La capacità di comunicazione del malato
L
LA
COMUNICAZIONE
Capire e farsi capire
dal malato
Quando la malattia compromette la
capacità di comunicazione del malato,
può ancora essere possibile capire
e farsi capire. Sta a noi cercare il modo,
affidandoci a mezzi di comunicazione
non verbale
a malattia di Alzheimer, così come le altre forme di demenza, compromettono la capacità di
comunicazione della persona. D’altra parte, la capacità di familiari e operatori nel comunicare con
il malato, cioè la capacità di capire e farsi capire,
costituisce il fondamento del successo di qualsiasi
strategia assistenziale.
Il malato è in grado di ascoltare, ma talvolta può
non capire ciò che gli si dice, così come può manifestare difficoltà nell’utilizzo corretto delle parole.
Infatti, il vocabolario di parole che ha acquisito nel
corso della sua vita si riduce, con la conseguenza
che tenderà ad utilizzare frasi sempre più povere,
con vocaboli semplici e di uso comune. Potrà ricorrere a frasi o parole passepartout: Per esempio, per
indicare un oggetto di cui non ricorda il nome, dirà
“quella cosa li” oppure “dammi la cosa che serve
per mangiare”. Inoltre la capacità di memorizzare
il contenuto di ciò che un interlocutore gli sta dicendo si affievolisce sempre più.
La capacità di comunicazione
del caregiver
L
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e difficoltà di comunicazione con il malato
hanno certamente alla base i suoi deficit sensoriali, ma dipendono anche molto dall’atteggiamento di chi si pone in relazione con lui.
La mancanza di consapevolezza (per ignoranza
o per meccanismi di difesa psicologici) porta i
familiari o gli operatori ad usare strategie comunicative errate, non adeguate alle condizioni
attuali del malato, ma mirate ad una persona
“sana”, mostrandosi sostanzialmente incapaci sia
di capire che di farsi capire. Questi atteggiamenti
sono tra le cause più frequenti dei fallimenti dei
programmi di cura ed assistenza, determinando
frustrazioni dei caregivers e disturbi del comportamento nel paziente.
La capacità degli operatori e dei familiari di interpretare il linguaggio del malato, fatto non più
di espressioni verbali compiute e significanti, ma
spesso fatto di comportamenti, di atteggiamenti del corpo e dell’umore, di espressioni del viso,
di fondamentale importanza per stabilire una relazione significante. Se la forma del linguaggio è
spesso di difficile comprensione, ancor più lo è il
contenuto. Fra i contenuti più frequenti vi sono
quelli di tipo depressivo ed ansioso. Quale significato dare al pianto, alla paura, all’apatia ed alla
chiusura della persona demente anche grave?
Uno dei primi sforzi che devono compiere le persone che vivono con il malato è quello di rendere
più semplice (e quindi comprensibile) la comunicazione verbale. Vi sono alcune semplici regole da
seguire:
Suggerimenti
1
2
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PARLARE LENTAMENTE, AD UN NORMALE
LIVELLO DI VOCE, SCANDENDO LE PAROLE
USARE PAROLE BREVI, FAMILIARI E FRASI
SEMPLICI
PORRE SOLO UNA DOMANDA O RICHIESTA O
ORDINE PER VOLTA
4
5
6
PREFERIRE
LE
ESPRESSIONI
POSITIVE
PIUTTOSTO CHE QUELLE NEGATIVE
EVITARE ISTRUZIONI CHE RICHIEDANO AL
PAZIENTE DI RICORDARE PIÙ DI UNA AZIONE
ALLA VOLTA
RISPONDERE ALLE STESSE DOMANDE CON LE
STESSE RISPOSTE
La comunicazione non verbale
I
n questa situazione, assume grande significato
la comunicazione non verbale. Il malato, infatti, è molto sensibile all’atteggiamento del corpo
ed al tono della voce. Un atteggiamento rilassato,
una voce calma e modi rassicuranti aiutano una
buona comunicazione, così come accompagnare le
istruzioni con atteggiamenti che mimano ciò che si
vuole dal paziente (le azioni parlano più delle parole) e mostrare l’approvazione per ciò che viene
fatto bene (un sorriso, una carezza).
Quando il malato fatica a comprendere le parole
scritte, si potranno utilizzare manifesti e segnali
per ricordargli che cosa usare e in che modo.
La possibilità di “farsi capire” permette al malato
di mantenere un legame affettivo “vitale” con i familiari e costituisce, così nell’ambiente familiare,
come negli ambienti di cura ed assistenza, la premessa per qualsiasi intervento terapeutico o riabilitativo.
La competenza e le abilità del malato
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adeguamento delle modalità di comunicazione
ai bisogni del malato ha come presuppposto la
fiducia che egli possa capire chi gli parla o che intenda esperimere qualcosa, anche se non riesce a
farlo compiutamente. Questa fiducia si costruisce
sulla constatazione che il malato non passa bruscamente da una condizione di competenza, in cui è in
grado di essere presente a sé ed agli altri con tutte
le sue abilità e la sua personalità, ad una condizione di totale incompetenza, in cui chi gli sta vicino
deve continuamente decidere e scegliere per lui e
sostituirlo in tutte le azioni della vita quotidiana.
Di fatto, il malato conserva una parziale competenza che può sempre esercitare, durante la maggior parte del decorso della malattia, se è messo
nelle condizioni di farlo. Per questo, chi si prende
cura di lui svolge un ruolo di grande importamza.
Invitare il malato a svolgere delle attività che egli
non è più in grado di svolgere completamente da
solo, aiutandolo nelle situazioni di difficoltà, con
un atteggiamento incoraggiante e rassicurante, diventa un’azione terapeutica, che favorisce il mantenimento delle funzioni.
La sofferenza emotiva
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a maggiore difficoltà nell’adeguare i propri atteggiamenti ai bisogni del malato può derivare da difficoltà di tipo emotivo, che può avere una
persona che si prende cura del proprio familiare
malato. Infatti, anche se razionalmente si è consapevoli della condizione di malattia e delle sue conseguenze, si può avere difficoltà ad accettare che
il malato non è più la stessa persona con cui si è
condivisa parte della vita e che non può più svolgere il ruolo che ha sempre svolto nel nucleo familiare. Così, possiamo essere portati a non rassegnarci
alla perdita di funzioni causata dalla malattia e
credere che il controllo e il rimprovero possano
avere sul malato l’effetto miracoloso di fargli recuperare funzioni ormai compromesse. Non basta
osservare che il rimprovero innervosisce e fa agitare il malato per correggersi. Per modificare questo
comportamento, del tutto comprensibile, occorre
affiancare ad una corretta informazione sui sintomi e sui bisogni del malato, un’azione di sostegno
psicologico del caregiver. Soprattutto occorre sviluppare la consapevolezza che un comportamento
determinato dai nostri bisogni può non essere il
più adeguato ai bisogni del malato.