ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 Terapia Centrata sul Cliente e Autismo: considerazioni teoriche e implicazioni cliniche Lorenza Colzato, Maria Vittoria Cannatelli Introduzione L’autismo è un disturbo generalizzato dello sviluppo caratterizzato da una triade di disturbi a diversi livelli: di interazione sociale, di comunicazione e di flessibilità comportamentale. In questo articolo prenderemo in esame le motivazioni per cui, a nostro avviso, l’applicazione “classica” dell’Approccio Centrato sulla Persona a persone affette da Autismo non è adatta. Crediamo, alla luce delle nuove ricerche, che gli insuccessi clinici a trattare con un approccio centrato sulla persona, e qualsiasi altro approccio psicoterapeutico, questo tipo di persone sia dovuto a vari fattori che sono il risultato dei danni organici tipici di questa patologia quali: il basso QI, blocco della tendenza attualizzante, la bassa e alterata percezione delle qualità del terapeuta/operatore. Un ulteriore problema è poi rappresentato dal fatto che il nostro approccio è interamente a base verbale, e questo risulta di difficile comprensione per le persone autistiche a causa proprio della compromissione del canale verbale, tipica di questa patologia. Per queste ragioni, crediamo sarebbe più opportuno impiegare programmi educativi centrati sulla persona come il TEACCH alla cui base, per essere efficaci, vi deve comunque sempre essere una relazione accettante, empatica, congruente e basata sulla fiducia tra operatore, cliente e famiglia. L’obbiettivo di questi programmi è, infatti, quello di cercare di rendere la persona autonoma dalla propria famiglia e istituzioni di modo che si possa riappropriare del proprio potere personale. 1 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 Cenni storici Il termine “autismo” fu impiegato per la prima volta da Bleuler, nel 1911, e si riferiva originariamente ad un disturbo fondamentale della schizofrenia, con cui si intendeva un restringimento talmente estremo delle relazioni con le persone e con il mondo esterno da escludere qualsiasi cosa eccetto il proprio sé (Frith, 1989). La prima descrizione dell’autismo infantile fu proposta da Leo Kanner nel 1943. Kanner comparò le persone affette da schizofrenia con i bambini autistici e si rese conto che «mentre lo schizofrenico si ritira dal mondo, il bambino autistico non vi è mai entrato» (Kanner, 1943). Secondo lo psichiatra austriaco, i bambini autistici si ritiravano da qualsiasi contatto umano e il loro comportamento era inoltre caratterizzato da un desiderio ossessivo di conservare la ripetitività nei movimenti, espressioni verbali e rumori. Kanner stesso asserisce nel suo più importante scritto del 1943: «questi bambini sono venuti al mondo con una incapacità innata di formare il consueto contatto affettivo, fornito biologicamente con le persone, proprio come gli altri bambini vengono al mondo con handicap fisici o intellettuali». Parallelamente alle pubblicazioni di Kanner, anche Hans Asperger nel 1944 presentò alcuni studi sull’autismo infantile, da lui denominato “psicopatia autistica”. Come Kanner, anche il medico tedesco mise in evidenza le difficoltà di questi bambini di comunicare e di adattarsi alla realtà. In uno dei suoi scritti asserì: «questi bambini non hanno mai un contatto oculare, sembra che guardino le cose con brevi occhiate periferiche. Vi è una povertà di espressioni facciali e di gesti. Vi sono molti movimenti stereotipati. L’uso del linguaggio appare anormale, innaturale. I bambini seguono i loro impulsi, senza riguardo alle richieste dell’ambiente. Hanno aree isolate di interesse» (Frith, 1989). Attualmente con “sindrome di Asperger” vengono indicati i rari casi di quei bambini autistici quasi “normali”, intelligenti e con un linguaggio molto sviluppato. Con il passare degli anni, molti autori, di orientamento psicoanalitico, si occuparono di autismo. Nonostante la prima ipotesi di Kanner sul disturbo autistico come «innata e biologica incapacità al contatto», e probabilmente anche per la scarsa diffusione del lavoro di Asperger, dalla fine degli anni ‘60 si è verificata di fatto una netta diffusione delle teorie psicodinamiche che hanno portato ad ipotesi che vedevano nella incapacità o nelle difficoltà della madre la causa dell'insorgere di una distorta relazione madre-bambino e quindi dell'autismo. Questa ipotesi è stata sostenuta anche da alcune interpretazioni troppo estensive delle conclusioni di lavori sugli effetti della deprivazione affettiva e della carenza di cure materne. Era stato evidenziato infatti che la deprivazione affettiva e la carenza nelle cure primarie potevano condurre a gravi patologie della relazione e nella comunicazione nei bambini; si confondeva però una situazione di totale protratta privazione relazionale e affettiva e di grave carenza di cure primarie con situazioni famigliari che anche ai successivi studi si dimostrarono di fatto “normali” e comunque certamente non così destrutturanti e patologiche come quelle dei brefotrofi o di istituzioni totali. 2 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 D'altra parte lo stesso Bettelheim (1967), per interpretare il significato del sintomo autistico infantile, prendeva a riferimento situazioni di deprivazione totale verificabili in condizioni di vita disumane ed estreme come quella vissuta purtroppo anche da egli stesso nei campi di concentramento nazisti. Di fatto non ci si rese immediatamente conto della improponibilità di simili raffronti e della non contestualità di tali riferimenti teorici e si diffusero di conseguenza le immagini del bambino autistico come “fortezza vuota” e della celeberrima “mamma frigorifero”. Furono quindi date indicazioni all'allontanamento dei bambini e trattamenti psicoterapeutici per la madre o per i genitori, come se fosse possibile guarire il bambino “curando” i genitori. Bettelheim, per l’infelicità delle madri naturali dei bambini autistici, fondò la Scuola Ortogenica: un'apposita struttura residenziale nella quale istituzionalizzare i pazienti affetti da autismo così da allontanarli dai genitori, considerati causa del disturbo stesso. Dopo il suicidio di Bettelheim, la biografia di Pollak (1996) mise a nudo le frodi scientifiche e umane che questo psicoanalista di dubbia professionalità mise in atto nei confronti di molti dei suoi piccoli pazienti. Questa biografia mise in luce che i bambini ricoverati nella scuola ortogenica non soffrivano in realtà di autismo, ma di disturbi della comunicazione e della condotta. Gli apparenti successi di Bettelheim nel trattamento di bambini autistici erano, quindi, dovuti al fatto che questi bambini non erano “realmente autistici”. Molte, inoltre, furono le accuse di violenze ed abusi che i piccoli pazienti (una volta diventati adulti) ed ex-collaboratori, inoltrarono nei confronti dello stesso Bettelheim. Purtroppo, in Italia, nonostante l’evidenza scientifica che nega l’esistenza della madre-frigorifero, il fascino della teoria mistificatoria della fortezza vuota rimane intatto. Numerosi sono gli elementi che nel corso di questi anni non hanno confermato l'eziologia psicogenetica dell'autismo riconoscendo al contrario le cause di questo grave disturbo evolutivo nell'ambito di una disfunzione biologica neurocerebrale (Frith, 1989). La comparsa della sintomatologia autistica fin dalla primissima infanzia rende del tutto improbabile la natura reattiva di tale gravità e molte ricerche dimostrano che i genitori di bambini autistici manifestano nei confronti dei loro figli atteggiamenti affettivi e comportamenti educativi non dissimili dagli altri genitori. Mostrano il tipico, e ben comprensibile, atteggiamento di ogni genitore di fronte ad un figlio con gravi disabilità; il disturbo autistico non risulta essere stato “guarito”, nonostante gli allontanamenti dei bambini dalle loro famiglie originarie e nonostante il loro collocamento presso altre famiglie valutate più sicure e preparate sul piano del contenimento affettivo e della relazione educativa. Né il disturbo autistico risulta essere stato “guarito” attraverso interventi intensivi e domiciliari di “supporto” alle famiglie, interventi condotti da “madri sostitutive” ritenute più valide sul piano affettivo e relazionale delle madri naturali; contrariamente a quanto avviene con l'autismo, i disturbi delle relazioni sociali dei bambini che hanno sofferto di condizioni di deprivazione affettiva e di carenza nelle cure primarie come in situazioni di abbandono o di istituzionalizzazione precoce e protratta, migliorano, anche in maniera sorprendente, con la modificazione della qualità dell'ambiente e del clima affettivo e educativo. Le nuove conoscenze ormai hanno dimostrato come l'autismo sia causato da un disfunzionamento neurobiologico del 3 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 Sistema Nervoso Centrale (Frith, 1989; Happe, 1999) e non, come asseriscono le teorie psicodinamiche, da una presunta, e mai dimostrata, iniziale e precoce incapacità o impossibilità della madre a entrare il relazione con il suo piccolo nato. TEACCH A partire dalla fine degli anni '60, nel Nord Carolina venne inventato da E. Schopler un apposito programma psico-pedagogico statale in cui ci si è focalizzati sulla riduzione dell'aggressività e sull’insegnamento di comportamenti socialmente corretti. In questo modo la percentuale di autistici ricoverati in ospedali psichiatrici è scesa dal 90% al 10% e la grandissima parte di essi è inserita in posti e con mansioni loro confacenti in imprese produttive normali, soprattutto in agricoltura. Il Programma TEACCH è stato messo a punto, nel corso dell'esperienza ormai trentennale, avviata da E. Schopler e dai suoi collaboratori, nelle scuole per autistici dello Stato americano della Carolina del Nord. Questo programma ha ottenuto un grosso successo anche fuori dagli Stati Uniti, e si è diffuso negli ultimi anni anche in Europa e in Italia, grazie alla traduzione di alcuni libri (Schopler et al., 1980, 1983) e all'attivazione di corsi di formazione. Il Programma TEACCH comprende numerose attività di tipo educativo da effettuare con bambini con Disturbi Generalizzati dello Sviluppo o con disturbi della comunicazione. L'uso di tali attività va però di volta in volta contestualizzato ed individualizzato; la messa in atto di queste attività deve basarsi, in particolare su quattro criteri, che gli autori chiamano: modello di interazione, prospettive di sviluppo, relativismo comportamentale e gerarchia di addestramento (Schopler et al., 1980). Il concetto di modello di interazione si riferisce alla necessità di contestualizzare una certa tecnica di intervento all'interno del sistema di relazioni in cui il bambino si trova. I bisogni particolari del bambino e il suo potenziale di apprendimento si possono meglio cogliere nel contesto di interazione del bambino con il suo ambiente quotidiano di vita, familiare e scolastico. Il secondo concetto, quello di prospettiva di sviluppo sottolinea la necessità che si tenga conto, nel definire l'intervento riabilitativo, del livello di sviluppo globale del bambino nelle diverse aree. Si dovrà tenere conto sia delle sue aree deboli, sia di quelle in cui mostra maggiori capacità. Con relativismo del comportamento s'intende descrivere e tenere in considerazione un particolare fenomeno che si osserva nei bambini con Disturbi Generalizzati dello sviluppo; quello della difficoltà, a volte impossibilità, a generalizzare, ad ambiti diversi da quello in cui è stata appresa, una risposta comportamentale o acquisizione di un nuovo obiettivo/conoscenza. È quindi importante definire obiettivi specifici per ogni contesto e in più porsi la stessa generalizzazione come obiettivo”. Il concetto di gerarchia di addestramento, infine, indica la necessità che si definiscano delle priorità tra i problemi da affrontare con il bambino autistico. L'intervento educativo dovrebbe cioè essere finalizzato a modificare, in primo luogo, i comportamenti che mettono a rischio la vita del 4 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 bambino; in secondo luogo, quei problemi che riguardano la capacità del bambino di adattarsi all'ambiente familiare. Quindi, come terza priorità, c'è l'adattamento al contesto scolastico e, come quarta, l'adattamento alla comunità extrascolastica. Una logica conseguenza di quanto detto finora è che l'intervento educativo deve essere tagliato su misura per il bambino, la sua famiglia e la sua scuola (Schopler et al., 1991, p. 16). L'intervento riabilitativo si avvarrà pertanto di una valutazione individualizzata che pone le premesse per la formulazione di un Progetto psicoeducativo. Il Programma TEACCH è stato costruito per sviluppare abilità imitative, funzioni percettive, abilità motorie, capacità d'integrazione oculo-manuale, comprensione e produzione linguistica, gestione del comportamento (autonomie, abilità sociali e comportamentali). La conduzione del programma è affidata a genitori e insegnanti, che condividono le stesse strategie ed operano in stretta collaborazione. Medici e psicologi orientano l'intervento di genitori e insegnanti, tenendo conto del livello di sviluppo raggiunto dal bambino, del suo contesto di vita quotidiano e delle propensioni del bambino. Una parte importante del programma è rappresentato dalla valutazione, che avviene attraverso tre modalità diverse. La prima che prevede l'uso test intellettivi e scale standardizzate, riguarda la valutazione dello sviluppo. La seconda modalità è quella dell'osservazione dei modelli di comportamento del bambino. La terza è rappresentata dalla raccolta di informazioni fatta nei colloqui con i genitori, in cui vengono anche individuate le loro aspettative nei confronti del bambino e i problemi principali che essi si trovano ad affrontare. La valutazione dello sviluppo si avvale di uno strumento specifico chiamato Profilo Psicoeducativo (P.E.P.): il P.E.P. consente di determinare lo sviluppo del bambino nelle aree dell'imitazione, delle abilità motorie, dell'integrazione oculo-manuale, delle capacità cognitive e delle percezioni sensoriali e della comunicazione. Accanto al P.E.P. è stato predisposto un altro strumento chiamato A.A.P.E.P., che viene utilizzato per la valutazione di adolescenti e adulti autistici. Le aspettative e gli obiettivi che ci si attende di raggiungere, per ogni bambino, vengono distinte in: 1) aspettative a lungo termine, 2) aspettative intermedie tra 3 mesi e un anno, e 3) gli obiettivi educativi immediati (Schopler et al., 1991, p. 46). Un appropriato intervento dovrà prevedere un coordinamento tra i tre livelli. L'intervento dovrebbe inoltre sviluppare per prime quelle capacità che sono implicite in altre; se, per esempio, il bambino non ha sviluppato la capacità di imitazione, bisogna sviluppare prima questa, prima di procedere alla stimolazione del linguaggio. La procedura fin qui descritta è finalizzata alla definizione delle mete educative; il passaggio successivo è quello di formulare, a partire dalle mete educative , degli obiettivi educativi specifici. Ciascun obiettivo educativo specifico viene poi tradotto in attività didattiche, costruite tenendo conto di tutte le variabili citate in precedenza, sia individuali che contestuali. Accanto ad attività didattiche specifiche è previsto l'utilizzo di tecniche di modificazione del comportamento, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei comportamenti problematici. 5 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 Uno dei principi fondamentali dell'intervento è quello per cui l'acquisizione di abilità da parte del bambino autistico richiede un adattamento e una modificazione dell'ambiente di vita del bambino, sia familiare, sia scolastico. È importante, in particolare, che l'ambiente di apprendimento sia strutturato e prevedibile, e che le attività che gli vengono proposte siano precise e, soprattutto per i bambini che non parlano, comprensibili al di là delle indicazioni verbali. La strutturazione deve riguardare sia gli spazi sia i tempi di lavoro; per es. possono essere utilizzate delle immagini, oggetti, disegni o pittogrammi (dipende dal livello del bambino e dalla sua capacità di comprendere gli uni o gli altri) che descrivono i vari momenti della giornata, e al bambino viene insegnato ad associarne ciascuna ad un preciso momento/attività della sua giornata. Il programma TEACCH ha lo scopo di sviluppare il più possibile l’autonomia nella vita personale, sociale e lavorativa, attraverso strategie educative che potenzino le capacità dei soggetti autistici tenuto conto dei deficit specifici che il disturbo artistico comporta. Nonostante a prima vista il TEACCH possa sembrare eccessivamente strutturato, noi lo consideriamo come un tipo di programma centrato sulla persona, che aderisce alla filosofia umanistica del nostro approccio, essendo un programma individualizzato e creato appositamente per tenere conto e per rispettare le differenze che ogni bambino autistico presenta. Il Prof. Schopler in una ricerca catamnestica riferisce, nel 96% dei soggetti autistici seguiti, un buon livello di integrazione nel proprio ambiente sociale in situazioni lavorative più o meno protette. Studi effettuati su popolazioni autistiche a cui non viene applicato tale programma riferiscono che la maggior parte di soggetti autistici adolescenti e adulti (in percentuale dal 39 al 74%) è inserita generalmente in programmi residenziali (Mesibov, 1997). Il risparmio per il sistema sanitario nell’utilizzare questo tipo di trattamento è inoltre molto palese: il costo medio, calcolato approssimativamente, di un soggetto autistico che non raggiunge l’autonomia e quindi da adulto viene istituzionalizzato è circa di 3 miliardi di vecchie lire, mentre quello di un soggetto trattato con metodologie miranti all’autonomia si quantifica intorno a 1 miliardo e 330 milioni. Il letto di Procuste Peteers (comunicazione personale), spesso, nelle sue conferenze fa riferimento al mito di Procuste per spiegare come personale non specializzato si pone nei confronti di persone affette da Autismo. Procuste era un gigante delle mitologia greca rimasto famoso per la sua crudeltà: assaliva i passeggeri e li costringeva a sdraiarsi sopra un letto, amputando loro le membra che sopravanzassero, o stirando violentemente le membra più corte del letto. Operatori senza alcuna formazione specifica in ambito di Autismo, si comportano un po’ come Procuste e cercano di adattare le persone autistiche alle loro conoscenze generiche. Chi esercita la professione nel campo dell’autismo deve comprendere correttamente questo disturbo pervasivo dello sviluppo. I professionisti devono innanzi tutto capire che le persone autistiche trattano le informazioni in modo differente. Una cosa di 6 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 importanza fondamentale è quella di avvicinarsi all’Autismo secondo un’ottica fenomenologica, si tratta di mettersi nei panni di una persona con autismo e cercare di vedere il mondo con i suoi occhi. Quanto più si riesce a capire le cause delle sue difficoltà, tanto più si sarà capaci di eliminare gli ostacoli e di prevenire sia i problemi di comportamento che la violenza. L’amore e l’intuizione sono necessarie, ma insufficienti. Come spesso fa notare il grande terapeuta costruttivista Watzlawick (1990), riprendendo un vecchio detto, “la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzione”. In altri termini, non solo certe presunte soluzioni terapeutiche si rivelano, alla luce dei fatti, assolutamente inefficaci, ma addirittura possono aggravare il problema di isolamento e di aggressività delle persone affette da Autismo. L’autismo può essere associato a tutti i livelli di intelligenza (circa il 75% dei pazienti autistici presenta ritardo mentale), cosicché una conoscenza solo generale dell’autismo si rivela insufficiente e risulta necessario prendere in considerazione il livello di sviluppo intellettivo della persona al fine di non frustrarla sottoponendole compiti troppo complessi. Un programma educativo destinato ad una persona autistica altamente dotata sarà quindi, certamente e necessariamente, diverso dal programma elaborato per una persona il cui QI è invece molto modesto. Inoltre, le persone autistiche presentano dei profili di intelligenza estremamente disomogenei (spesso il QI di performance si avvicina alla norma mentre il QI verbale scende drammaticamente); è quindi importante avere a disposizione informazioni dettagliate sulle diverse aree di funzione al fine di costruire il programma più adatto alla persona. Adattamento reciproco L’adattamento del terapeuta/operatore alla persona autistica e della persona autistica al terapeuta/operatore dovrebbe essere un processo reciproco. L’obiettivo di un programma educativo specifico è quello di far raggiungere alla persona autistica una buona qualità di vita e con questo, si intende, cercare di renderla autonoma dalla propria famiglia e istituzioni di modo che si possa riappropriare del proprio potere personale. La persona autistica vive in un mondo pre-simbolico governato dal caos e dalla confusione, dove le percezioni non hanno altro significato che quello prettamente letterale e dove la persona non è in grado di comprendere i normali rapporti causa-effetto. Per esempio, la persona può avere difficoltà quando sente un suono a comprendere da che parte provenga oppure associare ad un’espressione facciale il sentimento che l’ha prodotta. Programmi educativi come il TEACCH cercano di aiutare la persona autistica a dare significato alle cose e a trovare una certa prevedibilità negli avvenimenti. Essere capace di anticipare il tempo e il luogo in cui si verifica un avvenimento sembra costituire il punto di partenza dell’indipendenza e dell’autostima. Senza prevedibilità, la persona è troppo impotente e terribilmente dipendente e non è in grado di riappropriarsi del suo potere personale. 7 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 Le tre condizioni del professionista Come Frith (1989) fa notare, il disturbo sociale nell’Autismo (i bambini non si impegnano a condividere l’attenzione, comprendono con difficoltà i sentimenti e li esprimono anche in maniera particolare) può essere descritto come mancanza di empatia. È nota negli autistici l’indifferenza nei confronti dei problemi degli altri, la loro incapacità di offrire conforto e anche di riceverne essi stessi. Rogers (1962) definisce l’empatia come la capacità di comprendere i sentimenti di un’altra persona dal “di dentro”, la capacità di vedere e vivere il mondo della persona come la persona stessa lo percepisce. Attraverso l’empatia riusciamo a condividere le reazioni emotive prodotte dal differente stato mentale dell’altra persona. Nei casi in cui due persone nutrono lo stesso sentimento o lo stesso pensiero nel medesimo momento, parliamo di comunione di sentimenti o di pensieri piuttosto che di empatia. L’empatia presuppone che si vada al di là del riconoscimento delle differenze interpersonali e si adotti lo schema mentale dell’altro accettandone le conseguenze sul piano emotivo. Sembra che gli autistici anche quelli più dotati, presentino notevoli difficoltà a realizzare l’empatia in questo senso, mentre la comunione di sentimenti e pensieri é possibile per le persone autistiche dotate. Anche se le persone affette da Autismo non sembrano essere in grado di empatizzare, questo non significa che non esperiscano sentimenti e non abbiano proprie emozioni, ma semplicemente non sono in grado di decifrarle correttamente quando sono espresse da altre persone. Le emozioni che loro esperiscono sono primarie come per esempio la paura e la rabbia, ma difficilmente sono in grado di esperire emozioni più complesse e fini come l’innamoramento. L’empatia, riuscire a mettersi nei panni dell’altro, è uno strumento importante dell’operatore, perché lo aiuta a capire le difficoltà di una persona autistica. È necessario che l’operatore cerchi di guardare il mondo non con i propri occhi ma con quelli della persona che sta cercando di aiutare. Quanto più riuscirà a capire le cause delle difficoltà, tanto più sarà capace di eliminare gli ostacoli e di prevenire sia i problemi di comportamento che l’aggressività della persona autistica, che spesso sono il risultato di una reazione disperata. Oltre l’empatia, un atteggiamento congruente del professionista favorisce lo sviluppo di una relazione d’aiuto efficace. Essere congruenti significa, secondo Rogers (1962), essere in contatto con la propria esperienza. La congruenza, nel senso di coerenza tra quello che penso, sento e agisco, è forse la condizione più efficace da utilizzare con persone affette da Autismo. Come Rogers fa notare (1962), «se il terapeuta non è una persona reale, nella sua relazione con il cliente, non è possibile alcun incontro interpersonale». La persona autistica ha bisogno non solo di struttura ma anche di prevedibilità. L’imprevedibilità, l’uscire fuori dalla routine è spesso causa di gravi crisi nel bambino, che si sente “perso”, “frammentato” e “non contenuto”. La congruenza rende il comportamento coerente e prevedile. Il bambino saprà quindi che cosa aspettarsi dall’operatore che lo segue, apprenderà che in circostanze simili lui si comporterà in maniera affine, potrà essere certo di potersi affidare a lui. L’operatore funge, quindi, da “contenitore” e da “promotore di struttura”. Contenitore di tutte quelle ansie senza nome, del loro disperato bisogno di entrare in contatto con persone che agiscono 8 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 spesso in un modo per loro incomprensibile. Un “contenitore” che garantisca un ambiente sicuro e intelligibile dove poter “imparare”, comunicare anche senza parole, ma usando lo stesso codice. Con i bambini autistici è molto importante essere consapevoli del modo in cui ci si pone; la loro spiccata percezione li porta a focalizzarsi su particolari che per noi potrebbero non avere senso, ma che per loro risultano importantissimi. Per questo risulta necessario seguirli nelle loro percezioni ed esperienze, ma nello stesso tempo è importante cercare di spostare la loro attenzione dal “particolare” al “generale”, di modo che possano imparare a generalizzare la loro esperienza, una grave difficoltà che affligge la quasi totalità delle persone autistiche. Insieme all’empatia e alla congruenza, l'accettazione incondizionata è la terza condizione del professionista che secondo Rogers (1962) rende una relazione d’aiuto efficace. Per accettazione incondizionata si intende la capacità di accettare l'altro anche se porta valori e una visione del mondo profondamente diversi dai propri. È la capacità di non giudicare ma di accogliere l'altro nella sua individualità di persona e di provare un genuino interesse nei suoi confronti. Accettazione incondizionata non significa in nessun caso approvazione incondizionata di un comportamento. Quando si lavora con persone affette da Autismo è di importanza fondamentale tenere sempre presente questa condizione. Contenere il comportamento di una persona autistica, in particolar modo quelli natura autolesiva o lesiva nei confronti di altre persone, non è una mancanza di rispetto ma è necessario e doveroso. Queste persone necessitano di continua struttura e di precisi limiti entro cui agire e non darglieli significa lasciarli nel baratro della loro “confusione e caos” mentale. Il comportamento aggressivo, inoltre, attraverso i programmi educativi come il TEACCH, può e deve essere sostituito da uno più funzionale; questo sempre nella prospettiva di rispettare la persona e di darle maggiore autonomia possibile. Come Rogers ha fatto notare riguardo alla sua ricerca con pazienti schizofrenici (1962): «il cliente profondamente disturbato ha molte difficoltà nel percepire questi atteggiamenti anche quando questi esistono nel terapeuta». Noi concordiamo appieno con questa affermazione di Rogers e pensiamo che la persona autistica, naturalmente in relazione diretta con la gravità della patologia autistica che lo ha colpito, percepisca in qualche modo le tre condizioni del terapeuta/operatore, quantomeno sottoforma di modo di porsi, di atteggiamento esteriore, nei suoi confronti. Crediamo, quindi, che le persone affette da Autismo, nonostante abbiano una bassissima percezione delle qualità dell’operatore, siano consapevoli almeno in parte del cambiamento esteriore che l’operatore mette in atto nel suo modo di porsi durante il trattamento e che questo insieme al programma educativo TEACCH siano determinanti nell’aiutare la persona a raggiungere la sua autonomia al fine di riappropriarsi del suo potere personale. Rogers (1963) afferma che preliminari e decisive per un processo di modificazione positiva del cliente sono tre condizioni che riguardano l’atteggiamento globale del terapeuta (empatia, congruenza e accettazione incondizionata) e una che riguarda la percezione da parte del cliente di almeno una piccola misura delle qualità del terapeuta. Purtroppo a causa dei danni organici, la persona autistica ha una certa consapevolezza, ma una percezione ancora troppo 9 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 bassa delle qualità del terapeuta (anche se presenti) per far si che da sola la relazione porti ad un effettivo miglioramento della persona autistica senza l’intervento di programmi educativi mirati. Tendenza attualizzante e condizioni della persona autistica La tendenza attualizzante è secondo Rogers (1963) «una tendenza diretta verso il completamento e l’attualizzazione delle proprie potenzialità; è una tendenza selettiva, direzionale, e, in ultima analisi costruttiva. L’organismo umano risulta, orientato, per sé, verso la propria conservazione ed il proprio miglioramento». Secondo Rogers (1963), alla base di ogni motivazione vi è proprio la tendenza attualizzante. Purtroppo, a causa dei danni organici e dell’alterato sviluppo del sistema nervoso la tendenza attualizzante delle persone affette da Autismo non si è potuta sviluppare ed è per questa ragione, crediamo, che la maggior parte di essi appaino come passivi e demotivati. Per aiutarli a sviluppare le loro potenzialità e per renderli autonomi è necessario, sempre nel rispetto della persona, l’utilizzo di programmi educativi specifici che li aiutino a dare significato alle cose e a trovare una certa prevedibilità negli avvenimenti. L’eziologia organica dell’autismo non blocca, nelle persone affette, solamente lo sviluppo della tendenza attualizzante, ma non permette nemmeno lo sviluppo di quelle condizioni che Rogers (1942) trova come auspicabili per iniziare un trattamento quali: la capacità dell’individuo di far fronte alla vita, indipendenza dal controllo della famiglia, intelligenza nella norma, la capacità del soggetto di esprimere i sui conflitti a livello verbale, la motivazione a chiedere aiuto. Importanza della relazione La formazione e la corretta applicazione del TEACCH nel trattare persone affette da Autismo è di importanza fondamentale, ma non sarà mai realmente utile se non sarà accompagnata da una relazione accettante, congruente ed empatica, e basata sulla fiducia tra il professionista, la persona autistica e la sua famiglia. L’applicazione meccanica e sterile di programmi educativi fa perdere di vista la persona che si nasconde dietro la patologia autistica. È la relazione, la sensibilità e il monitoraggio continuo dell’operatore sulle difficoltà della persona autistica che rende un programma come il TEACCH di così successo. Così come il TEACCH da solo è difficile che conduca a miglioramenti, anche la relazione, pure se basata dal più profondo rispetto e amore è poco probabile che porti ad un effettivo benessere per la persona autistica. Spesso la relazione, quando non è accompagnata da programmi educativi può sfociare nella collusività (abbandonando la persona nel suo ritiro autistico) oppure nella violenza (atto estremo di strappare la persona alla sua solitudine interna). Crediamo che solo tramite l’applicazione di programmi educativi basati su una relazione 10 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 che rispetta, ma che nello stesso tempo stimola continuamente la persona siano la via elettiva affinché la persona autistica raggiunga l’autonomia e un buon livello di potere personale. Ad eccezione per le persone affette da patologia organica, concordiamo con Rogers (1962) quando afferma che: «la qualità del rapporto sia più importante, a lungo andare, della conoscenza culturale, della preparazione professionale, dell’orientamento ideologico, delle tecniche terapeutiche usate nel colloquio». Purtroppo, i danni organici e il basso QI, caratteristici dell’Autismo, fanno della qualità della relazione un fattore fondamentale ma non decisivo se non viene accompagnato da programmi educativi quali il TEACCH. Autismo e Terapia Centrata Sul Cliente Rogers (1942) delineò precisamente quali fossero per lui le condizioni per le quali fosse consigliabile o meno iniziare un trattamento di counseling o di psicoterapia con una persona: stato di tensione psichica, la capacità di far fronte alla vita, la capacità di esprimere la tensione sia verbalmente che attraverso altri mezzi, indipendenza dal controllo della famiglia, assenza di patologie organiche, livello di intelligenza normale. Purtroppo, persone affette da patologia autistica nella maggior parte dei casi non possiedono nemmeno una delle condizioni sopraelencate. In particolar modo Rogers (1942) afferma esplicitamente: «avere una base organica o ereditaria, non costituisce un buon soggetto per la psicoterapia». Le persone autistiche sembrano quindi, a causa dell’organicità della loro patologia, non adatte ad alcuna forma di psicoterapia tradizionale, basata sul canale verbale. La comprensione verbale (Frith, 1989 e Happe, 1999) per queste persone è infatti particolarmente compromessa. Spesso comprendono le parole, ma non sono in grado di fornire un significato compiuto alla frase a cui appartengono. A causa della patologia organica anche la tendenza attualizzante di queste persone non si è potuta sviluppare liberamente e si è arrestata nei primi periodi di sviluppo. Sempre per la medesima ragione crediamo che anche le qualità del terapeuta/operatore (empatia, accettazione incondizionata e congruenza) siano difficilmente percepibili per la persona autistica. Come Rogers sottolinea (1962): «il cliente profondamente disturbato ha molte difficoltà nel percepire questi atteggiamenti anche quando questi esistono nel terapeuta». Crediamo, che le persone autistiche abbiano comunque una qualche forma di percezione della medesime, quantomeno sotto forma di modo di porsi, di atteggiamento esteriore. Sono su queste qualità che l’operatore, al fine di applicare efficacemente qualsiasi programma educativo, deve basare la relazione non solo con la persona autistica, ma anche con la famiglia. In particolar modo, Peteers (comunicazione personale) ha riscontrato che l’atteggiamento empatico di mettersi nei panni dell’altro aiuta, da una parte la famiglia a sentirsi compresa, diminuendo episodi di violenza domestica e dall’altra, aiuta a eliminare ostacoli e difficoltà per la persona autistica, diminuendo di conseguenza la frequenza delle crisi aggressive della stessa. 11 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 Implicazioni cliniche e considerazioni finali: è indicato parlare di un approccio non direttivo con l’autismo? Crediamo che parlare di approccio non-direttivo con l’Autismo, soprattutto nei casi gravi, non sia indicato. La persona autistica e in particolar modo il bambino necessitano continuamente di struttura. Hanno bisogno di routine, consuetudini e monotonie. L’operatore deve fungere, quindi, a nostro avviso, da “contenitore” e da “promotore di struttura”. Non dare limiti e struttura entro cui agire significa lasciare queste persone nel baratro della disintegrazione e della frammentazione. Programmi educativi come il TEACCH aiutano la persona autistica a dare significato alle cose e a trovare una certa prevedibilità negli avvenimenti. Essere capaci di anticipare il tempo e il luogo in cui si verifica un avvenimento sembra, infatti, costituire il punto di partenza dell’indipendenza e dell’autostima. Senza prevedibilità, la persona è troppo impotente e terribilmente dipendente e non è in grado di riappropriarsi del suo potere personale. Siamo, comunque, convinte che l’applicazione di qualsiasi programma educativo non sarà efficace se non sarà accompagnato da una relazione accettante, congruente ed empatica. Bibliografia AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (1994), Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM IV, Masson. BARON-COHEN S. (1995), Mindblindness, Cambridge (MA), MIT Press. BETTELHEIM B., The Empty Fortress: Infantile autism and the birth of the self, New York, The Free Press, 1967. BIKLEN D., La comunicazione facilitata, Torino, Omega Edizioni, 1999 BROCK J., BROWN C., BOUCHER J., RIPPON G. (2002), The temporal binding deficit of autism, «Development and Psychopathology», 14, pp. 209-224. CAFIERO JOANNE M. (2000), Increasing communication skills in students with autism spectrum disorders: The AAC technology solutions, retrieved 10/04/01, from www.outersound.com/cafiero FRITH U., (1989), Autism : Explaining the Enigma, Oxford, Blackwell. GIUSEPPINI M., Psicoterapia con l’ausilio dei delfini. Realtà e prospettive in psicofisiologia, anno IV, luglio 1994. GREENSPAN S.I. WIEDER S. (1998), The Child with Special Needs, Perseus Book, Reading, Massachusetts. HAPPE F. (1999), Autism: cognitive deficit or cognitive style?, «Trends in Cognitive Sciences», 3, pp. 216-222. KANNER L., Autistic Disturbances of Affective Contact, «Nervous Child», 2, 1943, pp. 217-250. Reprinted in Childhood Psychosis: Initial Studies and New Insights, ed. by Leo Kanner, Washington, D.C., V.H. Winston, 1973. MESIBOV G.B., ADAMS L.W., KLINGER L.G., Autism: Understanding the Disorder, Plenum Pub Corp, 1997. 12 ACP – Rivista di Studi Rogersiani 2003 POLLAK R., The Creation of Dr. B: A Biography of Bruno Bettelheim, Simon & Schuster, 1996. ROGERS C.R., Counseling and psychotherapy, Boston, Houghton Mifflin, 1942. ROGERS C.R., Client-Centered Therapy: Its Current Practice,Implications,and Theory, Boston, Houghton Mifflin, 1951. ROGERS C.R., On Becoming a Person: A Therapist ’s View of Psychotherapy, Boston, Houghton Mifflin, 1961. ROGERS C.R., The Interpersonal Relationship. The core of Guidance, «Harvard Educat. Review», 1962, 32. ROGERS C.R., Alcuni insegnamenti tratti da un esperimento di psicoterapia con un gruppo di schizofrenici, «Psych. Quart.», 1962a, Summer Issue. ROGERS C.R., La tendenza attualizzante in relazione ai “motivi” e alla coscienza, Nebraska Symp. On Motivation, 1963. SCHOPLER E., GARY B. MESIBOV eds., Communication Problems in Autism, New York, Plenum Press, 1985. Part of the series Current Issues in Autism. Based upon 4th TEACCH conference, 1983. SCHOPLER E., GARY B. MESIBOV eds., The Effects of Autism on the Family, Plenum Press, 1984. Part of the series Current issues in autism. Based upon 1982 TEACCH conference. SCHOPLER E., GARY B. MESIBOV eds., High-functioning individuals with autism, New York, Plenum Press, 1992. WILLE A.M., (1994), Un bambino di poche parole, Edit. Maparrese, Roma. WATZLAWICK P. 1990, Di bene in peggio, Feltrinelli. WING L. The Autistic Spectrum: A Parents' Guide to Understanding and Helping Your Child, Ulysses Press, 2001. 13