IMPRESE & CREDITO Capitalismo familiare e fondazioni bancarie di Guido Rossi he le imprese italiane in generale siano dotate di patrimoni inferiori rispetto a quelle degli altri Paesi avanzati; che abbiano fonte di finanziamento esterna in grande misura di origine bancaria; che, infine, l'assetto familiare della compagine imprenditoriale sia la causa della loro arretratezza, che mette in discussione la nostra ripresa, è una chiara denuncia contenuta nelle recenti Considerazioni finali, le ultime da Governatore, dì Mario Draghi. Vero è che il sistema bancocentrico non hamai facilitato la nascita di un alternativo mercato finanziario e che ilmotivo dell'indifferenza delle imprese verso il mercato non può essere ricondotta solo al carico fiscale sui profitti destinati a remunerare il capitale. Leradicisono, infatti, più profonde e debbono essere ricercate nella cultura, nella tradizione e nella prassi giurìdica delle imprese, insomma in quella che igiuristi anglosassoni chiamano "path dependance". Nel capitalismo familiare italiano i proprietari sono, nella gran parte, anche i manager delle imprese, sicché quando nellariformadel diritto societario s'è voluto introdurre storpiandolo il sistema dualistico, con il consiglio di sorveglianza e quello digestione, si è invocata la necessità di mantenere alla guida dell'impresa le vecchie generazioni dei padri, fondatrici dell'impresa, insieme con le nuove deifigli,evitando contaminazioni di manager dall'esterno. La commistione proprietari-manager fu, assai autorevolmente, esaltata e già qualificata come esempio vincente di "capitalismo virile", con buona pace della quota rosa. Eppure, soprattutto le piccole e medie imprese, che costituiscono l'ossatura della nostra economia, dovrebbero essere aiutate nell'innovazione e nel ricorso al capitale di rischio, facilitando l'intervento degli investitori, istituzionali e no, anche al fuori del sistema bancario. Magari come avviene in altri Paesi, con la creazione di circuiti finanziari differenziati e regole diverse (ad esempio nel "Novo Mercado" brasiliano). Ciò faciliterebbe sia l'entrata delle giovani generazioni nel mercato del lavoro, sviluppando altresì le loro vocazioni imprenditoriali, sia una più accorta e produttiva destinazione del risparmio privato. Purtroppo la nostra cultura è basata ancor oggi più nel coltivare un sistema chiuso invece che aperto, che privilegia la stabilità del controllo societario, piuttosto che la contendibìlità delle imprese. Dì conseguenza si legalizzano e proteggono tutti gli istituti che servono a garantire un controllo asfittico, dai sindacati azio- C ACRI - SISTEMA FONDAZIONI nari alle piramidi societarie, al "tunneling" attraverso il quale i beneficidelcontrollosìdirigono solo a danno della società che lo subisce. Gli investitori istituzionali sono pertanto scoraggiati a intervenire e impegnarsi attivamente in un sistema zepp o di norme contraddittorie o desuete che rendono l'interpretazione e l'applicazione del diritto estremamente arbitraria. È d'altra parte evidente che chi gode del controllo cerca di impedire oritardareuna qualsiasi verariformache lo metta in discussione. Riforma che attraverso un più trasparente esercizio del potere e una maggiore tutela e partecipazione delle minoranze metterebbe in discussione le strutture societarie gerarchiche e opache, sovente eccessivamente burocratiche proprio a causa di frastagliate regole che finiscono per tutelare solo coloro che detengono potere e controllo e che da almeno trent'anni sono qualificati come "tecnostruttura", secondouna felice espressione dì T.K. Galbraìth. La contendibìlità delle società e la regolamentazione delle offerte pubbliche d'acquisto (Opa) poteva sembrare una garanzia, siapercacciaregli amministratori inetti o avidi, sia per dare alla società maggiore spìnta innovativa. E in questo senso è certamente orientata la recente disciplina delle Opa emanata dalla Consob a tutela degli azionisti di minoranza, nonché le nuove disposizioni sul la partecip az ione dei soci alle assemblee. Ma il resto rimane immutato. L'eguale trattamento degli azionisti pareva peraltro caposaldo fondamentale della seconda direttiva comunitaria, anche se la sentenza " Audiolux" della C orte d i giustìz ia europ ea d el 15 ott obre 2009 ha poi negato che esìsta al riguardo un principio generale di diritto, pur basato sul concetto di "one share, one vote". In verità, anche in altri Stati membri dell'Unione, come la Erancia, la situazione è identica. Una legge che data dal 1933, ancora in vigore e con ampia applicazione fra 1 e qu otate, d à la p ossìb ilità alle società di adottare una norma statutaria che conceda un "doppio voto" per ogni azione ai soci che abbiano conservate le azioni in loro nome per almeno due anni. 11 doppio voto è legato all'azionista e non all'azione, sicché non può essere trasferito con la stessa. La giustificazione spesso avanzata è che lo scopo della norma sia quello di garantire la stabilitàe di proteggere la società dagli investitori che abbiano interessi finanziari a breve termine. In realtà la norma è di venuta uno strumentodirafforzamento delle strutture di controllo, ai danni del mercato. Uno strumento di stabilità rispettoso del mercato esiste invece nel nostro ordinamento, sia pure in misura limitata, ma esemplare. Si tratta delle fondazioni bancarie, sapientemente descritte in un recente volume di Eabio Corsico e Paolo Messa, Da Frankenstein a principe azzurro (Marsilio 20u) con presentazioni dì Cari o Az eglìo Cìamp i e Giuseppe Guzzetti. In un momento di crisi economica quale quello che stiamo attraversando, l'istituto delle fondazioni bancarie costituisce una novità culturale di st raordìnaria e fficacìa e e ert amente ha salvaguardato il sistema bancario dalle derive finanziarie dalle quali è partitala crisi. Esse garantiscono, infatti, la stabilità delle banche, la loro indipendenza, l'impossibilità del tunneling anche in caso di controllo, e soprattutto sono, a parer mìo, quali soggetti non profìt, destinate a sfatare, e questa voltanelbene,il mito de i due settori separati: il privato e il pubblico, la cui commist ione è altre volte nel male fonte di illeciti e di corruzione. Un riferimento va fatto alla legislazione dei Paesi scandinavi, dove le fondazioni non profìt sono favorite e giocano un ruolo significativo come azionisti di controllo, al fine di aiutare la crescita delle imprese. Da questi spunti è forse possibile tentare una seriariformadel ACRI - SISTEMA FONDAZIONI diritto societario dell'impresa e dei mercatifinanziari,alla quale s t a n no lavorando anche varie or" • •• . . . ganizzaziom internazionali, ma che risulta più che mai urgente Per la n o s t r a n P r e s a Guido Rossi