Lo statuto ontologico dell`embrione

Lo statuto ontologico dell’embrione.
(appunti dell’intervento di venerdì 9 marzo 2007:
“Cellule staminali: lo stato della ricerca e le implicazioni di ordine etico”.)
Anna Dalle Ore
Non c’è alcuna volontà o pretesa d’imporre ma un profondo desiderio di proporre una visione reale
del soggetto embrione umano dal suo concepimento con tutte le conseguenze che ne derivano.
La precarietà propria della condizione dell’embrione umano che si sviluppa al di fuori del grembo
materno non può essere negata; il concepito è tra i più deboli e non autosufficienti esseri umani
descritti nella letteratura medica.
Sin dagli albori della bioetica la richiesta di una protezione speciale per gli individui e le
popolazioni vulnerabili è stata presente in ogni manuale e in ogni corso che affrontava l’etica della
medicina e della ricerca.
Il modo più insidioso e pericoloso attraverso il quale un embrione umano diviene un soggetto di
ricerca altamente vulnerabile deriva dalla negazione della sua soggettività.
Quando IO ho cominciato a ESSERE?
L’io umano ha come componente essenziale la sua corporeità; perciò comincia ad essere quando
comincia ad essere il suo corpo. Oggi alla scienza viene spontaneo affermare che: il mio corpo ha
iniziato al momento della fusione dei due gameti.
Su questa comune osservazione fenomenologica, si basa, da chi opera la fecondazione in vitro, la
convinzione di dare un figlio ai genitori che lo hanno richiesto al momento stesso in cui produce lo
zigote che verrà poi trasferito, allo stadio di 4-8 cellule, nell’utero materno dove verrà continuato il
processo dello sviluppo corporeo.
La conclusione che si deduce oggi dalle disponibilità date dalla biologia è che l’embrione fin dalla
fecondazione è un individuo umano che inizia il suo ciclo vitale.
La riflessione filosofica, assumendo il dato biologico in tutta la sua estensione, ha il compito di
evidenziare il rapporto della conclusione biologica con il concetto di individuo umano inteso nella
sua totalità; spiegare la relazione che intercorre tra il periodo della vita embrionale e l’espandersi
della personalità pienamente sviluppata.
La prima acquisizione che la riflessione razionale ci offre è che l’embrione umano non è pura
potenzialità, ma sostanza vivente ed individualizzata. L’embrione umano è un essere nel quale,
come in tutte le sostanze viventi, il principio della sviluppo e del mutamento è interno alla sostanza
stessa.
L’ovulo e lo spermatozoo sono in potenza un individuo umano, ma solo se si uniscono tra loro; se
non si uniscono l’ovulo resta ovulo e lo spermatozoo resta spermatozoo. Invece lo zigote è già in
atto un individuo umano, sviluppa un programma interno suo proprio, come programma è già
completo, sufficiente, individualizzato e attivante se stesso, ovviamente date le condizioni
necessarie di sviluppo.
Lo zigote è un individuo dotato di vita propria, con una propria identità conferita da un unico
principio sostanziale unificante; l’embrione ha bisogno per svilupparsi fisicamente e culturalmente
dell’ambiente esterno, fisico e culturale, ma gli stimoli ambientali vengono da lui assimilati secondo
una sua propria legge di sviluppo.
Il salto qualitativo, essenziale, avviene nel passaggio da due sostanze tra le quali esiste una
relazione esterna (gameti) ad una unica sostanza (zigote); questo passaggio avviene nella
fecondazione, non prima e non dopo.
Il fine di un ente è ciò per cui quell’ente esiste, incomincia ad esistere, si struttura nel suo sviluppo e
matura nel suo compimento. Il fine è ciò che spiega l’esistenza di un determinato ente e ne svela il
perché, il senso. Il fine non sta semplicemente al termine ma sta fin dall’inizio dello sviluppo di
quell’essere come causa orientante; questo fine non si può ravvisare nella sua pienezza fin
dall’inizio, ma non per questo si può escluderlo dalla realtà dell’inizio: se non ci fosse fin dall’inizio
come causa orientante non ci sarebbe nessuna possibilità di compiutezza, e quell’essere non sarebbe
affatto né prima né dopo ciò che è.