Risoluzione n. 162/2008 Regione Piemonte - Settore Autonomie Locali -. Acquisizione da parte del Comune di immobile privato Viene chiesto un parere in merito alla possibilità, per il Comune, di acquisire un immobile privato costituente bene di un’eredità giacente e dichiarato inagibile per motivi di pubblica incolumità. Nella fattispecie in esame i congiunti del de cuius, proprietario dell’immobile, hanno comunicato di non voler “curarsi” dell’eredità morendo dismessa, composta, oltre che da quell’immobile, da una modesta somma di denaro depositata su un conto corrente bancario, nonché da un debito verso lo stesso Comune dell’importo di €. 1.350,00 per spese funeratizie, pur tuttavia manifestando la propria disponibilità ad addivenire ad una cessione dell’eredità medesima. Il fabbricato in questione, peraltro, prospiciente una strada comunale, è stato recentemente dichiarato inagibile, a causa del crollo di una volta del tetto e, inoltre, presenta alcune crepe di natura statica che potrebbero rappresentare un pericolo per la pubblica incolumità. Ciò premesso, il Comune chiede, in particolare, se risulta possibile formulare presso il tribunale competente una richiesta di acquisizione del predetto immobile ad una cifra simbolica, eventualmente compensando il credito vantato per le spese funeratizie. Il quesito sopra formulato involge due distinte problematiche, afferenti, da un lato, all’istituto dell’accettazione dell’eredità e, dall’altro, al potere-dovere del Sindaco di adottare provvedimenti, anche contingibili ed urgenti, ove ricorrano i presupposti, al fine di scongiurare eventuali pericoli che minaccino l’incolumità pubblica. 1. In primo luogo va evidenziato che il codice civile prevede, agli artt. 475 e 476, che l’accettazione dell’eredità possa essere ““espressa””, quando il chiamato ha dichiarato di accettarla o ha assunto il titolo di erede in un atto pubblico o in una scrittura privata, oppure ““tacita””, qualora il chiamato compia un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. Ebbene, nel caso di specie non crea impedimenti alla cessione dell’immobile al Comune il fatto che i congiunti del defunto si dichiarino disinteressati all’eredità e non intendano espletare “le pratiche di accettazione”, pur essendo disponibili a cedere la medesima al Comune: a mente dell’art. 477 c.c., infatti, “la donazione, la vendita o la cessione che il chiamato all’eredità faccia dei suoi diritti di successione a un estraneo o a tutti gli altri chiamati o ad alcuno di questi importa accettazione dell’eredita”. In sostanza, i congiunti del de cuius ben possono cedere l’immobile in questione al Comune mediante atto a titolo gratuito od oneroso, senza alcuna necessità di espletare ulteriori e diverse “pratiche”. Peraltro, laddove le parti convengano di porre in essere un trasferimento del bene mediante atto di compravendita, il prezzo pattuito ben può essere decurtato dall’importo di €. 1.350,00, pari all’ammontare del credito vantato dal Comune per le spese funeratizie, operando, in tal modo, una compensazione ai sensi degli artt. 1241 e segg. c.c. Si tratta, con tutta evidenza, della soluzione di gran lunga preferibile, stante, in particolar modo,la disponibilità in tal senso già manifestata dai familiari del defunto. Per contro, non risulta esperibile – neppure astrattamente – la procedura ipotizzata dal Comune, tendente ad ottenere l’acquisizione del bene mediante istanza presso l’autorità giudiziaria: ed invero, qualora i chiamati all’eredità non provvedessero ad accettarla espressamente o tacitamente, né fossero nel possesso dei beni oggetto dell’asse, il Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione dovrebbe, ai sensi dell’art. 528 c.c., su istanza delle persone interessate o anche d’ufficio, nominare un curatore dell’eredità giacente, che provveda a redigerne l’inventario e ad amministrarla. In tale ipotesi, dunque, anche il Comune potrebbe dare impulso alla nomina di un curatore ereditario, notiziando il Pubblico Ministero competente, il quale agirebbe a tutela degli interessi dell’erario, attesa la possibilità di devoluzione allo stato del patrimonio ereditario in mancanza di altri successibili, ex art. 586 c.c. 2. Ciò detto, non può tacersi del fatto che il fabbricato de quo sia già stato dichiarato inagibile in seguito al crollo di una volta del tetto, che sia prospiciente una strada comunale e, infine, che la struttura del medesimo presenti diverse crepe che, seppur di natura statica, ben potrebbero rappresentare un potenziale pericolo per l’incolumità pubblica. Pertanto, laddove non si pervenga in tempi brevi al trasferimento del bene ereditario nelle modalità sopra enunciate, risulterebbe applicabile il disposto di cui all’art. 54 co. 4 T.U. 267/2000, peraltro novellato dal recente D.Lgs. n. 125/2008: a mente di tale norma, “il Sindaco, quale Ufficiale di Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”; inoltre, “i provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti idonei alla loro attuazione”. A ciò si aggiunga che, sempre a mente del predetto art. 54, se l’ordinanza adottata è rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all’ordine impartito, “il Sindaco può provvedere d’ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell’azione penale per i reati in cui fossero incorsi”. In linea generale, come precisato da autorevole giurisprudenza, l’obbligazione del destinatario del provvedimento – che, nell’ambito della categoria degli atti amministrativi assume la qualificazione di vero e proprio ordine – rientra nel novero delle obbligazioni pubbliche dei privati nascenti da atto amministrativo, vale a dire quelle che “trovano fondamento esclusivo e ragione nell’esplicazione del potere autoritativo che la Pubblica Amministrazione ha di incidere nella sfera giuridica del privato” (Cassazione civile, sez. III, 25 maggio 2007, n. 12231). Va rilevato, inoltre, che l’art. 677 c.p. – oggetto di depenalizzazione attuata col D.Lgs. n. 507 del 30.12.1999 – punisce con una sanzione amministrativa pecuniaria il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina, ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell’immobile, il quale ometta di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo, mentre si applica la pena dell’arresto o dell’ammenda – e dunque si verte in ipotesi di reato – se da tali fatti derivi pericolo per le persone. La condotta posta in essere dal destinatario di un’eventuale ordinanza emanata dal Sindaco, peraltro, integrerebbe altresì il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità: come statuito dalla Cassazione penale con sentenza n. 25998 dell’11.04.2003, infatti, “ricorre l’ipotesi della contravvenzione di cui all’art. 650 c.p. qualora il proprietario di un edificio pericolante non provveda ad eseguire le necessarie opere di consolidamento e di restauro imposte dal Sindaco a tutela della pubblica incolumità, ferma restando la configurabilità dell’illecito amministrativo di cui all’art. 677 comma 1 c.p.”. Nel caso di specie, tuttavia, allo stato non esiste un soggetto che ipoteticamente possa divenire destinatario di un eventuale ordinanza del Sindaco, avente ad oggetto il ripristino dell’immobile entro un termine determinato, né la situazione appare connotata dai caratteri di urgenza ed indifferibilità delle opere di ristrutturazione, tale da legittimare l’adozione di un provvedimento contingente atto a procedere d’ufficio. In ragione di ciò, qualora – si ripete – non si addivenisse ad un trasferimento di proprietà dell’immobile tra le parti, non si ravviserebbe altra possibilità se non quella di domandare formalmente la nomina di un curatore dell’eredità giacente, secondo le modalità accennate sub 1.