Embrione umano Prof.Serra

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L’embrione umano: «oggetto» o
«persona»? Prof. Angelo Serra
In questo periodo storico delle scienze biomediche e delle biotecnologie,
l’embrione umano nei primissimi giorni dello sviluppo - quale ciascuno di noi è stato
- è diventato un essere «contestato» e, purtroppo, «abusato». I dati, l’analisi e le
riflessioni che seguiranno vorrebbero essere un contributo alla verifica della
consistenza o inconsistenza del seguente dilemma: c’è o non c’è un periodo, sia pur
breve, all’inizio dello sviluppo di un essere umano nel quale esso possa o debba
essere considerato un «oggetto» e non un «soggetto umano» o, più precisamente
ancora, una «persona»? Si metteranno in rilievo: prima di tutto, alcuni aspetti storici
essenziali per comprendere il fulcro ed il significato di tale dilemma; poi, gli aspetti
scientifici fondamentali per valutarne la portata; e, infine, la frattura etica che ne è
seguita, ancora scomposta, e che si dovrebbe fare il possibile di ricomporre per il
vero bene dell’umanità.
I passi della storia
Il 25 luglio 1978, dopo sette anni circa di «tentativi e fallimenti»1 - come si
esprimeva lo stesso padre tecnico dell’evento - nasceva la prima bambina concepita
in vitro2. Sette anni, preceduti da altri cinque di un intenso lavoro di ricerca che aveva
portato R. G. Edwards3 e i suoi collaboratori ad avere nelle mani, nel 1971, la prime
due blastocisti umane, cioè un insieme organizzato di circa 64-128 cellule
apparentemente normali: l’embrione di circa 15 giorni. Da allora, il concepimento
umano in vitro, nonostante una permanente atmosfera di forte tensione etica, si
impose alla cultura come una conquista non solo scientificamente ma anche
socialmente importante, ed è diventato ormai un dato di fatto nella storia della
riproduzione umana. I gravi insuccessi della Fecondazione in Vitro (FIV), però,
avevano costretto lo stesso R. G. Edwards a proporre nel 1982 il passaggio alla
ricerca sugli embrioni umani: “Insisto sulla necessità di studiare la crescita in vitro
per migliorare l’alleviamento della infertilità e delle malattie ereditarie e per
approfondire altri problemi scientifici e clinici”4. La proposta, venne autorevolmente
appoggiata da un Comitato del Medical Research Council5, e sostenuta da un
Editoriale della nota rivista scientifica Nature6 nel quale si suggeriva che fosse
concesso l’uso di embrioni per la ricerca, ma entro limiti di tempo rigorosamente
stabiliti. La decisione definitiva venne dal Comitato Warnock, che era stato nominato
dal Governo per esaminare tutto il problema della fecondazione in vitro e
dell’embrione umano, e al capitolo XI concludeva: “Nonostante la nostra divisione su
questo punto, la maggioranza di noi raccomanda che la legislazione dovrebbe
disporre che la ricerca possa essere condotta su ogni embrione risultante dalla
fertilizzazione in vitro, qualunque ne sia la provenienza, fino al termine del
quattordicesimo giorno dalla fecondazione”7. Norma, che veniva definitivamente
approvata dalle due Camere inglesi, con due terzi dei voti favorevoli, e
definitivamente riconosciuta dalla legge pubblicata nel novembre 1990 con la firma
della regina. Secondo questa legge, la ricerca poteva essere condotta su qualsiasi
embrione umano risultante dalla fecondazione in vitro, qualunque fosse la sua
provenienza; però soltanto sino al 14.mo giorno dalla fecondazione. Era stata così
aperta la via alla ricerca sperimentale, legalmente protetta, sugli embrioni umani,
diffusa ormai in tutto il mondo.
Il 6 novembre 1998 segnò un nuovo passo. Un gruppo di ricercatori della
Wisconsin University a Madison negli Stati Uniti, sostenuti da fondi privati offerti
dalla Geron Corp. of Menlo Park in California, pubblicavano un lavoro8 in cui si
dimostrava la possibilità di ottenere dalle cellule della «Massa Cellulare Interna»
(ICM) di embrioni umani, prelevate al quinto giorno circa dalla fecondazione, cellule
pluripotenti non ancora differenziate, dette cellule staminali embrionali (ES). In
realtà, come lo dimostravano ricerche precedenti eseguite in massima parte sul topo,
esse avrebbero potuto dare origine, in seguito a differenziazione spontanea o indotta,
a cellule dei più diversi tipi di tessuto. Sembrava di aver trovato, finalmente, una
fonte inesauribile di cellule da cui derivare altre cellule - nervose, muscolari,
epiteliali, ematiche ecc.- che, impiantate in organi malati con le dovute attenzioni per
evitarne il rigetto, ne avrebbero consentito la riparazione, ridonando così la salute a
soggetti affetti da gravi patologie, quali il Parkinson, l’Alzheimer, il diabete. A una
considerazione esclusivamente scientifica e tecnologica, sembrava aprirsi una grande
speranza per la medicina. Sotto le forti pressioni di scienziati, medici e pubblico, in
Inghilterra il governo Blair nel 1999 nominava un Comitato per esaminare se
avrebbero dovuto essere permesse nuove aree di ricerca su embrioni umani capaci di
condurre a più ampie conoscenze su, ed eventualmente nuovi trattamenti di, tessuti o
organi malati o danneggiati, e di malattie mitocondriali. Il 4 agosto 2000 era reso
noto il testo definitivo del Documento preparato9. Vi si proponeva sostanzialmente il
«sì» per due nuovi procedimenti, che estendevano l’uso di embrioni umani precoci a
due nuovi campi di ricerca, precisamente: la produzione di cellule staminali
embrionali e la cosiddetta clonazione terapeutica. Il 19 dicembre 2000 la House of
Commons, con 366 voti a favore contro 174, e il 22 gennaio 2001 la House of Lords
approvavano il testo governativo che autorizzava sia la derivazione delle cellule
staminali da embrioni umani sia la clonazione terapeutica10. Era, così, legalmente
approvato, in Inghilterra, un ulteriore passo nell’aggressione all’embrione umano:
ridotto a prezioso strumento tecnologico sotto l’egida di una «buona azione» medica.
Il pre-embrione
Tuttavia, rimaneva sempre viva una fondamentale domanda dell’editoriale11 di
Nature del 1982, cioè, “se embrioni umani viventi possono essere utilizzati per studi
embriologici”. Domanda che spiega la lentezza e la differenza delle decisioni, le
resistenze e i contrasti, a livello politico soprattutto, nelle nazioni dove maggiore è
l’attività nel campo della «riproduzione medicalmente assistita». La risposta a questa
domanda dipende, evidentemente, dallo stato etico che si attribuisce all’embrione
precoce. Se gli fosse stato attribuito lo stato di individuo umano avrebbe potuto essere
utilizzato per la ricerca, ma alle condizioni richieste per la sperimentazione su ogni
altro individuo umano: il consenso personale; che non fosse messa in pericolo la sua
vita; e che qualsiasi trattamento fosse esclusivamente a suo vantaggio. Queste
condizioni avrebbero reso impossibile ogni sperimentazione sull’embrione umano. In
realtà, le ricerche ritenute indispensabili non avrebbero consentito di rispettare quelle
condizioni e, di conseguenza, sarebbero state violate le norme fondamentali della
ricerca biomedica su esseri umani, emanate da Codici e Dichiarazioni internazionali,
a partire dal Codice di Norimberga del 1947, e raccolte nelle Direttive Etiche
Internazionali per la ricerca biomedica condotta su soggetti umani del 199312. Al
fine, perciò, di poterla eseguire, sarebbe stato necessario negare all’embrione lo stato
di «individuo umano». Lo fece l’embriologa del Comitato Warnock, A. McLaren, che
nel 1986 lanciò apertamente in una lettura pubblica, e poi negli scritti, il termine di
«pre-embrione». Queste sono le sue precise affermazioni: “Per i mammiferi sembra
preferibile l’uso del termine «pre-embrione» o «concepito» per l’intero prodotto
dell’uovo fertilizzato fino al termine dello stadio di impianto (circa 14 giorni dopo
l’ovulazione nella specie umana), e di «embrione» per quella piccola parte del preembrione o concepito, che appare per la prima volta distinguibile allo stadio di stria
primitiva, e si sviluppa poi nel feto”13. E, in una lettera a Nature, insisteva:
“L’embrione non esiste durante le prime due settimane dopo la fertilizzazione”14.
All’idea, predominante nel Comitato Warnock, che l’embrione nelle prime due
settimane fosse da ritenere un vero soggetto umano, ma di minor valore rispetto ai
benefici attesi dal suo uso per la sperimentazione e, quindi, per questa utilizzabili,
veniva ora sostituito il termine equivoco e ingannevole di pre-embrione, cioè di una
massa amorfa di cellule, alla quale doveva esser negato il titolo e, conseguentemente,
la dignità e i diritti di ogni soggetto umano. Termine e concetto che furono accettati
ciecamente non dagli embriologi, ma da quanti - soprattutto ricercatori, medici e
politici - trovarono in esso l’opportunità per dichiarare eticamente buono e legittimo
quanto il termine di «embrione» non avrebbe permesso.
Si era aperto, ovviamente, un contenzioso scientifico: per alcuni il pre-embrione
doveva essere considerato un «cumulo di cellule» amorfo; per altri “il prefisso manca
di ogni fondamento scientifico”15. Ė allora doveroso chiedersi se i dati che oggi
abbiamo a disposizione, a un rigoroso esame a livello strettamente biologico,
depongono per la prima o la seconda posizione, cioè se il ciclo vitale di un individuo
umano inizia allo stadio di zigote o embrione unicellulare, oppure allo stadio di disco
embrionale, al 14.mo giorno circa del suo sviluppo. Ė’ precisamente questo primo
contenzioso - quello scientifico - che si deve risolvere, per offrire la possibilità di
scelte etiche consapevoli, coerenti e responsabili nelle numerose nuove vie che si
stanno aprendo alla ricerca su e con gli embrioni umani precoci.
I dati della scienza
Una rigorosa analisi delle principali tappe del processo dello sviluppo umano,
durante le prime due settimane dalla fertilizzazione, permette di sciogliere il dilemma
«oggetto» o «soggetto»; di definire, cioè, quando inizia il ciclo vitale di un «individuo
umano». Uno sguardo sintetico ai numerosissimi dati oggi disponibili per questa
analisi, offerti da estese ed approfondite ricerche da parte di seri e noti embriologi,
porterà alla unica conclusione possibile.
1. Lo «zigote». Al termine del processo di fertilizzazione, il quale “consiste di
parecchie tappe che si succedono in un modo obbligato»16, avviene - pare sotto
azione delle fertiline e  la fusione di uno spermatozoo con un oocita, a cui
segue entro secondi la reazione corticale che blocca l’accesso ad altri spermatozoi; e
da quel momento, afferma P.M. Wassarman “inizia lo sviluppo di un nuovo individuo
che presenta le caratteristiche della specie”17. Ne è primo indice una modificazione
improvvisa della composizione ionica dell’uovo fertilizzato, dovuta principalmente a
un aumento passeggero della concentrazione intracellulare di ioni Ca2+ sotto il
controllo della oscillina18 una proteina paterna recentemente scoperta; modificazione
che si diffonde in pochi secondi come un’onda, detta «onda calcio» (calcium wave),
attraverso tutto l’uovo fertilizzato, segnalando la sua attivazione.
Questa nuova cellula è lo zigote, l’embrione unicellulare (one-cell embryo); una
nuova cellula, diversa da quelle del padre e della madre, che inizia a operare come un
nuovo sistema, cioè come una unità, un essere vivente ontologicamente uno, come
ogni altra cellula in fase mitotica, ma con alcune peculiari proprietà. Due in
particolare devono essere sottolineate: la prima, che ha una sua precisa identità, cioè
non è un essere anonimo, ma è quel determinato soggetto umano che man mano si
rivelerà durante il suo continuo sviluppo; la seconda, che è intrinsecamente orientato
e determinato a un ben definito sviluppo. Identità e orientamento, che dipendono
essenzialmente dal suo genoma o informazione genetica, che porta scritta nel suo
DNA. In realtà questa informazione, sostanzialmente invariante, stabilisce la sua
appartenenza alla specie umana e la sua identità biologica individuale, e porta un
programma codificato che lo dota di enormi potenzialità morfogenetiche, cioè di
capacità intrinseche che si attueranno in modo autonomo e graduale durante il
processo di sviluppo rigorosamente orientato. Tra le molte attività coordinate di
questa nuova cellula, durante un periodo di circa 20-25 ore, le più importanti sono: 1)
la auto-organizzazione del nuovo genoma, che rappresenta il principale centro
informativo per lo sviluppo del nuovo essere umano e di tutte le sue ulteriori attività;
e 2) l’inizio del primo processo mitotico che porta all’embrione a due cellule (twocell embryo).
Sulla prima attività si ferma a lungo S. F. Gilbert19, un classico della embriologia.
Specifica: “Esiste un dialogo complesso tra l’ovocita e lo spermatozoo. L’ovocita
attiva il metabolismo dello spermatozoo che è essenziale per la fertilizzazione, e lo
spermatozoo reciproca attivando il metabolismo dell’ovocita necessario per l’inizio
dello sviluppo”(p.185). E, dopo aver tracciato nella 30 pagine seguenti le
innumerevoli straordinarie attività che si succedono, in perfetta armonia, in circa 24
ore nello zigote, può concludere: “Verso la fine del primo ciclo cellulare, dunque, il
citoplasma si è risistemato, i pronuclei si sono incontrati, il DNA si sta replicando e
nuove proteine sono tradotte. E’ pronto il piano per lo sviluppo di un organismo
multicellulare”(p. 216). E’ proprio ciò che fa il nuovo soggetto allo stadio
unicellulare: un lavoro intenso di auto-organizzazione del nuovo sistema per iniziare
nella direzione giusta tutto il suo successivo sviluppo.
Sulla seconda attività, importanti contributi20 hanno messo in chiara e
incontrastabile evidenza che “i due assi dell\a blastociste [trofoblastico ed
embrioblastico] sono già specificati nell’embrione monocellulare”21, tanto che una
sintetica presentazione di questi nuovi dati pubblicata su Nature nel numero del 4
luglio 200222 portava il titolo: “Il tuo destino, dal giorno uno”, seguito
immediatamente dal sottotitolo: “Il piano corporeo dei mammiferi inizia ad essere
posto dal momento del concepimento” (p.14), e concludeva: “Ciò che è chiaro è che i
biologi dello sviluppo non ammettono più che gli embrioni precoci di mammifero
siano cumuli di cellule” (p.15).
Si pone, allora, la domanda cruciale: questa cellula, lo «zigote», rappresenta,
dunque, il punto esatto nel tempo e nello spazio dove inizia il suo proprio ciclo vitale
ogni individuo umano? Per rispondere a questa domanda è indispensabile ricordare
alcuni altri aspetti del processo epigenetico che prosegue da questa cellula.
2. Dall’ «embrione a due cellule» alla «blastociste». Durante un periodo di circa 5
giorni avviene una rapida moltiplicazione cellulare sotto il controllo di un gran
numero di geni implicati nei molti eventi del ciclo mitotico: dalla produzione di
cicline e proteine-kinasi che regolano il ciclo stesso, alla sintesi di enzimi e altre
proteine necessarie per il differenziamento della struttura e delle funzioni del
crescente numero di cellule23. “L’attivazione dei geni zigotici è assolutamente
essenziale per la continuazione dello sviluppo” affermavano chiaramente R.M.
Schultz e D.M. Worrad24, confermando e specificando la conclusione di G.M.Kidder
che «tutte le fasi della morfogenesi […] prima dell’impianto dipendono
dall’espressione di geni embrionali”25. D’altra parte ciò era da attendere. I più facili
studi compiuti su animali da laboratorio davano informazioni chiare in merito. Quelli
sulla Drosophila avevano permesso di identificare almeno 40 geni attivi nello zigote
già a circa 12 ore dalla fertilizzazione26. Di quelli sul topo, sono almeno da ricordare
due dati: 1) nello zigote i geni altamente metilati dello spermatozoo sono rapidamente
demetilati, e perciò resi attivi, poche ore dopo l’avvenuta fusione dei gameti prima
ancora che incominci il primo round di replicazione del DNA27; e 2) di 11.483 geni
attivi prima dell’impianto, 1.185 erano attivi soltanto in questo periodo; e di questi,
109 erano associati parte alla degradazione di trascritti allo stadio di una cellula, e
parte mostravano aumento di attività allo stadio di blastociste28.
Tutto questo è oggi evidenziato anche nell’embriogenesi umana. Dopo gli studi di P.
Braude, V. Bolton e S. Moore29, i quali avevano provato che almeno nel passaggio
da 4 a 8 cellule il nuovo genoma diventa attivo nel controllo della produzione
di nuove proteine, si è più
recentemente dimostrato che altri geni sono attivi già dallo stadio di zigote. Le
conoscenze aumentarono quando si poterono costruire le banche di cDNA da singoli
embrioni umani preimpianto30. La ben nota embriologa M. Monk iniziava così la
presentazione di un ampio lavoro della sua scuola: “Nell’uomo, durante il passaggio
dal controllo materno dello sviluppo a quello embrionale, che inizia immediatamente
dopo la fecondazione ed è probabilmente completo allo stadio di blastociste, i
trascritti materni (comuni sia all’ovocita non fecondato sia all’embrione precoce)
sono eliminati e sono prodotti trascritti embrio-specifici impegnati nell’ embriogenesi
precoce”31. Essi non poterono avere dati dopo le prime 24 ore dalla fusione dei
gameti poiché nessuno dei 4 oociti fecondati presentava un secondo pronucleo. Ma
già dallo stadio di due cellule in poi potevano dimostrare l’attività: del gene SRNPN
un «imprinting gene» che codifica una piccola riboproteina nucleare; dei geni
ubiquitari HPRT che codifica per l’ipoxantina-guanina fosforibosil transferasi, e
GAPDH che codifica per la gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi; del gene -actina
importante per la struttura del citoscheletro; del gene C-MOS, necessario per la
regolazione del ciclo cellulare; del gene OCT4, un gene omeotico estremamente
importante nello sviluppo come fattore di trascrizione. Altri geni preimpianto messi
in evidenza dallo stesso gruppo sono il gene WNT11, da cui dipende una molecola
segnalatrice impegnata nel modellamento dei somiti, - fatto che indica , secondo
gli autori, che i segnali molecolari richiesti per il modellamento dei somiti sono già
posti allo stadio di blastocisti - e il gene keratin-18, che codifica per una proteina la
quale stabilisce i contatti tra cellula e cellula entro i desmosomi, che sono giunzioni
intercellulari multimolecolari che si formano allo stadio di circa 32 cellule, quando
inizia la formazione del blastocele. Con il proseguo delle ricerche sono stati trovati
finora nell’embrione umano oltre 80 geni attivi nel periodo preimpianto; numero che
aumenterà con il progresso delle tecnologie e dell’analisi del genoma.
I dati esposti dimostrano all’evidenza che il nuovo genoma, stabilitosi alla
fertilizzazione, è la base e il supporto continuo della unità e unicità strutturale e
funzionale dell’embrione, che si sviluppa lungo una traiettoria la quale mantiene una
direzione costante. E’ da questo finemente calcolato e coordinato lavorio che, nel
breve tempo di circa 5 giorni, durante il suo movimento lungo la tuba, lo zigote passa
allo stadio di blastociste. Dallo stadio di due a otto cellule, queste rimangono legate
l’una all’altra attraverso microvilli e ponti citoplasmatici intercellulari, che facilitano
la trasmissione di segnali tra le cellule. Questo contatto diventa altamente adesivo
allo stadio di morula di 8-32 cellule, che è caratterizzato da due processi principali:
compattazione e polarizzazione. Durante la compattazione, tra il terzo e quarto ciclo
cellulare, descritta da H. Vögler come “la fase di riorganizzazione delle singole
cellule e della loro interazione”32, le cellule aderiscono più strettamente l’una
all’altra, massimizzando le loro aree di contatto e formando tra di loro particolari e
specializzati complessi giunzionali, i quali facilitano un rapido passaggio
intercellulare di ioni e molecole segnale nel processo normale dello sviluppo;
processo che potrebbe invece essere alterato dall’assenza anche di una sola delle
proteine giunzionali della famiglia delle connessine33.
Durante il processo di polarizzazione, tra il terzo e quarto ciclo cellulare, si
differenziano due tipi di cellule, quelle polari alla periferia, e quelle apolari al centro
con destini diversi: le prime danno origine alla linea cellulare trofoblastica e le
seconde alla linea cellulare embrioblastica. Questa eterogeneità morfologica e
funzionale diventa ancora più evidente al sesto e settimo ciclo, quando la blastociste
appare costituita da circa 64-128 cellule: si distinguono allora tre tipi cellulari,
istologicamente differenti e con destini diversi, che costituiscono rispettivamente: il
trofoblasto polare e murale, derivante dalla differenziazione della linea cellulare
trofoblastica; l’ ectoderma primitivo e l’endoderma, derivanti dalla differenziazione
della massa cellulare interna (ICM). Non si può non notare che, in tutto questo
cammino dell’embrione dall’ ampolla tubarica all’utero, si era intessuto tra lui e la
madre un reale «colloquio», intenso a livello biochimico in vista della preparazione
della «finestra di impianto», ma anche con chiari riflessi psicologici per parte della
madre. J.A. Hill, in una sintetica analisi su questo colloquio conclude: “Gli ormoni
ovarici inducono notevoli modificazioni morfologiche, fisiologiche e biochimiche.
Queste modificazioni a loro volta ne inducono altre nell’attività biosintetica che
porta alla liberazione di una miriade di proteine prodotte localmente nel
microambiente del tratto riproduttivo. Questi stessi fattori possono essere
ulteriormente modificati da proteine secrete dall’embrione in sviluppo, in intimo
contatto con l’epitelio riproduttivo, in un processo di segnalazioni a rete. La
comunicazione non è a una via, ma è piuttosto un colloquio crociato (cross-talk) che
avviene quando proteine materne sono secrete nel microambiente dell’ovidotto e
dell’utero, facilitando così la fecondazione e lo sviluppo iniziale dell’embrione”34.
3. Dalla blastociste al disco embrionale. Avviene: l’espansione della blastociste
che abbandona la zona pellucida; il suo impianto, definito “un paradosso di biologia
cellulare”35, non ancora facilmente spiegabile con le attuali conoscenze; e,
contemporaneamente a quanto accade nella finestra di impianto, il proseguimento
ininterrotto della differenziazione, organizzazione e crescita dell’embrione. A circa
l’ottavo giorno dalla fertilizzazione appare la cavità amniotica, che delimita l’area
dello sviluppo, l’ectoderma primitivo assume la forma di un disco detto epiblasto,
composto di cellule cilindriche che, insieme con le sottostanti cellule vescicolate
dell’endoderma primitivo forma una struttura bilaminare, detta disco embrionale.
Intorno al decimo giorno, l’amnios si è differenziato e si forma il chorion con i suoi
villi coriali che diventa la parte fetale della placenta. Tra l’11.mo e il 13.mo giorno
dalla fertilizzazione il disco embrionale raggiunge il diametro di circa 0,15-0,20 mm
e, approssimativamente il 14.mo giorno nella regione caudale appare un gruppo
densamente compatto di cellule, detto stria primitiva, che segna la formazione di un
terzo strato di cellule, il mesoderma. Può ora iniziare la morfogenesi.
L’analisi induttiva
Queste linee essenziali dello sviluppo di uno zigote umano, fino a circa 4-8 milioni
di cellule, sono la descrizione oggettiva di ciò che realmente avviene nei primi
quattordici giorni dalla fecondazione sulla base dei dati a nostra disposizione. Una
semplice analisi induttiva che, da un punto di vista epistemologico, è il modo
scientifico di ragionare al fine di raggiungere una valida conclusione dall’analisi dei
dati raccolti nell’osservazione di un certo fenomeno, permette di rilevare le tre
principali proprietà che caratterizzano l’intero processo epigenetico che, secondo il
grande embriologo C.H. Waddington che introdusse il termine “epigenesi”, potrebbe
essere definito come “la continua emergenza di una forma da stadi precedenti”36.
La prima proprietà è la coordinazione. Lo sviluppo embrionale, dalla fusione dei
gameti sino alla formazione del disco embrionale, circa 14 giorni dalla singamia, e in
seguito, è un processo che manifesta una coordinata sequenza e interazione di attività
molecolari e cellulari, sotto il controllo del nuovo genoma, il quale è modulato da una
ininterrotta cascata di segnali trasmessi da cellula a cellula, e dall’ambiente interno e
esterno alle singole cellule. Precisamente questa proprietà innegabile implica e, di
più, richiede una rigorosa unità dell’essere che sta sviluppandosi. Più la ricerca
avanza, più questa unità appare garantita dal nuovo genoma, dove un grandissimo
numero di geni regolatori assicura il tempo esatto, il posto preciso e la specificità
degli eventi morfogenetici. J.Van Blerkom, Direttore del Dipartimento di Biologia
Molecolare Cellulare e dello Sviluppo all’Università del Colorado, sottolineava
questa proprietà concludendo una analisi della natura del programma di sviluppo dei
primi stadi degli embrioni di mammiferi: “I dati disponibili - così egli - suggeriscono
che gli eventi dello sviluppo negli oociti in maturazione e nell’embrione precoce
seguono un tabella diretta da un programma intrinseco. La evidente autonomia di
questo programma indica che interdipendenza e coordinazione ai livelli molecolari e
cellulari si esprimono in una cascata di eventi morfogenetici”37. Si tratta, insomma, di
un sistema auto-evolventesi38. Tutto ciò porta alla conclusione che l’embrione umano
- come ogni altro embrione -, anche nei primissimi stadi non è, come afferma N.M.
Ford “un grappolo di cellule individuali distinte, ciascuna delle quali è un individuo
vivente centralmente organizzato o una entità ontologica in semplice contatto con le
altre”39; ma piuttosto che l’intero embrione ad ogni stadio, dalla singamia in poi, è
un reale individuo dove le singole cellule sono strettamente integrate in un unico
processo dinamico mediante il quale esso traduce autonomamente, momento per
momento, il suo proprio spazio genetico nel suo proprio spazio organismico.
La seconda proprietà è la continuità. Sulla base dei dati presentati, è innegabile
che alla fusione dei gameti inizia un nuovo ciclo di vita. Lo «zigote» è il «primordio»
del nuovo organismo che è al vero inizio del suo proprio ciclo vitale. Se si considera
il profilo dinamico di questo ciclo nel tempo, appare chiaramente che procede senza
interruzioni. Questo fu apertamente riconosciuto dallo stesso Comitato Warnock con
le seguenti espressioni: “Una volta che il processo è iniziato, non c’è nessuna parte
del processo di sviluppo che sia più importante di un’altra; tutte sono parti di un
processo continuo, e se ogni stadio non ha luogo normalmente, al tempo giusto e
nella corretta sequenza, lo sviluppo ulteriore cessa”40. Al contrario, l’espressione
fondamentale della tesi di A. McLaren afferma che: “l’embrione, che si sviluppa
dalla fertilizzazione in poi [fino al disco embrionale] è una differente entità, che
include e dà origine all’embrione che si sviluppa in un feto e neonato, ma non è in
alcun modo coestensivo con esso”41. Questa affermazione non solo è totalmente
contraria alla logica conclusione del Comitato Warnock, ma - peggio - è
contradditoria in se stessa. Infatti, sulla base di una logica induzione dai dati, non
c’è affatto un primo ciclo di 14 giorni di un essere vivente geneticamente umano ma
anonimo, che termina allo stadio di disco embrionale, seguito da un secondo ciclo di
un reale essere umano dal disco embrionale in poi. Al contrario c’è una ininterrotta e
progressiva differenziazione di un ben determinato individuo umano, secondo un
piano unico e rigorosamente definito che inizia dallo stadio di zigote. In realtà, il
disco embrionale è una struttura cellulare che segue, in modo continuativo, ad una
ininterrotta differenziazione dell’embrioblasto, che è attualmente già presente quando
l’embrione come un unico tutto provvede, sotto controllo genetico, per una più rapida
differenziazione dei derivati trofoblastici. Questi, infatti, sono estremamente
necessari per un progresso corretto e regolare dello sviluppo ulteriore e costituiscono
una stretta unità con l’embrioblasto. La proprietà della continuità, perciò, implica e
stabilisce la unicità o singolarità del nuovo soggetto umano: dalla fusione dei gameti
in poi, è sempre lo stesso e identico individuo umano con la sua propria identità, che
si sta costruendo autonomamente, mentre passa attraverso stadi che sono
qualitativamente sempre più complessi.
La terza e più importante proprietà, sebbene generalmente trascurata, è la
gradualità. La forma finale «deve» essere raggiunta gradualmente. Questa è una
legge ontogenetica, una costante del processo di riproduzione gamica. Essa implica
ed esige una regolazione che deve essere intrinseca a ogni dato embrione e mantiene
lo sviluppo permanentemente orientato dallo stadio di zigote fino alla forma finale.
Precisamente a causa di questa intrinseca legge epigenetica, scritta nel genoma, e
incomincia a operare dalla fusione dei gameti, ogni embrione - e perciò anche
l’embrione umano - mantiene permanentemente la sua propria identità, individualità
e unicità, rimanendo ininterrottamente lo stesso identico individuo durante tutto il
processo dello sviluppo, nonostante la crescente complessità della sua totalità.
Tuttavia, la gradualità dello sviluppo corporeo al livello biologico, non implica
affatto una differenza antropologica - e quindi di dignità - tra i diversi periodi di tale
processo: si tratta sempre dello stesso individuo umano che, per legge biologica,
passa nel suo crescere attraverso tappe di sempre maggior complessità cellulare, ma
che, in una corretta visione antropologica, conserva sempre lo stesso valore, il quale
non è dato dal numero delle cellule né della loro organizzazione.
La logica conclusione
I dati offerti dalle scienze sperimentali, il cui numero, qualità e concordanza sono
in continuo aumento, e la logica induzione che ne deriva conducono, dunque, alla
sola possibile affermazione che - a parte disturbi epistatici ed errori nel programma
genetico - alla fusione dei due gameti un reale individuo umano inizia la sua
propria esistenza, o ciclo vitale, durante il quale, date tutte le condizioni necessarie e
sufficienti, realizzerà autonomamente tutte le potenzialità di cui lui/lei sono
intrinsecamente dotati.
L’ unica conclusione scientifica e logica è, dunque, che l’embrione umano, nei
primi circa quindici giorni dalla fusione dei gameti, «non è» un mero cumulo di
cellule disponibile, ma «è» già un reale individuo umano in sviluppo che si
autocostruisce secondo un disegno scritto nel suo genoma e ha, perciò, la stessa
dignità e gli stessi diritti di ogni persona umana.
Una riflessione
Questa conclusione appare, all’evidenza, in netto contrasto con l’attuale situazione
storica, ricordata all’inizio, di un generale abuso dell’embrione umano sotto il
pretesto di un progresso scientifico a favore dell’uomo stesso. Per chi riflette sulla
responsabilità delle proprie azioni si impone, allora, una domanda: quale è la ragione
o quali sono le ragioni addotte, o che si dovrebbero addurre, per ritenere giustificata e
lecita la distruzione - senza mezzi termini, la uccisione - di tanti embrioni umani?
La risposta è data nel Rapporto Donaldson: “Alcuni affermano che l’embrione non
richiede né merita alcuna particolare attenzione morale in ogni caso; il Comitato,
invece, ritiene preferibile la posizione di coloro che riconoscono all’embrione uno
statuto speciale in quanto potenziale essere umano, ma sostengono che il rispetto
dovuto all’embrione è proporzionale al suo grado di sviluppo, e che questo rispetto,
soprattutto negli stadi iniziali, può essere opportunamente controbilanciato dai
benefici potenziali derivanti dalla ricerca”42. Posizione confermata dalla votazione
seguita alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 7 settembre 200043 in cui si
invitavano tutti gli Stati membri a “introdurre normative vincolanti che vietino tutte
le forme di ricerca su qualsiasi tipo di clonazione umana… e prevedano sanzioni
penali per ogni violazione” (n.4); e a fare “i massimi sforzi a livello politico,
legislativo, scientifico ed economico per favorire terapie che impiegano cellule
staminali derivate da soggetti adulti” (n.5). In realtà, la maggioranza assai debole a
favore - 237 contro 230 e 43 astenuti - è un chiaro indice della profonda frattura
nella considerazione etica di questi gravi problemi che riguardano l’uomo, la sua
dignità, i suoi diritti e il suo futuro.
Coscienti di questa frattura, è evidente che sotto la pressione della cultura
tecnologica oggi dominante, con l’apertura a queste nuove linee di ricerca, si sta
passando allo sfruttamento dell’embrione umano, degradato a prezioso strumento
tecnologico, con i pretesti del progresso della scienza, della tecnologia e della
medicina in particolare. Sfruttamento tanto più vergognoso perché spesso alimentato
da mire e poteri commerciali44. Lo stesso Comitato Donaldson45 con molta onestà, ha
voluto riconoscere e sottolineare che “una significativa corrente di pensiero” ritiene
“l’utilizzo di qualunque embrione per scopi di ricerca immorale e inaccettabile”.
Questa, in realtà, è la posizione alla quale conducono la conoscenza della verità
biologica dell’embrione umano, e la riflessione logica sopra il suo reale stato
ontologico. Posizione, la quale non è una «imposizione» che la chiesa cattolica fa
in virtù della fede che professa, contribuendo - come si cerca calunniosamente di
fare credere - a impedire il progresso scientifico; ma è, al contrario - afferma
espressamente la Istruzione “Donum Vitae” - un intervento “ispirato all’amore che
essa deve all’uomo aiutandolo a riconoscere e rispettare i suoi diritti e i suoi
doveri”46: riconoscimento dettato dalla ragione, cioè dall’uomo che riflette su se
stesso e sulle sue azioni, derivandone la propria responsabilità. Responsabilità che
deve accompagnare sempre l’attività dello scienziato e, a maggior ragione, del
tecnologo.
Questo atteggiamento ampiamente diffuso ha la sua causa principale nella cultura
predominante di oggi, che ha perso la vera immagine ed il vero senso dell’«Uomo» e,
conseguentemente, il vero senso etico. La additava Giovanni Paolo II agli accademici
della Pontificia Accademia delle Scienze: “Non bisogna lasciarsi affascinare dal mito
del progresso, come se la possibilità di realizzare una ricerca o mettere in opera una
tecnica permettesse di qualificarle immediatamente come moralmente buone. La
bontà morale si misura dal bene autentico che procura all’uomo, considerato secondo
la duplice dimensione corporale e spirituale”47. Non si tratta di opporre etica ad etica,
ma di riconoscere all’embrione umano la sua particolare dignità, scritta nelle sue
oggettiva realtà biologica e soggettiva realtà antropologica, e i conseguenti diritti,
tra cui quello alla vita48; dignità e diritti che gli competono a partire dallo stadio di
zigote, che l’analisi biologica49 riconosce come lo spazio e il tempo in cui inizia il
ciclo vitale di ogni soggetto umano.
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