La capacità di comunicazione del malato L LA COMUNICAZIONE Capire e farsi capire dal malato Quando la malattia compromette la capacità di comunicazione del malato, può ancora essere possibile capire e farsi capire. Sta a noi cercare il modo, affidandoci a mezzi di comunicazione non verbale a malattia di Alzheimer, così come le altre forme di demenza, compromettono la capacità di comunicazione della persona. D’altra parte, la capacità di familiari e operatori nel comunicare con il malato, cioè la capacità di capire e farsi capire, costituisce il fondamento del successo di qualsiasi strategia assistenziale. Il malato è in grado di ascoltare, ma talvolta può non capire ciò che gli si dice, così come può manifestare difficoltà nell’utilizzo corretto delle parole. Infatti, il vocabolario di parole che ha acquisito nel corso della sua vita si riduce, con la conseguenza che tenderà ad utilizzare frasi sempre più povere, con vocaboli semplici e di uso comune. Potrà ricorrere a frasi o parole passepartout: Per esempio, per indicare un oggetto di cui non ricorda il nome, dirà “quella cosa li” oppure “dammi la cosa che serve per mangiare”. Inoltre la capacità di memorizzare il contenuto di ciò che un interlocutore gli sta dicendo si affievolisce sempre più. La capacità di comunicazione del caregiver L Via Pancaldo 29 50127 Firenze tel. 055 433187 Numero Verde Toscana 800900136 [email protected] e difficoltà di comunicazione con il malato hanno certamente alla base i suoi deficit sensoriali, ma dipendono anche molto dall’atteggiamento di chi si pone in relazione con lui. La mancanza di consapevolezza (per ignoranza o per meccanismi di difesa psicologici) porta i familiari o gli operatori ad usare strategie comunicative errate, non adeguate alle condizioni attuali del malato, ma mirate ad una persona “sana”, mostrandosi sostanzialmente incapaci sia di capire che di farsi capire. Questi atteggiamenti sono tra le cause più frequenti dei fallimenti dei programmi di cura ed assistenza, determinando frustrazioni dei caregivers e disturbi del comportamento nel paziente. La capacità degli operatori e dei familiari di interpretare il linguaggio del malato, fatto non più di espressioni verbali compiute e significanti, ma spesso fatto di comportamenti, di atteggiamenti del corpo e dell’umore, di espressioni del viso, di fondamentale importanza per stabilire una relazione significante. Se la forma del linguaggio è spesso di difficile comprensione, ancor più lo è il contenuto. Fra i contenuti più frequenti vi sono quelli di tipo depressivo ed ansioso. Quale significato dare al pianto, alla paura, all’apatia ed alla chiusura della persona demente anche grave? Uno dei primi sforzi che devono compiere le persone che vivono con il malato è quello di rendere più semplice (e quindi comprensibile) la comunicazione verbale. Vi sono alcune semplici regole da seguire: Suggerimenti 1 2 3 PARLARE LENTAMENTE, AD UN NORMALE LIVELLO DI VOCE, SCANDENDO LE PAROLE USARE PAROLE BREVI, FAMILIARI E FRASI SEMPLICI PORRE SOLO UNA DOMANDA O RICHIESTA O ORDINE PER VOLTA 4 5 6 PREFERIRE LE ESPRESSIONI POSITIVE PIUTTOSTO CHE QUELLE NEGATIVE EVITARE ISTRUZIONI CHE RICHIEDANO AL PAZIENTE DI RICORDARE PIÙ DI UNA AZIONE ALLA VOLTA RISPONDERE ALLE STESSE DOMANDE CON LE STESSE RISPOSTE La comunicazione non verbale I n questa situazione, assume grande significato la comunicazione non verbale. Il malato, infatti, è molto sensibile all’atteggiamento del corpo ed al tono della voce. Un atteggiamento rilassato, una voce calma e modi rassicuranti aiutano una buona comunicazione, così come accompagnare le istruzioni con atteggiamenti che mimano ciò che si vuole dal paziente (le azioni parlano più delle parole) e mostrare l’approvazione per ciò che viene fatto bene (un sorriso, una carezza). Quando il malato fatica a comprendere le parole scritte, si potranno utilizzare manifesti e segnali per ricordargli che cosa usare e in che modo. La possibilità di “farsi capire” permette al malato di mantenere un legame affettivo “vitale” con i familiari e costituisce, così nell’ambiente familiare, come negli ambienti di cura ed assistenza, la premessa per qualsiasi intervento terapeutico o riabilitativo. La competenza e le abilità del malato Ľ adeguamento delle modalità di comunicazione ai bisogni del malato ha come presuppposto la fiducia che egli possa capire chi gli parla o che intenda esperimere qualcosa, anche se non riesce a farlo compiutamente. Questa fiducia si costruisce sulla constatazione che il malato non passa bruscamente da una condizione di competenza, in cui è in grado di essere presente a sé ed agli altri con tutte le sue abilità e la sua personalità, ad una condizione di totale incompetenza, in cui chi gli sta vicino deve continuamente decidere e scegliere per lui e sostituirlo in tutte le azioni della vita quotidiana. Di fatto, il malato conserva una parziale competenza che può sempre esercitare, durante la maggior parte del decorso della malattia, se è messo nelle condizioni di farlo. Per questo, chi si prende cura di lui svolge un ruolo di grande importamza. Invitare il malato a svolgere delle attività che egli non è più in grado di svolgere completamente da solo, aiutandolo nelle situazioni di difficoltà, con un atteggiamento incoraggiante e rassicurante, diventa un’azione terapeutica, che favorisce il mantenimento delle funzioni. La sofferenza emotiva L a maggiore difficoltà nell’adeguare i propri atteggiamenti ai bisogni del malato può derivare da difficoltà di tipo emotivo, che può avere una persona che si prende cura del proprio familiare malato. Infatti, anche se razionalmente si è consapevoli della condizione di malattia e delle sue conseguenze, si può avere difficoltà ad accettare che il malato non è più la stessa persona con cui si è condivisa parte della vita e che non può più svolgere il ruolo che ha sempre svolto nel nucleo familiare. Così, possiamo essere portati a non rassegnarci alla perdita di funzioni causata dalla malattia e credere che il controllo e il rimprovero possano avere sul malato l’effetto miracoloso di fargli recuperare funzioni ormai compromesse. Non basta osservare che il rimprovero innervosisce e fa agitare il malato per correggersi. Per modificare questo comportamento, del tutto comprensibile, occorre affiancare ad una corretta informazione sui sintomi e sui bisogni del malato, un’azione di sostegno psicologico del caregiver. Soprattutto occorre sviluppare la consapevolezza che un comportamento determinato dai nostri bisogni può non essere il più adeguato ai bisogni del malato.