Università di Roma "La Sapienza" Dipartimento di Economia e Diritto CORSO DI LAUREA ECO - ECOTUR MICROFONDAZIONI E EQUILIBRIO GENERALE NELLA NUOVA MACROECONOMIA CLASSICA Enrico Marchetti Anno accademico 2011-2012 Appunti integrativi per l’insegnamento di Complementi di Economia Politica. E – mail: [email protected] Tel. 06/49766352 1 1. IL PROGRAMMA DI RICERCA DELLA NUOVA MACROECONOMIA CLASSICA Intorno al 1970 Robert E. Lucas (premio Nobel 1994) inaugura il filone di studi della NMC, con un programma di ricerca molto ambizioso: derivare esplicitamente un modello macroeconomico da uno schema d’analisi di tipo microeconomico, cioè costruire una teoria macroeconomica rigorosamente microfondata. Si cerca una microfondazione di tipo sostanzialmente walrasiano, fondata su tre pilastri: - Equilibrio Economico Generale (walrasiano), agenti ottimizzanti (razionalità individuale), concorrenza perfetta (market clearing istantaneo). L’obiettivo di Lucas, e della prima versione della NMC è duplice: - offrire una spiegazione alternativa alla teoria keynesiana per le fluttuazioni economiche di breve periodo; - stabilire una nuova visione del rapporto tra la politica monetaria e le oscillazioni delle variabili reali. Ricordiamo, in estrema sintesi, i punti chiave della teoria keynesiana tradizionale (la “sintesi neoclassica” degli anni 50 e 60) in merito all’instabilità dell’economia: - l’output globale è sensibile alla quantità di moneta; le variabili nominali hanno un effetto su quelle reali e contribuiscono in parte a determinarle. - la politica monetaria può svolgere un ruolo di controllo e stabilizzazione delle fluttuazioni di breve periodo dell’economia Essenziale in questa spiegazione è l’ipotesi che vi sia nell’economia un qualche fenomeno di rigidità nominale, cioè che alcuni prezzi (in termini nominali, cioè monetari) non si aggiustino sempre e rapidamente per garantire il market clearing Lucas sviluppa un modello microfondato in cui le rigidità nominali (imperfetto aggiustamento di alcuni prezzi) consentono una sorta di neutralità di fondo della moneta (in un senso più profondo e coerente con le microfondazioni di quello offerto dai monetaristi tradizionali). Questo obiettivo viene realizzato inserendo in un modello macroeconomico microfondato un problema di previsione sui prezzi con le aspettative razionali dal lato dell’offerta; elemento essenziale di questo schema è la costruzione di un’adeguata funzione di offerta macroeconomica. 2 2. IL MODELLO MACROECONOMICO DI LUCAS E LA CURVA DI OFFERTA “A SORPRESA” 2.1 Introduzione L’idea centrale del modello di Lucas quella di microfondare la curva di offerta tramite un’ipotesi di informazione imperfetta dal lato della produzione: non tutti gli agenti sono in grado di osservare le variazioni del livello generale dei prezzi, mentre sono in grado di osservare con certezza le variazioni dei prezzi dei beni che essi stessi producono. Queste sarebbero le cause all’origine delle fluttuazioni economiche, cause pienamente compatibili con un modello microeconomico standard, basato sul comportamento ottimizzante degli agenti, e quindi concepibile come una teoria del ciclo in equilibrio: le variazioni nel tempo delle principali grandezze aggregate (occupazione, consumo, investimento) vengono razionalizzate come risposte ottimali da parte degli agenti economici alle variazioni dei prezzi. Al fine di illustrare la curva di offerta macroeconomica di Lucas, essenziale nel dibatto macroeconomico successivo (in particolare in quello sulla politica monetaria), adotteremo una versione semplificata1 del lavoro originale di Lucas (1972). In questo importante articolo viene sviluppato per la prima volta un modello utilizzabile a fini di analisi macroeconomica a partire da esplicite ipotesi sul comportamento individuale degli agenti economici (di massimizzazione delle loro preferenze) e di funzionamento dei mercati. Il sistema economico è costituito da vari prodotti e vari agenti individuali, ciascuno dei quali è un consumatore e un produttore allo stesso tempo; ogni agente può dunque essere pensato come un’impresa che produce un bene e contemporaneamente come un’unità familiare che consuma beni prodotti anche da altre imprese. I beni in realtà non differiscono tanto per le loro qualità fisiche, ma principalmente per il fatto di essere prodotti in diverse zone (o come verrà detto in seguito “isole”) dell’economia. La struttura dei mercati è quella della concorrenza perfetta, in cui ciascun agente, nel prendere le sue decisioni, considera come un dato il prezzo che si forma nel mercato. Per comodità mostreremo la versione più semplificata del modello, in un contesto statico uniperiodale; la natura del problema comunque non implica grandissime differenze rispetto a un ambiente esplicitamente dinamico. Come già accennato, nel modello di Lucas (1972, 1973) viene introdotta un’essenziale imperfezione dell’informazione: ogni qualvolta un produttore-consumatore osserva una variazione del prezzo della merce che esso produce, non riesce a capire bene se si tratta di una variazione del suo prezzo soltanto oppure se si tratta di una variazione di tutti i prezzi dei beni nell’economia. Non riesce cioè a distinguere chiaramente tra variazioni assolute dei prezzi (pura inflazione) oppure variazioni relative (variazioni del suo prezzo rispetto a quello degli altri). Questo problema economico viene esemplificato adottando una metafora (sviluppata da Phelps 1969) secondo cui l’economia è composta da “isole”. Ogni agente economico si trova su un isola, con un contatto quindi parziale e sporadico con gli altri. Vi è una sorta di timing nelle transazioni: ogni agente vende la sua produzione in un certo momento, ricavando un suo prezzo specifico (cioè specifico dell’isola); in una fase successiva, quando vuole acquistare i beni di consumo prodotti da altri, si troverà però a fare queste transazioni al prezzo medio valido per l’intera economia. In base a questa scansione 1 L’esposizione delle sezioni successive segue da vicino la presentazione del modello di Lucas sviluppata da Romer (1996) nel capitolo 6. 3 temporale, i singoli agenti non sono in grado di valutare con sicurezza se una variazione nel prezzo del bene da loro prodotto corrisponde ad una variazione generalizzata del livello dei prezzi o a una modificazione del rapporto tra il loro prezzo e il livello medio (quindi a una variazione del loro prezzo relativo). Prima di affrontare l’analisi del modello di Lucas vero e proprio, conviene considerare una sua versione in cui non vi è il problema della confusione tra prezzi relativi e assoluti sopra menzionata, e poi passare a descrivere il modello con informazione imperfetta. In questo modo sarà più agevole evidenziare le peculiarità e le caratteristiche della curva di offerta di Lucas. 2.2 Il modello con informazione perfetta Consideriamo la funzione di produzione più semplice immaginabile per un generico produttore, lo z-esimo, ovvero l’agente rappresentativo che si trova sull’isola z: yz = lz (1) dove y z è l’output prodotto da z e l z è il lavoro da esso impiegato. La funzione di utilità di z è data da2: U z = cz − 1 ψ lψz (2) Dove cz è l’ammontare di consumo del produttore-consumatore z e ψ > 1 è un parametro che determina l’elasticità dell’offerta di lavoro3 di z. Ogni agente dell’economia è caratterizzato da questa funzione di utilità. Si assume che il reddito dei singoli coincida con l’ammontare dei ricavi provenienti dalla vendita dei loro prodotti. Dunque il vincolo di bilancio di ciascun agente sarà: pc z = p z y z , dove p è un indice generale dei prezzi (una media tra tutte le isole) e p z è il prezzo del bene prodotto da z. Il problema di scelta di z sarà: max U z = cz − C ,L 1 ψ lψz s.t. pc z = p z y z Sostituendo la (1) nella (2), si ottiene un problema più semplice ma equivalente: max U z = l pz 1 l z − lψz p ψ (3) la cui condizione di primo ordine definisce l’offerta di lavoro dell’agente z: 1 lψz −1 p = z, p ⎛ p ⎞ψ −1 ovvero: l z = ⎜⎜ z ⎟⎟ ⎝ p⎠ (4) 2 La forma funzionale della Uz è scelta per convenienza espositiva: i risultati principali del modello possono essere ottenuti anche ricorrendo ad ipotesi più generali sulla Uz. 3 La funzione di utilità (2) implica un’offerta di lavoro con elasticità costante (rispetto al reddito reale di z): cfr. l’equazione (4). 4 Data la funzione di produzione y z = l z , l’equazione (4) definisce anche l’offerta di beni prodotti da z. Considerando i logaritmi (le variabili con il cappuccio: ln x = xˆ ) otteniamo un’equazione lineare: lˆz = 1 ( pˆ − pˆ ) = yˆ z ψ −1 z (5) La domanda del singolo bene z viene modellata direttamente senza passare per l’ottimizzazione, anche se è possibile derivarla esplicitamente da un problema di scelta leggermente più articolato del (3). Si assume che tale domanda dipenda da tre fattori: il reddito reale, il prezzo relativo del bene z e un fattore casuale che rispecchia variazioni aleatorie nella densità di popolazione delle singole isole. In logaritmi essa è: yˆ z = yˆ p − ξ ( pˆ z − pˆ ) + u z (6) dove ŷ p è il reddito reale medio, u z il disturbo aleatorio dovuto alla variabilità della popolazione e ξ l’elasticità della domanda. Il valore di ŷ p può essere pensato come la media delle varie produzioni ŷ z così come p è la media dei prezzi p̂ z . Quindi la (6) esprime in sostanza il fatto che la domanda di un bene z è maggiore della media se il suo prezzo è inferiore alla media dei prezzi (cioè quando pˆ z − pˆ < 0 ) oppure quando gli agenti che popolano l’isola z sono in numero leggermente maggiore (ovvero quando si verifica uno shock positivo u z ). Il disturbo u z è inoltre nullo in media (cioè la media degli u z tra i vari beni-isole è nulla). ŷ p può essere pensato come il livello del reddito di equilibrio di lungo periodo, cioè quello compatibile con un equilibrio walrasiano. La domanda aggregata per l’intera economia è infine data dall’equazione: yˆ p = mˆ − pˆ (7) L’equazione (7) rappresenta il modo più semplice di modellare la domanda aggregata: essa semplicemente dice che vi è una relazione inversa tra il livello medio dei prezzi e quello del reddito, e che vi è una relazione diretta tra quest’ultimo ed m̂ , l’offerta nominale di moneta. La m̂ può rappresentare anche una qualsiasi variabile nominale esogena che influenza la domanda macroeconomica parametricamente, più che l’offerta di moneta in sé. Volendo, anche questa funzione di domanda macroeconomica potrebbe essere derivata esplicitamente dalle scelte dei consumatori, analogamente alla (6). Possiamo calcolare i valori di equilibrio del modello. Eguagliando la (5) e la (6) otteniamo il prezzo di equilibrio del bene z: 1 ( pˆ − pˆ ) = yˆ p + u z − ξ ( pˆ z − pˆ ) , ψ −1 z da cui: pˆ z = ψ −1 ( yˆ p + u z ) + pˆ 1 − ξ + ξψ (8) La (8) ci consente di calcolare anche il livello medio dei prezzi, ricordando che esso è pari alla media dei p̂ z e che la media di ciascuna u z è nulla: 5 pˆ = ψ −1 yˆ p + pˆ 1 − ξ + ξψ (9) questa equazione implica che il valore di equilibrio di lungo periodo è: yˆ p = 0 (tale valore è in logaritmi). A sua volta, yˆ p = 0 implica che sia: mˆ = pˆ (10) Coerentemente con le sue ipotesi il modello implica una piena neutralità della moneta: le variabili nominali non hanno effetto su quelle reali e segnatamente sul livello di produzione-occupazione: un tipico risultato di neutralità da equilibrio economico generale in concorrenza perfetta e piena informazione. E’ interessante derivare la curva di offerta macroeconomica in questo schema con informazione perfetta: essa sarà data dalla media delle equazioni yˆ z = yˆ p − ξ ( pˆ z − pˆ ) + u z per tutti i mercati (isole). In media, e nell’aggregato, gli shocks u z sono nulli; inoltre, gli agenti sono uguali tra loro, e quindi svilupperanno domande e offerte (5)-(6) uguali. Non essendoci differenze significative nei mercati (a parte gli shocks locali), in media e nel lungo periodo i prezzi delle singole isole dovranno essere tutti uguali e pertanto uguali allo loro media: pˆ z = pˆ . Ciò a sua volta implica che l’offerta macro ŷ S sia, sempre nel lungo periodo pari a: yˆ S = media( yˆ z ) = yˆ p . E’ una curva di offerta AS sempre verticale (cioè rigida rispetto al livello dei prezzi) che configura questa versione del modello di Lucas come un esempio della teoria macroeconomica pre-keynesiana (cfr. De Vincenti 2003, appendice al cap. 5). 2.3 Informazione imperfetta: prezzi assoluti e relativi Consideriamo ora il caso più interessante, quello in cui è presente l’informazione imperfetta tipica dell’analisi di Lucas, per cui gli agenti di ciascuna isola non sono in grado di distinguere bene tra variazioni dei prezzi assoluti (cioè di P) e variazioni dei prezzi relativi (i singoli Pz ). Per prima cosa, occorre modificare il problema di scelta (3) dei singoli agenti; essendoci incertezza, ⎛ ⎞ 1 l’agente z formulerà una funzione di utilità attesa: E (U z Ωt ) = E ⎜⎜ cz − lψz Ω z ⎟⎟ , e effettuerà le sue ψ ⎝ ⎠ scelte risolvendo il seguente problema: ⎛ ⎞ 1 max E ⎜⎜ cz − lψz Ω z ⎟⎟ C ,L ψ ⎝ ⎠ s.t. pcz = p z y z ovvero: ⎛p ⎞ 1 max E ⎜⎜ z l z − lψz Ω z ⎟⎟ L ψ ⎝ p ⎠ (11) Chiaramente l’agente formulerà le sue decisioni in termini di valori attesi condizionati, come mostrato dall’operatore E (⋅ Ω z ) , dove Ω z è l’insieme delle informazione a disposizione di z; è qui 6 che vengono introdotte le aspettative razionali. La variabile l z non è soggetta a incertezza, essendo oggetto di scelta; al contrario, il rapporto p z / p si comporta, per l’agente z, come una variabile casuale. Infatti, occorre ricordare che al momento di effettuare la sua decisione, ciascun agente conosce il prezzo della sua isola p z , ma non può osservare il livello medio dei prezzi, p. Prima di discutere in maggior dettaglio cosa contiene l’insieme informativo Ω z che stabilisce il condizionamento, risolviamo il problema (11), applicando le proprietà dell’operatore media ⎛p ⎞ 1 condizionata E (⋅ Ω z ) . Per quanto detto sopra, il problema si riduce a max Lz E ⎜⎜ z Ω z ⎟⎟ − lψz , per L ⎝ p ⎠ ψ cui la condizione di primo ordine sarà: ⎛p ⎞ E ⎜⎜ z Ω z ⎟⎟ − lψz −1 = 0 ⎝ p ⎠ ⎡ ⎛p ⎞⎤ cioè: l z = ⎢ E ⎜⎜ z Ω z ⎟⎟⎥ ⎠⎦ ⎣ ⎝ p 1 ψ −1 (12) ⎛p ⎞ Occorre trovare un modo per trattare l’aspettativa E ⎜⎜ z Ω z ⎟⎟ nell’offerta di lavoro (12); in primo ⎝ p ⎠ luogo, è necessario stabilire la natura dell’insieme informativo Ω z . Come già detto, ogni agente conosce il suo prezzo p z , che pertanto appartiene al suo insieme informativo: p z ∈ Ω z . Gli agenti però conoscono anche altre cose riguardo all’incertezza che caratterizza l’economia: Lucas introduce alcune ipotesi relative ai disturbi stocastici che colpiscono i prezzi, sia quelli medi p che quelli individuali pz. Ogni agente z sa che il logaritmo del proprio prezzo (cioè p̂ z ) si discosta dal logaritmo dei prezzi medi p̂ solo per un fattore d’errore casuale che si distribuisce come una normale con media nulla e varianza costante: pˆ z = pˆ + u con u ~ N (0,τ 2 ) (13) lo shock u è analogo in effetti ai disturbi aleatori u z della precedente sezione, idiosincratici per ciascuna isola. Esso rappresenta una fonte di incertezza reale, nel senso che è legata alla variabilità dei prezzi relativi pˆ z − pˆ ; d’altronde, fattori come la popolazione dell’isola sono di natura reale e non nominale. Inoltre, non c’è correlazione tra i (logaritmi dei) prezzi medi e lo shock u, cioè i due hanno covarianza nulla: cov( pˆ , u ) = 0 . Anche riguardo al logaritmo del livello medio dei prezzi l’agente z ha qualche informazione di natura statistica. Egli sa che il prezzo medio p̂ si distribuisce in questo modo: pˆ = pˆ * +ε con pˆ * = E ( pˆ Ω) (14) dove Ω è un insieme informativo comune a tutti gli agenti: rappresenta l’informazione “pubblica”, a disposizione di tutti. Il termine p̂ * può essere pensato come una media “di lungo periodo”, nota a tutti gli agenti grazie alle osservazioni passate sul livello medio dei prezzi. Si può pensare che Ω contenga le equazioni (13) e (14) (cioè la conoscenza della distribuzione dei prezzi p̂ e p̂ z , ovvero delle distribuzioni di ε e u), ma non la serie dei valori effettivi dei prezzi individuali p̂ z . L’indice dei prezzi p̂ diverge dalla previsione “comune” p̂ * per un fattore casuale u, a sua volta distribuito normalmente con media nulla e varianza σ 2 ; cioè ε ~ N (0, σ 2 ) , cioè: pˆ ~ N ( pˆ *,σ 2 ) . Dunque, nell’insieme informativo specifico dell’isola z, Ω z , vi saranno p z e le due equazioni (13) e (14). Queste ipotesi consentono di semplificare notevolmente l’analisi. Ritorniamo infatti alla domanda di lavoro (12) e cerchiamo di trasformarla in logaritmi: 7 lˆz = ⎡ ⎛p ⎞⎤ 1 ln ⎢ E ⎜⎜ z Ω z ⎟⎟⎥ ψ −1 ⎣ ⎝ p ⎠⎦ (15) ⎡ ⎛p ⎞⎤ E’ necessario trovare un modo per passare dal logaritmo della media: ln ⎢ E ⎜⎜ z Ω z ⎟⎟⎥ , alla media ⎠⎦ ⎣ ⎝ p dei logaritmi: E ( pˆ − pˆ z Ω z ) , con la quale proseguire nell’analisi in modo più agevole. A tal fine occorre stabilire anche un’altra ipotesi sulle distribuzioni di probabilità dei prezzi: la differenza tra ⎡ ⎛p ⎛p ⎞ ⎞⎤ ln⎜⎜ z ⎟⎟ e ln ⎢ E ⎜⎜ z Ω z ⎟⎟⎥ si distribuisce come una variabile casuale ν , normale con media nulla. ⎠⎦ ⎝ p⎠ ⎣ ⎝ p Ovvero: ⎡ ⎛p ⎛p ⎞ ⎞⎤ ln⎜⎜ z ⎟⎟ − E ⎢ln⎜⎜ z Ω z ⎟⎟⎥ = pˆ z − pˆ − [E ( pˆ z Ω z ) − E ( pˆ Ω z )] = ν ⎝ p⎠ ⎠⎦ ⎣ ⎝ p ν ~ N (0, σ v2 ) Calcolando gli esponenziali per ambo i membri dell’equazione precedente, si ottiene: ⎡ ⎛p ⎞⎤ pz = exp E ⎢ln⎜⎜ z Ω z ⎟⎟⎥ ⋅ exp(v) p ⎠⎦ ⎣ ⎝ p Sostituiamo questa espressione al posto del rapporto p z / p nella (15), così da ottenere: lˆz = ⎧⎪ ⎡ ⎛ p ⎞ ⎤ ⎫⎪ 1 ln ⎨ E ⎢exp E ⎜⎜ ln z Ω z ⎟⎟ ⋅ e v ⎥ Ω z ⎬ ψ − 1 ⎪⎩ ⎣ ⎝ p ⎠ ⎦ ⎪⎭ ⎛ p ⎞ Le due grandezze exp E ⎜⎜ ln z Ω z ⎟⎟ e e v sono indipendenti4, pertanto la media del loro prodotto ⎝ p ⎠ sarà pari al prodotto delle medie: lˆz = ⎧⎪ ⎡ ⎛ p ⎞ ⎤ 1 ln ⎨ E ⎢exp E ⎜⎜ ln z Ω z ⎟⎟ Ω z ⎥ ⋅ E e v Ω z ψ − 1 ⎪⎩ ⎣ ⎝ p ⎠ ⎦ ( ⎫ )⎪⎬ ⎪⎭ ⎡ ⎛ p ⎞ ⎤ ⎛ p ⎞ è facile notare come E ⎢exp E ⎜⎜ ln z Ω z ⎟⎟ Ω z ⎥ = exp E ⎜⎜ ln z Ω z ⎟⎟ poiché il termine nella parentesi ⎝ p ⎠ ⎦ ⎝ p ⎠ ⎣ v quadra è già una media, mentre il termine E (e Ω z ) sarà pari ad una qualche costante ben determinata (è la media della variabile casuale e v ). Dunque, applicando le regole dei logaritmi e degli esponenziali, si ottiene: lˆz = 4 ⎧ ⎫ ⎫ ⎛ p ⎞ ⎞ 1 1 ⎧ ⎛ pz Ω z ⎟⎟ + ln E e v Ω z ⎬ ln ⎨exp E ⎜⎜ ln z Ω z ⎟⎟ ⋅ E e v Ω z ⎬ = ⎨ E ⎜⎜ ln ψ −1 ⎩ ⎝ p ⎠ ⎠ ⎭ ψ −1 ⎩ ⎝ p ⎭ ( ) ( ) v Una infatti è già una media mentre l’altra, e , è una variabile casuale. 8 Il termine E (e v Ω z ) può essere posto pari ad una costante C, che influenza l’offerta di lavoro. I risultati qualitativi del modello non cambiano se si pone per comodità C = 0 , sicchè la curva di domanda di lavoro diventa semplicemente: lˆz = 1 E ( pˆ z − pˆ Ω z ) ψ −1 Ora, p̂ z è conosciuto dall’agente dell’isola z, mentre p̂ non è noto (a parte la sua distribuzione); dunque si può applicare la linearità dell’operatore valore atteso (condizionato) per ottenere: lˆz = 1 [ pˆ − E ( pˆ Ω z )] ψ −1 z (16) la (16) è la forma definitiva della funzione di offerta individuale di lavoro o di output, essendo yˆ z = lˆz . Per poter analizzare l’offerta aggregata a livello dell’intera economia, occorre aggregare, come nella sezione precedente, le singole funzioni di offerta (16). Queste però dipendono dalle previsioni che ciascun agente deve fare riguardo al prezzo medio: E ( pˆ Ω z ) . Ma in quale modo ciascun agente effettuerà questa previsione? Si noti che tale aspettativa non è pari al semplice valore atteso E ( pˆ ) = E ( pˆ * +ε ) = pˆ * desumibile dall’equazione (14); infatti la E ( pˆ Ω z ) è una media del livello medio dei prezzi condizionata all’insieme informativo5 Ω z , cioè al fatto che l’agente z conosce il suo prezzo p̂ z . Non ne forniremo un’esplicita dimostrazione, ma si può mostrare come vi sia una stretta (e semplice) relazione tra E ( pˆ Ω z ) e E ( pˆ Ω) = pˆ * . Se gli agenti usano tutti le loro informazione in modo “ottimale” secondo l’ipotesi di aspettative razionali – cioè non commettono errori di previsione sistematici, usano il modello corretto di funzionamento dell’economia, e utilizzano tutta l’informazione a loro disposizione – allora deve valere la seguente relazione6: E ( pˆ Ω z ) = qpˆ z + (1 − q) E ( pˆ Ω ) σ2 con q = 2 <1 σ +τ 2 (17) Dunque esiste una semplice relazione lineare che lega tra loro E ( pˆ Ω z ) e E ( pˆ Ω) = pˆ * . Sostituendo la (17) nella (16), si ottiene la funzione di offerta di lavoro della singola isola come funzione lineare della differenza tra il prezzo dell’isola e la sola media comune p̂ * : ⎛ 1− q ⎞ lˆz = ⎜⎜ ⎟⎟[ pˆ z − pˆ *] ⎝ψ − 1 ⎠ Occorre ora ricordare che la variabile p̂ * è una media, o meglio un valore atteso calcolato a partire da delle informazioni comuni a tutti i soggetti: pˆ * = E ( pˆ Ω) è comunque un aspettativa razionale fatta sul livello medio dei prezzi. Dunque, l’offerta di lavoro sarà infine data da: 5 Infatti, la previsione E ( pˆ ) = E ( pˆ * +ε ) = pˆ * è uguale alla previsione “comune” E ( pˆ Ω) . 6 In effetti la (17) è il risultato dell’applicazione del metodo di statistica inferenziale proiezione lineare con i minimi quadrati alla stima della variabile p̂ date le informazioni contenute in Ω z . 9 1 lˆz = [ pˆ z − E ( pˆ Ω)] θ 1 ⎛ τ2 ⎞ ⎜ ⎟ con = θ ψ − 1 ⎜⎝ σ 2 + τ 2 ⎟⎠ 1 (18) 2.4 La curva di offerta aggregata “a sorpresa” Ottenere la curva di offerta macroeconomica di lavoro a partire dalle singole curve (18) è ora molto facile: basta semplicemente aggregare queste ultime calcolandone la media (aritmetica, non il valore atteso!), ricordando che l’aspettativa E ( pˆ Ω) è comune a tutti gli agenti: 1 lˆ = [ pˆ − E ( pˆ Ω)] θ (19) Utilizzando la funzione di produzione (1), si ottiene la curva di offerta macroeconomica di Lucas (detta anche curva di offerta a sorpresa): yˆ = 1 θ [ pˆ − E ( pˆ Ω)] (20) La (20) dipende dal termine [ pˆ − E ( pˆ Ω)] . Ciò vuol dire che gli agenti nel complesso aumenteranno l’offerta ogni volta che le loro previsioni del livello dei prezzi si dimostrano inferiori al valore che effettivamente si realizza (dato che 1 / θ = (1 − q) /(ψ − 1) > 0 ); ovvero ogni volta che essi si fanno sorprendere da una variazione del prezzo medio non attesa. Infatti, gli agenti aumentano la produzione di ogni isola quando il prezzo locale è maggiore di p̂ * , e se ci fosse una variazione dei prezzi locali esattamente uguale per ogni isola, ciò vorrebbe dire che è aumentato il prezzo medio p̂ ; se gli agenti riescono a prevedere tale variazione, non aumenteranno la produzione, poiché sanno che la variazione dei prezzi non riguarda la loro specifica domanda, ma solo la domanda aggregata dell’intera economia. Ovvero si ritrovano ad acquistare beni al prezzo p̂ e a venderli al prezzo p̂ z , ma i due prezzi sono variati nello stesso modo, e la variazione di p̂ è stata prevista. Si consideri ad esempio un aumento del valore di p̂ a causa di un incremento di domanda aggregata indotto a sua volta da una espansione dell’offerta di moneta non prevista correttamente (cosicché pˆ − E ( pˆ Ω) ≠ 0 ). L’output (offerto) varierà di conseguenza in modo proporzionale, nel caso specifico aumentando. Ogniqualvolta gli agenti fanno delle previsioni corrette riguardo al livello dei prezzi: pˆ = E ( pˆ Ω) , la curva di offerta rimarrà fissa al suo livello di equilibrio di lungo periodo walrasiano, cioè sarà pari a: yˆ p = 0 . 10 3. LA TEORIA DEL CICLO ECONOMICO REALE 3.1 Introduzione Il modello di Lucas di ciclo in equilibrio costituisce solo uno dei possibili percorsi di ricerca aperti dalla NMC riguardo alla spiegazione delle fluttuazioni economiche. Una parte degli studiosi che accettano in pieno l’impostazione metodologica della NMC ha cercato di sviluppare una teoria del ciclo alternativa all’idea di Lucas ma coerente con le microfondazioni walrasiane: la teoria del ciclo economico reale (real business cycle, RBC), i cui primi sviluppi si possono far risalire al contributo di Kydland e Prescott (1982) e Long e Plosser (1983),. Questo programma di ricerca venne articolato attorno a due esigenze fondamentali: i) spostare l’attenzione dalle determinanti nominali a quelle reali delle oscillazioni di breve periodo delle variabili aggregate e ii) integrare l’analisi macroeconomica del breve periodo con quella del lungo periodo. Riguardo al primo punto, si trattava di rimuovere l’ipotesi di imperfetta informazione sul livello generale dei prezzi dal modello delle isole di Lucas, sviluppando così un’analisi del ciclo coerente con tutte le ipotesi fondamentali della teoria walrasiana. Il programma di ricerca si concretizzò nello sviluppo di modelli macro dinamici in cui le principali fonti di oscillazioni delle variabili macroeconomiche endogene erano generate in sostanza da shock di natura aleatoria che colpivano solo i fondamentali (secondo la teoria neoclassica e walrasiana) dell’economia: tecnologia, preferenze o altri fattori esogeni, come la spesa pubblica, i quali sono tutti di natura reale e non nominale. Un limite della teoria di Lucas del ciclo monetario di equilibrio riguarda la necessità di introdurre shock reali, accanto a quelli di natura nominale generati dall’imprevedibilità della politica monetaria. Affinché il meccanismo descritto nel modello delle isole sia operativo occorre infatti che l’economia sia soggetta a shock reali di qualche tipo (gli u della sezione precedente, legati ad es. alla variabilità della popolazione). In assenza di questa fonte specifica di incertezza, la politica monetaria risulta, a rigore, sempre inefficace poiché del tutto prevedibile, seppur in modo indiretto, dagli agenti privati (l’aleatorietà della politica monetaria è legata alla variabile casuale ε , cfr. la sezione 2). La necessaria presenza di questi shock reali porta naturalmente a pensare a quanta variabilità del ciclo economico sia a loro dovuta, rispetto alla variabilità indotta dalla politica monetaria. Potrebbe essere il caso che gli shock reali siano in effetti il principale motore del ciclo. Anche il secondo punto, l’integrazione tra breve e lungo periodo, è frutto della ricerca di una coerenza complessiva con i fondamenti metodologici. Un difetto teorico della macroeconomia della sintesi neoclassica degli anni 50 e 60 era la scissione esistente tra il breve e il lungo periodo. Mentre i fenomeni di breve venivano interpretati in base alla teoria keynesiana – discussa nei precedenti capitoli ed incompatibile con il paradigma dell’equilibrio generale walrasiano – i fenomeni di lungo periodo era spiegati dalla teoria della crescita promossa da Solow (1956), che era invece coerente, pur in un quadro semplificato e macroeconomico, con il modello dell’equilibrio concorrenziale walrasiano. L’esigenza di raccordare e integrare le spiegazioni economiche per i due orizzonti temporali ha portato la RBC a sviluppare uno stretto legame tra la teoria neoclassica della 11 crescita di Solow e la teoria del ciclo. Il risultato è stato quello di arrivare ad una spiegazione fortemente integrata dei due fenomeni macroeconomici fondamentali, il ciclo e la crescita. La riconduzione di questi due fenomeni ad un comune quadro teorico e interpretativo è uno dei risultati più fortemente sottolineati dai teorici RBC, e in questa prospettiva l’idea stessa di ciclo economico di equilibrio ha acquisito una coerenza ed una radicalità assai più marcate. La base di partenza della teoria RBC può pertanto essere individuata nei modelli di crescita neoclassici standard a là Solow7. In questi modelli il funzionamento dell’economia nel lungo periodo è descritto da un sistema di mercati in concorrenza perfetta e con informazione completa (anche se vi è dell’incertezza legata ad alcuni fondamentali reali dell’economia). Non essendovi alcuna fonte di rigidità reale o nominale il sistema economico si posiziona su un equilibrio Pareto efficiente8. Dietro lo sviluppo della teoria del ciclo reale c’è un profondo mutamento di visione intervenuto nel corso degli anni settanta sul modo stesso di concepire il fenomeno del ciclo, proprio ad opera degli studi di Lucas (1986). Invece di considerare il ciclo come una sovrapposizione di oscillazioni regolari di diverso periodo, si è incominciato a concepirlo come un fenomeno irregolare – legato in particolare alle serie storiche dell’ouput aggregato. Il ciclo è definito come un movimento fortemente irregolare ed aleatorio del PIL reale attorno a un trend di lungo periodo. La Figura 1 mostra il l’andamento del (logaritmo del) PIL reale in Italia negli ultimi quindici anni, assieme ad un semplice trend lineare (nei logaritmi), da esso estrapolato come andamento di lungo periodo. PIL reale - Italia 1988 - 2004 2,71 2,69 ln (PIL) 2,67 2,65 2,63 2,61 19 88 Q 19 1 89 Q 19 1 90 Q 19 1 91 Q 19 1 92 Q 19 1 93 Q 19 1 94 Q 19 1 95 Q 19 1 96 Q 19 1 97 Q 19 1 98 Q 19 1 99 Q 20 1 00 Q 20 1 01 Q 20 1 02 Q 20 1 03 Q 20 1 04 Q 1 2,59 Trim estri fonte dei dati: IMF; dati trimestrali. La linea piena rappresenta il logaritmo del PIL reale; la linea tratteggiata il suo trend (lineare). Figura 1 7 In particolare nella versione con ottimizzazione dinamica Ramsey-Cass-Koopmans, che però non verrà discussa nel nostro corso. 8 Che corrisponde allo stato stazionario di lungo termine del modello di Solow: cfr. De Vincenti (2003) sez. 8.2. 12 Nella Figura 2 è invece possibile vedere una rappresentazione della componente ciclica del PIL: si tratta della differenza tra i valori del PIL reale (la linea piena) e del trend (la linea tratteggiata) della precedente9 Figura 1: Ciclo economico - Italia 1988 - 2004 Deviazioni dal trend del PIL 0,015 0,01 0,005 0 -0,005 -0,01 19 19 88 Q 1 89 Q 19 1 90 Q 19 1 91 Q 19 1 92 Q 19 1 93 Q 19 1 94 Q 19 1 95 Q 19 1 96 Q 19 1 97 Q 19 1 98 Q 19 1 99 Q 20 1 00 Q 20 1 01 Q 20 1 02 Q 20 1 03 Q 20 1 04 Q 1 -0,015 Trimestri Figura 2 La teoria RBC cerca di spiegare le oscillazioni aleatorie del PIL attorno al trend ricorrendo a shock tecnologici – e quindi di natura reale: tali shock sono generati, nei modelli RBC, da variabili stocastiche che influenzano le variabili rappresentative della tecnologia. In genere i modelli RBC non possono essere risolti analiticamente. Pertanto le conclusioni che si possono trarre da loro vengono derivate tramite una specifica procedura di simulazione numerica: la “calibrazione”, che verrà brevemente discussa in seguito. Uno degli obiettivi primari dei modelli RBC è pertanto quello di generare dinamiche che si adattino ai principali “fatti stilizzati” dedotti dalle serie storiche effettive delle principali variabili macroeconomiche. Il loro scopo e il loro banco di prova è mostrare se sia possibile fornire una buona descrizione delle caratteristiche osservate del ciclo tramite un modello pienamente walrasiano. La teoria RBC ha prodotto una letteratura vasta e consolidata, e i suoi modelli sono in genere piuttosto complicati da punto di vista tecnico. Nelle sezioni successive si cercherà di mostrarne solo uno, per di più estremamente semplificato; esso incorporerà comunque alcune delle caratteristiche di fondo delle teoria del ciclo reale10. 9 In effetti questa è una tecnica di detrendizzazione della serie storica del PIL non del tutto adeguata ai fini della teoria RBC, nella quale vengono usate altre, più raffinate, tecniche statistiche (cfr. De Vincenti e Marchetti 2005, sez. 4.4); ma comunque dà un’idea intuitiva del filtraggio delle serie necessario ad isolare la componente ciclica. 10 In particolare, illustreremo il modello a generazioni sovrapposte presentato in Blanchard e Fischer (1989), sezione 7.1.1. 13 3.2 Un modello di ciclo reale con generazioni sovrapposte 3.2.1 Le imprese La teoria RBC richieda un’analisi esplicitamente dinamica, in cui le diverse variabili economiche possono variare da un periodo di tempo t al successivo t+1. Dal lato della produzione, l’economia è rappresentata da un gran numero di imprese rappresentative (sostanzialmente tutte uguali) che operano in concorrenza perfetta sia nel mercato dei beni prodotti – in cui si vende un unico bene omogeneo, Yt , che rappresenta la produzione aggregata – sia nei mercati dei due input macroeconomici: il capitale aggregato K t (omogeneo al prodotto) e l’input di lavoro complessivo Lt . Utilizzando la semplificazione dell’agente rappresentativo, si può pensare che la produzione aggregata sia realizzata da un’unica impresa che impiega una tecnologia valida per l’intera economia e rappresentata dalla seguente funzione di produzione: Yt = At K φ t L1−φ t con 0 < φ < 1 (21) Si tratta di una funzione di produzione Cobb-Douglas, le cui proprietà dovrebbero essere note dal corso di microeconomia. Il prodotto Yt deve intendersi come prodotto aggregato lordo – cioè comprensivo dello stock di capitale che rimane disponibile dopo essere stato impiegato nella produzione. In particolare, la (21) ha rendimenti di scala costanti e entrambe le produttività marginali (del lavoro e del capitale) decrescenti. I rendimenti di scala costanti sono necessari per far sì che nel lungo periodo il modello si comporti come quello di Solow. In ogni istante di tempo t la produzione Yt dipende dallo stock di capitale K t impiegato a quella data e dall’ammontare di lavoro Lt utilizzato. Inoltre, il livello di prodotto aggregato dipende anche da un fattore At , chiamato “produttività totale dei fattori” (total factor productività: TFP). Esso potrebbe essere influenzato in realtà di una grande molteplicità di fattori esogeni, ma nella teoria RBC At rappresenta l’impatto sull’output complessivo di variazioni nelle condizioni tecnologiche di produzione: un maggior livello di At è quindi riconducibile all’introduzione di migliorie tecniche che incrementano l’efficienza produttiva di entrambe i fattori K e L; infatti è facile mostrare come un incremento di At aumenti in egual misura la produttività marginale del capitale e del lavoro (cfr oltre le equazioni (22) e 23)). La produttività totale dei fattori At è di particolare importanza nei modelli RBC: essa infatti è l’unica componente del modello soggetta ad un andamento aleatorio nel tempo, e le sue specifiche caratteristiche verranno discusse più avanti. Le imprese massimizzano il profitto in ogni istante di tempo; cioè, dato il saggio di salario reale wt e il saggio di remunerazione del capitale rt , risolvono il problema11: max Π = At K tφ Lt Lt , Kt 1−φ − wt Lt − rt K t da cui si ottengono le condizioni di primo ordine: wt = ∂Yt −φ = (1 − φ ) At K tφ Lt ∂Lt (22) 11 Il prezzo di vendita dell’output è normalizzato a 1: la legge di Walras consente di parametrizzare un prezzo nominale in un sistema di equilibrio generale, e nei modelli RBC il prezzo scelto come numerario è proprio quello dell’output (cfr. oltre, sezione 3.2.3). 14 rt = ∂Yt 1−φ = φAt Ktφ−1Lt ∂Kt (23) Al fine di semplificare l’analisi – e di mettere in luce solo alcuni aspetti di fondo della teoria RBC – assumeremo che la quantità di lavoro offerta e impiegata nell’economia non vari: in altre parole, al salario vigente di mercato in ogni istante di tempo, wt , le famiglie offrono sempre la stessa quantità di lavoro e le imprese la impiegano interamente. Possiamo dunque parametrizzare il lavoro offerto (e impiegato) a uno, cioè: Lt = L = 1 . In tal caso, le grandezze effettive e quelle pro-capite coincideranno, e la funzione di produzione risulterà pari a Yt = At K tφ , mentre le equazioni (22) e (23) diverranno12: wt = (1 − φ ) At K tφ (24) φ −1 rt = φAt Kt (25) Le equazioni (24) e (25) rappresentano rispettivamente le funzioni di domanda di lavoro e capitale per l’intera economia. La dinamica di fondo del sistema è governata da un’unica equazione: K t +1 = I t (26) dove I t è l’ammontare dell’investimento al tempo t; la (26) dice semplicemente che l’investimento al tempo t è pari al nuovo stock di capitale disponibile per la produzione nel periodo successivo13. 3.2.2 I consumatori Il modello è a generazioni sovrapposte: si ipotizza che in ogni istante di tempo siano presenti nell’economia due gruppi di individui-conumatori: i giovani, che offrono lavoro, consumano ed effettuano risparmio, e i vecchi che consumano e utilizzano il risparmio accumulato nel periodo passato – per semplicità si assume che ogni agente viva solo due periodi. Sempre come ipotesi di comodo, si assume che vecchi e giovani siano in ogni istante di tempo presenti sempre nella stessa proporzione (diciamo metà e metà) e che la popolazione complessiva non vari nel tempo14. Dunque nell’economia le generazioni si succedono seguendo questo schema: 12 Queste due equazioni mettono bene in luce l’andamento delle produttività marginali dei fattori: quando la produttività marginale del capitale di K t aumenta, φAt Ktφ−1 nella (26) si riduce (infatti φ − 1 è negativo); al contrario, un aumento Lt farebbe diminuire K t / Lt e la produttività marginale del lavoro (1 − φ ) At ( K t / Lt )φt nella (22) diminuirebbe di conseguenza ( φ è positivo e minore di 1). 13 Si ricordi che il prodotto Yt definito dalla (21) è lordo. Si può pensare anche pensare che il capitale subisca un deprezzamento totale nel corso di ogni periodo. 14 Si tratta di ipotesi semplificatrici: la qualità dei risultati che ci interessano non cambierebbe molto con ipotesi più raffinate e realistiche. 15 Generazione -1 0 1 2 …. Tempo t=0 Vecchi t=1 t=2 Giovani Vecchi Giovani Vecchi Giovani …. …. Assumendo per semplicità popolazione costante e agenti rappresentativi, possiamo concentrarci esclusivamente sul comportamento di un singolo individuo. Un agente nato al tempo t ha una funzione di utilità data da: U = ln C1t + βE (ln C2t +1 Ωt ) (27) C1t è il consumo che esso effettua da giovane, mentre C2t +1 quello che effettua da vecchio – al periodo successivo t+1; il termine β E (ln C2t +1 Ωt ) contiene l’operatore aspettativa E condizionato all’informazione conosciuta a t, Ω t , per motivi che verranno chiariti più avanti. Nella (27) non è presente la disutilità del lavoro poiché si assume che questo sia offerto in modo rigido (è dunque costante e pari al valore medio impiegato nell’economia: 1). Infine, 0 < β < 1 è il saggio di sconto intertemporale dell’agente. Nel primo periodo, t, il vincolo di bilancio del consumatore è: C1t + St = wt (28) il risparmio St viene impiegato dal giovane nell’acquisto di nuovi beni capitali K che fruttano un rendimento di mercato pari a rt , e vengono venduti nel periodo successivo, cosicché l’intero ammontare – capitale più rendimento – può essere utilizzato per finanziare il consumo da vecchio. Infatti, nel secondo periodo il vincolo di bilancio è: C2t +1 = (1 + rt +1 ) St (29) L’agente sceglie all’inizio (a t) sia il livello di C1t che di C2t +1 . Per questo la (27) contiene il termine β E (ln C2t +1 Ωt ) come un valore atteso: l’agente non sa ancora quale sarà il valore di rt +1 a causa del comportamento aleatorio della TFP, cioè di At +1 (si veda l’equazione (25)); pertanto deve formulare un’aspettativa (razionale) sul suo consumo futuro. 16 Dalla (28) abbiamo la definizione del risparmio: St = wt − C1t , che sostituito nella (29) consente di scrivere: C2t +1 = (1 + rt +1 )(wt − C1t ) . Ora è possibile sostituire questa espressione al posto di C2t +1 nella funzione di utilità (27), ottenendo: U = ln C1t + βE{ln[(1 + rt +1 )( wt − C1t )]Ωt } Per le proprietà dei logaritmi è: U = ln C1t + βE {ln(1 + rt +1 ) + ln( wt − C1t ) Ωt } (30) Il termine ln(wt − C1t ) è conosciuto alla data t, pertanto la sua media E coincide con il valore effettivo, quindi la (28) è pari a: U = ln C1t + β ln( wt − C1t ) + β E{ln(1 + rt +1 ) Ωt }. Ora il problema di scelta dell’agente dipende da una sola variabile di controllo: C1t , che è nota al tempo t – il rendimento rt +1 è comunque esogeno, dato che i mercati sono perfettamente concorrenziali. Pertanto l’agente risolverà il seguente problema di ottimo: max U = ln C1t + β ln(wt − C1t ) + βE{ln(1 + rt +1 ) Ωt } C1t Dalla condizione di primo ordine: β 1 − = 0 , si ottiene la funzione di domanda di consumo C1t wt − C1t da giovane: C1t = wt 1+ β (31) Tenendo conto del primo vincolo St = wt − C1t , e sostituendovi la (31), otteniamo la funzione del risparmio: St = β 1+ β wt (32) La semplicità della soluzione (32) è dovuta al fatto che, da un lato la funzione di utilità è logaritmica, e dall’altro il consumo e il risparmio del primo periodo – in base alla (28) – non dipendono dal tasso di rendimento r ( che è influenzato dalla variabile aleatoria A). E’ interessante notare come la (32) implichi che la quota del risparmio sul reddito St / Yt sia costante nel tempo; infatti: ⎛ β ⎞ St wt β /(1 + β ) (1 − φ ) At K tφ β /(1 + β ) = = = (1 − φ )⎜⎜ ⎟⎟ φ φ Yt At K t At K t ⎝1+ β ⎠ Questo risultato è coerente con l’idea alla base del modello di Solow secondo cui gli agenti risparmiano una quota costante del loro reddito in ogni t: infatti essa definisce una propensione al risparmio s costante nel tempo. Il modello RBC semplificato consente di microfondare l’ipotesi – tipica del modello reddito-spesa – di una propensione al risparmio costante: infatti nel nostro caso ⎛ β ⎞ abbiamo s = (1 − φ )⎜⎜ ⎟⎟ . ⎝1+ β ⎠ 17 Si può cercare di analizzare graficamente la soluzione offerta dalle (31)-(32) in modo piuttosto semplice. Mentre il consumo del primo periodo non dipende dal tasso di interesse: C1,t = wt / (1 + β ) , quello del secondo periodo dipende in modo positivo da r: C2,t +1 = β (1 + rt +1 )wt / (1 + β ) . La situazione è rappresentata nella Figura 3 dall’eguaglianza tra pendenza del vincolo di bilancio intertemporale: C2,t +1 = (1 + rt +1 )(wt − C1,t ) e saggio marginale di sostituzione (cioè pendenza della curva di indifferenza U ). Un aumento del tasso di interesse da r a r’ fa ruotare il vincolo di bilancio verso l’alto spostando l’equilibrio da A a B; accade però che il consumo del primo periodo non varia (resta fermo a C1 * ), mentre il quello del secondo periodo aumenta, passando da C2 * a C2 ' . In effetti C2,t +1 è aumentato in modo da assorbire completamente l’aumento di reddito del secondo C2,t +1 deve rimanere 1 + rt +1 deve aumentare di un valore esattamente pari all’aumento del fattore di periodo dato dall’aumento del tasso di interesse. Infatti, se il risparmio St = invariato, il consumo C2,t +1 reddito da capitale 1 + rt +1 . Questo significa che l’effetto reddito di un aumento di r (che accresce il reddito disponibile nel secondo periodo) ha esattamente compensato l’effetto sostituzione, che ha aumentato il “prezzo”, o meglio lo sconto, del consumo del primo periodo15 C1,t . C2,t +1 (1+ r ')w C2 ' B (1 + r )w C2 * ↑r U' A U C1 * w C1,t Figura 3 Questo bilanciamento preciso tra l’effetto reddito e l’effetto sostituzione di una variazione di r è una conseguenza della forma della funzione di utilità U, che è logaritmica e separabile nei due periodi; con una diversa forma funzionale, anche il consumo del primo periodo e il risparmio avrebbero risentito di un aumento di r. 3.2.3 Equilibrio dei mercati Analizziamo ora l’equilibrio dei vari mercati in ogni istante di tempo, ricordando che si assume concorrenza perfetta in ciascuno di essi. In ogni istante t sono attivi nell’economia quattro diversi mercati: il mercato del prodotto finale (Y), il mercato risparmi-investimenti (S e I), e i mercati dei due fattori di produzione: lavoro (L) e stock di capitale (K). 15 Riarrangiando il vincolo di bilancio infatti si ottiene: (1 + rt +1 )C1,t + C2,t +1 = (1 + rt +1 )wt . 18 Le equazioni (24) e (25) ci danno sufficienti informazioni per stabilire le condizioni di equilibrio sul mercato dei fattori produttivi: infatti, le due equazioni definiscono le funzioni di domanda macro dei due fattori produttivi, lavoro e capitale, e si assume che le offerte macro di ambo i fattori siano rigide (costanti rispetto ai loro prezzi) in ogni istante di tempo16; in effetti le offerte di capitale e lavoro in ogni t sono rispettivamente pari a: K t = I t −1 e Lt = L = 1 . Sostituendo le offerte nelle (24) φ −1 e (25): wt = (1 − φ ) At I tφ−1 e rt = φAt It −1 , si determinano i prezzi di equilibrio dei due fattori ( wt e rt ). L’equilibrio del mercato risparmi-investimenti, in ogni istante t, è definito dall’eguaglianza: St = I t ∀t (33) Come nei più semplici modelli macro statici, questa equazione è sufficiente anche a garantire l’equilibrio nel mercato del prodotto finale (dove si confrontano la produzione offerta e la domanda aggregata): infatti la legge di Walras assicura che, nel nostro modello, se tre mercati sono in equilibrio, anche il quarto e ultimo (che è appunto quello dei beni) sarà inevitabilmente in equilibrio. Utilizzando la condizione (33), è possibile determinare un’equazione dinamica che sintetizza l’andamento temporale dell’economia in equilibrio generale in ogni istante di tempo. Sostituiamo β (1 − φ ) l’offerta di risparmio (32): St = At K tφ e la legge di accumulazione del capitale (26): 1+ β K t +1 = I t nella condizione di equilibrio (33) e otteniamo: K t +1 = β (1 − φ ) At K tφ 1+ β Calcolando i logaritmi ambo i lati (variabili con il cappuccio), questa equazione alle differenze diventa lineare: Kˆ t +1 = h + φKˆ t + Aˆt con h = ln β (1 − φ ) 1+ β (34) La (34) descrive l’andamento temporale dello stock di capitale quando l’economia si trova in equilibrio generale in ogni istante di tempo. 3.3 L’instabilità dell’economia secondo la teoria RBC Dall’equazione (34) è possibile derivare l’andamento nel tempo (in equilibrio) di tutte le principali variabili endogene del sistema. Per esempio, il livello della produzione di equilibrio (nei logaritmi) Yˆ + Aˆt , che è: pari – in base alla (21) – a: Yˆt = Aˆt + φKˆ t . Risolvendo rispetto a K̂ , si ottiene: Kˆ t = t φ sostituito nella (34) dà luogo a: Yˆt +1 − Aˆt +1 φ = h +φ Yˆt − Aˆt φ + Aˆt . Riordinando i termini, si arriva all’equazione: Yˆt +1 = hφ + φYˆt + Aˆt +1 , che spostata di un periodo indietro è pari a: 16 Al contrario del lavoro però, l’offerta di capitale può variare da un periodo all’altro, a causa dell’investimento. In realtà si assume che i consumatori – che sono nell’aggregato i proprietari dello stock di capitale – offrano in ciascun istante t tutta la loro disponibilità di capitale alle imprese per la produzione, e che tale offerta sia rigida (indipendente da r). Le decisioni di investimento e risparmio (sempre prese dai consumatori) possono comunque far variare lo stock di capitale da un periodo t al successivo. 19 Yˆt = hφ + φYˆt −1 + Aˆt (35) La (35) descrive la dinamica di equilibrio del reddito aggregato. La presenza del termine φYˆt −1 indica il contributo dell’accumulazione del capitale alla formazione del reddito del tempo: quando interviene uno shock di produttività Ât , questa variazione si trasmette interamente all’output del periodo corrente Y , ma non solo; tramite φYˆ l’effetto dello shock andrà anche da influenzare i t t −1 livelli dell’output nei periodi futuri, seppure in maniera via via declinante nel tempo – infatti φ è minore di 1 – fino a scomparire del tutto. Come detto in precedenza, la TFP Ât contiene degli elementi stocastici, pertanto per analizzare le caratteristiche della dinamica implicata dalla (35) occorre prima stabilire le proprietà della TFP stessa. In questo modello semplificato è appropriato ipotizzare che Ât segua questo andamento temporale17: Aˆt = λ + Aˆt −1 + et con λ > 0 (36) Il valore corrente di Atˆ dipende dal suo livello passato Aˆt −1 , più una costante λ , più uno shock aleatorio et , che si distribuisce come un white noise: et ~ N (0, σ 2 ) . La tecnologia si evolve nel tempo in modi distinti nel breve e nel lungo periodo, entrambi però rappresentati nella (36). Riguardo al lungo periodo, quando non ci sono shock aleatori nella tecnologia ( et = 0 ), la produttività cresce in media al tasso costante λ , che descrive l’evoluzione di lungo termine del progresso tecnico nella sua componente deterministica. Nel breve periodo invece si possono avere delle variazioni imprevedibili nelle condizioni tecniche di produzione, e queste sono rappresentate dalla variabile aleatoria et . Le variazioni di et possono essere sia positive che negative18. Nel primo caso rappresentano l’introduzione inattesa di migliorie o l’insorgere casuale di innovazioni tecniche; nel secondo caso esse descrivono l’effetto di un qualche shock reale che peggiora le condizioni tecniche di produzione19 (si pensi magari un vasto balck-out o all’introduzione e al successivo divieto del DDT …). La presenza del termine Aˆt −1 tiene conto del fatto che, una volta introdotta un’innovazione tecnica aleatoria et , questa esercita i suoi effetti in maniera permanente nel tempo: il suo impatto non si esaurisce solo nel periodo corrente t ma viene trasportato anche nei periodi futuri. E’ infatti ragionevole pensare che le innovazioni tecniche rimangano disponibili anche nei periodi futuri: l’insieme delle conoscenze deve (o meglio dovrebbe) crescere sempre nel corso del tempo. La legge dinamica (36) può essere sostituita nella (35) per analizzare l’evoluzione dell’output. Prima però conviene definire le differenze Yˆt − Yˆt −1 calcolate in base alla (35): Yˆt − Yˆt −1 = φ (Yˆt −1 − Yˆt −2 ) + ( Aˆt − Aˆt −1 ) (37) 17 Un’equazione come la (36) descrive – in termini tecnici – un random walk (passeggiata aleatoria) con un drift (un termine di spostamento) dato da λ . 18 Infatti solo in media et è nulla. 19 Comunque giustificare le variazioni negative di et è in qualche modo più difficile: immaginare che le variazioni della tecnologia possano essere frequenti e significativamente ampie, soprattutto nelle fasi di “regresso”, non sembra in generale molto realistico, ed è stato messo in discussione da molti economisti. Questo punto costituisce una delle critiche più note alla teoria RBC. 20 Dalla (36) abbiamo: Aˆ1 − Aˆt −1 = λ + et , che possiamo sostituire nella (37), così da ottenere: Yˆt − Yˆt −1 = φ (Yˆt −1 − Yˆt −2 ) + λ + et . Le differenze prime ΔYˆt = Yˆt − Yˆt −1 sono una misura del tasso di crescita del PIL reale. Dunque l’andamento nel tempo del tasso di crescita del PIL è dato da: ΔYˆt = λ + φΔYˆt −1 + et (38) In base a questa equazione, nel lungo termine, quando gli shock et sono (in media) nulli, il tasso di crescita del PIL ΔŶt è costante e proporzionale al tasso di crescita a lungo termine del progresso λ . Si tratta di un risultato abbastanza coerente con i dati empirici: 1−φ nella Figura 1 infatti il trend di lungo periodo è una retta, e la sua inclinazione costante può essere proprio identificata con il tasso di crescita λ /(1 − φ ) . Inoltre, ciò è anche in linea con il modello di Solow: infatti quest’ultimo afferma che nel lungo periodo l’economia su sviluppa in base al tasso di crescita naturale g n = n + λ , dato dalla somma del tasso di crescita della popolazione n e del tasso di crescita del progresso tecnico λ . Nel nostro modello RBC abbiamo ipotizzato però che la popolazione sia costante, e quindi il suo tasso di crescita è n = 0 ; a parte questa differenza, il risultato è qualitativamente analogo a quello di Solow20. Ma il risultato principale che emerge dalla (38) riguarda il breve periodo, e dunque le variazioni cicliche evidenziate dalla Figura 2: cosa accade al PIL (e alle altre endogene dell’economia) quando si verifica uno shock inatteso et ? La risposta dinamica del sistema ad un mutamento imprevisto nella tecnologia può essere mostrata tramite un piccolo esperimento numerico. Il parametro φ ha un significato particolare: essendo la funzione di produzione (21) una Cobb-Douglas, φ rappresenta la quota di output che remunera il capitale nel lungo periodo, Quest’ultima è infatti definita come rK φ −1 φ ; il saggio di rendimento è pari a: r = φAK e la funzione di produzione è: Y = AK ; dunque Y tecnico; esso infatti pari a sostituendo i due nella definizione rK / Y si ottiene: φAKφ−1 ⋅ K AKφ = φ . In tal modo φ può essere stimato dai dati aggregati relativi alla quota di reddito nazionale assorbita dalla proprietà del capitale. Per l’Italia alcune di queste stime (ad es. Censolo e Onofri 1993) propongono un valore φ ≅ 0 , 5 . Basandoci sui dati italiani (ISTAT 1970 – 2003), possiamo stimare (in modo molto rozzo) un tasso di crescita trimestrale del PIL reale pari al 0,39%. Dunque sarebbe: λ /(1 − φ ) = 0,39 , e il tasso di progresso tecnico risulterebbe: λ = 0,39(1 − 0,5) = 0,195 . La (38) può essere così specificata: ΔYˆt = 0,195 + 0,5ΔYˆt −1 + et (39) La Figura 4 qui di seguito mostra l’andamento di ΔŶt in risposta ad una variazione dell’1% di e al periodo 1, simulato in base alla (39): Nel modello di Solow con n = 0 avremmo un tasso di crescita di steady state g pari a λ , mentre nel modello RBC il tasso di crescita di steady state è λ /(1 − φ ) . Questa differenza è dovuta solo al fatto che nel presente modello la tecnologia aumenta la produttività di entrambe i fattori (è la TFP) mentre in Solow il progresso tecnico di lungo periodo è (più correttamente) di tipo labour-augmenting, cioè aumenta solo la produttività del fattore lavoro. 20 21 Risposta dinamica di ∆yt ad uno shock e t ∆yt 1,46 1,26 ∆y(t) 1,06 λ/(1-Φ)=0.39 0,86 0,66 0,46 0,26 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 Tempo (in trimestri) Figura 4 Lo shock è positivo, dunque il tasso di crescita del reddito subisce un aumento istantaneo, portandosi subito al di sopra di λ /(1 − φ ) ; il termine autoregressivo φΔYˆt −1 fa si che questo aumento non scompaia subito dopo il primo periodo, ma si trasporti anche nei periodi successivi, mantenendo il tasso di crescita al disopra di λ /(1 − φ ) per alcuni anni. Ma φ < 1 , quindi l’effetto dello shock iniziale man mano si riduce nel tempo; dopo un certo numero di periodi (circa 8), se non intervengono nuovi shocks di produttività, il tasso di crescita dell’output ritorna al livello di lungo periodo λ /(1 − φ ) . Naturalmente la figura và rovesciata nel caso di uno shock et negativo (che indurrebbe una recessione). Alimentando la (39) con una serie casuale di shock nei vari periodi si potrebbe replicare un andamento del ciclo con caratteristiche statistiche simili a quelle della serie di dati mostrata nella precedente Figura 2. Secondo la teoria RBC sono le variazioni casuali e inattese nella tecnologia – descritte dagli shock aleatori et nella TFP Ât – a generare le oscillazioni nel tempo delle principali variabili macro. Tutto ciò avviene però nel contesto di un’economia in equilibrio generale di concorrenza perfetta con informazione completa (le innovazioni tecniche et sono infatti intrinsecamente imprevedibili). Le oscillazioni cicliche che si osservano nella realtà andrebbero dunque interpretate come risposte ottimali del sistema economico a degli shock interamente esogeni e inevitabili. 3.4 Sviluppi della teoria RBC Il modello descritto nelle precedenti sezioni è una versione molto semplice: i modelli RBC veri e propri sono più complessi e consentono di tenere conto di molti altri fenomeni legati al breve e al lungo periodo21. In primo luogo, l’offerta di lavoro può variare in ogni istante di tempo, dando luogo a delle risposte dinamiche di investimenti, consumi e altre grandezze aggregate più articolate. In secondo luogo, le ipotesi sull’accumulazione del capitale possono essere rese più realistiche, consentendo un’analisi più appropriata del comportamento dinamico di equilibrio di molte variabili aggregate (consumi, investimenti, salari reali, tassi di interesse, ecc.). 21 Un modello standard RBC neoclassico è quello di King, Plosser e Rebelo (1988). 22 Simili modelli non possono però essere risolti analiticamente come quello qui presentato, e ciò richiede l’impiego di tecniche specifiche per indagare le proprietà delle loro soluzioni. In genere si applica un versione più estesa e raffinata della simulazione numerica mostrata nella sezione precedente: la “calibrazione”. Calibrare il modello significa definire un processo di assegnazione di valori numerici ai parametri (ad esempio φ , λ e altri ancora non presenti nella nostra versione semplificata) ricorrendo in genere ad informazioni provenienti dalle analisi empiriche sia macro che microeconomiche; nello stesso modo si fissano i valori numerici delle variabili endogene nello stato stazionario del modello. Una volta calibrato numericamente, il modello viene poi simulato al computer, così da generare delle serie storiche “artificiali” per le diverse variabili endogene. Il modello teorico RBC sarà tanto più “realistico” quanto più le proprietà statistiche di queste serie simulate, soprattutto varianze e correlazioni, sono uguali alle varianze e alle correlazioni che effettivamente si osservano nei dati macroeconomici22. Infine, anche le risposte dinamiche delle diverse variabili del modello (come quella della Figura 3) possono essere tracciate e confrontate con quelle dedotte dalle serie storiche effettive. Le implicazioni della teoria RBC a livello normativo sono strettamente connesse ai due teoremi fondamentali dell’economia del benessere. Interpretando il ciclo economico come un fenomeno di equilibrio walrasiano, in ogni istante di tempo vi è sempre piena occupazione, una utilizzazione ottimale del capitale e livelli di consumo e di prodotto che soddisfano le preferenze della collettività. L’andamento dinamico delle variabili endogene sarebbe quindi un ottimo paretiano che varia nel tempo, e gli scostamenti delle variabili dal loro trend di lungo periodo esprimono soltanto le risposte ottimali degli agenti ad un’incertezza che è per sua natura assolutamente ineliminabile. L’andamento aleatorio della tecnologia, essendo parte dei fondamentali walrasiani, non genera alcuna perdita di benessere per gli agenti. Invece, eventuali tentativi dei policy makers di aumentare l’output o di influenzarne l’andamento tramite manovre su grandezze reali come spesa pubblica e tassazione non potrebbero avere che degli esiti distorsivi e subottimali. Si ritorna anche in questo caso ad una concezione del ruolo della politica economica nella stabilizzazione del sistema economico sostanzialmente in linea con quella offerta dal modello di Lucas. L’unica differenza (certo non marginale) è che la politica monetaria in questi modelli è del tutto neutrale, e quindi del tutto incolpevole di eventuali incrementi nella volatilità dell’economia o di persistenti periodi di bassa attività economica. Le implicazioni di carattere positivo della teoria RBC sono anch’esse lontane dalla concezione keynesiana dell’instabilità dell’economia. Al posto delle imprevedibili variazioni della domanda aggregata (legate a fattori monetari e reali), che secondo la sintesi degli anni 50 e 60 erano all’origine del ciclo, la teoria RBC propone una spiegazione delle fluttuazioni economiche basata solo su fattori reali e su meccanismi che coinvolgono il lato dell’offerta. Questo nuova spiegazione del ciclo economico ha suscitato grande interesse ma anche vivaci critiche, rivolte soprattutto a due punti deboli della teoria RBC: il ruolo dell’input di lavoro e il ruolo della tecnologia. Non ci addentreremo a fondo nel dibattito relativo al primo punto – che riguarda soprattutto l’analisi empirica dell’elasticità dell’offerta di lavoro – dato che nel modello semplificato delle sezioni precedenti l’offerta di lavoro era per semplicità ipotizzata costante. Basti segnalare che la teoria RBC incontra grandi difficoltà nel rendere conto di uno degli aspetti tradizionalmente più importanti del breve periodo: le variazioni della disoccupazione. Con concorrenza perfetta nel mercato del lavoro e market clearing istantaneo, il modello non genera mai situazioni di disoccupazione involontaria. In realtà, nella teoria dell’equilibrio generale, la disoccupazione involontaria trova posto solo come un fenomeno “frizionale” di breve periodo, legato ai tempi tecnici richiesti affinché si compiano gli aggiustamenti sul mercato del lavoro (raccolta di informazioni sui posti di lavoro vacanti, svolgimento dei colloqui di assunzione, ecc.). D’altronde, l’andamento dei tassi di disoccupazione e la loro relazione con le altre variabili aggregate costituisce uno dei più importanti fenomeni del ciclo, e la disoccupazione può solo in casi molto rari (come forse per gli USA nella seconda metà degli anni novanta) essere interpretata come 22 In realtà alcuni parametri del modello – di solito legati al processo dinamico della TFP – vengono prima lasciati liberi e poi aggiustati al fine di rendere questa somiglianza più stretta. 23 prevalentemente volontaria o frizionale. Recentemente la teoria RBC sembra aver intrapreso un percorso di progressivo allontanamento dall’impostazione dei primi tempi, basata sulla concorrenza perfetta. Alcuni studi più recenti tendono a integrare nelle economie simulate dai modelli RBC rigidità e imperfezioni dei mercati di vario tipo (in particolare nel mercato del lavoro), cosicché la “nuova” teoria RBC tende più a presentarsi come una teoria del ciclo di equilibrio (generale) “non walrasiano”. Rimuovendo l’ipotesi di concorrenza perfetta e quindi l’assenza di rigidità reali, i valori di equilibrio possono differire da quelli Pareto-efficienti, consentendo di ottenere spiegazioni per la disoccupazione involontaria. Le critiche più rilevanti ai vari modelli RBC riguardano il secondo punto, ovvero la validità generale della spiegazione del ciclo basata sul ruolo degli shock nella tecnologia/produttività come impulso fondamentale alle fluttuazioni economiche. Questa critica riguarda il ruolo svolto dalla TFP: per produrre andamenti simulati delle serie storiche in un modello RBC standard, compatibili con le serie empiriche, occorre che la fonte degli shock aleatori sia sufficientemente volatile (la varianza di et sia cioè alta). Se si cerca di stimare empiricamente la TFP in effetti si ottengono elevati livelli di variabilità; se però questa variabilità viene interamente attribuita alla tecnologia, ciò implica che vi possano essere nel corso del ciclo forti momenti di “regresso” tecnologico (o che la probabilità di regresso tecnologico, uno shock negativo, sia relativamente elevata). Una simile interpretazione lascia assai insoddisfatti; infatti: i) le misure empiriche di At appaino legate statisticamente a fattori che non hanno in sé natura tecnologica, come la spesa militare o alcuni aggregati monetari; ii) immaginare che le variazioni della tecnologia possano essere frequenti e significativamente ampie, soprattutto nelle fasi di “regresso”, non sembra in generale molto realistico, ed è stato messo in discussione da molti economisti. Al fine di superare queste e altre critiche, la teoria RBC ha sviluppato nel corso degli ultimi vent’anni una serie di analisi più sofisticate, rimuovendo alcune ipotesi semplificatrici e arricchendo i suoi modelli con diversi ulteriori elementi. Tra le varie linee di ricerca più recenti, si può ad esempio menzionare l’introduzione di esternalità di produzione che rendono la funzione di produzione aggregata (21) a rendimenti di scala crescenti (per l’intera economia, non per i singoli agenti) anziché costanti. L’inserimento di tali fenomeni nei modelli di ciclo reale ne altera profondamente le proprietà dinamiche, rendendo possibile la presenza di una molteplicità di equilibri in ogni istante di tempo. Quando accade ciò, uno di questi equilibri può essere selezionato da congetture fatte dagli agenti, le quali però possono essere del tutto slegate dalle previsioni razionali sui fondamentali. In questo caso si può avere una fonte primaria di instabilità dell’economia sostanzialmente diversa dagli shock tecnologici esogeni della teoria RBC tradizionale23. 23 Gli equilibri multipli aprono la strada alle teorie del ciclo basate sulle cosiddette “profezie autorealizzanti” (cfr. Farmer 1999 capitolo 7). 24 Bibliografia Blanchard O. Fischer S. (1989) Lezioni di macroeconomia. Bologna, il Mulino. Censolo R. Onofri P. (1993) Un’ipotesi di Real Business Cycle per l’economia italiana, Politica Economica, 9. De Vincenti C. (2003) Approfondimenti di macroeconomia, Carocci, Roma. De Vincenti C. Marchetti E. (2005) Temi di macroeconomia contemporanea, Carocci, Roma. Farmer R. (1999) The macroeconomics of self-fulfilling prophecies, Cambridge, MIT Press. King R, Plosser C. Rebelo S. (1988) Production, Growth and Business Cycle. I The Basic Neoclassical Model, Journal of Monetary Economics, 21. Kydland F. Prescott E. (1982) Time to build and aggregate fluctuations, Econometrica, 50. 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