve ad esprimere un pensiero concluso, il risultato di una ricerca, un dato o un fatto, una verità. Serve ad esprimere un movimento del pensiero, anzi ad esprimere più movimenti contemporanei, più linee di pensiero. Ritroveremo questo carattere nell'uso che Hegel a volte fa dell'aforisma, e in Nietzsche. Questo carattere differenzia invece molto l'aforisma di Eraclito dalla successiva tradizione delle scuole ellenistiche, basata non su aforismi, ma su detti, sentenze e "pensieri". Che hanno in comune con l'aforisma eracliteo di fatto soltanto l'essere in prosa, con elementi poetici, e la brevità. L'aforisma è dunque mezzo adeguato per esprimere una filosofia del movimento, ed in particolare una filosofia in cui il Logos garantisce l'ordine del pensiero e delle cose agendo non come un ordinatore esterno, ma - come fuoco - dall'interno attraverso lo scontro fecondo degli opposti. Scontro che l'aforisma, nella parola singola o nella brevità della frase, rende bene: non in quanto mero espediente letterario, ma diretta espressione della realtà del pensiero che tenta di comprendere in sé la parallela realtà delle cose. L'aforisma eracliteo, a ben vedere, tenta di rendere lo stesso carattere di movimento del Logos, e questo carattere fa sì che il lettore non "dormiente" sia sorpreso, che il suo pensiero sia scosso, mediante lo scontro armonico delle parole e dei pensieri, sicché questa armonia dei contrari sia feconda anche per lui. A dimostrazione del fatto di quanto antichi siano i problemi sulla comunicazione filosofica - tema questo che tornerà coi Sofisti e poi con Socrate, nei magistrali passi platonici in cui Alcibiade ed altri descrivono l'effetto delle sue parole. Parmenide ed Empedocle: il poema filosofico Con Eraclito è quindi ben visibile - cosa che non poteva dirsi con chiarezza per gli Ionici, a ragione della scarsità dei frammenti pervenuti - il legame tra le forme di espressione, e i loro effetti, e le forme stesse del pensiero: dunque il legame tra ciò che oggi chiamiamo filosofia teoretica e comunicazione filosofica. In Eraclito la forma prescelta serve da barriera tra la propria identità culturale (ben differenziata rispetto ai poeti che "raccontano") e i dormienti, e quindi è piegata alla definizione della propria orgogliosa indipendenza. Ma negli anni successivi una diversa poesia, non la prosa, sarebbe stata la forma propria della nuova filosofia: con il poema filosofico Parmenide ed Empedocle hanno creato non solo nuove vie alla ricerca filosofica, ma anche una nuova forma di espressione. La ritroveremo in forme rinnovate in Lucrezio, poi in filosofi rinascimentali come Bruno, e la sua influenza si potrà osservare nella grande poesia di tutti i tempi. Ma nelle forme in cui compare in Parmenide e in Empedocle, rimane una caratteristica del loro tempo. Come è noto, l'uso della poesia in questi autori ha un senso generale, e non potrebbe non averlo visto che alla loro epoca erano ancora i poeti, e non i filosofi, i "maestri della Grecia". Parmenide ed Empedocle dichiarano per il fatto stesso di scrivere in poesia ed in una forma di poesia che ha rapporti con la tradizione omerica - di essere gli eredi degli antichi poeti. E di esserlo, qui è la loro radicale novità, come filosofi. Dunque la loro poesia ha la forma del poema, ben nota al loro tempo, ma del poema filosofico, il che è un inedito. Una loro creazione (16). Erano stati preceduti in questo dalla poesia di Senofane, che aveva trasposto nella lingua comune dell'epica, e dunque nelle forme dell'oralità, le nuove idee filosofiche della Ionia (17), dando loro veste panellenica, com'era la lingua di Omero, piuttosto che la veste di un particolare dialetto. Si deve infatti prestare attenzione al fatto che la scelta tra prosa e poesia non riguarda soltanto l'uso di questo o quel genere letterario, ma di un diverso strumento di comunicazione. La poesia della tradizione omerica è legata agli aedi, alla loro precisa e codificata figura professionale, caratterizzata da un proprio ruolo riconosciuto nella società e da tempo tradizionale. La poesia dell'epos è legata ad un mondo in cui le tradizionali distinzioni tra aristocratici e popolo permangono, sia pure tra tensioni crescenti, ad un mondo in cui il potere delle tradizioni è nelle mani degli aristocratici (tutto diverso è il caso della poesia tragica del V secolo, che ha un significato filosofico di primaria importanza). E questo mondo sfrutta gli stili, le forme e le potenzialità dell'oralità in una società ancora fortemente dominata dalla parola detta e non scritta, dai contatti personali e diretti, dalle tradizioni direttamente tramandate a voce (18). In questa tradizione si inseriscono, per rinnovarla con un innesto filosofico, Parmenide ed Empedocle. La forma scritta del poema di Parmenide è particolarmente lontana dalla sensibilità moderna: il Proemio, in particolare, ha dato luogo a molte interpretazioni e davvero è una sfida per il lettore moderno, soprattutto se posto a confronto con la lucida razionalità del principio parmenideo - razionalità che già uno studente al primo anno di filosofia a scuola percepisce come a sé vicina, anche se con grande meraviglia per la tesi sostenuta sull'essere e sul nulla. Senza entrare nello studio delle interpretazioni, non essendo questa la sede, va però notato che il genere letterario della "rivelazione" era ben noto ad un ascoltatore (ripeto, ascoltatore, non soltanto lettore) antico. E allo stesso modo era nota la forma poetica e il linguaggio parmenideo, essenzialmente appartenente alla tradizione degli antichi poeti. Per un uomo del suo tempo, Parmenide stava Output as PDF file has been powered by [ Universal Post Manager ] plugin from www.ProfProjects.com | Page 3/9 | This page was exported from - Libreria Filosofica | Diogene Multimedia Export date: Thu Jun 1 7:27:54 2017 / +0000 GMT facendo un'operazione culturale comprensibile, stava proclamandosi erede dei "maestri della Grecia" proponendo una nuova dottrina in forme antiche. La forza dell'operazione parmenidea risiede anche nel fatto che gli elementi che compongono la sua argomentazione - comprese le parole chiave che dal suo poema in avanti entreranno nel lessico comune della filosofia appartengono anch'essi alla consolidata tradizione. (19) Naturalmente per lui, come per Eraclito, la forma letteraria era uno strumento per fissare l'identità del filosofo come sapiente, e dunque anche uno strumento per isolarsi e definirsi rispetto agli ascoltatori. Vi sono però importanti differenze nel rapporto tra forma del pensiero e forma espressiva. Intanto nella scrittura parmenidea non vi sono sovrapposizioni tra diverse linee di pensiero, ma lo sforzo di fissare il pensiero su un principio e di scorgere tutti i possibili caratteri per comprenderne la natura, e questo si esprime in una completa assenza del modello aforistico (restano, naturalmente, i caratteri propri della tradizione poetica dell'epos, che è fondata sull'oralità e quindi si esprime facilmente per sentenze) (20). Anche in Parmenide, certo, troviamo l'opposizione tra due vie, ma non tra due forze, come in Eraclito: in Parmenide, infatti, la forza è tutta interna ad una via, e questo definisce l'altra come mera apparenza (evanescente opinione, doxa). Dunque la fecondità del pensiero razionale non nasce dallo scontro tra forze. In secondo luogo anche Parmenide utilizza tutto un mondo di immagini, ma esse hanno un valore simbolico e sono nettamente separate rispetto al nucleo dell'argomentazione filosofica. C'è pensiero filosofico, ci sono immagini che rivestono ed esprimono pensieri, ma non c'è pensiero per immagini in senso forte, com'è in molti aforismi eraclitei, non essendo in Parmenide la forma-immagine la forma propria del pensiero. (21) Parmenide non ha bisogno di far vivere due linee di pensiero in una sola immagine. Nel suo poema compare piuttosto per la prima volta in modo chiaro (per noi che di quest'età abbiamo perso moltissimo) la forma dell'argomentazione razionale, destinata ad avere un'importanza decisiva in filosofia (e di cui subito Zenone darà una versione densa di fecondi sviluppi, come vedremo). Certamente essa appartiene - stando al poco che ci è stato tramandato - alla prosa filosofica ionica, ma è difficile comprenderne la forma per la scarsità dei frammenti. In Parmenide essa ha invece una forma chiaramente visibile, anche se priva di quella enunciazione teorica che avrà con Aristotele (e cioè la definizione del principio di non-contraddizione e della dialettica come metodo di ricerca della filosofia). Parmenide fissa il suo principio sull'essere, e dalla natura propria di questo pensiero - dalla sua forza razionale interna scaturisce la chiave argomentativa del discorso. (22) Certo, questo non risolve i problemi interpretativi posti dal testo. Ma nostro compito qui non è esaminare questi problemi. I fatti nuovi che ci interessano qui sono due: adesso c'è una figura filosofica chiara, quella dell'erede degli antichi poeti che sa parlare col loro linguaggio e si propone come maestro della Grecia al loro posto; c'è una scrittura, concepita per un uso legato all'oralità, che nelle antiche forme introduce un elemento che sostituisce il "racconto": l'argomentazione nata dalla forza stessa del pensiero. (23) Più complessa e sfuggente è la figura di Empedocle, che ha ben potuto dar vita a più di un mito romantico. Certo, la sua figura è per noi il frutto della lettura dei suoi due poemi - o meglio di quel che ne rimane, che non è pochissimo - e dunque le interpretazioni che di Empedocle sono state date si basano anche sulla presentazione che egli stesso ha fatto di sé. (24) L'identità del filosofo è un'altra volta consapevolmente in questione. (Si osservi, per inciso, che sino all'età dei Sofisti e poi di Platone, ad essere in questione in modo consapevole e dichiarato è soprattutto l'identità dei filosofi e il loro ruolo nella società; solo dopo sarà in questione con la stessa consapevolezza l'identità della filosofia.) Ora, Empedocle compie la stessa operazione - dal punto di vista formale - compiuta da Parmenide, avendo anch'egli scritto poemi filosofici. Ma il suo mondo è diverso. Empedocle recupera davvero qualcosa delle tradizioni poetiche antiche (quanto antiche?), presentandosi come una sorta di reincarnazione divina di anime già vissute nel passato, e allo stesso tempo come filosofo "che argomenta". L'accostamento così difficile per noi da comprendere appare invece naturale in un'età in cui le figure non si sono ancora fissate in tipi precisi e il filosofo tenta di proporsi come erede dei poeti. Empedocle aveva infatti un preciso precedente, Pitagora, anch'egli legato al mondo della trasmigrazione delle anime e alla sfera del sacro, e allo stesso tempo indagatore razionale della struttura matematica del mondo. Rispetto a Parmenide la scrittura filosofica di Empedocle presenta alcune particolarità assai nette. Innanzitutto c'è in quest'ultimo un elemento poetico che è connesso alla sfera del sacro, ma che è anche rivolto alla natura, il che lo apparenta in modo più diretto ai filosofi ionici (e da questo elemento poetico che connette filosofia e natura prenderà moltissimo Lucrezio); in secondo luogo, in Empedocle il ricorso alle immagini (la "veste" mitologica di realtà come l'Amicizia o l'Odio) fa sì che l'elemento di rottura rappresentato dalla filosofia rispetto alla tradizione sia meno marcato, il passaggio caratterizzato da maggiore continuità. (25) E questo in piena coerenza con le diverse figure dei due filosofi consegnateci dalla tradizione antica, sulla base delle loro stesse parole e della loro stessa volontà di presentarsi così. Output as PDF file has been powered by [ Universal Post Manager ] plugin from www.ProfProjects.com | Page 4/9 | This page was exported from - Libreria Filosofica | Diogene Multimedia Export date: Thu Jun 1 7:27:54 2017 / +0000 GMT Zenone e l'origine della dialettica Il filosofo che permette di comprendere il passaggio da questo mondo filosofico alla rivoluzione sofista, e poi alla codificazione del metodo con Socrate, è forse Zenone, le cui teorie ci sono tuttavia note per lo più indirettamente. E' comunque chiaro almeno questo, che a Zenone va fatta risalire quella forma di argomentazione che consiste nel derivare le conseguenze assurde da una tesi apparentemente corretta, in modo da mostrarne la falsità. Questa argomentazione, che apparentemente è solo negativa, può essere usata in senso positivo nel caso che le tesi possibili siano soltanto due: mostrare la falsità dell'una significa per ciò stesso mostrare la verità dell'altra. È quanto fa Zenone a proposito della realtà del movimento, tesi che porta a conseguenze assurde, mostrandosi quindi falsa: si tratta quindi di una procedura di argomentazione a favore della concezione parmenidea dell'essere. In mancanza di testi di Zenone, ecco le parole che Platone, subito in apertura del Parmenide, fa dire a Zenone: "I miei scritti sono un aiuto alla tesi di Parmenide contro coloro che cercano di ridicolizzarlo sulla base dell'affermazione che, se l'Uno è, da questa asserzione derivano innumerevoli conseguenze ridicole e contraddittorie. I miei argomenti, opponendosi a coloro che sostengono il molteplice, rendono loro la pariglia con gli interessi, dimostrando che, se si accetta la loro ipotesi che esiste la molteplicità, ne conseguono effetti ancora più ridicoli che dalla tesi dell'esistenza dell'unità, qualora si sia capaci di sviluppare adeguatamente il ragionamento. Con tale spirito polemico scrissi da giovane questo testo" (26). Diversi interpreti tendono a vedere in questa forma di argomentazione una delle forme originarie da cui si è poi sviluppata la pratica sofistica della contrapposizione delle argomentazioni e quindi la dialettica come metodo rigoroso in Socrate, poi in Platone, poi ancora in Aristotele (27). A noi interessa sottolineare due punti. - Innanzitutto l'operazione di Zenone appare consapevolmente metodologica (o così ci viene presentata da Platone) e dunque questa tecnica di argomentazione viene realmente elaborata allo scopo di persuadere, all'interno di una comunicazione filosofica che è già dialettica almeno in questo senso, che prevede un dialogo autentico (carattere, questo, assai meno marcato nel poema parmenideo dove prevale la logica della "rivelazione", cioè di un dialogo in cui una verità viene manifestata e non scaturisce da contrapposizioni di posizioni, non essendo tale la via della doxa, inconsistente non alla fine dell'argomentazione, ma già al suo principio). E questo ha fatto sì che diversi interpreti abbiano visto in Zenone uno dei filosofi da cui i sofisti derivano le loro tecniche di argomentazione attraverso discorsi contrapposti. - In secondo luogo, del passo di Platone ci interessa sottolineare l'aspetto emotivo, quello spirito polemico che caratterizzerebbe l'operazione filosofica di Zenone. Con questa forma dello spirito la filosofia avrà molto a che fare nella sua storia, e in questa chiave può essere ancora letta una parte notevole della filosofia del XX secolo. Compare qui un tratto che ha qualcosa di universale, e che Huizinga, in un passo famoso, considera addirittura una delle matrici dello stesso spirito filosofico (28). I Sofisti In ogni caso, questo spirito polemico va compreso tenendo presente sullo sfondo il gusto tipicamente greco del trasformare tutto in gara (giochi sportivi, tragedie e commedie, e così via). E con i sofisti fa la sua comparsa l'elemento del gioco dialettico come tecnica di argomentazione, di cui ci rimangono pochi esempi originali e molti esempi in opere, come quelle di Platone, che alla sofistica tendono a contrapporsi. (29) Che i discorsi contrapposti dei sofisti come tecnica di argomentazione abbiano a che fare con le forme stesse del pensiero, è di per sé evidente. Qui il legame tra espressione e comunicazione filosofica da un lato, e ricerca teorica dall'altro, è trasparente. I sofisti stanno consapevolmente spostando dall'uomo come elemento di un cosmo ordinato popolato dagli dèi all'uomo che possiede in sé la fonte della propria razionalità l'asse portante della ricerca filosofica (il loro interesse per la conoscenza della natura è di tipo scientifico, richiama Anassagora e Democrito, non i filosofi precedenti) (30), e per conseguenza studiano i generi letterari che rendano ragione di questo spostamento. La scrittura filosofica dei sofisti ne deriva direttamente, sicché non ci soffermeremo su questo, perché ripeteremmo quanto è scritto in qualsiasi manuale di storia della filosofia. (31) Si osservi, tuttavia, che anche i sofisti fanno uso del mito, restano nell'universo dei racconti. Ma nel loro "illuminismo", come s'è detto, ne trasformano completamente lo spirito. Operazione trasparente nei poeti dei loro anni, per esempio in Euripide. Ma occorre dire che tutto il V secolo è età di profonda riflessione sul mito. Ad esempio, in direzioni assai diverse tra loro e del tutto diverse dai Sofisti e da Euripide, la stessa operazione di riflessione profondamente sentita è propria della poesia di Eschilo prima e di Sofocle poi. La filosofia al tempo dei sofisti, quindi, così come la poesia, opera con gli strumenti culturali della tradizione. La rivoluzione del Output as PDF file has been powered by [ Universal Post Manager ] plugin from www.ProfProjects.com | Page 5/9 | This page was exported from - Libreria Filosofica | Diogene Multimedia Export date: Thu Jun 1 7:27:54 2017 / +0000 GMT pensiero avviene all'interno delle forme del pensiero della cultura greca. Si pensi al modo in cui Gorgia ha trattato "per gioco" il mito di Elena. Ai fini della storia delle forme della comunicazione filosofica - nella loro connessione con le forme della ricerca - è poi necessario sottolineare che i sofisti hanno dedicato grandissima attenzione agli effetti della parola sull'ascoltatore e sul lettore. Proprio nell'Encomio di Elena è la celebre affermazione che accosta la forma della parola a quella degli antichi incantesimi della tradizione popolare: "Grande padrone è la parola, che pur con un corpo microscopico e del tutto invisibile riesce però a compiere opere assolutamente degne degli dèi: infatti può placare il timore, eliminare il dolore, infondere la gioia, accrescere la pietà. (?) Gli incantesimi di ispirazione divina attraverso le parole inducono il piacere, rimuovono il dolore; infatti diventando una sola cosa con l'opinione dell'anima, con il suo potere l'incantesimo la affascina, la seduce e la trasforma con il suo potere magico. La magia e l'incanto hanno trovato due mezzi per raggiungere il loro scopo: gli errori dell'anima e gli inganni dell'opinione". E in Gorgia queste affermazioni, celeberrime, sono poste direttamente in connessione con la situazione umana di ignoranza ("non c'è modo di ricordare il passato, né di osservare il presente né di prevedere il futuro", scrive Gorgia poco dopo il passo citato) e con l'opinione che per forza di cose ci governa, nell'incertezza del nostro sapere (32). Analisi teoretica e comunicazione sono direttamente accostate. Anche se all'interno di un discorso scritto solo "per gioco". È poi probabile che ai Sofisti, e non ad Aristotele, vada fata risalire l'origine della figura del professore di filosofia. Almeno nel senso che certamente i Sofisti erano dei professionisti dell'insegnamento, perché chiedevano compensi regolari per corsi regolari, anche di lunga durata (fino a tre o quattro anni, a quanto pare). Di che tipo di insegnamento si trattasse, non è chiaro nei dettagli, e purtroppo non possiamo ricostruire con il dettaglio tecnico che sarebbe desiderabile i loro metodi di insegnamento. Nasce con loro, però, la filosofia come oggetto di insegnamento all'interno di corsi regolari, e poiché ancora noi possediamo una forma di filosofia di questo tipo è per noi una perdita grave non potere ricostruire per mancanza di dati sufficiente la storia della sua origine (33). Album di famiglia Avviamoci alla conclusione. All'inizio di questa lezione ho ricordato che Platone e Aristotele disponevano ormai al loro tempo di una idea di filosofia, che non si identificava con la loro, ma che permetteva di riconoscere come "filosofiche" posizioni e ricerche precedenti, di uomini che non si erano definiti filosofi e non avevano detto di svolgere un'attività filosofica, ma altro (ad esempio un'indagine, una historia). Potevano farlo perché la parola filosofia aveva acquisito un significato indipendente dalle singole ricerche, posizioni o stili di vita, un significato che poteva essere applicato ad una molteplicità di tutto questo e servire per identificare qualcosa che fosse in comune. Hadot in un recente saggio a proposito dell'attività filosofica, fierezza di Atene, scrive: "Gli ateniesi del V secolo erano fieri dell'attività intellettuale, dell'interesse per la scienza e la cultura che fiorivano nella loro città. Nell'orazione funebre che Tucidide gli fa pronunciare in memoria dei soldati caduti nella guerra del Peloponneso, Pericle, uomo di stato ateniese, usa le seguenti parole per elogiare il modo di vivere che si pratica ad Atese: 'Noi coltiviamo il gusto della bellezza con semplicità e filosofiamo senza mancare di fermezza'. I due verbi utilizzati sono composti di philo-: philokalein e philosophein. Si può notare qui, per altro, come venga proclamato implicitamente il trionfo della democrazia. Non sono più soltanto i personaggi d'eccezione o i nobili ad essere in grado di raggiungere l'eccellenza (arete); tutti i cittadini possono raggiungere una simile meta, nella misura in cui amano la bellezza o si dedicano all'amore per la sophia. All'inizio del IV secolo, l'oratore Isocrate riprenderà nel suo Panegirico il medesimo tema: Atene ha rivelato al mondo la filosofia. Questa attività comprende tutto ciò che è inerente alla cultura intellettuale e generale: speculazioni dei presocratici, scienze emergenti, teorie della lingua, tecniche retoriche, arte del persuadere" (34). Ora, noi sappiamo quanto ancora adesso sia difficile definire cosa sia la filosofia, e paghiamo spesso in prima persona i problemi sull'identità del filosofo. Né per un Greco del IV secolo le cose erano più semplici. Ma poteva già volgersi alla tradizione dei secoli precedenti e trovare là precise figure e ricerche da iscrivere nel proprio album di famiglia. Note Per le citazioni si veda, dopo le note, la Nota Bibliografica Output as PDF file has been powered by [ Universal Post Manager ] plugin from www.ProfProjects.com | Page 6/9 | This page was exported from - Libreria Filosofica | Diogene Multimedia Export date: Thu Jun 1 7:27:54 2017 / +0000 GMT (1) Erik A. Havelock, p. 278. (2) Cfr. Dodds 1951, pp. 34 ss. (3) È anche in possesso di un significato ormai consolidato della parola filosofia. Bastino su questo punto le sintesi di Jaeger e di Pohlenz: "La parola filosofia che in origine significava cultura (Bildung, Culture) e non una scienza e disciplina razionale, prese poi il significato ulteriore nella cerchia di Socrate e Platone, che partendo dal problema della virtù (areté) e della educazione umana trassero da esso un nuovo metodo razionale di educazione. La filosofia, questa perfetta identità di cultura e disciplina intellettuale, non esisteva al tempo dei Presocratici, che chiamarono la loro attività historia o sapienza (sophia)" (Jaeger, p. 284, nota 2). Pohlenz ricorda che la parola filosofia è andata incontro ad una evoluzione parallela al termine sophia, passata dal senso di un sapere tecnico in Omero a quello di saggezza. Quanto a filosofia, "è vero che già Eraclito parla di uomini filosofici, che aspirano ad una più profonda intelligenza del mondo, per la quale non bastano molte cognizioni particolari; ma nell'uso comune la parola designava semplicemente lo studium, una superiore cultura spirituale, e solo Platone la usò come termine specifico per indicare lo sforzo, qual era compiuto nell'Accademia, per raggiungere un sapere che vada alle radici prime di ogni essere e per conoscere il vero, come termine, insomma, per designare quella dialettica che conduce al regno dell'essere immateriale" (Pohlenz, p. 363). (4) Kerferd, p. 37. (5) Così Dodds, p. 185. (6) Non è utile riportare passi critici su questa tesi. È tesi comunemente accettata, la si ritrova in tutti gli studiosi che qui stiamo utilizzando, indicati nella bibliografia di questa lezione. (7) "Già in Omero, dunque, si manifesta una larga veduta filosofica della natura umana e delle leggi eterne che reggono il corso del mondo" (Jaeger, p. 108 - ma si vedano le pp. 108-110), laddove l'espressione "veduta filosofica" non va certo intesa in senso tecnico. (8) Cfr., ad esempio, Jaeger p. 85 e 93 ss. Ma c'è in realtà pieno accordo tra gli interpreti su questo. Vale la pena qui ricordare il giudizio di Platone che in Repubblica 606e, in un contesto fortemente polemico con i poeti, scrive che Omero "ha educato l'Ellade". Jaeger, in riferimento tanto a Omero quanto a Esiodo, parla di "elemento normativo" e di "uso normativo" del mito, e Havelock di "guida della cultura" (p. 152). (9) Una breve ricostruzione di questo disaccordo è in L'Apologia di Socrate di Platone e il problema della giustizia da Omero a Platone, a cura di M. Pancaldi e M. Trombino, Paravia, Torino 1991, pp. 125 ss. (10) Cfr. Cambrige University, p. 269. Si ricordi che il mondo poetico di Solone, anche se Atene è in Attica, richiama la Ionia: cfr. Pohlenz, pp. 262-263. (11) "La nuova prosa, che viene dalla Ionia, non estende che a poco a poco il proprio campo e non trova la stessa risonanza (della poesia), non foss'altro perché vincolata dal dialetto a una cerchia più ristretta che la poesia, la quale si serve della lingua d'Omero ed è quindi panellenica" (Jaeger, p. 317). "Quei primi che nell'area ionica scrissero di filosofia in prosa non potevano aspettarsi una vasta cerchia di lettori. Ponendo sulle pagine le loro considerazioni di cosmologia, devono senz'altro avere scritto per gruppi esigui di intenditori. Si può invece pensare che chi di filosofia poetava puntasse ad ottenere plateee più vaste" (Cambridge University, p. 438) (12) Jaeger osserva che scrivere i propri pensieri in prosa significava esprimerli "a quel modo che un legislatore scriveva le sue leggi" e invocare il diritto di un soggetto individuale di parlare delle proprie idee a tutti (cfr. Jaeger, p. 291). (13) E tuttavia non vanno sopravvalutati gli elementi di rottura: "È difficile segnare nel tempo la linea limite corrispondente all'affacciarsi della riflessione razionale; essa taglierebbe a mezzo l'epos omerico; ma la compenetrazione di elementi razionali col pensiero mitico vi è ancora così intima, che una netta separazione appare impossibile. Un'analisi dell'epos condotta secondo tale criterio mostrerebbe come la riflessione razionale investa per tempo il mito, cominciando a trasformarlo. La filosofia naturale ionica si riallaccia all'epos senza soluzione di continuità" (Jaeger, p. 285; ma si vedano anche le pp. 286/287). (14) Si ricordi il suo fr. 101:"Io ho indagato me stesso" (cfr. su questo punto Jaeger, p. 332-336 e Pohlenz, p. 370-371). (15) "Natura e Vita sono un griphos, un enigma, un oracolo delfico, una sentenza sibillina; bisogna saperne decifrare il senso. Eraclito si sente il solutore d'enigmi, l'Edipo filosofico, che strappa alla Sfinge il segreto; perché La Natura ama nascondersi (fr. 123)" (Iaeger, p. 336) (16) "L'eredità omerica ed esiodea in autori come Parmenide ed Empedocle è formale e stilistica, più che di contenuti concettuali. In quel loro esteriore modellarsi su Omero ed Esiodo, i poeti filosofi non fanno che attingere elementi funzionali alle esigenze proprie. La forma dei loro poemi è per il lettore, o per l'uditore, un eloquente manifesto: il contenuto dell'opera s'annuncia come materia d'alto respiro, del significato più profondo. Quel loro continuo presentarsi come depositari della verità implica una rivelazione, un messaggio: che cioè Omero, Esiodo e altri poeti non sono che maestri illusori, usurpatori d'una fama di sapienza immeritata" Output as PDF file has been powered by [ Universal Post Manager ] plugin from www.ProfProjects.com | Page 7/9 | This page was exported from - Libreria Filosofica | Diogene Multimedia Export date: Thu Jun 1 7:27:54 2017 / +0000 GMT (Cambridge University, p. 438). Cfr. anche Jaeger p. 331. (17) Cfr. Jaeger, pp. 320 ss.; Lesky, p. 279. (18) Si osservi come Senofane, poeta della tradizione degli aedi, nel rinnovare la cultura della Grecia usi le forme della poesia epica per scagliarsi contro gli antichi poeti: ad es. nei fr. 11 e 12. Cfr. Jaeger, p. 318-319. Non diversamente Eraclito. (19) Dei frammenti rimastici dell'opera di Parmenide, "meno del dieci per cento delle sue parole non appartiene al vocabolario dell'antico epos, e molti dei suoi termini, in apparenza originali, sono coniati su modelli della poesia eroica. Ma la maggior parte dell'opera parmenidea non va letta come l'epos omerico o i versi esiodei. Ciò dipende, naturalmente, dal soggetto, ma - e questo è ancor più significativo - dal più insistito uso che Parmenide fa delle proposizioni subordinate, specie di quelle introdotte dalla congiunzione poiché? L'aver sviluppato una metodologia filosofica integralmente nuova nei rigidi confini della poesia convenzionale è parte non piccola della statura culturale e delle conquiste intellettuali di Parmenide" (Cambridge University, p. 444). (20) Cfr. Havelock, pp. 269 ss. Le sentenze tipiche della tradizione orale non sono aforistiche nel senso eracliteo, anche se vi si apparentano per vari elementi, come la concisa brevità, la forza espressiva, a volte l'uso delle immagini, e così via. Ma di questo altrove. (21) Meglio chiarire la terminologia utilizzata. L'espressione pensiero per immagini, in senso proprio, descrive qui una forma del pensiero prima che della sua espressione, una forma che per strutturarsi dinamicamente utilizza un'immagine o una serie concatenata di immagini; ma il pensiero, già strutturato in altra forma - intuitiva, discorsiva, concettuale, e così via - può comunque rivestirsi di immagini ed essere espresso mediante esse, senza che questo significhi, in senso proprio, che il pensiero abbia in sé una struttura per immagini. Questo principio di differenza non va però enfatizzato, perché quando il pensiero si "veste" di immagini, nella scrittura filosofica può essere osservata l'introduzione di elementi di pensiero per immagini. Una nuova linea tende, in altri termini, ad installarsi nella purezza del pensiero già formato. Ma anche di questo altrove. (22) "Non a caso i frammenti superstiti dell'opera sua sono la prima serie di proposizioni filosofiche ampie e concatenate che possediamo in greco" (Jaeger, p. 326). Una analisi su questo punto, in rapporto alla questione dell'oralità, è in Havelock, p. 331 ss. (23) "Parmenide è il primo pensatore che abbia posto consapevolmente il problema del metodo filosofico, distinguendo chiaramente le due vie principali, percezione e pensiero (?). La salvezza si fonda unicamente sul passaggio dal mondo dell'opinione a quello della verità. Parmenide sentì personalmente tale trapasso come qualche cosa di violento e grave, ma grande e liberatore. Esso dà all'enunciazione delle sue idee lo slancio grandioso e il pathos religioso che la rendono, oltre il campo della logica, umanamente commovente. E' infatti lo spettacolo dell'uomo che lotta per la conquista della conoscenza, che per la prima volta si affranca dall'apparenza sensibile della realtà e scopre nello spirito l'organo per abbracciare la totalità e l'unità dell'Essere. Per quanto questa nozione sia ancora commista a molto di problematico, con essa spunta una delle attività fondamentali secondo cui i Greci plasmarono il mondo e l'uomo. Ogni riga di Parmenide palpita dell'esperienza sconvolgente di tale indirizzarsi dell'indagine umana verso i pensiero puro" (Jaeger, p. 330). (24) Su questo punto, come su diversi altri, seguo Dodds (cfr. Dodds, pp. 182-185) (25) Come Parmenide, Empedocle ha un corposo debito con Omero quanto a stile e lingua, e rivela inoltre un'affinità con l'epica che Parmenide non dimostra. Non si tratta semplicemente del fatto che Empedocle è un maggior talento 'naturale' di poeta. Il suo poema, a differenza del parmenideo, è una movimentata saga: ci narra azioni, quelle che Amore e Odio hanno compiuto, o attualmente compiono. Empedocle recepiva la colma concretezza del movimento, e ciò si rispecchiava nel suo stile" (Cambridge University, p. 446). (26) Parmenide, 128 c-d. (27) Un esame di questo punto di vista - che risalirebbe allo stesso Aristotele, stando ad un suo frammento del dialogo perduto Il sofista - è in Kerferd 1981, pp. 79 ss. (28) Cfr. Huizinga, pp. 172 ss. (29) Seguo qui l'idea, espressa con molta fermezza da Jaeger, da Dodds e da altri, che il cosiddetto "illuminismo greco" non abbia affatto avuto inizio con una sorta di "rivoluzione" sofista, ma al contrario che esso "naturalmente è molto più antico: ha le sue radici nella Ionia del VI secolo; opera in Ecateo, Senofane, Eraclito, e in una generazione posteriore progredisce grazie a scienziati-filosofi come Anassagora e Democrito" (Dodds, p. 213). (30) "Essi insegnano non soltanto ad apprendere la tecnica del discorso persuasivo, ma anche tutti gli strumenti che permettano di acquisire quella disinvoltura dell'eloquio in grado di sedurre un uditorio; vale a dire: una solida base di cultura generale, che in questo caso spazia dalla scienza alla geometria, dall'astronomia alla storia, dalla sociologia alla storia del diritto. Questi sono filosofi che non fondano scuole permanenti, ma che propongono, dietro compenso, delle serie di corsi e che, al fine di suscitare interesse tra i possibili clienti, si fanno pubblicità organizzando pubbliche conferenze nel corso delle quali fanno sfoggio del loro sapere e della Output as PDF file has been powered by [ Universal Post Manager ] plugin from www.ProfProjects.com | Page 8/9 | This page was exported from - Libreria Filosofica | Diogene Multimedia Export date: Thu Jun 1 7:27:54 2017 / +0000 GMT loro abilità" (Hadot, p. 17). Le scienze, in altri termini, sono parte della cultura generale che un giovane deve acquisire per essere in grado di farsi strada nella vita, nelle particolari condizioni in cui questo concetto riceve il suo significato per un greco del V secolo. (31) Vale tuttavia la pena sottolineare come i sofisti abbiano dovuto operare in un contesto in cui era per loro necessario farsi accettare e trovare forme di protezione: molti di loro subirono processi e suscitarono reazioni vivaci. Per essi - che formavano le nuove generazioni ai compiti professionali della politica - parte integrante del lavoro intellettuale da compiere era inserirsi all'interno delle trasformazioni culturali del loro tempo esercitando in prima persona il loro potere di convinzione. Mestiere non privo di pericoli, quello del sofista. C'è veramente da riflettere, sul tema del "ruolo dei filosofi nella società", riguardo ai sofisti. Si vedano su questo punto le importanti - e nella sostanza concordi - riflessioni di Dodds, pp. 229 ss, e di Kerferd (soprattutto il capitolo secondo "I sofisti come fenomeno sociale", pp. 27-36). (32) Quanto alla originalità di questa posizione, va tuttavia ricordato che certamente essa è centrale in Gorgia e presso i Sofisti in generale, ed assume contorni nuovi, ma per un Greco era un'idea corrente che la parola avesse una funzione "psicagogica". Cfr. ad esempio Hadot, p. 22. (33) Una ampia ricostruzione di questo tema - ma i dati sono davvero pochi - è in Kerferd, nel capitolo terzo del suo studio. (34) Hadot, p. 19-20 Nota bibliografica Cambridge University AA.VV., La letteratura Greca, I, Cambridge University, ed. it. a cura di E. Savino, Mondadori, Milano 1989 (ed. or. 1985) Dodds E.R. Dodds, I Greci e l'Irrazionale, trad. it. di V. Vacca De Bosis, La Nuova Italia, Firenze 1988 (ed. or. 1951, prima ed it. 1959) Hadot P. Hadot, Che cos'è la filosofia antica?, trad. it. di E. Giovanelli, Einaudi, Torino 1998 (ed. or. 1995) Havelock E.A Havelock, Dike. La nascita della coscienza, trad. it. di M. Piccolomini, Laterza, Roma-Bari 1981 (ed. or. 1978) Huizinga Johan Huizinga, Homo Ludens, trad. it. di A. Vita, Torino, Einaudi 1973 (ed.or. 1939, prima ed. it. 1946) Jaeger W. Jaeger, Paideia, I, trad. it. di L. Emery, La Nuova Italia, Firenze 1984 (ed. or. 1944, prima ed. it. 1953) Kerferd G.B. Kerferd, I sofisti, trad. it. di C. Musolesi, Il Mulino, Bologna 1988 (ed. or. 1981) Lesky A. Lesky, Storia della letteratura greca, I, trad. it di F. Codino, Il Saggiatore, Milano 1982 (ed. or. 1957-58) Pohlenz M. Pohlenz, L'uomo greco, trad. it. di B. Proto, La nuova Italia, Firenze 1989, (ed. or. 1947, prima ed. it. 1962) Snell B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, trad. it. di V. Degli Alberti e A. Solmi Marietti, Einaudi, Torino 1963 Output as PDF file has been powered by [ Universal Post Manager ] plugin from www.ProfProjects.com | Page 9/9 |