Principi di Chirurgia Pediatrica ed Infantile

A06
100
Collaboratori
Bassi Andrea - Berrettini Alfredo - Bertocchini Alessia
Bertocchini Arianna - Calcaprina Roberto - Casaccia Germana
Cei Matteo - Costanzo Sara - Di Giacomo Martina
Giannotti Giulia - Ghionzoli Marco – Gozzini Sara – Marconi Michele
Mucci Nicola – Pistolesi Filippo – Severi Elisa – Taddei Alessandra
Tanda Giovanna – Togo Andrea – Vergnani Samantha
Un ringraziamento particolare, per il contributo e l’impegno,
a Matteo Cei, Martina Di Giacomo e Andrea Togo.
Prof. Claudio Spinelli
Direttore Cattedra di Chirurgia Pediatrica ed Infantile
Scuola di Specializzazione in Chirurgia Pediatrica
Università di Pisa
PRINCIPI DI CHIRURGIA
PEDIATRICA ED INFANTILE
PRESENTAZIONE
Prof. Mario Messina
Università di Siena
Prof. Antonio Messineo
Università di Firenze
Copyright © MMVIII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 a/b
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–2461–4
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: aprile 2009
Indice
Presentazione .........................................................................
11
Prefazione ...............................................................................
13
Capitolo 1
Diagnostica prenatale e counseling chirurgico ..................
15
Capitolo 2
Patologia Cervico–Toracica ..................................................
27
2.1 Cisti del dotto tireoglosso ................................................
2.2 Cisti, sinus e fistole branchiali ...........................................
2.3 Linfoadeniti cervicali infettive ...........................................
2.4 Nodulo tiroideo: diagnosi differenziale ............................
2.5 Carcinoma differenziato della tiroide ...............................
2.6 Carcinoma midollare della tiroide e MEN ........................
2.7 Lipoblastoma e lipoblastomatosi .....................................
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50
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Capitolo 3
Emangiomi e malformazioni vascolari .................................
63
3.1 Emangiomi ........................................................................
3.2 Malformazioni vascolari propriamente dette ....................
65
72
Capitolo 4
Malformazioni Intestino primitivo .......................................
83
4.1 Malformazioni dell’abbozzo polmonare o diverticolo
respiratorio ..............................................................................
83
5
6
Indice
4.1.1 Malformazione adenomatosa cistica congenita ....
4.1.2 Cisti broncogena ...................................................
4.1.3 Sequestrazione polmonare ...................................
4.1.4 Atresia esofagea ...................................................
4.2 Malformazioni dell’intestino anteriore
propriamente detto ..........................................................
4.2.1 Atresia antro pilorica .............................................
4.2.2 Atresia pilorica ......................................................
4.2.3 Atresia delle vie biliari extraepatiche ....................
4.2.4 Dilatazione cistica del coledoco ...........................
4.2.5 Pancreas anulare ...................................................
4.2.6 Fibrosi Cistica (ileo da meconio) ...........................
4.2.7 Iperinsulinismo persistente nel neonato
(nesidioblastosi) ....................................................
4.3 Atresia e stenosi duodenale .............................................
4.4 Atresia digiunale e ileale ..................................................
4.5 Anomalie di rotazione e fissazione dell’intestino medio
(malrotazioni intestinali) ....................................................
4.6 Duplicazioni dell’intestino medio .....................................
4.7 Patologia del dotto onfalo–enterico ................................
4.8 Atresia del colon ...............................................................
4.9 Malformazioni anorettali ...................................................
4.10 Megacolon agangliare congenito
(Malattia di Hirschsprung) ...............................................
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133
Capitolo 5
Malformazioni della cavità celomatica ................................ 141
5.1 Ernia inguinale ..................................................................
5.2 Idrocele .............................................................................
5.3 Ernia crurale ......................................................................
5.4 Ernia epigastrica ...............................................................
5.5 Ernia ombelicale ...............................................................
5.6 Difetti congeniti della parete addominale anteriore ........
5.7 Ernia diaframmatica congenita .........................................
141
144
145
146
147
147
152
Capitolo 6
Patologia dell’apparato digerente ...................................... 157
Indice
6.1 Enterocolite Necrotizzante ...............................................
6.2 Reflusso gastro–esofageo ................................................
6.3 Stenosi ipertrofica del piloro ............................................
6.4 Invaginazione intestinale ..................................................
6.5 Appendicite acuta ............................................................
6.6 Emorragie digestive e poliposi in età pediatrica ..............
6.7 Patologia della milza di interesse chirurgico .....................
6.8 Tumori epatici in età pediatrica ........................................
7
157
159
162
165
167
170
173
176
Capitolo 7
Patologia uro–andrologica ................................................... 183
7.1 Varicocele .........................................................................
7.2 Criptorchidismo ................................................................
7.3 Scroto acuto ......................................................................
7.4 Fimosi ...............................................................................
7.5 Ipospadia ..........................................................................
7.6 Masse surrenaliche in età pediatrica ................................
7.7 Tumori neuroblastici .........................................................
7.8 Nefroblastoma o tumore di Wilms ...................................
7.9 Tumori del testicolo ..........................................................
7.10 Tumori germinali del testicolo ........................................
7.11 Tumori non germinali del testicolo .................................
7.12 Displasia congenita del giunto pielo–ureterale ..............
7.13 Reflusso vescico–ureterale (RVU) ....................................
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245
Capitolo 8
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica ................... 249
8.1 Visita ginecologica in età pediatrica .................................
8.2 Patologia malformative ....................................................
8.3 Patologia vulvo–perineale ................................................
8.4 Lesioni ovariche in età pediatrica .....................................
8.5 Disordini intersessuali .......................................................
249
251
259
265
283
Capitolo 9
Ginecomastia ......................................................................... 291
Ai miei maestri
che mi hanno insegnato ad amare la chirurgia
ed ai miei allievi
che ne rappresentano la continuità
Presentazione
È con immenso piacere che mi accingo a presentare il manuale
“Principi di Chirurgia Pediatrica e Infantile” del Prof. Claudio Spinelli.
Si sentiva la necessità di strutturare un libro che trattasse la Chirurgia Pediatrica in modo adeguato alle richieste didattiche, non
solo degli studenti del Corso di Laurea Specialistica in Medicina e
Chirurgia ma anche degli studenti del Corso di Laurea Infermieristica ed Ostetrica; nonché alle esigenze cliniche del Medico di Base
e del Pediatra.
Il libro è sintetico e completo. Lo stile è pulito. Ogni argomento è
svolto fornendo le notizie più utili alla comprensione dei vari momenti patogenetici, diagnostici e terapeutici che permettono di acquisire
informazioni sostanziali sull’intero campo della Chirurgia Pediatrica.
Claudio Spinelli ha il merito indiscusso di aver redatto un testo di
facile lettura e consultazione. Nel volume le illustrazioni sono ben
scelte e le tabelle aumentano la chiarezza della presentazione.
L’Autore, con una notevole capacità di sintesi, ha esposto la Sua
e l’altrui esperienza confrontandola con i dati più aggiornati e qualificati della letteratura .
Mi auguro che lo sforzo fatto dal Prof. Spinelli venga accolto con
il favore che merita.
Prof Mario Messina
Ordinario di Chirurgia Pediatrica
Università di Siena
Direttore Scuola di Specializzazione in Chirurgia Pediatrica
11
Presentazione
La Chirurgia Pediatrica è una specialità giovane: come realtà a
sé stante, si è proposta negli anni Quaranta negli Stati Uniti e poi,
dagli anni Cinquanta, in Gran Bretagna e nel resto d’Europa.
Si tratta di una specialità in continua evoluzione per la quale
sono stati pubblicati vari manuali in inglese, alcuni dei quali
successivamente sono stati tradotti in italiano.
Tali manuali rispecchiavano l’esperienza anglo-sassone per cui,
talvolta, poco si adattavano alla realtà clinica italiana.
Mi fa piacere, dunque, presentare il volume ”Principi di Chirurgia
Pediatrica ed Infantile”, risultato di un notevole sforzo di sintesi del
Prof. Claudio Spinelli e dei suoi collaboratori, anche perché è uno
dei pochi manuali scritti direttamente in italiano.
L’opera si compone di 9 capitoli in cui la Chirurgia Pediatrica è
sviscerata in maniera puntuale e con termini semplici e precisi; tutti
i capitoli sono accompagnati da una abbondante iconografia.
Il testo si presenta come un importante ed utile strumento
per gli studenti del corso di Laurea di Medicina e Chirurgia, così
come del corso di Laurea Infermieristica Pediatrica e può inoltre
rappresentare una prima base di conoscenza della Chirurgia Infantile
per gli Specializzandi di Pediatria e di Chirurgia Pediatrica.
Auguro al libro del Prof. Spinelli un notevole successo editoriale
che lo ripaghi, almeno in parte, dell’importante sforzo eseguito.
Prof Antonio Messineo
Cattedra di Chirurgia Pediatrica
Università degli Studi di Firenze
Direttore Scuola di Specializzazione in Chirurgia Pediatrica
12
Prefazione
Il presente manuale nasce con l’intento di contribuire alla diffusione delle conoscenze chirurgiche pediatriche ed infantili in
ambito universitario. Esso vuole essere uno strumento didattico
utile in particolare per gli studenti del Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia, ma anche per gli studenti del Corso
di Laurea Infermieristica Pediatrica, del Corso di Laurea in Ostetricia e per quelli del Corso di Laurea Specialistica in Infermieristica. Non mancherà di destare interesse anche nell’ambito delle
Scuole di Specializzazione riguardanti sia materie chirurgiche che
pediatriche.
Il volume deriva dall’esperienza assistenziale, didattica e di ricerca maturata presso la Cattedra di Chirurgia Pediatrica ed Infantile dell’Università di Pisa.
Le precedenti pubblicazioni, quattro monografie, come autore
e coautore, su specifici argomenti di chirurgica pediatrica, edite
tutte dalla Piccin: “Endocrinopatie Pediatriche di Interesse Chirurgico”; “Criptorchidismo”; “Chirurgia Neonatale delle Malformazioni dell’Intestino Primitivo” e “Tumefazioni e Malformazioni
del collo in età pediatrica “, hanno indubbiamente facilitato la
compilazione di queste pagine. Non da meno è stato il contributo
dei lavori scientifici pubblicati su riviste nazionali ed internazionali
e delle numerose tesi di laurea svolte da studenti della nostra Facoltà di Medicina e Chirurgia su argomenti di Chirurgia Pediatrica
ed Infantile, di cui sono stato relatore.
Nel libro, suddiviso in nove capitoli, vengono affrontate da un
punto di vista clinico, diagnostico e terapeutico le maggiori affezioni di interesse chirurgico del bambino e dell’adolescente, con
particolare riferimento alle malformazioni, alla patologia cervi13
14
Prefazione
co–toracica, endocrina, dell’apparato digerente, uro–andrologica
e ginecologica. L’iconografia arricchisce il volume, rendendo più
agile e stimolante la sua lettura, oltre che facilitarne l’orientamento clinico–terapeutico.
Prof. Claudio Spinelli
Capitolo 1
DALLA DIAGNOSI PRENATALE...
ALLA DIMISSIONE: COUNSELING CHIRURGICO
DELLE MALFORMAZIONI CONGENITE
• Che cos’è il Counseling prenatale?
Per counseling si intende la consulenza prenatale da parte
del chirurgo pediatrico in collaborazione con gli altri specialisti coinvolti (ostetrico–ecografista, neonatologo, psicologo ed
eventuale genetista) finalizzata ad informare la coppia sul tipo di
malformazione diagnosticata “in utero” e sulle sue possibilità di
correzione chirurgica con relative percentuali di sopravvivenza e
qualità della vita.
• Dalla diagnosi prenatale... alla dimissione: quali fasi sono previste?
Il primo step è la diagnosi prenatale. Successivamente è di primaria importanza discutere e pianificare il management ostetrico
della gestante (esami ed accertamenti da eseguire per approfondire il sospetto ecografico e per escludere anomalie associate; definire l’espletamento del parto tramite la modalità (eutocico o cesareo programmato) e la sede più idonea. Va inoltre definito il timing
chirurgico del feto/neonato (chirurgia fetale, intervento chirurgico
in urgenza alla nascita o intervento chirurgico in elezione post–natale). Fondamentale è valutare la prognosi di questi bambini, documentare eventuali probabili handicap permanenti per chiarire ai
futuri genitori qualsiasi dubbio sulla qualità di vita del futuro figlio.
• Quando è consentita l’interruzione volontaria di gravidanza in
Italia (legge 194)?
L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è consentita dalla legge entro il 4° mese di gestazione, mentre nei casi dove sussiste un
quadro patologico estremamente grave da rendere in pericolo di
15
16
Capitolo 1
vita la madre o a rischio di sopravvivenza il nascituro è consentita entro la 24a settimana di gestazione (6°mese). La decisione spetta alla
madre anche se abitualmente viene espressa insieme dalla coppia.
• Come vengono identificate in epoca prenatale le malformazioni congenite?
In genere l’identificazione delle anomalie viscero–parenchimali
del prodotto del concepimento viene eseguita con metodica non
invasiva (ecotomografia, anche in senso tridimensionale; risonanza
magnetica); mentre la metodica invasiva (amniocentesi, prelievo
dei villi coriali, funicolocentesi transaddominale ecoguidata) viene
riservato allo studio della anomalie cromosomiche.
• Qual è il percorso che deve essere pianificato per la gestante
alla diagnosi prenatale di sospetta malformazione congenita?
In breve, il percorso dal sospetto di diagnosi prenatale di malformazione congenita viscero–parenchimale alla sala parto prevede che i casi sospetti di malformazioni congenite fetali, diagnosi
posta dal ginecologo curante, arrivino all’attenzione dell’equipe
multidisciplinare ospedaliera–universitaria delle strutture di centri
di alto livello che si occuperà di confermare la diagnosi, di effettuare la consulenza prenatale, della informazione rivolta alla coppia e
di definire il programma peri e neonatale del nascituro.
• Quanto sono frequenti i difetti congeniti?
Nella specie umana la frequenza dei difetti congeniti è di circa il
2–3% dei nati vivi, anche se la percentuale delle malformazioni digestive, toraciche, urologiche di cui si occupa il chirurgo pediatrico
è leggermente inferiore.
• Quali sono le anomalie e le malformazioni congenite che possono essere diagnosticate in utero?
Addominali:
– Apparato Digerente:
a) Occlusione intestinale: atresia duodenale, ileale, colica,
anale (rara la diagnosi prenatale delle forme di atresia
più distali);
Diagnostica prenatale e counseling chirurgico
17
b) Ileo da meconio e peritonite meconiale;
c) Difetti della parete addominale: onfalocele, gastroschisi;
d) Lesioni cistiche endoaddominali: cisti del coledoco, duplicazioni enteriche cistiche, cisti mesenteriche e omentali, (cisti spleniche), (cisti del cordone ombelicale);
e) Atresia vie biliari (molto rara la diagnosi prenatale);
– Apparato Genitale:
a) Cisti ovariche
b) Genitali ambigui
– Apparato Urinario:
a) Displasia congenita del giunto pielo–ureterale e megaretere ostruttivo primitivo
b) Reflusso vescico–ureterale
c) Ureterocele
d) Duplicità pielo–ureterale
e) Valvole dell’uretra posteriore
f) Displasie cistiche del rene: rene policistico (infantile e
adulto) e rene multicistico
g) Estrofia vescicale
h) Prune Belly Sindrome
i) Agenesia renale monolaterale o bilaterale
Toraciche:
a) Ernia diaframmatica
b) Atresia esofagea
c) Malformazioni cistiche polmonari: malattia adenomatoide cistica del polmone, cisti broncogena, sequestrazione polmonare, enfisema lobare
d) Versamenti pleurici: chilotorace, idrotorace
Altre:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
Idrope
Labio–palatoschisi
Teratoma sacro–coccigeo
Igroma cistico
Altri tumori del collo
Idrocefalia o ventricolomegalia
Spina bifida, mielomeningocele, meningocele
18
Capitolo 1
• Quali sono le tempistiche della diagnostica ecografica prenatale?
Il 1982 risulta essere un anno importante per l’introduzione dell’ecografia prenatale tra i presidi di base per lo studio dello sviluppo fetale durante l’età gestazionale. Nella gravidanza fisiologica
vengono eseguiti tre esami ecografici: nel primo trimestre (a 10–12
settimane), nel secondo (a 20–22 settimane) e nel terzo trimestre (a
30–34 settimane).
• Quali sono le finalità dell’ecografia del primo trimestre?
Le finalità dell’ecografia del primo trimestre sono: la dimostrazione dell’impianto in sede normale della camera gestazionale, la
presenza e la vitalità dell’embrione, la datazione della gravidanza.
(Fig. 1)
• Quali sono le finalità dell’ecografia del secondo trimestre?
Le finalità dell’ecografia del secondo trimestre sono la valutazione dell’eco–anatomia fetale per lo screening delle malformazioni e
lo studio della biometria fetale. (Fig. 2)
• Quali sono le finalità dell’ecografia del terzo trimestre?
Le finalità dell’ecografia del terzo trimestre sono l’individuazione dei ritardi di crescita, l’individuazione delle malformazioni non
rilevabili nel secondo trimestre, la localizzazione della placenta, la
valutazione del liquido amniotico. (Fig. 3)
Figura 1 – La camera gravidica in utero.
Diagnostica prenatale e counseling chirurgico
19
• Perché è importante il liquido amniotico?
Durante le prime settimane di gravidanza, prima che la cute
del neonato cheratinizzi il liquido amniotico rappresenta l’estensione dello spazio extracellulare fetale. Il liquido amniotico nelle
prime settimane di gravidanza viene prodotto prevalentemente
per filtrazione attraverso la placenta e la membrana amniocoriale.
Successivamente a partire dalla 13a –16a settimana inizia ad essere
significativa la diuresi fetale. Pertanto a partire da quel momento
il liquido amniotico è costituito essenzialmente dall’urina fetale.
Oltre all’urina in minor misura la produzione è fornita da polmoni, secrezioni gastrointestinali, lacrime e ghiandole sudoripare. Il
liquido amniotico non deve essere considerato come un compar-
Figura 2 – Il profilo II° trimestre.
Figura 3 – Il profilo III° trimestre.
20
Capitolo 1
timento stabile, anzi, è in continuo ricambio: il feto lo deglutisce,
e questo è molto importante perchè esso aiuta lo sviluppo dei
polmoni, del tratto gastroenterico e dell’apparato muscolo–scheletrico. Infatti la rimozione del liquido amniotico normalmente avviene attraverso la deglutizione, l’acqua ingerita dal feto viene
assorbita dall’intestino, passa nel sangue e attraverso la placenta
raggiunge in parte il sangue materno. Il liquido amniotico inoltre
rappresenta una protezione per il feto da eventuali traumi e da
infezioni per le sue proprietà antibatteriche. (Fig. 4)
Il liquido amniotico può essere valutato attraverso diversi metodi: valutazione soggettiva, l’ecografista esperto vede “a occhio” quanto è il liquido amniotico. Se la valutazione è dubbia,
procede alla misurazione dell’indice AFI. Per calcolare l’indice AFI
si divide idealmente l’addome materno in quattro quadranti, che
si incrociano a livello dell’ombelico, in ogni quadrante si misura
la massima tasca verticale di liquido amniotico, e si fa la somma
dei quattro quadranti oppure si misura solo la tasca massima tra i
quattro quadranti. La tasca massima, quest’ultima misurazione, è
utilizzata soprattutto nel caso della gravidanza gemellare, dove la
misurazione dell’AFI complessivo non ci dice quanto liquido c’è
in ciascun sacco. I valori di riferimento (normalità) sono: AFI: tra
50 e 250 mm (o 5–25cm). Se il liquido è tra 50 e 80 mm si parla
di AFI ai limiti inferiori della norma, se il liquido è tra 220 e 250 si
parla di liquido ai limiti superiori della norma. La tasca massima è
regolare quando compresa tra 2 e 8 cm. (Fig. 5)
Figura 4 – Il liquido amniotico nel III° trimestre.
Diagnostica prenatale e counseling chirurgico
21
• Che cos’è l’oligoidramnios?
Si parla di oligoidramnios quando l’indice AFI è inferiore a 50
mm o la tasca massima è inferiore a 2 cm. Oppure in modo più
grossolano come definizione corrente si definisce oligoidramnios
quando si ha l’impossibilità totale di vedere il liquido amniotico o il
suo rilevamento è limitato a poche zone disperse. (Fig. 6)
• Quali sono le cause di oligoidramnios?
Le cause di oligoidramnios sono molteplici: mancata produzione di
urina fetale da agenesia renale e displasie cistiche bilaterali che comportino deficit funzionali; malformazioni ostruttive del basso apparato
urinario come valvole dell’uretra posteriore, agenesia dell’uretra, ureterocele ectopico che ostacolano il normale deflusso delle urine nella
Figura 5 – Calcolo AFI del liquido amniotico.
Figura 6 – Oligoidramnios.
22
Capitolo 1
cavità amniotica. Inoltre l’oligoidramnios può essere parafisiologico a
termine di gravidanza, quando normalmente il liquido si può ridurre.
• Perché è pericoloso l’oligoidramnios?
Il liquido amniotico ai limiti inferiori della norma (50–80mm)
si associa spesso alle condizioni di ritardo di crescita, o talora
può essere dovuto a eccessivo stress materno con ridotta assunzione di liquidi. È importante sottolineare che basta poco liquido per un corretto sviluppo polmonare, ma se il liquido è del
tutto assente nelle settimane critiche in cui si sviluppano i polmoni (16a–26 a settimane) si può verificare una condizione detta
di “ipoplasia polmonare”, che comporta difficoltà respiratoria e
può portare alla morte neonatale.
• Che cos’è il polidramnios?
È una condizione in cui l’indice AFI è superiore a 250mm, o la
tasca massima è superiore a 8cm. Il volume del liquido amniotico supera 2000 ml. Secondo la definizione corrente si definisce
polidramnios nel caso in cui si rilevi una quantità tale di liquido
da rendere possibile il posizionamento di un secondo feto di
dimensioni paragonabili a quelle del feto esistente. (Fig. 7)
• Quali sono le cause di polidramnios?
Le cause di polidramnios si distinguono in aumentata produzione urinaria, questo è il caso del diabete gestazionale, special-
Figura 7 – Polidramnios.
Diagnostica prenatale e counseling chirurgico
23
mente in caso di “macrosomia”, oppure in ridotta deglutizione, in
alcune patologie del tratto gastrointestinale, quali le ostruzioni (ad
es. atresia esofagea e atresia del duodeno, mentre le ostruzioni del
basso tratto intestinale non provocano solitamente polidramnios).
Molto raramente il polidramnios è legato all’anencefalia ed a patologie neuromuscolari, poiché entrambi comportano ridotta deglutizione. Anche alcune malattie infettive in gravidanza possono
esserne causa pertanto può essere utile richiedere i comuni esami
infettivi. Altra rara condizione che può determinare polidramnios
è una gravidanza gemellare monocoriale, complicata da sindrome
da trasfusione feto–fetale (15% dei casi).
• Perché è pericoloso il polidramnios?
Il polidramnios di per sé non è dannoso per il bambino, ma può
comportare un maggior rischio di parto pretermine e di rottura prematura di membrane.
• Quali sono le patologie non diagnosticabili con l’ecografia
prenatale?
È bene comunque sottolineare che non è possibile visualizzare
con l’ecografia fetale alterazioni delle circonvoluzioni cerebrali, minimi difetti dei tessuti molli (es. angiomi cutanei), alcune malformazioni cardiache.
Inoltre risulta difficile la diagnosi ecografica, se non in casi rari,
di alcune anomalie intestinali (es. malformazioni ano–rettali) e di
alterazioni minori delle mani, dei piedi e del viso, che saranno poco
evidenti quando il feto non orienterà gli arti e la testa in maniera
ottimale durante le valutazioni ultrasonografiche.
• È possibile operare il feto con malformazione in utero?
Il primo intervento chirurgico su un feto è stato eseguito all’inizio degli anni ottanta in California, San Francisco. In più di 150 casi
eseguiti presso la suddetta Università non sono stati riscontrati casi
di mortalità materna dopo l’approccio fetale e non sono noti effetti
avversi sulla fertilità futura della madre. La maggiore complicanza è il
parto pretermine (25a–35 a settimana) ed inoltre il parto deve avvenire
tramite taglio cesareo a causa del rischio elevato di rottura dell’utero
durante il parto per via vaginale per la recente ferita cicatriziale.
24
Capitolo 1
• Quali sono gli approcci chirurgici al feto?
L’approccio al feto può avvenire tramite tre metodologie: 1) percutaneo eco–guidato 2) guidato da fetoscopia (FETENDO) 3) tramite isterostomia con visualizzazione diretta.
• Quando è possibile utilizzare la chirurgia fetale?
La chirurgia fetale è una promessa nella terapia per alcune malformazioni diagnosticate in epoca prenatale. Gli interventi fetali
per le malformazioni con alto tasso di mortalità hanno mostrato un
ottimo successo di sopravvivenza confrontati con bambini trattati
in modo standard alla nascita. Fino ad alcuni anni fa solo le malformazioni fetali che erano a rischio di morte in utero o alla nascita
erano selezionate per l’intervento fetale per il rischio materno. Il
mielomeningocele è stata la prima non letale malformazione per la
quale è stata applicata la chirurgia fetale. Grazie allo sviluppo delle
tecniche con accessi mini–invasivi risultano attualmente in decremento la morbilità materna e pertanto i casi selezionati per la chirurgia fetale sono in netto aumento. Infatti tutte le future procedure
dovrebbero essere eseguite attraverso approcci mini–invasivi. Attualmente iniziano ad essere una realtà terapie genetiche in utero
per deficit metabolici ed ingegneria tissutale per organi e tessuti
assenti.
• Che cos’è il parto EXIT (parto EX–utero Intrapartum Technique)?
Il parto EXIT è un parto cesareo con intubazione del neonato
ancora in utero. La procedura EXIT consiste nell’intubazione del
feto parzialmente estratto dall’utero e ancora connesso alla placenta: con questa tecnica la circolazione feto–placentare, mantenuta
intatta, assicura la normale ossigenazione del feto, permettendo
di eseguire tutte le manovre atte ad assicurare la pervietà delle vie
aeree del nascituro. La tecnica EXIT, eseguita per la prima volta nel
1989 e praticata da diversi centri stranieri e italiani, si può considerare ormai una procedura sicura se condotta con un approccio multidisciplinare. Trova indicazione in tutti quei casi in cui l’ecografia
prenatale abbia evidenziato la presenza di masse dell’orofaringe,
atresia laringea, igroma cistico, ovvero malformazioni che possano
compromettere la respirazione del feto alla nascita.
Diagnostica prenatale e counseling chirurgico
25
• Quali sono schematicamente le patologie che richiedono un
intervento chirurgico in urgenza immediatamente dopo la nascita e quali possono essere trattate in elezione?
Il trattamento chirurgico nel periodo post–natale prevede un timing chirurgico variabile dalla patologia: da poche ore dopo la nascita per i difetti della parete addominale (onfalocele, gastroschisi)
e per alcune occlusioni intestinali, a diciotto mesi–tre anni per idronefrosi, reflusso vescico–ureterale, rene multicistico e alcuni casi di
sequestrazione polmonare).
26
Capitolo 1
Capitolo 2
PATOLOGIA CERVICO–TORACICA
P.C.T. Malformativa
Cisti dotto tireoglosso
Cisti, sinus e fistole branchiali
P.C.T. Infettiva
Linfoadeniti infettive (germi piogeni, mycob.
tubercolosis, mycob. atipici; malattia da graffio di
gatto, toxoplasma gondii)
P.C.T. Neoplastica
Patologia tiroidea benigna
Patologia tiroidea maligna: (CA differenziato, CA
midollare e MEN)
Lipoblastoma e lipoblastomatosi
2.1 Cisti del dotto tireoglosso
Le cisti del dotto tireoglosso sono, per definizione, delle formazioni di dimensioni variabili che hanno origine da residui del dotto
tireoglosso. Esse sono, per questo, localizzate in qualunque punto
lungo la via di migrazione della ghiandola tiroide, sempre vicino o
lungo la linea mediana del collo.
Epidemiologia
Da un punto di vista epidemiologico le cisti del dotto tireoglosso sono la più frequente patologia malformativa del collo in età
pediatrica. Esse, infatti, vanno a costituire oltre il 70% delle malformazioni disontogenetiche cervicali e oltre il 16% delle tumefazioni
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28
Capitolo 2
anteriori del collo. Colpiscono prevalentemente il sesso femminile
e si manifestano, nella metà dei casi, entro il compimento del quinto anno di vita.
Embriologia e patogenesi
La tiroide comincia ad abbozzarsi, nell’embrione di tre settimane, come un piccolo diverticolo entodermico della parete ventrale
dell’intestino branchiale collocato tra gli abbozzi del corpo e della
radice della lingua.
Con l’evolversi della gravidanza questo diverticolo si allunga e
si canalizza (dotto tireoglosso) e portandosi in basso, al davanti,
al di dietro o all’interno dell’osso ioide, raggiunge l’abbozzo del
condotto laringo–tracheale ove si divide in due gemme che rappresentano i primi abbozzi dei lobi tiroidei. Il dotto tireoglosso può
essere topograficamente suddiviso in due porzioni; il dotto craniale o linguale, comprendente la porzione del dotto tireoglosso
localizzata cranialmente rispetto all’osso ioide, e il dotto tiroideo
collocato, invece, al di sotto di esso. In condizioni fisiologiche normali, già durante la quarta settimana di gestazione, le due porzioni
del dotto tireoglosso si riassorbono completamente e della loro
presenza rimane solo il così detto forame cieco posto all’apice della v linguale.
Figura 1 – Cisti dotto tireoglosso.
Figura 2 – Cisti del dotto tireoglosso suppurata e fistolizzata.
Patologia Cervico–Toracica
29
Un suo difetto di riassorbimento può determinare condizioni
parafisiologiche, come nel caso della formazione del lobo piramidale (presente nel 75% delle tiroidi) e di piccole ghiandole salivari
accessorie, o condizioni francamente patologiche, come accade,
invece, per la formazione delle cisti. Per la patogenesi delle cisti
del dotto tireoglosso non è comunque sufficiente il mancato riassorbimento di una porzione più o meno vasta del dotto stesso,
ma devono anche essere presenti degli appropriati stimoli, non
ancora identificati, i quali inducano sia la differenziazione delle
cellule embrionali in cellule con capacità secretoria siero–mucosa
sia l’ostruzione del punto di drenaggio delle loro secrezioni. Il
secreto di queste cellule, infatti, viene drenato normalmente a
livello del forame cieco, in cavità orale, e se, per qualche motivo,
questo punto di drenaggio è ostruito, abbiamo l’accumulo delle
secrezioni con formazione e progressivo aumento di volume della
cisti.
Clinica
Nella maggior parte dei casi le cisti del dotto tireoglosso
sono condizioni del tutto asintomatiche le quali giungono all’attenzione del medico semplicemente per motivi estetici. Esse
si presentano come delle piccole tumefazioni della parete anteriore del collo di solito dal diametro compreso fra 1 e 3 cm
(Fig. 1). Sono localizzate sulla linea mediana del collo, dalla
base della lingua fino alla fossetta del giugulo, ad eccezione di
quelle collocate al davanti della cartilagine tiroidea che, come
conseguenza della sua forma a prua, possono essere deviate lateralmente. In rapporto all’osso ioide si possono identificare tre
diverse tipologie di cisti che sono; “cisti sovraioidee” (20% dei
casi), collocate al di sopra dell’osso ioide, “cisti sottoioidee”
(65% dei casi), localizzate al di sotto dell’osso ioide, e “cisti
infraioidee” (15% dei casi) le quali sono, invece, collocate al ridosso dell’osso ioide stesso. Le cisti del dotto tireoglosso sono
solidali con i piani sottostanti e, come conseguenza del loro
rapporto con il forame ovale e con l’osso ioide, risultano essere
mobili con i movimenti di protusione delle lingua (questo ultimo
aspetto è più marcato nelle cisti sovraioidee ed infraioidee).
30
Capitolo 2
Questo quadro clinico estremamente benigno può subire,
però, delle sostanziali modificazioni in caso di complicanze, di
cui le più frequenti sono:
– Suppurazione e fistolizzazione: è una condizione clinicamente
caratterizzata da aumento di volume della cisti, arrossamento
della cute sovrastante, dolore ed eventualmente febbre. Se si
forma un tramite fistoloso all’esterno fuoriesce una secrezione gelatinosa mista a pus (Fig. 2).
– Carcinoma papillare, follicolare o misto: è la diretta conseguenza della degenerazione del tessuto tiroideo ectopico
presente nella parete cistica o del dotto. Clinicamente la degenerazione delle cisti può essere associata ad aumento di
consistenza, disfagia e linfoadenopatia satellite.
– Carcinoma squamoso: è la conseguenza della degenerazione
maligna dell’epitelio cilindrico di rivestimento. Anche in questo caso le manifestazioni cliniche comprendono aumento di
consistenza, disfagia e linfoadenopatia satellite.
Diagnosi e diagnosi differenziale
La diagnosi di una cisti del dotto tireoglosso si basa fondamentalmente sul reperto clinico (tumefazione della parete anteriore del
collo di dimensioni variabili ma contenute e solidale ai tessuti sottostanti) associato ad un esame ecografico. L’ecografia permette di
valutare il contenuto della cisti, solido o liquido, e di evidenziare la
morfologia e la struttura della tiroide. Nei casi in cui la tumefazione
non si presenti come completamente cistica e nel caso in cui non sia
evidenziabile la tiroide allora può essere utile eseguire una scintigrafia. TC e RMN sono da richiedere solo nei casi in cui la diagnosi sia
difficile in quanto permettono un maggiore studio della parete, del
contenuto e dei rapporti anatomici della cisti. Per quanto riguarda
la diagnosi differenziale le cisti sovraioidee devono essere distinte
dalle adenopatie sottomentoniere e dalle cisti dermoidi della linea
mediana (fig. 3a–b), le quali, però, non mostrano mobilità con la protusione della lingua e non presentano mai segni di flogosi. Le cisti
sottoioidee devono essere differenziate dalle cisti dermoidi sottoioidee e dalle tumefazioni del linfonodo Delfico, linfonodo localizzato a
Patologia Cervico–Toracica
31
livello della parte più craniale dell’istmo tiroideo che può aumentare
di volume perché sede di metastasi da carcinoma della tiroide.
Terapia
Il trattamento di una cisti del dotto tireoglosso consiste nella sua
exeresi chirurgica che deve essere sempre eseguita onde evitare
una possibile degenerazione maligna. La tecnica comunemente
utilizzata è quella di Sistrunk che consiste nella rimozione della cisti, del dotto fino all’osso ioide, della parte centrale dell’osso ioide
e dell’eventuale tratto retroioideo che prosegue fino alla base della
lingua.
2.2 Cisti, sinus e fistole branchiali
Le cisti, le fistole ed i seni sono tre diverse malformazioni con cui
si possono manifestare le anomalie di sviluppo dell’apparato branchiale. Esse derivano nel 75% dei casi dal secondo arco branchiale,
nel 20% dei casi dal primo e nei rimanenti dal terzo e dal quarto.
Embriologia e patogenesi
Quale sia effettivamente l’eziopatogenesi delle malformazioni
dell’apparato branchiale di fatto non è conosciuta, anche se, a tale
Figura 3a – Cisti dermoide della linea mediana cervicale.
Figura 3b – Contenuto della cisti: “materiale poltaceo bianco”.
32
Capitolo 2
proposito sono state elaborate numerose e diverse teorie. Di sicuro possiamo affermare che, nonostante alcune di queste malformazioni non siano presenti alla nascita ma si rendano manifeste solo
nell’adolescenza o nella pubertà, esse abbiano un’origine congenita displastica. Le cisti sono, infatti, la diretta conseguenza della
prematura fusione di un arco branchiale con quello adiacente fatto
che, nella maggior parte dei casi, implica che fra i due rimanga
inclusa una piega ectodermica (da cui originano le cisti branchiale
dermoidi) o entodermica (da cui originano le cisti branchiali mucoidi). Le fistole branchiali, ossia dei canali anomali e pervi che si
aprono esternamente sulla superficie del collo ed internamente nel
contesto della mucosa faringea, sono, invece, la conseguenza della
mancata fusione di un arco branchiale. Per quanto riguarda i seni,
essi sono la conseguenza della persistenza, di estensione variabile,
del seno cervicale.
ANOMALIE DEL PRIMO SOLCO
• CISTI
Le cisti rappresentano il 5–8% di tutte le malformazioni del primo
arco si ritrovano sia nei bambini che negli adulti. Esse sono localizzate
lungo il tratto che deriva embriologicamente dal primo arco o dal primo solco branchiale e si sviluppano a partire dal canale uditivo esterno,
attraverso la ghiandola parotide fino all’angolo sottomandibolare.
Clinica
Generalmente le cisti del primo arco si manifestano con fenomeni infiammatori o ascessi ricorrenti entrambi in prossimità del
bordo posteriore della parotide o in prossimità dell’orecchio o dell’angolo della mandibola (foto 4). Tipicamente il paziente presenta
una storia di ascessi parotidei ricorrenti che non migliorano né con
la terapia antibiotica né con il drenaggio. La cisti ha vario volume,
è molle, elastica, indolente, coperta da cute normale, è mobile in
senso laterale. Queste malformazioni spesso mimano le caratteristiche
Patologia Cervico–Toracica
33
cliniche delle neoplasie parotidee e possono anche associarsi a paralisi
del nervo faciale.
Diagnosi strumentale
Alla TC una cisti del primo arco branchiale appare come una massa
superficiale o profonda all’interno della parotide. Nella maggior parte
dei casi, né la TC né la RMN forniscono immagini abbastanza caratteristiche da poter differenziare la cisti del primo arco branchiale da
qualsiasi altra massa cistica della parotide. Così come una qualsiasi lesione del margine profondo della parotide, una cisti del primo arco
può estendersi nell’adiacente spazio parafaringeo e sostituire il tessuto
adiposo in esso normalmente contenuto.
• SINUS
Sono diagnosticati prevalentemente nell’infanzia anteriormente all’orecchio. Essi possono essere occasionalmente bilaterali.
• FISTOLE
Si estendono dal canale uditivo esterno alla cute periauricolare.
Esse sono in rapporto con le branche del nervo faciale che si trova
lateralmente alla fistola.
Figura 4 – Cisti I arco branchiale.
34
Capitolo 2
ANOMALIE DEL SECONDO ARCO
• CISTI
Le cisti del secondo arco branchiale si presentano tipicamente tra i 10 ed i 40 anni di età, senza alcuna distinzione tra i due
sessi, e sono usualmente localizzate lungo il margine anteriore
del muscolo sternocleidomastoideo lateralmente alla carotide
appena sotto la linea dell’osso ioide (Fig.5).
Clinica
Esse appaiono come masse molli, indolenti e coperte da cute
normale. Hanno dimensioni variabili comprese tra 1 e 10 cm di
diametro con lenta tendenza all’accrescimento. Sono generalmente mobili in senso laterale. Possono divenire doloranti e
dolorabili secondariamente ad un’infezione. È altamente probabile che le cisti si complichino con la suppurazione e la fistolizzazione. Nel paziente giovane, una storia di infiammazioni
ricorrenti nella regione sotto–angolomandibolare è fortemente
suggestivo di una cisti del secondo arco. Spesso, se è presente
una fistola, il suo ostio è visibile già al momento della nascita
aprendosi in sede sopraclaveare, nella porzione anteriore del
collo. Solitamente contengono un liquido torbido, giallo–citrino, vischioso con cristalli
di colesterina nel sedimento.
Le loro pareti sono sottili e rivestite di epitelio squamoso
stratificato non cornificato che
ricopre del tessuto linfoide.
Occasionalmente si può ritrovare epitelio cilindrico vibratile respiratorio.
Figura 5 – Cisti branchiale.
Patologia Cervico–Toracica
35
Diagnosi
All’esame ecografico le cisti del secondo arco branchiale appaiono come delle masse anecogene nettamente delimitate, di
forma rotonda od ovale, con una sottile parete che sostituisce i
tessuti lassi circostanti. Alla TC queste cisti appaiono tipicamente
ben circoscritte ed omogeneamente ipodense, circondate da una
parete sottile il cui spessore può, però, aumentare a seguito di
un’infezione. Nella loro localizzazione “classica”, queste cisti dislocano lo sternocleidomastoideo posteriormente o postero–mediamente, spingono i vasi dello spazio carotideo mediamente, e
spingono anteriormente la ghiandola sottomandibolare. La RMN
evidenzia meglio l’estensione in profondità della cisti e permette
un accurato studio pre–operatorio.
• FISTOLA
Le fistole del secondo arco branchiale si manifestano come delle
piccole fossette cutanee localizzate lungo il margine anteriore del
muscolo sternocleidomastoideo da cui abbiamo, talvolta periodicamente, la fuoriuscita di materiale mucoso fluido chiaro. Il tratto
fistoloso ascende, attraverso il tessuto sottocutaneo sotto il muscolo
platisma, fino al di sopra dell’osso ioide. Successivamente il tragitto si medializza, passando attraverso la biforcazione della carotide
comune, sopra il nervo ipoglosso e glossofaringeo e penetra lateralmente al faringe a livello della fossa tonsillare. Il tratto può essere
completo o incompleto. Le fistole sono rivestite da epitelio squamoso, colonnare o ciliato e sono circondate da una parete muscolare
relativamente spessa.
• SINUS
Sono situati anch’essi lungo il bordo anteriore del muscolo sternocleido–mastoideo. Il tragitto è comunemente breve. Sono stati
descritti casi di sinus bilaterali in percentuale elevate.
36
Capitolo 2
ANOMALIE DEL TERZO E DEL QUARTO SOLCO BRANCHIALE
Le anomalie del terzo e del quarto arco branchiale si manifestano usualmente come un sinus oppure sotto forma di un ascesso
ricorrente in regione laterale sinistra del collo associato o meno ad
una fistola del seno piriforme. Distinguere le anomalie del terzo
da quelle del quarto arco branchiale può risultare difficile visto che
entrambi sono in rapporto col seno piriforme. La differenza tra le
due lesioni sta nei loro rapporti con il nervo laringeo superiore:
quelle che stanno al di sopra di questa struttura originano dal terzo mentre le lesioni localizzate al di sotto del nervo originano dal
quarto arco branchiale. Una paratiroide ectopica o non discesa può
essere associata ad entrambe le lesioni, dato che queste ghiandole
provengono sia dalla terza che dalla quarta tasca branchiale.
SINUS DEL QUARTO SOLCO BRANCHIALE
Il sinus della quarta tasca branchiale, segue la sua derivazione embriologica. Origina dall’apice del seno piriforme, perfora la
Figura 6, 7, 8, 9 – Fistola branchiale: intervento chirurgico.
Patologia Cervico–Toracica
37
membrana tiro–iodea e scende nel mediastino, seguendo la doccia
tracheoesofagea. Nella maggior parte dei casi il tragitto del sinus
è breve; se il tragitto è lungo, può decorrere a sinistra sotto l’arco
aortico o a destra sotto l’arteria succlavia, prima di salire di nuovo
verso la regione cervicale lungo la superficie ventrale della arteria
carotide comune.
Terapia chirurgica
L’obiettivo del trattamento di tutte le lesioni congenite del collo
(cisti, fistole o seni) è l’escissione chirurgica completa in elezione
(foto 6–9). Se la cisti è infetta, evenienza peraltro abbastanza frequente l’operazione deve essere rinviata ad altra data poiché intervenire su una zona infiammata aumenterebbe il rischio di danno
nervoso, di resezione incompleta e di recidiva. Salvo i casi particolari in cui sussistano condizioni quali dolori locali o disturbi funzionali, tali da far ritenere ingiustificato ogni ulteriore differimento
dell’operazione radicale, la flogosi deve essere curata con terapia
antibiotica ed applicazioni caldo–umide fino alla risoluzione. Nel
caso in cui questo non si verificasse spontaneamente si può rendere necessario un drenaggio della cisti mediante agocannula o
chirurgico.
2.3 Linfoadeniti cervicali infettive
Vengono definite con il termine di linfadeniti infettive un gruppo
estremamente eterogeneo di condizioni patologiche che, pur differendo per etiologia, quadro clinico e approccio terapeutico, sono tutte
accumunate dalla presenza di un interessamento infiammatorio di uno
o più distretti linfonodali. Le linfadeniti a carico dei linfonodi del collo e
della testa possono essere acute, subacute o croniche, monolaterali o
bilaterali. Tipicamente le linfadeniti cervicali acute bilaterali sono causate da un’infezione virale delle prime vie aeree (es. mononucleosi infettiva) oppure da faringite streptococcica. Per contro le linfadeniti cervicali
acute a localizzazione monolaterale, nel 40–80% dei casi sono secondarie ad una infezione batterica da stafilococchi o da streptococchi.
Le cause più comuni di linfadenite cervicale subacuta o cronica sono
38
Capitolo 2
invece riconducibili alla malattia da graffio di gatto, alla toxoplasmosi,
alla tubercolosi linfoghiandolare e all’infezione da micobatteri atipici.
• LINFADENITE DA GERMI PIOGENI
L’interessamento infiammatorio acuto di un distretto linfonodale
monolaterale del collo è frequentemente secondario ad una infezione da parte di germi piogeni quali stafilococchi e streptococchi; gli agenti eziologici più comuni sono lo Streptococcus pyogenes (l’agente etiologico principale delle infezioni faringee) e lo
Staphylococcus aureus (l’agente eziologico principale delle infezioni cutanee).
Epidemiologia
La faringotonsillite streptococcica colpisce ogni fascia d’età ma
con maggior frequenza tra i 3 ed i 15. Lo S. pyogenes o streptococco beta–emolitico di gruppo A è praticamente l’unico agente batterico coinvolto in questo tipo d’infezione colonizzando il 15–20%
del nasofaringe di bambini sani ed essendo reponsabile complessivamente del 15% di tutte le faringo–tonsilliti acute. Poiché la trasmissione di questo stafilococco avviene generalmente mediante
contatto diretto (mani), la fonte principale di contagio è, per S.
aureus, il malato o il portatore (cute, alte vie respiratorie).
Clinica
Nella faringotonsillite streptococcica, dopo un periodo d’incubazione di 2–4 giorni, la sintomatologia esordisce acutamente con faringodinia, febbre elevata, malessere generale e cefalea. Sebbene
possano essere presenti anche nausea, vomito, dolori addominali,
artromialgie ed esantema scarlattiforme, molti bambini presentano
una sintomatologia più sfumata. La linfoadenopatia cervicale anteriore si verifica frequentemente nella fase precoce, con linfonodi
mono o bilateralmente aumentati di volume, di consistenza molle,
non fissi ma molto dolorabili. Può esserci inoltre eritema e calore
della cute sovrastante; inoltre la fluttuazione linfonodale suggerisce
una formazione ascessuale. L’evoluzione è in genere benigna (3–5
Patologia Cervico–Toracica
39
giorni) se non compaiono complicanze poststreptococciche (glomerulonefrite acuta e febbre reumatica) o suppurative (sinusite e otite
media, ascessi peritonsillari, retrofaringei o laterofaringei).
Diagnosi e diagnosi differenziale
La diagnosi clinica di infezione da piogeni deve sempre essere
confermata dall’identificazione del germe con l’esame colturale del
tampone faringeo o dell’ago–biopsia del linfonodo suppurato. Comunque, poiché gli streptococchi sono normali commensali della
faringe dei bambini sani, l’isolamento di S. pyogenes dalla faringe
non necessariamente indica che l’infezione sia causata da questo
batterio. L’esame ecografico può risultare utile per riconoscere l’evoluzione suppurativa e colliquativa dei linfonodi interessati. Inoltre il
riscontro anamnestico di esposizione pregressa ad un soggetto affetto da faringotonsillite streptococcica può essere un utile indizio.
Nella diagnosi differenziale, oltre alle sindromi simil–mononucleosi,
in presenza di un essudato membranoso sulle tonsille è necessario
escludere la possibilità di difterite, specie nel bambino non vaccinato, che causa un cospicuo edema dei tessuti molli e l’ingrossamento
linfonodale del collo (aspetto a “collo taurino”).
Terapia
La terapia mira non solo alla risoluzione del processo acuto, ma soprattutto, nel caso di infezione da S. pyogenes, tanto alla prevenzione
delle complicanze, come la malattia reumatica, quanto alla rimozione
della fonte di contagio. L’antibiotico di prima scelta per la linfadenite
da S. pyogenes e da S. aureus è l’amoxicillina associata ad acido clavulanico; in presenza di sintomi sistemici importanti va somministrata una
terapia parenterale con oxacillina o ceftriaxone per anche 2–3 settimane. La prognosi è comunque generalmente buona.
• LINFADENITE DA MYCOBACTERIUM TUBERCOLOSIS
La tubercolosi è una malattia infettiva contagiosa provocata da
Mycobacterium tuberculosis o bacillo di Koch che, sebbene a localizzazione prevalentemente polmonare, può interessare diversi
40
Capitolo 2
organi e apparati. In particolare la tubercolosi dei linfonodi superficiali, comunemente definita come “scrofola tubercolare”, è la forma più frequente di tubercolosi extrapolmonare nei bambini.
Epidemiologia
La principale sorgente di infezione da M. tuberculosis è rappresentata dai malati di tubercolosi polmonare, che con la tosse eliminano micobatteri. La tubercolosi infatti si trasmette abitualmente
per contagio interumano, molto raramente per contagio da materiale infetto e per ingestione di latte contaminato. Nei paesi industrializzati la diffusione dell’infezione tubercolare è notevolmente
diminuita negli ultimi decenni grazie al miglioramento delle condizioni socioeconomiche, sanitarie e alimentari. Nei paesi in via di
sviluppo, invece, la malattia è tutt’ora molto diffusa. Tuttavia, negli
ultimi anni, l’incidenza della tubercolosi è in netto aumento anche
nel nostro Paese per la diffusione di condizioni di immunosoppressione (infezione da HIV, chemioterapia antineoplastica o cortisonica) e per l’aumento di immigrazione da paesi in via di sviluppo.
Clinica
Tipicamente la linfadenite regionale si manifesta entro 6–9
mesi, in alcuni casi anche dopo anni, dall’infezione primaria da M.
tuberculosis. L’esordio della malattia è, nella maggior parte dei
casi subacuto con lieve rialzo febbrile e sintomatologia aspecifica
ma, talvolta, può essere acuto, con un rapido ingrossamento dei
linfonodi, febbre alta, dolorabilità e consistenza fluttuante. I linfonodi tonsillari, cervicali anteriori, sottomandibolari e sopraclavicolari possono essere colpiti a causa dell’estensione di una lesione
primaria dei campi polmonari superiori o dell’addome e sono in
genere interessati monolateralmente anche se il coinvolgimento
bilaterale può verificarsi a causa dell’incrocio delle vie di drenaggio linfatico nel torace e nella parte inferiore del collo. I linfonodi
solitamente si ingrossano gradualmente nelle prime fasi della malattia e si presentano fissi (sembrano aderenti ai tessuti sottostanti
o sovrastanti), ben distinti, ricoperti da cute calda e rossa, né di
dimensioni aumentate né dolenti. Con il progredire dell’infezione
Patologia Cervico–Toracica
41
vengono colpiti linfonodi multipli con la loro confluenza in una
massa unica. I segni e sintomi sistemici sono in genere assenti, a
parte un modesto rialzo febbrile, lieve malessere, anoressia.
Diagnosi e diagnosi differenziale
La diagnosi definitiva di linfadenite tubercolare richiede solitamente la conferma istologica o batteriologica, che viene
realizzata al meglio su una biopsia escissionale del linfonodo
coinvolto. Il test cutaneo alla tubercolina o intradermoreazione
di Mantoux è di solito positivo ma deve essere preso in considerazione solo come criterio orientativo perché documenta solo
il pregresso contatto con il micobatterio. Nel caso di infezione
da micobatteri atipici un indizio importante per la diagnosi di
linfadenite tubercolare è la pregressa esposizione ad un adulto
con tubercolosi infettiva.
Terapia
La linfadenite tubercolare solitamente risponde bene alla terapia
antitubercolare, anche se i linfonodi non riacquistano le loro dimensioni normali per mesi o anche anni. L’asportazione chirurgica invece non
è indicata in quanto la linfoadenite tubercolare è solitamente parte di
un’infezione sistemica. I farmaci di prima scelta sono l’isoniazide, la
rifampicina, la pirazinamide, l’etambutolo e la streptomicina. L’attuale protocollo per la localizzazione linfoghiandolare prevede per due
mesi, isoniazide associato a rifampicina e a pirazinamide e successivamente isoniazide e rifampicina per i quattro mesi successivi.
• LINFADENITE DA MICOBATTERI ATIPICI
Anche altre specie di Mycobacterium non tubercolari possono
causare quadri isolati di linfoadenite cervicale. Sono comunemente
detti “micobatteri atipici” e si diversificano dal M. tuberculosis nella sensibilità ai farmaci antitubercolari. Inoltre, questi micobatteri
sono generalmente acquisiti al livello ambientale e non dal contagio interpersonale come il M. tuberculosis.
42
Capitolo 2
Epidemiologia
Le tre singole specie di micobatteri atipici, identificabili in base
alle caratteristiche di crescita e della morfologia, sono correlate dal
punto di vista biochimico e immunologico e sono, perciò, difficili da
distinguere per i laboratori. Esse sono definite come “complessi”,
ad esempio il complesso M. fortuitum (M. fortuitum e M. chelonae) e
il complesso M. avium (M. avium e M. intracellulare). Negli Stati Uniti
il complesso M. avium costituisce circa l’80% delle linfoadeniti in età
pediatrica, mentre M. scrofulaceum e M. kansasii sono responsabili
della maggior parte degli altri casi. Molte altre specie di micobatteri,
come il M. interjectum o il M. lentiflavum, sono state recentemente
identificate come causa di linfoadenti cervicali nel bambino.
Clinica
La linfoadenite dei linfonodi sotto–angolomandibolari o cervicali antero–superiori è la manifestazione più frequente di infezione
da micobatteri atipici nel bambino. Talvolta sono interessati i linfonodi preauricolari, cervicali posteriori, ascellari e inguinali. Questa
infezione è più frequente nei bambini di 1–5 anni a causa della loro
tendenza a mettere in bocca oggetti contaminati con terra, polvere
o acqua stagnante. Gli altri membri del nucleo familiare non sono
in genere affetti. I bambini colpiti solitamente non presentano sintomi sistemici, bensì l’interessamento unilaterale subacuto di un
linfonodo a lento accrescimento o di un gruppo di linfonodi strettamente ravvicinati, con diametro superiore a 1.5 cm, compatti,
non dolenti, mobili e non coperti da cute eritematosa. I linfonodi
affetti talvolta guariscono senza trattamento, ma la maggior parte
subisce una rapida suppurazione dopo diverse settimane. Il centro
del linfonodo colliqua e la cute sovrastante diventa eritematosa e
sottile (fig. 10). Infine il linfonodo si rompe e forma tramiti fistolosi
cutanei che drenano per mesi o anni (fig. 11).
Diagnosi e diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale della linfadenite da micobatteri atipici si orienta fondamentalmente verso la scrofola tubercolare.
Patologia Cervico–Toracica
43
Sebbene la diagnosi definitiva necessiti dell’individuazione del
patogeno con isolamento colturale, escludere l’infezione da M.
tuberculosis può essere comunque difficile per i lunghi tempi richiesti. I bambini con linfoadenite da micobatteri atipici solitamente hanno però un interessamento unilaterale del linfonodo
sottoangolo–mandibolare o cervicale anteriore e un radiogramma polmonare normale. Nella linfadenite tubercolare, invece, si
riscontrano spesso il coinvolgimento bilaterale dei linfonodi cervicali posteriori e un radiogramma toracico anomalo. Il test cutaneo alla tubercolina, in caso di infezione da micobatteri atipici, è
in genere debolmente positivo (3–15 mm di indurimento).
Terapia
Il trattamento medico (antibiotico) della linfoadenite da micobatteri atipici può essere tentato e si basa su una polichemio–terapia allo scopo di evitare lo sviluppo di resistenza farmacologia.
Raramente è possibile un’asportazione chirurgica completa del
linfonodo affetto: i linfonodi possono essere rimossi quando sono
ancora solidi e capsulati. L’asportazione non è possibile se si è
verificata caseificazione o colliquazione estesa del tessuto circostante; inoltre, in tal caso, è alto il rischio di lesione del nervo faciale.
In questi casi è indicata l’evacuazione, anche ripetuta, del materiale
necrotico con ago–aspirazione o con drenaggio chirurgico.
Figura 10 – Linfoadenite da M. Atipici.
Figura 11 – Linfoadenite da M. Atipici.
44
Capitolo 2
• LINFADENITE DA GRAFFIO DI GATTO
La “malattia da graffio di gatto” o linforeticulosi benigna, è una
linfoadenite regionale preceduta abitualmente da una lesione cutanea provocata nella maggior parte dei casi dal graffio o dal morso di gatto. Descritta per la prima volta più di 50 anni fa, essa è
provocata da un’infezione da Bartonella Henselae.
Epidemiologia
La malattia da graffio di gatto è molto comune, con più di 24.000
casi stimati per anno solo negli Stati Uniti ed un’incidenza maggiore
nei mesi più freddi dell’anno. Colpisce prevalentemente i bambini
(80% dei casi) e i ragazzi prima dei 20 anni di età ed è più comune
nel sesso maschile. La maggior parte dei pazienti (95%) ha avuto
contatti con gatti, spesso gattini con meno di 6 mesi, e più del 50%
ha una storia di morso o graffio felino. Infatti questo mammifero
specialmente quando è cucciolo, presenta una elevata batteriemia
da Bartonella, anche per mesi, pur non mostrano alcun segno di
malattia. La trasmissione all’uomo avviene attraverso soluzioni di
continuo, anche se non si può escludere la trasmissione tramite
punture della pulce del gatto contagiatasi sul felino batteriemico.
Clinica
Dopo un periodo di incubazione di 7–12 giorni nel sito di inoculazione cutanea, si sviluppano una o più papule rosse di 3–5 mm di
diametro con al centro una vescicola, che si trasformano in pustola
e, a volte, in escara spesso riflettendo un graffio lineare di gatto.
A causa delle loro piccole dimensioni spesso non vengono neppure notate, ma con una ricerca accurata si riscontrano in almeno
due terzi dei pazienti. A distanza di 2–3 settimane compare una
linfoadenopatia cronica a carico dei linfonodi tributari dell’area cutanea interessata, che costituisce il principale segno distintivo della
malattia. La linfoadenopatia regionale risulta infatti la più comune
manifestazione dalla malattia da graffio di gatto, presente in più
dell’80% dei casi. Il coinvolgimento di più di un gruppo di linfonodi
si osserva nel 10–20% dei pazienti. I linfonodi si presentano tume-
Patologia Cervico–Toracica
45
fatti (1–5 cm e oltre), mobili, inizialmente non dolenti, ricoperti da
eritema sovrastante ma senza cellulite (fig. 12–13): successivamente, per la comparsa di processi infiammatori perilinfonodali, diventano aderenti ai piani sottostanti e dolenti alla palpazione. Il quadro persiste per diverse settimane e nel 10–40% dei casi si osserva
l’evoluzione colliquativa del linfonodo, con fistolizzazione e fuoriuscita di materiale purulento. Sintomi sistemici come malessere
generale, cefalea, astenia, anoressia e febbre (38–39°C) non sono
sempre presenti. Nel 2–17% dei casi, il quadro clinico è atipico e si
possono configurare vere e proprie sindromi, tra cui ricordiamo la
sindrome oculoghiandolare di Parinaud (congiuntivite, granuloma
congiuntivale unilaterale e linfoadenite preauricolare) e la sindrome bucco–faringea (angina, ascesso e adenopatia laterocervicale).
Diagnosi e diagnosi differenziale
Nella maggior parte dei casi la diagnosi può essere supposta sulla base dei caratteri clinici e del dato anamnestico di esposizione al
gatto. La conferma eziologica si basa su indagini sierologiche: nel
70–90% dei pazienti è possibile documentare con metodi immunoenzimatico o con immunofluorescenza indiretta, la comparsa di anticorpi IgM e IgG contro Bartonella henselae. L’ecografia linfonodale può
evidenziare lesioni granulomatose irregolari, tonde e ipoecogene. Oltre
che verso le neoplasie del sistema linforeticolare, la diagnosi differenzia-
Figura 12 – Linfoadenite da graffio di gatto.
Figura 13 – Ascella sx.
46
Capitolo 2
le va posta principalmente verso la linfadenite piogena, la linfoadenite
da toxoplasma, le forme da micobatteri tubercolari e non–tubercolari
quale il Mycobacterium scrofulaceum e le linfoadeniti sistemiche.
Terapia
Poiché la linfoadenite da graffio di gatto di solito si risolve spontaneamente sia pur lentamente in settimane–mesi, la terapia è di solito sintomatica; il trattamento antibiotico non è di chiaro beneficio. I linfonodi
suppurati che diventano voluminosi, tesi, fluttuanti (colliquati) ed estremamente dolenti dovrebbero essere drenati mediante ago aspirato (fig.
14–15), che può richiedere di essere ripetuto. L’incisione di linfonodi
deve essere invece evitata perché può esitare in un tramite fistoloso
persistente. L’escissione chirurgica dei linfonodi è in alcuni casi necessaria specialmente nelle non forme colliquate o di dubbia diagnosi.
• LINFADENITE DA TOXOPLASMA GONDII
Anche nel quadro della toxoplasmosi acquisita, una parassitosi
ubiquitaria causata dal protozoo Toxoplasma Gondii, riscontriamo
una importante e frequente linfoadenopatia cervicale. La malattia
che può colpire l’uomo, come altri animali, è rara nel soggetto immunocompetente, mentre l’infezione ha una particolare rilevanza
per il soggetto immunodeficiente.
Epidemiologia
La toxoplasmosi è un’antropozoonosi cosmopolita, che colpisce
dal 20 al 70% della popolazione, secondo le aree geografiche. L’in-
Figura 14 – Agoaspirato.
Figura 15 – Materiale sieropurulento.
Patologia Cervico–Toracica
47
fezione, oltre che per via transplacentare, è trasmessa soprattutto
per via orale, mediante l’ingestione di oocisti emesse dal gatto
(ospite definitivo), oppure tramite alimenti crudi o poco cotti, contenenti cisti toxoplasmatiche, presenti in altri animali infetti quali
mammiferi e uccelli (ospiti intermedi). Epidemie di infezioni acute
acquisite possono avere luogo in nuclei familiari che avevano consumato gli stessi cibi infetti. Inoltre, soggetti con deficit immunitario, in particolare in corso di AIDS, possono manifestare e trasmettere la toxoplasmosi, anche se contratta in precedenza, a causa di
una riaccensione endogena dell’infezione latente.
Clinica
L’infezione acquisita (non congenita) da T. gondii è asintomatica
nel 90% dei casi mentre si manifesta nei rimanenti con linfoadenite
a carico di uno o più linfonodi del collo. Essi appaiono modicamente aumentati di volume, scarsamente dolenti e non suppurati.
Il quadro è, a volte, completato da febbre, astenia, cefalea, artromialgie, faringodinia, rash maculopapulare sia palmare che plantare. L’interessamento di altre stazioni linfonodali e la presenza di
splenomegalia e di linfomonocitosi impone la diagnosi differenziale
con i linfomi e le sindromi simil–mononucleosiche virali. Il decorso
è in genere benigno in 6–18 mesi, grave invece nell’infezione connatale e quella acquisita in soggetto immunocompromesso perché
generalmente sistemica. Le rare complicanze, nell’individuo immunocompetente, sono rappresentate dalla corioretinite (1–5% dei
casi) e dalla nevrassite (0.2–0.4% dei casi).
Diagnosi
La diagnosi si basa sull’identificazione in microscopia delle forme
vegetative nei vari materiali biologici (liquor, sangue, liquido amniotico) oppure delle cisti in preparati istologici dei tessuti espiantati. Utili nella pratica clinica sono i vari test diagnostici disponibili
in commercio per la ricerca di antigeni tramite PCR o di anticorpi
IgG e IgM con metodica ELISA o immunofluorescenza specifici del
T. gondii.
48
Capitolo 2
Terapia
La toxoplasmosi linfoghiandolare acuta (acquisita) in soggetti
immunocompetenti non richiede in genere alcun trattamento, che
è invece d’obbligo nelle forme con sintomi gravi e persistenti nei
soggetti immunocompromessi. Il trattamento antibiotico si basa su
pirimetamina, sulfadiazina e folinato.
2.4 Nodulo Tiroideo: diagnosi differenziale
Viene, di solito, definito con il termine di nodulo tiroideo una
formazione di aspetto e dimensioni variabili situata nel contesto della ghiandola tiroide con caratteristiche strutturali diverse
dal restante parenchima, oppure con peculiarità simili, ma parzialmente o completamente distinte dal tessuto circostante. La
presenza di una o più di queste formazioni implica un adeguato
inquadramento diagnostico così da poter precocemente identificare i noduli sospetti per carcinoma da sottoporre ad eventuale
trattamento chirurgico.
Epidemiologia
I noduli tiroidei costituiscono la patologia endocrina di più frequente riscontro in età pediatrica, ed anche se la loro frequenza varia
in funzione dell’area geografica considerata, dell’apporto di iodio e
delle modalità diagnostiche. In linea generale si può affermare che
essi hanno una frequenza dell’1–2% nell’ambito della popolazione
pediatrica ed adolescenziale, con una maggiore diffusione nel sesso
femminile rispetto al maschile. L’incidenza dei noduli tiroidei aumenta in modo lineare per ogni decennio di vita (8–10 anni 10% – 70
anni 60%). Nell’infanzia il nodulo tiroideo deve essere sempre valutato con sospetto, infatti nel 14–40% dei casi sono maligni.
Etiologia e patogenesi
Considerando che noduli tiroidei con significato clinico diverso
hanno etiologia e patogenesi diverse, diventa abbastanza difficile
Patologia Cervico–Toracica
49
generalizzare. Comunque si può affermare che in quasi la totalità
dei casi l’eziologia di un nodulo tiroideo è spesso multifattoriale
e deriva dall’interazione di fattori genetici predisponenti e fattori
ambientali scatenanti. I fattori in grado di predisporre l’insorgenza
di una tumefazione tiroidea sono numerosi e possono agire direttamente sullo sviluppo del nodulo, come accade forme familiari di
carcinoma midollare della tiroide associate alle MEN di tipo 2, o
come accade nei casi di ipersecrezione di TSH, o per via immunitaria, cosa che si verifica nel caso di forme nodulari di tiroiditi autoimmuni. Per quanto riguarda i fattori ambientali di tipo scatenante,
questi sono fondamentalmente tre e comprendono da una parte
la carenza di iodio, la supplementazione di iodio a dosi eccessive
in zone a grave carenza iodica e dall’altra l’esposizione a radiazioni
ionizzanti.
Inquadramento diagnostico
L’inquadramento diagnostico di un nodulo tiroideo inizia con un
approccio di tipo clinico. Si deve infatti, per mezzo dell’anamnesi,
andare ad indagare sull’eventuale familiarità del bambino per patologia tiroidea, sul suo eventuale soggiorno in zone a carenza ionica e
sulla possibilità di esposizione a radiazioni ionizzanti. Devono inoltre
essere ricercati eventuali sintomi di infiltrazione del nervo ricorrente
(disfonia) o sintomi di ipertiroidismo (agitazione, dimagrimento, insonnia). La base essenziale per un corretto inquadramento diagnostico è rappresentata da un attento esame clinico. L’ispezione mira a
valutare la sede della tumefazione e le caratteristiche della cute sovrastante. La palpazione permette di definire il numero, la forma, la
regolarità, le dimensione, e l’eventuale dolorabilità delle formazioni
nodulari. Molto importante durante questa manovra è la ricerca di
una eventuale linfoadenomegalia latero–cervicale, la quale può essere indice di una neoplasia tiroidea già metastatizzata. L’esame clinico viene confermato dall’auscultazione con cui si vanno a ricercare
eventuali soffi sistolici quale indice di un nodulo iperfunzionante o di
una tireotossicosi (è una condizione che non esclude in alcun caso la
presenza di noduli). Dopo l’esame clinico è d’obbligo l’esecuzione
di una ecografia del collo con cui si vanno a ricercare i segni di malignità. Di questi i più importanti sono: presenza di margini irregolari,
50
Capitolo 2
ipoecogenicità, presenza di calcificazioni (le calcificazioni a spruzzo
sono particolarmente indicative di malignità mentre quelle a guscio
d’uovo sono più tipiche di benignità) e il tipo di vascolarizzazione (se
è di tipo periferico le probabilità che si tratti di un nodulo benigno
sono elevate, mentre se è presente anche all’interno del nodulo allora esso deve essere considerato maligno fino a prova contraria). A
questo punto si procede in modo diverso a seconda del sospetto
diagnostico: se si sospetta un nodulo non neoplastico e gli esami
ematochimici sono negativi, allora si procede semplicemente con
il follow up, nel caso dagli esami di laboratorio risulti la presenza di
anticorpi anti–tiroide o comunque la funzionalità tiroidea non risulti
essere normale, allora si procederà con altri esami in grado di identificarne l’attività come la scintigrafia tiroidea. Se, invece, il sospetto
diagnostico è orientato verso una forma neoplastica allora è indicata
l’esecuzione di un agoaspirato con cui sarà possibile, almeno nella
maggior parte dei casi, definirne con esattezza la natura.
2.5 Carcinoma differenziato della tiroide
Con il termine di “carcinoma differenziato della tiroide” (CDT) si
intende un gruppo estremamente eterogeneo di neoplasie a carico della ghiandola tiroidea le quali comprendono:
–
–
–
–
Carcinoma papillare ben differenziato
NAS e varianti
Carcinoma follicolare capsulato (minimamente invasivo)
Carcinomi poco differenziati
Nonostante queste siano neoplasie istologicamente diverse e
differenziabili, esse sono tutte accumunate dal derivare dall’epitelio follicolare della tiroide e, soprattutto, dall’avere caratteristiche
prognostiche comuni (overall survival nei bambini del 100%).
Epidemiologia
Da un punto di vista prettamente epidemiologico possiamo affermare che i carcinomi differenziati della tiroide sono neoplasie
Patologia Cervico–Toracica
51
abbastanza rare nella popolazione pediatrica, andando a costituire
solo l’1.4–3% di tutti i carcinomi nei bambini. Il tasso d’incidenza è
compreso tra lo 0.2–0.4 per milione di bambini l’anno senza differenza fra i paesi europei ed extraeuropei. Il disastro di Chernobyl
ha aumentato il rischio relativo di carcinoma papillare nei bambini
dell’Ucraina e della Bielorussia di circa 62 volte.
Istologia
In età pediatrica oltre il 95% dei carcinomi differenziati della tiroide (CDT) è costituito da carcinomi papillari ben differenziati mentre
il rimanente 5% è formato da carcinomi follicolari capsulati (minimamente invasivi) e carcinomi poco differenziati. Praticamente inesistenti a questa età sono i carcinomi indifferenziati e il carcinoma
follicolare invasivo.
Clinica e diagnosi
Anche se il quadro clinico d’esordio di un carcinoma tiroideo
può variare in funzione del tipo istologico e quindi in funzione
della velocità di accrescimento e di metastatizzazione a distanza,
i segni d’esordio più frequenti sono la comparsa di una tumefazione tiroidea, a nodulo unico o multinodulare, e in alcuni casi
(5% dei pazienti) di adenopatia cervicale isolata. I carcinomi indifferenziati, considerata la loro rapida velocità di crescita, possono
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C. Spinelli. Ca. di derivazione follicolare della tiroide in età pediatrica. Linee guida TREP, 2007.
52
Capitolo 2
esordire con una sintomatologia da compressione o infiltrazione delle strutture circostanti come accade, ad esempio, per la
comparsa di dispnea da compressione tracheale, di disfonia per
infiltrazione del nervo laringeo e disfagia da compressione dell’esofago. Nei carcinomi follicolari, invece, data la rapida velocità
di metastatizzazione, i sintomi d’esordio possono essere legati
alla presenza di metastasi ossee, associate a dolore osseo, e polmonari, associate a dispnea. Bisogna sottolineare che per ragioni
non ancora conosciute i CDT del bambino sono caratterizzati da
un’alta invasività sia locale che a distanza, tanto che, al momento
della diagnosi, abbiamo un’alta incidenza di invasione dei tessuti
molli del collo, di metastasi linfonodali cervicali, di metastasi a
distanza e di invasione vascolare (30% dei casi). La presenza di
microfocolai neoplastici multipli sia nel lobo omolaterale che controlaterale rispetto alla massa neoplastica è quasi la regola. Nonostante questo dato e nonostante che la ripresa della malattia
sia più frequente di quanto accade nell’adulto, nei carcinomi differenziati della tiroide, nella popolazione pediatrica, la prognosi è
ottima con una overall survival del 100%. L’iter diagnostico di una
presunta neoplasia tiroidea inizia con l’esecuzione di un ecografia
cervicale e di un agoaspirato, procede con un Rx o Tac torace per
la ricerca di eventuali metastasi.
Terapia
L’intervento chirurgico e la terapia ormonale soppressiva costituiscono, nei bambini così come negli adulti, i cardini della strategia
terapeutica dei carcinomi differenziati della tiroide. Quale sia l’ottimale estensione della resezione chirurgica del CDT nei bambini è
ancora oggi controversa. Può essere eseguita, in rapporto al basso
o alto rischio di malattia, una emitireoidectomia od una tiroidectomia totale open o video assistita associata o meno a linfoadenectomia cervicale, se vi è un reperto clinico e/o ecografico di metastasi
linfonodali. Dopo l’asportazione chirurgica della neoplasia è indicata per tutti i pazienti la terapia TSH soppressiva con levo–tiroxina
in quanto previene le recidive ed è in grado di controllare le metastasi linfonodali e a distanza. Nel caso di tiroidectomia è prevista
la valutazione di un eventuale residuo tiroideo metabolicamente
Patologia Cervico–Toracica
53
attivo e la sua eradicazione tramite terapia radio–metabolica. Il follow–up prevede la valutazione clinica del collo, l’esecuzione di esame ecografico, di Rx del torace, il dosaggio degli ormoni tiroidei e
della tireoglobulina. (C. Spinelli et al. Minimally invasive video–assisted thyroidectomy in pediatric patients, J Ped Surg 2008; C. Spinelli et al. Treatment of sporadic nonmedullary thyroid carcinomas
in pediatric age, Expert Rev Anticancer Ther 2007; C. Spinelli et al.
Surgical therapy of the thyroid papillary carcinoma in children, J
Ped Surg 2004).
2.6 Carcinoma midollare della tiroide e MEN
Il carcinoma midollare della tiroide (CMT), nel bambino, trae origine dalle cellule parafollicolari della tiroide (o cellule C) le quali
sono fisiologicamente deputate alla secrezione della calcitonina e
di altri ormoni di minore rilevanza clinica come ACTH, CEA, VIP.
Tale neoplasia si può presentare in forma sporadica, generalmente
negli adulti, o in forma eredo–familiare, più frequentemente nei
bambini e negli adolescenti. Quest’ultima forma di presentazione
può essere in associazione ad altre patologie così da costituire le
sindromi cliniche MEN 2A (65%) e MEN 2B (25%) o essere isolata
come nel carcinoma tiroideo familiare (FMTC) (10%).
Epidemiologia
Il carcinoma midollare è un raro tumore della tiroide. La sua incidenza varia dal 3 al 10% di tutte le patologie maligne tiroidee.
In Italia si calcola che siano stati
diagnosticati ad oggi circa 600
casi di CMT associato a sindromi
MEN con un’incidenza di 1 caso
ogni 10 mila abitanti. Il tasso di
incidenza è simile in ambedue
i sessi e non si ha un’influenza
geografica, razziale o etnica,
ma solo predisposizione genetica.
54
Capitolo 2
Anatomia e fisiologia della cellula C
Le cellule C, nell’uomo, sono localizzate all’interno della tiroide in modo non disordinato ma concentrate prevalentemente nella porzione superiore di entrambi i lobi. Fisiologicamente
le cellule parafollicolari sono deputate alla secrezione di calcitonina, il cui ruolo è quello di inibire il riassorbimento osseo
attraverso la stimolazione degli osteoclasti. Altri recettori della
calcitonina sono stati identificati a livello renale e cerebrale, in
quest’ultima sede sembrerebbe svolgere un ruolo nella modulazione del dolore. In condizioni fisiologiche la secrezione ed il
rilascio in circolo dell’ormone vengono regolate dalla concentrazione del calcio extracellulare. La pentagastrina rappresenta
un’altra sostanza capace di stimolare il rilascio della calcitonina
tanto da assumere un ruolo rilevante nella diagnostica della patologia delle cellule C.
Eziologia e patogenesi
È stato recentemente dimostrato che il carcinoma midollare
della tiroide sia in forma isolata che nell’ambito delle MEN, è
una patologia geneticamente determinata la quale si trasmette
come carattere autosomico dominante a penetranza vicina al
100%. Lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare ha permesso di identificare il gene responsabile delle sindromi MEN e
del FMTC nel protoncogene RET. Esso codifica il recettore tiroxina–chinasi, espresso nelle cellule derivate dalla cresta neurale, che regola la crescita, la differenziazione, la sopravvivenza e
la morte cellulare. Le mutazioni che si producono nella MEN 2A
e nel FMTC, consistono in sostituzioni di sei aminoacidi cisteinici nel dominio extracellulare del gene RET; inoltre le mutazioni
nelle MEN2B riguardano la metionina localizzata in posizione
918 del dominio tirosino–chinasi. Mutazioni del protoncogene
RET sono responsabili anche di un’altra importante patologia in
ambito pediatrico: il morbo di Hirschprung familiare caratterizzato da assenza di gangli autonomici del plesso parasimpatico
del colon.
Patologia Cervico–Toracica
55
Clinica
Carcinoma midollare sporadico: Clinicamente si presenta sotto
forma di un nodulo tiroideo indolente e fisso sui piani sottostanti
scintigraficamente freddo, in più del 50% dei casi si ritrova associato ad un impegno linfonodale e risulta difficilmente differenziabile
da noduli tiroidei di altra natura. Metastasi a distanza, soprattutto
a fegato, polmone ed ossa possono essere presenti in una percentuale variabile dal 15 al 25% dei casi. L’eccessiva produzione di calcitonina o di prostaglandine da parte della neoplasia può indurre in
alcuni pazienti una alterazione dell’alvo con diarrea profusa.
Carcinoma midollare ereditario:
(C. Spinelli et al. The role of RET codonic mutation in the surgical management of medullary thyroid in MEN2 Syndrome. Eur. Cong. Ped. Surg. Torino, 2007).
• MEN 2A
È una sindrome eredo–familiare caratterizzata da CMT, che si presenta nella quasi totalità dei casi. Esso può essere associato a feocromocitoma e/o adenoma delle paratiroidi (sindrome di Sipple).
a) Carcinoma midollare: Il CMT si sviluppa nel contesto di una
iperplasia delle cellule C, all’inizio focale e successivamente
diffusa. Essa comincia a svilupparsi già nel primo decennio di
vita. La titolazione della calcitonina rappresenta il mezzo dia-
56
Capitolo 2
gnostico migliore per identificare i pazienti affetti sia da CMT
che da iperplasia delle cellule C. Un dubbio diagnostico può
sorgere per quel gruppo di pazienti affetti da CMT che presentano valori basali di calcitonina nella norma, per cui devono essere sottoposti a test di stimolo alla pentagastrina. Esso
consiste nel somministrare 0.5mg/Kg di sostanza in bolo e.v.
e successivamente nel dosare la calcitonina plasmatici dopo
2 e 5 minuti. In condizioni fisiologiche la calcitonina è più elevata nell’uomo rispetto alla donna e non supera mai il range
normale nemmeno dopo stimolo. Livelli elevati di calcitonina
già in condizioni basali fanno porre fortemente il sospetto di
patologia per cui è d’obbligo la tiroidectomia, mentre valori
normali in condizioni basali ma al di sopra del range dopo lo
stimolo in due test diversi devono essere considerati come
indicativi di patologia in atto e pertanto si richiede anche in
questo caso l’intervento chirurgico. Un test di più recente
introduzione è quello che sfrutta il dosaggio della catacalcina, un peptide cosecreto con la calcitonina dai soggetti che
presentano patologia tiroidea. Le tecniche di imaging come
l’ecografia o la TC non hanno una reale importanza nella diagnosi precoce delle MEN, ma possono essere utili per la valutazione dell’interessamento linfoghiandolare.
b) Iperparatiroidismo: Si osserva nel contesto delle MEN 2A con
una frequenza variabile dal 10 al 25% dei casi. L’età di manifestazione è più tardiva rispetto al CMT, infatti raramente insorge prima dei trenta anni di età. La presentazione clinica non si
discosta da quella dell’iperparatiroidismo da adenoma delle
paratiroidi sporadico, con ipercalcemia, ipercalciuria, nefrolitiasi e alterazioni ossee. La presenza di ipercalcemia con elevati livelli di paratormone permette di formulare la diagnosi.
c) Feocromocitoma: Questa tumore, di derivazione della midollare del surrene, è presente in circa la metà dei pazienti con
MEN 2A e nel 50% dei casi è bilaterale. I sintomi di esordio
della malattia sono generalmente: agitazione, cefalea, palpitazioni ed ansietà. All’inizio della malattia l’ipertensione arteriosa può essere moderata o addirittura assente, questo forse
per il prevalere del tono beta–adrenergico causato dall’aumento di adrenalina in circolo. In questa prima fase l’altera-
Patologia Cervico–Toracica
57
zione biochimica più evidente è un modesto aumento della
adrenalina urinaria delle 24 ore, con un rapporto adrenalina/
noradrenalina elevato.
La diagnosi si basa sul dosaggio di diverse sostanze come
l’acido vanilmandelico, le metanefrine e le catecolamine urinarie. Le tecniche di imaging non sono utili nelle prime fasi
della malattia in quanto le ghiandole iperplastiche sono difficilmente distinguibili da quelle normali, per cui la TC, l’ecografia e la RM ci permettono solo di confermare la diagnosi di
sede del feocromocitoma e la sua eventuale multilocalizzazione. La scintigrafia con I131MIBG appare al contrario estremamente utile in quanto l’accumulo di materiale radioattivo in
sede intra ed extrasurrenale può permettere l’identificazione
del tessuto patologico molto più precocemente di qualsiasi
tecnica di diagnostica per immagini. Il feocromocitoma associato a MEN è nella maggior parte dei casi benigno. Solo nelle fasi più avanzate possiamo avere un’invasione della capsula
surrenalica, assai più rara è la possibilità di metastasi intraperitoneali.
• MEN 2B
La sindrome MEN 2B comprende il carcinoma midollare della
tiroide, la cui aggressività è molto superiore a quella delle MEN 2A,
associato a feocromocitoma, a ganglioneuromatosi, a neurinomi
della mucosa, ad anomalie scheletriche ed habitus marfanoide.
a) Neurinomi mucosi: I neurinomi mucosi sono piccole neoplasie
benigne nei nervi periferici localizzati a livello delle mucose
della lingua, della palpebra e della congiuntiva.
b) Ganglioneuromatosi: La ganglioneuromatosi interessa tutto il
tratto gastroenterico e clinicamente si manifesta con una sintomatologia estremamente impegnativa per i piccoli pazienti
caratterizzata da dolori colici crampiformi, sintomi ostruttivi
e diarrea. L’addome diventa protruso ed a questo punto si
impone la diagnosi differenziale con altre malattie tipiche dell’età pediatrica come l’Hirschprung, soprattutto se la ganglioneuromatosi interessa il tratto colico.
58
Capitolo 2
Tabella 1 – Algoritmo diagnostico terapeutico.
C. Spinelli. Carcinoma midollare della tiroide sporadico e familiare in età pediatrica. Linee
guide TREP, 2007.
Patologia Cervico–Toracica
59
Tabella 2 – Mutazioni codoniche di RET, livelli di aggressività biologica e corrispondente
timing chirurgico.
Livello 1
Livello 2
Livello 3
Codoni mutati
609, 768, 790, 791,
804, 891
611, 618, 620, 634
883, 918, 922
Variante MEN
MEN 2A/FMTC
MEN 2A/FMTC
MEN 2B
Aggressività del CMT
bassa
intermedia
elevata
entro i 5 anni
(o prima)
entro i primi
6 mesi di vita,
meglio entro il
primo mese
Timing chirurgico
prima dei 5 anni/
tra i 5 e i 10 anni/
al primo pCT +
Tabella 3 – Follow–up post–operatorio.
60
Capitolo 2
c) Habitus marfanoide: Questi pazienti mostrano inoltre un habitus marfanoide, infatti sono individui alti, magri, con petto
escavato, aracnodattilia e presentano deformità scheletriche
con un alterato rapporto tra la parte superiore e l’inferiore del
corpo. Tuttavia rispetto alla vera sindrome di Marfan non sono
presenti alterazioni a carico dell’apparato cardiovascolare. A
causa di questo particolare fenotipo la diagnosi solitamente
avviene nei primi anni di vita.
d) Carcinoma midollare della tiroide: Il carcinoma midollare della
tiroide si presenta nel contesto di questa sindrome in maniera
estremamente aggressiva ed è quasi la regola ritrovare già alla
diagnosi, in età precoce (spesso prima dei 10 anni), una multicentricità ed un importante impegno metastatico linfonodale.
I pazienti affetti da questa forma di CMT possono avere un
exitus in età precoce (difficilmente la sopravvivenza è superiore
ai 20 anni) per le metastasi a distanza localizzate in particolare
al fegato, al polmone ed alle ossa. Per i motivi sopra elencati il
trattamento chirurgico deve essere il più precoce possibile.
e) Feocromocitoma: Il feocromocitoma è presente in circa il 50%
dei pazienti e pur mostrando caratteristiche simili a quello
presente nelle MEN 2A è spesso bilaterale.
2.7 Lipoblastoma e Lipoblastomatosi
Il lipoblastoma è un raro tumore benigno il quale ha origine
dal tessuto adiposo bianco embrionale–fetale. Se il tumore è
unico allora si parla semplicemente di lipoblastoma se, invece,
sono multipli, dando così origine ad una forma diffusa, si parla
di lipoblastomatosi.
Epidemiologia
I lipoblastomi sono tumori estremamente rari nell’ambito della popolazione pediatrica con un’incidenza di 1 caso su 1000
bambini l’anno. Essi tendono a presentarsi maggiormente nei
maschi che nelle femmine (M:F=3:1) ed insorgono nel 40% dei
casi entro il primo anno d’età e nel 90% dei casi entro il quarto
Patologia Cervico–Toracica
61
anno. Le sedi più comuni di insorgenza comprendono: collo, tronco, mediastino, retroperitoneo e molto più raramente la pleura ed
il parenchima polmonare.
Embriologia e patogenesi
La comparsa di un lipoblastoma o della condizione di lipoblastomatosi è la conseguenza di un’anomalia di sviluppo del tessuto adiposo a causa della quale i lipoblasti continuano a proliferare
anche nella vita post natale. Essa sembra essere la conseguenza
del riarrangiamento della regione 8q11–13 comprendente l’oncogene PLAG1 con sua conseguente iperespressione.
Anatomia patologica
Da un punto di vista anatomo–patologico il lipoblastoma è una
formazione tumorale ben circoscritta, capsulata e localizzata. Al
taglio il tessuto appare più chiaro di quello del comune lipoma
ed assume un aspetto mixoide e gelatinoso. Microscopicamente
si possono identificare lobuli di tessuto adiposo separati da setti
fibrosi i quali contengono adipociti differenziati localizzati nella
porzione più centrale dei lobuli, cellule mesenchimali primitive,
abbondante matrice mixoide ed una rete capillare plessiforme.
Sintomatologia
Nella maggior parte dei casi i lipoblastomi e la lipoblastomatosi sono delle condizioni completamente asintomatiche. Esse si
presentano come delle tumefazione o dei noduli indolenti che
tendono ad accrescersi lentamente. Le forme circoscritte hanno
margini netti e ben definiti mentre le forme diffuse, a collocazione di solito più profonda e quindi più difficilmente palpabili
tendono ad avere dei margini mal definiti e una superficie irregolare. In alcuni casi può essere presente una sintomatologia la
quale non è in relazione al tipo di neoformazione, ma in relazione alla sua sede ed alle sue dimensioni; un lipoblastoma a livello
della testa e del collo può essere causa di ostruzione delle vie
aeree con conseguente insufficienza respiratoria.
62
Capitolo 2
Diagnosi
La diagnosi di lipoblastoma e della lipoblastomatosi deriva
dall’integrazione dell’obiettività clinica con le tecniche di imaging e l’esame istologico. Attraverso l’impiego di esami quali
l’ecografia, la TC e la RMN si può arrivare a definire con precisione le dimensioni della massa ed i suoi rapporti con le strutture
circostanti, ma non è possibile fare la diagnosi differenziale tra
questi ed i lipomi od i liposarcomi. Essa è possibile solo mediante l’esame istologico.
Terapia
La terapia di queste due forme consiste nella radicale asportazione chirurgica (Fig. 16).
Figura 16 – Lipoblastoma parete toracica. C. Spinelli at al. A thoracic wall lipoblastoma
in a 3 month–old infant. J Pediatric Hematol Oncol, 2006.
Capitolo 3
EMANGIOMI E MALFORMAZIONI
VASCOLARI
Le anomalie vascolari sono caratterizzate da alterazioni morfo–strutturali e/o funzionali di varia natura, gravità ed estensione
che possono interessare ogni tipo di vaso, ematico e linfatico, di
qualunque distretto anatomico. A dispetto della loro incidenza
ancora oggi queste patologie sembrano essere poco conosciute, di conseguenza, spesso, vengono diagnosticate tardivamente
ed etichettate impropriamente con nomenclature superate che
sono per lo più retaggio dell’immaginario popolare (voglia a fragola, macchia a vino di Porto, bacio della cicogna o dell’angelo) oppure etichettate con terminologie cliniche che però poco
hanno a che vedere con il reale substrato anatomo–patologico
(angioma tuberoso, cavernoso, cirsoide) o con eponimi di valore più che altro storico (Sindrome di Klippel–Tranaunay, Sturge–Weber). Le anomalie vascolari, costituiscono un problema di
grande rilevanza medica e sociale, anche perché si tratta spesso
di patologie invalidanti che si manifestano in età pediatrica o
giovanile. La loro eziopatogenesi è su base genetica multifattoriale e, in relazione a questa, sono in corso studi genetici atti a
valutare il ruolo di anomalie cromosomiche sulla alterazione dei
fattori angiogenetici che regolano lo sviluppo dei vasi nel corso
dell’embriogenesi. L’incidenza globale delle malformazioni vascolari non è nota, ma ha manifestato la tendenza ad un graduale
aumento negli ultimi dieci anni. Nella maggioranza dei casi, si
tratta di forme sporadiche che si manifestano in soggetti con
anamnesi familiare negativa. Sono note tuttavia forme ereditarie
con interessamento di diversi membri della stessa famiglia in più
generazioni successive.
63
64
Capitolo 3
Classificazione
La classificazione delle anomalie vascolari è ancora oggi fonte di notevole controversie e difficoltà a causa della eterogeneità
delle lesioni e della confusione terminologica generata in passato.
Un corretto inquadramento di queste anomalie è indispensabile
per un razionale percorso diagnostico e terapeutico. Le anomalie vascolari vengono classificate in Tumori vascolari (emangiomi)
e Malformazioni vascolari propriamente dette (capillari, venose,
artero–venose e linfatiche oltre a quelle complesse e combinate).
Alla base di tale classificazione vi era stata la ricerca fondamentale
di Mulliken e Glowacki pubblicata nel 1982 sulle differenti caratteristiche citologiche ed evolutive degli emangiomi nei confronti
delle malformazioni vascolari.
Grazie a tecniche istochimiche sulla cinetica cellulare è stato dimostrato che gli emangiomi, sono caratterizzati da una accelerata
angiogenesi e conseguente formazione di neocanali vascolari costituiti da capillari e sinusoidi a contenuto ematico ad alto flusso. Dopo
una fase proliferativa gli emangiomi quasi costantemente vanno incontro ad una involuzione spontanea, fase che può perdurare per
diversi anni prima di completarsi, lasciando esiti più o meno vistosi.
Le malformazioni vascolari propriamente dette invece, crescono in
modo proporzionale alla crescita corporea. Tale crescita in certi casi
è modulata da eventi traumatici o fattori ormonali.
Emangiomi e malformazioni vascolari
65
3.1 Emangiomi
Gli emangiomi sono neoplasie benigne dell’endotelio capillare che
si manifestano in 1/3 dei casi alla nascita e nei 2/3 dei casi entro le prime settimane di vita. Essi presentano una prima fase di intensa proliferazione nei primi mesi di vita ed una seconda di graduale regressione
spontanea nell’arco di alcuni anni. Il 90% dei bambini presenta infatti
una completa “restitutio ad integrum” intorno ai 9–10 anni.
Epidemiologia
Risultano essere i tumori benigni più comuni nell’età pediatrica, essendo riscontrati nel 10–12% dei neonati ed in percentuali ancora più
alte nei prematuri (fino al 30%). Si osserva una marcata prevalenza nel
sesso femminile (F:M=3:1) ed una propensione per la razza bianca.
Circa il 60% degli emangiomi interessa testa e collo e la distribuzione
probabilmente è in rapporto con le linee di fusione e con i metameri
faciali, mentre nel 25% dei casi sono localizzati al tronco e nel 15% alle
estremità.
Classificazione
Gli emangiomi possono essere classificati in base ad un criterio di
classificazione anatomo–patologico ed ad uno clinico.
In base al primo criterio di classificazione (anatomo–patologico)
si possono identificare tre diverse forme di emangiomi le quali comprendono:
– forme sottocutanee: caratterizzate da uno sviluppo prevalentemente tangenziale nello spessore dei tegumenti.
– forme tuberose: in cui si osserva una crescita esofitica in rilievo
rispetto al piano cutaneo: masse vegetanti, di forma variabile, a
superficie liscia o mammellonata.
– forme miste: in cui si riscontra sia una componente ipodermica
che una componente tuberosa superficiale.
In base al criterio di classificazione clinico si possono identificare
tre diverse tipologie di emangiomi:
66
Capitolo 3
– Emangiomi superficiali o capillari che si presentano clinicamente con l’aspetto caratteristico “a fragola”, sono generalmente normali o di colorito rosso lucido alla nascita. Entro
i primi mesi di vita si assiste ad un notevole sviluppo vascolare che determina la comparsa di una colorazione rosso
vivo ed una netta rilevanza rispetto alla superficie cutanea
circostante.
– Emangiomi profondi o cavernosi che si presentano come tumori ricoperti di cute normale, pertanto la diagnosi è affidata
agli US. I vasi che includono questi emangiomi sono localizzati in profondità rispetto alla superficie cutanea ed appaiono
di colorito bluastro.
– Emangiomi misti quando si presenta un emangioma superficiale associato ad uno profondo. In questo caso vengono
interessati il derma ed il sottocute e la lesione è caratterizzata
da aspetti clinici sia dell’una che dell’altra.
Clinica
Un emangioma di regola si sviluppa come una lesione cutanea piana (sotto forma di chiazza teleangectasica o bluastra)
che inizia il proprio ciclo evolutivo dopo qualche settimana dalla nascita. Si possono individuare in questo ciclo tre fasi fondamentali: la prima fase proliferativa si esaurisce di regola poco
dopo i primi 12 mesi, la seconda fase, involutiva, è più lenta
e variabile, protraendosi in alcuni casi fino a 6–7 anni, la terza
fase è quella degli esiti caratterizzati dalla presenza di tessuto
fibro–adiposo, aree di cute teleangectasica o ipopigmentata o
Storia naturale
Fase proliferativa: periodo di rapida crescita da
8 a 12 mesi
emangiomi superficiali: raggiungono la massima
dimensione entro 8 mesi dalla nascita
emangiomi profondi: continuano a crescere fi no a 2
anni
Fase regressiva: processo di regressione lento da
1 a 5 anni per un meccanismo di apoptosi
cellulare con sostituzione fi bro-adiposa
la fi ne dell’ involuzione avviene nel 30% dei casi entro
5 anni, nel 70% dei casi oltre 7 anni
L o c a li z z a z io n e
Distr e t t o ce r vic o-f a c ia le : viso, cu oio ca p e llut o, m uc osa
n a sa le , or of a r inge a ( 6 0 %)
T r onc o ( 2 5%)
Ar t i ( 1 5%)
8 0 % solit a r i
Emangiomi e malformazioni vascolari
67
atrofica. Durante la fase proliferativa alcuni indicatori ematici testimoniano l’accelerata angiogenesi: basic fibroblast growth factor
(bFGF) e vascular endothelial growth factor (VEGF), proliferatine
cells nuclear antigen (PCNA) e la collagenasi di tipo IV. È raro che
gli emangiomi siano già presenti al momento della nascita (si parla di emangiomi congeniti che attualmente sono distinti in 2 tipi:
RICH “E.C. rapidamente involutivi”che regrediscono nel giro di
qualche mese massimo entro l’anno e NICH “E.C. non involutivi”
il cui volume resta stabile nel tempo e tendono a crescere con il
bambino). In tal caso possono essere diagnosticati con l’ECO fetale. Per gli emangiomi congeniti la fase proliferativa si esaurisce di
regola nel grembo materno: anche gli angiomi più voluminosi andranno perciò incontro a regressione nel giro di qualche settimana
o qualche mese dopo la nascita. Di solito quelli cutanei compaiono
Figura 1,2,3,4 – Involuzione spontanea di un emangioma periorbitario.
68
Capitolo 3
nelle prime due settimane di vita, quelli sottocutanei o viscerali si
manifestano, in genere, dopo il 2º o 3º mese. Essi raggiungono
un plateau di crescita fino all’età di un anno, successivamente tendono alla regressione che può proseguire fino all’età di 5–10 anni
(Fig. 1–4).
Anche se nella maggior parte dei casi, gli emangiomi vanno
incontro ad una completa restituito ad integrum, in alcuni casi
possono presentare complicanze più o meno gravi, soprattutto in
relazione alla loro localizzazione, alla loro dimensione e alle loro
caratteristiche anatomo–patologiche. Gli emangiomi in sede laringea o sottoglottica, possono determinare ostruzione delle vie
aeree e si associano frequentemente ad emangiomi del volto nella
zona sovra–sotto mandibolare; quelli in sede periorbitale, alterazioni visive come ambliopia, emianopsia ed astigmatismo; quelli
localizzati a livello del canale uditivo esterno possono determinare
disturbi dell’udito, quelli della regione anorettale hanno una spiccata tendenza all’ulcerazione e possono inoltre essere causa di
sanguinamento, infezione, dolore e dermatite. Nelle forme giganti
a rapido accrescimento multifocali, può manifestarsi una porpora
trombocitopenica: si configura in tali casi la cosiddetta sindrome
di Kasabach–Merrit, caratterizzata da una grave diatesi emorragica
ed anemia emolitica. Infine i grandi emangiomi facciali possono
rientrare nella Sindrome P.H.A.C.E., acronimo proposto da Frieden e coll. che indica una rara e devastate sindrome neonatale
caratterizzata da malformazione encefalica della fossa posteriore,
emangiomi estesi del volto, anomalie arteriose e carotidee extra
e intracraniche e/o aortiche (coartazione) e anomalie oculari (microftalmo, cataratta congenita ed ipoplasia del nervo ottico); può
essere associata alla sindrome di Dandy–Walker (espansione cistica del IV ventricolo, disgenesia cerebellare, atresia del forame
di Magendie con idrocefalo e macrocrania), talora è associata ad
emangiomi intracranici. La presenza di emangiomi della regione
temporomandibolare e/o oculari deve far sospettare una PHACE,
in tal caso è d’obbligo uno studio RM cerebrale e angio–RM per la
visione contrastografica dell’aorta e dei vasi epi–aortici. L’
L’emangiomatosi multipla neonatale, caratterizzata da una disseminazione di
piccoli angiomi evidenti su tutta la superficie cutanea, solitamente
si associa a interessamento epatico, o encefalico, polmonare, inte-
Emangiomi e malformazioni vascolari
69
stinale ed è a rischio di complicanze emorragiche gravi viscerali e/o
scompenso cardiaco.
Diagnosi
La diagnosi degli emangiomi è quasi sempre clinica, basandosi
sulle caratteristiche semeiologiche e soprattutto sulla storia naturale della lesione. Il Doppler e l’Eco–Doppler sono esami comunque
utili nei casi in cui occorra differenziare una tumefazione angiomatosa da una malformazione venosa o da un linfangioma.
Gli esami angiografici non aggiungono nulla, mentre il ricorso
alla RM è raccomandabile negli emangiomi più problematici come
quelli laringei che possono interferire con la funzione respiratoria o
quelli epatici che, per il loro volume ed il conseguente shunt, possono causare un sovraccarico cardiaco. Gli emangiomi congeniti, i
soli identificabili nel feto, rappresentano una percentuale minima
degli emangiomi che, com’è noto, si sviluppano durante le prime
settimane di vita. La diagnosi prenatale (a partire dal 2º trimestre)
si basa in prima battuta sulle tecniche ecografiche ed in seconda
istanza sulla RMN. L’Eco–Color Doppler è l’indagine di diagnostica strumentale non invasiva di più rapida e semplice esecuzione
in pazienti portatori di angiomi e malformazioni vascolari. I dati
ottenuti dall’indagine Eco–Color Doppler risultano fondamentali
sia per la pianificazione di ulteriori indagini diagnostiche di approfondimento, anche invasive, che per l’anticipazione del successivo
programma terapeutico.
70
Capitolo 3
Trattamento
Data la naturale tendenza all’involuzione, la grande maggioranza degli emangiomi non necessita alcuna terapia. Questo atteggiamento conservativo richiede numerose deroghe: in caso di emangiomi in rapida crescita (che raggiungano diametri superiori a 3
cm) e, indipendentemente dalle dimensioni, in caso di emangiomi
localizzati in sedi critiche tali da ostacolare determinate funzioni.
La terapia corticosteroidea per os rappresenta nella maggior parte dei casi la prima linea terapeutica e si è dimostrata efficace in
una percentuale valutabile tra il
30 e il 40%. La dose iniziale è
di 2–3mg/kg di Prednisone–Prednisolone per una settimana in
una singola dose al die e i primi risultati si possono osservare
gia dopo 2–3 settimane di trattamento dopo di che, in caso
di risposta positiva, si puo diminuire gradualmente la dose.
Un temporaneo arresto della
crescita corporea rappresenta il
più comune effetto collaterale
Figura 6 – Emangioma.
(non del tutto trascurabile) di
Figura 5 – Bambino 5 mesi con emangioma del dorso.
Figura 7 – Bambino 6 anni. Emangioma
della lingua.
Emangiomi e malformazioni vascolari
71
questo tipo di terapia. Più raramente si verificano altri effetti iatrogeni quali alterazioni ossee, aspetti cushingoidi ed infezioni. La terapia cortisonica intralesionale è una valida alternativa alla terapia
sistemica per os ed è, secondo alcuni autori, più efficace e meno
esposta ad effetti collaterali e complicanze; è soprattutto indicata
negli emangiomi localizzati e piu piccoli (meno di 5 cm2). L’infiltrazione viene praticata in diversi punti della massa angiomatosa con
Triamcinolone (alle dosi di 1–3 mg/Kg) attraverso un sottile ago
(30 G). Il trattamento può essere ripetuto dopo 4–6 settimane ed
essere associato ad un trattamento di fotocoagulazione mediante un dye–laser pulsato; anche se l’effetto di fotocoagulazione si
estrinseca solo sui vasi piu superficiali e quindi questo trattamento
potrebbe essere indicato nelle fasi prodromiche dello sviluppo dell’emangioma (quando l’aspetto è quello di una macchia superficiale) mentre è poco efficace negli emangiomi piu profondi e spessi
perché la componente più profonda può continuare a proliferare.
Figura 8 – Emangioma della lingua: intervento chirurgico.
72
Capitolo 3
Per gli emangiomi giganti che non rispondono alla terapia cortisonica per os o per infiltrazione, si ricorre all’interferone a 2A (potente inibitore dell’angiogenesi) alle dosi di 2–3 milioni di U/mq
di superficie corporea; la risposta è dell’ordine del 90% e i primi
risultati si vedono gia dopo 2–12 settimane, ma anche questo trattamento comporta effetti secondari come stato febbrile, mialgie
ma anche aumento degli enzimi epatici, neutropenia e trombocitopenia ma soprattutto nel 10–30% dei casi si è vista la comparsa di
una diplegia spastica e ritardo dello sviluppo motorio. L’escissione
chirurgica resta infine la soluzione più semplice e radicale per molti
emangiomi: 1. Quelli che dimostrano scarsa tendenza all’involuzione naturale, 2. Quelli a base di impianto peduncolata in sedi
esposte e facilmente asportabili, (figura 5–8) 3. Quelli per i quali
a causa delle dimensioni si possa prevedere comunque un vistoso
esito cicatriziale.
3.2 Malformazioni vascolari propriamente dette
• MALFORMAZIONI CAPILLARI
Le malformazioni capillari, sono angiodisplasie caratterizzate dalla presenza, nel derma, di una fitta rete di capillari abnormemente e permanentemente dilatati. Sono note con il vecchio nome di
angiomi piani ”a macchia di vino”. Essendo delle malformazioni, a
differenza degli emangiomi, non regrediscono spontaneamente, ma
permangono. Subiscono un progressivo aumento di dimensioni, in
misura proporzionale all’accrescimento del segmento corporeo interessato. Le sedi anatomiche più spesso coinvolte sono il capo e gli
arti superiori e inferiori, ma tali malformazioni sono potenzialmente
ubiquitarie. Si distinguono forme unifocali e multifocali. Le dimensioni sono estremamente variabili, da forme localizzate fino a forme
giganti con interessamento di un intero emisoma.
Clinica
All’esame clinico, le malformazioni capillari si presentano come
chiazze cutanee di colorito roseo o rosso–violaceo, a margini netti o
Emangiomi e malformazioni vascolari
73
frastagliati, generalmente non rilevate, di dimensioni ed estensione
estremamente variabili, isolate o multiple e confluenti. All’interno
della chiazza è possibile notare la presenza di strie teleangectasiche, costituite da capillari di calibro maggiore. Nelle forme miste
capillaro–venose, si osservano vene anomale a morfologia reticolare che drenano la malformazione capillare. Una caratteristica
anatomo–clinica comune a tutte le forme di malformazioni capillari
è la spiccata lateralizzazione: la lesione cutanea è in genere, nettamente localizzata a destra o a sinistra della linea mediana, talora
debordando leggermente oltre la stessa. Un altro aspetto clinico
caratteristico è la metamerizzazione: la topografia delle lesioni
segue abitualmente la distribuzione dei dermatomeri del capo, del
tronco e degli arti. Tale aspetto si riscontra con maggiore evidenza nelle localizzazioni facciali, che rispettano tipicamente la distribuzione delle branche sensitive del nervo trigemino. In alcuni
casi, soprattutto nelle localizzazioni cranio–facciali, si assiste nel
corso degli anni ad un’inusuale tendenza all’accrescimento che
produce una marcata iperplasia del derma e del tessuto sottocutaneo, associata ad una caratteristica dilatazione del letto capillare venulare sottoepidermico. Si tratta dei cosiddetti “angiomi
piani iperplastici” (comunemente definiti “port wine stain”), che si
presentano all’esame clinico come chiazze di consistenza fibrosa
e colorito rosso–violaceo particolarmente scuro, spesso ricoperte
da placche o formazioni vegetanti di aspetto polipoide.
Gli angiomi cranio–facciali del territorio trigeminale rappresentano il marcatore cutaneo della cosiddetta sindrome di Sturge
Weber caratterizzata da una costellazione di sintomi quali: nevo
cutaneo alla nascita (macchia vinosa) della parte superiore del
volto, glaucoma omolaterale, convulsioni e ritardo mentale per
atrofia cerebrale, calcificazioni intracraniche e dilatazione ventricolare.
Diagnosi
È essenzialmente clinica e la valutazione strumentale deve fondamentalmente distinguere le forme capillari pure dalle forme miste capillaro–venose ed escludere l’eventuale presenza di fistole
artero–venose a bassa velocità di flusso.
74
Capitolo 3
L’Eco Doppler risulta essere l’esame di prima istanza poiché consente
ad esempio di valutare lo spessore del derma e del tessuto sottocutaneo, la densità dei capillari malformati e la loro estensione in profondità.
La RMN può invece essere utile occasionalmente per una migliore
definizione dell’architettura della malformazione e per lo studio di eventuali anomalie associate
Terapia
La laserterapia dovrebbe essere il trattamento di scelta nelle malformazioni vascolari pure soprattutto di quelle del volto. Attualmente il
dye–laser pulsato è quello maggiormente utilizzato perché permette di
ottenere l’obliterazione dei vasi senza esiti cicatriziali.
Nelle forme miste capillaro–venose e nelle forme teleangectasiche è
utile il ricorso alla scleroterapia percutania con polidocanolo all’1–2% o
con glicerina cromica.
Il trattamento chirurgico è molto limitato (soprattutto per le localizzazioni cranio–facciali) perché necessiterebbero di ampie incisioni cutanee con risultati poco soddisfacenti sul piano estetico. Indicazioni alla
chirurgia sono gli angiomi piani iperplastici dell’adulto, soprattutto in
presenza di vegetazioni polipoidi peduncolate, laddove la laser terapia
risulta inefficace.
• MALFORMAZIONI ARTERO–VENOSE
Le malformazioni artero–venose (MAV) sono costituite da una
o più arterie afferenti, tributarie di un nidus di fistole artero–venose, e una o più vene di drenaggio senza l’interposizione di un
letto capillare. Le dimensioni e l’estensione del nidus sono estremamente variabili, da forme micronodulari isolate fino a forme
giganti con coinvolgimento massivo di un intero arto. In base al
calibro e, conseguentemente, alla velocità di flusso e alla portata
delle fistole artero–venose, si possono schematicamente distinguere forme a bassa, media ed alta gittata. Per quanto concerne
la sede anatomica, si riscontra una netta prevalenza delle localizzazioni agli arti e nel distretto cervico–cefalico (soprattutto labiali, linguali, auricolari, temporo–masseterine e fronto–orbitarie)
ma sono descritte anche forme toraciche, addominali e pelviche.
Emangiomi e malformazioni vascolari
75
Nella maggioranza dei casi le MAV coinvolgono i tessuti molli superficiali (cute, mucose), ma spesso si osservano forme localizzate nei
piani profondi con interessamento di muscoli, ossa ed articolazioni. Più
raramente si osservano anche localizzazioni encefaliche o viscerali.
Clinica
Le MAV si presentano clinicamente come tumefazioni dei tessuti
molli di proporzioni ed estensione variabili, caratterizzate da consistenza molle–elastica e, soprattutto, da una più o meno marcata
pulsatilità intrinseca e/o da un fremito apprezzabile palpatoriamente. Alla ascoltazione è possibile rilevare un caratteristico soffio continuo con rinforzo sistolico. Si osserva generalmente un’ipertrofia
loco–regionale più o meno marcata dello scheletro e dei tessuti molli, che talora produce gravi deformazioni anatomiche. Tale
fenomeno, secondario all’ipervascolarizzazione distrettuale, è molto
frequente nelle localizzazioni periferiche, in cui si osserva una tipica
dismetria con allungamento ed ipertrofia dell’arto interessato, ma
si riscontra anche in sede cranio facciale (in particolare nelle forme
labiali, fronto–orbitarie e naso–geniene). La storia naturale è caratterizzata da una naturale tendenza all’evolutività: si manifestano
generalmente in età infantile o giovanile e subiscono, nel corso
degli anni, un accrescimento lentamente progressivo con caratteristiche pousseès legate a fattori di diversa natura tra cui prevalgono
quelli ormonali (pubertà, gravidanza, estroprogestinici) e meccanici
(traumi ed interventi chirurgici)
Diagnosi
La valutazione diagnostica
deve prefiggersi l’obiettivo di
confermare il sospetto clinico di
MAV e di indagare l’estensione,
l’architettura, l’emodinamica.
L’Eco–Color Doppler rappresenta l’esame di primo livello
porre la diagnosi definitiva di MAV, evidenziando il caratteristico
flusso ipercinetico ad alta componente diastolica.
76
Capitolo 3
L’Arteriografia è indispensabile per uno studio accurato dell’architettura della malformazione, del numero e della morfologia delle
arterie afferenti, della distribuzione delle fistole, dell’emodinamica
degli shunt arterovenosi e di eventuali anastomosi con altri distretti
di drenaggio.
La RMN è l’esame che completa l’inquadramento diagnostico.
Terapia
Un atteggiamento conservativo appare giustificato nelle MAV
stabili in assenza di complicazioni rilevanti, mentre un atteggiamento aggressivo è raccomandabile in presenza di segni di rapida
evolutività, nelle forme molto estese o in presenza di gravi complicazioni locali e /o sistemiche. I principali trattamenti delle MAV
sono: l’embolizzazione arteriosa percutanea, la chirurgia, la scleroterapia retrograda delle vene di drenaggio e la terapia combinata.
• MALFORMAZIONI VENOSE
Le malformazioni venose sono caratterizzate dalla presenza di
varie alterazioni morfo–strutturali e funzionali del sistema venoso
centrale o periferico. Si presentano prevalentemente in forma sporadica, in soggetti con anamnesi familiare negativa, ma sono descritte anche forme ereditarie a carattere familiare. Si tratta nella
maggioranza dei casi di malformazioni isolate, ma si osservano talora forme multifocali o addirittura disseminate a carattere sistemico. Le localizzazioni superficiali cutanee e mucose sono prevalenti,
ma sono frequenti anche le forme intramuscolari o intraossee e
qualsiasi organo può essere interessato. La distribuzione per sede
mostra una netta prevalenza delle MV periferiche (soprattutto a
carico degli arti inferiori) e delle MV cranio–facciali (in particolare
in regione temporo–masseterina, fronto–palpebrale, labiale e linguale). Le localizzazioni meno frequenti sono quelle toraciche, addominali e genitali.
Emangiomi e malformazioni vascolari
77
Classificazione
È utile classificare schematicamente le malformazioni venose su
base anatomo–patologica in:
– MV semplici: si riscontra la presenza di vene anomale abnormemente ectasiche senza collegamenti diretti con i principali
assi venosi superficiali e/o profondi, localizzate più spesso nel
tessuto sottocutaneo ma talora anche in sede intramuscolare
o intraarticolare.
– MV complesse: sussistono varie anomalie congenite a carico
dei principali assi venosi
superficiali e/o profondi,
in prevalenza degli arti:
ipoplasia o agenesia di
diversi tratti del sistema
venoso, incontinenza valvolare primaria, persistenza di vene embrionarie di
tipo tronculare, come la
vena marginale.
Clinica
Il quadro semeiologico e sintomatologico delle MV è estremamente variabile in relazione alla sede, alla profondità, all’estensione
ed alle alterazioni anatomo–emodinamiche presenti. Le MV superficiali si evidenziano come tumefazioni sottocutanee di dimensioni
e forma variabili, consistenza molle elastica, facilmente collassabili
alla compressione, ricoperte da cute di colorito bluastro violaceo,
normotermica. Non possiedono una pulsatilità intrinseca ma presentano una caratteristica espansibilità in posizione antigravitaria.
Le MV intramuscolari o intraarticolari sono meno evidenti all’esame
obiettivo, soprattutto se di piccole dimensioni. Tuttavia un’attenta
osservazione clinica rileva generalmente una tipica asimmetria anatomica rispetto all’emisoma controlaterale, che si accentua in posizione declive. Le vene embrionarie si presentano come tronchi
venosi ectasici, a decorso tortuoso e irregolare, che si estendono dalle regioni distali per una lunghezza variabile verso la radice
78
Capitolo 3
dell’arto. Nelle forme con ipoplasia del circolo venoso profondo o
con incontinenza valvolare congenita si evidenziano i segni clinici
dell’ipertensione venosa cronica: edema, varici secondarie, dermo–ipodermite ed ulcere da stasi. Le MV possono costituire una
componente di malformazioni vascolari complesse sistemiche.
Diagnosi
La diagnosi è generalmente posta all’atto dell’esame clinico, tuttavia ciascun paziente deve essere sottoposto ad una accurata valutazione strumentale dei principali parametri morfologici–funzionali della
malformazione.
L’eco–color doppler rappresenta un esame preliminare utile per studiare l’estensione della malformazione, la pervietà e la continenza dei
sistemi venosi superficiali e profondi e per escludere la presenza di
fistole artero–venose.
La RMN o la TC consente di definire in modo piu accurato l’estensione della malformazione e i rapporti anatomici con le strutture intorno.
La fleblografia dovrebbe completare l’iter diagnostico ed è indispensabile per ottenere un quadro morfologico ed emodinamico della
malformazione dell’intero sistema venoso.
Terapia
Gli obiettivi sono la regressione parziale o completa della malformazione, la riduzione o scomparsa dei seni di insufficienza venosa, la riabilitazione funzionale dell’arto interessato, l’eliminazione o
il ridimensionamento di vari inestetismi.
La sceloterapia ha trovato ultimamente ampia diffusione tanto
da essere considerata una valida alternativa o un utile complemento della chirurgia soprattutto nelle forme lacunari a localizzazione
cranio–faciale. Consiste nella iniezione di soluzione sclerosante per
via percutanea diretta nelle malformazioni venose isolate. Nelle
M.V. di piccolo calibro si preferisce l’uso del polidicanolo in soluzione al 2–3%,mentre in quelle di grosso calibro si preferisce utilizzare
agenti sclerosanti piu potenti come l’etanolo al 95%.
La chirurgia riveste comunque un ruolo fondamentale nel trattamento delle MV: la procedura chirurgica piu frequente consiste
Emangiomi e malformazioni vascolari
79
nella asportazione delle vene malformate di tipo lacunare o reticolare agli arti inferiori che deve essere preferibilmente eseguita con
tecnica mininvasiva praticando micro–incisioni cutanee e utilizzando speciali uncini da flebectomia.
Nella maggioranza dei casi è utile attuare una terapia combinata.
• LINFANGIOMI
Vengono definiti con il termine
di linfangiomi un gruppo estremamente eterogeneo di malformazioni a carico dei vasi linfatici,
presenti ovunque ad eccezione
del sistema nervoso centrale, le
quali consistono in voluminose
masse cistiche di consistenza
molle–spugnosa, compressibili,
presenti alla nascita e con tendenza ad un graduale accrescimento nel corso degli anni.
Epidemiologia
I linfangiomi sono malformazioni rare, costituendo solo
il 6% di tutte le tumefazioni
benigne in età pediatrica. Essi
possono colpire entrambi i sessi a qualunque età, anche se nel 80% dei casi compaiono entro il
primo anno di vita ed nel 90% entro il secondo. Per quanto riguarda la localizzazione, i linfangiomi del collo sono sicuramente i più
comuni (75% dei casi) andando a costituire la seconda tumefazione
per frequenza in questa sede preceduta solo dalla cisti del dotto
tireoglosso. Altre sedi, anche se con frequenza minore rispetto al
collo, comprendono l’ascella, il torace e le estremità inferiori; rara
è la localizzazione a livello della laringe, della lingua, della bocca e
della congiuntiva.
80
Capitolo 3
Embriologia e patogenesi
Il sistema linfatico inizia a svilupparsi più tardi rispetto a tutte
le altre porzioni del sistema cardiovascolare e i suoi abbozzi non
appaiono fino alla fine della quinta settimana di gestazione. Quale
sia effettivamente l’origine delle cellule che andranno a costituire
il sistema linfatico non è ancora molto ben conosciuta ma probabilmente si sviluppano secondo due diverse modalità; una parte
di esse si forma direttamente in situ dal mesenchima, mentre altre
hanno origine tramite delle evaginazioni a forma di sacco dall’endotelio delle vene (sacchi linfatici primitivi). In questo modo, quindi, si
formano, oltre a degli abbozzi di cellule del sistema linfatico sparse
per tutto l’organismo, anche sei sacchi linfatici primitivi. Di questi,
due sono giugulari (sono quelli di maggiori dimensioni), collocati a
livello dell’unione delle vene giugulari con le vene cardinali anteriori, due iliaci, a livello dell’unione delle vene iliache con le vene
cardinali posteriori, uno retroperitoneale, collocato nei pressi della
radice del mesentere, e uno corrisponde alla futura cisterna del
chilo, collocata dorsalmente rispetto al sacco peritoneale. Questi
sacchi linfatici primitivi vengono poi collegati tra di loro per mezzo
di numerosi canali di drenaggio che hanno avuto, invece, origine a
partire dalle cellule mesenchimali. In condizioni fisiologiche normali, nessuna porzione dei sacchi linfatici primitivi viene esclusa dalla
rete linfatica in via di sviluppo, ma ciò può comunque accadere e,
quando succede, la linfa qui prodotta non trova via d’uscita, con
conseguente formazione di un linfangioma. I linfangiomi a carico
del collo, i più frequenti, originano dalla mancata formazione di
vasi di drenaggio di tutti o di una porzione dei sacchi giugulari
primitivi.
Clinica
Nella maggior parte dei casi i linfangiomi sono completamente
asintomatici, dando solo problemi di tipo estetico sopratutto se di
grosse dimensioni. In alcuni casi i linfangiomi di maggiori dimensioni
del collo possono determinare disfagia e distress respiratorio come
conseguenza della compressione delle prime vie aeree e digestive.
In ogni caso essi si presentano come delle tumefazioni teso–elastiche
Emangiomi e malformazioni vascolari
81
ricoperte da cute normale le quali possono andare incontro a risoluzione spontanea, possono aumentare improvvisamente di volume,
come conseguenza o di infezione o di emorragia, oppure possono,
come accade nella maggior parte dei casi, accrescersi lentamente
come conseguenza del progressivo accumulo di liquidi.
Diagnosi e diagnosi differenziale
La diagnosi di un linfangioma può essere pre– e post–natale e
si basa sia sul reperto clinico sia su tecniche di imaging. Tra queste
sicuramente la prima da eseguire è l’ecografia. I linfangiomi cistici,
a contenuto liquido, appaiono come delle formazioni completamente anecogene, se però compaiono degli echi disomogenei, è
possibile che, o la cisti sia andata incontro ad un processo infettivo,
o che sia stata sede di emorragia recente o pregressa. I linfangiomi
microcistici appaiono, invece, come strutture fortemente ecogene
in quanto la componente solida è notevole. Il solo esame ecografico può non essere sufficiente per la diagnosi di lesioni profonde
del collo o che si approfondano nel mediastino. In questo caso
l’esame di scelta è sicuramente la RMN che ci permette di definire al meglio la lesione e di stabilire con estrema precisione i suoi
rapporti con le strutture circostanti. Bisogna sottolineare che alcuni
linfangiomi possono essere diagnosticati, sempre ecograficamente, già nel periodo prenatale e possono presentarsi o come delle
piccole cavità ripiene di liquido o come voluminose cisti causa di
polidramnios, distocia e distress respiratorio alla nascita. In questi
casi è possibile programmare il parto e procedere all’intubazione
del neonato prima del suo distacco dalla placenta.
Terapia
Per i linfangiomi di piccole dimensioni e completamente asintomatici l’approccio terapeutico consiste nell’attesa, decisione
giustificata dal fatto che in alcuni casi è possibile una regressione
spontanea. L’unico rischio, in questo caso, è la possibilità che la
lesione vada incontro a infezione o a rapido aumento di volume,
condizioni che possono rendere più complicata la loro asportazione chirurgica. In tutti gli altri casi è indicato il trattamento chirurgi-
82
Capitolo 3
co, (fig. 9–10), o l’iniezione intralesionale di sostanze sclerosanti.
La rimozione chirurgica di un linfangioma differisce da caso a caso,
in alcuni casi è semplice mentre in altri, essendo la lesione adesa
intimamente ai vasi ed ai nervi del collo, può essere associata a
complicanze nervose ed emorragiche. L’incidenza di recidive è, inoltre, elevata; 13% dopo exeresi microscopicamente completa e
40% nel caso di intervento non radicale. La generale insoddisfazione, data dall’alta incidenza di recidive o di complicanze, ha spinto
alla ricerca di soluzioni alternative alla chirurgia, di cui quella che
ha avuto ed ha tutt’oggi il maggior successo è l’uso di sostanze ad
azione sclerosante (Tissucol, Bleomicina,Ethibloc e OK–432). Esse
determinano, almeno nei casi di linfangiomi monoconcamerati, la
regressione completa in oltre il 90% dei casi (Fig. 11 a–b).
Figura 9 – Linfangioma ascella dx.
Figura 10 – Exeresi chirurgica.
Figura 11a – Linfangioma del collo trattato con Ok432.
Figura 11b – Regressione completa.
Capitolo 5
MALFORMAZIONI DELLA CAVITÁ CELOMATICA
La cavità celomatica, o cavità intraembrionaria, è la struttura
primitiva dell’embrione in formazione, da cui si formerà la cavità
pericardica, pleurica e peritoneale. Il celoma si forma precocemente nel corso dell’embriogenesi e si divide in una porzione pleuro–pericardiale (craniale) e una porzione pleuro–peritoneale (caudale) con la frapposizione tra le due dell’abbozzo del diaframma, la
cavità celomatica intraembrionaria comunica, attraverso lo spazio
celomatico da cui ernia l’intestino medio, con la cavità celomatica
extraembrionaria. Tutte le cavità sono ripiene di liquido. Le patologie che derivano da un difetto di sviluppo della cavità celomatica
vengono riportate in questo capitolo.
5.1 Ernia inguinale
Incidenza
L’ernia inguinale è più frequente nei maschi; nel 60–70% dei
casi è localizzata a destra, nel 20% dei casi a sinistra e nel 5–15%
dei casi è bilaterale.
Embriopatogenesi
La gonade inizia a svilupparsi durante la 5a settimana della vita intrauterina. Al polo inferiore della gonade, una striscia di cellule mesenchimali, si sviluppa in una struttura a forma di benderella che diverrà
il gubernaculum testis nell’uomo e il legamento rotondo nella donna.
Questa struttura raggiunge, alla 30° settimana di vita circa, l’anello
141
142
Capitolo 5
inguinale esterno e da qui migra al polo inferiore dello scroto, lungo il
dotto peritoneo–vaginale, mentre il legamento rotondo raggiungerà
le grandi labbra, sempre lungo il dotto peritoneo–vaginale, che nelle
donne prenderà il nome di canale di Nück. Il processo vaginale si oblitera nelle successive fasi di sviluppo del feto e del bambino, (fig. 1a).
La parete del dotto peritoneo vaginale è formata dal prolungamento
mesoteliale del peritoneo ricoperto da un sottile strato di connettivo
e alcune cellule muscolari lisce. Aderente al legamento vaginale nel
bambino c’è il deferente e nella bambina il legamento rotondo. Esso
si presenta pervio alla nascita in circa il 90% dei bambini, risulta tale
nel 40% ad un anno, e nel 20% a due anni. La mancata obliterazione
del processo vaginale favorisce la formazione di un’ernia inguinale e/o
un idrocele. Il meccanismo con cui si verifica la chiusura del D.P.V. non
è noto.
In caso di:
– Persistenza di un ampio
dotto p.v. pervio si può
verificare un’ernia completa (fig. 1e); o incompleta in
caso di obliterazione caudale del d.p.v, (fig. 1d);
– In caso di persistenza di un
d.p.v. con un colletto più
stretto, si può verificare un
idrocele comunicante, (fig.
1b), oppure, qualora la
porzione più craniale del
dotto sia andata incontro
ad obliterazione, la raccolta liquida sarà limitata,
realizzando in tal modo
un idrocele del funicolo o
una cisti non comunicante
o nella femmina una cisti di
Nück. (fig. 1c)
Il contenuto dell’ernia può
essere intestino tenue, cieco ed
Figura 1 – Classificazione della patologia
del dotto peritoneo vaginale.
Malformazioni della cavità celomatica
143
appendice, diverticolo di Meckel, omento, testicolo, ovaio, tube e
utero.
Diagnosi
La più comune presentazione è una tumefazione molle, elastica,
con polo superiore non apprezzabile, che si manifesta in maniera intermittente a livello dell’anello inguinale interno, nella regione inguinale, e che si può estendere fino allo scroto o alle grandi labbra; nelle
bambine l’ernie sono sempre un po’ più in basso, sotto il legamento
inguinale, rientrando spesso in diagnosi differenziale con le ernie crurali. Se all’esame obiettivo non è presente la tumefazione erniaria può
essere resa manifesta aumentando la pressione endoaddominale del
bambino, cioè facendolo piangere, ridere o tossire. Nella diagnosi differenziale tra un’ernia ed un idrocele, la transilluminazione può essere
utile oltre all’indagine ecografica. Fino a che l’ernia non si incarcera
non causerà sintomi anche se in una discreta percentuale di pazienti
può essere presente un certo discomfort. È opportuno sempre visitare
il lato opposto.
• ERNIE COMPLICATE
Anche se lo strozzamento dell’ernia inguinale può presentarsi in
qualsiasi momento dell’età pediatrica, questa complicanza è più comune nei primi mesi di vita, soprattutto nei prematuri. La manifestazione clinica nelle fasi precoci è spesso insidiosa con un bambino che si
presenta irritato in maniera non specifica. Successivamente una tumefazione arrossata e tesa si rende manifesta a livello dell’inguine con associati sintomi di ostruzione intestinale. La diagnosi differenziale include la torsione del testicolo e le linfoadenopatie inguinali suppurative.
L’iter terapeutico da adottare in un bambino con ernia incarcerata e/o
strozzata è la riduzione e la correzione chirurgica.
Per ridurre un’ernia, le dita di una mano devono essere applicate
a livello del collo del sacco per sostenerlo e prevenire che l’ernia
venga semplicemente spinta sotto la pelle e non all’interno dell’addome. Una leggera pressione delle dita può ridurre parte dell’edema che si è venuto a formare, nel frattempo le dita dell’altra
mano eserciteranno una pressione al polo inferiore dell’ernia. Se si
144
Capitolo 5
trovano difficoltà nel ridurre l’ernia il paziente dovrà essere sedato,
previo posizionamento di un accesso venoso. Una volta ridotta l’ernia dovrà essere corretta precocemente per il rischio che l’evento
si verifichi nuovamente.
Terapia
Appena diagnostica un’ernia in un bambino c’è indicazione
per una terapia chirurgica. Particolare attenzione dovrà essere
rivolta nei bambini con meno di 1 anno di età per il rischio di
complicanze. Il canale inguinale misura meno di 2 cm nel primo
anno di vita e più del doppio all’età di 4 anni. Per i bambini
con meno di 2 anni si può effettuare un approccio inferiore, con
incisione nel punto in cui le strutture del funicolo spermatico
raggiungono il tubercolo pubico. Si incidono le fasce superficiali fino a visualizzare il funicolo emergente dall’anello inguinale
esterno. Gli strati superficiali del funicolo sono incisi e divaricati
in modo da esporre il muscolo cremastere, che a sua volta verrà
inciso ed aperto in modo da rendere possibile l’identificazione
del D.P.V. È importante isolare il dotto dalle strutture circostanti,
in maniera delicata per non ledere il deferente e i vasi, fino al
collo del sacco stesso. Esplorare il contenuto del sacco, ridurlo
e legare il sacco al colletto e infine sezionarlo. Per i bambini con
più di 2 anni è più conveniente utilizzare un approccio alto esponendo il collo del D.P.V. a livello dell’anello inguinale interno.
Complicanze chirurgiche sono la recidiva dell’ernia, se il sacco
non è stato escisso in maniera completa, infezioni, riduzione del
volume testicolare, criptorchidismo iatrogeno, lesione del deferente o alterazioni dell’epididimo.
5.2 Idrocele
L’embriologia dell’idrocele è la stessa dell’ernia inguinale. Nelle
bambine si manifesta come una tumefazione a livello delle grandi labbra ed è chiamato idrocele del canale di Nück. La diagnosi
differenziale deve includere un teratoma testicolare (parzialmente
cistico e trans illuminabile) e naturalmente le ernie.
Malformazioni della cavità celomatica
145
Terapia
Nel primo anno di vita l’idrocele si risolve nella maggior parte dei
casi. Dal secondo anno in poi è consigliata la terapia chirurgica.
5.3 Ernia crurale
L’ernia crurale fuoriesce dall’anello crurale nel triangolo di Scarpa. In età pediatrica sono rare, essendo circa l’1% di tutte le ernie
inguinali, sono più frequenti nel sesso femminile. Se si presentano
sotto i 5 anni sono da considerare congenite, anche se è ancora
dibattuta l’ipotesi sull’esatta etiopatogenesi.
Anatomia
La regione sub–inguinale o crurale è da considerarsi come una
lacuna semilunare formata dal legamento inguinale (in alto) e dalla
concavità dell’osso pubico (in basso).
La benderella ileopettinea divide la regione sub–inguinale in due
lacune:
– Lacuna muscolorum: parte laterale della regione sub–inguinale,
più ampia, occupata del muscolo ileopsoas e dal nervo femorale.
– Lacuna vasorum: parte mediale della regione sub–inguinale
occupata dai vasi femorali (arteria lateralmente e vena medialmente, avvolte da una guaina comune).
Tra la vena femorale e il legamento di Gimbernat (costituito dall’inserzione sulla cresta pettinea di alcuni fasci fibrosi del legamento inguinale) si trova uno spazio, la Lacuna linfatica (contenente il linfonodo di Cloquet), che occupa la porzione mediale
della lacuna vasorum.
Anatomia patologica
L’ernia crurale più frequente è quella infundibolare (linfolacunare).
La porta erniaria è costituita da:
– legamento inguinale (superiormente)
146
Capitolo 5
– fascia del muscolo pettineo (inferiormente)
– legamento di Gimbernat (medialmente)
– vena femorale (lateralmente)
Possono esserci altre varianti più rare dell’ernia crurale:
– Ernia muscolo–lacunare
– Ernia vasolacunare
– Ernia di Laugier
– Ernia pettinea
(nella lacuna muscolorum)
(nell’interstizio dei vasi femorali)
(attraverso il legamento di
Gimbernat)
(attraverso il muscolo pettineo)
Diagnosi
Sono solitamente ernie di piccolo volume, apprezzabili come
piccole tumefazioni, lievemente dolenti. La diagnosi è pertanto
prettamente clinica, con eventuale conferma ecografica. A volte
possono venire erroneamente confuse con ernie inguinali. Normalmente quest’ultime sono situate al di sopra della linea ideale che
congiunge la spina iliaca antero–superiore con il tubercolo pubico,
detta linea inguinale di Malgaigne, mentre le ernie crurali sono al
di sotto. Per quanto riguarda la diagnosi differenziale, oltre alle ernie inguinali, bisogna considerare anche eventuali linfoadenopatie
inguinali, che sono non riducibili, e gli aneurismi dell’arteria femorale.
5.4 Ernia epigastrica
Sono dovute ad una piccola erniazione di grasso properitoneale, singola o multipla, a livello della linea mediana (linea alba), tra
il 3° superiore e il 3° medio della linea che dall’ombelico raggiunge il processo xifoideo dello sterno. Raramente possono causare
discomfort o dolore, in questi casi bisogna intervenire chirurgicamente con resezione del grasso e chiusura della porta erniaria.
Malformazioni della cavità celomatica
147
5.5 Ernia ombelicale
È la più comune ernia nei bambini. La presenza di ernia ombelicale è del 90% nel primo anno di vita, ma entro i primi anni si
ha una probabilità molto elevata di chiusura spontanea dell’anello
ombelicale, per l’aumento del tono e del trofismo dei muscoli retti
dell’addome. Raramente vanno incontro a strangolamento. L’indicazione chirurgica si presenta nei rari casi con porta erniaria ampia
ed in assenza di tendenza alla risoluzione.
5.6 Difetti congeniti della parete addominale anteriore
Limitiamo la trattazione alle due più gravi patologie eviscerative
neonatali e che conseguono ad un difetto di chiusura sulla linea
mediana, nel corso dello sviluppo embrionale, della parete addominale anteriore: l’onfalocele e la gastroschisi. Negli ultimi anni si
è giunti ad una drastica riduzione della morbilità di queste patologie grazie allo sviluppo di nuove tecniche chirurgiche, ai progressi
compiuti nella terapia post–operatoria (NPT e ventilazione assistita) ed all’identificazione pre–natale, mediante la diagnostica ultrasonografica.
• ONFALOCELE
È un difetto mediano della parete addominale attraverso il quale possono erniarsi visceri sia cavi che parenchimatosi; tale difetto
è ricoperto, in maniera non uniforme, all’esterno dalla membrana
amniotica ed all’interno dal peritoneo, con l’interposizione di gelatina di Warton. Il cordone ombelicale si inserisce direttamente sulla
membrana. Tale sacco erniario si può rompere spontaneamente in
utero, durante la gravidanza o durante il parto. Se la rottura avviene in epoche precoci di gestazione, alla nascita l’intestino eviscerato appare congesto e coperto da un essudato spesso, a causa
del contatto con il liquido amniotico. Le dimensioni dell’onfalocele
possono variare da 3–4 cm di diametro fino a 8–10; quest’ultimo
tipo, conosciuto come onfalocele gigante, o permagno, presenta
al suo interno il fegato, l’intestino tenue e il crasso, e a volte an-
148
Capitolo 5
che altri organi. I difetti addominali più piccoli possono presentare
l’erniazione di poche anse intestinali e quindi, più realisticamente,
potrebbero essere definiti come ernie del cordone ombelicale. La
localizzazione extraddominale dei visceri in utero può condurre ad
una cavità addominale piccola.
Epidemiologia
La stima dell’incidenza dell’onfalocele varia da 1/3.200 nati vivi
a 1/10000 senza una significativa differenza nella distribuzione tra
i sessi.
Embriopatogenesi
Dipende da un difetto di chiusura e di sviluppo della parete addominale dovuto ad un mancato ritorno del primitivo intestino medio dal celoma extraembrionario alla cavità addominale, eventi che
si svolgono normalmente tra la V e la X settimana di gestazione. La
conoscenza di questi stadi dello sviluppo embrionale spiega perché la diagnosi ecografica prenatale di onfalocele non sia possibile
prima della XII settimana di gestazione.
Anomalie associate
Più frequentemente ritroviamo anomalie cardiache, quali la tetralogia di Fallot (33%), ed i difetti interatriali (25%). Difetti del S.N.C.
sono presenti nel 2–8% dei casi mentre le varie anomalie cromosomiche incidono per il 20%. La sindrome di Beckwith–Wiedemann
(macroglossia, gigantismo, visceromegalia ed ipoglicemia) si associa all’onfalocele circa nel 12% dei casi. Altre sindromi malformative di rilievo, anche se di eccezionale riscontro, sono la Pentalogia di Cantrell (onfalocele epigastrico, diastasi dei retti, ernia diaframmatica anteriore, cleft sternale distale, difetti del pericardio,
spostamento anteriore del cuore e malformazioni cardiache) e la
cosiddetta CHARGE. In presenza di onfalocele è sempre associata
la malrotazione intestinale (“mesenterium comune”), caratterizzata
da una lassità dei mezzi di fissazione dell’intestino, con relativo aumento dell’incidenza di volvolo.
Malformazioni della cavità celomatica
149
Diagnosi
La diagnosi ecografica endouterina di onfalocele può essere
effettuata dopo la XIV settimana di epoca gestazionale, quando
l’intestino fetale, in condizioni normali, dovrebbe essere rientrato
in cavità addominale. Qualora venga visualizzato un difetto della
parete addominale, la gestante dovrà essere sottoposta ad esami di approfondimento per escludere l’eventuale coesistenza delle
malformazioni associate, sovra ricordate, e la cui gravità prognostica può anche porre il problema decisionale dell’IVG. Il dosaggio
AFP sierica materna trova la sua utilità in quanto un feto con difetti
della parete addominale può essere individuato tramite il reperto
di alti livelli di alfafetoproteina (AFP) nel siero materno; questa alterazione si ha sia nell’onfalocele che nella gastroschisi. Valori di AFP
doppi rispetto alla norma sono predittivi nel 99% di gastroschisi,
nel 78% di onfalocele e nell’89% di entrambi i difetti.
Terapia
Subito dopo il parto, avvenuto preferibilmente, con taglio cesareo, l’addome viene ricoperto da garze imbevute di soluzione
fisiologica tiepida e l’onfalocele viene avvolto in un telo di plastica per evitare la disidratazione. Viene introdotto un sondino
naso–gastrico per detendere lo stomaco ed una sonda rettale per
liberare dal meconio l’intestino distale. In ogni paziente viene posizionato, inoltre, un catetere venoso centrale (CVC) necessario
alla nutrizione parenterale totale (NPT) durante il periodo postoperatorio. Gli accertamenti necessari per la diagnosi delle anomalie associate sono prioritari rispetto al trattamento chirurgico dell’onfalocele. In caso di onfalocele di medie e piccole dimensioni,
si procede alla chiusura primaria con escissione del sacco, ovvero
si rimuove il sacco previa legatura dei vasi ombelicali, e si sutura
la parete addominale in toto; oppure, per dimensioni maggiori,
si può procedere alla chiusura primaria senza rimuovere il sacco. In entrambe le evenienze si associa il così detto “stretching”
della parete addominale che consiste in una vigorosa divulsione
digito–manuale esercitata dall’interno del cavo peritoneale sui
muscoli parietali, allo scopo di aumentare la compliance e di riu-
150
Capitolo 5
scire a chiudere l’addome senza avere complicanze cardiorespiratorie, che si avrebbero in caso di persistente aumento pressorio
intraddominale con diminuito ritorno venoso alla cava inferiore e
diminuita mobilità diaframmatica. Nei casi di onfalocele di grandi
dimensioni nei quali il tentativo di chiusura primaria della parete
addominale, previa manovra di stretching, fallisca, si esegue la
tecnica di Schüster, che prevede l’utilizzo di una protesi di materiale sintetico suturata ai margini fasciali laterali, ridotta gradualmente di dimensioni, nei giorni successivi, fino ad arrivare alla
chiusura completa della parete addominale.
Prognosi
È fondamentalmente correlata sia alle complicanze addominali
insite, in modo particolare, all’uso di protesi (infezioni, aderenze
intestinali occlusive) e sia alla gravità delle malformazioni associate che a tutt’oggi condizionano in molti casi la sopravvivenza.
• GASTROSCHISI
La gastroschisi, o laparoschisi, è un difetto piccolo, completo, della parete addominale, localizzato alla destra del cordone ombelicale
e separato da esso, qualche volta, da tessuto cutaneo. In questa
patologia si ha l’eviscerazione di anse intestinali non ricoperte da
peritoneo; inoltre il fegato è collocato sempre all’interno dell’addome. Queste caratteristiche distinguono la gastroschisi dall’onfalocele. Sono eccezionali e atipici i casi nei quali è presente l’erniazione
della colecisti, dell’utero, delle tube, della vescica, dei testicoli e delle ovaie. A causa della mancanza del peritoneo, le anse intestinali
eviscerate, esposte per lungo tempo al contatto con il liquido amniotico, appaiono edematose ed alcune volte anche compromesse
dal punto di vista vascolare.
Clinica
Viene suddivisa in una varietà antenatale, in cui l’aspetto macroscopico delle anse risulta maggiormente alterato, ed un perinatale,
in cui i segni di sierositi sono scarsi.
Malformazioni della cavità celomatica
151
Epidemiologia
Incidenza di circa 1/10000 nati vivi, generalmente non si associa
a sindromi.
Embriopatogenesi
La patogenesi della gastroschisi è correlata alla regressione in
utero della vena ombelicale destra (XXVIII–XXXIII giornata di epoca
gestazionale) che determina un locus minoris restistentiae.
Anomalie associate
Tra le anomalie, presenti nel 10–15%, si ricorda l’atresia e le stenosi intestinali.
Diagnosi
La diagnosi ecografica prenatale è caratterizzata dal rilevamento
di un difetto addominale localizzato alla destra del cordone ombelicale e dall’evidenza di anse libere nel liquido amniotico. Dopo la
nascita, la diagnosi è confermata dal tipico reperto obiettivo che
comprende anche la mancanza del sacco sulle anse intestinali eviscerate.
Terapia
Il primo presidio da attuare nel neonato con gastroschisi consiste nel mantenere le anse eviscerate in atmosfera caldo–umida,
evitando i pericoli della disidratazione e dell’ipotermia. A tal fine
vengono ricoperte con flanelle sterili e bagnate con soluzione disinfettante tiepida blandamente iodata. Prima dell’intervento, da
attuarsi poche ore dopo la nascita, si procede ad una decompressione addominale mediante sondino naso–gastrico e svuotamento
del meconio mediante irrigazione rettale. Il trattamento chirurgico della gastroschisi mira sempre alla ricostruzione primaria della
parete addominale. Poiché il difetto addominale è piccolo è necessario allargare la breccia con un’incisione longitudinale sopra
152
Capitolo 5
e sottostante. Abitualmente la matassa intestinale, ancorché conglutinata e parietalmente ispessita ed edematosa, non viene ispezionata né manipolata ma viene riposta, così come è, all’interno
della cavità addominale, la cui chiusura immediata è quasi sempre
perseguibile previa la già descritta manovra di stretching. In caso
di impossibilità si procede a chiusura differita ricorrendo all’applicazione di una protesi temporanea in goretex (tecnica di Schüster).
Qualunque sia la tecnica usata, una NPT protratta per almeno due
settimane è quasi sempre necessaria, per consentire alle anse edematose di riprendere la peristalsi. Eventuali problemi di ostacolata canalizzazione legati a componente occlusiva se comprovati da
studio radiologico con mezzo di contrasto, verranno affrontati in un
secondo tempo con approccio laparotomico.
5.7 Ernia diaframmatica congenita
L’ernia diaframmatica congenita è una malformazione caratterizzata da un mancato sviluppo, parziale o completo, della cupola
diaframmatica e dalla conseguente migrazione degli organi addominali nel torace durante la vita fetale. L’anomalia si associa ad
ipoplasia polmonare di varia gravità, in quanto questa condizione
causa dislocazione e compressione delle strutture toraciche.
Incidenza
È di 1/5000 nati vivi; la prognosi è di solito severa, con un tasso di
sopravvivenza tra i nati vivi del 50%, nonostante i recenti progressi
nelle conoscenze anatomiche, fisiologiche, cliniche e nel trattamento intensivo del neonato. Nella maggior parte dei casi è una malformazione sporadica ed isolata, non associata ad altre anomalie ma
può presentarsi nel contesto di aberrazioni cromosomiche o sindromi genetiche.
Embriopatogenesi
La migrazione dei visceri addominali nel torace avviene nei primi
mesi di vita intrauterina, attorno alla 8°–10° settimana di gestazione,
Malformazioni della cavità celomatica
153
in conseguenza di un difetto del canale pleuroperitoneale che esita
nella mancata fusione degli abbozzi diaframmatici. La presenza dei visceri addominali nel torace causa compressione dei polmoni durante
il loro sviluppo, si avranno perciò polmoni ipoplasici e spostamento
degli organi mediastinici dal lato opposto all’ernia; tuttavia in alcuni
studi sperimentali sull’embriogenesi dell’ernia diaframmatica, sembra
che l’ipoplasia polmonare preceda il difetto diaframmatico.
Al momento della nascita, con il pianto e la deglutizione di aria,
i visceri si riempiono rapidamente di aria, si distendono e rendono
impossibile l’espansione dei polmoni, già peraltro compromessi,
determinando di stress respiratorio acuto.
L’ipoplasia e la conseguente ipertensione polmonare persistente comportano l’aumento delle resistenze vascolari polmonari con
diminuzione del flusso ematico polmonare, con shunt destro–sinistro e grave ipossiemia. L’ipertensione polmonare persistente è
una delle più frequenti cause di morte fra i lattanti con ernia diaframmatica.
Ernia
parasternale
IVC
Agenesia
del diaframma. (difetto
del setto trasverso)
Iato esofageo
Aorta
Ernia posterolaterale
Figura 2. – Difetti diaframmatici
154
Capitolo 5
Il difetto è in genere postero–laterale (ernia di Bochdalek). Le
dimensioni dell’orifizio erniario variano da 2–3 cm di diametro, fino
ad interessare l’intero emidiaframma. I difetti ampi sono circoscritti
solamente da un margine muscolare.
Nell’90% dei casi è coinvolto l’emidiaframma sinistro con erniazione della matassa del tenue, del colon (destro, traverso, e parte
del discendente), della milza ed eventualmente dello stomaco (Fig.
2).
Sintomatologia
L’ernia diaframmatica congenita deve essere sospettata alla nascita o nei neonati nelle prime ore di vita quando essi presentano
severa insufficienza respiratoria e cianosi, raramente rimangono
asintomatici oltre le 24 h di vita. Di solito questi pazienti hanno un
addome scafoideo ed un torace asimmetrico e disteso, con possibilità di auscultare borborigmi nell’emitorace coinvolto, rumore
respiratorio ridotto o assente e i suoni cardiaci spostati verso il lato
opposto.
Figura 3a Ernia diaframmatica post–lat–sx.
Rx pre–operatoria presenza di anse intestinali nell’emitorace sx. Sbandamento del
mediastino verso dx.
Figura 3b – RX post–operatoria. Normalizzazione del quadro anatomico.
Malformazioni della cavità celomatica
155
Diagnosi
Può essere diagnosticata in epoca prenatale con ecografia da
eseguire intorno alla 20–25ª settimane di gestazione, la visualizzazione di fegato, stomaco, intestino nel torace sono indicativi di
severa ipoplasia polmonare. La diagnosi prenatale di ernia dia–
frammatica suggerisce una prognosi severa.
La diagnosi postnatale è posta sulla base del quadro clinico e
confermata da un rx torace che mostra tipicamente la presenza di
anse intestinali nell’emitorace e lo spostamento del cuore e delle
strutture mediastiniche dal lato opposto all’ernia (Fig. 3a–3b).
Terapia
Alla nascita la stabilizzazione delle condizioni cliniche è fondamentale prima di iniziare l’approccio chirurgico. Esso può essere
laparotomico, laparoscopico, o toracoscopico attraverso i quali i
visceri erniari vengono riposizionati in addome e la lacuna frenica
viene suturata, previa asportazione del sacco erniario (se presente) lasciando un drenaggio toracico. Se la lacuna è troppo grande
si può ricorrere ad un patch protesico.
• ERNIA
RETROSTERNALE DI
MORGAGNI–LARREY
Nel 4–6% dei casi l’ernia si può presentare a livello retrosternale. Rappresenta un difetto della porzione anteriore del diaframma
(apertura dietro il processo xifoideo dello sterno) nella zona di
passaggio delle arterie mammarie interne. Si localizza nel 90% dei
casi nel lato destro (hiatus sternocostalis di Morgagni) e nel 10%
dal lato sinistro (hiatus sternocostalis di Larrey). L’ernia in genere
rimane silente fino all’età adolescenziale o adulta, presentandosi
con infezioni respiratorie ricorrenti, infezioni intestinali, ed eventualmente strangolamento con necrosi delle anse erniate.
156
Capitolo 5
Capitolo 6
PATOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE
6.1 Enterocolite necrotizzante
L’enterocolite necrotizzante (NEC) è una grave forma di enterocolite acquisita nel primo mese di vita, caratterizzata da gradi
variabili di necrosi ischemica del tenue e/o colon. Rappresenta la causa più rilevante di morbilità e mortalità nei prematuri.
Essa interessa:
– 44% Ileo terminale e colon
– 30% Ileo
– 26% Colon
Eziopatognesi
L’eziologia non è ancora
perfettamente nota. Si ipotizza che il meccanismo patogenetico origini a livello della
mucosa a causa di un basso
flusso mesenterico che provocherebbe un trauma ischemico. Su
questa lesione si svilupperebbero successivamente colonie batteriche che colonizzano l’intestino (Klebsiella, Pseudomonas, E
Coli, Enterobacter Cloacae, S Epidermidis, C Perfringens). Il sistema immunitario, ancora immaturo, non arresta la crescita di
queste colonie batteriche con conseguente endotossinemia e
shock.
157
158
Capitolo 6
Quadro clinico
Nei prematuri l’addome inizialmente è palpabile ma con il progredire della malattia diventa disteso e non trattabile. Possono essere
palpate le anse dilatate ed uditi crepitii. Nel 5% dei pazienti si può
avere cellulite della parete addominale e dello scroto con edema ed
iperemia della cute (segni suggestivi di peritonite neonatale).
Nel 30% dei casi compare vomito di tipo biliare dovuto al voluminoso ristagno gastrico. Nel 20% si può avere diarrea muco sanguinolenta, letargia, temperatura instabile (raramente febbre), apnea,
bradicardia e shock.
Diagnosi
Per la diagnosi il quadro clinico deve essere supportato dai segni radiologici.
– Pneumatosi intestinale: sebbene sia patognomonica della
NEC non è sempre presente;
– Aeroportia: il gas intramurale intestinale viene assorbito dal “sistema venoso mesenteriale” fino alla vena porta. Si presenta come
una “arborizzazione” a livello del quadrante superiore destro dell’addome, è presente nel 60% dei pazienti con pan–necrosi;
– Pneumoperitoneo: meglio visualizzabile nella radiografia in
proiezione laterale, è l’espressione di perforazione infettiva
con aria libera in cavità peritoneale;
– Ascite: liquido libero in cavità peritoneale. Si manifesta radiologicamente con una opacità ai fianchi. Ascite e aeroportia
sono associate ad un’alta mortalità, il 40% dei pazienti con
ascite hanno una perforazione intestinale;
– Segno dell’aria intestinale “fissa”: immagini persistenti di
anse intestinali dilatate e fisse per 24–36 ore, suggerisce una
mancanza di peristalsi secondaria a necrosi intestinale.
Alcune volte la paracentesi sotto guida ecografica è utile come
diagnostica accessoria, anche in presenza di estesa pneumatosi intestinale. La presenza di liquido bruno con microrganismi è fortemente suggestiva di gangrena intestinale.
Patologia dell’apparato digerente
159
Terapia
Nei 2/3 dei neonati non è richiesta terapia chirurgica, ma è sufficiente la sola terapia medica fino alla risoluzione clinica della malattia.
La più comune complicanza è la stenosi intestinale, solitamente del
colon. Lo schema diagnostico–terapeutico prevede l’emocoltura, il
posizionamento di un sondino naso–gastrico, la correzione dell’ipovolemia e dell’acidosi attraverso somministrazione di bicarbonati, la
terapia antibiotica, la correzione dell’anemia e della coagulopatia e
una radiografia dell’addome in bianco ripetuta ogni 6–8 ore. Le indicazioni della terapia chirurgica e la procedura operatoria con i tempi
chirurgici vengono riportati nelle tabelle 2 e 3.
Tabella 2
Terapia Chirurgica: indicazioni
La perforazione o necrosi intestinale, documentata con Rx
diretta (pneumoperitoneo) e/o con paracentesi (liquido bruno
con batteri) rappresenta la sola indicazione alla esplorazione
chirurgica
La pneumatosi intestinale non rappresenta una indicazione
alla laparotomia
La presenza di gas nella vena porta è una indicazione relativa
all’esplorazione chirurgica (90% di chi hanno gangrena e 50%
hanno una pan-necrosi)
Tabella 3
N EC: Procedura Ope rator ia
Incisione addom inale tra sve r sa sovr aombe lica le
Esa me della cavità addomina le / li quido pe ri tonea le
Esa me siste matico inte r o tratto G. I. pe r la rice rca di necr os i/per forazioni
Re se zione de l se gme nto necrot ico (unico) + st om ia doppia moncone
dis tale /pross ima le
Re se zione di se gm enti colici multipli + stomia pr ossim ale e s tomia
dis tale (con multiple anastom osi del tra tto inte sti na le)
Pr es er vare più possibile la lunghe zza de ll’inte stino e la valvola il eo-cecale
Una r ese zione m as siva, in cui rim ane me no di 30 cm di inte sti no de ve
ess er e e vitata
6.2 Reflusso gastro–esofageo
Introduzione
Il reflusso gastro–esofageo (RGE) è una condizione frequente in
età pediatrica. Spesso ha un decorso favorevole con tendenza alla
regressione spontanea.
Patogenesi del reflusso
La barriera antireflusso può essere anatomicamente distorta,
come nell’ernia iatale, o funzionalmente abolita. La perdita del tono
sfinteriale per un lungo periodo porta alla creazione di un’unica cavità gastro–esofagea provocando un danno alla mucosa esofagea
160
Capitolo 6
da parte del materiale acido. Il meccanismo di barriera può essere
assente o modificato in particolari condizioni cliniche come:
– Danni cerebrali: pazienti con malattie neurologiche di varia
origine possono avere un deficit della coordinazione respirazione–deglutizione e disturbi della motilità intestinale.
– Anomalie Congenite: neonati operati alla nascita di atresia
esofagea, ernia diaframmatica congenita o difetti della parete
addominale (onfalocele, gastroschisi) frequentemente sviluppano RGE.
– Ostruzioni distali: stenosi ipertrofica del piloro, stenosi duodenale o malrotazione gastrica ritardano lo svuotamento gastrico facilitando il RGE.
Storia naturale
A differenza dell’adulto, nell’infanzia il RGE spesso tende spontaneamente a migliorare. Nonostante non ci siano evidenze manometriche fondate, si è soliti pensare che la barriera esofago–gastrica sia immatura nel neonato e che la progressiva crescita riduca la
tendenza al reflusso. Altri fattori, come il decubito obbligato, i pasti
esclusivamente liquidi (latte materno o artificiale), la piccola dimensione dell’esofago e dello stomaco con scarsa capacità gastrica e
le differenti pressioni vigenti tra l’addome ed il torace favoriscono
il reflusso nel neonato o nel lattante. A partire dai 12–18 mesi e in
alcuni casi anche più precocemente, con lo svezzamento, la maggior parte dei piccoli pazienti tendono a ridurre la sintomatologia,
sopratutto nel momento in cui cominciano ad assumere la stazione
eretta ed avere una alimentazione solida. Dopo i 2 anni solo una
piccola minoranza rimane sintomatica; ed è in questo gruppo, e nei
soggetti neuropatici gravi, che verranno selezionati i pazienti da
sottoporre a terapia chirurgica.
Diagnosi
Nei bambini, il RGE si può presentare con tre diverse manifestazioni patologiche, che in alcuni casi possono coesistere:
– Vomito. È il segno principale nei neonati e nei lattanti. È fre-
Patologia dell’apparato digerente
161
quente. Spesso è post–prandiale e non biliare. Questi bambini presentano un ritardo di crescita ed appaiono malnutriti
dopo pochi mesi. Il vomito termina frequentemente nel momento in cui il bambino comincia a fare i primi passi. Se il RGE
persiste dopo i due anni di età, raramente il vomito continua
a presentarsi se non quando i pazienti assumono particolari
posizioni. Altre conseguenze della presenza di materiale gastrico nell’esofago sono l’alitosi e la perdita progressiva dello
smalto dentale.
– Esofagite. Dovuta alla prolungata esposizione dell’esofago al
contenuto gastrico acido. La mucosa si infiamma formando
infiltrati di neutrofili ed eosinofili fino al sanguinamento. I più
grandi potranno riferire dolore retrosternale o bruciore (pirosi)
mentre i pazienti più piccoli spesso riferiscono dolore addominale non meglio specificato.
– Malattie dell’apparato respiratorio. Crisi asmatiche, polmoniti
o bronchiti recidivanti, atelettasie polmonari o semplicemente
infiammazioni ripetute delle alte vie respiratorie compongono
un vario ed importante gruppo di sintomi e segni che possono
essere associati al RGE per inalazione di contenuto gastrico.
Esami strumentali
– Radiologia. Rx tubo digerente o pasto baritato. Il pasto baritato è la procedura classica utilizzata per fare diagnosi. Oltre
a dare indicazioni di presenza di reflusso esso può fornire informazioni anatomiche (ernia iatale, stenosi esofagee, malrotazioni gastriche) utili per la terapia.
– ECO–GER (ecografia dinamica per lo studio del reflusso gastro–esofageo). Questa procedura ha il vantaggio di essere
un esame non invasivo, può dare informazioni sulla gravità
del reflusso.
– Endoscopia. Consente una visione diretta della mucosa (esofagite).
– PH–metria (monitorizzazione del pH durante le 24 ore). Lo
studio permette di documentare il numero di episodi in cui il
pH scende sotto 4, la loro durata (>5 minuti) e la durata totale
del reflusso.
162
Capitolo 6
– Manometria. Utile per valutare la motilità esofagea e la pressione dello sfintere esofageo inferiore.
Terapia
Il primo approccio terapeutico è sicuramente conservativo e
consiste nel tenere il neonato–lattante in una posizione posturale
corretta tale da provocare il minore reflusso possibile (idonea posizione del piccolo sia durante l’alimentazione che durante il sonno).
Si associano l’uso di farmaci procinetici e anti–acidi.
La terapia chirurgica viene presa in considerazione nel momento
in cui vi sia un fallimento della terapia medica o una severa esofagite o un sanguinamento importante. Le tecniche chirurgiche (secondo tecnica tradizionale open e con approccio laparoscopico) sono
numerose e prevedono una plicatura del fondo gastrico sull’esofago, le principali sono la funduplicatio sec. Nissen (plicatura di
360°), la emifunduplicatio sec. Toupet, sec. DOR (plicatura di 180°)
o in casi particolarmente gravi, in bambini spesso cerebropatici, la
dissociazione esofago gastrica (EGD) con esofago–digiunostomia
su ansa alla Roux secondo A. Bianchi.
6.3 Stenosi Ipertrofica del Piloro
La stenosi ipertrofica del piloro (SIP) è l’ipertrofia dello strato
circolare e dello strato longitudinale della muscolatura della parete
dello sfintere pilorico: il piloro risulta perciò aumentato sia in lunghezza che in spessore. La SIP è la più comune causa di ostruzione
intestinale nei primi mesi di vita con una incidenza di 2–4 casi ogni
1000 nati vivi con rapporto maschi–femmine di 4:1. L’eziologia
rimane sconosciuta e controversa, sicuramente multifattoriale. Non
è da considerare un’anomalia congenita, ma una malattia acquisita
perché normalmente si manifesta clinicamente dopo 2–4–6 settimane dalla nascita con vomito a getto post–prandiale non biliare.
Patologia dell’apparato digerente
163
Sintomatologia
Il sintomo fondamentale è il vomito a getto non biliare che si
presenta dopo il pasto latteo, talvolta può esserci un vomito ematico a causa di erosioni della mucosa per il reflusso gastro–esofageo.
Il vomito persistente causa la perdita progressiva di peso e squilibri
idroelettrolitici. Nel 2–17% dei pazienti è presente un ittero a bilirubina indiretta.
Diagnosi
Dopo che il bambino ha vomitato o in momenti in cui il piccolo
appare tranquillo possono esserci segni di iperperistalsi gastrica
oppure è possibile palpare in regione epigastrica, lievemente a destra della linea mediana, una tumefazione dura e compatta (oliva
pilorica). Lo studio ecografico rappresenta l’esame fondamentale
per la diagnosi di SIP, dimostrando un allungamento e un aumento
di spessore della muscolatura del piloro (C. Spinelli et al. Muscle
thickness in infants hypertrophic pyloric stenosis. Ped Med Chir
2003). Lo studio radiologico con bario evidenza una dilatazione
gastrica ed un canale pilorico allungato ed incurvato, con i due
segni caratteristici della corda concava verso l’alto “string sign” e
della doppia traccia “double track sign” (Fig 1–2).
Figura 1 – Stenosi ipertrofica del piloro.
Figura 2 – Stenosi ipertrofica del piloro.
164
Capitolo 6
Terapia chirurgica
La terapia della SIP è chirurgica. Prima di sottoporre il neonato–lattante all’intervento bisogna correggere l’eventuale stato di
disidratazione e l’alcalosi metabolica. Al momento della diagnosi si
procede al posizionamento di un sondino naso–gastrico al fine di
decomprimere lo stomaco. Si esegue successivamente una piloromiotomia extramucosa secondo Fredet–Ramstedt (con approccio
tradizionale open o laparoscopico) in cui lo strato sieroso e la parete muscolare della porzione pilorica vengono incisi con bisturi a
lama fredda. Le fibre muscolari vengono dissociate fino ad esporre
la mucosa che tende ad estroflettersi (Fig. 3–5).
Figura 3 – Isolamento oliva pilorica.
Figura 4 – Incisone dello strato muscolare.
Figura 5 – Estroflessione della mucosa.
Patologia dell’apparato digerente
165
6.4 Invaginazione intestinale
Con il termine “invaginazione” si intende l’introflessione di
una parte dell’intestino (tenue o colon) in sé stesso, a dito di
guanto rovesciato, portando all’occlusione del lume intestinale
con conseguente compromissione della vascolarizzazione (venosa e arteriosa) dopo 24–36 ore. La causa è spesso misconosciuta, nella maggior parte dei casi si parla di una forma idiopatica:
un ruolo importante sembra essere rappresentato dall’iperplasia
delle placche di Peyer a livello dell’ileo terminale che, protudendo nel lume, favorirebbero l’invaginazione. Nei restanti casi, si
presenta come patologia secondaria a diverticolo di Meckel, polipi intestinali, angiomi, duplicazioni intestinali, linfoadenopatie
multiple addominali para–intestinali e linfadenite mesenteriale.
Anche la porpora di Schöenlein–Henöch e la fibrosi cistica favoriscono tale patologia.
Epidemiologia
La forma idiopatica è una patologia tipica dell’infanzia, tra i
6 e i 24 mesi, alcuni casi sporadici si riscontrano anche in epoca
più tardiva. Essa si verifica prevalentemente nel periodo di passaggio dalla dieta lattea a quella solida nel bambino tra il 6°–10°
mese con un rapporto M:F di 3:2, mentre la forma secondaria si
può verificare in tutte le età anche se raramente dopo i 6 anni.
Tipologie
L’80% delle invaginazioni riguardano l’ultimo tratto ileale che si
invagina nel cieco e si dividono in:
– Invaginazione ileo–cieco–colica: la testa è la valvola ileo–cecale la quale penetra nel colon destro.
– Invaginazione ileo–colica: la testa è l’ileo, la valvola ileo–cecale rimane fissa.
– Invaginazione ileo–ileale
– Invaginazione digiuno–ileale
– Invaginazione colon–colica
166
Capitolo 6
Sintomatologia
Comparsa improvvisa, in pieno benessere: stato soporoso o letargico che può addirittura apparire preponderante rispetto alla
sintomatologia addominale. Essa si caratterizza da dolori addominali crampiformi che ricorrono ad intervalli frequenti, accompagnati da pianto, sforzi evacuativi, vomito biliare, feci con sangue vivo e
muco (“a gelatina di ribes”) (segno tardivo).
All’ispezione l’addome risulta progressivamente disteso. La palpazione a livello del quadrante superiore di destra può rilevare una massa
moderatamente dolente che può aumentare di consistenza durante
un episodio doloroso. Sul dito esploratore alla fine dell’esplorazione
rettale si possono presentare tracce di muco con sangue.
Diagnosi
L’iter diagnostico prevede, in caso di sospetta invaginazione intestinale, l’esecuzione di una ecografia addominale e di un clisma
opaco (Rx clisma con bario).
Ecografia: segno di pseudokidney (due anelli a bassa ecogenicità separati da un anello iperecogeno) oppure (segno del bersaglio), anelli concentrici in sezione trasversale). (Fig. 6).
Rx clisma con bario: evidenzia un difetto di riempimento. Il passaggio
intestinale di bario è arrestato dal tratto invaginato. Il clisma, favorendo la
Figura 6. – Ecografia invaginazione
intesinale
Figura 7 – Risoluzione di invaginazione
ileo–colica idiopatica in bambino di 2 anni
mediante rx clisma con bario.
Patologia dell’apparato digerente
167
progressione del bario e pertanto la devaginazione dell’ansa invaginata
può risultare, oltre che diagnostico, terapeutico (Fig. 7).
Terapia
Come primo approccio si effettua un tentativo di riduzione idrostatica (rx clisma) dell’invaginazione ileo–cieco–colica sotto guida
fluoroscopica. Essa può essere risolutiva fino all’80% dei casi nelle
prime 48 ore. Dopo riduzione idrostatica il bambino viene rialimentato e monitorizzato nelle ore successive, sia valutando le condizioni cliniche che tramite esame ecografico. La terapia chirurgica
si esegue in caso di evidenti segni di peritonite in primis o dopo
insuccesso della riduzione idrostatica o in caso di invaginazioni
ileo–ileali, troppo prossimali per la risoluzione tramite il metodo
idrostatico. In presenza di ischemia o gangrena intestinale, si impone la resezione ed anastomosi del tratto invaginato.
6.5 Appendicite acuta
È la più comune urgenza chirurgica addominale in età pediatrica. Una diagnosi di appendicite acuta eseguita troppo superficialmente può portare ad un intervento non necessario (appendice
bianca), mentre una diagnosi tardiva può essere responsabile di
severe complicanze (peritonite appendicolare).
Epidemiologia
Il picco di incidenza è tra i 5 e i 15 anni. Raramente si può manifestare
al di sotto dei 5 anni ed eccezionalmente sotto i 2 anni. Con il miglioramento delle condizioni igienico–sanitarie ed alimentari si è registrata
una diminuzione del numero di appendicectomie in tutti i Paesi.
Eziopatogenesi e fisiopatologia
L’appendicite acuta consegue prevalentemente all’ostruzione del lume appendicolare da parte di un coprolita (tab 4). Il
lume ostruito va incontro alla proliferazione di flora batterica
168
Capitolo 6
sia aerobia che anaerobia con
edema della mucosa, iperplasia dei linfatici ed ingorgo circolatorio fino alla gangrena e
alla perforazione della stessa
(tab 5).
Tra l’inizio della sintomatologia e la perforazione di solito
passano dalle 36 alle 48 ore,
nei più piccoli 24 ore.
Sintomatologia
– Dolore: inizialmente è periombelicale generalizzato e si localizza
dopo circa 6–36 ore in fossa iliaca destra (punto di Mc Burney).
Generalmente è fisso ed ingravescente (raramente di tipo colico)
e progredisce fino alla perforazione appendicolare seguita da
peritonite pelvica o diffusa. Nel caso di appendice retrocecale il
dolore può essere minimo, oppure presentarsi in sede anomala,
a livello del fianco destro o posteriormente a livello del dorso.
– Febbre: febbricola (T.C. 37–37.5° C) nelle forme non complicate in caso di peritonite febbre elevata a valori di 38°–39° C.
– Vomito: inizialmente di tipo alimentare, poi biliare. Segue il dolore
addominale, usualmente si verifica non più di una o due volte.
– Diarrea: l’alvo può essere chiuso ma, in presenza di peritonite
pelvica può esserci diarrea anche severa (Tab. 6).
– Inappetenza
Patologia dell’apparato digerente
169
Diagnosi
L’esame obiettivo dell’addome è l’aspetto diagnostico più rilevante nella appendicite acuta.
Alla palpazione è presente una spiccata dolorabilità nel punto di Mc Burney con resistenza in fossa iliaca destra e positività
del segno di Blumberg e di Roswing in caso di peritonismo.
Nell’appendicite si rileva leucocitosi neutrofila, nel 90% dei
casi con aumento degli indici di flogosi acuta (Ves, PCR, Fibrinogeno).
Da 12.000 a 20.000 leucociti è indice di appendicite acuta,
da 20.000 a 30.000 di appendicite perforata. In alcuni bambini
con scarsa risposta immunitaria la conta dei leucociti può essere
normale o anche diminuita sopratutto nei casi di ascessi appendicolari circoscritti.
L’ecografia pelvica esclude nelle bambine patologie ginecologiche (torsione ovaio, cisti annesssiale). Segni ecografici suggestivi di appendicite acuta sono:
– L’aumento del diametro (> 6 mm) e dello spessore della
parete (> 2 mm) dell’appendice (pareti edematose e lume
non compressibile, anecogeno).
– Presenza di raccolta liquida periappendicolare o pelvica.
Nei casi dubbi risulta utile l’esecuzione della TAC.
Terapia
La terapia è chirurgica e consiste nell’intervento di appendicectomia.
Esso può essere eseguito mediante un accesso tradizionale
(open) con centimetrica incisione sul punto di Mc Burney o per via
laparoscopica o video–assistita (tecnica T.U.L.A.A.). La terapia antibiotica pre–operatoria riduce il rischio di gangrena, di perforazione
dell’appendice e di infezioni post–operatorie della ferita.
Nel post–operatorio il piccolo verrà sottoposto a terapia antibiotica anche combinata a seconda dello stadio della patologia.
170
Capitolo 6
6.6 Emorragie digestive e poliposi in età pediatrica
Si definiscono emorragie digestive le perdite ematiche che si verificano a tutti i livelli entro il lume del tubo digerente. Si possono classificare in base alla sede del sanguinamento, in relazione al legamento di
Treitz in: emorragie digestive superiori (origine prossimale al Treiz) ed in
emorragie digestive inferiori (origine distale al Treiz).
– Ematemesi: emissione di sangue con il vomito. Il sangue emesso
può avere due principali aspetti. Rosso vivo se l’emorragia è stata
importante e rapida, caffeano se è stata importante ma lenta.
– Melena: emissione di feci nere, contenenti cioè sangue digerito i
cui pigmenti sono stati trasformati dall’azione dei succhi digestivi
e dalla flora batterica intestinale. Sanguinamenti possono essere
sia prossimali che distali al Treiz.
– Proctorragia: emissione di sangue rosso vivo, che tende a coagulare, espressione di sanguinamenti distali del colon (colon sinistro
o anoretto).
Età e causa di sanguinamento
L’età del bambino è fortemente correlata con le cause di sanguinamento.
Nei neonati (<1 mese):
– Passaggio di sangue dal retto per ingestione di sangue materno al
momento della nascita (il neonato è emodinamicamente stabile).
– Esofagite da reflusso
– Enterocolite necrotizzante (sangue e muco) in neonati prematuri
– Volvolo dell’intestino medio
– Malattia emolitica del neonato
– Nella metà dei casi, la causa di sanguinamento può rimanere sconosciuta.
Nell’infanzia (2–12 mesi):
– Ragade anale
– Esofagiti associate a reflusso gastro–esofageo
– Invaginazione intestinale
Patologia dell’apparato digerente
171
– Volvolo dell’intestino medio
– Duplicazioni intestinali (con ectopia di mucosa gastrica)
In età prescolare (da 1 a 5 anni):
– Poliposi giovanile del colon: molto comune, con un incidenza di
1:1000 bambini con prevalenza maschile. Il polipo è unico nel
70% dei casi con un diametro che può variare da pochi millimetri a 1 cm. La mucosa appare normale o raramente ulcerata. Si
localizzano con prevalenza nel retto (70%), nel sigma (15%), e nel
colon sinistro, nel trasverso e nel cieco (15%), non sono presenti
nel tenue. Si manifestano con emorragie intermittenti e possono prolassare. Non è raro in età pediatrica un’auto–amputazione
del polipo. L’esame diagnostico di scelta è la colonscopia.
– Poliposi iperplastica linfonodale: sono polipi linfoidi sottomucosi
ulcerati in superficie. Il picco di incidenza di questa affezione è
intorno ai 4 anni, essa tende alla regressione spontanea. I polipi
linfatici si possono localizzare nell’ileo, nel colon e nel retto.
In età scolare (>5 anni):
– Poliposi da sindrome di Peutz Jeghers: malattia autosomica dominante caratterizzata dalla presenza di polipi amartomatosi benigni sparsi per tutto il tratto intestinale. Si localizzano a livello
dell’ileo nel 90% dei casi e sono multipli, di pochi millimetri di
diametro; si possono trovare anche a livello dello stomaco, duodeno, colon, retto, cavità orale, nasale, vescica e bronchi. Essa si
associa a iperpigmentazione cutanea della mucosa intorno alle
labbra, della mucosa orale, nel viso, nei genitali e sui palmi delle
mani. I segni sono caratterizzati da anemia, sanguinamento ed
invaginazione intestinale. Sebbene siano polipi benigni nel 12%
dei casi possono degenerare dopo 25 anni dalla diagnosi.
– Poliposi familiare adenomatosa (PAF): è un disordine ereditario
che colpisce indistintamente maschi e femmine ed è caratterizzata dalla presenza su tutto il colon di multipli polipi adenomatosi di diametro variabile da 2 mm a 2 cm. Il rischio di sviluppare un
carcinoma del colon è quasi del 100%. La diagnosi si esegue generalmente dai 10–16 anni. Intorno ai 25 anni si può manifestare
la sintomatologia, verso i 40 anni si può sviluppare il carcinoma.
La terapia consiste in una colectomia totale con mucosectomia
172
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–
Capitolo 6
del retto (i pazienti possono sviluppare carcinoma della mucosa
rettale se viene conservata).
Sindrome di Gardner: è una variante della PAF caratterizzata da
polipi intestinali associati ad osteomi multipli (principalmente
mandibola, cranio e ossa lunghe), cisti epidermoidi, fibromatosi
e anomalie di dentazione.
Sindrome di Turcot: variante rara di poliposi del colon associata
a tumori del sistema nervoso centrale, principalmente gliomi.
Diverticolo di Meckel si può manifestare clinicamente nel 40%
con sanguinamento: di tipo intermittente, senza dolore (melena;
sangue occulto, con anemia; sanguinamento massivo), ulcera
peptica localizzata alla base del diverticolo (punto di passaggio
tra ectopia gastrica e mucosa ileale). Utile nella diagnosi la radiografia del tenue e la scintigrafia con Tc99m (ipercaptazione della
mucosa gastrica ectopica). Nel 35% con occlusione o subocclusione intestinale. Acuta o ricorrente. Nel 15% con flogosi acuta,
con una sintomatologia simil–appendicolare, prevalentemente
in età scolare.
Malattia infiammatoria cronica intestinale (colite ulcerosa).
Varici esofagee da ipertensione portale.
Malformazioni vascolari: in particolare emangiomi (localizzati a livello del retto–sigma, >2 cm); emangiomatosi intestinale diffusa
(colon–tenue); angiodisplasia tenue–colon.
Diagnosi
Le principali metodiche per una diagnosi di emorragia digestiva
sono:
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Esofagogastroduodenoscopia
Colonscopia
Capsula endo–orale (videocapsula)
Scintigrafia con Tc99 per visualizzare la mucosa gastrica
ectopica
Scintigrafia con emazie marcate
Angiografia
TC addome (duplicazioni intestinali o angiomi)
Laparoscopia
Patologia dell’apparato digerente
173
– Laparotomia (palpazione, colonscopia intraoperatoria con trans–
illuminazione)
6.7 Patologia della milza di interesse chirurgico
Anatomia e fisiologia
La milza è un organo impari di colorito rosso violaceo addossato
alla parete addominale postero–laterale, al di sotto del diaframma,
in prossimità della nona, decima e undicesima costa. Il volume varia in rapporto all’età. Nel primo anno di vita, pesa all’incirca 17g,
gradualmente aumenta fino ad arrivare nell’adulto ad un peso medio di 150–170 grammi. I diametri normali dell’organo misurano
4x7x12 cm. Essa svolge un duplice ruolo dovuto alle due diverse
strutture che la compongono. La polpa rossa riveste un ruolo importante nel sequestro e nella fagocitosi dei globuli rossi invecchiati o morfologicamente alterati. La polpa bianca ha invece un
compito immunologico, in essa vengono prodotti sia linfociti B che
linfociti T.
Embriologia ed anomalie
L’abbozzo splenico appare sul lato sinistro del mesogastrio dorsale approssimativamente nella 5a settimana di sviluppo embrionale misurando circa 8 mm. Quando lo stomaco cambia la sua posizione anche la milza si sposta sulla sinistra, seguendo la rotazione
della grande curvatura gastrica. I primi precursori dei globuli rossi
si identificano tra la 6 e la 7 settimana di vita intrauterina e dal 3° al
6° mese comincia ad assumere un ruolo essenziale nell’emopoiesi.
Intorno alla 20 settimana si formano i primi reticolociti. La mancata
fusione di uno o più piccoli abbozzi splenici porterà alla formazione di una milza accessoria, se uno dei due abbozzi sarà maggiore
dell’altro o, se i due abbozzi si equivarranno, si svilupperà una polisplenia. L’inclusione di epitelio peritoneale o di gruppi di cellule
mesoteliali può essere responsabile della formazione di cisti intraspleniche definite cisti vere. Nella sua rotazione la milza entra in
contatto con l’abbozzo gonadico di sinistra che, nel momento
174
Capitolo 6
in cui comincia la sua discesa può portare parte di parenchima
splenico fino alla pelvi nella donna o fino allo scroto nel maschio.
Metodiche d’indagine
– Radiografia dell’addome in bianco: può fornire utili indizi sul
volume della milza e sulla presenza di calcificazioni.
– Ecografia splenica: fondamentale nello studio di questo organo. Da informazioni sul volume, sulla morfologia, sul grado di
ecogenicità del parenchima e sulla presenza di lesioni focali.
– TAC addome: è impiegata generalmente per una migliore risoluzione spaziale delle lesioni e per lo studio di altri organi
addominali.
– RMN addome: in grado di fornire immagini con una maggiore risoluzione di contrasto.
– Angiografia: per lo studio della vascolarizzazione splenica.
– Scintigrafia: con Tc99m per valutare l’integrità del sistema reticolo–endoteliale o con emazie marcate per valutare la funzione emocateretica.
Splenomegalie
Le cause dell’aumento volumetrico della milza vengono riportate nella tabella 7.
La “sindrome da ipersplenismo” rappresenta una condizione
fisiopatologica di iperattività della milza, talvolta associata a splenomegalia nella quale sono esaltate le funzioni di filtro, sequestro
e produzione anticorpale. Essa provoca distruzione delle cellule circolanti soprattutto leucociti e piastrine.
Terapia
L’asportazione della milza comporta una riduzione delle difese immunitarie con aumentato rischio di sepsi (pneumococco,
Patologia dell’apparato digerente
175
Tab. 7 – Causa di splenomegalie.
Splenomegalia da
risposta immunitaria
Citomegalovirus, endocardite batteriche,
mononucleosi.
Splenomegalia da
distruzione emazie
Talassemie, sferocitosi, difetto di piruvato chinasi
Splenomegalia
congestizia
Trombosi vena splenica o porta, cirrosi, pericardite
costrittiva
Splenomegalia
infiltrativa
Amiloidosi, sarcoidosi, malattia di Gaucher.
Splenomegalia
neoplastica
Tumori primitivi benigni, maligni e localizzazioni
secondarie
Splenomegalia
connettivitica
LES, artrite reumatoide giovanile
Tab. 8 – Indicazioni alla splenectomia.
Mediche
Sferocitosi
Anemia emolitica autoimmune e piastrinopenia
autoimmune
Porpora trombocitopenica idiopatica
Ipersplenismo
Malattia da accumulo
Malattia di Hodgkin
Chirurgiche
Trauma
Cisti e tumori primitivi
Emangiomi e Linfomi
h. influentiae) soprattutto nei bambini con un’età inferiore ai 5
anni prevalentemente nei due anni successivi. Il rischio è ele-
176
Capitolo 6
vato dopo splenectomie eseguite per malattie immunitarie, è
basso nelle splenectomie eseguite per trauma. Le indicazioni
chirurgiche alla splenectomia sono riportate nella Tab. 8.
6.8 Tumori epatici in età pediatrica
Si distinguono in benigni e maligni:
TUMORI
EPATICI BENIGNI
Tumori vascolari
Angioma multinodulare diffuso
–
Angiomi solitari
–
Emangioandotelioma infantile
–
Tumori solidi
–
–
–
–
–
Amartoma mesenchimale
Adenoma epatico
Iperplasia nodulare focale
Iperplasia nodulare segmentaria
Pseudotumore infiammatorio
Tumori cistici
–
–
–
Linfangiomi
Cisti biliari
Cistoadenoma multiloculare
Diagnosi
Sono frequentemente asintomatici, spesso emergono da un riscontro occasionale o durante un’ecografia (anche prenatale); meno
frequentemente si possono rilevare clinicamente come una massa
addominale oppure manifestarsi con un quadro di addome acuto a
seguito di emorragia spontanea intratumorale, rottura traumatica e
sovrainfezione.
Patologia dell’apparato digerente
TUMORI
177
EPATICI MALIGNI
I tumori maligni del fegato sono rari nell’infanzia, con un’incidenza variabile dallo 0.5 al 2% di tutti i tumori pediatrici e dall’1
al 4% di tutti i tumori solidi. Possono essere classificati:
– Epatocarcinoma
– Epatoblastoma
Altri tumori rari:
– Sarcoma embrionale indifferenziato
– Angiosarcoma
– Rabdomiosarcoma embrionale delle vie biliari.
TUMORI EPATICI METASTATICI
–
–
–
Neuroblastoma
Tumore di Wilms
Linfomi
• EPATOCARCINOMA
Tumore tipico dell’età adulta, può presentarsi anche nel bambino
con due picchi di massima frequenza, il primo nei bambini con meno
4 anni e il secondo negli adolescenti con più di 12 anni.
Nel 60% dei casi il tumore si sviluppa in soggetti affetti in precedenza da patologie epatiche quali:
– Cirrosi biliari (post–atresiche o post–epatitiche B e C);
– Tirosinemia, m. di Niemann–Pick, m. di Gaucher, anemia di
Fanconi.
Clinica
Si presenta più frequentemente come una massa addominale
(80% dei casi), accompagnata da: anoressia, dolori addominali, malessere, febbre, nausea, vomito, ittero.
178
Capitolo 6
Terapia
Trattamento chirurgico associato a polichemioterapia.
Prognosi
Severa, sopravvivenza a 5 anni dal 44% al 49%.
• EPATOBLASTOMA
Raro tumore che rappresenta la più comune neoplasia maligna
primitiva del fegato in età pediatrica.
Epidemiologia
Rappresenta il 27 % di tutti i tumori epatici infantili. Incidenza
0.7/100000, prevalentemente tra i 6 mesi e i 3 anni (50% entro il primo anno di vita), con rapporto maschi/femmine di 1.7: 1.
Associazione con altre sindromi genetiche
–
–
–
–
–
–
Trisomia 18, 20, 21
Poliposi adenomatosa familiare
Tumore di Wilms
Emiipertrofia corporea
S.me di Beckwith–Wiedemann
Prematurità
Eziopatogenesi
Il tumore deriva da una degenerazione maligna del blastema epatico, da cui prende origine sia la componente epiteliale che la componente mesenchimale.
Anatomia patologica
Massa solitamente unica ad interessamento monolobare nel 60%
dei casi, bilobare nel 30% o multicentrico nel 10%. Al momento del-
Patologia dell’apparato digerente
179
la diagnosi le metastasi sono presenti nel 10–20% dei casi, più
frequentemente localizzate al polmone, al SNC e al tessuto osseo.
È classificabile in:
Forma epiteliale (56%):
–
–
–
–
fetale 31%
embrionale 19%
macrotrabecolare 3%
a piccole cellule (indifferenziato) 3%
Forma mista epiteliale/mesenchimale (44%):
–
–
teratoide
non teratoide
Gli elementi mesenchimali più comuni sono rappresentati da
osteoidi e tessuto cartilagineo. La pura istologia fetale possiede una
prognosi migliore.
Clinica
Inizialmente asintomatico, successivamente si presenta come un
massa addominale, spesso accompagnata da distensione addominale, dolore, nausea, vomito,
dimagrimento, anoressia, febbre.
Solo tardivamente si manifesta
con ittero.
Diagnosi
Esame Obiettivo: massa irregolare palpabile in ipocondrio
destro, epigastrio, di consistenza
dura, mobile con gli atti respirato- Figura 8 – Bambina di 4 anni con epatoblastoma.
ri, poco o nulla dolente.
Laboratorio: anemia, trombocitosi, aumento della ferritina; nel 90–
100% dei casi si riscontra aumento della Alfa feto proteina (AFP) sintetizzata dalle cellule tumorali.
180
Capitolo 6
Imaging: Ecografia addome superiore: massa ben definita, iperecogena, solida, solitamente non cistica:
– TC/RM addome (fig. 8)
– RX/TC torace
Biopsia: dirimente, nelle forme in cui non aumenta l’AFP.
Terapia
Asportazione del tumore primitivo o secondaria ad una polichemioterapia. Chirurgia + Chemioterapia (neo)–adiuvante.
Staging
Stadiazione preoperatoria SIOP (International Society of Paediatric Oncology). In questo sistema classificativo il fegato viene diviso in
quattro settori e la stadiazione si basa sull’estensione del tumore nei
vari settori.
– Stage I: tumore in un settore;
– Stage II: tumore invade 2 settori;
– Stage III: tumore invade due o tre settori, un settore o due settori
non–adiacenti liberi;
– Stage IV: tumore in tutti e quattro settori.
Stadiazione postoperatoria del Children’s Cancer Study Group,
spesso utilizzata ai fini prognostici (Tab. 9).
Tab. 9 – Stadiazione post–operatoria
STADIO
I
TUMORE LOCALIZZATO E COMPLETAMENTE RESECATO
II
TUMORE RESECATO CON RESIDUI MICROSCOPICI
III
TUMORE NON RESECATO O RESIDUI MACROSCOPICI
IV
MALATTIA METASTATICA (POLMONI, OSSA, MIDOLLO OSSEO, SNC)
Patologia dell’apparato digerente
181
Prognosi
La migliore sopravvivenza si ha nei pazienti in stadio I e II (tumore completamente resecato R0 o con residui microscopici R1)
e sottoposti a CT (80–100%). Nei pazienti in stadio III (tumore non
completamente resecato e/o grossi residui macroscopici) la sopravvivenza a 5 anni scende al 56%. Pazienti in stadio I con istologia dominante di tipo fetale hanno una sopravvivenza del 95%.
182
Capitolo 6
Capitolo 7
PATOLOGIA URO–ANDROLOGICA
7.1 Varicocele
Definizione
Il varicocele è una ectasia ed allungamento delle vene del plesso pampiniforme.
Incidenza
Nell’adulto l’incidenza è del 19,3% mentre nel bambino sotto i
10 anni d’età è di 5,7%; ciò fa sospettare che la comparsa di questa affezione coincida, in un gran numero di casi, con la pubertà. Il
varicocele è localizzato nel 93 % dei casi a sinistra, nel 5% bilaterale
e nel 2% dei casi a destra
Eziopatogenesi
I dati epidemiologici evidenziano come la pubertà sia un momento critico per la comparsa di questa affezione. C’è da rilevare
che durante la maturazione puberale si ha un accrescimento volumetrico del testicolo che non trova analogie, per quanto attiene
l’intensità e la velocità, con altre curve di crescita. Il supporto nutrizionale per questo processo biologico sarebbe da individuare in
una condizione di iperafflusso arterioso alla gonade, secondario
all’attivazione gonadotropinica che segna l’inizio della pubertà.
Tale condizione di iperafflusso è sostenuta da 3 sistemi arteriosi
(spermatica; deferenziale; cremasterica), mentre il ritorno venoso è
di competenza del sistema della spermatica interna, che, per molte
183
184
Capitolo 7
considerazioni anatomiche e funzionali, appare meiopragico. Tanto
più criticamente si realizza questo iperafflusso, tanto più facilmente
si viene a determinare una discrepanza artero – venosa che cerca
di trovare in compensi vascolari un qualche equilibrio. Il dato statistico, già riferito, della presenza di varicocele in netta prevalenza a
sinistra ha suggerito un’ipotesi eziopatologica: la vena spermatica
destra drena direttamente nella vena cava con un angolo acuto,
mentre la vena spermatica sinistra nella vena renale sinistra con un
angolo retto, rendendo così più difficoltoso il drenaggio; si spiegherebbe così l’alta incidenza del varicocele a sinistra. Altre ipotesi
da considerare sono:
– Alterazioni embriologiche nello sviluppo del sistema venoso
della spermatica interna;
– Assenza di valvole nella vena spermatica sx;
– Compressione della vena renale sx, da parte della aorta e della
arteria mesenterica superiore nota come fenomeno di nutcracker (ipertensione reno – spermatica sx) o Coolsaet tipo I;
– Compressione della vena ipogastrica sx da parte della arteria
iliaca dx (ipertensione iliaco – testicolare) o Coolsaet tipo II;
– Combinazione degli eventi patogenetici (tipo I e tipo II) o
Coolsaet tipo III (Fig. 1).
Figura 1 – Classificazione Di Coolset. A) Tipo I; B) Tipo II; C) Tipo III; 1) V. Cava; 2) Aorta;
3) V. Renale; 4) Arteria Mesenterica Superiore; 5) Arteria Iliaca Destra; 6) Vena Iliaca Sinistra.
Patologia uro–andrologica
185
Diagnosi
La sintomatologia nel soggetto affetto da varicocele primitivo è generalmente poco significativa, spesso silente. Una minoranza di casi riferisce una modesta sintomatologia gravativa
o tensiva a carico dell’emiscroto interessato, di solito il sinistro,
specie in occasione di sforzi fisici. La diagnosi di varicocele destro è piuttosto rara e può realizzarsi per una trombosi occlusiva
della vena cava inferiore, in pazienti con situs viscerum inversus,
o per patologie della regione retroperitoneale, più frequentemente di tipo neoplastica. Un certo numero di pazienti arriva
infine all’osservazione riferendo infertilità. L’esame obiettivo
è rivolto al riscontro delle ectasie venose del plesso pampiniforme che caratterizzano il varicocele. L’esame obiettivo deve
naturalmente essere condotto tanto in clinostatismo quanto in
ortostatismo, sia in condizioni di riposo, sia invitando il paziente
a compiere la manovra di Valsalva.
Numerose sono le classificazioni del varicocele; la più utilizzata è quella di Hörner:
– Varicocele di I grado: subclinico (solo reflusso spermatico, valutabile con l’eco–color doppler.);
– Varicocele di II grado: palpabile;
– Varicocele di III grado: palpabile e visibile.
Un altro importante reperto da valutare con molta attenzione
è la presenza di ipotrofia del testicolo omolaterale al varicocele
(si definisce testicolo ipotrofico se la discrepanza è >2 ml o >20%
rispetto al controlaterale).
L’ipotrofia può incidere addirittura fino al 93% nei pazienti infertili affetti da varicocele. La riduzione del volume testicolare si
spiega con l’ipotrofia degli elementi cellulari dei tubuli seminiferi e
del diametro del tubuli stessi.
Per completare l’iter diagnostico è necessario eseguire:
– Ecografia color Doppler, per valutare il volume dei testicoli e
il grado di reflusso nella vena spermatica interna.
– Spermiogramma, da fare 2–3 anni dopo la pubertà, che potrà
186
Capitolo 7
evidenziare soprattutto un aumento di forme anomale e una ridotta mobilità degli spermatozoi, oltre che un ridotto numero.
– Dosaggio ormonale, di LH–FSH–Testosterone: anche se poco
utile per le variazioni fisiologiche in età adolescenziale, la valutazione del FSH sembra avere valore predittivo di disfunzione testicolare ma non di infertilità.
Varicocele ed infertilità
Uno studio epidemiologico, condotto dall’OMS, ha indicato la prevalenza del varicocele nel 11,7% della popolazione generale maschile e nel
25,4% in quella infertile. Questo riscontro ha confermato la convinzione
che il varicocele sia la più comune causa di infertilità maschile, anche se
non tutti concordano sulla stretta connessione varicocele – infertilità, poiché soggetti affetti da questa patologia possono essere ugualmente fertili. I meccanismi patogenetici, attraverso i quali il reflusso di sangue nella
vena spermatica altera la spermatogenesi, non sono ancora stati completamente chiariti: probabilmente l’aumento della pressione venosa, la
stasi, l’aumento della temperatura, un’alterata produzione androgenica
testicolare, ed altri fattori attualmente sconosciuti, agiscono direttamente
sul parenchima tissutale, danneggiandolo. A sostenere la relazione varicocele – infertilità, oltre ai danni diretti, bisogna considerare l’elevata incidenza di difetti associati come la “Sertoli cell–only sindrome”. Per evidenziare queste alterazioni sarebbero necessari studi istologici, non sempre
possibili, perché la biopsia o la agoaspirazione testicolare non vengono
eseguite routinariamente.
Le alterazioni istologiche testicolari sono state riscontrate in entrambi
i testicoli nei maschi adulti con un varicocele unilaterale. Esse consistono
prevalentemente in:
– un decremento della spermatogenesi (arresto o incompleta
maturazione da spermatidi a spermatociti)
– un decremento del diametro dei tubuli seminiferi
– una iperplasia delle cellule di Leydig
– una ipoplasia delle cellule del Sertoli
Anatomia chirurgica del funicolo spermatico:
– Il funicolo spermatico è un organo a forma di cordone cilin-
Patologia uro–andrologica
187
droide costituito da un insieme di strutture che percorrendo il
tragitto inguinale raggiungono il testicolo o da esso prendono origine; ha consistenza molle ad eccezione del condotto
deferente ed una lunghezza variabile fino a 14cm.
– È formato esternamente da una serie di membrane:
• la fascia spermatica esterna;
• la fascia cremasterica e il muscolo cremastere;
• la fascia spermatica interna;
– La parte interna è rappresentata:
•
•
•
•
•
•
•
dal condotto deferente;
da vasi linfatici;
dal ramo genitale del nervo genitofemorale;
dalle arterie testicolari (spermatiche) rami dell’aorta addominale;
dalle arterie deferenziali rami della arteria vescicolo–deferenziale;
delle arterie cremasteriche rami della epigastrica inferiore;
dalle vene del gruppo anteriore e del gruppo venoso posteriore.
Il gruppo venoso anteriore è il
più cospicuo, rappresentato da 2–
6 grosse vene, plessiformi, flessuose indicate come “pampiniformi”
o vene testicolari propriamente
dette. Esse sono anastomizzate tra
loro; le anastomosi determinano
una sorta di rete a maglie allungate e ristrette il cui insieme viene definito “plesso pampiniforme”, che
confluisce nella vena spermatica
interna. Il gruppo venoso posteriore, satellite del dotto deferente, è
costituito da vene di calibro minore
e meno numerose, che si liberano
nella vena epigastrica inferiore.
Figura 2 – Circolo venoso profondo del
testicolo. 1. Vene centrali del testicolo, 2.
Gruppo anteriore del plesso pampiniforme, 3. Deferente, 4. Gruppo posteriore del
plesso pampiniforme, 5. Vena spermatica
esterna, 6. Vena deferenziale.
188
Capitolo 7
Terapia
Essa può essere eseguita mediante tecniche chirurgiche (open
o laparoscopiche–retroperitoneoscopiche), o tecniche radiologiche percutanee (quali la scleroembolizzazione retrograda e
la sclerotizzazione anterograda
secondo Tauber). Tecnicamente la varicocelectomia inguinale o sub–inguinale open, è
caratterizzata da una legatura
selettiva delle vene ectasiche
intra– ed extra–funicolari con
conservazione dei vasi arteriosi e linfatici (Lymphatic–sparing
microscopic varicocelectomy). Figura 3 – Lymphatic–sparing microscopic
varicocelectomy. (C. Spinelli et al. “LymphaNell’adolescente o giovane tic–Sparing Microscopic Varicocelectomy”:
adulto la correzione del varico- esperienza chirugica su 93 pazienti in età
cele è indicata in presenza di pediatrica. S.I.U.P. 2008).
varicocele mono o bilaterale di
III° grado con ipotrofia testicolare; lo scopo è quello di interrompere il reflusso venoso e mantenere le vie normali di scarico insieme all’irrorazione arteriosa e linfatica del testicolo (Figura 3).
7.2 Criptorchisdimo
Il bambino, che all’età di 12 mesi di vita, non ha ancora uno o
entrambi i testicoli (non discesi) nella borsa scrotale si definisce
criptorchide.
Epidemiologia
È la più frequente anomalia dell’apparato uro–genitale. Presente nel 3,4% dei nati a termine e nel 30,3% dei prematuri (nel
100% nei nati con peso inferiore a 900 gr).
Patologia uro–andrologica
189
Eziopatogenesi
Difetto embrionario della fisiologica discesa del testicolo nello
scroto.
Nelle prime fasi dell’embriogenesi, la gonade e l’apparato genitale, sono morfologicamente simili nei due sessi. Con il procedere dello sviluppo l’embrione subisce una serie di modificazioni
che lo rendono sessualmente dismorfico. Questo processo, noto
con il termine di differenziazione sessuale, è il risultato di una serie
di eventi dovuti all’interazione altamente coordinata di vari fattori,
genetici e ormonali, che determina, nel maschio, la trasformazione
della gonade bipotente in testicolo, la virilizzazione dei genitali interni ed esterni, e la discesa dei testicoli nello scroto.
Differenziazione del testicolo
Le gonadi derivano da tre componenti: epitelio celomatico, il mesenchima sottostante e le cellule primordiali. Nell’embrione umano
di 4mm (V settimana di gestazione) a livello della fascia mediale del
mesonefro, l’epitelio celomatico comincia a proliferare determinando un rigonfiamento detto cresta genitale, suddivisibile in uno strato
esterno detto “cortex” ed uno interno detto “medulla”. Nell’embrione con cromosomi sessuali 46, XY, normalmente la cortex regredisce e la medulla si differenzia poi in testicolo. Quando l’embrione
raggiunge la lunghezza 20–25mm (VI–VII settimane), per l’azione del
gene SRY la gonade primordiale inizia la differenziazione in senso
maschile. Nella parete dei primitivi tubuli seminiferi sono presenti sia
cellule germinali primordiali (gonociti) sia cellule epiteliali. Da queste
ultime prendono origine le cellule di Sertoli, deputate alla sintesi
dell’ormone antimülleriano (AMH), mentre dai gonociti derivano gli
spermatogoni. Negli embrioni di 30–40mm di lunghezza (VIII settimane), nel connettivo interstiziale dei lobuli compaiono le cellule
interstiziale di Leydig, che hanno quindi un origine mesenchimale.
Funzione endocrina del testicolo fetale
Dopo la differenziazione, i testicoli iniziano precocemente la loro
attività endocrina con la secrezione di AMH e di testosterone. La
190
Capitolo 7
AMH agisce con azione paracrine in un periodo critico della gestazione (VII–VIII settimane) inibendo lo sviluppo dei dotti paramesonefrici o dotti di Müller, dai quali nel feto femminile prendono
origine gli organi genitali interni (utero, annessi e parte superiore della vagina). In epoche successive i dotti di Müller divengono insensibili all’azione dell’AMH. Il testosterone, principale
ormone steroideo, prodotto dalle cellule di Leydig, viene secreto a partire dalla VIII settimana di gestazione; l’ormone agisce
direttamente con azione paracrina inducendo omolateralmente
lo sviluppo dei primitivi dotti paramesonefrici o dotti di Wölf nei
vasi deferenti, negli epididimi e nelle vescicole seminali. Questo ormone viene inoltre convertito perifericamente dall’enzima
5–a reduttasi in diidrotestosterone (DHT), il quale agisce con
azione endocrina sul seno urogenitale, sulle pieghe genitali e sul
tubercolo genitale, inducendo lo sviluppo dell’uretra perineale
e peniena, dei corpi cavernosi, della prostata, delle ghiandole
bulbo uretrali, delle borse scrotali e del pene.
Discesa dei testicoli
I testicoli originano a livello della regione lombare superiore,
a livello del 1° segmento toracico e rimangono in quella sede
fino alla fine del 2° mese di vita intrauterina, quando inizia un
lento processo di migrazione che li porterà nella loro sede definitiva quasi a termine della gravidanza. Riguardo a tale processo, si possono distinguere essenzialmente una fase dello spostamento renale, analoga sia per la gonade maschile che per quella
femminile, che avviene tra la 7a e l’8a settimana di gestazione,
ed una fase sessualmente dismorfìca che a sua volta può essere suddivisa nella fase della migrazione trans–addominale o apparente, tra l’8a –I5a settimana, e la fase della migrazione trans–
inguinale o migrazione vera, tra la 28a settimana e la nascita.
Nella fase della migrazione transaddominale, descritta anche come apparente, il testicolo si allontana progressivamente
dal rene con la crescita del feto, quindi si porta dalla parete
addominale posteriore alla regione inguinale. Nel frattempo la
cavità celomatica emette un’evaginazione, il processo vagina-
Patologia uro–andrologica
191
le, che comincia ad allungarsi in direzione caudale e decorre
ventralmente al gubernaculum, seguendo la strada tracciata dal
gubernaculum stesso. Il processo vaginale spinge vari strati della parete addominale, che si sta differenziando, verso la borsa
scrotale e con essi forma la parete del canale inguinale. L’apertura craniale del canale inguinale nel punto di evaginazione va
a formare l’anello inguinale interno, mentre l’apertura caudale
costituisce l’anello inguinale esterno o superficiale.
Il Gubernaculum testis, tra l’8a e la 15a settimana di vita intrauterina, va incontro ad una reazione di rigonfiamento e retrazione
che trascina il testicolo verso la regione inguinale: tale reazione
sembra essere mediata, almeno in parte, dall’AMH. Nella femmina, dove non si ha la secrezione di AMH il gubernaculum diviene una struttura sottile ed allungata, andando a costituire il
“ligamento rotondo”, che permette la localizzazione endoaddominale dell’ovaio.
La fase della migrazione trans–inguinale del testicolo, descritta anche come fase della migrazione reale (28a–35a settimana
di gestazione), è quella più conosciuta e più studiata, anche perché
una sua alterazione è la causa più frequente di criptorchidismo. In
questa fase il testicolo, collocato posteriormente al processo vaginale comunicante con la cavità peritoneale, per un processo di
migrazione attiva si muove dalla regione inguinale, Io attraversa e
si porta nello scroto verso la fine dell’8o mese. Successivamente, il
processo vaginale si oblitera nella sua parte craniale mentre nella
parte caudale forma la tunica vaginale del testicolo. Per spiegare
questo processo di migrazione attiva sono state elaborate varie
teorie: diversi fattori cooperano sebbene la loro azione venga probabilmente mediata dal gubernaculum.
La migrazione del gubernaculum nello scroto e la sua contrazione sotto lo stimolo degli androgeni rappresentano probabilmente il meccanismo principale. Il testicolo e l’epididimo
seguirebbero il gubernaculum in questa migrazione e si porterebbero poi nella loro sede scrotale definitiva dopo la regressione del gubernaculum stesso che avviene alla fine della fase di
migrazione. L’incremento della pressione endoaddominale, che
si ha nelle ultime fasi della gravidanza, sarebbe un fattore favorente per l’espulsione del testicolo.
192
Capitolo 7
Anomalie associate
Il criptorchidismo comunemente si manifesta come entità anatomo–clinica isolata in un bambino perfettamente evoluto anche se
può associarsi a ipospadia, prune–belly sindrome, estrofia vescicale,
onfalocele, gastroschisi, ernie ombelicali e inguinali, agenesia renale,
reflusso vescico–ureterale. Nel 60% dei casi di criptorchidismo sono
presenti anomalie della via seminale (ostruzione del deferente,
disgiunzione del deferente, dissociazione completa o incompleta
didimo–epididimaria). Inoltre tanto più alta è la sede del testicolo
criptorchide maggiore è il grado di ipotrofismo.
Classificazione
Una prima classificazione clinica distingue il testicolo palpabile
dal testicolo non palpabile.
Testicolo Palpabile (85% dei casi): può essere a sua volta classificato in:
Testicolo Ritenuto: Il testicolo è situato lungo la normale via di
migrazione, cioè all’interno del canale inguinale:
– può essere localizzato in posizione inguinale alta (nel 3° superiore del canale inguinale), rientrante in addome e quindi
sfuggente alla palpazione, definito Peeping Testis.
– Localizzato in posizione inguinale intermedia (nel 3° medio),
può essere spinto con la palpazione fino all’anello inguinale
esterno.
– Localizzato in posizione inguinale bassa (nel 3° inferiore), che
può più o meno essere portato manualmente nello scroto ma
risale al termine della manovra (testicolo retrattile).
Testicolo Ectopico: Anomalia di posizione in cui il testicolo è
fuori della normale via di migrazione. Esistono cinque diverse localizzazioni del testicolo ectopico:
– ectopia inguinale sopra fasciale: relativamente frequente, il
testicolo è situato in regione inguinale bassa, fuori e sopra
Patologia uro–andrologica
–
–
–
–
193
l’anello inguinale esterno, in una tasca anatomica compresa
tra muscolo obliquo esterno e fascia sottocutanea.
ectopia perineale: il testicolo scende in basso, fuori del canale inguinale, verso il perineo lateralmente al rafe mediano.
ectopia pubo–peniena: il testicolo scende fino alla base del
pene all’altezza della sinfisi pubica.
ectopia crurale: il testicolo migra attraverso il canale crurale e
viene rilevato in corrispondenza del triangolo di Scarpa.
ectopia crociata: completa: entrambi i testicoli sono nello stesso emiscroto – Incompleta: un testicolo ortotopico è
in posizione ritenuta nel canale inguinale, l’altro testicolo è
ectopico crociato e può essere ritenuto: 1. Nel canale inguinale
alto opposto al proprio anello inguinale interno (non palpabile) 2.
Nell’addome, è in realtà un’ectopia pelvica in cui il testicolo è
in posizione “ovarica”.
Testicolo Non Palpabile (25%): Si definisce anche “criptorchidismo vero”; è l’espressione massima della malformazione, possiamo avere due possibilità:
A. Assenza delle gonadi (52% dei casi). 1: testicolo non sviluppato embriologicamente (testicolo agenesico) “Blind ending”
con funicolo che si conclude a fondo cieco. Sono presenti
strutture vascolo–deferenziali che terminano a fondo cieco
nel 64% dei casi all’interno del canale inguinale e nel 36% dei
casi a monte dell’anello inguinale interno o intraddominale.
Se l’agenesia è bilaterale si parla di anorchia, con testosterone assente e test di stimolo con gonadotropina corionica
(HCG test) negativo, cioè con mancata risposta da parte delle
cellule di Leydig allo stimolo a produrre testosterone. 2: Testicolo atrofico “Vanishing testis”: con vasi e deferente esili che
terminano con un abbozzo testicolare microscopico, probabilmente la causa dell’atrofia è su base ischemica per probabile torsione intrauterina.
B. Presenza della gonade (ma non palpabile) (48% dei casi). 1:
testicolo addominale “alto”( 22%), il testicolo non migra, rimane intraddominale, fuori dell’anello inguinale interno, poco
sotto la biforcazione dei vasi iliaci, localizzato diversi cm. sopra
194
Capitolo 7
l’anello inguinale interno. 2: Testicolo addominale “basso” o
“Peeping testis” (13% dei casi) situato in sede addominale
a livello dell’anello inguinale interno, sporgente in esso. 3:
Ectopia crociata “completa”, il testicolo migra verso l’anello
inguinale interno controlaterale.
Diagnosi
La diagnosi di criptorchidismo principalmente rimane clinica
fondata sull’anamnesi e sull’esame obiettivo. L’esame clinico inizia con l’anamnesi. È importante indagare la possibile presenza
di familiarità di criptorchidismo. L’esame sul bambino può essere molto difficile e richiede esperienza ed abilità. Nei bambini
agitati e in quelli con adiposità marcata l’esame può risultare
difficoltoso, mentre nei lattanti sotto al 3° mese la visita è più
facile perché sono più rilassati ed il riflesso cremasterico è assente. Devono essere ispezionati i genitali esterni per rilevare
eventuali malformazioni a carico del pene, come l’ipospadia. Il
sacco scrotale va attentamente valutato, infatti uno scroto che
è sempre stato “disabitato”, si presenta poco sviluppato. Se lo
scroto è vuoto, si cerca il testicolo palpatoriamente nelle sedi
ectopiche e lungo la sua fisiologica di discesa. Se il testicolo è
palpabile, è necessario valutare il volume, la sede e il grado di
mobilità; successivamte dovrebbe essere portato delicatamente
verso la borsa scrotale, prendendo nota della sua massima posizione distale assunta. Come già affermato, in circa il 20% dei
casi di criptorchidismo, i testicoli non sono palpabili, è quindi
importante dirimere il dubbio sulla possibile presenza o assenza
della gonade. In questi casi è opportuno valutare i livelli delle
gonadotropine (FSH e LH) e del testosterone. Un paziente affetto
da anorchia e quindi privo di tessuto testicolare, presenta alti livelli di gonadotropine associati alla mancanza di testosterone.
Nei casi dubbi, è utile somministrare gonadotropina corionica
umana (HCG) che nei soggetti criptorchidi induce un marcato
aumento dei livelli di testosterone, mentre in quelli con anorchia
non determina alcuna risposta.
In presenza di criptorchidismo la diagnostica per immagini si
basa su:
Patologia uro–andrologica
195
– Ecografia: efficace nella localizzazione del testicolo inguinale
ma poco efficace nel testicolo intraddominale in quanto è
difficile la distinzione da altre strutture addominali specie in
età minore di due anni).
– RMN: esame di scelta nella ricerca di gonadi non palpabili (80% sensibilità), nei casi di risposta negativa non viene
escluso il ricorso all’esplorazione laparoscopica.
– Video – laparoscopia: risulta l’esame fondamentale ed irrinunciabile in tutti i casi di testicolo non palpabile, in quanto
consente di valutare con certezza la presenza del testicolo in
sede addominale o inguinale o la sua assenza per agenesia
mono–bilaterale e atrofia (Vanishing testis), consente la valutazione dei residui Mülleriani, di ectopia crociata con testicolo intraddominale e di anomalie associate (dissociazione
didimo/epididimaria “completa” con didimo nell’addome e
deferente atrofico e/o epididimo nel canale inguinale), situazione che può sfuggire ad una esplorazione chirurgica per via
inguinale.
Terapia Medica
Introdotta negli anni ’30, la terapia medica del criptorchidismo si
basa sull’impiego di ormoni in grado di stimolare la produzione di
androgeni da parte delle gonadi. I farmaci utilizzati sono la Gonadotropina corionica (HCG), ad azione LH simile, e la Gonadorelina
(GnRH). Essi possono essere utilizzati da soli, in associazione fra di
loro o con altri farmaci tra cui la gonadotropina umana della menopausa ad azione FSH simile (Tab. 1). La terapia ormonale permette
la completa discesa del testicolo in circa il 20% dei casi indipendentemente dal tipo di farmaco utilizzato, dall’età del bambino e dal
tipo di criptorchidismo (mono o bilaterale). La sede della gonade
ritenuta costituisce il principale fattore che condiziona il successo
della terapia ormonale: i testicoli ritenuti a collocazione bassa (al
di fuori dell’anello inguinale esterno), infatti, presentano maggiori
successi (47%) mentre una risposta minore (3%) si ha in quelli a
sede inguinale alta o intraddominale. Anche se i vari ormoni ed i
vari schemi terapeutici offrono risultati pressappoco sovrapponibili, l’utilizzo della Gonadorelina è preferibile per la sua più facile
196
Capitolo 7
Tabella 1 – Farmaci e schemi terapeutici per il trattamento medico del criptorchidismo.
FARMACO
hCG
GnRH
SCHEMA TERAPEUTICO
Bambini < 2 anni: 500 UI/sett. per 6 settimane
Bambini 2–6 anni: 1000UI/sett per 6 settimane
1200 ng/die (200ng per narice per 3 volte al giorno) per 28 gg
hCG + hMG
Come hCG + hMG 75 UI sett. Per 6 settimane
GnRH + hCG
Come GnRH + hCG 1500 UI sett. Per 3 settimane
(C. Spinelli et al. Ruolo della terapia pre e post operatoria con analoghi del GNRH nel
trattamento del criptorchidismo. Soc. Ital. Urol. Ped. 2008).
via di somministrazione (spray nasale) e quindi per una maggiore compliance del bambino alla terapia, e per la minore incidenza di effetti avversi correlati all’aumento della concentrazione
ematica di androgeni (crescita del pene, comparsa di erezione e
cambiamenti psicologici e comportamentali). Un aspetto completamente nuovo della terapia ormonale del criptorchidismo
è quello dei possibili vantaggi che essa può apportare alla chirurgia anche nel caso in cui risulti essere fallimentare nel far
discendere i testicoli. Sembra che il trattamento del criptorchidismo con Gonadorelina per quattro settimane prima dell’intervento chirurgico e, per le quattro settimane successive, è in
grado di apportare dei vantaggi significativi alla chirurgia, sia
permettendo un approccio trans–scrotale basso in un numero
significativamente maggiore di casi, sia migliorando il volume e
quindi il trofismo della gonade e la sua potenziale fertilità.
C. Spinelli et al. GNRH–therapy after and before surgery may
improve the fertility index in undiscended testes. Int. Symp.
Ped. Surg. Res. 2006; C. Spinelli et al. GNRH–analogue therapy
before after in undescendent teste: a prospective randomized
trial. Worl. Congr. Ped. Surg. Buenos Aires 2007; C. Spinelli et
al. GNRH–analogue therapy in criptorchidism surgical advantages. Int. Congr. GNRH. Berlino 2008;
Patologia uro–andrologica
197
Terapia chirurgica
L’indicazione all’intervento chirurgico del testicolo ritenuto,
dovrebbe essere presa in considerazione in prima istanza senza
ricorso alla terapia medica ogni quaI volta ci si trovi di fronte ad
una delle seguenti condizioni: presenza di ernia inguinale associata, torsione del funicolo spermatico o dell’idatide del Morgagni o in caso di ectopia testicolare. Riguardo l’epoca di intervento
oggi si è concordi nell’intervenire più precocemente possibile,
entro i 24 mesi d’età. La scelta del tipo di intervento da eseguire deve prendere in considerazione alcuni parametri di cui i più
importanti sono due e cioè; la possibilità di identificare il testicolo (palpatoriamente e/o ecograficamente) e la sua sede (addominale, intracanalicolare o a collocazione bassa). Nel caso in cui
il testicolo sia non palpabile e non sia ecograficamente visibile
sarà necessario accertare la sua presenza in cavità addominale
per mezzo di un’esplorazione laparoscopica. Se la gonade è presente, essa verrà poi portata e fissata nello scroto per mezzo di
un intervento ad un unico tempo o più tempi a seconda della sua
iniziale localizzazione. Nel caso di testicoli ritenuti a collocazione
alta (all’interno del canale inguinale) la fissazione chirurgica del
testicolo nella borsa scrotale (orchidopessi) può essere eseguita
con tecniche diverse, tra queste quella praticata dalla maggior
parte dei chirurghi è la tecnica di Shöemaker (fig 4). Essa con-
Figura 4 – Intervento di orchidopessi secondo Schöemaker.
198
Capitolo 7
siste nello scollamento del dartos dalla cute dello scroto omolaterale attraverso una incisione scrotale, e nell’abbassamento del
testicolo, precedentemente isolato attraverso un’incisione cutanea
inguinale, nella tasca extradartoica così ottenuta, attraverso un’asola
aperta nella parte alta della fascia dartoica scollata che, in tal modo
fungerà da diaframma al fine di bloccare la risalita del testicolo verso
l’inguine. Nel caso invece di testicoli ritenuti a collocazione bassa
un ulteriore approccio è possibile, ossia quello di fissare il testicolo
nello scroto per mezzo di un’unica incisione eseguita a questo stesso
livello. Questa tecnica chirurgica, descritta con il termine di fissaggio trans–scrotale o di orchidopessi trans–scrotale bassa, consiste
in un’incisione scrotale trasversa per mezzo della quale il testicolo
viene in un primo tempo esteriorizzato e poi, dopo un’adeguata funicololisi effettuata retraendo il margine superiore della ferita, fissato
nello scroto facendolo passare attraverso il tessuto adiposo scrotale–
caudale. Il fissaggio trans–scrotale permette di ottenere, in termini
di efficacia, gli stessi risultati della tecnica di Shöemaker migliorando
significativamente il tempo chirurgico, il dolore post–operatorio ed
il risultato estetico.
• CRIPTORCHIDISMO
ED INFERTILITÀ
II criptorchidismo è una causa comune di infertilità maschile. La
fertilità non sembra essere garantita neppure da una orchidopessi
precoce. La possibilità di essere sterili è doppia negli uomini con
una storia di criptorchidismo unilaterale trattato, rispetto a quelli con testicoli normodiscesi. La percentuale di fertilità risulta pari
all’83% nei pazienti sottoposti ad orchidopessi monolaterale vs il
38% bilaterale. La mancata paternità nei criptorchidi è correlata
non solo con la mancata capacità di produrre spermatozoi maturi
da parte della gonade ritenuta e frequentemente in quella controlaterale normodiscesa, ma anche dall’elevata incidenza di malformazioni associate extratesticolari a carico delle vie spermatiche ed
in particolare la dissociazione didimo–epididimaria. Controversa
rimane la problematica se le alterazioni istologiche sono espressione di un difetto congenito (sindrome malformativa) o acquisito (il
testicolo perfettamente normale alla nascita andrebbe incontro a
progressive alterazioni degenerative prodotte da una serie di fat-
Patologia uro–andrologica
199
tori legati alla malposizione). La teoria della disgenesia gonadica
primitiva sembra essere sostenuta dalla presenza di alterazioni istologiche, in una fase molto precoce, nei testicoli fetali situati in posizione intraddominale o intracanalicolare; dalla presenza di alterazioni nel testicolo normodisceso controlaterale e dalla frequente
coesistenza al criptorchidismo di anomalie, specialmente a carico
del tratto uro–genitale. Numerosi studi istopatologici hanno invece rilevato che il danno testicolare nella gonade ritenuta inizia a rendersi
evidente dopo il primo anno di vita e con il persistere della ritenzione
si assisterebbe ad un progressivo ed irreversibile deterioramento istologico. Questi dati suggeriscono che solamente un precoce intervento
chirurgico, eseguito entro i due anni possa avere un effetto benefico
sulla potenziale fertilità. Anche se l’unico fattore predittivo del potenziale di fertilità è risultato essere la presenza di spermatogoni nella biopsia
testicolare al momento dell’intervento.
Le cause di infertilità nell’adulto sono: il varicocele 35–40%; il criptorchidismo 6–7%; le patologie ostruttive dei vasi seminali 4–6%; la sindrome di Klinefelter 1–2%; le orchiti 1–2%; la chemioterapia/radioterapia <
1%; l’ipogonadismo < 1% e l’insensibilità agli androgeni < 1%.
• CRIPTORCHIDISMO E TUMORE TESTICOLARE
Il rischio di sviluppare un tumore nel testicolo criptorchide è superiore
di 3–3,5 volte rispetto alla popolazione generale, i testicoli intraddominali
hanno un rischio più elevato di sviluppare una neoplasia, 4 volte superiore di quelli ritenuti nel canale inguinale. L’aumento del rischio di tumore
non è limitato al testicolo criptorchide, ma anche al controlaterale normodisceso. L’orchidopessi, anche se effettuata in età precoce, non sembra
ridurre il rischio di neoplasia testicolare, il posizionamento del testicolo in
sede scrotale permette solamente una migliore osservazione clinica.
7.3 Scroto acuto
Si indica con il termine “scroto acuto” una sindrome caratterizzata da dolore, tumefazione ed iperemia dell’emiscroto. Sebbene
possa manifestarsi in tutte l’età, assume nel bambino un significativo clinico particolare.
200
Capitolo 7
Eziologia
Cause maggiori sono:
1. Torsione del testicolo (più propriamente torsione del funicolo
spermatico).
2. Torsione degli annessi e delle appendici testicolari:
– appendice del testicolo o Idatide del Morgagni;
– appendice dell’epididimo;
– appendice del funicolo o paradidimo o organo di Giraldes;
– vasi aberranti di Haller.
3. Epididimite/ Orchite.
Cause minori sono:
4.
5.
6.
7.
8.
Edema scrotale idiopatico.
Ernia.
Idrocele.
Porpora di Shönlein–Henoch.
Tumori.
• EPIDIDIMITE E ORCHITE
È un processo flogistico a decorso acuto o cronico che interessa il didimo e/o l’epididimo. In età prepubere l’orchi–epididimite non è comune.
Clinica
Dolore meno acuto rispetto alle altre cause di scroto acuto.
Frequentemente si associano disturbi urinari (disuria, urgenza
urinaria) e generali (febbre). Palpatoriamente è caratteristico un
incremento volumetrico iniziale dell’epididimo con successivo interessamento del testicolo ed eventuale idrocele reattivo.
Eziopatogenesi
In molti casi l’orchite è una complicanza della parotide epiedemica.
Nel 39% dei giovani pazienti con epididimite sottoposti ad indagini urologiche si repertano anomalie urologiche, quali dissinergie
Patologia uro–andrologica
201
detrusoriali e sfinteriche, valvole incomplete dell’uretra posteriore. Quest’ultime, determinano aumento della pressione con conseguente reflusso retrogrado di urina, frequentemente infetta, nel
deferente e da qui nell’epididimo. Utile è la valutazione dell’appatato urinario per escludere la presenza di anomalie congenite.
• TORSIONE DEL TESTICOLO
Consiste in una rotazione del testicolo sul proprio asse, rappresentato dal funicolo spermatico, con due possibili varianti: la torsione extravaginale (6% del totale, è una prerogativa dell’epoca
neonatale) e la torsione intravaginale (più frequente nel periodo
puberale). La torsione del funicolo va distinta dalla torsione del
solo epididimo, evenienza che può realizzarsi quando esiste una
dissociazione didimo–epididimaria con ampio mesorchio.
Patogenesi
Inadeguata, o incompleta, o assente, fissazione del testicolo allo scroto, a causa della mancanza del Gubernaculum testis, o per inserzione
alta della tunica vaginale sul funicolo; questa condizione può essere favorita da una contrazione brusca del muscolo cremastere, conseguente
od a trauma, o ad esercizio fisico o ad esposizione al freddo.
Incidenza
Colpisce qualsiasi età anche durante la vita intrauterina (l’età
media è 13 aa). Interessa più frequentemente il testicolo sinistro,
solo nel 2% dei casi è bilaterale.
Figura 5a – Torsione neonatale del testicolo.
Figura 5b – Testicolo ischemico.
202
Capitolo 7
Clinica
Nel neonato e nel lattante la presentazione clinica è insidiosa ed
asintomatica, manifestandosi come una tumefazione rossastra. La
diagnosi differenziale deve essere posta con un’ernia incarcerata.
Nel bambino e nell’adulto sono quasi tutte torsioni intravaginali, si
manifestano con dolore improvviso all’emiscroto interessato, irradiato all’inguine lungo il funicolo e ai quadranti addominali inferiori
associato a nausea, vomito e talvolta a shock (Fig. 5a–5b).
Esame obiettivo
Emiscroto aumentato di volume (tumefazione) edema e rossore
(che aumentano col passar del tempo) idrocele reattivo, assenza del
riflesso cremasterico. Segno di Prehn positivo: dolore provocato alla
palpazione se si solleva lo scroto, segno di Gouverneur positivo: testicolo indurito stirato in alto ed orizzontalizzato. Episodi recidivanti
di dolore testicolare, con risoluzione spontanea, vanno considerati
come “torsione testicolare intermittente”. Nel 18–63% dei casi le
torsioni incomplete precedono la torsione completa.
• TORSIONE DEGLI ANNESSI TESTICOLARI
Gli annessi testicolari, formazioni di piccole dimensioni localizzate sul testicolo e sull’epididimo, sono residui embrionali del dotto
mesonefrico e del dotto del Müller. Essi sono presenti nel 90% dei
soggetti di sesso maschile. Tali appendici sono suscettibili di torsione e possono sostenere un quadro clinico, sia pure molto attenuato, simile a quello descritto per la torsione del testicolo.
Clinica
Dolore meno acuto, con minore edema locale. La sintomatologia dolorosa e l’edema possono risolversi dopo 36–72 ore senza
terapia chirurgica. Una formazione rotondeggiante scura può essere vista per transilluminazione, mentre nelle fasi tardive (48–72 ore)
si può apprezzare in modo “transcutaneo” una formazione ischemica sotto forma di un “punto blu” (segno del Bue Dot) (Fig. 6).
Patologia uro–andrologica
La torsione dell’annesso paradidimale di Giraldes può causare dolore a livello del funicolo
spermatico; simulando un’ernia
inguinale incarcerata. Il quadro
clinico può risolversi dopo 2–3
giorni senza chirurgia, un idrocele secondario di tipo reattivo
può residuare nella parte distale
del canale inguinale, all’altezza
dell’anello inguinale esterno.
203
Figura 6 – Torsione idatide del Morgagni.
Diagnosi di scroto acuto
Doppler: registra una diminuzione del flusso arterioso al testicolo. Tale indagine presenta un’alta percentuale di falsi negativi a
causa dell’iperemia dello scroto che può mascherare l’ischemia.
Ultrasonografia: permette di studiare l’anatomia dello scroto
e del suo contenuto (ecodensità del testicolo); l’ipoecogenicità è
espressione di edema, l’iperecogencità (focale o diffusa) di infarcimento emorragico cistico o necrosi. Essa è utile nella diagnosi
differenziale tra torsione del testicolo e appendice testicolare.
Scintigrafia con Tecnezio 99. Nelle prime 6 ore il flusso non differisce da quello normale: “scintiscan blood flow”, solamente dopo
18 ore si evidenzia una diminuzione di flusso con aree centrali fredde. Nell’orchi–epididimite è presente un forte aumento di flusso
dal lato interessato. Tale esame permette con buona accuratezza
(90%) una diagnosi differenziale tra torsione testicolare e annessi.
Terapia
– Detorsione manuale con eventuale infiltrazione di anestetico locale nel funicolo spermatico associato e controllo Eco
Color Doppler per valutazione del flusso vascolare, essa si
basa su una rotazione del testicolo in senso cranio–caudale
e dal lato mediale al laterale, perché nella quasi totalità dei
casi la torsione avviene in senso opposto. La cessazione
rapida del dolore, l’allungamento del funicolo, la risoluzio-
204
Capitolo 7
ne della consistenza del testicolo (passa da duro a soffice) e
il ritorno alla normale posizione verticale del testicolo sono
espressione del successo della detorsione. Al successo della detorsione manuale deve seguire un intervento chirurgico “differito”.
– Detorsione chirurgica: si esegue l’incisione trans–scrotale,
o trans–inguinale in caso ci siano dubbi diagnostici. Successivamente si esegue un’incisione della tunica vaginale
e la detorsione, si prosegue con la fissazione del didimo al
dartos.
È necessario fissare la gonade controlaterale per pervenire
un’ulteriore torsione.
Ovviamente lo scopo della detorsione, sia manuale che chirurgica, è ristabilire il flusso vascolare al testicolo.
La prognosi dipende da quanto tempo dopo l’insorgenza della torsione si interviene. Se la detorsione è effettuata entro 6 ore
la percentuale di salvataggio è del 85–97%, se viene effettuata
tra 6–12 ore la percentuale è del 55–85%, tra le 12 e le 24 del
20–80%, dopo le 24 ore è inferiore al 10%. Quindi tanto più
tempestivamente si interviene, tanto più alte saranno le probabilità di “salvare” il testicolo.
7.4 Fimosi
Fimosi deriva dal gr. PHIMOSIS “restringimento”,
“
è un’affezione
rara, spesso malformativa, dovuta ad un restringimento dell’anello prepuziale, con impossibilità di retrarre il prepuzio al di sotto del glande.
Embriologia
Il prepuzio comincia a svilupparsi nel 3° mese di vita intrauterina
e si completa fra il 4° e 5°. Dopo la nascita è presente una “fisiologica” coalescenza fra il rivestimento mucoso interno del prepuzio
e quello esterno del glande (aderenze balano–prepuziali). La separazione dei due foglietti mucosi avviene spontaneamente nei primi
anni di vita. Il prepuzio è retrattile: nel 4% nel periodo neonatale,
Patologia uro–andrologica
205
nel 70% ad 1 anno e nel 90% entro i 6 anni. La “fimosi vera” deve
essere quindi, nettamente distinta dalle aderenze balano–prepuziali; condizione in cui l’anello prepuziale (non stretto) non scorre
sul glande.
Eziopatogenesi e classificazione
La fimosi propriamente detta “vera” può essere classificata in
congenita: ristretteza dell’anello prepuziale od in un forma acquisita: flogosi locale, errate manipolazioni con conseguenti lesioni
cutanee che esitano in cicatrice stenosante od al “Lichen Scleroatrofico” Cronico del prepuzio che porta ad una progressiva scleroatrofia dei tessuti colpiti (Fig. 1).
Clinica
L’accumulo di smegma tra prepuzio e glande può provocare infezioni del prepuzio (postite), del glande (balanite), o di entrambi
(balanopostite). L’ostacolo alla minzione può causare disuria ed infezione delle vie urinarie. All’esame obiettivo si rileva l’impossibilità a
retrarre il prepuzio per stenosi del suo anello prepuziale e la presenza di smegma (sostanza caseosa biancastra), di riscontro fisiologico.
Figura 1. – Fimosi: lichen
scleroatrofico cronico.
Figura 2. – Plastica di
ampliamento prepulziale
206
Capitolo 7
Terapia
Nei casi aderenze balano–
prepuziali è indicata la lisi. Nei
casi in cui si presenti una fimosi
vera si può praticare una plastica di ampliamento del prepuzio, nei casi in cui sia presente
Lichen Scleroatrofico la circoncisione reppresenta l’approccio
Figura 3 – Papiro di Ebres 3000 a.C.
più corretto (Fig. 1–2).
Circoncisione.
Quest’ultimo intervento viene eseguito da tempi antichissimi, come documentato in un papiro Egizio del 3000 a.C., (Fig. 3).
Segni storici di questa pratica si trovano in ogni tipo di cultura. Nu-
Figura 4.5.6 – Intervento di circoncisione con uso di colla chirurgica. (Freccia) Applicazione di colla tissutale lungo i margini di incisione mediante beccuccio sterile. Protezione
del meato uretrale con garza umida. C.Spinelli et al. Wound approximation by tissue glue
in circumcision. Surg. Innovation. 2009.
Patologia uro–andrologica
207
merose tecniche sono state descritte in letteratura, le principali
sono la “sleeve resection”, “squeeze” e “guillotine”, esse variano dall’escissione senza sutura all’approssimazione dei margini
con suture. Lo scopo di ogni tecnica usata per la circoncisione è
quello di togliere la cute prepuziale senza danneggiare il glande,
il frenulo e l’uretra e al tempo stesso di conseguire un migliore
outcome in termini di risultati chirurgici, velocità di guarigione e
risultati estetici. L’applicazione della colla chirurgica nella circoncisione è stata introdotta con eccellenti risultati in termini di risultato estetico, dolore, e velocità di guarigione con la significativa
riduzione di complicanze post operatorie. Dopo aver escisso il
prepuzio e cauterizzato eventuali sanguinamenti viene posta in
trazione la cute le la cuffia mucosa mediante quattro punti. Successivamente, dopo aver affrontato i due margini, essi vengono
uniti facendo gocciolare la colla in cianoacrilato con l’ausilio di
un beccuccio sterile tenuto distante dalla ferita. Questo procedimento viene ripetuto per tutti e quattro i margini liberi proteggendo ogni volta il meato uretrale con una garza umida. I
lembi quindi vengono tenuti in posizione per circa un minuto fino
alla completa essiccazione del prodotto. Alla fine dell’intervento
vengono tolti i quattro punti rimanenti. Dopo circa dieci giorni
la pellicola di colla comincia a sfogliare spontaneamente (Fig.
4–6).
7.5 Ipospadia
Per ipospadia s’intende un singolare e frequente disordine
congenito dell’apparato urogenitale maschile caratterizzato da
alterazioni della linea mediana ventrale del pene (Fig. 7–8). Il
meato può aprirsi lungo il rafe in un punto qualsiasi compreso fra
il perineo e il tratto prossimale del glande.
L’incidenza dell’ipospadia è di 3.1/1000 nati.
L’ipospadia è caratterizzata da
– Incompleto sviluppo dell’uretra anteriore, del corpo spongioso, del glande e del prepuzio.
– Meato uretrale in posizione ectopica.
208
Capitolo 7
– Schisi ventrale del prepuzio, che assume il cosiddetto aspetto a “orecchie di cane”.
– Glande aperto ventralmente.
– Chordee (grado variabile di curvatura ventrale del pene in
erezione).
– Anomalie dello scroto, che può assumere aspetto bifido, vulviforme, o trasposto.
Eziopatogenesi
Fattori genetici. Un largo numero di bambini affetti da ipospadia e/o criptorchidismo presenta una facies tipica, caratterizzata
da fronte larga e prominente, ponte nasale ampio e ipertelorismo
oculare. Sono state evidenziate mutazioni del gene MID1 (Linea
Mediana 1), coinvolto nella determinazione dell’asse corporeo
verticale. Questa malformazione pertanto può essere considerata
parte dello spettro clinico della Sindrome di Opitz attenuata (mild
Optiz phenotype), caratterizzata da un disturbo nello sviluppo embriologico della linea mediana con anomalie di sviluppo del corpo
spongioso dell’uretra.
Fattori ambientali. Endocrine–disrupting chemicals: inquinanti ambientali ad attività estrogenica (pesticidi, DDT, dios-
Glandulare 10%
Distale 70%
Prossimale 20%
Figura 7 – Ipospadia distale.
Figura 8. – Classificazione
anatomica dell’ipospadia
Patologia uro–andrologica
209
sine, PVC, conservanti alimentari). In soggetti con predisposizione genetica (alterazione del gene del recettore estrogenico)
determinano nella progenie malformazioni quali ipospadia e
criptorchidismo. (C. Spinelli et al. Malformazioni urinarie: analisi
genetica del recettore estrogenico a ed azione degli estrogeni
ambientali. Socetà Ital. Urol. Ped. 2006).
Cenni di embriologia
La differenziazione dell’uretra subisce l’influsso ormonale esercitato da una sostanza elaborata dalle cellule interstiziali del testicolo embrionale. L’uretra si forma solo in questo breve periodo
di tempo. Qualora essa risultasse incompleta al termine della fase
di induzione, ne residuerebbe un’ipospadia. La differenziazione
della guaina di copertura cutanea peniena non subisce invece influssi ormonali. Essa continuerà a svilupparsi anche in presenza di
un incompleto sviluppo uretrale. In questa evenienza la cute sarà
costretta a spostarsi dorsalmente determinando il caratteristico
aspetto di prepuzio “a ventaglio”. L’ipospadia non è un evento
esclusivo del sesso maschile. Nella femmina esiste la possibilità,
abbastanza infrequente, di uno sbocco del meato uretrale a livello
della parete anteriore della vagina. Tale situazione anatomica può
accompagnarsi ad incontinenza urinaria per ipoplasia del complesso sfinterico, oppure ad una sindrome da ostruzione sotto–vescicale secondaria a stenosi del meato uretrale.
La formazione del perineo superficiale dipende dalla mesodermizzazione della regione, processo che esprime una migrazione del mesoblasto dai somiti dell’estremità caudale in direzione dorso–ventrale. Le pieghe cloacali, dopo aver contornato
quelli che saranno gli orifici fisiologici della regione perineale,
si avvicinano alla linea mediana da dietro verso l’avanti e formano verso la quinta settimana di gestazione il tubercolo genitale.
Quest’ultimo si allunga trascinando con sé le pieghe genitali che
circondano il segmento fallico del seno–urogenitale (parte anteriore della cloaca già suddivisa in due cavità dal setto uro–rettale). Si forma così la doccia uro–genitale e, sul fondo di quest’ultima, la lamina uretrale (di origine ectodermica). Verso il terzo
mese di gestazione le pieghe genitali si fondono fra loro sotto
210
Capitolo 7
la doccia uro–genitale dando luogo all’uretra peniena. Questa
è circondata dal corpus spongiosum ed è a contatto con le altre
due formazioni di origine mesodermica (corpi cavernosi), che
partecipano alla costituzione del tessuto erettile. Sulla superficie
ventrale del glande appare una cresta longitudinale epiteliale;
da essa, per una specie di cavitazione, prenderà origine l’uretra glandulare, destinata ad aprirsi da un lato in prossimità del
vertice dell’asta, dall’altro nell’uretra peniena. A differenziazione
avvenuta, sarà riconoscibile sulla linea mediana un rafe ventrale
a livello del perineo, dello scroto e del pene.
Classificazione
Su base anatomica possiamo distinguere una ipospadia:
– Glandulare (10%)
– Distale (70%)
• Balanica (30%)
• Peniena anteriore (25%)
• Peniena media (15%)
– Prossimale (20%) suddivisa in:
• Peniena posteriore (6%)
• Peno–scrotale (5%)
• Scrotale (6%)
• Perineale (3%)
Alterazioni funzionali
Se è vero che i problemi posti da un’ipospadia anteriore sono
prevalentemente di ordine “estetico”, è altresì vero che un’ipospadia posteriore presuppone limitazioni “funzionali” (del getto
urinario e di fertilità per difficoltà di penetrazione e di direzione
dell’eiaculato durante l’atto sessuale).
Anomalie associate
Il 4–20% dei pazienti con ipospadia presenta criptorchidismo.
In caso di ipospadia severa associata a criptorchidismo bilate-
Patologia uro–andrologica
211
rale, bisogna porre particolare attenzione in quanto può essere
espressione di un disordine intersessuale, rendendo necessario
una valutazione del cariotipo.
Terapia chirurgica
Esistono oltre 300 tecniche per la correzione dell’ipospadia
ma su quale sia la migliore è ancora aperto un dibattito. Le più
utilizzate sono la tecnica di Snodgrass, la Pippi Sale, e nelle forme
prossimali severe l’uretroplastica in due stadi secondo Bracka.
La scelta tra queste dipende dalla posizione del meato, dal grado del chordee e dall’esperienza del chirurgo. Le fasi della riparazione dell’ipospadia consistono: nella correzione del chordee,
nell’uretroplastica dell’uretra assente e nella ricostruzione della
porzione ventrale: del glande, del corpo spongioso e della cute.
L’età in cui viene raccomandato l’intervento chirurgico è variabile da caso a caso ma preferibilmente prima dei 2 anni.
Complicanze chirurgiche
La più frequente è la fistola uretro–cutanea (incidenza in letteratura: 15–45%), seguita dalla stenosi del meato.
Considerazioni tecniche
Noi riteniamo che la tecnica della uretro–spongioplastica
debba essere tenuta in alta considerazione nella correzione dell’ipospadia anteriore in quanto associata ad una minore incidenza di complicanze.
Essa si basa sulla mobilitazione dei corpi spongiosi divergenti. Il piatto uretrale viene inciso e tubulizzato, usando un monofilamento riassorbibile, ed i corpi spongiosi vengono suturati al di
sopra della neourtera, il dartos, quando possibile, viene posto al
di sopra della sutura quale ulteriore protezione.
L’intervento termina con la ricostruzione del prepuzio. La dissezione e la sutura del tessuto spongioso, rispetto ad una incisione
estesa fino all’apice del glande, facilita una corretta ricostruzione
delle ali del glande e della neouretra riducendo l’incidenza della
212
Capitolo 7
Figura 9,10,11 – Uretro–spongioplastica modificata (ricostruzione anatomica). Spinelli et
al. International Congress Society of Hypospadias and Intersex Disorder 2007; Spinelli et
al. Società Italiana di Chirurgia Pediatrica 2008.
stenosi del meato e della fistola uretro–cutanea. (Fig. 9–11).
7.6 Masse surrenaliche in età pediatrica
• SURRENE: ANATOMIA, EMBRIOLOGIA E FISIOPATOLOGIA
Il surrene è una ghiandola retroperitoneale situata superiormente e medialmente al rene. Nel neonato rappresenta circa 1/3 delle
dimensioni del rene e pesa 7– 9 gr. Nell’adulto ha un diametro dai
3 ai 5 cm con un peso di 4–6 gr.
Embriologicamente il surrene si sviluppa da due componenti:
una parte mesodermica da cui deriva la corticale ed una ectoder-
Patologia uro–andrologica
213
mica (cresta neurale) da cui deriva la midollare. La midollare sintetizza le catecolamine (dopamina, adrenalina, nor–adrenalina), la
corticale produce: la parte più esterna detta zona glomerulare i
mineralcorticoidi (aldosterone), la zona fascicolata i glucocorticoidi
(cortisolo) e la zona reticolare gli androgeni gli estrogeni.
Classificazione delle masse surrenaliche
Le masse surrenaliche in età pediatrica sono classificabili in:
funzionanti e non funzionanti ed inoltre quelle di derivazione dalla corticale e quelle di derivazione dalla midollare. Il carcinoma
adrenocorticale, l’adenoma di Conn (iperaldosteronismo), l’adenoma di Cusching (derivazione corticale ), il feocromocitoma ed
il neuroblastoma (derivazione midollare). Altre masse surrenaliche non funzionanti sono quelle emorragiche, metastatiche, gli
emangiomi, i leiomiomi/sarcomi, i linfomi di Hodking ed i melanomi.
• CARCINOMA
ADRENOCORTICALE
Il CAC rappresenta nel bambino un raro tipo di tumore maligno (0,2% delle neoplasie). L’incidenza oscilla tra 0,3–0,38
/1000000 di bambini al di sotto dei 15 anni di età. Nel 65% dei
casi si manifesta entro 5 anni. Sono descritte associazioni con
la Sindrome di Li–Fraumeni, la Sindrome di Beckewitt–Wiedemann e con l’emipertrofia. Il CAC colpisce per lo più le femmine
con una percentuale del 65%. La sintomatologia è caratterizzata
principalmente da quadri clinici ormonali come la sindrome virilizzante (62%), sindrome di Cusching (38%); isolate o variamente
associate (8%).
Altri sintomi possono essere il dolore addominale, l’ipertensione ed il ritardo della crescita (Fig. 12). Le indagini di laboratorio
comprendono: la determinazione plasmatica di ACTH, cortisolo,
testosterone androstenedione, DHES, progesterone, 17–OHP, aldosterone e renina. Dovranno essere valutati: 17–ketosteroidi, 17–
idrossicorticosteroidi, catecolamine e loro metaboliti. L’ecografia è
l’esame di primo livello per la diagnosi associata alla TC e/o RM.
214
Capitolo 7
I fattori prognostici sono riportati nella tabella 2. La sopravvivenza globale di questi
tumori a 5 anni varia dal 54 al
74%; la sopravvivenza al I stadio
(chirurgia radicale di una neoplasia di volume <200 cc con
normalizzaione dei livelli ormonali) è <90%.
• FEOCROMOCITOMA
È una neoplasia catecolamino–secernente che origina dalle cellule cromoaffini che sono concentrate nella midollare del
surrene o nel sistema paragangliare simpatico (paraganglioma:
biforcazione aortica–organo di Zuckerkandl, zona perisurrenalica, vescica/uretere, cavità toracica, cavità intracranica, regione
cervicale). Prevale nel sesso maschile tra 11–15 anni ed è noto
anche come “ten percent tumor” a causa della sua costante percentuale: 10% di incidenza tra le neoplasie nei bambini, il 10%
di localizzazione extrasurrenalica, 10% bilaterale negli adulti (nei
bambini 25–30%), 10% multicentrico e 10% familiare. Tutti i pazienti con feocromocitoma dovrebbero essere sottoposti ad uno
screening familiare per la ricerca della mutazione specifica del
proto–oncogene RET. Quest’ultimo infatti è implicato nella differenziazione di specifiche linee
cellulari che originano dalla
cresta neurale. Rispetto al feocromocitoma sporadico il feocromocitoma associato ad una
mutazione RET ha un’alta percentuale di bilateralità (oltre il
50%) e di multifocalità; Inoltre
esso difficilmente è extrasurrenalico e raramente maligno.
Nel 24% dei casi il feocromociFigura 12 – Clitoridomegalia in bambina di 2
toma (associato ad alterazione
anni affetta da. ca corticosurrenale virilizzante.
Patologia uro–andrologica
215
del protooncogene RET) può essere la sola espressione della
MEN2 (in assenza di patologia tiroidea e/o paratiroidea).
Viene riportato rispettivamente nella Tab.3 e Tab.4 un caso
clinico di una bambina di 14 anni affetta da feocromocitoma e
MEN 2 ed un caso clinico di una bambina di 12 anni affetta da
feocromocitoma e MEN 2B. La sintomatologia del feocromocitoma è caratterizzata da ipertensione arteriosa stabile o parossistica, anche se nel 20% è presente normotensione arteriosa.
Talvolta sono presenti crisi ipertensive di breve durata seguite
da ipotensione ortostatica accompagnate da sudorazione profusa, tachicardia, cefalea, nausea/vomito ed astenia intensa. La
diagnosi differenziale deve essere fatta con altre cause di ipertensione arteriosa nel bambino come: affezioni nefrovascolari,
ipertiroidismo, coartazione aortica, tumori corticosurrenalici,
sindrome adrenogenitale, tumori cerebrali ed ipertensione essenziale. La diagnosi di feocromocitoma si basa sulle indagini
di sede: Eco, Tac, Rmn, scintigrafia con I 131 metiodo–benzilguanidina (M.I.B.G.), analogo della norepinefrina che si localiz-
216
Capitolo 7
za nel tessuto cromaffine patologico sia in sede surrenalica che
extrasurrenalica. Gli esami di laboratorio sono basati sul dosaggio delle catecolamine plasmatiche e delle metanefrine urinarie
delle 24 ore. Le catecolamine possono aumentare anche nella
S.Guillan–Barrè, neuroblastoma, porfiria, tumori cerebrali, sindrome da carcinoide e nella colelitiasi intraepatica.
7.7 Tumori neuroblastici
Neoplasie tipiche dell’età pediatrica che originano dai neuroblasti della cresta neurale primitiva.
Embriologia ed anatomia del S.N.Simpatico
Le cellule della cresta neurale (neuroblastomi) danno origine a:
1. Gangli spinali sensitivi del simpatico (gangli delle radici dorsali)
2. Gangli somatici sensitivi del simpatico
3. Gangli motori post–ganglionari autonomi (s.n. simpatico e
parasimpatico)
4. Gangli nervi cranici (VI–VII–IX–X)
5. Cellule di Schwann
6. Meningi (Pia–Aracnoide)
7. Cellule del mesenchima degli archi branchiali faringei
8. Tessuto connettivo del cranio e faccia
9. Odontoblasti
10. Gangli pre–aortici (celiaci–mesenterici)
11. Cellule cromaffini (cellule endocrine) che a loro volta danno
origine a:
– Surrene–midollare
– Glomo carotideo
– Cellule melanocitiche di Merkel
– Tiroide (cellule C parafollicolari)
– Insulae pancreatiche
Inoltre sono presenti nel tenue, nell’appendice e nel retto.
Patologia uro–andrologica
217
Classificazione istologica
Ganglioneuroma: benigno e differenziato.
Ganglioneuroblastoma: caratteristiche istologiche intermedie, comportamento prevalentemente maligno.
Neuroblastoma: forma più nota, comportamento maligno.
• NEUROBLASTOMA
È il tumore solido più frequente in età pediatrica originante dalle cellule della cresta neurale, ad eziologia sconosciuta,
secondo alcuni autori l’assunzione di idantoina, fenobarbital e
alcool durante la gravidanza può favorire l’insorgenza di tale
neoplasia.
Esso ha una presentazione clinica ed un comportamento
biologico estremamente variabile, potendo andare incontro a
regressione spontanea o differenziarsi in un ganglioneurinoma
benigno. Nella maggior parte dei casi è molto aggressivo e si
presenta già metastatizzato al momento della diagnosi.
Epidemiologia
È il tumore solido extracranico più frequente in età pediatrica, l’incidenza annua è di 9 casi / milione (<15 aa); tipico della
prima infanzia: 70% dei casi in età < 5 aa (raro > 10 aa). Esso è
il tumore maligno più frequente in epoca neonatale, con possibilità di diagnosi ecografica prenatale.
Genetica
Delezione del braccio corto (p) del cromosoma 1, locus 36
[1p36] (nel 35% dei casi alla diagnosi).
Prognosi sfavorevole: amplificazione del gene n–myc [cromosoma 2] (nel 20% dei casi alla diagnosi);
Prognosi favorevole: recettori per le neutrofine: geni trk–a,
trk–b, trk–c es. trk–a codifica per il recettore del ngf —> differenziazione.
218
Capitolo 7
Distribuzione
Essendo il neuroblastoma un tumore che origina dai neuroblasti
può insorgere in qualsiasi sede dell’organismo in cui siano presenti
cellule del s.n. simpatico:
–
–
–
–
50 % dei casi midollare del surrene;
25 % gangli latero–vertebrali simpatici dell’addome;
20 % gangli latero–vertebrali simpatici del torace;
5 % gangli latero–vertebrali simpatici del collo e della pelvi.
Quadro clinico
Sintomi sono insidiosi e vaghi. Il quadro clinico è in rapporto alla
localizzazione della sede primaria, alla diffusione metastatica ed
alle alterazioni metaboliche indotte dai prodotti escreti dalla neoplasia stessa. Il neuroblastoma può simulare, soprattutto quando
la malattia è nelle fasi iniziali: una patologia infettiva (osteomielite), una artrite reumatoide o una leucemia acuta. I segni aspecifici
sono: astenia, perdita di peso, febbre, sudorazione, rash cutanei,
dolori ossei ed articolari. Possono essere segni di malattia metastatica: ecchimosi periorbitali, occhi a panda (Racoon eyes, Fig. 13) ed
altre manifestazioni emorragiche.
Sindrome paraneoplastica: opsomioclonie (sindrome degli occhi e dei piedi danzanti, movimenti dei muscoli degli arti, degli
Figura 13 – Racoon eyes.
Patologia uro–andrologica
219
occhi e del tronco) – Diarrea intrattabile con marcata ipopotassemia (secrezione di VIP correlata a ganglioneuroma o ganglio
neuroblastoma) – Ipertensione arteriosa: per aumentata increzione di catecolamine (19% bambini con neuroblastoma hanno
ipertensione arteriosa). Essa si risolve dopo terapia chirurgica o
chemioterapia.
Sintomatologia in rapporto alla sede
Sede Surrenalica (50%): anoressia, vomito, vaghi dolori addominali, massa palpabile (quadranti laterali dell’addome o regione
sottocostale, scarsamente mobile, irregolare, margini mal delimitabili). Essa può determinare compressione vascolare e ostacolo
al deflusso venoso: turgore vasi venosi delle estremità, edema
scrotale ed edema degli arti. Inoltre può causare ipertensione arteriosa per compressione dell’arteria renale (ipertensione renina
mediata).
Gangli Paraspinali Retroperitoneali (25%): se la neoplasia si infiltra nei forami intervertebrali, provoca compressione extradurale
del midollo e delle radici dei nervi spinali con difficoltà alla deambulazione, areflessia / iperreflessia, paralisi degli arti, vescica instabile, pseudocclusione intestinale (Dumb–Bell Syndrom).
Sede Toracica (20%): più frequentemente asintomatico, di solito la diagnosi viene fatta dopo l’esecuzione di un Rx torace per
tosse persistente o insufficienza respiratoria (presenti nelle fasi
tardive).
– Nbl mediastinico: tosse, insufficienza respiratoria, disfagia
– Nbl mediastinico paraspinale: penetra all’interno dello speco
vertebrale e comprime il midollo spinale “neuroblastoma a
clessidra” (Dumbell Syndrome).
Sede Cervicale o Mediastinica Alta (<5%): in questa sede i neuroblastomi originano dai gangli del simpatico cervicale, sono normalmente
palpabili e visibili come masse cervicali, si possono associare a linfoadenopatia in sede cervicale ed a sindrome di Claude–Bernard–Hörner
220
Capitolo 7
per l’impegno della componente simpatica cervicale, soprattutto del
ganglio stellato (ptosi palpebrale unilaterale, miosi e enoftalmo).
Sede Pelvica (<5%): essi possono determinare, come il neuroblastoma pelvico dell’organo di Zuckerlandl, compressione vescicale e/
o intestinale con disturbi dell’alvo o della funzione vescicale, tali da
simulare disturbi sfinteriali. I tumori pelvici possono essere palpabili
dall’addome o dall’esplorazione rettale sottoforma di una massa presacrale dura e bernoccoluta.
Correlazione sede primaria / età: la sede primaria varia in relazione
all’età del paziente. Neuroblastomi diagnosticati nel periodo pre–natale sono principalmente localizzati in sede surrenalica (93%) ed hanno
una biologia favorevole (67%–1° stadio). Nel primo anno di vita esso
predilige la sede toracica e cervicale, dopo prevale la localizzazione
surrenalica.
In oltre il 50% dei pazienti alla diagnosi si riscontrano metastasi:
diffusione ematica e linfatica, fegato, tessuto sottocutaneo (noduli
bluastri), ossa (predilezione per le ossa cranio–facciali), tessuti periorbitali e retrobulbari (Racoon eyes), polmone, cervello. La sindrome di
Pepper è caratterizzata dalla presenza di metastasi epatiche massive ±
distress respiratorio (il fegato può crescere a dismisura fino a causare
un ostacolo alla respirazione) e metastasi sottocutanee (diffusi noduli
bluastri); la sindrome di Hutchinson: zoppie ed irritabilità (per metastasi scheletriche); la sindrome di Kerner–Morrison: diarrea secretoria
intrattabile (per aumento di secrezione di vip dai neuroblasti), atassia
cerebellare (2% neuroblastomi) per probabile fenomeno immunitario
che coinvolge il sistema cerebellare e reticolare.
Diagnosi
Laboratorio
a) Test aspecifici:
– Funzione renale (Na; K; Ca; creatininemia plasmatica);
– Funzione epatica (bilirubina; transaminasi; proteine totali);
– VES;
– LDH (orientativo di malattia avanzata) è distribuito in vari
Patologia uro–andrologica
221
tessuti come miocardio, muscolo, fegato, cervello, sangue
(globuli rossi); aumenta in caso di infarto, epatopatie,
linfomi, leucemie, anemie, nefropatie, neoplasie diffuse;
– FERRITINA: proteina presente nel fegato, midollo osseo, milza, sintetizzata dal tessuto reticolo endoteliale,
viene metabolizzati dal fegato. Le cellule del neuroblastoma producono ferritina. Essa aumenta in caso di epatopatie, siderocromatosi primitive, anemie emolitiche,
neoplasie come linfomi, leucemie, neuroblastomi, neoplasie mammarie, pancreatiche, colon–rettali, renali,
lupus e. s. ed artrite reumatoide.
b) Test specifici:
– Adrenalina, noradrenalina, dopamina e catecolamine
urinarie (valori elevati nelle urine/24 ore), metanefrina,
normetanefrina, ac. vanilmandelico (cellule più mature),
ac. omovalinico (cellule meno mature). Sia le catecolamine plasmatiche che quelle urinarie risultano aumentate in caso di feocromocitoma, neuroblastoma, ganglioneurinoma, paraganglioma.
Il monitoraggio delle catecolamine, oltre a rivestire un valore
diagnostico elevato è utile nella sorveglianza dello stato di remissione, per cogliere precocemente una recidiva, prima di una
evidenza clinica.
NSE (enolasi neurone specifica): è un enzima glicolitico prodotto dal sistema nervoso centrale, dal sistema nervoso periferico e dal tessuto neuroendocrino. Essa viene espressa dalle
cellule neurali; aumenta nel feocromocitoma, carcinoma midollare tiroideo, apudomi, carcinoma bronchiale, astrinomi, carcinoma mammario, carcinoma gastrointestinale, carcinoma pancreatico e nei linfomi maligni. Nel neuroblastoma se si riscontra
l’NSE elevata è orientativa di malattia aggressiva; ha una alta
sensibilità (90%) e specificità (85%) per i neuroblastomi ed è
molto utile nella diagnostica, nel monitoraggio (insieme a LDH
e ferritina) e nella diagnosi differenziale tra neuroblastoma e
tumore di Wilms.
222
Capitolo 7
Diagnostica per immagini
– ECOGRAFIA: prima indagine per le forme addominali e pelviche; essa conferma il sospetto clinico di massa solida o cistica; il pattern ecografico tipico del neuroblastoma è quello di
una massa eterogenea con aree di calcificazione e necrosi (nel
50% dei casi sono presenti calcificazioni distrofiche rilevabili).
– RX TORACE / DIRETTA ADDOME: si riscontrano micro calcificazioni, fuso paravertebrale (massa ai lati del rachide), slargamento dei forami di coniugazione, alterazioni costali.
– (RX CRANIO): cranio tarlato per metastasi ossee.
– ANGIO – TC: utile per valutare dimensioni e volume, vascolarizzazione della massa, consistenza cellularità / tessuto fibroso,
rapporti tra massa e vasi circostanti, fegato, rene, pancreas,
grossi vasi, e la presenza di metastasi (fegato, midollo osseo,
teca cranica, femore, cervello). Essa permette inoltre di studiare il coinvolgimento da parte della neoplasia dei grossi vasi
(Fig. 14).
– MIELO – TC: studio del canale midollare.
Figura 14 – Caso clinico – Bambino 4 anni con neuroblastoma. Massa addominale palpabile di consistenza tesa. Tc addome: “voluminosa massa retroperitoneale a carattere
espansivo (11.5 X 7.5 cm circa), in minima parte verosimilmente colliquata, che disloca il
fegato, il rene destro e la testa del pancreas, di pertinenza surrenalica destra. La massa
ingloba l’arteria renale destra e l’arteria mesenterica superiore e disloca la vena cava, che
appare compressa, la vena renale destra ed il tripode celiaco”.
Patologia uro–andrologica
223
– RMN: indicata nei casi di sospetto coinvolgimento midollare
per la sua minima invasività ed alta specificità; oggi è usata largamente sia nella fase diagnostica che nei successivi controlli.
– SCINTIGRAFIA con MIBG (meta–iodio–benzil–guanidina): è
il marcatore positivo per le cellule neuroendocrine si fissa sul
tumore primitivo e sulle sue metastasi nel 90% dei casi. Nel
follow–up permette di conoscere e valutare la capacità captante del tumore; è meno utile per la diagnosi differenziale tra
tessuto fibroso, metastasi o ripresa locale. La specificità è del
99% e la sensibilità 85%. Essa è attualmente ritenuta l’indagine
di stadiazione più affidabile (Fig. 15).
– SCINTIGRAFIA con 99Tc: se il tumore non capta.
Diagnosi istologica
Lo studio citologico su puntato midollare e la biopsia ossea delle creste iliache permettono di eseguire una diagnosi di natura:
1. Neuroblastoma (Schwannian stroma
poor): istotipo biologicamente più
aggressivo caratterizzato da cellule indifferenziate di piccole dimensioni, rotondeggianti, con scarso citoplasma,
nuclei picnotici “tumore a piccole
cellule” spesso aggregate a formare
“pseudorosette di Homer–Wright”.
2. Ganglioneuroblastoma (“Intermixed”,
Schwannian stroma rich): con capacità
invasive e metastatiche, costituito da
cellule neuroblastiche associate a cellule gangliari mature.
3. Ganglioneuroma (Schwannian stroma dominant): rappresenta la forma
benigna del neuroblastoma caratterizzato da cellule gangliari e fibre
nervose.
4. Tumore neuroblastico (NAS) non altrimenti specificabile.
Figura 15 – Scintigrafia con
MIBG (metastasi diffuse da
neuroblastoma)
224
Capitolo 7
Diagnosi citogenetica e molecolare:
Utile per valutare le anomalie cromosomiche:
1. Delezione braccio corto cromosoma 1 (fattore prognostico
negativo).
2. DNA–index (D1) (diploide): viene calcolata la quantità totale
del DNA contenuto nei neuroblasti: –Alto contenuto (iperdiploidi–DNA >1) (neuroblastomi localizzati e responsivi alla terapia) – basso contenuto (diploidi–DNA =1) (neuroblastomi
avanzati, refrattari alla terapia).
3. Amplificazione del proto–oncogene N–MYC: è legata ad una
maggiore aggressività ed a prognosi sfavorevole (neuroblastomi in stadio avanzato di malattia).
4. Espressione del proto–oncogene TRK.
Secondo l’ “International Neuroblastoma Staging System” i criteri per la diagnosi di neuroblastoma sono rappresentati dall’esame istologico (tessuto tumorale con microscopia ottica con o senza
immunoistochimica e/o microscopia elettronica, con valori normali
o aumentati delle catecolamine sieriche o loro metaboliti urinari)
oppure dell’agoaspirato del midollo osseo contenente infiltrato di
cellule tumorali, associato ad incremento patologico di catecolamine sieriche e/o loro metaboliti nelle urine.
Stadiazione
Secondo l’International Neuroblastoma Staging System (INSS),
basata sulla valutazione clinica, radiologica e chirurgica, si classifica
in:
– Stadio 1: tumore localizzato, asportato radicalmente senza residui macro/microscopici; linfonodi “rappresentativi” negativi.
– Stadio 2:
• 2A. Tumore asportato in modo incompleto linfonodi omolaterali negativi.
• 2B. Tumore asportato in modo incompleto con linfonodi
positivi.
Patologia uro–andrologica
225
Stadio 1 + Stadio 2A + Stadio 2B
– Stadio 3: tumore inoperabile infiltrante la linea mediana con
o senza interessamento dei linfonodi regionali o tumore della
linea mediana con estensione bilaterale per infiltrazione o interessamento linfonodale.
– Stadio 4: qualunque tumore primitivo con disseminazione ai
linfonodi distanti, ossa midollo osseo, fegato, cute.
Stadio 3 + Stadio 4
– Stadio 4S: tumore primitivo localizzato (come per gli stadi 1,
2A, 2B) con disseminazione limitata a cute, fegato, midollo osseo, senza interessamento osseo in bambini minori di 1 anno.
Lo stadio 4s tipico della primissima infanzia, <1 anno, si presenta abitualmente con tumore primario allo stadio 1 o 2A o 2B o è
sconosciuta la sede primitiva ma contemporaneamente è caratterizzata da un interessamento diffuso (fegato–cute, neoformazioni
nodulari) e/o midollo osseo mentre risulta assente l’interessamento
scheletrico. La prognosi risulta più favorevole nonostante la disseminazione diffusa, con una possibile evoluzione benigna e risoluzione spontanea delle lesioni multiple. L’asportazione chirurgica
del tumore primitivo sembra non incidere sulla prognosi; l’exeresi
tumorale può essere eseguita quando le condizioni generali del
neonato lo permettono.
Terapia
Chirurgia, chemioterapia e radioterapia, variamente modulate
per età, stadio e caratteristiche biologiche:
– Stadio I: Chirurgia
– Stadio II: Chirurgia + Chemioterapia adiuvante
– Stadio III: Chemioterapia Neoadiuvante Chirurgia + Chemioterapia adiuvante
– Stadio IV: Chemioterapia a dosi ridotte + Chirurgia
Se N–MYC amplificato: megaterapia post–operatoria e trapianto di midollo.
226
Capitolo 7
7.8 Nefroblastoma o tumore di Wilms
Il nefroblastoma rappresenta la quasi totalità delle neoplasie
renali nell’infanzia ed è un esempio di come molti tumori dell’età evolutiva grazie ad un uso integrato tra chirurgia, radioterapia e chemioterapia abbiano oggi, nella maggior parte dei casi,
prognosi favorevole.
Epidemiologia
L’età media alla diagnosi è di 3,2 anni (75% dei casi in età
inferiore a 5 anni) e l’incidenza è di circa 1 caso/10.000 bambini
con età inferiore ai 15 anni. Essa è uguale nei due sessi. Il tumore di Wilms nel 5–8% dei casi è bilaterale. Il nefroblastoma
viene classificato in una forma isolata ed in una forma associata
ad altre anomalie congenite come la sindrome WAGR (aniridia,
malformazioni genitourinarie, tumore di Wilms, ritardo mentale),
la sindrome di Denys–Drash (insufficienza renale, pseudoermafroditismo e tumore di Wilms) e la sindrome di Beckwith–Wiedemann (neoplasie embrionali, emiipertrofia, macroglossia e
visceromegalia). Studi biomolecolari hanno evidenziato alcune
mutazioni geniche ricorrenti come nel gene WT1 sul cromosoma 11p13 (gene WT1 che codifica per un fattore di trascrizione
implicato nello sviluppo del blastema metanefrico e nella sua interazione con l’epitelio dell’abbozzo ureterico derivato dal dotto mesonefrico). Questa mutazione è stata riscontrata sia nella
forma sporadica che in quella familiare. Sono state rilevate mutazioni anche a carico del gene WT2 a livello del cromosoma 11
p15.5. A conferma di questa “predisposizione genetica” in casi
di tumore di Wilms sono stati riscontrati foci di lesioni “premaligne” indicati come nefroblastomatosi.
Anatomia patologica
Il Tumore di Wilms origina dal blastema renale e presenta
una miscela di epiteli renali primitivi, elementi stromali e talora
anche tessuti eterologhi.
Patologia uro–andrologica
227
Nel 10 % dei casi ci troviamo di fronte a forme anaplastiche o
sarcomatose che rappresentano un fattore prognostico altamente
negativo, con cellule tre volte più grandi, nuclei ipercromici e mitosi.
Il Tumore di Wilms si presenta all’osservazione macroscopica nettamente delimitato e variabilmente incapsulato. Al taglio è di colorito
grigiorosato con aspetto eterogeneo per la presenza di aree necrotiche, emorragiche e mucinose–encefaloidi.
Stadiazione del National Wilms Tumor Study Group (NWTS)
Stadio1. Tumore limitato al rene e asportabile completamente
mantenendo intatta la superficie capsulare.
Stadio2. Tumore si estende oltre il rene, ma può essere completamente escisso.
Stadio3. Asportazione incompleta con residuo post chirurgico limitato all’addome.
Stadio4. Metastasi ematogene, più frequentemente a carico del
polmone.
Stadio5. Coinvolgimento renale bilaterale al momento della diagnosi.
Quadro clinico
La diagnosi viene fatta nella maggior parte dei casi con la scoperta casuale di una massa addominale di notevoli dimensioni inizialmente asintomatica localizzata al fianco, fissa, di consistenza
duro–elastica che raramente supera la linea mediana. Quest’ultimo
rappresenta un fattore importante per la diagnosi differenziale con il
Neuroblastoma.
Il dolore addominale e il vomito non sono infrequenti ma sono
poco specifici anche se si può arrivare ad un quadro di addome acuto, soprattutto in caso di emorragia intratumorale post–traumatica,
che può esitare in ematoma retroperitoneale o in un emoperitoneo.
L’ematuria macroscopica è presente in 1/4 dei casi ma raramente
si manifesta all’esordio e viene definita “incostante e capricciosa”.
L’ipertensione arteriosa viene riscontrata nel 60% dei pazienti.
Derivante da ischemia renale dovuta alla pressione esercitata dalla
massa sulla arteria renale.
228
Capitolo 7
Esami strumentali
Indagine di primo livello è l’ecografia, seguita per la stadiazione
da TC con mdc. Queste due metodiche permettono di evidenziare l’estensione della neoplasia all’interno della vena renale o della
vena cava ed eventuali metastasi ai linfonodi retroperitoneali, al
rene controlaterale o al fegato. Inoltre esse permettono di fare una
diagnosi differenziale soprattutto con il neuroblastoma ma anche
con l’idronefrosi, le cisti renali, la pielonefrite xantogranulomatosa,
il nefroma mesoblastico ed altre forme maligne renali.
Nella stadiazione è necessario effettuare una Rx torace per la
presenza nel 10% dei casi di metastasi polmonari.
Terapia
Il valore della chemioterapia adiuvante nel Tumore di Wilms è
noto. Essa ha migliorato l’outcome assieme alla chirurgia dal 30%,
nel 1930, all’85% dei giorni nostri.
Oggi gli studi in corso cercano di stabilire i criteri per massimizzare l’efficacia della terapia in modo da rendere minime la tossicità
trattamento–correlata (acuta o a lungo termine), cioè diminuire la
terapia per i bambini con tumori a basso rischio o aumentarla nei
bambini con tumori ad alto rischio. Il National Wilms’ Tumor Study Group (NWTS) consiglia una chemioterapia post–operatoria,
mentre l’International Society of Pediatric Oncology (SIOP) suggerisce di eseguire la chirurgia dopo una chemioterapia pre–operatoria. La chemioterapia pre–operatoria è sicuramente indicata
nei tumori bilaterali, in pazienti con rene singolo, in reni a ferro
di cavallo, in tumori con invasione trombotica della vena cava inferiore ed in pazienti con distress respiratorio dovuto a metastasi
polmonari. Entrambi i trattamenti, sia la resezione primaria seguita da chemioterapia sia la chemioterapia pre–operatoria, hanno
ottenuto eccellenti risultati clinici.
Chirurgia
L’asportazione chirurgica prevede una via di accesso transperitoneale mediante un’incisione ampia sopraombelicale trasversa
Patologia uro–andrologica
229
tale da consentire un’agevole esplorazione del cavo addominale,
delle catene linfonodali e del rene controlaterale ed un più facile
controllo del peduncolo vascolare renale. L’asportazione riguarda il
tumore in blocco con il rene, l’uretere, il grasso perirenale ed eventualmente il surrene. La nefrectomia parziale è riservata a casi selezionati
Radioterapia
La radioterapia postoperatoria è indicata in bambini con tumore
avanzato o bilaterale ed in particolare nelle metastasi soprattutto
polmonari.
Prognosi
La prognosi del Tumore di Wilms varia in base allo stadio e soprattutto al tipo istologico.
Se l’asportazione è completa e l’istologia favorevole la sopravvivenza a cinque anni è intorno al 100%, al contrario l’istologia
anaplastica o sarcomatosa presenta sopravvivenze inferiori al 50%.
Le metastasi polmonari solitamente rispondono bene alla terapia
mentre le altre abbattono gli indici di sopravvivenza a breve termine. Particolari alterazioni cromosomiche, come la perdita dell’eterozigosi LOH del crom. 1p e 16q, sembrano essere correlate con
un maggior rischio di recidiva e mortalità.
7.9 Tumori del testicolo
Epidemiologia
Sebbene l’incidenza di questa affezione sia aumentata di oltre
due volte negli ultimi trent’anni, il tumore del testicolo rimane una
malattia piuttosto rara andando a costituire solo il 3–10% di tutti
i tumori nell’uomo adulto e l’ 1–2% di tutte le neoplasie maligne
pediatriche.
L’incidenza varia in relazione a diversi fattori: l’età (esistono 3
picchi di incidenza: in età pediatrica <2 anni, tra i 25 e i 34 anni e
230
Capitolo 7
dopo i 50 anni), la distribuzione geografica (elevata in Scandinavia,
Germania, Nuova Zelanda; bassa in Asia) e la razza (maggiore nella
razza caucasica rispetto a quella asiatica e soprattutto rispetto alla
razza nera).
Fattori di rischio
– Criptorchidismo: il rischio di carcinoma testicolare in caso di
criptorchidismo è aumentato di 4 volte rispetto al testicolo
normale ed è maggiore nel caso di testicolo ritenuto in addome rispetto a quello ritenuto nel canale inguinale ed è ancora
più elevata nel caso di ectopia crociata.
– Atrofia testicolare (vanishing testis): anch’essa favorisce il carcinoma in situ ed invasivo.
– Pregresso cancro del testicolo controlaterale.
– Pregresso trauma.
– Orchite.
– Parotite (orchite).
– Infezione da HIV.
– Stati intersessuali; come nel caso di insensibilità periferica agli
androgeni (Sindrome di Morris), difetti 17–ß–HSD e “streak
gonads” in soggetti con Sindrome di Turner.
– Familiarità (2,5%) e fattori genetici (alterazioni a carico del
Cromosoma 12).
Classificazione
I tumori del testicolo comprendono una vasta gamma di tipi
istologici e possono essere suddivisi in due grandi gruppi:
I tumori a cellule germinali: derivano da cellule germinali primordiali che verso la 4a–6a settimana di gestazione migrano
dall’entoderma del sacco vitellino verso la cresta genitale dorsale formando le gonadi primitive indifferenziate nel maschio,
dando luogo alla rete testis ed ai tubuli seminiferi, e nella femmina ai follicoli ovarici; migrano inoltre verso sedi extragonadiche ectopiche (mediastino, retroperitoneo, area perineale e
sacrococcigea) dove regrediscono spontaneamente. La maggior parte dei tumori a cellule germinali sono neoplasie molto
Patologia uro–andrologica
231
aggressive con rapida disseminazione metastatica anche se, grazie alle moderne
terapie, la sopravvivenza e la
prognosi sono notevolmente
migliorate.
I tumori non germinali:
derivano dai cordoni sessuali e dallo stroma gonadico e quindi da elementi che
originano dall’epitelio celomatico. I tumori non germinali, contrariamente alle
neoplasie testicolari a cellule germinali, sono delle
entità patologiche generalmente benigne. In alcuni casi la produzione di ormoni steroidei
da parte della neoplasia comporta l’insorgenza di particolari
sindromi endocrine.
Clinica
La presentazione clinica del tumore testicolare è subdola.
Esso si presenta il più delle volte come una massa indolente
sia nei pazienti più giovani che in quelli più anziani mentre più
raramente il sintomo d’esordio è dato da una sensazione di disconfort a livello scrotale. In alcuni casi può presentarsi come
un versamento vaginale siero–ematico (idrocele).
Nel 3% dei casi all’esordio il tumore del testicolo si presenta
già in fase metastatica, anche in assenza di massa scrotale, con
dolori lombari, segni di stasi urinaria per stenosi ab estrinseco
delle vie urinarie, adenopatia retroperitoneale, segni di femminilizzazione come ginecomastia e pigmentazione del capezzolo (Tumori a cellule del Sertoli), segni di virilizzazione precoce
quali aumento del volume del pene, comparsa di peli a livello
pubico ed ascellare, abbassamento del tono della voce, aumento dell’altezza, sviluppo muscolare sproporzionato rispetto
all’età, per iperproduzione di testosterone (Tumori a cellule di
232
Capitolo 7
Leydig).
Indagini diagnostiche
Esame obiettivo: palpazione del testicolo, trans–illuminazione
scrotale e palpazione nelle stazioni linfonodali (inguinali, sovraclaveari). Masse linfonodali in fossa iliaca o paravertebrali possono
essere riscontrate alla palpazione profonda in fase avanzata di malattia.
Ecografia scroto ed eco–color doppler: rappresentano le principali indagini diagnostiche in quanto permettono nella maggior
parte dei casi di fare diagnosi di natura della tumefazione testicolare. Importante è lo studio del testicolo controlaterale per escludere
la presenza di un tumore sincrono e la valutazione del retroperitoneo.
Tc, Rmn per lo studio della neoplasia
Rx torace: per escludere metastasi polmonari e mediastiniche
Studi siero ematici:
– ß hcg: i cui livelli risultano aumentati in circa il 30–60% dei
tumori germinali: corioncarcinoma 100%, t. del sacco vitellino
60%, seminoma 10%.
– Ldh: valori aumentati nei pazienti con seminomi puri nell’80%
dei casi e nei non seminomi nel 60% dei casi.
– Afp: livelli aumentati nei pazienti con non seminomi: T. Del
Sacco Vitellino e ca. embrionario dell’adulto 60–100%, Corioncarcinoma 1%, seminoma puro 0%.
Biopsia transcrotale: sconsigliata per l’elevato rischio di disseminazione locale della neoplasia nello scroto o ai linfonodi.
7.10 Tumori germinali del testicolo
I tumori germinali del testicolo (GCT) sono affezioni rare, essi
rappresentano circa l’1% di tutti i tumori nel sesso maschile ed il
95% dei tumori maligni del testicolo andando a costituire la più comune neoplasia diagnosticata nella fascia di età compresa tra 15–
34 anni. I CGT hanno una tipica distribuzione per età, con un primo
picco nell’infanzia e con un secondo picco ben più ampio che inizia
Patologia uro–andrologica
233
subito dopo la pubertà. L’incidenza del GCT è più che raddoppiata
negli ultimi 40 anni (0,5–2 casi su 100.000 bambini all’anno) anche
se la dimostrata sensibilità dei GCT alla chemioterapia a base di
platino ha permesso di raggiungere, insieme alla radioterapia ed
alla chirurgia, una sopravvivenza a lungo termine del 99 % negli
stadi iniziali e rispettivamente del 90%, 80% e del 50% negli stadi
avanzati con “good”, “intermediate”, “poor” prognosi, secondo
i criteri dell’International Germ Cell Cancer Collaborative Group.
Differenze citogenetiche fra i GCT degli adulti e quelli infantili, unite all’assenza di riscontro di CIS (Carcinoma In Situ) suggeriscono
che il GCT in età pediatrica rappresenti una patologia autonoma.
Da un punto di vista prettamente istologico i GCT possono essere suddivisi in due principali gruppi: i non seminomi (NSGCT),
più comuni nella prima infanzia, ed i seminomi (SGCT), i quali predominano negli adolescenti e nei giovani adulti; in alcuni casi i due
istotipi possono coesistere nella solita neoplasia (GCT combinati)
anch’essi più frequenti dopo i 25 anni d’età.
Seminomi: (frequenti > 25 anni), da un punto di vista anatomo–
patologico possono essere classificati in:
– Tipico: meno differenziato, più aggressivo, con massima incidenza tra 30–40 anni, rappresenta il 90% dei seminomi.
– Spermatocitico: ben differenziato, meno aggressivo.
– Anaplastico: con massima incidenza in soggetti >50 anni.
Non seminomi: (frequente< 25 anni), da un punto di vista anatomo–patologico si classificano in:
– Carcinoma embrionale: massima frequenza intorno ai 20–26
aa, rari tra pubertà e 18aa. È un sottotipo aggressivo, avendo
rapida crescita e frequenti metastasi.
– Tumore del sacco vitellino: esclusivo dell’infanzia.
– Corioncarcinoma: è il tipo più aggressivo. Si presenta “Puro”
tra i 30 ed i 40 anni, comprende due tipi di cellule (citotrofoblasto e sinciziotrofoblasto) e possiede un’alta tendenza a
metastatizzare a distanza.
– Teratoma: rappresenta il 4–9% dei tumori testicolari, rag-
234
Capitolo 7
giunge un’incidenza del 24–28% se associato a tumori della
linea germinale (sopratutto ca. embrionale), comprende diversi tipi di cellule (endodermiche, ectodermiche e mesodermiche), colpisce tutte le età, essendo però più frequente
tra i 10–20 anni. Si distinguono in: maturi di solito benigni e
immaturi, di regola maligni, scarsamente differenziati, associati a presenza di tessuto nervoso con frequenti metastasi
a distanza.
7.11 Tumori non germinali del testicolo
Tumori Non Germinali del Testicolo: rappresentano il 40% dei
tumori testicolari del bambino e il 5% dei tumori testicolari dell’adulto. Possono essere:
– Tumore a cellule di Leydig: bassa invasività, possono produrre androgeni, oppure sia androgeni che estrogeni, o talora
corticosterodi, potendo dar luogo a sintomi, tra cui la ginecomastia.
– Tumore a cellule del Sertoli: solitamente benigni, anche in
questo caso possono produrre androgeni e/o estrogeni, ma
raramente causano sindromi endocrine.
Stadiazione dei tumori del testicolo
Il processo di stadiazione è fondamentale per una corretta strategia terapeutica, dovendo essere quanto mai accurato ed attendibile. È necessaria un’attenta valutazione dell’estensione del tumore primitivo, dell’invasione dei linfonodi asportati in corso di una
eventuale linfadenectomia allo scopo di definire il numero, la sede,
le dimensioni e l’eventuale infiltrazione della capsula.
Stadiazione pre– e post– operatoria può essere:
– Clinica
– Strumentale
– Anatomopatologica: con esame istologico delle stazioni linfonodali di drenaggio.
Patologia uro–andrologica
235
CLASSIFICAZIONE TNM
T0
Non evidenza di tumore primitivo
T1
Tumore limitato al testicolo senza invasione vascolare/linfatica
T2
Tumore limitato al testicolo con invasione vascolare/linfatica o esteso oltre la
tunica vaginale
T3
Tumore con invasione del cordone spermatico con o senza invasione vascolare
T4
Tumore infiltrante la parete scrotale con o senza invasione vascolare/linfatica
Tx
Assenza dei requisiti minimi per definire il tumore primitivo
N0
Assenza metastasi ai linfonodi regionali
N1
Interessamento di un singolo linfonodo ≤2 cm o multipli, nessuno >2 cm
N2
Interessamento linfonodale >2 cm <5 cm o multipli, nessuno >5 cm
N3
Interessamento linfonodale >5 cm
N4
Interessamento dei linfonodi iuxta–regionali (intrapelvici, mediastinici,
sopraclaveare
NX
Assenza dei requisiti minimi per definire lo stato dei linfonodi
M0
Nessuna evidenza di metastasi a distanza
M1
Presenza di metastasi a distanza
MX
Assenza dei requisiti minimi per definire la presenza di metastasi a distanza
STADIO I
I
Nessuna evidenza di metastasi
IA
Neoplasia limitata al testicolo e all’epididimo (categoria T1–T2–T3)
IB
– Neoplasia infiltrante il funicolo (categoria T4)
– Neoplasia insorta in testicolo ritenuto
IC
– Neoplasia infiltrante lo scroto
– Neoplasia insorta dopo orchiopessi, erniectomia, ferita inguino scrotale
236
Capitolo 7
IX
Neoplasia operata radicalmente senza indicazione sulla sua estensione
STADIO II
Stadio Clinico
Stadio Patologico
IIA
Metastasi con diametro massimo
<2 cm
Metastasi <2 cm, intralinfonodali e in
numero non superiore a 5
IIB
Almeno una metastasi di
dimensioni comprese fra 2 e 5 cm
Metastasi >= 2 cm, o perilinfonodali o
in numero superiore a 5
Metastasi retro peritoneali di
dimensioni >=5
Metastasi >=5 cm, oppure:
– In numero >10
– Invasione delle vene retroperitoneli
– Rottura intraoperatoria delle
metastasi linfonodali
– Intervento non sicuramente
radicale per resezione condotta ai
margini delle metastasi
IIC
IID
–
–
Metastasi addominali palpabili
o >10 cm
Metastasi inguinali fisse
Metastasi inoperabili o malattia
resistente dopo linfoadenectomia
STADIO III
III
Metastasi ai linfonodi sopradiaframmatici e/o ematogene
III0
Malattia residua occulta, identificabile solo alla presenza di marcatori
biologici
IIIA
Metastasi mediastiniche e/o sopraclaveari
IIIB
Metastasi ematogene unicamente polmonari
– “malattia polmonare minima”: meno di 5 noduli metastatici in ciascun
campo polmonare, nessuno >2
– “malattia polmonare avanzata”: 5 o più noduli metastatici in
ciascun campo polmonare o almeno un nodulo superiore a 2 cm. La
concomitanza di versamento pleurico o di metastasi mediastiniche si
identifica come malattia polmonare avanzata
Patologia uro–andrologica
237
Metastasi ematogene in organi diversi del polmone con o senza concomitanti
metastasi polmonari
IIIC
Si parla di stadio 2 bulky quando le metastasi ai linfonodi retroperitoneali sono di 2r >5cm
Presenza di metastasi extralinfonodali a distanza:
–
–
–
–
MTS ossee
MTS cerebrali
MTS epatiche
MTS testicolo controlaterale
Si parla, invece, di:
Stadio 3 bulky → se le metastasi ai linfonodi retroperitoneali
hanno 2r >3 cm e sono presenti noduli polmonari o invasioni di
altri organi come fegato o cervello
Stadio 3 non–bulky → se le metastasi sono limitate ai linfonodi
e polmoni, con 2r > 3cm.
• TERAPIA DEI TUMORI DEL TESTICOLO
Terapia dello stadio I:
Seminoma:
Il seminoma allo stadio I può essere trattato in tre diversi modi:
– Orchiectomia Radicale + Radioterapia Profilattica: La radioterapia viene diretta solamente verso i linfonodi lombo–aortici ad
una dose di 20 Gy e rappresenta la metodica di prima scelta. Il
razionale nell’utilizzo della radioterapia è la bassa percentuale
di riprese di malattia (5% rispetto al 15–20% della sorveglianza)
e la bassa incidenza di effetti collaterali, grazie alla riduzione
dei campi di irradiazione e della dose. Nonostante ciò un overtreatment si verifica nell’80–85% dei pazienti.
– Orchiectomia Radicale + Protocollo di Sorveglianza: La radioterapia viene eseguita solo quando compaiono metastasi linfonodali.
238
Capitolo 7
– Orchiectomia + uno o due cicli di chemioterapia con carboplatino.
Non Seminoma:
Nei pazienti con NSGCT allo stadio I le possibilità terapeutiche
sono:
– Orchiectomia Radicale + Linfadenectomia Retroperitoneale
(RPLND). Il razionale della RPLND si basa sul fatto che il retroperitoneo è la localizzazione metastatica iniziale (e spesso
solitaria) nel 75–90% dei pazienti con GCT; ciò è stato osservato grazie ai risultati dei trials clinici sui pazienti allo stadio
I trattati con RPLND o seguiti con un programma di sorveglianza. La persistenza di alti livelli di AFP dopo la RPLND
è espressione di residuo di malattia o metastasi. Inoltre la
stadiazione clinica, nonostante i miglioramenti osservati nelle tecniche di imaging, presenta un’incidenza del 20–30% di
falsi positivi nello stadio clinico II. Il retroperitoneo è anche
la sede più frequente di metastasi da GCT chemioresistenti
e pertanto la RPLND rappresenta l’unica possibilità terapeutica.
– Orchiectomia Radicale + Protocollo di Sorveglianza: con un
trattamento precoce delle riprese di malattia. Il razionale per
un protocollo di sorveglianza si basa sul fatto che la somministrazione di chemioterapia al momento della ripresa di
malattia e la RPLND di prima istanza hanno un’uguale prognosi (overall–survival 98–99%). Vantaggi della sorveglianza
sono quindi legati alla possibilità di evitare un overtreatment
in pazienti ad uno stadio precoce (soprattutto in quelli a basso rischio). Un regime di sola sorveglianza è il gold–standard
nei bambini in età prepubere.
– Orchiectomia Radicale + Chemioterapia profilattica: Il razionale per una chemioterapia adiuvante nei pazienti a rischio
è basato sulla sua efficacia specialmente negli stadi avanzati
con metastasi anche se la chemioterapia, seppur di breve
durata, continua ad avere possibili effetti collaterali, in particolare la diminuita spermatogenesi nel testicolo residuo. Il
vantaggio principale è una percentuale di riprese di malattia
Patologia uro–andrologica
239
di circa il 2%, la chemioterapia rappresenta nel 70% dei pazienti ad uno stadio I un overtreatment.
Terapia dello stadio II:
Seminoma:
Nei pazienti con SGCT allo stadio II le possibilità terapeutiche
sono:
– Orchiectomia Radicale + Radioterapia dei linfonodi retroperitoneali e della fossa iliaca omolaterale al testicolo: Nel caso
di seminomi Non Bulky.
– Orchiectomia Radicale + Chemioterapia o Irradiazione dei linfonodi addominali e pelvici: In caso di seminomi Bulky.
Nei SGCT allo stadio II la terapia di prima scelta, dopo l’orchiectomia, è rappresentata dalla radioterapia ma alternativamente può essere utilizzata anche la chemioterapia.
Non Seminoma:
I NGCT allo stadio II possono essere trattati in tre diversi modi:
– Orchiectomia Radicale + Linfadenectomia Retroperitoneale.
– Orchiectomia + Protocollo di Sorveglianza + Chemioterapia o
Linfoadenectomia Retroperitoneale.
Nei NSGCT allo stadio II (senza elevazione dei markers con sospetto di metastasi) si può eseguire una RPLND iniziale o un protocollo di sorveglianza con successiva chemioterapia (se abbiamo una
progressione con i markers elevati) o con successiva RPLND. Nel
caso in cui dopo la chemioterapia restino delle masse residue nei
NSGCT può essere indicata la RPLND o la sorveglianza (in base alle
dimensioni del residuo, all’evoluzione dopo la chemioterapia e alla
presenza o meno dei markers), mentre nei SGCT allo stadio II è preferibile una sorveglianza con esame TC. La guarigione è raggiunta
nel 95% dei casi.
240
Capitolo 7
Figura 16 – K.L. Bambino di tre anni:
tumefazione testicolare destra.
Figura 18 – Testicolo destro e funicolo.
Figura 17 – Incisione inguinale.
Figura 19 – Aspetto macroscopico. York
Sac Tumor
– Chemioterapia neoadiuvante + Chirurgia: Nel caso in cui la
massa sia troppo voluminosa per intervenire chirurgicamente
in prima istanza.
Terapia dello stadio III:
Seminoma:
– Orchiectomia Radicale + Chemioterapia Combinata
Non Seminoma:
– Orchiectomia Radicale + Chemioterapia Standard
L’Orchiectomia radicale con accesso inguinale alto e legatura del
funicolo a livello dell’anello inguinale interno rappresenta l’atto terapeutico iniziale nella quasi totalità dei pazienti (Fig. 16–19). Il razionale dell’orchiectomia inguinale è la diminuzione del rischio di
Patologia uro–andrologica
241
contaminazione scrotale e di successiva diffusione linfatica inguinale. La chirurgia “esplorativa” è riservata solo ai casi dubbi all’esame
ecografico o nei giovani pazienti sia con sospetto interessamento
leucemico secondario sia per escludere un teratoma maturo. In quest’ultima patologia si esegue l’enucleoresezione con conservazione
del parenchima circostante. Altre eccezioni all’orchiectomia radicale
iniziale sono:
– Pazienti con una neoplasia ad uno stadio avanzato in cui si preferisce sottoporre il paziente a cicli di chemioterapia ed effettuare l’orchiectomia in un secondo momento per l’aumentato
rischio a breve termine.
– Pazienti con sospetta patologia benigna, con tumori sincroni
bilaterali, con tumori metacroni controlaterali, con un livello di
testosterone normale, con un tumore di un testicolo singolo
(con valori ormonali normali).
La RPLND dovrebbe essere eseguita, in accordo con le raccomandazioni dell’EGCCCG (European Urology 2008), in pazienti con
NSGCT ad alto rischio (marcatori tumorali sierici elevati ed invasione
vascolare/linfatica a livello del tumore primitivo); mentre pazienti a
basso rischio dovrebbero essere sottoposti alla sola sorveglianza.
C. Spinelli et al. Testicular germ cell tumors in young patients: surgical aspects
and follow – up. III Iberoamerican Pediatric Surgery Congress 2008. C. Spinelli
et al. Tumori germinali non seminomatosi nei giovani pazienti: svuotamento retroperitoneale o semplice sorveglianza? Società Italiana di Chirurgia Pediatrica
2008.
242
Capitolo 7
Prognosi
Secondo un nostro studio eseguito su 155 pazienti la sopravvivenza (Overall Survival) dei giovani pazienti (età < 25 anni) con
SGCT è stata del 100%, in assenza di ripresa di malattia, dopo un periodo di osservazione medio di 7 anni. La sopravvivenza è stata del
100% anche nei giovani pazienti con NSGCT, la ripresa di malattia si
è verificato nel 3% casi (Fig.15–16). L’ottima prognosi, nei pazienti di
tutte le fascie d’età ma specialmente in età giovanile, giustifica la definizione dei CGT come “modello di neoplasia curabile”.
7.12 Displasia congenita del giunto pielo–ureterale
Incidenza
L’incidenza è di 1 su 500 neonati e colpisce soprattutto i maschi,
più frequentemente a sinistra e in più del 10% dei casi essa si associa
ad un’altra patologia urologica (idronefrosi bilaterale, displasia cistica
renale, rene a ferro di cavallo, duplicità pieloureterale, rene ectopico,
reflusso vescico–ureterale).
Eziopatogenesi
Le cause della displasia congenita del giunto pielo–ureterale possono essere intrinseche (stenosi congenita del giunto pielo–ureterale,
impianto alto della pelvi) o estrinseche, compressione da parte di un
vaso anomalo polare inferiore.
Diagnosi
Oggi è possibile diagnosticare tale patologia già in epoca prenatale (durante l’ecografia morfologica del secondo trimestre: 20a–22a
settimana). È ben noto il ruolo che l’ecografia prenatale ha assunto
nella diagnosi precoce dell’idronefrosi ostruttiva da stenosi della giunzione pieloureterale, ma è altrettanto noto il rischio che tale indagine
comporta nel sovrastimare l’incidenza di tale patologia in epoca perinatale.
Patologia uro–andrologica
243
La diagnosi di malattia del giunto pielo–ureterale si basa sulla
dimostrazione di una pelvi renale dilatata ed uretere non visibile,
quindi normale (Fig. 20).
Dopo la diagnosi prenatale occorre un attento monitoraggio
della gravidanza con controlli ecografici a distanza, al parto a termine, o il più possibile vicino al termine, espletato per via vaginale.
Dopo la nascita il piccolo deve essere sottoposto a tutti gli accertamenti del caso in un centro di chirurgia pediatrica. Oggi esiste
la tendenza a individuare sempre meglio quei criteri prognostici
(indagine scintigrafica con Tc99 MAG3 post–natale e diametro antero–posteriore ecografico della pelvi renale dilatata) che facciano circoscrivere l’attenzione del chirurgo pediatra ai soli casi “a
rischio”, tralasciando tutte quelle dilatazioni incidentali del tratto
escretore urinario fetale, in cui il follow–up pre e post–natale estensivo può essere elemento di ingiustificata ansia familiare a fronte di
un rischio di patologia trascurabile. Alcuni casi di stenosi del giunto p.u. possono essere diagnosticati al momento dell’ecografia di
screening delle vie urinarie, che viene eseguita in tutti i lattanti a
due–tre mesi di vita (Fig. 21). Altri possono essere diagnosticate
perché clinicamente i bambini iniziano a presentare episodi di infezioni delle vie urinarie ricorrenti oppure dolore e peso lombare.
È utile monitorizzare la dilatazione pelvica mediante ripetute
ecografie esami urine ed urinocoltura per escludere episodi asinto-
Figura 20 – Idronefrosi bilaterale 25a settimana.
244
Capitolo 7
matici delle vie urinarie. Importante l’esecuzione di una scintigrafia,
per valutare la funzionalità del rene affetto. In alcuni casi selezionati
può essere eseguita una urografia. Inoltre viene eseguita una cistouretrografia per escludere un reflusso vescico–ureterale. Da valutare la necessità di instaurare una terapia antibiotica profilattica
soprattutto se coesiste un reflusso vescico–ureterale.
Terapia dell’idronefrosi asintomatica con funzione renale conservata
Il problema della durata del follow–up delle idronefrosi asintomatiche di grado elevato con funzione conservata rimane controverso. La benignità di molte dilatazioni del tratto urinario e la loro
documentata spontanea riduzione entro i primi due anni di vita inducono a rallentare e rendere meno approfondito dopo tale data il
follow–up.
Il riscontro di casi, seguiti a lungo termine, in cui l’idronefrosi
si può ripresentare, dopo un’apparente miglioramento verificatosi
entro i primi due anni di vita, induce ad ipotizzare che le dilatazioni
con diametro antero–posteriore >20mm rappresentino una classe a
rischio in cui il quadro ostruttivo si può manifestare anche dopo un
lungo periodo di “compenso” e transitoria remissione. Nei confronti
di queste forme è consigliabile un’attenzione a lungo termine.
Figura 21 – Ecografia rene destro post–natale.
Patologia uro–andrologica
245
Terapia chirurgica
La terapia chirurgica gold standard per la stenosi del giunto pielo–ureterale sintomatica e con ridotta funzione renale è la pieloplastica sec. Anderson–Hines. Essa può essere eseguita con tecnica
open o mini–invasiva.
7.13 Reflusso vescico–ureterale (rvu)
Il RVU si instaura quando l’urina depositata in vescica refluisce per
via retrograda nell’uretere. Può essere primario o secondario ad altre
patologie dell’apparato urinario come le valvole dell’uretra posteriore, ureterocele e la vescica neurologica.
Classificazione del R.V.U.
L’indagine di elezione per la diagnosi è la cistouretrografia grazie
alla quale il reflusso vescico–ureterale viene classificato in 5 gradi: 1°
grado reflusso in uretere sottile incompleto; 2° grado reflusso completo, vescico renale, senza dilatazione delle vie urinarie (si evidenzia
l’intero apparato escretore) ; 3° grado reflusso completo con modica
dilatazione di uretere e cavità renali; 4° grado reflusso completo con
cospicua dilatazione di uretere e cavità renali; 5° grado reflusso completo con massiva dilatazione e tortuosità ureterale.
Diagnosi
Prenatale
È stato affermato che il RVU diagnosticato in epoca neonatale, di solito in base ad una segnalazione prenatale costituisce un’entità nosologica a sé stante. Esso interessa prevalentemente pazienti maschi, è di grado elevato, frequentemente
accompagnato da un danno parenchimale diffuso, rilevabile sia
all’ecografia che alla scintigrafia. Tale danno può essere attribuito ad una lesione congenita di tipo ipo–displasico, espressione di un’anomalia primitiva che coinvolge l’embriogenesi delle
strutture uretero–trigonali e renali. Il meato ureterale di questi
246
Capitolo 7
neonati è ampio e lateralizzato, il reflusso grave e persistente e,
in alcuni casi, può associarsi un’alterazione funzionale del tratto
urinario inferiore. Questa correlazione della “gemma” ureterale e displasia renale, giustifica molti aspetti della nefropatia da
reflusso anche se ne lascia irrisolti altri come la prevalenza della
lesione nel sesso maschile. Èssa è l’uropatia malformativa che
in assoluto costituisce la causa più frequente di danno renale
pielonefritico fino al rene grinzo (cicatriziale).
Il reflusso vescico–ureterale di grado elevato può essere diagnosticato in utero sulla base di specifici segni ecografici fetali:
dilatazione del sistema escretore (idroureteronefrosi) (Fig. 22).
Post–natale
Frequentemente viene diagnosticato per ripetute infezioni delle vie urinarie che si presentano nel neonato – lattante, con ritardo nell’accrescimento staturo–ponderale, episodi di iperpiressia,
inappetenza. Nel bambino più grande le infezioni delle vie urinarie si presentano con disuria, stranguria, pollachiuria e dolore al
fianco.
Le infezioni delle vie urinarie nel neonato sono più frequenti nel maschio e sono primarie, mentre nel bambino più grande
sono più frequenti nelle femmine e spesso secondarie. Il piccolo
Figura 22 – Rvu sinistro alla 21a settimana.
Patologia uro–andrologica
247
deve essere sottoposto ad esame urine ed urinocoltura mensili, per escludere infezioni asintomatiche che potrebbero essere
causa di pielonefriti e danno renale. L’ecografia è utile per monitorizzare la dilatazione ureterale ed eventualmente quella pielica. In alcuni casi viene eseguita l’urografia. La scintigrafia con
Tc99 DMSA è fondamentale per valutare la funzionalità renale.
La cistouretrografia minzionale rimane l’indagine gold standard
per diagnosticare il RVU (Fig. 23). È opportuno valutare nel caso
di basso grado di RVU con uretere non dilatato e buona funzione
renale la possibilità di prescrivere una terapia antibiotica profilattica a questi bambini.
Terapia
Il 78% dei reflussi sino al III grado e il 67% di quelli di IV e V
grado, diagnosticati in epoca prenatale o neonatale, si risolvono
spontaneamente entro il secondo anno di vita. La terapia antireflusso è generalmente considerata solo nei casi di fallimento
del trattamento conservativo,
sotto forma di infezioni intercorrenti. L’atteggiamento terapeutico, entro i primi due anni
di vita, è improntato ad un criterio conservativo sotto stretta
osservazione clinica. In assenza
di episodi infettivi intercorrenti
la valutazione prognostica ha
trovato nello stato iniziale del
parenchima renale un indice più
accurato di quello comunemente basato sul grado del reflusso.
La presenza di un danno diffuso/
ipoplasia neonatale fa ipotizzare
un’alterazione congenita grave
della giunzione uretero–vescicale. In questo caso, l’attesa di Figura 23 – Cistouretrografia: rvu bilaterale.
248
Capitolo 7
una risoluzione o di una significativa riduzione del reflusso appare
molto ridotta, ed un eventuale trattamento endoscopico o, in caso
di insuccesso, un trattamento chirurgico (ureteroneocistostomia
antireflusso), va quindi prospettato in termini di forte probabilità.
Tale terapia ha tuttavia l’obiettivo prevalente di controllare in maniera più efficace le infezioni e le loro potenziali conseguenze sul
parenchima, mentre rimane incerto il suo ruolo nel “recupero” funzionale di questi reni.
L’intervento chirurgico gold standard rimane l’ureteroneocistostomia sec. Cohen. Nei casi di RVU minori, RVU recidivi, RVU associati a vescica neurologica, è possibile eseguire l’iniezione endoscopica sottomeatale–sottomucosa di collagene o simili (Deflux).
Capitolo 8
PATOLOGIA GINECOLOGICA
IN CHIRURGIA PEDIATRICA
8.1 Visita ginecologica in età pediatrica
La presenza di affezioni di natura ginecologica da trattare chirurgicamente è una condizione rara, in età pediatrica e identificabile
nella quasi totalità dei casi grazie ad un esame ginecologico accurato. L’esame ginecologo, indipendentemente dalla fascia d’età in
cui viene eseguito (neonatale, infantile od adolescenziale), deve
essere composto da due diverse parti semeiologiche le quali comprendono: anamnesi ed esame ginecologico propriamente detto
composto dall’esame delle zone sessuali extrapelviche, dall’ispezione e palpazione dei genitali esterni e dall’esplorazione vaginale
strumentale.
Anamnesi
La storia clinica può essere ricostruita nella maggior parte dei
casi non direttamente, ma con l’ausilio della madre o di entrambi
i genitori. In alcuni casi, specialmente nelle bambine più grandi,
può essere consigliabile condurre un interrogatorio separato, prima della madre e poi della piccola paziente, così da poter prendere in considerazione il quadro anamnestico risultante dalle notizie
fornite da entrambe. Anche nel caso di adolescenti la raccolta di
un’anamnesi utile ed accurata può risultare difficoltosa data la particolare sfera emotiva tipica di questa fascia d’età. In ogni caso il
medico dovrà presentarsi amichevole e cordiale, dovrà iniziare la
conversazione, con argomenti diversi dal motivo della visita così da
creare un’atmosfera più favorevole, per poi passare all’anamnesi
vera e propria.
249
250
Capitolo 8
Esame ginecologico propriamente detto
L’esame ginecologico propriamente detto nella neonata così
come nella bambina è fondamentalmente basato sulle indagini di
natura ispettiva e palpatoria (addominale e vulvare). Nell’adolescente, se sessualmente attiva, l’esame ginecologico deve, invece
essere condotto nella sua completezza.
Al momento della nascita o nel periodo neonatale, con grande
attenzione e delicatezza deve essere effettuata la prima ispezione
dei genitali esterni andando in particolar modo ad esaminare la
regione perineale, la presenza e la conformazione delle grandi e
delle piccole labbra, il meato urinario, l’aditus vaginale e la conformazione dell’imene.
Della regione perineale, un importante parametro da tenere in
considerazione è rappresentato dal così detto rapporto ano–genitale. Esso si ottiene dividendo la distanza, espressa in cm, dal
centro dell’orifizio anale ed il margine posteriore della forchetta,
posta al numeratore, e quella tra il centro dell’orifizio anale e la
base del clitoride, posta al denominatore. In condizioni fisiologiche
normali tale valore deve essere compreso tra 0,36 e 0,5. Un rapporto ano–genitale superiore può essere indicativo, anche in assenza
di clitoridomegalia, di una ridotta fusione labioscrotale dovuta ad
un’esposizione androgenica prima della 14° settimana di gestazione come conseguenza di stati intersessuali, di ipertrofia surrenalica
congenita o di androgenizzazione materna.
Allargando delicatamente le grandi e le piccole labbra si va ad
esaminare la conformazione e le dimensioni del clitoride. In condizioni fisiologiche è sempre presente alla nascita un certo grado
di ipertrofia clitoridea come conseguenza di estrogenizzazione. Si
definisce ipertrofia clitoridea patologica se la sua lunghezza supera
1,5 cm e la sua larghezza 0,7 cm. Essa può essere attribuita a stati
intersessuali o androgenizzazione intrauterina. Si procede a questo
punto con l’osservazione del meato urinario (possibile sede di caruncole, cisti ed emangiomi) e dell’imene.
La conformazione dell’imene può essere estremamente variabile da caso a caso potendosi presentare a tasca, puntiforme, cribriforme e a risvolto di manica. In ogni caso deve comunque essere
evidenziabile, anche per mezzo dell’utilizzo della parte terminale di
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
251
un catetere, uno o più orifizi di accesso alla cavità vaginale. In caso
contrario è possibile trovarci di fronte ad una condizione di imene
imperforato.
In età infantile l’ispezione dei genitali esterni deve comprendere, oltre alla valutazione della regione perineale ed anale, lo studio
dello stato della mucosa delle piccole labbra e del vestibolo, così
da escludere la presenza di sinechie, di segni di estrogenizzazione
della mucosa (imbibizione, ispessimento ed iperpigmentazione),
segni di flogosi (edema, iperemia, lesioni da grattamento), escorazioni o macchie iperpigmentate. Si procede all’osservazione del
meato urinario, del clitoride (un indice clitorideo maggiore di 15
mm può essere indicativo di esposizione ad androgeni) (Fig. 1). Si
passa infine alla visualizzazione dell’aditus vaginale.
L’esame dei genitali interni
(vaginoscopia e colposcopia)
non vengono routinariamente
eseguiti in età infantile e neonatale ma solo se sussistono
alcune indicazioni quali: sospetto di abuso sessuale, traumatismi estesi oltre l’aditus
vaginale, perdite ematiche dai
genitali non correlabili a precocità sessuali e flogosi vagiFigura 1 – Ipertrofia clitoridea (s. di Morris).
nali ricorrenti.
8.2 Patologia malformativa
Vengono definite con il termine di malformazioni del canale utero–vaginale un insieme piuttosto eterogeneo di patologie dovute
ad un difetto embriogenetico.
Embriologia
I condotti genitali femminili derivano dai dotti paramesonefrici o di Müller che in a ssenza del MIS (Müllerian Inhibiting Substance), prodotto dalle cellule del Sertoli, permangono e sti-
252
Capitolo 8
molati dagli estrogeni vanno a formare le tube uterine, l’utero,
la cervice e la parte superiore della vagina. I dotti paramesonefrici crescono in strettissimo rapporto con i dotti di Wölf che
sono ritenuti una sorta di “guida” per i dotti di Müller stessi. La
porzione caudale dei due dotti si fonde in unica struttura mediana, l’utero. Nel frattempo l’estremità caudale dà luogo ad
un piccolo rigonfiamento, il tubercolo di Müller, a livello della
parete del seno uro–genitale. Da esso si staccano due compatte
evaginazioni (bulbi seno vaginali) che proliferano e formano una
lamina vaginale compatta che andrà incontro ad accrescimento
e canalizzazione. Quindi mentre le salpingi, l’utero e la cervice
derivano dal dotto paramesonefrico, la vagina avrà una doppia
origine, la porzione superiore derivata dal tubercolo di Müller
e quella inferiore derivata dai bulbi seno vaginali. Il lume resta
separato dal seno urogenitale da una sottile lamina tissutale,
l’imene. Le gonadi invece derivano dalle creste genitali, proliferazione dell’epitelio celomatico e condensazione del mesenchima sottostante. Una volta sviluppate esse non sono affatto
influenzate da eventuali noxae che successivamente colpiscono le vie genitali e possono funzionare perfettamente anche in
loro assenza, al contrario dei blastemi renali che si atrofizzano e
scompaiono se non vengono raggiunti dagli ureteri.
APLASIA VAGINALE
Con il termine di aplasia vaginale si intende l’assenza isolata,
parziale o totale della vagina.
• SINDROME DI MAYER–ROKITANSKY–KUSTER–HAUS O IPOPLASIA MÜLLERIANA
È la varietà malformativa più frequente di assenza congenita di
vagina con un incidenza di 1/20000–50000 ed è caratterizzata nelle
forme tipiche da:
– normale cariotipo femminile;
– normalità dei genitali esterni;
– assenza della vagina (più frequentemente i due terzi superio-
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
–
–
–
–
253
ri, mentre il terzo inferiore derivato dal seno urogenitale può
essere conservato);
assenza dell’utero. Sono state ritrovate anche se raramente
forme atipiche con abbozzo uterino o con utero normoconformato ma con cervice atresica;
salpingi normoconformate o assenti;
normale sviluppo e funzione delle ovaie;
presenza in più del 40% dei casi di anomalie dell’apparato
urinario e nel 12% di altre malformazioni scheletriche.
Sintomatologia ed esordio clinico
L’alterazione si presenta frequentemente con un quadro clinico
caratterizzato da amenorrea primaria con normale quadro endocrino e normale sviluppo dei caratteri sessuali secondari. In alcuni casi
la sintomatologia d’esordio può essere costituita da dispareunia o
da algie pelviche.
Diagnosi
La diagnosi viene formulata durante la visita ginecologica e viene
confermata con l’ecografia, la RM e un’ispezione laparoscopica.
È obbligatorio effettuare un’indagine urografica e un’analisi del
cariotipo.
Terapia
Il trattamento chirurgico prevede l’asportazione dell’abbozzo
uterino (quando presente) e la creazione di una neovagina (mediante un’ansa sigmoidea, con il proprio peduncolo, trasposta in
sede perineale) o la dilatazione del terzo distale della vagina.
• APLASIA VAGINALE ISOLATA
Una condizione di aplasia vaginale in presenza di un utero funzionante è una condizione estremamente rara e si instaura come
conseguenza di un difetto di canalizzazione della lamina vaginale
compatta. Si manifesta al momento del menarca con dolori ad-
254
Capitolo 8
dominali ricorrenti localizzati al basso ventre e raccolta ematica a
monte della vagina atresica (ematometrocolpo).
• APLASIA VAGINALE PARZIALE
Le aplasie vaginali parziali sono così chiamate in quanto non riguardano la vagina in toto ma sono limitate ad il suo tratto inferiore, medio o superiore sempre associata, come conseguenza di una
comune derivazione embriologica, all’aplasia della porzione cervicale uterina. La sintomatologia d’esordio, così come accade anche
nel caso dell’aplasia vaginale isolata e nel caso della sindrome di
Rokitansky è da attribuire alla ritenzione di sangue mestruale con
ematocolpo (nel caso delle agenesie medie ed inferiori) ed ematometra (nel caso di agenesie superiori).
Diagnosi
La diagnosi di aplasia vaginale parziale può essere posta nella quasi
totalità dei casi per mezzo del semplice esame ginecologico. Nel caso
di aplasie medie o inferiori per porre la diagnosi è di solito sufficiente
l’eplorazione vaginale con catetere di piccolo calibro. Un esame ecografico, eseguito con sonda trans vaginale o trans addominale, può
facilmente mettere in evidenza l’ematocolpo. Nel caso di aplasia superiore, invece, l’ispezione vaginale deve essere eseguita per mezzo
di vaginoscopio o speculum così da mostrare un canale vaginale di
lunghezza variabile che termina alla sua estremità prossimale con una
volta, eventualmente distesa da ematometra, priva di portio.
Terapia
Il trattamento nel caso di aplasia vaginale parziale è chirurgico e
consiste, nel caso di aplasie vaginali superiori nella creazione di un
canale utero–vaginale mentre nel caso di aplasie medie o inferiori
è necessario eseguire lo scollamento dello spazio retto–vaginale,
allo scopo di drenare il sangue ivi raccoltosi. Prima dell’intervento
può essere utile una terapia medica a base di analoghi del GnRH
così da arrestare temporaneamente e reversibilmente il sanguinamento e quindi facilitare l’intervento.
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
255
• SETTI VAGINALI
Vengono, almeno di solito, definiti come setti vaginali un gruppo abbastanza eterogeneo di condizioni patologiche malformative
caratterizzate dalla presenza di setti fibrosi all’interno del canale
vaginale. I setti vaginali possono essere classificati in base alla loro
disposizione all’interno della vagina: setti vaginali trasversali e longitudinali
• SETTI VAGINALI TRASVERSALI
I setti trasversali sono così chiamati in quanto sono disposti trasversalmente così da occludere parzialmente o totalmente il canale
vaginale. I setti vaginali sono generalmente collocati a livello del
terzo superiore o inferiore della vagina e sono suddivisi in 2 gruppi
che comprendono setti vaginali completi o imperforati e setti vaginali incompleti o perforati
Sintomatologia
La sintomatologia differisce a seconda che ci si trovi di fronte a
setti imperforati o incompleti. I setti perforati sono generalmente
asintomatici; solo in alcuni casi possono essere associati a dismenorrea e qualche difficoltà al rapporto sessuale così da giustificare
un intervento.
I setti completi, invece, si possono manifestare con mucocolpo,
nel periodo neonatale, idrocolpo nell’infanzia ed ematocolpo alla
pubertà. Il mucocolpo è tipico della neonata e consiste nell’accumulo di muco in vagina e nel canale cervicale. Il setto vaginale viene quindi disteso dall’interno così da apparire traslucido all’ispezione. L’idrocolpo, cioè l’accumulo di secrezione all’interno della
vagina, è generalmente una condizione asintomatica, ma in alcuni
casi può essere associata a dolore durante la minzione o la defecazione come conseguenza della compressione esercitata dalla vagina distesa sul retto e/o la vescica. L’ematocolpo, invece, consiste
in una raccolta vaginale ematica come conseguenza dell’inizio dei
cicli mestruali ed è frequentemente associato ad algie intense, tumefazione pelvica e non raramente addome acuto.
256
Capitolo 8
Diagnosi
La diagnosi è fondamentalmente clinica e basata sull’anamnesi della paziente (amenorrea primitiva, dolori addominali ricorrenti) e sull’ispezione vaginale. Un’esame ecografico deve
comunque essere eseguito allo scopo di differenziare la presenza di un setto vaginale da una condizione di aplasia vaginale.
Terapia
L’approccio terapeutico per la presenza di un setto vaginale
trasverso completo od imperforato consiste ovviamente nella
sua escissione chirurgica. L’intervento deve essere eseguito in
epoca prepuberale onde evitare l’instaurarsi di un ematocolpo;
mentre la sua escissione deve essere eseguita nella prima infanzia solo nel caso in cui la distensione provochi un qualche tipo
di sintomatologia.
• SETTI
VAGINALI LONGITUDINALI
I setti vaginali longitudinali sono così chiamati in quanto, contrariamente ai setti trasversali, sono disposti longitudinalmente
all’interno del canale vaginale come conseguenza della mancata
fusione dei dotti paramesonefrici.
Il corpo uterino è unico mentre il setto più o meno completo si presenta sintomatologicamente in età adulta con possibile dispareunia.
L’asse vagina–utero può andare inoltre incontro ad un difetto di
fusione dei dotti di Müller ad altri livelli con la possibile presenza
di duplicazioni utero–vaginali di vario tipo ed a vario livello (utero
didelfo, utero bicorne etc.) con una sintomatologia che spazia da
una totale assenza di sintomi, con normali capacità riproduttive, ad
una sintomatologia più complessa dovuta alla presenza di abbozzi
uterini non comunicanti all’esterno che danno origine ad ematometra.
Essi possono delimitare:
– Due emivagine pervie: tali condizioni sono generalmente
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
257
asintomatiche e sono scoperte occasionalmente. In questi
casi è comunque necessario un approfondimento diagnostico in quanto è possibile l’associazione con una condizione di utero didelfo. Se asintomatica non è necessario alcun
tipo di intervento correttivo.
– Un’emivagina pervia ed un’emivagina imperforata: in questo caso si possono avere condizioni e quindi quadri clinici
diversi.
– Cisti del dotto di Gartner: il dotto di Gartner è un residuo
del dotto di Wölf non riassorbito durante la vita intrauterina il quale si pone a formare una tasca vaginale disposta parallelamente alla cervice ed al canale cervicale. Solo
raramente si tratta di una malformazione isolata essendo
spesso associata ad utero bicorne uni cervicale con emiutero non comunicante. Anche in questo caso la sintomatologia è prettamente dipendente dalla funzionalità o meno
dell’emiutero. Se esso è funzionante i sintomi derivano dalla raccolta ematica tale da provocare algie pelviche o una
massa palpabile.
– Sindrome di Wünderlich: è una sindrome caratterizzata dalla presenza di un’emivagina imperforata associata ad utero
didelfo e agenesia omolaterale del rene. In questo caso il
sintomo guida è dato da dismenorrea ingravescente come
conseguenza dell’ematometrocolpo.
Terapia
Il trattamento per questo tipo di malformazioni è chirurgico.
• IMENE
IMPERFORATO
Si manifesta poco dopo la nascita al contrario della vagina
atresica per la raccolta delle secrezioni mucose vaginali a monte
del diaframma imenale (idrocolpo) che si rende ben evidente
grazie alla protusione visibile dell’imene.
La terapia consiste nell’escissione della membrana imperforata.
258
Capitolo 8
MALFORMAZIONI UTERINE
Le malformazioni uterine sono un gruppo estremamente eterogeneo di condizioni patologiche le quali devono essere considerate il risultato di una difettosa fusione dei dotti mülleriani.
Considerata l’estrema variabilità del difetto, una classificazione
adeguata così come anche una precisa stima della loro incidenza
è estremamente difficile; in ogni caso essa sembra compresa tra
lo 0,1 e lo 0,4 %. Le anomalie più frequenti sono quattro e comprendono:
1. Utero unicorne. In questo caso l’utero si forma come conseguenza dello sviluppo di uno solo dei dotti di Müller
così che mentre da tale lato è presente anche la tuba, che
rimane in comunicazione con l’ovaio, dal lato opposto è
presente solo la gonade. In alcuni casi l’altro emiutero può
essere presente come corno rudimentale comunicante o
meno con il corno più sviluppato. Nel caso in cui esso sia in
comunicazione con il corno maggiore, non sarà presente alcun tipo di sintomatologia mentre in caso contrario avremo
ematometra (raccolta di sangue nel corno atresico) e quindi
dismenorrea grave.
2. Utero didelfo. L’utero didelfo è caratterizzato dalla presenza di una suddivisione mediana per cui, in realtà, gli uteri
devono essere considerati due. Anche il collo dell’utero risulterà essere duplice mentre la vagina può essere unica,
come accade più frequentemente, o essere suddivisa da un
setto longitudinale per tutta la sua lunghezza.
3. Utero bicorne. L’utero bicorne è costituito da due corni uterini più o meno separati tra loro (si parla, infatti, di forme
complete o parziali) tanto che all’esame isteroscopio il fondo dell’utero appare diviso da un’incisione più o meno profonda a seconda del grado di bicornualità.
4. Utero setto. L’utero setto, contrariamente a quanto accade
per l’utero bicorne, ha un aspetto laparoscopico normale
con il fondo che appare normalmente convesso anche se
in alcuni casi può essere segnato al centro da un leggero
solco (l’utero bicorne è invece separato in due parti). L’esa-
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
259
me della cavità uterina mette in evidenza la presenza di due
distinte cavità suddivise da un setto che partendo dal fondo
dell’utero può raggiungere in alcuni casi anche il collo.
8.3 Patologia vulvo–perineale
• SINECHIE DELLE PICCOLE LABBRA
È una condizione fisiopatologica abbastanza frequente (1–4% della
popolazione femminile) che consiste in una coalescenza, completa o
parziale, della linea mediana della cute delle piccole labbra che partendo dalla forchetta e portandosi verso l’alto nasconde totalmente
o in parte l’introito vaginale e/o il meato uretrale provocando disturbi
minzionali. Le sinechie delle piccole labbra non sono mai presenti
alla nascita (non si tratta quindi di una condizione malformativa) ed
insorgono di solito in un arco di tempo compreso fra i 13/23 mesi ed
i 6 anni cioè nel periodo di latenza di escrezione estrogenica da parte
dell’ovaio. L’esatto meccanismo
patogenetico non è conosciuto
ma la loro formazione sembra essere la conseguenza di una vulvite o di altri fenomeni infiammatori che determinano, in assenza
dell’effetto trofico esercitato dagli estrogeni, delle piccole soluzioni di continuo che poi esitano
in fenomeni aderenziali.
Clinica
In una percentuale compresa fra l’80 ed il 90% dei casi la presenza di sinechie delle piccole labbra è una condizione completamente asintomatica. Nei rimanenti casi (10–20%) è, invece, associata a
disturbi urinari quali disuria, minzione a ventaglio e uretriti. La diagnosi è clinica e si basa sulla semplice ispezione dei genitali esterni.
Nella diagnosi differenziale rientrano sia l’imene imperforato (condizione congenita caratterizzata dalla mancanza del normale ostio
260
Capitolo 8
a livello imenale e associata a seconda dei casi ad ematocolpo o
idrocolpo) e l’atresia vaginale bassa.
Terapia
La risoluzione spontanea alla pubertà è comune e nel caso la
bambina sia asintomatica non è necessario nessun trattamento,
anche se è importante la rassicurazione dei genitori sulla presenza
dalla vagina e sulla probabile risoluzione spontanea. Le linee di
trattamento differiscono a seconda che ci si trovi di fronte a forme
complete o incomplete sintomatiche o meno. Nel caso di forme
incomplete o asintomatiche non è necessario alcun trattamento
specifico ma è sufficiente una buona igiene ed eventualmente un
trattamento per la flogosi spesso associata. Nel caso, invece, di
forme complete e/o sintomatiche il trattamento può essere duplice: medico o chirurgico. Le sinechie possono essere facilmente
“divulsionate” con una delicata trazione laterale senza sedazione
nelle lattanti; al contrario nelle bambine più grandi può essere richiesta l’anestesia. Una manovra spesso utilizzata è quella di dividere le piccole labbra con un tampone impregnato di gel anestetico. Il trattamento medico si basa sull’uso di una crema estrogenica
da applicare localmente, ma è ancora oggetto di discussione in
quanto se prolungato più di 10–15 giorni è frequentemente associato ad effetti collaterali locali (pigmentazione locale) e sistemici
(ingrandimento dell’areola mammaria).
• IPERTROFIA DELLE PICCOLE LABBRA
L’ipertrofia delle piccole labbra (fig 2–3) è una condizione parafisiologica caratterizzata da un aumento di dimensioni mono o bilaterale delle piccole labbra. In quest’ultimo caso la causa può essere
ricercata in irritazione cronica oppure in un’eccessiva risposta agli
stimoli estrogenici a cui la mucosa vulvare va incontro alla pubertà.
Clinica
L’ipertrofia delle piccole labbra è una condizione completamente
asintomatica. In alcuni casi, specialmente nelle forme più pronun-
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
Figura 2.
261
Figura 3 – Ipertrofia delle piccole labbra.
ciate, possono essere presenti bruciore, prurito, disconfort vulvare
e dispareunia. Da non sottovalutare, inoltre, sono i disturbi psichici
e comportamentali cui tale condizione può portare specialmente in
epoca adolescenziale.
Trattamento
L’ipertrofia delle piccole labbra è una condizione completamente benigna la quale non necessita alcun tipo di trattamento a meno
di trovarci di fronte a forme particolarmente pronunciate e quindi
associate ad un qualche tipo di sintomatologia. In questi casi il trattamento consiste in una riduzione chirurgica delle piccole labbra.
• CONDILOMI ACUMINATI
I condilomi acuminati, definiti anche con il termine di condilomi
ano–genitali, sono delle piccole lesioni iperplastiche della cute e
delle mucose ano–genitali che si formano in seguito all’infezione
da parte di alcuni ceppi del Papillomavirus Umano (HPV). Questi
costituiscono un gruppo estremamente numeroso di virus a DNA,
di cui ne sono stati identificati almeno 60 sottotipi (per oltre 200
genotipi) con diversa patogenicità e capacità di riprodursi all’interno delle cellule squamose differenziate della cute e delle mucose.
I ceppi principalmente coinvolti nella genesi della condilomatosi
pediatrica comprendono il 6, 11, 16, 18, 31 e 33.
262
Capitolo 8
MODALITA’ DI TRASMISSIONE DI HPV
NEI BAMBINI
1. TRASMISSIONE ORIZZONTALE
INCUBAZIONE, LATENZA
INFEZIONE INIZIALE,
(INCUBAZIONE)
REPLICAZIONE VIRALE
LATENZA
RIATTIVAZIONE
- AUTOINOCULAZIONE
- ETEROINOCULAZIONE
- ABUSO SESSUALE
2. TRASMISSIONE VERTICALE
- IN UTERO (VIA TRANSPLACENTARE, INFEZIONI
ASCENDENTI DEL TRATTO UTORGENITALE
MATERNO)
- PARTO NATURALE O CESAREO, ROTTURA
PRECOCE DELLE MEMBRANE
DIAGNOSI
MALATTIA
CLINICAMENTE
EVIDENTE
- PER FOMITES
Il periodo di incubazione sommato
ad un eventuale periodo di latenza
puo’ variare da diverse settimane al
alcuni anni.
Età < 2 anni
ERADICAZIONE
RICORRENZA,
PERSISTENZA
> Prob di trasmissione verticale
Etiologia e patogenesi
I vari tipi di HPV appaiono dotati di un trofismo preferenziale
per alcuni epiteli; i sottotipi 16 e 18 non causano lesioni cutanee
ma solo lesioni a livello delle mucose dove provocano displasie
gravi fino al carcinoma in situ (per questo sono stati associati al
carcinoma della cervice uterina e dell’endometrio). I sottotipi 6 e
11, invece, hanno uno spiccato trofismo per le cellule squamose
della cute e sono quindi ritenuti i responsabili della formazione
di condilomi ano–genitali. Per quanto riguarda la modalità di trasmissione del virus si stima che in circa l’80% dei casi l’infezione
venga trasmessa verticalmente, o durante la gravidanza, in caso
di infezioni ascendenti del tratto urogenitale materno, o durante
il parto sia naturale che cesareo. Sembra che si abbia una facilitazione nella trasmissione verticale di questo tipo di infezione
nel caso di rottura precoce delle membrane (PROM). Nel rimanente 20% dei casi la trasmissione virale viene considerata
orizzontale come conseguenza
EZIOPATOGENESI
di auto–inoculazione, in caso di
Agente eziologico : Papillomavirus Umano (HPV)
presenza di lesioni virale in altre
Si tratta di un gruppo eterogeneo di agenti virali (circa 200 genotipi),
parti del corpo (es. sulle mani),
30-40 dei quali sono stati associati a lesioni ano-genitali.
etero–inoculazione da parte di
altre persone (es. madre), per
fomites oppure per abuso sessuale. La trasmissione dell’infezione come conseguenza di
(fam. Papovaviridae)
Tipo di HPV
Patologie associate
1, 49
Verruche profonde plantari e palmari
2
Verruche comuni
benigna
6, 11
Condilomi acuminati
usualmente benigna
7
Verruche comuni dei macellai
Potenzialità
benigna
benigna
30, 40
Carcinomi laringei
maligna
16, 18, 31, 35, 39
Displasie gravi, carcinomi invasivi
altamente maligna
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
263
abuso su minore è compresa fra il 6,5 e il 71% dei casi e deve
sempre essere sospettata.
Il virus una volta venuto in contatto con la cute e le mucose
della regione genitale si colloca, dopo un periodo di incubazione
compreso fra 6 ed 8 mesi, a livello delle cellule dello strato basale
che rappresentano probabilmente il punto di attacco. Il virus è capace di localizzarsi. La sintesi del DNA virale sembra avvenire negli
strati intermedi mentre la produzione delle proteine del capside e
l’assemblaggio delle particelle virali a livello degli strati più superficiali della cute e delle mucose. L’espressione del genoma virale
funziona anche da stimolo alla proliferazione epiteliale (formazione
di condilomi) ed alle anomalie di differenziazione cellulare (coilocitosi, cellule multinucleate e nuclei ipercromici) caratteristiche del
quadro anatomo patologico di questo tipo di infezione.
Clinica
L’infezione è caratterizzata dalla comparsa di piccole escrescenze cutanee e/o mucose, isolate o multiple, diffuse e talora confluenti, di consistenza variabile (Fig. 4) e colorito biancastro che
possono interessare, nelle bambine, la vulva, la vagina, l’uretra e
la regione perianale. Nei maschi, invece, sono localizzate quasi
esclusivamente alla regione perianale. Nella maggior parte dei
casi la presenza di queste lesioni può essere asintomatica;
il sintomo patognomonico è il
prurito e quindi conseguentemente lesioni da grattamento
con possibilità di sovrinfezione
batterica.
Diagnosi
La diagnosi di condilomatosi si basa essenzialmente sulla
semplice ispezione clinica essendo l’aspetto delle lesioni alquanto caratteristico. Nei casi
Figura 4 – Condilomi anali in bambina di
3 anni. C. Spinelli et al. Condylomes Chez
l’enfant: una provocation pour le chirurgien–pediatre. 180° Congress Francis de
Chirurgie, Paris 2006.
264
Capitolo 8
dubbi può essere necessario l’esecuzione di un esame bioptico
eventualmente associato ad un esame molecolare quale PCR o
Ibridazione in situ. L’esame molecolare può anche essere utile
da un punto di vista medico legale in quanto è stato dimostrato
che alcuni ceppi sono più facilmente trasmessi per via sessuale e
quindi in questo caso potrebbe costituire se non una prova quantomeno un sospetto d’abuso.
Trattamento
In età pediatrica, contrariamente a quanto accade negli adulti
in cui la regressione spontanea dell’infezione è un’eventualità
praticamente inesistente, è invece possibile la regressione della
patologia nel 75 % dei casi entro i 5 anni d’età. Considerato
ciò, specialmente al di sotto di questa fascia d’età, si pone il
problema di quando ed eventualmente come trattare il bambino. In accordo con le più moderne linee guida il trattamento
deve avere come obiettivo primario l’eliminazione delle lesioni
clinicamente evidenti quando siano esteticamente indesiderabili, qualora siano causa di sintomatologia e nel caso in cui ci si
trovi di fronte a lesioni ricorrenti. La modalità di trattamento è
duplice e può essere medica o chirurgica. La terapia medica è
basata sulla somministrazione topica di farmaci ad azione antivirale ed antiangiogenetico (imiquimod) allo scopo di favorire
la scomparsa delle lesioni presenti e di evitarne la comparsa
di nuove. Sull’utilizzo di queste sostanze nei bambini è ancora
aperta la discussione tanto che negli U.S.A. La loro applicazione
è stata approvata solo per bambini di età superiore ai 12 anni. Il
trattamento chirurgico può essere basato su la vaporizzazione a
laser CO2, sulla crioterapia e sulla diatermocoagulazione delle
lesioni che sembra la tecnica da preferire per la sua efficacia e
semplicità. Spesso però la terapia, medica o chirurgica, non è
risolutiva in quanto le recidive sono tutt’altro che infrequenti.
Questo è il motivo per il quale anche per la condilomatosi, così
come anche per il carcinoma della cervice uterina sempre conseguente ad infezione da papilloma virus, è stato elaborato il
vaccino anti–papillomavirus tetravalente.
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
265
8.4 Lesioni ovariche in età pediatrica
Le patologie ovariche, pur rare in età pediatrica, richiedono un
accurato management diagnostico, medico e chirurgico al fine di
prevenire il verificarsi di esiti negativi (subfertilità, formazione di
aderenze, dolore addominale cronico) nella fasi successive della
vita. Esse comprendono un gruppo estremamente eterogeneo di
patologie che vanno da lesioni di natura funzionale fino a neoplasie
benigne, maligne o border–line (cioè con caratteristiche intermedie). In accordo con la letteratura il 45% delle lesioni ovariche in età
pediatrica ha un’origine funzionale (di queste quella più frequente
è la cisti follicolare), il 40% rientra nell’ambito delle neoplasie benigne mentre solo il 15% è costituto da neoplasie maligne, andando a costituire l’1% delle neoplasie tra gli 0 e i 18 anni (Tab.1). La
natura di tali lesioni è, dunque, neoplastica in circa il 55% dei casi.
Prendendo in considerazione le forme neoplastiche bisogna sottolineare che l’istopatologia di questo tipo di lesioni nelle bambine
tende a differire da quella degli adulti; mentre il 70–80% dei tumori
della donna ha un’origine epiteliale, la maggior parte delle neoplasie ovariche pediatriche sono di natura germinale (il teratoma
maturo cistico è la neoplasia in assoluto più frequente), seguite da
neoplasie dello stroma e da quelle epiteliali, eccezionali in questa
fascia d’età.
Epidemiologia
La patologia ovarica è rara in età pediatrica andando a costituire
solo lo 0,2% degli interventi di chirurgia tra gli 0 e 18 anni, ma deve
essere comunque sempre tenuta in considerazione nella diagnosi
differenziale di ogni bambina che presenti un dolore addominale,
una tumefazione addomino–pelvica o una disfunzione endocrina.
Da un punto di vista epidemiologico le lesioni ovariche in età pediatrica hanno un’incidenza di circa 2–5 casi su 1.000.000 bambine
all’anno. Per quanto riguarda la distribuzione per età, esse possono essere riscontrate nelle neonate così come nelle adolescenti: il
17% di esse viene diagnosticato nei primi 4 anni di vita, il 28% tra
5 e 9 anni e il 55% tra i 10 e i 18 anni.
266
Capitolo 8
Tabella 1 – Distribuzione delle lesioni ovariche in età pediatrica.
Classificazione
Le patologie ovariche possono essere classificate in base a numerosi e diversi criteri di classificazione di cui però quello più semplice ed
intuitivo prende in considerazione la loro etiologia permettendo così
di identificare tre diverse tipologie di lesioni: le lesioni (o cisti) funzionali, la patologia neoplasica e le lesioni ovariche di altra natura.
• LESIONI OVARICHE FUNZIONALI
Le lesioni funzionali — comprendenti cisti follicolari, cisti del
corpo luteo e cisti teco–luteiniche — sono le patologie non neoplastiche più frequenti in assoluto in età pediatrica dove costituiscono, da sole, il 45% di tutta la patologia ovarica. Essendo la loro
etiologia correlata ad uno stimolo di natura ormonale, avremo una
diversa distribuzione per età, con incidenza maggiore nel periodo perinatale (0–12 mesi), come diretta conseguenza dello stimolo
esercitato sulle ovaie dagli ormoni di origine materna placentare,
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
267
e nel periodo perimenarcale come conseguenza, invece, dell’attivazione dell’asse ipotalamo–ipofisario e quindi dell’inizio della funzionalità della gonade.
Cisti follicolare: le cisti follicolari sono la conseguenza di un’anomalia della follicologenesi per cui un follicolo ooforo, formato da
cellule della granulosa (non luteinizzate) e della teca, va incontro
a crescita con aumento della cavità in esso contenuto. L’aumento eccessivo del liquido follicolare porta sovente alla scomparsa,
per degenerazione, dell’oocita facendo così assumere al follicolo
l’aspetto di una cisti. Da un punto di vista anatomo–patologico esse
appaiono come delle formazioni cistiche di colorito bianco–grigiastro contenenti un liquido sieroso, limpido o lievemente citrino,
che possono essere singole o multiple, uniloculari (più spesso) o
multiloculari. Esse hanno un diametro, di solito, compreso tra 5
e 30 cm. Sul piano endocrinologico esse sono generalmente silenti, tuttavia possono occasionalmente produrre un’iperincrezione
estrogenica, responsabile di un quadro di pseudo–pubertà precoce o di anomalie del ciclo mestruale.
Cisti luteiniche: le cisti luteiniche sono di riscontro pressoché
esclusivo dell’epoca post–menarcale e si sviluppano come conseguenza del formarsi di un ematoma o del raccogliersi di un liquido
di colore giallo citrino o siero–ematico all’interno del corpo luteo in
una donna che ovviamente è andata incontro ad ovulazione. Da un
punto di vista anatomo–patologico esse appaiono come delle piccole formazioni cistiche generalmente uniche e uniloculari. Le cisti
luteiniche sono rivestite da un epitelio composto da cellule della
granulosa e della teca luteinizzate che conferiscono alla sua superficie un colore giallo brillante. Data la loro composizione istologica,
esse possono presentare un’increzione ormonale autonoma che si
ripercuote sul piano clinico con iperplasia dell’endometrio e irregolarità del ciclo mestruale. Le cisti luteiniche o i corpi lutei cistici possono avere una duplice evoluzione; mentre nella maggior parte dei
casi tendono alla risoluzione spontanea in 4–6 settimane, in alcuni
casi, vanno, invece, incontro all’organizzazione del loro contenuto
ematico in coaguli portando così alla formazione di una lesione
cistica non più funzionale ma francamente patologica che prende
268
Capitolo 8
Tabella 2 – Evoluzione Corpo Luteo normale e patologico.
C. Spinelli et al Functional ovarian lesions in children and adolescents: when to remove
them. World Congress Gynec. Endocrinology 2008.
il nome di cisti emorragica del corpo luteo (Tab. 2). Queste sono
lesioni che si possono facilmente complicare con torsione, rottura e
sanguinamento e quindi presentarsi con i segni clinici dell’addome
acuto (Fig. 5–6). Da sottolineare è il peculiare aspetto ecografico
che tali lesioni tendono ad assumere. Fintanto che ci troviamo di
fronte a cisti luteiniche a contenuto ematico (liquido), esse appaiono come lesioni semplici (ipoecogene) o complesse quando il loro
contenuto ematico inizia ad andare incontro ad organizzazione. Le
cisti emorragiche del corpo luteo, come conseguenza del contenuto in coaguli, tendono, invece, a presentarsi come lesioni solide o
complesse e da qui nasce il problema della diagnosi differenziale
con le patologie neoplastiche.
Figura 5 – Bambina di 13 anni. Cisti emorragica del corpo luteo complicata da torsione. C. Spinelli et al. Evaluation, manamegent and out come of pediaric ovarian
lesions. Revista Cìrurgi Infantil 2009.
Figura 6 – Bambina 14 anni. Tac: massa ovarica sx di tipo solido (cisti emorragica del corpo
luteo). C. Spinelli et al. Hemorrhagic corpus
luteum cysts: an unusual problem for pediatric surgeons. J Ped. Adol. Gynecol. 2009.
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
269
Per la variabilità morfologica, la cisti emorragica del corpo luteo può essere scambiata con una neoplasia (benigna o maligna)
dell’ovaio. Per tale motivo essa viene definita dagli ecografisti il
“grande imitatore”.
Cisti teco–luteiniche: le cisti teco–luteiniche rappresentano le
cisti funzionali meno comuni e pressoché sconosciute in età pediatrica. La vera cisti teco–luteinica si forma in quanto il follicolo
non è andato incontro a deiscenza con conseguente luteinizzazione sia delle cellule della teca sia di quelle della granulosa ovarica.
A questo tipo di luteinizzazione, definita atresica, segue un aumento di liquido con formazione di una lesione cistica il cui diametro
non supera, generalmente i 4–5 cm, anche se in letteratura sono
riportati casi di cisti teco luteiniche di dimensioni maggiori. Esse
sono generalmente bilaterali e spesso si manifestano associate a
gravidanza multipla, gravidanza molare, coriocarcinoma, diabete e
terapie ormonali.
• NEOPLASIE OVARICHE
I tumori ovarici rappresentano le più frequenti neoplasie ginecologiche in età pediatrica e costituiscono un gruppo di neoplasie
con diversa istogenesi, storia naturale, prognosi ed epidemiologia e
questo è il motivo per il quale possono essere a loro volta classificate
in base a numerosi e diversi criteri di classificazione di cui due sono
comunemente considerati essenziali al fine di un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico. Il primo criterio di classificazione
che prende in considerazione il grado di malignità mentre il secondo
si basa sulla derivazione istologica della neoplasia. In base a questo
primo criterio di classificazione si possono identificare tre diverse tipologie di neoplasie ovariche che comprendono:
Neoplasie ovariche benigne: di cui il più frequente in età pediatrica e giovanile è sicuramente il teratoma maturo cistico, di origine
geminale, seguito da fibromi e rare forme epiteliali.
Neoplasie ovariche maligne: quali il teratoma immaturo, lo yolk
sac tumor e il disgerminoma, entrambi di derivazione germinale.
270
Capitolo 8
Neoplasie ovariche border–line: cioè tumori di origine epiteliali con caratteristiche intermedie tra le forme benigne e maligne.
Questa peculiare tipologia di neoplasie, infatti, presenta alcune o
tutte le caratteristiche citoistologiche della malignità (pluristratificazione epiteliale, formazioni papillari complesse, atipie nucleari ed
attività mitotica elevata) ma differiscono dai carcinomi per l’assenza
di invasione distruttiva dello stroma, tipica dei tumori maligni.
Il secondo criterio di classificazione su base istogenetica prende
in considerazione le cellule di origine della neoplasia permettendo
di identificare almeno tre diverse tipologie di tumori (se si escludono le metastasi ovariche) che comprendono:
Tumori epiteliali: i tumori epiteliali costituiscono meno del 15–20%
delle neoplasie ovariche diagnosticate tra 0 e 18 anni. Importante è la
distribuzione per età; in epoca pre–menarcale sono le neoplasie più
rare costituendo solo lo 0,2% di tutte le neoplasie, la loro incidenza
aumenta con l’età (dopo il menarca quando costituiscono circa un terzo delle neoplasie ovariche) fino ad andare a costituire la quota più
rilevante di neoplasie nella donna adulta (intorno all’80%). Le neoplasie epiteliali derivano dall’epitelio celomatico cioè dalla sierosa che
riveste precocemente durante la vita intrauterina le creste genitali e
che da origine, poi, ai dotti di Müller da cui derivano le tube, l’ovaio e
la vagina. Con l’evolversi dello sviluppo della gonade l’epitelio celomatico non solo continua a rivestire l’organo ma, in alcuni casi tende
ad insinuarsi all’interno dello stroma portando così alla formazione di
molte neoformazioni epiteliali benigne nel 55% dei casi, border–line
nel 30% e con evidenti caratteristiche di malignità nel 15%.
Istologicamente parlando esse possono essere sierose (cioè
analoghe al rivestimento tubarico), mucinose (come la mucosa endocervicale), endometrioidi (differenziandosi come l’endometrio),
a cellule chiare (cioè cellule ad alto contenuto di glicogeno, simili
alle modificazioni dell’endometrio in gravidanza) e nel tumore di
Brenner caratterizzato dalla presenza di cellule transizionali simili a
quelle del tratto urinario. Le neoplasie epiteliali pediatriche si manifestano nel 90% dei casi con una massa pelvica; essa può essere
accompagnata da sintomi quali dolore addominale, anomalie mestruali, disuria, tenesmo rettale e perdita di peso. Inoltre, come nel-
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
271
l’adulto, possono essere presenti ascite, distensione addominale e
versamento pleurico. La diagnosi include indagini strumentali (ecografia, TC, RM, scintigrafia ossea), determinazione dei livelli sierici
dei marcatori tumorali, in particolare CA–125 e CEA. La chirurgia
è fondamentale per porre diagnosi di natura, definire lo stadio di
malattia e ottenere la radicalità nelle forme limitate, o dopo chemioterapia nelle neoplasie più estese. In linea di massima tende
ad essere più conservativa in età pediatrica, data anche la minore
aggressività delle neoplasie. La prognosi dipende dall’istologia e
dallo stadio alla diagnosi: la sopravvivenza a 5 anni è del 70–90%
nelle forme borderline e del 20–30% nelle neoplasie francamente
maligne.
Tumori dello stroma e dei cordoni sessuali: i tumori dello stroma e dei cordoni sessuali costituiscono il 5–18% delle neoplasie
ovariche pediatriche ed originano da cellule del blastema mesenchimale specializzato che, durante lo sviluppo embrionale,
hanno la potenzialità di differenziarsi sia in tessuto stromale (cellule della teca e cellule di Leydig) che in cordoni sessuali (cellule
della granulosa e cellule di Sertoli). Le cellule di Leydig e di Sertoli, normali componenti della gonade maschile, sono presenti
anche nell’ovaio, in corrispondenza dell’ilo e sono espressione
di un residuo embrionario che rimane “intrappolato” nella gonade prima della differenziazione del sesso. A causa della capacità
delle cellule che li compongono di secernere ormoni sessuali,
questi tumori si rendono spesso manifesti sul piano clinico con
segni di pubertà precoce o virilizzazione. Istologicamente parlando si possono riscontrare neoplasie composte da cellule ben
identificabili come i tumori a cellule della granulosa, i tumori con
cellule della teca e fibroblasti (tecoma–fibroma–18% dei tumori
dello stoma e dei cordoni sessuali), quelli con cellule del Sertoli
e di Leydig (10%), il ginandroblastoma, in cui sono presenti sia
cellule della granulosa che cellule del Sertoli e il tumore a cellule
lipoidee caratteristico in quanto costituito da cellule contenenti
abbondante materiale lipidico e spesso androgeno secernente. Meno del 10% delle neoformazioni di questo istotipo sono
inclassificabili: tra queste vi è la forma tubulo–anulare, spesso
associata con la sindrome di Peutz–Jeghers (poliposi gastroin-
272
Capitolo 8
testinale, iperpigmentazione cutanea e orale). Il quadro clinico
cui queste neoplasie danno origine dipende dalla loro capacità
o meno di secernere ormoni ed in quest’ultimo caso dal tipo di
ormone secreto. Nel caso di neoplasie non funzionali, come ad
esempio nel fibroma ovarico, la sintomatologia è da ricondurre all’effetto massa e quindi riconducibile a quella delle forme
epiteliali. Nel caso, invece, di neoplasie secernernti estrogeni
(estradiolo) le manifestazioni cliniche, in epoca pre–menarcale,
includono il riscontro di una massa addominale e segni di pubertà precoce (iperplasia dell’endometrio con sanguinamento
vaginale, ipertrofia mammaria, aumento della peluria nella zona
pubica, maturazione genitale, aumento dell’età ossea). Dopo il
menarca, invece, i segni clinici di una femminilizzazione da iperproduzione di estrogeni sono meno specifici e caratterizzati da
distensione, dolori addominali e irregolarità mestruali. Nel caso
di tumori secernenti androgeni il quadro clinico può essere caratterizzato da segni di virilizzazione (irsutismo, ipertrofia clitoridea, voce bitonale). Il trattamento chirurgico consiste nell’ovariosalpingectomia seguita, fatta eccezione per gli stadi iniziali,
da chemioterapia adiuvante. La prognosi è eccellente con una
sopravvivenza a 5 anni del 90–100%; esistono tuttavia casi sporadici di disseminazione peritoneale e recidive, sino all’exitus
per progressione di malattia.
Tumori a cellule germinali: I tumori a cellule germinali (GCT,
Germ–Cell Tumors) costituiscono la maggioranza (60–70%) delle neoplasie ovariche riscontrabili in età pediatrica dove si presentano con caratteristiche di spiccata malignità. L’incidenza
annuale dei GCT pediatrici e di 0,24/100.000, con un picco tra
10 e 14 anni d’età, ed essi costituiscono il 3% di tutte le neoplasie sotto i 15 anni. I tumori a cellule germinali prendono origine dalle cellule germinali primitive (ovociti primordiali). Esse,
intorno alla IV–V settimana di vita intrauterina, migrano dalla
parete posteriore dell’intestino primitivo alla base del sacco vitellino verso la cresta urogenitale, sede della gonade primitiva.
Durante tale migrazione nidi di cellule totipotenti, distaccatisi
dal nucleo centrale, possono rimanere inglobati nei tessuti circostanti e accrescersi dando origine ad una neoplasia. Tumo-
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
273
Tabella 3 – Sedi di insorgenza dei GCT in età pediatrica.
ri appartenenti a questo gruppo possono infatti ritrovarsi con
frequenza variabile lungo l’asse mediano, a qualunque livello
del soma, da quello cefalico a quello caudale (Tab. 3). Neoplasie istologicamente simili possono svilupparsi non solo a livelli
gonadico ma anche in sede extragonadica andando ad interessare le regioni che rientrano lungo la linea di migrazione delle
cellule germinali primitive dalla parete del sacco vitellino alle
creste gonadiche. In base alla prima cellula germinale andata
incontro a trasformazione maligna si possono identificare; il disgerminoma (omologo del seminoma maschile), neoplasia che
riproduce gli aspetti propri della differenziazione gonadica, il
carcinoma embrionale, che deriva dalla differenziazione in senso embrionale delle cellule della linea germinale, i teratomi
(maturi o immaturi), come conseguenza della trasformazione
neoplastica di una cellula differenziatasi lungo la linea embrionale ecto–meso–endodermica, ed il corioncarcinoma ed il tumore del seno endodermico (yolk sac tumor) che, invece derivano dalla differenziazione delle cellule della linea germinale
in senso extraembrionario (trofoblasto e sacco vitellino) (Tab.
4). I tumori a cellule germinali devono essere sospettati ogni
qual volta un bambino presenti una massa in prossimità della
linea mediana. Le indagini iniziali comprendono esami ematici per la determinazione dei livelli sierici di α–FP e β–HCG.
La diagnostica per immagini include TC, RM, radiografia del
274
Capitolo 8
Tab. 4 – Istogenesi e interrelazioni dei tumori di origine germinale.
torace e scintigrafia ossea. Il management dei GCT ovarici dipende dalla sede e dall’istologia della neoplasia. La chirurgia
è la strategia terapeutica fondamentale per i GCT. Se il tumore
è confinato alla gonade, non presenta metastasi e può essere
rimosso chirurgicamente senza rischi per le strutture circostanti, esso dovrebbe essere completamente asportato preservando, ogni qual volta possibile, il parenchima ovarico funzionante.
La sopravvivenza dei pazienti con GCT maligni, con l’introduzione
della chemioterapia contenente il cisplastino, è attualmente prossima al 100%.
• LESIONI OVARICHE DI ALTRA NATURA
Rientrano in questo ambito altri tipi di lesioni ovariche di cui
quelle più frequenti, in età pediatrica, comprendono le lesioni di
natura infiammatoria (ovariti), l’endometriosi ovarica e le cisti paraovariche.
Ovariti: L’ovaio può essere coinvolto da un processo flogistico
(ovarite) primitivamente, in età pediatrica per lo più legate al virus
della parotite (causa anche di orchite nel maschio con possibile
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
275
sterilità) e della varicella o secondariamente come conseguenza
del coinvolgimento dell’ovaio da parte di un processo flogistico
acuto a partenza o dalla tuba omolaterale o da una pelvi–peritonite di varia natura, frequentemente appendicolare. La sintomatologia è caratterizzata da febbre preceduta da brivido, dolore addomino–pelvico, stranguria, alvo chiuso o pseudodiarroico, stato
settico. L’addome può essere trattabile ma l’esplorazione rettale
evoca dolore vivo. In alcuni casi si può anche avere un blocco della
funzione ovarica, con conseguente amenorrea ipergonadotropa, in
alcuni casi persistente al risolversi dello stato flogistico. Gli esami
di laboratorio mostrano un rialzo degli indici di flogosi. La conferma del sospetto clinico di ascesso è possibile tramite l’ecografia e
l’esplorazione laparoscopica. La terapia prevede l’uso di antibiotici a largo spettro e, nel caso di ascesso tubo–ovarico, drenaggio
della raccolta. L’ovariectomia non è generalmente necessaria, fatta
eccezione per i casi in cui la flogosi cronica abbia lesionato irreparabilmente l’intero parenchima ovarico.
Endometriosi ovarica: L’endometriosi è una condizione caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale funzionante in
sede ectopica, che si accresce e si sfalda con la mestruazione,
con conseguenti emorragie locali e dolori pelvici ricorrenti tanto da costituire la causa più comune (70%) di dolore pelvico
cronico nelle adolescenti che non rispondono ad un trattamento medico combinato di contraccettivi orali e FANS. L’ovaio è
una delle sedi più frequentemente interessate, con formazione
di cisti di dimensioni variabili (6–8 cm), di colorito scuro (cisti
“cioccolato” o di Sampson) ed a contenuto corpuscolato per
la presenza di prodotti di degradazione del sangue frammisti a
cellule endometriali. La diagnosi di certezza dell’endometriosi
può essere posta unicamente per via laparoscopica con biopsia
intraoperatoria.
Cisti paraovariche: sono delle piccole formazioni cistiche localizzate tra l’ovaio e la tuba nella maggior parte dei casi in prossimità del margine distale del legamento largo dell’utero. Esse hanno
un’origine mesoteliale o mesonefrica (raramente paramesonefrica),
sono benigne e tendono alla risoluzione spontanea.
276
Capitolo 8
Sintomatologia delle lesioni ovariche
Le pazienti con patologia ovarica possono giungere all’attenzione del chirurgo pediatra in molteplici modi. Anche se la presenza
di una lesione ovarica, funzionale, neoplastica o di altra natura è
una condizione spesso asintomatica e quindi riscontrata accidentalmente o come massa addominale palpabile o durante un esame
ecografico dell’addome (pre o post natale), in alcuni casi possono
presentarsi con una sintomatologia varia, spesso poco specifica caratterizzata da:
Dolore addominale (acuto, cronico o ricorrente): il dolore addominale è sicuramente il sintomo più frequente presentandosi,
secondo la nostra casistica, nel 65% dei casi. Si tratta per lo più di
un dolore addominale cronico, talvolta riferito come disconfort più
che come una sintomatologia dolorosa vera e propria. La diagnosi
differenziale deve essere posta tra endometriosi o cisti/massa ovarica. Nel caso di cisti ovariche endometriosiche, in epoca post–menarcale, è possibile trovarsi di fronte ad un quadro di dismenorrea
ingravescente tipica della malattia. Il dolore addominale acuto è
nella maggior parte dei casi associato a complicanze quali la rottura intraperitoneale della lesione (se cistica) o torsione ovarica, a
causa della maggiore lunghezza del peduncolo e della localizzazione intraddominale dell’ovaio pre–pubere (Fig. 7, 8). La torsione
della gonade femminile è reversibile nel 2,7% dei dolori addominali pediatrici. Essa viene considerata un’emergenza chirurgica, se
non trattata tempestivamente comporta il rischio di riduzione della
fertilità. Nel 70% dei casi la torsione è favorita da una patologia
preesistente (cistica o solida), seppur frequentemente misconosciuta, mentre nei restanti è idiopatica, interessando una gonade
normale. In letteratura la torsione interessa le ovaie con un rapporto destra: sinistra variabile tra 3:2 e 5:1. Il più frequente riscontro
nella gonade destra può essere dovuto alla maggiore lunghezza e
mobilità dei legamenti infundibulo–pelvici e ovarici ed al ruolo protettivo svolto dalla presenza del sigma a sinistra. I principali sintomi
riferiti dalle pazienti sono il dolore addominale acuto e la nausea;
il rilievo anamnestico di episodi ricorrenti di dolore addominale è
suggestivo di torsioni recidivanti con detorsioni spontanee.
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
277
Anomalie del ciclo mestruale: le anomalie del ciclo mestruale
sono tipiche delle lesioni ovariche di natura funzionale. Nel caso
di cisti follicolari possono essere presenti manifestazioni correlate ad un picco di estrogenizzazione, più evidente nella bambina
pre–pubere, talvolta causa di spotting in soggetti già mestruati,
conseguenti ad una transitoria iperstimolazione dell’endometrio.
Al contrario le cisti luteiniche, post–menarcali, sono spesso associate a modificazioni del ciclo, per allungamento della fase luteale
con produzione più prolungata di progesterone, e ad una sintomatologia di spiccata tensione mammaria. All’involuzione della cisti
segue di solito un quadro di ipermenorrea.
Sintomi da iperestrogenizzazione: un quadro di pubertà precoce
può svilupparsi in presenza di neoplasie ovariche estrogeno — o
HCG — secernenti in bambine pre–puberi, mentre nel caso di soggetti che hanno già avuto il menarca l’iperestrogenizzazione si manifesta con sanguinamenti vaginali anomali.
Sintomi da iperproduzione androgenica: sono l’irsutismo e virilismo.
Iter diagnostico
Le indagini diagnostiche non consentono talvolta una diagnosi
certa di natura; spesso essa viene appurata unicamente con l’esplorazione chirurgica. In caso di patologia ovarica l’iter diagnostico
comprende esami di primo e di secondo livello.
Figura 7 – Torsione ovarica idiopatica in
una bambina di 9 anni.
Figura 8 – Torsione ovarica idiopatica: immagine macroscopica.
C. Spinelli et al. Ovarian torsion in children: oophorectomy or simple detorsion? Ibero–American Ped Surg Congress 2008.
278
Capitolo 8
Primo livello diagnostico: è costituito dall’indagine ecografica
che può essere eseguita per via trans–addominale (sovra pubica)
o ancor meglio per via trans–vaginale ma solo nel caso di adolescenti sessualmente attive. Con tale tecnica è possibile mettere in
evidenza il volume dell’ovaio, la sua morfologia ed il suo contorno,
così da prestare particolare attenzione a gonadi il cui volume supera la norma per età e per grado di sviluppo puberale. L’esame
ecografico ha una capacità nel predirre la natura benigna/maligna
di una massa ovarica del 77%. La notevole variabilità degli aspetti
morfologici dei tumori ovarici e l’esistenza di neoplasie borderline
vanificano ogni tentativo di valutare ecograficamente il carattere
benigno o maligno di una lesione espansiva ovarica. Le dimensioni
di una massa non sono una indicazione certa per la sua potenziale
malignità. Le anomalie strutturali dell’ovaio all’esame ecografico
possono manifestarsi come lesioni cistiche (tipo semplici uniloculari o multiloculari, con parete ben delimitata) oppure miste o solide. Una componente solida deve essere considerata sospetta fino
a prova contraria. Utile nel caso di lesioni complesse o solide, è
l’utilizzo del Color Doppler per la valutazione dei vasi e del flusso
vascolare della lesione. L’ecografia e l’eco–color–doppler possono
anche essere d’aiuto nel formulare la diagnosi di torsione ovarica, in
cui generalmente abbiamo l’assenza unilaterale di flusso associata
ad un infarcimento ematico di grado variabile (fig. 9–10); tuttavia, sebbene l’assenza unilaterale di flusso ematico possa orientare
verso una torsione, la persistenza dello stesso non ne esclude necessariamente la diagnosi.
Secondo livello diagnostico: gli esami diagnostici di secondo
livello devono essere eseguiti solo nel caso in cui si abbia, dopo
l’esecuzione dell’ecografia, ancora dei dubbi sulla natura della lesione e quindi conseguentemente sull’approccio terapeutico da
seguire. Essi comprendono: l’esame radiologico diretto, utile solo
in presenza di calcificazioni o di inclusioni dentarie come nei teratomi; la TC, che può contribuire allo studio della lesione annessiale
grazie alla sua capacità di definire al meglio la struttura della massa, il contenuto e le caratteristiche dei margini (specificità dell’87%)
(fig. 11–12); la RMN permette di eseguire una diagnosi differenziale delle caratteristiche strutturali dalla lesione e di definire i rap-
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
279
porti con gli organi contigui e, dopo somministrazione del mezzo
di contrasto, di identificare le zone vascolarizzate. Il dosaggio dei
marcatori tumorali (CA–125, alfa–feto proteina, beta–HCG, LDH,
CEA) può risultare utile, anche se non risolutivo, nel differenziare forme neoplastiche benigne e maligne, oltre che nel follow–up
post–opratorio. La sensibilità dei marcatori tumorali è inferiore al
50%. Nei tumori di origine epiteliale il CA–125 è elevato in oltre
il 70% delle pazienti; l’α–fetoproteina (α–FP) è elevata in presenza
di tumori germinali (yolk sac tumor e ca embrionale); la β–gonadotropina corionica (β–HCG) può amuentare nei teratomi, coriocarcinomi e carcinomi embrionali; la lattico–deidrogenasi (LDH) nei
disgerminomi e l’antigene carcino–embrionario (CEA) nei cistoadenomi mucinosi. La diagnosi definitiva di natura si ottiene spesso,
nonostante tutti gli accertamenti specifici, solamente con l’esame
istologico della lesione.
Management terapeutico
Il corretto comportamento terapeutico di fronte al riscontro di
una lesione ovarica è assai difficile da stabilire, soprattutto in età
pediatrica. È necessario tenere in considerazione numerose variabili quali l’età della paziente, la sintomatologia, le caratteristiche
ecografiche della lesione e la sua evoluzione nel tempo. Le indicazioni al trattamento chirurgico delle masse ovariche in età pediatrica o adolescenziale non sono ben definite; è infatti difficile porre
Figura 9 – Ragazza 13 anni ecografia, torsione cisti emorragica del corpo luteo (versamento emorragico intraperitoneale).
Figura 10 – Ragazza 14 anni ecografia, torsione cisti emorragica del corpo luteo.
280
Capitolo 8
dei criteri assoluti e incontrovertibili. C. Spinelli et al Funtional ovarian lesions in children and adolescents: when to remove it. Gynec.
Endocrinology, 2009
A. Lesione ovarica sintomatica.
Se ci troviamo di fronte ad una lesione sintomatica cioè
in presenza di dolori addomino pelvici severi, l’indicazione
chirurgica deve essere presa in considerazione per l’alto
rischio di complicanze come la rottura, la torsione o l’emorragia intraperitoneale, specialmente se le dimensioni della
massa sono maggiori di 5 cm o si presenta ecograficamente complessa o solida. Solo un trattamento chirurgico precoce può ridurre il rischio di ignorare una complicanza in
atto (Tab. 5).
B. Lesione ovarica asintomatica.
Se ci troviamo di fronte ad una lesione ovarica asintomatica
ed ecograficamente semplice (ipoecogena, senza echi interni o con presenza di echi interni riconducibili ad emorragia)
indipendentemente dalle dimensioni della lesione è indicata
una rivalutazione clinica–ecografica a distanza di tempo. Se
la lesione regredisce (completamente o parzialmente) sarà
necessario continuare il follow–up. Se la lesione persiste, devono essere valutare le dimensioni (se rimane costante con
diametro inferiore ai 5 cm si può continuare il follow–up, al
contrario, se aumenta di dimensioni o se il suo diametro supera i 5 cm, si pone l’indicazione chirurgica (Tab. 6).
Figura 11 – Bambina di 2 anni. Yolk sac
tumor.
Figura 12 – Metastasi polmonari da yolk
sac tumor.
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
281
Tabella 5 – Management di una lesione ovarica sintomatica.
Se ci troviamo di fronte ad una lesione ovarica asintomatica ecograficamente complessa (Tab. 7) la prima cosa da fare, nel caso di
un’adolescente sessualmente attiva, è escludere una gravidanza
ectopica con l’esecuzione di un semplice test di gravidanza. Il passo
successivo è valutare se esistono calcificazioni al suo interno; in loro
presenza, essendo considerate un indice di malignità, si pone l’indicazione all’intervento. In caso contrario è necessario rivalutare ecograficamente la lesione dopo 2 mesi e comportarsi di conseguenza.
Se la lesione va incontro a regressione, totale o parziale, si continua
con il semplice follow–up, se invece rimane uguale o addirittura aumentata di dimensioni c’è indicazione all’intervento chirurgico.
Le lesioni ovariche asintomatiche ecograficamente solide (Tab.8) richiedono in ogni caso l’asportazione chirurgica. L’intervento chirurgico
è infatti imperativo per le masse ovariche che indipendentemente dalle dimensioni, contengono una componente solida. La via laparoscopica è indicata nelle lesioni cistiche. Nelle lesioni solide o complesse
l’approccio chirurgico può consistere in una mini–laparotomia o laparotomia secondo Pfannestiel, per il minor rischio di rottura della lesione e quindi evitare, in caso di lesione maligna, una disseminazione.
L’approccio chirurgico alla lesione deve essere il più conservativo possibile: cistectomia o enucleazione della massa con conservazione del
parenchima ovarico funzionante. Il trattamento chirurgico conservativo
non influisce sulla ulteriore fertilità. L’ovariectomia e la salpingo–ovariectomia viene eseguita solamente di fronte o ad una neoplasia maligna o ad una lesione neoplastica, in cui non sia possibile preservare il
parenchima ovarico. In caso di torsione ovarica può essere necessaria
l’ovariectomia per necrosi massiva dell’ovaio. Anche se alcuni autori
consigliano di fissare e lasciare in sede l’ovaio dopo la detorsione del
suo peduncolo in quanto non sarebbe possibile stabilire il grado di
effettiva compromissione del parenchima gonadico dal solo aspetto
282
Capitolo 8
Tabella 6 – Management di una lesione asintomatica semplice.
Tab.7 – Management di una lesione asintomatica complessa.
Tab.8 – Management di una lesione asintomatica solida.
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
283
macroscopico, rischiando in tal modo di asportare un organo magari
ancora con capacità di ripresa. Discussa è l’utilità dell’ovariopessi contro laterale, alla fine di prevenire una ulteriore torsione annessiale; sembra infatti che il rischio sia aumentato di cinque volte.
8.5 Disordini intersessuali
Definizione
Caratteri sessuali primari interni e/o esterni non totalmente differenziati in senso maschile o femminile e/o non in accordo con il
cariotipo.
Incidenza
1 bambino su 2000/5000 nasce con anomalie della differenziazione sessuale.
Valutazione clinica dei genitali ambigui
I genitali ambigui possono essere sospettati in presenza di:
–
–
–
–
Ipospadia severa
Micropene: definito nel neonato di dimensioni <2 cm
Ipoplasia corpi cavernosi
Clitoridomegalia: definita come lunghezza del clitoride
>1,5cm e larghezza >7mm
– Alla palpazione delle gonadi rilievo di: criptorchidismo bilaterale o tumefazioni palpabili inguinali simulanti un’ernia inguinale bilaterale in paziente con genitali esterni femminili
– Aspetto fenotipico discordante con quello genotipico
– Iperpigmentazione cutanea dei genitali e dell’areola (↑ACTH
tipico della sindrome adrenogenitale congenita).
284
Capitolo 8
Indagini diagnostiche
L’iter diagnostico impone:
– studio del cariotipo
– dosaggio ormonale basale o dopo stimolo di LH, FSH, androstenedione, DHT, 17idrossipregnenolone, diidroepiandrostenedione, androstenedione, MIF
– elettroliti: Na+, K+, Ca2+
– ecografica pelvica e surrenalica
– genitografia per la valutazione della uretra, della vagina, dell’utero, e dell’eventuale seno–urogenitale (fig 13–14)
– cistouretrografia
– endoscopia urogenitale
– TAC
– RMN
– Laparoscopia (per la valutazione dei genitali interni delle gonadi o delle strutture mülleriane)
Figura 13 – Seno urogenitale (freccia).
Figura 14 – Genitografia.
Genitali Ambigui: ruolo del chirurgo pediatra
Il ruolo del chirurgo pediatra nell’ambito della équipe coinvolta
nel trattamento delle gravi anomalie genitali è quello di valutare
l’anatomia pelvica/perineale e di indicare la strategia chirurgica di
trasformazione dei genitali.
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
285
• CLASSIFICAZIONE DISORDINI DELLA DIFFERENZIAZIONE SESSUALE:
Pseudoermafroditismo Maschile
I bambini p.m. si caratterizzano per avere testicoli istologicamente normali, cariotipo XY, genitali esterni con segni di virilizzazione incompleta o completamente femminili. Esso può essere distinto in:
Pseudo–ermafroditismo maschile interno: le strutture di origine
wölffiana (prostata, vescichette seminali e deferenti) si sviluppano
normalmente e il fenotipo può essere quello di un maschio “normale”. L’assenza dell’ormone anti–mülleriano è responsabile del mantenimento degli abbozzi Mülleriani (parte di vagina, utero, tube). L’intervento chirurgico deve prefiggersi il mantenimento del fenotipo
maschile e l’exeresi dei genitali interni di origine Mülleriani.
Pseudo–ermafroditismo maschile da deficit della biosintesi del
testosterone: iperplasia congenita delle surrenali. Esprime una carenza parziale o totale di 20–idrossilasi, 20, 22–desmolasi o 22–idrossilasi con blocco della sequenza enzimatica che trasforma il colesterolo
nelle tre serie ormonali. La sindrome è caratterizzata da insufficienza
surrenale con perdita di sali, fenotipo femminile, gonadi di natura testicolare e completa assenza di residui mülleriani.
Pseudo–ermafroditismo maschile da insensibilità periferica agli
androgeni: raccoglie alcune sindromi caratterizzate da alterazione
dei recettori citoplasmatici degli organi bersaglio con conseguente insensibilità all’androgeno. Si ricorda che il testosterone viene
trasformato nella sua forma attiva, il didrotestosterone, grazie ad
un enzima citoplasmatico (5α–reduttasi). L’ormone attivato viene
captato da una proteina recettrice e trasferito in forma di complesso nel nucleo, dove stimola la biosintesi proteica. La sindrome di
Morris è l’esempio tipico di una femminilizzazione testicolare
completa da deficit della proteina recettrice che veicola il diidrotestosterone (presente in quantità normale) nell’organo bersaglio.
Il fenotipo è inequivocabilmente femminile con testicoli ritenuti,
disgenetici. La vagina è presente, ma è piccola e termina a fondo
cieco. Il trattamento chirurgico consiste in un’orchiectomia bilaterale per il rischio di degenerazione maligna delle gonadi associata
286
Capitolo 8
o meno ad una ricostruzione della vagina per una adeguata vita
sessuale (Fig. 15).
Pseudoermafroditismo Femminile
Caratterizzato da ovaie istologicamente normali, cariotipo
XX, genitali esterni con vari stadi di virilizzazione (ipertrofia
clitoridea, fusione labio–scrotale), genitali interni normali e/o
seno urogenitale. Esso è imputabile a:
– Cause materne: In presenza di
cisti ovariche, luteoma gravidico, tumore o iperplasia surrenale, può manifestarsi una
mascolinizzazione dei genitali
esterni del feto. Dosaggio ormonale e sviluppo puberale
sono normali; queste pazienti
possono richiedere un intervento di clitoridolabioplastica
e/o vulvo–vagino–plastica.
– virilizzazione fetale iatrogeniFigura 15 – Bambino 4 anni (s. di Morris) ca: questa sindrome, legata
insensibilità periferica agli androgeni.
alla somministrazione in gravidanza di androgeni, anabolizzanti e gestageni con azione androgena residua, richiede
una terapia esclusivamente chirurgica (clitoridoplastica e/
o vulvo–vagino–plastica).
– iperplasia virilizzante congenita delle surrenali: questa sindrome, comune ai due sessi, è caratterizzata da un deficit di secrezione del cortisolo (da blocco di alcune catene
enzimatiche) con conseguente ipersecrezione di ACTH.
L’iperstimolazione del corticosurrene induce a sua volta un
quadro di intersex nella femmina e una virilizzazione precoce nel maschio.
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
287
Disgenesia gonadica
Disordine istologico delle gonadi con presenza di strie gonadiche, cariotipo variabile, genitali esterni con gradi di variabilità.
Sindrome di Turner: 45 XO: fenotipo femminile. Caratteristici: il
linfedema neonatale, la bassa statura, il torace a scudo, l’inserzione
bassa dei capelli, il micrognatismo, lo pterigium colli ed anomalie dell’apparato scheletrico e cardio vascolare. I rari casi con frammento di
Y richiedono l’asportazione laparoscopica delle strie gonadiche per il
rischio di degenerazione neoplastica (gonadoblastoma), (Fig 16–17).
Disgenesia gonadica pura: è un’affezione caratterizzata da assenza delle gonadi (maschili o femminili) o dalla presenza di residui stromali. Il quadro clinico ricalca quello tipico dell’ipogonadismo ipergonadotropo. La terapia chirurgica si limita all’asportazione dei residui gonadici. La terapia medica è di tipo ormonale
sostitutiva e deve iniziare nel periodo puberale.
Disgenesia gonadica mista: mosaicismo; fenotipo maschile
con ipospadia e criptorchidismo unilaterale. La gonade ritenuta
è disgenetica ed è in rapporto con le strutture di origine mülleriana. Il trattamento chirurgico prevede l’exeresi del testicolo
disgenetico (rischio di degenerazione neoplastica) ed eventualmente delle strutture di origine mülleriana; comporta inoltre
un’uretroplastica e il posizionamento di una protesi testicolare.
Figura 16 – Cariotipo 45x0/46xx(y). Sindrome di Turner.
Figura 17 – Stria gonadica destra. Immagine laparoscopica. S. di Turner.
288
Capitolo 8
Sindrome di Klinefelter: 47 XXY o mosaicismo; fenotipo maschile caratterizzato da scarsa virilizzazione, testicoli ipoplasici e talvolta ritenuti, ginecomastia, pubertà precoce saltuaria, sterilità; deficit
mentale, iI trattamento chirurgico consiste nell’eventuale orchidopessi e nella correzione della ginecomastia.
Ermafroditismo vero
Presenza di tessuto istologico ovarico e testicolare nello stesso
individuo, cariotipo variabile, genitali esterni variabili; malformazione rara (circa il 2% degli stati intersessuali). L’ermafrodita vero può
presentare un corredo cromosomico 46XY, 46XX o la contemporanea presenza di due linee cellulari, o ancora mosaicismi e chimerismi. L’ermafroditismo vero può essere distinto in:
– bilaterale (tessuto ovarico e testicolare presente bilateralmente, 20% dei casi );
– unilaterale (tessuto ovarico e testicolare da un solo lato associato a un testicolo, 33%, o ad un ovaio, 11%, o una gonade indifferenziata, 3%);
– alternante (testicolo da un lato, ovaio dall’altro, 33%).
Morfologicamente è possibile riscontrare nello stesso individuo derivati sia mülleriani sia wölffiani, mentre i genitali esterni sono spesso ambigui: pene ipospadico; scroto bifido, vuoto
o contenente una od entrambe le gonadi: vagina talvolta ben
rappresentata, talaltra rudimentale; prostata presente solo nei
soggetti più mascolinizzati (Fig 18 a,b).
Il trattamento consiste nell’exeresi della gonade discorde con
il sesso assegnato e nella correzione degli organi genitali esterni. In genere l’ermafrodita vero viene femminilizzato.
In sintesi le tecniche chirurgiche previste per i pazienti con
genitali ambigui sono:
– Laparoscopia diagnostica;
– Gonadectomia via laparoscopica/laparotomica/ inguinale
per l’asportazione delle gonadi, se presenti, ad alto rischio
di degenerazione neoplastica;
Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica
289
– Chirurgia ricostruttiva in senso femminile: clitoridolabioplastica e correzione del seno–urogenitale (vagina–uretroplastica) (Fig. 19).
Figura 18 a, b – Genitali ambigui in ermafroditismo vero.
290
Capitolo 8
Figura 19 – Intervento di clitorido–labio–vagino plastica in ermafroditismo vero. C. Spinelli et al. Ambigous Genitalia: a clinical and surgical approach. International Meeting of
Anomalies of Sex Differentation. Roma 2006.
Capitolo 9
GINECOMASTIA
Il termine ginecomastia si riferisce ad un aumento del volume
mammario nel maschio determinato dalla proliferazione benigna degli elementi duttuli del parenchima; da questa va distinta la lipomastia, o pseudoginecomastia, condizione caratterizzata da un’eccessiva presenza di tessuto adiposo mammario. La ginecomastia può
essere monolaterale o bilaterale, simmetrica o asimmetrica, primaria
oppure secondaria a patologie endocrine.
Epidemiologia
Già dalla nascita, nel 60–90% dei neonati di sesso maschile, sì
può rilevare un transitorio e fugace ingrandimento della mammella, che può persistere per alcuni giorni; presumibilmente è legato ad alte concentrazioni di estrogeni a livello dell’unione materno–placentare. Difficilmente si riscontra un ingrandimento delle
mammelle nel periodo prepuberale, se ciò accade è segno molto
suggestivo di tumore endocrino. Durante la pubertà, tra i 13 ed i
15 anni, si evidenzia nel 60–70% dei casi una lieve ginecomastia
vera, fisiologica, che regredisce di solito completamente prima dei
18 anni; tuttavia è possibile palpare la ghiandola mammaria nel
30–65% dei maschi adulti.
Anatomia patologica
Istologicamente la ginecomastia è caratterizzata dalla proliferazione e dall’iperplasia dei dotti mammari che sono circondati da uno stroma fibroconnettivo. È raro incontrare veri e propri acini, come nel tessuto mammario femminile, in quanto per
291
292
Capitolo 9
lo sviluppo di questi, si rende necessaria l’azione congiunta di
estrogeni e progesterone. Nelle ginecomastie di lunga data, la
componente ghiandolare è meno presente, mentre predomina
la componente stromale fibrosa; la terapia medica, anche per
questo motivo, è più efficace nelle fasi precoci.
Patogenesi
L’eziologia della ginecomastia non è totalmente chiara; il
meccanismo d’azione dipende in ogni caso dall’azione di ormoni circolanti su specifici recettori localizzati a livello del tessuto mammario maschile. In questo tessuto, oltre ai recettori
per androgeni ed estrogeni, la cui attivazione rispettivamente
inibisce e stimola la proliferazione del tessuto mammario, sono
stati ritrovati i recettori per la prolattina, GH, LH, hCG. In ogni
caso, in ambito prettamente clinico, più del livello assoluto degli
ormoni, che peraltro risultano spesso normali, è importante il
rapporto percentuale tra estrogeni ed androgeni ed il livello di
sensibilità dei recettori periferici, come dimostrano per esempio
i casi di ginecomastia monolaterale. Nonostante le forme idiopatiche siano le più frequenti, esistono molte patologie di cui
la ginecomastia può essere un sintomo. Le forme secondarie
possono dipendere da:
1. Aumentati livelli degli estrogeni
Eccessivi livelli di estrogeni circolanti stimolano direttamente la crescita del tessuto mammario maschile; inoltre possono
sopprimere la secrezione di LH ed alterare il bilancio tra estrogeni stessi ed androgeni. L’aumento della concentrazione sierica
di estrogeni può essere dovuto a somministrazione esogena o
iperproduzione endogena:
– Tumori delle cellule del Sertoli: tumore testicolare tipico dei
giovani; benigno, può essere associato alla sindrome di Peutz–Jeghers, esprime alti livelli di aromatasi;
– Tumori delle cellule di Leydig: tumore testicolare che può presentarsi a qualsiasi età ma tipico dei giovani adulti; benigno
nel 90% dei casi, secerne direttamente estradiolo.
Ginecomastia
293
– Tumori secernenti hCG: soprattutto tumori delle cellule germinali del testicolo.
– Sindrome familiare di eccesso di aromatasi: caratterizzata dall’aumentata aromatizzazione degli ormoni androgeni; nei pazienti maschi causa pubertà precoce e ginecomastia con livelli
di testosterone e volume testicolare diminuiti; nelle bambine
determina pubertà precoce, telarca prematuro e macromastia.
– Tumori femminilizzanti del surrene: tumori adrenocorticali,
generalmente maligni, poco differenziati. Questi tumori possono secernere estrogeni direttamente o precursori (DHEA,
androstenedione), convertiti in estrogeni perifericamente dall’aromatasi.
– Somministrazione esogena di estrogeni: possono essere presenti in pesticidi, PVC, creme e lozioni per il corpo, nel cibo,
in conservanti e coloranti, in alcune birre e vini, ma soprattutto nella carne bovina. Va ricordato che esistono forme di
ginecomastia correlate a particolari categorie professionali
(allevatori, parrucchieri ed imbalsamatori).
2. Diminuiti livelli di androgeni
– Ipogonadismo primario: anorchia congenita, caratterizzata da assenza di testicoli in maschi XY geneticamente
normali; sindrome di Klinefelter, il più comune disordine
genetico nell’uomo associato a ipogonadismo, infertilità,
ginecomastia ed aumentato rischio di cancro della mammella.
– Deficit enzimatici: deficit di 17 α–idrossilasi o deficit di 3
β–idrossisteroide deidrogenasi.
– Forme secondarie a malattie virali quali quelle dovute alla
parotite epidemica o a echovirus, ad arbovirus del gruppo
B o virus della coriomeningite linfocitaria.
– Deficit dell’azione periferica degli androgeni: sindrome di
Reifenstein (parziale insensibilità periferica agli androgeni) e sindrome di Morris (completa insensibilità periferica
agli androgeni), entrambe dovute a mutazioni dei geni
che codificano per i recettori degli androgeni.
294
Capitolo 9
3. Alterato rapporto androgeni/estrogeni
– Ginecomastia puberale: il 60–70% dei bambini durante
la pubertà sviluppa ginecomastia, che può essere asimmetrica ed associata a dolore/discomfort. È dovuta ad un
aumento dei livelli sierici di estrogeni più precocemente
rispetto agli androgeni. La ginecomastia puberale tende a
risolversi, spontaneamente, nella maggior parte dei casi,
in uno–due anni. Tuttavia è possibile apprezzare palpatoriamente il tessuto mammario in un’alta percentuale di
maschi adulti.
– Ginecomastia dell’anziano: è dovuta alla fisiologica variazione dell’asse ipotalamo–ipofisario con diminuita produzione di androgeni.
– Ginecomastia nel malnutrito: dovuta all’ipogonadismo
ipogonadotropo determinato dalla perdita di peso e dalla
carenza calorico/proteica. Quando una corretta dieta alimentare si accompagna alla ripresa del peso corporeo si
verifica il ripristino del funzionamento dell’asse ipotalamo–
ipofisario, determinando così una “seconda pubertà”.
– Insufficienza renale cronica: presenta gli stessi meccanismi
patogenetici della ginecomastia nel malnutrito.
– Cirrosi epatica: si hanno notevoli mutamenti nel bilancio ormonale, dovuti alla perdita della funzione epatica nel mantenimento dell’omeostasi, soprattutto nel controllo del bilancio androgeni/estrogeni.
– Ipertiroidismo: nel 40% dei casi di tireotossicosi si sviluppa ginecomastia, determinata da aumentata conversione
periferica degli androgeni e diminuiti livelli di testosterone
libero (aumenta la SHBG).
– Mastopatia diabetica: presente soprattutto nei pazienti
con diabete mellito di tipo 1, ma riscontrata anche in pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto e Lupus Eritematoso
Sistemico; la causa della patologia va attribuita, probabilmente, a fenomeni autoimmuni, determinanti vasculiti e
fibrosi del parenchima mammario.
Ginecomastia
295
4. Indotta da farmaci
– Numerose sostanze possono determinare ginecomastia: in
ambito pediatrico sono da tenere in considerazione la marijuana, l’hashish, steroidi anabolizzanti agenti antipsicotici,
antidepressivi, e le benzodiazepine; in ambito urologico, la
terapia ormonale del cancro della prostata, inibitori della
5–α reduttasi e GnRH–analoghi.
5. Obesità
– L’obesità, oltre a stimolare la ginecomastia di origine endocrina, produce quadri detti di “pseudoginecomastia” in cui
alla ipertrofia ghiandolare si associa una marcata adiposità
localizzata a livello della regione mammaria.
Diagnosi
Dal punto di vista diagnostico l’esame clinico è fondamentale,
in quanto consente di stabilire l’entità dell’ipertrofìa ghiandolare
e dell’adiposità; se vi è associato un eccesso di cute e/o un allargamento del complesso areola–capezzolo, elementi importanti
per decidere il corretto trattamento chirurgico. Per differenziare
la ginecomastia dalla “pseudoginecomastia” è sufficiente la palpazione; nel primo infatti si apprezzerà un massa sottoaereolare, discoide, concentrica al capezzolo, di consistenza differente
rispetto all’adiacente tessuto adiposo sottocutaneo. L’ecografia,
consente di obbiettivare e di quantizzare i dati rilevati all’esame
clinico. La mammografia, inutile nelle forme adolescenziali, trova
una corretta indicazione nell’adulto, ed è finalizzata alla diagnosi
differenziale con il cancro della mammella maschile. L’esame clinico dovrà essere completato con la valutazione del grado di virilizzazione, con l’esame dei genitali, con eventuale ecografia testicolare, con l’identificazione di segni di epatopatia e con nefropatia,
e la palpazione della tiroide. Gli esami di laboratorio comprendono lo studio della funzione epatica, renale, tiroidea, il dosaggio
dei livelli ematici di testosterone, LH, FSH, prolattina, estradiolo,
DHEA–s, β–Hcg, α–fetoproteina e dei 17–ketosteroidi urinari.
296
Capitolo 9
Trattamento chirurgico della ginecomastia
L’exeresi chirurgica della ghiandola mammaria, in caso di ginecomastia, ha indicazione puramente estetica. L’obiettivo dell’intervento
è quello di ristabilire l’aspetto maschile del torace e della regione
mammaria senza lasciare cicatrici evidenti.
La classificazione della ginecomastia, basata su aspetti puramente
clinici, e di facile utilizzo suddivide la patologia in quattro gradi:
1. Grado I: aumento del diametro e protrusione della mammella, limitata alla regione areolare (Fig. 1).
2. Grado II: ipertrofia di tutte le componenti strutturali della
mammella. Il complesso areola–capezzolo è sopra il solco inframammario (Fig. 2a, 2b).
3. Grado III: ipertrofia di tutte le componenti strutturali della
mammella. Il complesso areola–capezzolo è allo stesso livello
o circa 1 cm sotto il solco inframammario (Fig. 3, fig. 4).
4. Grado IV: ipertrofia di tutte le componenti strutturali della
mammella. Il complesso areola–capezzolo è più di 1 cm sotto
il solco inframammario (Fig. 5, 6).
Le procedure liposuttive ed escissionali per il trattamento della
ginecomastia sono numerose. Il primo intervento di ginecomastia
venne eseguito da Paulus Aegineta nel 650 d.C. La tecnica chirurgica e l’incisione da utilizzare dipendono dal tipo di ginecomastia
e dal suo grado.
Nelle forme di grado I e di grado II si esegue un’incisione semicircolare periareolare inferiore, o transareolare semplice, oppure
Figura 1 – Grado I.
Figura 2a – Grado II
(visione obliqua).
Figura 2b – Grado II
(visione laterale).
Ginecomastia
297
nel caso in cui il complesso areola–capezzolo sia molto piccolo si
utilizza un’incisione transareolare allargata, con mastectomia mini–
invasiva con skin–sparing, eventualmente associata ad una lipoplastica ultrasound–assisted nelle forme con componente adiposa.
Nelle forme di grado III la mastectomia mini–invasiva non è sufficiente ad ottenere un buon risultato estetico, motivo per cui si
esegue, al fine di ridurre il diametro dell’areola, una doppia incisione peri–areolare concentrica (donought) con disepitelizzazione
dell’anello interno. Anche in questo caso può essere necessario
associare una lipoplastica ultrasound–assisted se è presente una
componente adiposa significativa.
Nelle forme di grado IV si debbono utilizzare tecniche di mastoplastica riduttiva. In ogni caso a prescindere dal tipo di incisione
cutanea utilizzata, l’intervento da eseguire è una mastectomia sottocutanea subtotale lasciando un bottone ghiandolare retroareolare e grasso prepettorale, a sostegno del capezzolo, per evitare
l’insorgenza di retrazioni dello stesso. A tale riguardo, per eseguire
correttamente l’intervento da un accesso cutaneo che è relativa-
Figura 3 – Grado III.
Figura 4 – Grado III.
Figura 5 – Grado IV
(visione obliqua).
Figura 6 – Grado IV.
(visione frontale).
298
Capitolo 9
mente piccolo, (Fig. 7, 8), la ghiandola può essere preventivamente infiltrata in superficie ed in profondità con una soluzione salina
raffreddata a 4° C contenente adrenalina (1:500.000). Attesi 10’,
per dare modo alla soluzione di provocare l’effetto vasocostrittivo,
si incide la cute secondo il disegno preordinato e, dopo aver isolato il bottone ghiandolare retroareolare, si scolla in maniera smussa
la superficie della ghiandola dalla cute sovrastante facendo ben
attenzione a mantenere l’integrità del sottocute che dovrà poi svolgere un’importante azione di cuscinetto tra muscolo e cute. Successivamente si dissocia la parte profonda dalla fascia pettorale.
Si può completare il modellamento della regione mammaria con
una liposuzione ultrasound–assisted marginale della tasca residua
così da smussare margini della resezione chirurgica in modo tale da
evitare l’effetto scalino. Nelle forme di pseudoginecomastia invece
si possono utilizzare semplicemente le tecniche di liposuzione attraverso le quali, riducendo con metodo suttivo il tessuto adiposo
localizzato a livello della mammella, si ottiene il rimodellamento
desiderato.
La complicanza post–operatoria più frequentemente riportata è
il sanguinamento o la raccolta ematica. Le complicanze a distanza sono prevalentemente di natura estetica come la retrazione del
complesso areola–capezzolo, l’eccessiva depressione cutanea della regione mammaria, la cicatrice ipertrofica, l’iperestesia del complesso areola–capezzolo, l’inadeguata rimozione di tessuto adipo-
Figura 7 – Incisione periareolare.
Figura 8 – Pezzo operatorio.
Ginecomastia
299
so o di ghiandola, la recidiva della ginecomastia e la persistenza di
eccesso cutaneo. Nonostante si possano rimuovere considerevoli
quantità di tessuto mammario da piccole incisioni, si è visto come
l’esposizione limitata del campo operatorio sia un fattore decisivo
per l’insorgenza di complicanze come l’ematoma, l’iperestesia e la
retrazione.
Indice analitico
biliari 176
branchiale 32
broncogena 83–85
del coledoco 17, 98
del dotto di Gartner 257
del dotto vitellino 120
dermoidi 30
emorragica del corpo luteo
268–269, 279
epidermoidi 172
follicolare 265, 267
funzionali 269
luteiniche 267, 276
mesenteriche 17
renali 228
spleniche 17
Cloaca 126–129, 133
Condilomi 261–263
Counseling prenatale 15
Criptorchidismo 198–199, 230
A
AFI indice 20, 21, 22
Ano imperforato 125–128, 132
Aplasia vaginale 252–254
Appendicite 167
Atresia
del colon 109, 120
delle vie biliari extraepatiche
94
duodenale 16, 106
esofagea 23, 88, 90, 92, 109, 160
e stenosi duodenale 83, 105
pilorica 94
rettale 126, 127
B
Briglie peritoneali di Ladd 110, 113
C
Carcinoma differenziato della ti–
roide 50
Cisti
301
302
Indice analitico
rettouretrale 125, 130
retto–vescicale 125, 131
rettovestibolare 132
branchiali 31–32
D
Dilatazione cistica del coledoco 97
Disgenesia gonadica 199, 287
Dotti di Müller 190, 252, 256
Dotto
di Gartner 257
di Wölf 257
epatico 95, 97
mesonefrico 202, 226
onfalo–enterico 83, 116–119
peritoneo vaginale 142
E
Ecografia prenatale 18
Emangiomi 65–66, 175
Emorragie digestive 170
Endometriosi 275
Enterocolite necrotizzante 157–159
Ernia
crurale 145
diaframmatica 17, 152–154
epigastrica 146
inguinale 141
ombelicale 147
Estrofia della cloaca 128
F
Feocromocitoma 56, 60, 214
Fimosi 204–207
Fistola
perineale 125, 129
G
Ganglioneuroblastoma 217, 223
Ganglioneuroma 217, 223
GCT tumori germinali del testicolo
232–234, 237–238, 272–273
Ginecomastia 291
H
Hirschsprung 54, 102, 109, 133–
138 HPV 261
I
Idrocele 144, 200
Invaginazione intestinale 165, 170
Ipertiroidismo 294
Ipertrofia delle piccole labbra
260–261
Ipoglicemia 103–104, 148
Ipospadia 207–208, 283
IVG interruzione volontaria di gra–
vidanza 15, 149
K
Klinefelter 199, 288, 293
Indice analitico
303
L
O
Lesioni ovariche 265, 274
Linfangiomi 79–82
Linfoadeniti 37
Lipoblastoma 60–62
Liquido amniotico 18–22, 47, 85,
100, 150–151
Obesità 295
Occlusione intestinale 109, 112–
114
Oligoidramnios 21–22
Ovarite 274
P
M
MAC malformazione adeno–ma–
tosa cistica 84–85
Malformazioni
anorettali 123, 126
venose 76–78
Mastopatia diabetica 294
MAV malformazioni artero–veno–
se 74–76
Megacolon agangliare congenito 133
MEN 49, 53–60, 104, 215
Milza 173–176
N
Nodulo tiroideo 48
NGCT tumori non germinali del testi–
colo 239
Parto EXIT 24
Polidramnios 22–23, 81, 85, 90, 100,
108
Polipo ombelicale 120
Poliposi 170–173
R
Reflusso gastro esofageo 159
RVU reflusso vescico–ureterale 245–
248
S
Seminoma 237
Sindrome
da ipersplenismo 174
del colon sinistro piccolo 136
di Alagille 94
di Beckwith–Wiedemann 148, 226
di Down 106, 123, 126, 133
di Gardner 172
di Kasabach–Merrit 68
304
Indice analitico
di Li–Fraumeni 213
di Opitz 208
di Peutz Jeghers 171
di Rokitansky 252
occlusiva 138
P.H.A.C.E 68
Sinechie delle piccole labbra 259
Stenosi ipertrofica del piloro 163
Surrene 56, 212, 293
T
Tumore di Wilms 221, 226–229
V
Varicocele 183–186
AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI
Area 01 – Scienze matematiche e informatiche
Area 02 – Scienze fisiche
Area 03 – Scienze chimiche
Area 04 – Scienze della terra
Area 05 – Scienze biologiche
Area 06 – Scienze mediche
Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie
Area 08 – Ingegneria civile e Architettura
Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione
Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche
Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Area 12 – Scienze giuridiche
Area 13 – Scienze economiche e statistiche
Area 14 – Scienze politiche e sociali
Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su
www.aracneeditrice.it
Finito di stampare nel mese di settembre del 2011
dalla « Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »
00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma