Prosa
2012/2013
giulio cesare/ julius caesar
Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2013
A cura dell’Area comunicazione ed editoria
L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti
di riproduzione per le immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
Giovedì 4, venerdì 5 aprile 2013 ore 20.30
Teatro Ariosto
Giulio Cesare/ Julius Caesar
di William Shakespeare
Giandomenico Cupaiuolo Bruto
Roberto Manzi Cassio
Ersilia Lombardo Calpurnia
Lucas Waldem Zanforlini Casca e Ottaviano
Livia Castiglioni Porzia
Gabriele Portoghese Marc’Antonio
regia Andrea Baracco
adattamento Vincenzo Manna e Andrea Baracco
scene Arcangela di Lorenzo
consulente ai costumi Mariano Tufano
disegno luci Javier Delle Monache
regista assistente Malvina Giordana
produzione Benvenuti srl e Lungta Film - in collaborazione
con Teatro di Roma
foto di scena Giuseppe Distefano
Spettacolo invitato a rappresentare l’Italia dallo Shakespeare Globe Theatre di
Londra Festival Globe to Globe 2012
Olimpiadi Londra 2012
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“… A mali estremi
estremi rimedi. Oppure niente”
Re Claudio – Amleto - IV, III.
Nel Giulio Cesare Shakespeare mette in scena una società in via
di estinzione (quanta lungimiranza!), una società colta esattamente
nell’attimo terminale del proprio crollo, una società vittima del suo
fallimento intellettuale, spirituale e politico.
Shakespeare scatta una “fotografia” di una Roma livida e ferocemente allucinata dove sullo sfondo, al di là dei colli e dei monumenti, compaiono le nitide sagome di avvoltoi e di famelici cani rabbiosi
pronti a scagliarsi con insaziabile violenza addosso a corpi mal conciati dal crollo fisico e nervoso.
La Roma disegnata da Shakespeare è una città che vive sotto un cielo di piombo, sotto l’ombra di un’ingombrante corona di ferro, una
città di silenzi che si fanno culla di improvvisi rumori, assordanti; è
una Roma dove si sentono scrocchiare mandibole e strofinare violentemente mani l’una contro l’altra (Casca), in cui i corpi, sfiorandosi, producono sordi suoni di lamiera (i congiurati tutti); è una
Roma nascosta e privata che si raccoglie alla luce di una lampadina
per produrre, poi, squarci e profonde ferite nei luoghi pubblici (ancora i congiurati); è una Roma che suona di passi solitari e furtivi
(Cassio), di verità indicibili che esplodono in pensieri assordanti,
in sogni maldestri (Cesare e Bruto), in visioni apocalittiche nate da
menti di donne sterili (Porzia).
Una Roma vittima di un cortocircuito: via le luci, è l’ora della notte,
nera, senza luna.
Giulio Cesare, Bruto, Cassio, Marc’Antonio, Porzia, Calpurnia, Casca, Cinna, i cesaricidi, la folla inferocita e liquida, la Repubblica
e/o la Monarchia.
In che posizione si pone Shakespeare? È repubblicano o monarchico? E’ dalla parte di Cesare o di Bruto? Cesariano o cesaricida? Ed
in tutto questo quale funzione ha la folla inferocita e liquida? “Peste
alle vostre due famiglie” sibila Mercuzio prima di morire nel Romeo e Giulietta, né Montecchi né Capuleti quindi, né da una parte né dall’altra, oppure, sia da una parte che dall’altra, questa è la
formula shakespeariana per eccellenza in materia politica. L’indecidibilità è la regola, sembra suggerire lo scrittore: è notte, Bruto è
nella sua stanza, cerca di dar luce ai suoi contraddittori pensieri al
bagliore di una lampadina; vengono annunciati i congiurati, entra
una lenta ed elegantissima processione, come in una sorta di serata
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di gala. Bruto è lì, cinto nella sua vestaglia. Osserva attonito e stanco
la sfilata, poi si alza e inizia a seguire la processione, si siede una
volta, poi si rialza, poi si risiede, una seconda volta. Alla fine desiste.
Ascolta le parole di Cassio, quelle di Casca, mentre fuori le mura
di Roma vengono imbrattate con scritte dai colori accesi, dai tratti
netti e taglienti: “Bruto tu dormi?”, “Tu non sei davvero Bruto!” (in
riferimento al suo illustre antenato che fu tra coloro che cacciarono
l’ultimo Re romano, Tarquinio). Cesariano o cesaricida, quindi?
Non si può considerare il gioco politico omicida del Giulio Cesare
un’attività perfettamente razionale e logica, infatti nemmeno Bruto,
il più “lucido” dei congiurati decide di assassinare per motivi razionali - “Da quando Cassio mi ha aizzato contro Cesare, non ho dormito. Tra l’attuazione di una cosa terribile e il primo impulso, l’intero intervallo è come un’allucinazione, o un orribile sogno” – dice;
ed è proprio all’interno di questo “intervallo onirico” che si colloca
la sua decisione omicida, “La vestaglia di Bruto” potrebbe essere,
infatti, un titolo alternativo al testo. Non quindi sul piano analitico,
strategico o razionale avviene la scelta, ma su quello dell’incoscienza, del dormiveglia, esattamente sulla soglia lì dove il lume della
ragione è offuscato dalle nebbie e dai bagliori del sogno.
In realtà quindi il senso ultimo del testo di Shakespeare non è incentrato né sulla figura di Giulio Cesare (che infatti l’autore fa morire a metà del III atto) né tantomeno su quella dei suoi assassini, né
su un episodio della storia romana, ma pone l’accento sulla violenza in quanto tale e sulla sua origine, una violenza non controllata,
che nasce dall’incertezza, dalla precarietà, dalla crisi, una violenza
che si manifesta sia attraverso le scelte e quindi poi le conseguenti
azioni di uomini “illuminati” e pubblici, sia attraverso le reazioni
umorali di una folla inferocita e liquida; è questa violenza a dare
all’opera la sua unità.
Ed allora cosa importa se il Cinna in cui casualmente ci imbattiamo
è uno dei congiurati o un omonimo poeta? Si uccida pure Cinna!
Perché scrive brutti versi!
Il lavoro performativo e di preparazione allo spettacolo prenderà
quindi le mosse da questi presupposti di “senso” , nel tentativo di
restituire, attraverso studi e fasi di avvicinamento, la materia della
parola shakespeariana.
Perché l’universo onirico è così presente nel testo in questione? Di
che materia sono fatti i corpi dei personaggi che in quell’universo
sembrano vivere? In quale luogo nasce la violenza arbitraria? Dove
trova il suo terreno fertile? Shakespeare sembra suggerirci che la
violenza incondizionata è l’unico strumento che la collettività è in
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grado di utilizzare per uscire dalle proprie crisi, dai propri disequilibri e crolli nervosi; aggregarsi per commettere delitti e assassinii
contro colui o coloro che vengono, a torto o a ragione, reputati i
responsabili della crisi stessa. Siamo davvero certi che l’antico meccanismo del “capro espiatorio” sia soltanto un lontano ricordo dalle
società arcaiche?
Andrea Baracco
Giulio Cesare nella visione della regia di A. Baracco è un ibrido,
un “individuo” generato dall’incrocio di due “organismi” diversi
tra di loro ma strettamente legati l’uno all’altro: l’originale di W.
Shakespeare (ritradotto e adattato) e un testo inedito che “amplia”
e “sviluppa” il dramma shakespeariano secondo le esigenze della
regia e del lavoro con gli attori, nel tentativo di gettare una nuova
ed inedita luce su alcuni aspetti e tematiche del testo ritenute particolarmente interessanti e potenzialmente ricche di nuovi ed attuali
significati.
Ma entriamo nel dettaglio. Il testo di Shakespeare è mantenuto
quasi nella sua totalità: viene rispettata sia la fabula che ricostrui7
sce in modo assolutamente concreto e verosimile un fatto ben noto
della storia romana, sia l’intreccio che segue linearmente la scansione cronologica degli eventi. Rispetto all’”originale” vengono operati
solo degli snellimenti e dei tagli volti a rendere più veloce, scorrevole e incisiva la progressione della storia; e con questo s’intende non
solo un’opera di “de-elisabettizzazione” e “de-romanizzazione” del
testo in un’ottica attualizzante ma anche il portarne all’osso il plot,
il renderlo il più crudo ed essenziale possibile, il farne quasi uno
scheletro su cui intervenire, sfruttandone le agilità e le possibilità
di movimento. E intorno a questo scheletro creare i pretesti per la
scrittura di scene e brani inediti.
Il testo shakespeariano è, come sempre, ricco di sfumature, di temi
profondamente umani, di domande aperte, di punti di vista e costringe a delle scelte decise sia in ambito drammaturgico che per
quanto riguarda l’allestimento. Ma proprio queste scelte obbligate
non sono considerate come dei limiti, anzi. Sono viste come delle
possibilità uniche, assolutamente stimolanti.
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Tra tutti quelli rinvenibili nel testo shakespeariano, due elementi
su tutti: la visionarità dei personaggi con il loro pre-sentire lo svolgimento dei fatti (nei sogni, nelle manifestazioni della natura) e la
loro umanità fatta di dubbi e turbamenti, di incertezze e decisioni
affrettate, di scatti di violenza e pentimenti, la loro fragile umanità
che si confronta con una crisi profonda e radicale della società che
la mette alla prova alle fondamenta e che costringe ogni personaggio a prese di posizione radicali e irreversibili. E proprio intorno a
queste due macro aree tematiche si creano i luoghi entro cui agisce
la scrittura originale. Un esempio per chiarire meglio: nella scena
II,2 viene riportato il sogno di Porzia che “vede” una statua di Cesare grondare sangue come una fontana di mille bocche, con i romani che sorridono e si bagnano le mani nel suo sangue. Shakespeare
ci racconta il fatto attraverso lo stesso Cesare. Ma che succede se
il pubblico vede concretamente in scena il momento in cui Porzia
racconta il sogno a Cesare? O il momento in cui sogna? O l’immediata reazione di Cesare alle parole della moglie? E cosa ha sognato
Cesare quella notte? Oppure: Bruto racconta a Cassio di non essere
riuscito a dormire la notte precedente, tormentato da terribili paure e da indicibili pensieri. Quali sono quei pensieri? E immaginando Bruto camminare freneticamente avanti ed indietro nella sua
stanza, cosa ha visto la volta che si è fermato a guardare fuori dalla
finestra? O ancora: Casca viene incaricato di sferrare il primo colpo sul corpo di Cesare, in senato. Cosa ha fatto la sera prima della
congiura? Dove ha mangiato? Con quali discorsi si è intrattenuto?
Ha avuto il minimo dubbio su quello che era stato scelto per lui e lo
ha confidato a qualcuno? O ha cercato disperatamente i piaceri del
corpo nel tentativo di esorcizzare la paura della morte, nel caso la
congiura non fosse andata a buon fine?
Testo shakespeariano, quindi e qualcosa in più, ma in una direzione
ben precisa, è bene sottolineare, un viaggio nel tentativo di portare
un po’ di luce nell’ombra di una storia che coglie i momenti cruciali
di una crisi sociale, politica ed umana che suona quanto mai attuale,
nell’oscurità dove la ragione si confonde con il sogno, l’immaginazione con la realtà, il presente con il futuro, lo spazio della Roma
antica con la Roma di oggi.
E la traduzione sarà l’elemento che permetterà linguisticamente il
convivere di questi due organismi: il testo shakespeariano e i brani
originali. Una traduzione caratterizzata dall’abbassamento lessicale, da una sorta di “brutalizzazione” del linguaggio, reso più concreto e diretto, e si spera, immediato, fedele alla crudezza delle vicende, senza indugiare in lirismi o in atteggiamenti compiaciuti, aulici
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o vuotamente “poetici”. Il tutto secondo una scansione sintattica il
più possibile “parlata”, fresca, disponibile alla recitazione.
Vincenzo Manna
La Compagnia
L’ensemble artistico che compone la compagnia del Giulio Cesare
fa capo alla direzione artistica di Andrea Baracco, regista che si forma e perfeziona all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio
D’Amico.
Dal 2005 ad oggi si è misurato nella regia di autori classici (Sofocle,
Shakespeare) e contemporanei, con predilezione per la drammaturgia britannica (Pinter, Alex Jones, Caryl Churchill) e italiana,
cimentandosi egli stesso come autore e incontrando - infine - il giovane drammaturgo Vincenzo Manna (Fari nella Nebbia, finalista al
50° premio Riccione, menzione speciale della giuria; Cani, secondo
classificato al Premio Borrello per la Drammaturgia Contemporanea 2009; L’ultima cena, 2010, finalista al Premio Hystrio 2010;
Hansel e Gretel, 2010).
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Nel suo curriculum di regista Andrea Baracco riceve diversi riconoscimenti tra cui la menzione speciale del premio ETI “Nuove Sensibilità” nel 2007.
Sin dai tempi dello studio in Accademia inizia un sodalizio artistico
con l’attore Giandomenico Cupaiuolo, interprete e protagonista di
molti suoi lavori, per i quali riceve anche diversi riconoscimenti.
Anche Cupaiuolo si forma all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico e lavora, oltre che con Baracco, con diversi
registi della scena nazionale, distinguendosi tra tutti come protagonista del Pinocchio con la regia di Maria Grazia Cipriani nella messa
in scena del Teatro del Carretto.
Tutti gli interpreti del Giulio Cesare sono attori professionisti e, nonostante la giovane età (sono tutti al di sotto dei 35 anni di età),
provengono da importanti esperienze e collaborazioni.
Lo spettacolo è stato scelto dalla commissione del Globe Theatre di
Londra a rappresentare l’Italia nella rassegna GLOBE TO GLOBE,
durante la quale sono state rappresentate le 37 opere del Bardo da
parte di altrettante compagnie provenienti da tutto il mondo. La
rassegna fa parte delle celebrazioni per le Olimpiadi di Londra del
2012.
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UNINDUSTRIA REGGIO EMILIA
GRUPPO BPER
Le attività di spettacolo e tutte le iniziative per i giovani e le scuole sono
realizzate con il contributo e la collaborazione della Fondazione Manodori
Benemeriti dei Teatri
Vanna Belfiore, Deanna Ferretti Veroni, Corrado Spaggiari, Vando Veroni
Annalisa Pellini
Luigi Bartoli, Paola Benedetti Spaggiari, Bluezone Piscine, Franco Boni, Achille Corradini, Donata Davoli Barbieri,
Anna Fontana Boni, Mirella Gualerzi, Insieme per il Teatro, Paola Scaltriti, Gigliola Zecchi Balsamo
Davide Addona, Giorgio Allari, Carlo Artioli, Maurizio Bonnici, Gianni Borghi, BST Studio Commercialisti Associati,
Andrea Capelli, Umberto Cicero, Francesca Codeluppi, Giuseppe Cupello, Emilia Giulia Di Fava, Ennio Ferrarini,
Milva Fornaciari, Giovanni Fracasso, Alice Gherpelli, Marica Gherpelli, Silvia Grandi, Claudio Iemmi, Luigi Lanzi,
Paolo Lusenti, Franca Manenti Valli, Silvana Manfredini, Graziano Mazza, Clizia Meglioli, Ramona Perrone,
Francesca Procaccia, Teresa Salvino, Viviana Sassi, Fulvio Staccia, Alberto Vaccari