Feuerbach - Passi antologici - Corso di Filosofia

LUDWIG FEUERBACH
FEUERBACH, QUANTO PIÙ METTO IN DIO, TANTO PIÙ TOLGO A ME STESSO
A ogni mancanza nell'uomo è contrapposta una pienezza in Dio: Dio è e ha precisamente ciò che l'uomo non è né ha.
Quanto è attribuito a Dio è tolto all'uomo e, viceversa, quanto è dato all'uomo è sottratto a Dio. [...] Tanto meno è Dio,
tanto più è l'uomo; tanto meno l'uomo, tanto più Dio. Se vuoi avere Dio, devi perciò rinunciare all'uomo; e se vuoi avere
l'uomo devi rinunciare a Dio; altrimenti tu non hai né l'uno né l'altro. La nullità dell'uomo è il presupposto dell'aver Dio
un'essenza. Affermare Dio significa negare l'uomo; onorare Dio, disprezzare i I uomo; lodare Dio, denigrare l'uomo. La
gloria di Dio si fonda esclusivamente sull'abbassamento dell'uomo, la beatitudine divina solo sulla miseria umana, la
divina sapienza solo sull'umana follia, la potenza divina solo sulla debolezza umana. (L. Feuerbach, L'essenza della fede
secondo Lutero, IV, 8) La religione cristiana ha collegato il nome dell'uomo col nome di Dio in un unico nome, quello del
Dio-uomo ed ha innalzato così il nome dell'uomo ad attributo dell'essenza suprema. La nuova filosofia, secondo verità, ha
trasformato questo attributo in sostanza, il predicato in soggetto; la nuova filosofia è l'idea realizzata, la verità del
cristianesimo. Ma essa, proprio perché ha in sé l'essenza del cristianesimo, rinunzia al nome di cristianesimo. Il
cristianesimo ha manifestato la verità solo in contraddizione con la verità. La verità senza contraddizione, quella pura e
autentica, è una verità nuova - un nuovo, autonomo atto dell'umanità. (L.Feuerbach, Tesi per una riforma della filosofia, 569)
FEUERBACH, LA RELIGIONE È FUNESTA PER L’UOMO
Nei suoi rapporti con le idee religiose la ragione cosciente non ha dunque che da distruggere un’illusione – un’illusione
però tutt’altro che innocua, poiché esercita sull’uomo un’influenza fondamentalmente perniciosa e funesta, distrugge le
sue forze per la vita reale e gli fa perdere il senso della verità e della virtú. Lo stesso amore infatti, il sentimento in sé piú
vero, viene corrotto dalla religione e trasformato in un sentimento puramente apparente e illusorio; l’amore religioso non
ama l’uomo che per amore di Dio, cioè ama l’uomo solo apparentemente, in realtà ama Dio. (L. Feuerbach, L’essenza del
cristianesimo, Feltrinelli, Milano, 1971, pag. 289)
FEUERBACH, DIO E L’UOMO
Se l’essere umano è per l’uomo l’essere sommo, anche nella pratica la legge prima e suprema sarà l’amore dell’uomo per
l’uomo. Homo homini deus est: questo è il nuovo punto di vista, il supremo principio pratico che segnerà una svolta
decisiva nella storia del mondo.
[...] Al di sopra della morale sta Dio, riguardato come un essere distinto dall’uomo a cui appartiene tutto il meglio, mentre
all’uomo spettano soltanto i rimasugli. Tutti i sentimenti che dovrebbero essere rivolti alla vita e all’uomo, tutte le
migliori energie, l’uomo le spreca per l’Essere che di nulla ha bisogno. La causa reale diviene un mezzo indifferente; la
causa puramente immaginaria diviene la causa vera e reale. L’uomo ringrazia Dio per i benefizi che l’altro uomo gli
apporta anche a prezzo di mille sacrifici. La gratitudine che egli esprime al suo benefattore non è che apparente, non è
rivolta a lui, bensí a Dio. È riconoscente verso Dio, sconoscente invece verso l’uomo. Cosí il sentimento morale
soccombe nella religione. Cosí l’uomo sacrifica l’uomo a Dio! I sacrifici umani cruenti non sono in realtà che una
espressione brutale e sensibile della piú intima essenza della religione.
[...] Quando la morale viene fondata sulla teologia e il diritto su un’autorità divina, le cose piú immorali, piú ingiuste e piú
vergognose possono avere il loro fondamento in Dio e venir giustificate. (L. Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, Feltrinelli,
Milano, 1971, pagg. 286-288)
FEUERBACH, I MIRACOLI
La fede nella potenza della preghiera – e la preghiera è ancora una verità religiosa solo là dove le si attribuisce un potere
sopra gli oggetti esteriori all’uomo – si identifica con la fede nella virtú miracolosa, e la fede nel miracolo si identifica
con l’essenza stessa della fede. Soltanto la fede prega; soltanto la preghiera della fede ha efficacia. Ma la fede null’altro è
che la piena certezza della realtà, ossia dell’incondizionata validità e verità di ciò che è soggettivo, in opposizione ai
limiti, ossia alle leggi della natura e della ragione. Perciò l’oggetto caratteristico della fede è il miracolo, fede è fede nel
miracolo, fede e miracolo sono assolutamente inscindibili. Ciò che oggettivamente è il miracolo o la virtú miracolosa,
soggettivamente è la fede; il miracolo è l’aspetto esteriore della fede, la fede è l’anima interiore del miracolo; la fede è il
miracolo interiore, spirituale, di cui il miracolo esteriore non è che l’oggettivazione. Alla fede nulla è impossibile, e solo
questa onnipotenza della fede realizza il miracolo. Il miracolo non è che un esempio sensibile di ciò che può la fede.
[...] La fede fa sí che sia ciò che l’uomo desidera, in ciò sta l’essenza della fede, come lo dimostrano tutte le cose, anche
le piú particolari, che sono oggetto di fede. L’uomo desidera di essere immortale, dunque egli è immortale; desidera che
esista un essere che può tutto ciò che per la natura e per la ragione è impossibile, dunque un simile essere esiste; desidera
che vi sia un mondo che si conforma ai desideri del cuore, un mondo della soggettività senza limiti, ossia di felicità non
turbata, di ininterrotta beatitudine. Ma poiché, malgrado tutto, esiste un mondo antitetico a quel mondo di beatitudine,
questo mondo non conforme al desiderio dell’uomo deve perire; necessariamente deve perire, come necessariamente
esiste un Dio, l’essere assoluto del sentimento dell’uomo. Fede, amore, speranza, costituiscono la trinità del cristianesimo.
La speranza si riferisce all’adempimento delle promesse, ai desideri che non sono ancora stati adempiuti, ma che lo
saranno; l’amore si riferisce all’essere che fa e adempie queste promesse; la fede alle promesse, ai desideri che sono già
stati adempiuti, che sono quindi una realtà storica.
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Il miracolo rientra nel contenuto essenziale del cristianesimo; è un’essenziale materia di fede. Ma che cosa è il miracolo?
La realizzazione di un desiderio che oltrepassa i limiti della natura, null’altro. (L. Feuerbach, L’essenza del cristianesimo,
Feltrinelli, Milano, 1971, pagg. 140-143)
FEUERBACH, LA RELIGIONE COME SCISSIONE DELL’UOMO CON SE STESSO
La religione è la scissione dell’uomo con se stesso: egli si pone di fronte Dio come un essere contrapposto. Dio non è ciò
che è l’uomo, l’uomo non è ciò che è Dio. Dio è l’essere infinito, l’uomo è l’essere finito; Dio è perfetto, l’uomo è
imperfetto; Dio è eterno, l’uomo temporale; Dio è onnipotente, l’uomo impotente; Dio è santo, l’uomo peccatore. Dio e
l’uomo sono estremi: Dio è il polo positivo, la somma di tutte le realtà, l’uomo il polo negativo, la somma di tutte le
nullità.
Ma l’uomo ha, nella religione, come oggetto, il suo essere ignoto. Si deve, quindi, dimostrare che questa antitesi, questa
disarmonia tra Dio e l’uomo, onde trae origine la religione, è una disarmonia dell’uomo con il suo proprio essere.
L’intima necessità di questa dimostrazione scaturisce già dal fatto che, se realmente l’essere divino, che è l’oggetto della
religione, fosse qualcosa di diverso dall’essere dell’uomo, non potrebbe verificarsi una scissione, una disarmonia. Se
realmente Dio è un altro essere, che cosa mi importa della sua perfezione? Scissione c’è solo tra esseri che sono in
discordia l’uno con l’altro, ma devono essere un solo essere, possono esserlo e, di conseguenza, essenzialmente,
veramente, sono un solo essere. Deve, quindi, già da questo principio generale, risultare che l’essere, dal quale l’uomo si
sente scisso, è un essere a lui innato, ma contemporaneamente un essere di natura diversa, come l’essere o il potere che gli
dà il sentimento, la coscienza della conciliazione, dell’unità con Dio o, ciò che fa tutt’uno, con se stesso.
Questo essere non è nient’altro che l’intelligenza, la ragione o l’intelletto. Dio, concepito come l’estremo opposto
dell’uomo, non come un essere umano, cioè personalmente umano, è l’essere oggettivato dell’intelletto. L’essere divino,
puro, perfetto, privo di difetti è l’autocoscienza dell’intelletto, la coscienza, dell’intelletto, della propria perfezione.
L’intelletto non conosce le sofferenze del cuore: non ha desideri, passioni, bisogni e, proprio per questo, nessuna
deficienza o debolezza, come il cuore. (L’essenza del cristianesimo, III in Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII,
pag. 949)
FEUERBACH, LA NUOVA FILOSOFIA COME RELIGIONE
§ 64. La vecchia filosofia ha una doppia verità – la verità per se stessa, che non si preoccupa dell’uomo, la filosofia, e la
verità per gli uomini, la religione. La nuova filosofia, invece, in quanto filosofia dell’uomo, è anche, essenzialmente, la
filosofia per gli uomini; essa, senza pregiudizio per la dignità e l’autonomia della teoria, anzi nell’accordo piú intimo con
questa, ha una tendenza essenzialmente pratica, e pratica nel senso piú elevato del termine: essa prende il posto della
religione, ha in sé l’essenza della religione, è, in verità, essa stessa, religione. (Princípi della filosofia dell’avvenire, § 64 in Grande
Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pag. 967)
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