SCIENTIFICO
Le cellule staminali nella degenerazione oculare: mito o realtà ?
Mariacristina Angelelli1, Tania Saponaro1, Francesca Angelini2, Maria Faggiano3, Maria Rosaria
Romano4, Marcello Diego Lograno4
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Farmacista Bari; 2Scuola di Specializzazione Farmacia Ospedaliera, Facoltà di Farmacia, Università
di Bari, Bari; 3Farmacista, Azienda Ospedaliera Policlinico di Bari, Bari, 4Dipartimento di Bioscienze,
Biotecnologie e Scienze Farmacologiche, Università di Bari, Bari.
Riassunto
La retina è un tessuto localizzato nel segmento posteriore dell’occhio aventi tutte le caratteristiche
di un tessuto nervoso vero e proprio e come tale può essere investito da processi degenerativi che
conducono ad un peggioramento della visione. La perdita della vista ha un impatto devastante
sulla qualità della vita e limita le normali attività quotidiane. La corrente terapia farmacologica
porta ad una limitazione della progressione della patologia degenerativa, senza rigenerare il
tessuto danneggiato. Il trapianto cellulare rappresenta una nuova finestra terapeutica nella
degenerazione retinica in quanto permetterebbe una rigenerazione del tessuto danneggiato.
Molti studi sottolineano la capacità dei vertebrati non-mammiferi a sostituire i neuroni
danneggiati o degenerati, mediante un processo di de-differenziazione della glia di Muller, mentre
nella retina di mammifero la situazione sembra essere molto più complessa. Solo alcuni tipi di
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neuroni possono essere rigenerati in vivo e in vitro e tale rigenerazione può essere stimolata da
fattori di crescita, fattori di trascrizione o livelli sub-tossici di aminoacidi eccitatori.
La terapia cellulare rigenerativa può fornire un processo neuroprotettivo cronico in quanto porta
ad un ripristino delle cellule degenerate. Il trapianto di cellule staminali costituisce un importante
target terapeutico in molte patologie degenerative della retina, come il glaucoma, la
degenerazione maculare senile, la retinite pigmentosa e la retinopatia diabetica.
Introduzione
Le malattie degenerative della retina hanno un impatto devastante sulla qualità della vita dei
pazienti e sulle attività che si svolgono quotidianamente. La degenerazione retinica porta a una
perdita della funzione visiva progressiva e permanente e, nonostante i progressi fatti nel settore
oftalmologico, a tutt’oggi non ci sono trattamenti terapeutici adeguati. Molte di queste patologie
hanno in comune la morte irreversibile dei fotorecettori e/o perdita della loro funzione. La
retinopatia diabetica è la causa principale di cecità nei soggetti adulti di media età (Klein, 2007). La
degenerazione maculare senile (AMD) è la causa principale di una perdita irreversibile della
visione; essa influenza più di 20 milioni di persone nel mondo che hanno un’età superiore a 50
anni (Cruess et al., 2007). La retinite pigmentosa colpisce, in modo predominante, la popolazione
pediatrica e i giovani adulti ed è la causa principale di cecità, associata ad una degenerazione
retinica genetica e ereditaria (Shintani et al., 2009), nella cui eziopatogenesi sono coinvolti un
sorprendente numero di mutazioni geniche.
La terapia corrente per le patologie degenerative della retina focalizza sul trattamento
farmacologico che rallenta la progressione della patologia. Le nuove strategie terapeutiche
dovrebbero mirare alla prevenzione o alla correzione dei primi deficit molecolari coinvolti nella
patogenesi della malattia, come ad esempio le mutazioni genetiche. Terapie, in corso di
sperimentazione, sulle retinopatie diabetiche focalizzano su molecole bioattive, come gli inibitori
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dei prodotti finali di glicosilazione avanzata e gli antiossidanti. Queste sembrano essere
promettenti grazie alla loro capacità di limitare la progressione pato-fisiologica della malattia; pur
tuttavia, esse non rappresentano un approccio ricostruttivo alla perdita della visione. Infatti,
un’ampia letteratura evidenzia come il trapianto cellulare possa essere una strategia alternativa
all’attuale terapia farmacologica (Ballios and van der Kooy, 2010). E’ stato osservato che nell’AMD
e nella retinite pigmentosa la micro-architettura della retina interna risulta relativamente intatta,
se non si considera la perdita dei fotorecettori, e quindi un approccio terapeutico potrebbe essere
rappresentato dalla possibilità di ripopolare i fotorecettori degenerati.
Le cellule staminali sono la più allettante fonte cellulare per la terapia sostitutiva e sono utili per il
trattamento dei tessuti injured, ammalati o anziani e devono essere considerate un promettente
potenziale terapeutico per la ricostruzione delle cellule danneggiate nella retina e per un
intervento personalizzato in pazienti selezionati.
Le cellule staminali
L’identificazione delle cellule staminali fu possibile solo negli anni ’50, quando esperimenti
condotti sul midollo osseo stabilirono l’esistenza delle cosiddette “cellule staminali” nel nostro
organismo (Edwards, 2001). Questa scoperta segnò l’inizio di una nuova era nella medicina e portò
al rapido sviluppo del trapianto di midollo osseo. Tale scoperta fu accolta dalla comunità
scientifica come una luce che illuminava e aumentava la speranza delle potenzialità mediche della
rigenerazione. Per la prima volta nella storia, fu possibile rigenerare un tessuto danneggiato,
grazie all’impianto di cellule sane, sfruttando l’abilità intrinseca delle cellule staminali di
differenziarsi nei diversi tipi cellulari presenti nel nostro corpo (Fig. 1).
Le cellule staminali sono definite come cellule non specializzate in grado di dividersi, che danno
origine contemporaneamente ad una cellula uguale alla cellula madre e ad una cellula precursore
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di una progenie cellulare, che darà a sua volta origine a cellule terminalmente differenziate.
Attualmente, rappresentano strumenti potentissimi che possono essere sfruttati per lo sviluppo di
nuove farmacoterapie e per comprendere meccanismi della biologia molecolare.
Le cellule staminali sono caratterizzate dalla loro prolungata capacità autorigenerativa e dalla loro
replicazione asimmetrica. La replicazione asimmetrica definisce una peculiare proprietà delle
cellule staminali, ossia ad ogni divisione cellulare una delle cellule, mantiene la sua capacità di
rinnovamento, mentre l’altra prosegue in un percorso di differenziamento entrando a far parte di
una popolazione di cellule mature che ha perso la capacità di replicarsi. Questo concetto è stato
modificato per affermare che l’asimmetria è presente nell’ambito di un’intera popolazione di
cellule staminali piuttosto che in ogni singola divisione. Pertanto, all’interno di un gruppo di cellule
staminali, alcune si autorigenerano, altre si differenziano.
Le cellule staminali nella retina
L’interesse e il ruolo delle cellule staminali nelle patologie della retina è cresciuto negli ultimi due
decenni. La scoperta delle cellule staminali retiniche nei mammiferi adulti inizia con lo studio dello
sviluppo retinico da cellule progenitrici della retina multipotenti.
L’esistenza di un progenitore comune per i neuroni e per la glia nello sviluppo della retina dei
mammiferi è stato evidenziato alla fine degli anni ’80, mediante un esperimento a trasferimento
genico con un retrovirus (Turner and Cepko, 1987). Ulteriori studi rilevarono la capacità di
differenziamento di queste cellule. A tale proposito fu sviluppato un modello nel quale i
progenitori cellulari subivano una serie di cambiamenti di stato, definiti dalla capacità a rispondere
ai segnali ambientali e a produrre un solo tipo o più tipi di cellule particolari.
I progenitori perdono la capacità di indurre tipi di cellule prodotte prima dello sviluppo, come
suggerito da esperimenti eseguiti in vitro e da trapianto in vivo di cellule progenitrici retiniche, fra i
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differenti stadi dello sviluppo. Recentemente, sono stati riportati alcuni esempi sperimentali di
isolamento e di trapianto di cellule progenitrici della retina nella specie murina o suina. Le cellule
integrate esprimono i markers dei fotorecettori maturi, come ad esempio, la rodopsina. Tuttavia,
le cellule progenitrici della retina devono essere isolate dalla retina neurale dell’occhio in sviluppo
e questo solleva la questione etica che ruota intorno al trapianto di tessuti fetali. Nei vertebrati a
sangue freddo, la retina continua crescere per tutta la vita e nell’adulto vi è una rigenerazione in
risposta ad un insulto. Questo processo avviene per aggiunta di nuovi neuroni al bordo della
retina, prodotti al margine ciliare da una zona germinale (Otteson and Hitchcock, 2003). Le cellule
gliali di Muller, nei pesci, possono de-differenziare in risposta all’insulto e produrre progenitori
neuronali. Anche, il trans-differenziamento delle cellule progenitrici della retina nella retina
neurale è stato dimostrato in anfibi, in embrioni di pollo e ratti. Nei polli in età post-natale è stata
identificata una zona marginale proliferante di cellule progenitrici, contenente cellule che
presentano similarità con le cellule progenitrici della retina e con le cellule proliferative del
margine della retina dei vertebrati a sangue freddo; anche se evidenze crescenti mostrano che
l’occhio di mammifero adulto è privo di cellule staminali retiniche.
Le cellule staminali mesenchimali come terapia per le malattie retiniche
La ripopolazione della retina con cellule nuove funzionalmente attive solleva due importanti
quesiti, il primo riguarda la capacità delle cellule di differenziarsi nel sottotipo retinico adatto e, il
secondo, l’abilità delle cellule a integrarsi nella retina, a raggiungere connessioni funzionali con i
tessuti ospiti attraverso connessioni sinaptiche. In un tessuto complicato, come la retina, formato
da un numero elevato di cellule differenti, una maggiore attenzione dovrebbe essere posta verso i
precursori dei fotorecettori. Un grande entusiasmo scientifico deriva dalla capacità delle cellule
staminali mesenchimali (MSC) a differenziarsi in neuroni e, in particolare, in neuroni retinici in vivo
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e in vitro (Tomita et al., 2002; Tomita et al., 2006) (Fig. 2). E’ stato evidenziato che le MSC derivanti
dal midollo osseo possono esprimere proteine dei fotorecettori quando sono iniettate nello spazio
sottoretinico (Gong et al., 2008) e che, in presenza del fattore di crescita epidermico (Epidermal
Growth Factor, EGF) nel medium di coltura, possono esprimere il fotopigmento rodopsina.
Un altro quesito importante è capire, se le MSC possono integrarsi nella retina una volta innestate.
Le MSC del midollo osseo iniettate nella cavità vitreale non si integrano nella retina normale dei
mammiferi. Tuttavia, sono state riportate integrazioni anatomiche dopo insulto retinico indotto da
laser o da ischemia retinica. L’integrazione avveniva nelle cellule ganglionari e nello strato delle
fibre nervose e si evidenziava mediante espressione di marker neuronali (enolasi neuronespecifico e neurofilamenti), sebbene solo un numero limitato di cellule raggiungesse questa
integrazione.
L’integrazione retinica è stata anche osservata con le MSC del midollo osseo iniettate nello spazio
sotto-retinico, ma questa era limitata ad un’area circostante e poi solo nella retina esterna.
Tuttavia, nessuno studio ha ancora dimostrato che le MSC trapiantate nel vitreo o nello spazio
sotto-retinico vanno a formare estensive connessioni sinaptiche con i neuroni retinici.
In un modello murino di ischemia retinica, le MSC iniettate nella cavità vitreale hanno mostrato di maturare
(mediante espressione di enolasi neurone-specifico e neurofilamenti) e secernere fattori di crescita e
neurotrofici essenziali per la vitalità e il funzionamento neuronale, come ad esempio il CNTF, il bFGF e il
BDNF, per almeno 4 settimane. Studi animali hanno dimostrato che il trapianto sotto-retinico di MSC
ritarda la degenerazione retinica e preserva la funzione retinica attraverso una risposta trofica. Inoltre, le
MSC dal cordone ombelicale sembrano essere neuroprotettive per le cellule ganglionari retiniche. Un
interessante ruolo per le MSC modificate geneticamente può emergere nel trattamento terapeutico della
neo-vascolarizzazione sottoretinica. Infatti, si è osservato che le MSC derivate dal midollo osseo si
accumulano intorno alle membrane sottoretiniche.
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Le cellule staminali: precursori delle cellule ganglionari
La rigenerazione del nervo ottico appare un obiettivo distante, da un punto di vista clinico, anche
se i primi studi effettuati sono risultati incoraggianti nei modelli sperimentali. Sia le cellule
staminali embrionali che quelle derivate dall’adulto e i loro precursori sono state applicate ai
modelli sperimentali di glaucoma. Molti studi hanno portato alla conclusione che trattamenti con
le cellule staminali possono prolungare la sopravvivenza delle cellule ganglionari retiniche, grazie
alla possibile integrazione di fattori neurotrofici. Test sull’attività visiva, in animali da laboratorio,
possono verificare l’effetto delle cellule impiantate o dei farmaci utilizzati a raggiungere questo
scopo. Questi test che includono il monitoraggio del senso di orientamento, del senso di stabilità e
la capacità di prendere gli oggetti in movimento sono frequentemente usati nei roditori e si
basano sul principio che gli animali con buona acuità visiva muoveranno la testa per afferrare un
oggetto in movimento.
Nei vertebrati inferiori, la rigenerazione del nervo ottico è un evento che si manifesta anche negli
animali adulti e sono le cellule di Muller quelle deputate a formare le nuove cellule ganglionari
retiniche (Fig. 3). Nel gatto adulto, un danno al nervo ottico induce una regolazione della
proliferazione e dell’espressione di cellule nel corpo ciliare e nella retina; di nuovo sono le cellule
di Muller e gli astrociti reattivi che proliferano, indicando che queste cellule potrebbero essere utili
nei mammiferi. Infatti, quando trapiantate in occhi di pazienti glaucomatosi, queste cellule
possono essere promosse all’aggregazione delle cellule ganglionari retiniche con la condroitinasi
ABC.
Altri tipi cellulari mostrano integrazione nella retina, ma non si differenziano spontaneamente in
fenotipi simili alle cellule ganglionari retiniche. Questi includono precursori neuronali impiantati
negli occhi selettivamente depletati di cellule ganglionari attraverso assotomia e cellule
progenitrici dei neuroni corticali umani. Questi progenitori, impiantati nello spazio sotto-retinale di
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scimmie e ratti sani, formano una singola cellula nello spazio nucleare della retina e sopravvivono
per più di cinque settimane senza turbare la funzione retinale, anche se non ci sono dati
significativi circa la loro differenziazione in neuroni o in cellule ganglionari. Sarebbe interessante
valutare l’utilizzo del cordone ombelicale umano come fonte di cellule staminali nella patologia del
glaucoma.
Terapia rigenerativa
I recenti progressi nella ricerca delle cellule staminali fornisce un prospetto ottimistico sul loro uso
nella medicina rigenerativa e personalizzata. Il vantaggio principale che può scaturire dall’utilizzo
di queste cellule è quello di dare un approccio neuroprotettivo cronico dopo un singolo
trattamento. Una volta che le cellule trapiantate si sono integrate nei tessuti ospiti, la terapia
cellulare ideale dovrebbe fornire un sostegno per tutta la vita alle cellule ganglionari della retina e
attenuare la perdita del campo visivo.
La terapia basata sulle cellule può funzionare mediante una varietà di meccanismi differenti. E’
oramai riconosciuto che la neuroprotezione con cellule staminali coinvolge differenti fattori trofici
neuronali ed è multifattoriale. Per esempio il trapianto di cellule staminali neuronali nel midollo
spinale è stato mostrato a ritardare l’inizio e la progressione della malattia, in un modello murino
di sclerosi laterale amiotrofica (Corti et al., 2007). Il meccanismo protettivo in questo modello
coinvolgeva le vie di segnali dipendenti dal VEGF e dal IGF-1, e risultava in un miglioramento della
performance nei test comportamentali. Inoltre, il trapianto di cellule staminali neurali umane
immortalizzate nelle lesioni dello striato ha migliorato la funzione motoria in un modello murino di
morbo di Parkinson (Yasuhara et al., 2006). Questo effetto sembra essere dovuto alla secrezione di
fattori trofici dalle cellule innestate, sebbene esistano anche evidenze di differenziazione
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neuronale da alcune delle cellule trapiantate. I risultati sembravano amplificati quando si
utilizzavano le cellule trapiantate rispetto alla singola iniezione o infusione continua di fattori
trofici. In tal modo un effetto neuroprotettivo potrebbe essere sostenuto da modificazioni o
manipolazioni di cellule staminali prima del trapianto per controllare l’identità e i livelli di fattori
forniti.
Un altro interessante target che deriva dal trapianto cellulare è che esse possono modificare
l’ambiente patologico e promuovere la sopravvivenza neuronale. Le cellule staminali neurali
sembrano possedere tale abilità, in particolare quelle derivate dalla zona sottoventricolare sono
state trovate a modificare l’ambiente locale direttamente attraverso meccanismi immunomodulatori, influenzando l’espressione genica dei neuroni circostanti.
Le cellule staminali hanno la capacità di migrare al sito di insulto nel sistema nervoso centrale e
trasmettere così un sostegno locale dove è più necessario. Tale comportamento delle cellule
staminali è stato osservato in vari modelli neuropatologici ed è stato ben caratterizzato nello
stroke (Tai and Svendsen, 2004; Bull et al., 2008). Inoltre, alcune tipologie di cellule staminali
hanno la capacità di migrare estensivamente dentro il sistema nervoso centrale, offrendo il
potenziale per un’estesa attività terapeutica in seguito a una distribuzione locale. Tale
integrazione con i tessuti ospiti può anche permettere alle cellule staminali di fornire un supporto
attraverso un meccanismo mediato dal contatto, offrendo perciò una nicchia di sostegno per la
sopravvivenza neuronale.
E’stato anche dimostrato che l’integrazione di precursori delle cellule gliali, che possiedono
trasportatori attivi del glutammato, in colture organo-tipiche del midollo spinale aumentava l’uptake del glutammato e riduceva la morte cellulare dei neuroni motori (Maragakis et al., 2005).
Le cellule retiniche degenerano in una varietà di malattie differenti; alcune delle cause che
portano alla degenerazione della retina sono la retinopatia diabetica, il glaucoma e la
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degenerazione maculare senile, anche se ci sono molte altre condizioni morbose genetiche o
acquisite che conducono ad un deterioramento del campo visivo, per perdita delle cellule
retiniche. Da quanto trattato nei capitoli precedenti di questa tesi, emerge che la possibile
rigenerazione nella retina dei mammiferi non rappresenta un target immediato per ottenere un
beneficio clinico, anche perché in alcuni casi la rigenerazione sembra essere limitata solo a pochi
tipi di cellule retiniche. In realtà, sarebbe necessaria una migliore conoscenza dei fattori che
permettono la proliferazione e la de-differenziazione della glia di Muller nei vertebrati inferiori,
per poter applicare tali conoscenze alla rigenerazione cellulare della retina umana. Sembra che il
primo problema di riparazione retinica da cellule staminali endogene (per esempio la glia di
Muller) sia rappresentato da come è possibile stimolare una sufficiente proliferazione della glia di
Muller, per ripristinare il numero delle cellule perse.
Un’alternativa alle cellule staminali endogene per riparare la retina umana può derivare dal
trapianto di nuove cellule retiniche derivanti dalle cellule staminali embrionali umane e le MSC,
che hanno dimostrato, in modelli murini, di potersi incorporare nella retina ospite e di
differenziarsi nei fotorecettori bastoncelli e in atre tipologie cellulari.
E’ importante approfondire la conoscenza dei meccanismi che orchestrano le risposte proliferative
che portano al differenziamento cellulare nella retina umana, evitando però le complicazioni che
da esse derivano.
Conclusioni
Un numero sempre crescente di evidenze scientifiche mostrano che la retina di mammifero
possiede una capacità limitata di rigenerazione neuronale. Tuttavia, ci sono ancora alcune
domande chiave che necessitano di risposta; in particolare quelle che riguardano l’integrazione
funzionale di nuove cellule alla glia di Muller in risposta all’injury e che sono sorprendentemente
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simili nei vertebrati inferiori. In questi animali, la glia di Muller può rientrare nel ciclo cellulare
mitotico, esprimere la componente chiave del programma neurogenico e produrre i differenti tipi
cellulari della retina.
E’ auspicabile che in futuro prossimo si possano comprendere meglio i meccanismi rigenerativi dei
vertebrati inferiori e conoscere i meccanismi che limitano il potenziale rigenerativo nell’uomo, per
dare importanti speranze a tutti coloro che soffrono di patologie degenerative della retina.
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Figura 1. Differenziamento di una cellula staminale: una cellula staminale può duplicare sé stessa o
differenziare in differenti tipologie cellulari.
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Cellule Staminali Mesenchimali
Osteociti
Fibroblasti
Condrociti
Cellule stromali
Cellule muscolari
Figura 2. Le cellule staminali mesenchimali sono cellule multipotenti e possono dare origine ad una grande
varietà di tessuti differenti.
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Figura 3. Rigenerazione retinica in differenti tipologie di vertebrati inferiori e nel topo.
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