PROBLEMI DI TRIGONOMETRIA IN UNA - "E. Fermi"

"ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA' DI BOLOGNA: SEDE DI BOLOGNA"
SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO
INDIRIZZO FISICO INFORMATICO MATEMATICO CLASSE A049 SEDE BOLOGNA
Direttore della Scuola: Prof. Roberto Greci
Direttore Sezione di Bologna: Prof. Antonio Genovese
PROBLEMI DI TRIGONOMETRIA IN UNA CLASSE
IV DI LICEO SCIENTIFICO
TESI DI SPECIALIZZAZIONE
Presentata dallo specializzando
Supervisore
DOTT. ROSSELLA VIOLA
PROF. FABRIZIO MONARI
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Relatore Chiar.mo Prof.
BRUNO D’AMORE
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Anno accademico 2006/2007
CAPITOLO 1. LA DEFINIZIONE DEL PERCORSO
1.1)
L’OGGETTO MATEMATICO DEL MIO TIROCINIO
Nel Documento sui “Nuovi Curricoli” di matematica per la scuola secondaria (UMI, 2003) si
individua la necessità di ridurre sensibilmente il numero di contenuti attualmente presenti nei
programmi sperimentali e di ordinamento per garantire una didattica volta alla costruzione del
significato degli oggetti matematici. Si avverte la necessità di dare corpo, nel senso di renderlo
operativo, al concetto di “saperi minimi”, di “nuclei fondanti”. Esaminerò nel prossimo paragrafo le
relazioni fra l’oggetto matematico interessato nel mio tirocinio e le relazioni con i nuclei concettuali
del curricolo della classe. In questo paragrafo descriverò l’oggetto matematico e accennerò alle
principali ricerche in didattica della matematica ad esso collegati.
Come si evince dal titolo della tesi, ‘Problemi di trigonometria in una classe IV di liceo scientifico’,
prenderò in considerazione una classe di problemi e la loro risoluzione. I problemi di trigonometria
si presentano come un “oggetto critico”, carico di difficoltà di carattere linguistico, algebrico,
rappresentativo, come vedremo nel II paragrafo.
Secondo D’Amore, si definisce “problema” la situazione in cui ‘una o più regole, o una o più
procedure non sono ancora bagaglio cognitivo del risolutore: alcune di esse potrebbero essere
proprio in quell’occasione in via di esplicitazione. A volte è la successione stessa delle operazioni
risolventi a chiedere un atto creativo da parte del risolutore’ (D’Amore, 1999). Ciò vuol dire,
utilizzando le definizioni dell’OCSE/PISA, che gli allievi non possono semplicemente riprodurre o
ritenere definizioni, ma c’è bisogno di connessione ovvero mobilitazione di più idee matematiche e
procedure per risolvere problemi semplici.
Il carattere di ‘non riproducibilità’ dei problemi dà adito ad una valutazione positiva allo studente
che dimostri di affrontare in modo corretto lo studio di un problema, attribuendo al soggetto
capacità di analisi critica del problema e capacità di formalizzazione.
Un aspetto di natura didattica particolarmente interessante che l’oggetto matematico pone, e si
realizza quando uno studente si trova di fronte ad un problema di trigonometria, nel mio caso,
1
è legata al contratto didattico tra le abitudini specifiche del docente attese dall’allievo ed i
comportamenti dell’allievo attesi dal docente. Vediamo cosa vuol dire, prendendo in considerazione
alcune ricerche nel campo dei ‘problemi’.
Nello studio di Rosetta Zan (1991-1992) si afferma che gli allievi riconoscono nell’intenzione
dell’insegnante che assegna un problema, quella di vedere se gli alunni sanno ragionare. Nei
Problemi (1993a), D’Amore fa notare la contraddizione tra attese e dichiarazioni esplicite degli
allievi. Se da un lato, cioè, essi comprendono che lo scopo per cui è stato dato il problema è quello
di vedere se essi sanno ragionare, dall’altro identificano il problema con la sua risoluzione. Tra le
clausole del contratto didattico mi sento di poter affermare che per gli studenti un problema ‘porta’
ad una equazione, la cui risoluzione coincide con la risoluzione del problema. Inoltre, posso dire,
riservandomi di giustificarlo più avanti, che lo studente, alle prese con un problema, si crea un
modello mentale della situazione, ‘rappresenta’ il testo, perché sa che l’insegnante ‘vuole’ la figura.
La corretta costruzione di tale modello mentale è molto importante per la risoluzione del problema
assegnato, e sembra del tutto ovvio affermare che il fatto che un problema rifletta una situazione
facilmente immaginabile in tutti i suoi dettagli (ad esempio, sia riferito ad oggetti familiari, di uso
comune, che l’allievo può facilmente “pensare”) possa agevolare la costruzione del modello
mentale e, dunque, renda più semplice la risoluzione (su questo importante argomento hanno scritto
molti ricercatori; mi limito a citare: Johnson-Laird, 1988; Vergnaud, 1985; Paivio, 1986).
Fino a che punto è necessario farsi modelli mentali dettagliati delle situazioni descritte nei testi
quando si vogliono risolvere problemi? (D’Amore & Martini, 1997). Personalmente, direi che in
trigonometria il disegno della figura aiuta ad individuare relazioni significative, non sempre
dichiarate in maniera esplicita, mobilitando accomodamenti. E’ il caso, ad esempio, di un testo in
cui ‘compare’ una circonferenza con una corda AB, lato del quadrato inscritto. Come si può
esprimere la misura della corda AB e perché? Quale è la misura degli angoli alla circonferenza che
insistono su tale corda?
Una recente ricerca di B. D’Amore, condotta al livello di scuola elementare (gli esperimenti
descritti sono stati effettuati tra il 1993 e il 1995; si veda: D’Amore, 1997b), ha messo pesantemente
in discussione questa idea. In D’Amore (1997) era stato chiaramente provato che il fatto che una
situazione-problema potesse essere immaginata in tutti i suoi dettagli non sembrava agevolare lo
studente nella ricerca della soluzione: anzi, talvolta, tale “immaginabilità” può addirittura costituire
un ostacolo per la risoluzione o per l’accettazione di una soluzione corretta.
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1.2)
SIGNIFICATO NEL CURRICOLO DELLA CLASSE E RELAZIONI CON I NUCLEI
CONCETTUALI
Il “Problema di trigonometria” riveste importanza notevole non solo nell’intero ciclo triennale del
Liceo, ma anche nella futura “carriera” scolastica dell’allievo (non riesco ad immaginare un
ingegnere, ad esempio, che non conosca le regole e le applicazioni della trigonometria.
Un investimento notevole nei problemi di trigonometria trova ragion d’essere anche ai fini dell’
esame di stato, nei Licei scientifici. Mentre in IV si studiano problemi collegati ad oggetti algebrici,
che
assumono
la
forma
⎧ f ( x) = k , k cost
,
⎨
⎩a ≤ x ≤ b
in
V
gli
studenti
impareranno
a
massimizzare/minimizzare la funzione y=f(x). Faccio qui notare, per inciso, che i tradizionali
⎧ f ( x) = k
problemi ⎨
, con k parametro, non fanno più parte delle competenze di base, la capacità di
⎩a ≤ x ≤ b
risolvere equazioni e disequazioni di una certa complessità.
Lo studio dei problemi richiede prerequisiti imponenti, quali la conoscenza di relazioni
fondamentali di geometria piana, del concetto di proporzionalità, delle funzioni goniometriche e
delle loro proprietà, nonché delle funzioni inverse. La capacità di rappresentare la figura del
problema in forma dinamica, offerta dal software didattico Cabrì Geometre, apre la strada al
concetto di limite e di derivata, laddove, ad esempio, la discussione dei casi limite contempla la
condizione di tangenza ad una circonferenza.
Analizzerò più in dettaglio vari problemi nel capitolo2.
I problemi di trigonometria presuppongono rotture e accomodamento di immagini e di concetti,
formazione di modelli, eventuale modifica dei modelli intuitivi: bisogna porre attenzione nella
costruzione dei problemi stessi, che non devono risultare né troppo facili, il che causerebbe perdita
di interesse, né troppo difficili, il che provocherebbe senso di disagio e scoraggiamento.
Un primo esempio di ristrutturazione di idee, concetti, schemi, è fornito dal ‘raccordo’ delle
conoscenza pregresse di geometria piana alla trigonometria.
La geometria elementare ci insegna a “costruire” un triangolo, dati tre elementi, di cui almeno uno
sia un lato. In generale, però, non è possibile attraverso la geometria euclidea determinare con
l’approssimazione desiderata le misure degli elementi del triangolo, perché per quanto perfetti siano
gli strumenti di misura non si può raggiungere con essi l’approssimazione cui può arrivare il calcolo
algebrico. Viene allora spontaneo vedere se è possibile trovare un procedimento di calcolo algebrico
che ci permetta di determinare, con l’approssimazione che si desidera, la misura degli elementi di
un triangolo, note che siano le misure di alcuni di essi. Tale problema è risolto dalla
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“trigonometria”, la quale si occupa appunto della risoluzione per via algebrica dei triangoli, cioè di
esprimere la misura degli elementi di un triangolo, conoscendo la misura di tre di essi, tra i quali vi
sia almeno un lato.
Un primo ostacolo che si presenta nel risolvere tale problema deriva dal fatto che i sei elementi di
un triangolo non sono grandezze fra loro omogenee. Si supera la difficoltà sostituendo agli angoli
del triangolo opportuni segmenti orientati le cui misure, rispetto ad una conveniente unità,
dipendono esclusivamente dall’ampiezza dell’angolo: in sostanza tali misure sono delle funzioni
dell’angolo. Tali funzioni sono chiamate funzioni goniometriche.
Lo studio dei legami che intercorrono fra le misure dei lati del triangolo e i valori delle funzioni
goniometriche degli angoli del triangolo stesso permette di affrontare, con esito positivo, il
problema della risoluzione per via algebrica dei triangoli.
Un secondo esempio di accomodamento è quello che va operato fra le equazioni algebriche, che lo
studente ha compiuto nel biennio, e le equazioni e disequazioni goniometriche, almeno di quelle più
elementari, che serviranno a completare lo studio della discussione dei problemi. L’impostazione
trigonometrica di un problema geometrico differisce dall’impostazione algebrica per il solo fatto
che, invece di assumere quali incognite le misure di certi segmenti, in questo caso l’incognita è un
angolo. Di conseguenza, poiché l’incognita compare in funzioni periodiche (seno e coseno) definite
in un intervallo,il numero delle soluzioni è soggetto a limitazioni.
Procedere per problemi è stata la strategia didattica che ha caratterizzato tutto il mio percorso.
Infatti, nelle quattro fasi organizzative del progetto (teoremi, risoluzione di triangoli qualsiasi,
studio delle relazioni fra lati e angoli in una figura piana, problemi) ho cercato di analizzare in
classe ( e stimolare gli alunni ad analizzare a casa) un teorema o un esercizio che facesse emergere
l’accomodamento di immagini e/o la rottura di modelli intuitivi. Si pensi, ad esempio, al teorema di
Carnot che si riconduce al teorema di Pitagora, se il triangolo è rettangolo; oppure al concetto di
similitudine che unisce le due formulazioni del teorema dei seni. Ancora, nella risoluzione dei
triangoli rettangoli, si può privilegiare l’approccio risolutivo che utilizza i teoremi del triangolo
rettangolo, piuttosto che il teorema di Pitagora, per misurare l’ipotenusa o determinare le funzioni di
uno degli angoli acuti.
Per capire come cambia in IV la ‘percezione’ del triangolo, riporto un esercizio tratto dal Syllabus,
di cui parlerò più avanti.
Un triangolo ABC ha gli angoli in B e in C di 30° e due lati di 40 cm. La sua altezza relativa al lato
BC `e uguale a: A. 10 cm B. 20 cm C. 20 cm D. 80 cm E. nessuna delle risposte precedenti `e
esatta.
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Nel commento riportato nella parte degli esercizi svolti, si dice che questo è un semplice esercizio
di trigonometria e chi ha dato una risposta errata non ha padronanza dei rudimenti di trigonometria,
per cui deve porre immediatamente rimedio. Ma a parte questo, mi preme far notare che si fa notare
il possibile ragionamento per rispondere alla domanda anche senza fare uso della trigonometria.
Poiché, infatti, gli angoli in B e C sono di 30°, l’angolo in A è quindi di 120°. Sia A0 il punto
simmetrico di A rispetto alla retta passante per B e C. Il triangolo AA0B ha gli angoli di 60° e
quindi è equilatero. Perciò l’altezza in A del triangolo ABC è metà di AA0, quindi di AB, cioè 20
cm.
1.3)
COLLOCAZIONE ‘ISTITUZIONALE’ NEI PROGRAMMI
La matematica, il più delle volte, viene studiata ‘per obbligo’ ed è frequente sentire studenti che
giustificano il proprio disinteresse come mancanza di inclinazione verso la materia. Per arginare il
dilagare di questi atteggiamenti ostili alla disciplina, alcuni dei recenti documenti e programmi
ministeriali sono stati pensati in modo tale da far emergere, nella società odierna, la consapevolezza
del profondo legame esistente fra matematica e cultura.
La contraddizione evidente fra il ruolo preponderante che ha la scienza nella società e la mancata
diffusione della conoscenza scientifica ha recentemente ‘ispirato’, a mio avviso, il progetto Lauree
Scientifiche, al quale ho partecipato presso la Facoltà di Fisica come tutor per il Corso-Laboratorio
di ‘Risonanza Magnetica Nucleare a servizio della scienza, medicina e arte’, è stato finanziato dal
Ministero dell’istruzione, non solo allo scopo di incentivare le iscrizioni alle facoltà scientifiche
(Matematica, Fisica, Chimica), ma anche per enfatizzare la fisica come espressione del mondo della
natura e di scelte operate dall’uomo, che mediante la scienza descrive quel mondo.
Secondo alcuni, dice D’Amore (1999) ‘la didattica della matematica dovrebbe avere come scopo
principale la stesura dei curricoli e dunque contribuire alla teoria e pratica del curricolo e
dell’innovazione curricolare. Per esempio molti studi attuali sono dedicati allo studio dell’efficacia
del curricolo e di segmenti di esso’.
Nei Programmi Brocca viene sottolineato come la matematica sia sempre stata una disciplina
rivolta non solo alla risoluzione di problemi reali ma anche dei grandi interrogativi filosofici, che
l’uomo si è posto interpretando il mondo intorno a se. A tal proposito,
Tornando ai programmi Brocca, ivi si parla di insegnamento/apprendimento, istituzionalizzando
l’accento che è stato posto da Brousseau e dalla scuola francese (Chevallard e Joshua tra gli
esponenti più noti) al sistema didattico formato dalle tre componenti: insegnante, allievo, sapere
insegnato.
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La teoria cui si fa riferimento, riguardo all’apprendimento matematico, è basata sugli studi
cognitivi. Il termine costruttivismo (Vergnaud, 1990) indica che è l’allievo a costruire la propria
conoscenza. Egli non si limita a riceverla passivamente attraverso l’istruzione (teoria della mente
come calcolatore, Godino 1991), ma la rielabora costantemente in modo autonomo interagendo con
l’ambiente ed organizzando le sue costruzioni mentali.
Efraim Fischbein, che citerò sovente, e Gerard Vergnaud furono tra i promotori della nascita del
gruppo di studio sulla psicologia dell’educazione matematica (PME), che affermava:
-
la centralità della conoscenza matematica, e quindi la necessità di studiare i processi
cognitivi degli studenti, invece delle loro capacità o dei risultati raggiunti;
-
la impossibilità (Fischbein) di ‘traslare’ le idee di Piaget ed altri psicologi sulla risoluzione
dei problemi, sulla memoria, sulle strategie di ragionamento, creatività, rappresentazione,
immaginazione nei curricoli matematici.
Altri studi (D’Amore, 1999) sull’ insegnamento parlano di didattica A per indicare l’attività di un
docente impegnato a presentare all’allievo un discorso specialistico (che fa uso di un linguaggio
tecnico non naturale) in maniera comprensibile per esso. L’allievo è posto, si, al centro della
attenzione, ma non al centro dell’azione didattica. Questa è diretta all’argomento in gioco.
Esempi di didattica A sono l’utilizzo alle scuole elementari dei ‘numeri in colore’, per ottenere
rappresentazioni concrete dei valori numerici, i cosiddetti ‘laboratori di matematica’, dove il
ragazzo costruisce con le proprie mani oggetti che sollecitano conoscenza, ecc.
I limiti di una tale didattica risiedono nella difficoltà di realizzare il transfer cognitivo, cioè il
trasferimento del sapere da una situazione ‘artificiale’, ben costruita e potenziata in un ambiente
opportuno, in modo da isolare l’aspetto matematico dell’attività stessa, ad una situazione simile ma
in ambiente diverso. Il sapere dovrebbe essere trasferito in modo naturale, implicito, spontaneo,
senza richieste cognitive specifiche per la nuova situazione di apprendimento. In realtà, le capacità
cognitive e procedurali si fermano all’ambito nel quale si sono raggiunte.
La didattica B , invece, cura la fase dell’apprendimento, e le problematiche che emergono
nell’ambito della ricerca ad essa relativa toccano temi quali la visualizzazione, i concetti figurali, gli
ostacoli, i modelli, le misconcezioni.
Le indicazioni didattiche suggerite nel programma Brocca e PNI fin dal biennio insistono sulla
opportunità che l’insegnamento sia condotto per problemi; dall’esame di una data situazione
problematica l’alunno sarà portato, prima, a formulare un quesito, poi una ipotesi di soluzione, poi a
ricercare il procedimento risolutivo, mediante il ricorso alle conoscenze già acquisite, quindi il
risultato ottenuto in un organico quadro teorico complessivo. In tale processo l’appello
all’intuizione sarà via via ridotto per dare più spazio all’astrazione ed alla sistemazione razionale.
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A conclusione degli studi secondari scaturirà così ‘naturalmente’ (così si legge) nell’alunno
l’esigenza della sistemazione assiomatica dei temi affrontati, della geometria come di altri contesti,
sistemazione che lo porterà a recepire un procedimento che è diventato paradigmatico in qualsiasi
ricerca ed in ogni ambito disciplinare. L’insegnamento per problemi non esclude però che il docente
faccia ricorso ad esercizi di tipo applicativo, sia per consolidare le nozione apprese dagli alunni, sia
per fare acquisire loro una sicura padronanza del calcolo.
Sempre nei programmi PNI, in cui confluiscono molti elementi dei programmi Brocca, ho notato
che nel corso del triennio superiore l’insegnamento della matematica cura e sviluppa in particolare:
1. l’acquisizione di conoscenze a livelli più elevati di astrazione e di formalizzazione;
2. la capacità di cogliere i caratteri distintivi dei vari linguaggi (storico-naturali, formali, artificiali);
3. la capacità di utilizzare metodi strumenti e modelli matematici in situazioni diverse;
4. l’attitudine a riesaminare criticamente e a sistemare logicamente le conoscenze via via acquisite;
5. l’interesse sempre più penetrante a cogliere aspetti genetici e momenti storico-filosofici del
pensiero matematico.
In termini di obiettivi di apprendimento, alla fine del triennio l’alunno dovrà possedere, sotto
l’aspetto concettuale, i contenuti prescrittivi previsti dal programma ed essere in grado di:
1. sviluppare dimostrazioni all’interno di sistemi assiomatici proposti o liberamente costruiti;
2. operare con il simbolismo matematico riconoscendo le regole sintattiche di trasformazione di
formule;
3. utilizzare metodi e strumenti di natura probabilistica e inferenziale;
4. affrontare situazioni problematiche di varia natura avvalendosi di modelli matematici atti alla
loro rappresentazione;
5. costruire procedure di risoluzione di un problema e, ove sia il caso, produrle in programmi per il
calcolatore;
6. risolvere problemi geometrici nel piano per via sintetica o per via analitica;
7. interpretare intuitivamente situazioni geometriche spaziali;
8. applicare le regole della logica in campo matematico;
9. inquadrare storicamente l’evoluzione delle idee matematiche fondamentali;
10. cogliere interazioni tra pensiero filosofico e pensiero matematico.
Nell’indirizzo scientifico la matematica e le scienze sperimentali assumono un ruolo fondante sul
piano culturale ed educativo per la funzione mediatrice e decisiva che tali discipline e i loro
linguaggi svolgono nella interazione conoscitiva col mondo reale. In tale contesto la matematica
con i suoi linguaggi e i suoi modelli da un lato e le scienze sperimentali con il loro metodo di
osservazione, di analisi, di spiegazione e con i loro linguaggi dall’altro rappresentano strumenti di
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alto valore formativo. Lo studio della trigonometria, per l’indirizzo scientifico, è ridotto
all’essenziale. Esso è finalizzato alla risoluzione dei triangoli (pagine 250-251 del documento
Brocca).
Al III anno, fra i contenuti, per rispondere anche alle esigenze proprie delle altre scienze, si legge:
- Lunghezza della circonferenza e misure angolari.
- Teorema del coseno e teorema dei seni. Risoluzione dei triangoli.
Al IV anno si legge fra i contenuti:
- Funzioni circolari. Formule di addizione e principali conseguenze.
L’UMI, successivamente (2003) identifica quattro nuclei tematici nel curricolo di matematica (ad
essi si fa riferimento come ‘oggetti’): essi completano i contenuti dell'educazione matematica
avviati negli anni precedenti:
- numero e algoritmi;
- spazio e figure;
- relazioni e funzioni;
- dati e previsioni.
Accanto a questi ci sono tre nuclei trasversali (ad essi si fa riferimento come ‘processi’), che
continuano anch’essi il percorso iniziato fin dalla scuola primaria:
- argomentare, congetturare, dimostrare;
- misurare;
- risolvere e porsi problemi.
Il primo di questi ultimi, presenta anche alcuni contenuti di tipo logico e caratterizza le attività che
favoriscono il passaggio dalle nozioni intuitive a forme di pensiero più rigoroso e sistematico, in
particolare alla dimostrazione, cuore del pensiero matematico stesso.
Il secondo propone un approccio esperienziale e teorico alle grandezze, in collegamento con le
scienze, per ricavare relazioni tra le grandezze esperite e costruire modelli di fenomeni studiati.
Il terzo offre occasioni importanti agli allievi per costruire nuovi concetti e abilità, per arricchire di
significati concetti già appresi, per verificare l’operatività degli apprendimenti realizzati in
precedenza e per giungere all’uso di modelli matematici in contesti vari. Le competenze degli
allievi, soprattutto per quanto riguarda i problemi, difficilmente possono essere conseguite in tempi
medio-brevi . Un insegnamento per problemi è un’attività impegnativa, ma realizzabile; il tempo si
deve eventualmente recuperare da una riduzione degli argomenti puramente ‘eruditi’ e dalla
semplificazione degli esercizi proposti (meglio pochi esercizi capiti e discussi a fondo che tanti
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esercizi di pura routine: fare molti esercizi “dello stesso tipo” è importante per acquisire scioltezza e
sicurezza, ma può ottundere lo spirito critico se non vi è sufficiente variabilità).
La proposta per un curricolo di matematica per il ciclo secondario è completata da una riflessione
sul ‘Laboratorio di matematica’ e da alcune ‘Indicazioni metodologiche’. Va osservato che il
Laboratorio non costituisce né un nucleo di contenuto né uno di processo, ma si presenta come una
serie di indicazioni metodologiche trasversali, basate sull’uso di strumenti, tecnologici e non, e
finalizzate alla costruzione di significati matematici.
Nella ricerca della collocazione istituzionale dell’ ‘oggetto matematico’ interessato nel mio
progetto, è risultata interessante ed istruttiva la lettura del Syllabus, ad opera dell’Unione
Matematica Italiana. Il Syllabus è una sorta di test per sondare se si è in possesso di contenuti
minimi di conoscenze e capacità per poter frequentare con profitto un corso di contenuto
matematico a livello universitario.
Nel tema 4 (Geometria, pag 11) alla voce trigonometria si riporta tra i ‘saperi essenziali’: ‘seno,
coseno, tangente di un angolo. Identità trigonometrica fondamentale sen 2α + cos 2 α = 1 . Formule di
addizione’.
Alla voce ‘saper fare’ si trova: saper “risolvere” un triangolo (eventualmente con l’uso di un
opportuno strumento di calcolo). Ad esempio: calcolare le ampiezze degli angoli di un triangolo
rettangolo di cateti assegnati.
Analizzando il test di autovalutazione riportato nel Syllabus, mi sono soffermata sui seguenti
esercizi, relativi alla trigonometria. Nei corrispondenti commenti alla risoluzione si fa notare che su
tali esercizi, in cui si richiede una ‘buona padronanza’ della trigonometria ‘non saranno concessi
errori’ nei corsi universitari .
18. L’equazione sin2x = 2sin x ‘e verificata: A.
intero qualsiasi C.
per ogni x. B. solo per x = 2kπ , con k numero
solo per x = kπ con k numero intero qualsiasi D.
per nessun x E. nessuna
delle risposte precedenti ‘e esatta.
Ovviamente, la risposta esatta è la C. Sappiamo che si ha sin2x = 2sin x cosx per ogni valore di x.
L’equazione sin2x = 2sin x é equivalente all’equazione 2sin x(cosx−1) = 0. Per la legge di
annullamento del prodotto le soluzioni sono date dalle soluzioni dell’equazione sin x=0 ( che sono
x=kπ con k intero qualsiasi) e dalle soluzioni dell’equazione cosx=1 (che sono x = 2kπ con k intero
qualsiasi).
Un altro problema, a mio avviso significativo, per l’importanza che riveste la corretta
interpretazione del dominio delle funzioni coinvolte è il seguente :
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5.2.7 Dimostrare che sen (α + β ) ≤ senα + senβ qualunque siano α , β ∈ [ 0, 2π ] .Mostrare anche
che in qualche caso vale l’uguaglianza.
L’esercizio fa riferimento alla formula di addizione del seno sen (α + β ) = senα cos β + cos α senβ .
Poichè gli angoli devono essere compresi tra zero e π/2, sia il seno che il coseno sono non negativi.
Inoltre, seno e coseno sono sempre non superiori a 1. Dunque, senαcosβ ≤ senα e cosαsinβ ≤
senβ. In conclusione, si ha sen (α+β) ≤ senα+senβ.
L’uguaglianza certamente non vale se α e β sono entrambi diversi da zero. In tal caso infatti senα e
senβ sono anch’essi diversi da zero, mentre cosα e cosβ sono strettamente minori di 1. Per avere un
esempio in cui sen(α+β) = senαcosβ+cosαsenβ bisogna allora prendere almeno uno dei due angoli
α e β uguale a zero.
Ho analizzati anche i libri della collana “QUADERNI della Pubblica Istruzione” editi dal Ministero
negli anni passati e riguardanti la matematica nella Scuola Secondaria Superiore. Nei quaderni sono
raccolti i materiali che costituiscono lo specifico dei Seminari di formazione per Docenti degli
Istituti afferenti alla Direzione classica, scientifica e magistrale. Essi sono stati prodotti da corsisti e
relatori nella forma finale, con la collaborazione scientifica del Comitato di redazione. In essa
confluiscono le osservazioni di tutti i componenti del gruppo, relativamente ai curricoli del primo
anno del triennio PNI , anche di coloro che sono impegnati in ordini di scuola che non adottano i
programmi del Piano Nazionale Informatica. Vengono esposti percorsi didattici effettivamente
attuati e verificati nelle classi.
La collocazione degli argomenti legati alla trigonometria all’interno del programma mostra bene la
connotazione di trasversalità. Infatti la definizione geometrica di seno e di coseno e la risoluzione
dei triangoli (anche solo rettangoli) sono argomenti inseriti nel tema Geometria, mentre lo studio
delle funzioni circolari, insieme alle formule di addizione e alle loro principali conseguenze è
collocato all’interno del tema Funzioni ed equazioni.
Al Liceo scientifico si propongono in III il teorema del coseno e teorema dei seni. Risoluzione dei
triangoli; al classico la definizione geometrica di coseno e di seno, teorema del coseno e teorema
dei seni, risoluzione dei triangoli rettangoli.
1.4)
PROBLEMI DIDATTICI
Come già detto, tra insegnante, allievo, e sapere si stabiliscono, in modo esplicito o implicito, un
insieme di relazioni che hanno come scopo quello di far sì che gli studenti apprendano, cioè
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costruiscano una certa conoscenza stabilita in precedenza. Si crea così una situazione didattica, in
cui l’allievo deve implicarsi nella risoluzione di un problema che gli è stato proposto, per costruire
la propria conoscenza. Così egli raggiunge la devoluzione della situazione.
Scrive D’Amore (1999): ‘la devoluzione è il processo o l’attività di responsabilizzazione attraverso
i quali l’insegnante ottiene che lo studente impegni la sua propria personale responsabilità nella
risoluzione di un problema (più in generale: in una attività cognitiva) che diventa allora problema
dell’allievo, accettando le conseguenze di questo trasferimento momentaneo di responsabilità, in
particolare per quanto concerne l’incertezza che questa assunzione genera nella situazione’.
Laddove non si raggiunge la devoluzione, l’istituzionalizzazione delle conoscenze è il processo per
cui gli studenti adeguano lo statuto delle loro conoscenze al patrimonio definitivo preteso
dall’insegnante come sapere posseduto in modo ufficiale.
Uno dei compiti più difficili è dunque quello di favorire una situazione a-didattica, per far sì che gli
studenti si creino modelli appropriati dei concetti. Secondo Fischbein il “modello” di un concetto è,
‘tra le immagini, la definitiva, quella che racchiude il massimo delle informazioni e che si dimostra
stabile rispetto ad un buon numero di ulteriori sollecitazioni’. Il modello che lo studente si è
costruito risulta corretto se si forma al momento giusto e risulta quello voluto dall’insegnante; se,
invece, si forma troppo presto e diventa stabile, ma andrebbe in realtà ampliato, rappresenta un
‘ostacolo’. Un ostacolo è ‘un’idea che, al momento della formazione di un concetto, è stata efficace
per affrontare dei problemi precedenti, ma che si rivela fallimentare quando si tenta di applicarla ad
un problema nuovo’.
Fischbein nel 1963 lanciò l’idea dei concetti figurali, definendoli ‘entità mentali che riflettono
proprietà spaziali (forma, posizione, grandezza) e, allo stesso tempo, possiedono qualità concettuali
come idealità, astrattezza, generalità, perfezione’. In pratica, una figura geometrica non è un puro
concetto, ma ha anche un’immagine visiva. Se non c’è armonia nella mente dell’allievo fra l’aspetto
figurale e concettuale non è un processo naturale), l’insegnante deve provvedere ad una
‘integrazione di essi in strutture mentali unitarie, con la predominanza dei limiti concettuali rispetto
a quelli figurali’.
La formazione di un concetto matematico richiede, come abbiamo ricordato, una sequenza di fasi
diverse, dunque un progressivo avvicinamento sebbene, come vedremo, non tutti i ricercatori
optino, da alcuni anni a questa parte, per una struttura rigorosamente sequenziale (Slavit, 1997, p.
268). A. Sfard indica nella fase di reificazione il decisivo passaggio da un’introduzione basata sulla
considerazione di un processo ad una più elevata ed organica concezione che consideri
propriamente l’oggetto matematico (ed è quindi una concezione ‘object-oriented’) e sottolinea che
«se vogliamo parlare di oggetti matematici, dobbiamo essere in grado di riferirci ai prodotti di certi
11
processi senza preoccuparci di quegli stessi processi» (Sfard, 1991, p. 10). Questione didatticamente
delicata, a questo punto, è la effettiva realizzazione della fase di reificazione: il tentativo di forzare
un’impostazione strutturale potrebbe infatti condurre alla formazione, nella mente dell’allievo, di
pericolosi pseudo-oggetti, accompagnati dal sorgere o dal consolidarsi di misconcezioni.
Seguendo M. Artigue (Artigue, 1998), che riassume il «lavoro pionieristico» di E. Dubinsky
(Dubinsky 1991, la cui impostazione può essere affiancata a quella di Sfard, 1991 e 1992), una
sequenza gerarchica può essere concepita dalla considerazione di un’azione alla conseguente
concezione di un processo (fase detta di interiorizzazione) e quindi ad un oggetto matematico (fase
detta di incapsulamento).
La didattica della matematica si occupa con la massima attenzione di ciò che accade, nella mente
dell’allievo, in situazioni come quella ora descritta. Ritengo utile fornire alcuni punti di riferimento,
almeno dal punto di vista terminologico (D’Amore & Frabboni, 1996). Chiameremo immagine
mentale ciò che viene elaborato dall’allievo, anche involontariamente, a fronte di una qualsiasi
sollecitazione (sia interna che proveniente dall’esterno). Si tratta di una immagine interna, dunque
non espressa, almeno inizialmente. Tutte le immagini mentali riferite ad un concetto costituiscono il
modello mentale relativo a tale concetto (Johnson-Laird, 1988). Come abbiamo detto, fino a questo
punto ci troviamo in una situazione interna. Ma le concezioni così formate devono spesso essere
espresse, comunicate: mediante un’apposita traduzione, dunque, si viene a creare un modello
esterno, esprimibile, talvolta, in un ben determinato linguaggio (ad esempio mediante parole,
disegni etc.). Ogni forma di comunicazione di un contenuto, di un qualsiasi messaggio matematico
avviene dunque con l’impiego di modelli esterni, i quali però sono derivati, ad esempio nella mente
del nostro allievo, dai corrispondenti modelli interni.
Di estrema importanza, pertanto, sarebbe la conoscenza diretta del modello mentale (interno) di un
concetto, modello che l’allievo stesso si è creato: tale conoscenza darebbe infatti la possibilità di
capire molte cose a proposito di quanto il nostro allievo ha appreso sul concetto in questione; come
sopra anticipato, la difficoltà consiste però nel fatto che tale modello interno non viene mai
comunicato (esternamente).
1.5)
ELEMENTI DESUNTI DALL’OSSERVAZIONE
Le prime ore di presenza in classe come tirocinante, a fianco della tutor, prof.ssa M. Grazia Frani,
sono state puramente di osservazione; ho scelto di sedermi in un banco laterale, in modo da
costituire una presenza il meno invadente possibile, nonostante la professoressa mi avesse riferito
come la classe fosse già ‘abituata’ alla presenza di specializzandi.
12
Il periodo di osservazione è proseguito in maniera continuativa da Novembre a Gennaio, subito
prima del mio intervento, al fine di inserirmi nella classe in maniera ‘non brutale’, ed in continuità
con il programma della professoressa.
Dalla mia osservazione in classe ho potuto notare che la classe (27 alunni) non sempre rispondeva
positivamente agli stimoli offerti dall’insegnante e sembrava essere caratterizzata da una
partecipazione e da un interesse variabili, alle volte notevoli. Questo atteggiamento, probabilmente,
è dovuto al fatto che la professoressa, per fare in modo che potessi intervenire nel periodo
concordato (inizi di febbraio), ha gentilmente organizzato l’ingegneria didattica così da affrontare
nuclei un po’ noiosi ma indispensabili per fornire agli studenti tutti i ‘concetti’ utili per affrontare
un problema e la sua risoluzione.
Fin da subito mi sono accorta dell’esistenza di un contratto didattico fra alunni ed insegnante dato
che, durante una esercitazione in vista di un compito per l’orale, dopo che Erica aveva dato la
definizione di ‘funzione inversa’ del seno, Lorenzo ha chiesto alla professoressa “Prof! Nel compito
dobbiamo dare questa definizione”?
Un altro elemento importante desunto dall’osservazione è la scarsa capacità di alcuni, e per contro
la abilità di altri, nel passare, secondo la definizione dell’OCSE/PISA dalla riproduzione, ovvero
dal semplice calcolo o ritenzione di definizioni alla connessione, ovvero mobilitazione di più idee
matematiche e procedure per risolvere problemi semplici o, in qualche modo, familiari.
Riferisco qualche esempio, a mio avviso significativo, a tal proposito.
Le funzioni goniometriche di un angolo sono definite sia come rapporti di segmenti orientati relativi
ad un angolo, sia nella circonferenza goniometrica, in modo indipendente l’uno dall’altro. Nel
primo caso, i rapporti fra segmenti non variano al variare del punto P sul secondo lato dell’angolo, e
dipendono quindi esclusivamente dall’ampiezza dell’angolo. Nel secondo caso, fa notare Giulia ‘un
punto ha sempre le stesse coordinate (1;0) ma la posizione di B (dove il secondo lato interseca la
circonferenza goniometrica) individua infiniti angoli (α+2kπ).’
Durante la trattazione delle relazioni fra le funzioni di angoli associati Luca ha detto ‘Sì, ho capito,
si vede! (facendo riferimento ai triangoli rettangoli costruito nella circonferenza goniometrica) ma
a cosa serve?”. La prof ha dichiarato ante tempo che l’utilità sarà evidente nella risoluzione di
equazioni. Ho pensato, ma non l’ho detto, all’importanza strategica nella trigonometria. La lettura
comparata di testi mi ha portato, infatti, ad individuare due approcci alla dimostrazione dei teoremi
del triangolo rettangolo: l’uno (più frequente) si basa sulla similitudine di due triangoli rettangoli
opportunamente costruiti, e consiste nella scrittura di una proporzione fra lati omologhi; l’altro fa
uso delle definizioni di seno, coseno e tangente di un angolo orientato, e del fatto che tali funzioni
non dipendono dal raggio della circonferenza goniometrica. Nella formulazione dei teoremi, si
13
sfruttano le formule degli angoli associati. Può essere opportuno far notare che si possono trovare n
triangoli simili che, proprio perché senβ, ad es., non dipende dal raggio della circonferenza
goniometrica, soddisfano la relazione
bn
= senβ .
an
Le formule goniometriche sono di fondamentale importanza nello studio della trigonometria. Tra le
applicazioni, figurano le verifiche di numerose identità:la risoluzione di questo tipo di esercitazioni
stimola la perspicacia dello studente nella scelta delle formule più opportune da usare.
In questa fase del tirocinio diretto, non credo tanto di aver imparato a fare qualcosa, avendo visto la
mia tutor farlo, quanto di essermi allenata ad osservare me stessa e i miei futuri alunni, dopo aver
ampiamente osservato il sistema classe. Non che questo fosse esattamente lo scopo che ci si era
voluti prefiggere nel progettare il tirocinio, ma sinceramente non credo sia cosa da poco.
L’aver condotto un’osservazione mirata, guidata da domande precise e inerenti aspetti diversi
(dall’atteggiamento dell’insegnante e degli alunni, all’ambiente fisico in cui si svolge la lezione,
dagli strumenti didattici usati, alla struttura generale della lezione, ecc.) mi ha stimolato a cercare di
valutare tutti quegli aspetti anche nel mio modo di far lezione, di essere in classe, di rapportarmi
con gli alunni.
Chiaramente, la maggior preoccupazione è, pian pianino, quella di riuscire a migliorare negli aspetti
in cui l’auto-osservazione mi ha reso cosciente di essere un po’ scarsa. Inoltre credo che sia
decisamente importante continuare ad agire e a guardarsi agire, per verificare di continuo il proprio
cammino professionale.
1.6)
LE MIE SCELTE, ALLA LUCE DEL SISTEMA CLASSE/TUTOR
Quando ho iniziato il tirocinio, la programmazione annuale era già stata preparata dalla mia tutor.
Di conseguenza non ho potuto partecipare alla sua stesura, ma l’ho solamente analizzata con il
supervisore. In base alla programmazione didattica annuale ed in base alle osservazioni fatte
durante le prime ore di tirocinio, abbiamo valutato la possibilità di un intervento nella classe IV D
da parte mia e lo abbiamo progettato insieme con il supervisore, nelle linee generali.
Successivamente, ho autonomamente preparato le lezioni ed i materiali didattici ad esse necessari.
Il fatto che lo scorso anno (cioè in III) la classe aveva ‘accolto’ con entusiasmo e partecipazione
vivace e attiva un tirocinante SSIS, aveva permesso alla prof. Frani di accettare di buon grado la
mia candidatura per un nuovo percorso. Infatti, obiettivo primario della professoressa, era abituare
la classe a “registri” e linguaggi diversi. In risposta a tale esigenze, e forti dell’esperienza ‘ben
14
riuscita’ dello scorso anno, abbiamo puntato ad un progetto ambizioso: i ‘problemi di
trigonometria’.
I problemi di trigonometria sono un ‘oggetto critico’, come più volte ho già dichiarato, perché
richiedono non solo, secondo la definizione dell’OCSE/PISA la riproduzione ovvero il semplice
calcolo o la ritenzione di definizioni che può dipendere da chiarezza ed efficacia operativa
dell’insegnante, ma anche la connessione ovvero mobilitazione di più idee matematiche e procedure
per risolvere problemi semplici o, in qualche modo, familiari. Quest’ultima fase identifica la qualità
di un processo mentale operato dall’alunno.
Cercherò di spiegare anche come il mio progetto si inserisce nel percorso annuale in continuità con
il lavoro svolto dalla loro professoressa. Infatti, mentre nella prima parte dell’anno, si parla di
“goniometria”, termine che significa “misura dell’angolo”, nella quale si sono definite le funzioni
goniometriche e studiate le proprietà (l’attività richiesta è quella della riproduzione); nella seconda
parte, di mia pertinenza, si determineranno le formule che vincolano le misure dei lati del triangolo
ai valori delle funzioni goniometriche degli angoli del triangolo stesso (connessione); infine,
mediante queste formule, si passerà alla risoluzione del triangolo. Questa seconda parte si chiama
“trigonometria”, vocabolo che deriva dal greco “trigonon” (triangolo) e “metron” (misura).
Dalla mia osservazione in classe e dal confronto con la prof.ssa Frani, ho potuto notare che molti
studenti hanno difficoltà:
- nel riconoscere situazioni relative ad angoli associati
- nel leggere il testo con la dovuta attenzione e, di conseguenza, nel cogliere tutti i vincoli cui
dovevano essere sottoposti gli enti geometrici in gioco in un triangolo.
- nella rappresentazione degli angoli sulla circonferenza goniometrica.
In risposta a tali difficoltà di ‘visualizzazione’ abbiamo deciso di utilizzare il software didattico
CabriGéomètre per rappresentare e costruire la figura associata ad un problema, in modo da mettere
in evidenza i dinamismi, gli enti fissi e gli enti variabili, i casi limite e la corrispondenza tra figura
geometrica e grafico della funzione che dal problema veniva richiesta.
Non avendo partecipato alla stesura della programmazione annuale, non posso dire di aver imparato
a progettare “a grande respiro”, ma sicuramente è stato utile dover trovare delle risposte concrete
per problemi circoscritti, per imparare a progettare “in piccolo”, ma in modo molto aderente alla
realtà. Nei laboratori didattici della SSIS, infatti, ci si era sempre riferiti ad una classe tipo, studenti
concreti, con le loro difficoltà, i loro punti di forza, le loro abitudini, la loro scuola (intesa anche dal
punto di vista delle strutture materiali).
15
1.7)
IL PROGETTO COME SI Ė FORMATO E LE SUE MODIFICHE
Nel progettare l’attività didattica, ho fatto riferimento, in primo luogo, all’articolazione in nuclei
tematici, individuata dai docenti del Liceo Fermi per le classi IV di ordinamento (Funzioni
goniometriche, Equazioni e disequazioni nell’ambito delle funzioni goniometriche, Trigonometria,
Formalizzazione e studio di problemi). Insieme a tutor e supervisore si è deciso di limitare il mio
intervento nella classe IV D a due di essi, cioè Trigonometria e Formalizzazione e studio di
problemi. In questa fase di progettazione, pur essendo stata condotta dopo attenta e continuativa
osservazione nell’arco dei mesi che precedevano il mio intervento, sono consapevole del fatto che
la scansione temporale, e l’ingegneria didattica conseguente, compatibile con gli standard in uscita
dalle varie classi, può essere ripensata strada facendo, alla luce della particolare storia della classe
IV D e delle singolarità, sempre presenti, nei percorsi cognitivi degli studenti.
Il progetto iniziale era pensato suddiviso in 5 fasi, riportate sotto forma di mappa concettuale di
seguito:
Fase I: I teoremi
Fase II: Risoluzione dei triangoli qualsiasi (fatti dalla tutor. Li ho ripresi con esempi applicativi)
Fase III: Studio delle relazioni in una figura piana
Fase IV: I Problemi
Fase V : Problemi di geometria solida.
16
CAPITOLO 2. L’INTERVENTO IN CLASSE
2.1)
INTRODUZIONE
Questo capitolo, che costituisce una sorta di ‘diario di bordo’ del mio tirocinio attivo nella classe IV
D del Liceo Scientifico Fermi, è frutto dei colloqui costanti col supervisore e della mia elaborazione
personale, ed è basato sugli appunti presi non solo in fase di progettazione del progetto stesso, ma
anche al termine di molte lezioni. I suggerimenti ricevuti, i protocolli studiati, i possibili ostacoli
evidenziati, hanno contribuito a definire la mia ingegneria didattica, che finalizzava gli studi di
Didattica della matematica della SSIS alla pratica di un aula vera e propria. Purtroppo, la difficoltà
del progetto e le troppo poche ore di tirocinio attivo in classe, hanno reso la mia didattica una
didattica A, tesa a svolgere quel che avevo programmato più che a stimolare e a prendere in
considerazione lo studente. Tuttavia, mi sento di ammettere, senza falsità, che l’esperienza del
tirocinio sarà preziosa per la mia formazione futura, per ripensare a quel che ho fatto e a quel che
potevo fare. Credo che la ‘ricerca’ non si esaurisca con la SSIS e, d’ altra parte, come dice Platone,
‘una vita senza ricerche non è degna per l’uomo di essere vissuta’ (Platone, Apologia di Socrate,
38a 5-6).
Oggetto della trigonometria è stabilire relazioni metriche tra i lati e gli angoli di un triangolo, cioè
tra gli elementi di un triangolo: nella primissima lezione ho quindi posto l’attenzione su questioni di
carattere notazionale, per adottare un modello di rappresentazione grafica condivisa, che fungesse
da garanzia per l’efficacia della comunicazione.
L’apparato notazionale adottato dal libro di testo della classe, e condiviso da altri testi cui faccio
riferimento per l’organizzazione dei contenuti del progetto, si pone in maniera esplicita come una
sorta di contratto fra me e la classe. Nei problemi ed esercizi che abbiamo affrontato in classe, e che
ho assegnato da svolgere a casa, era acquisito che A, B, C fossero i vertici del triangolo, a,b,c le
misure dei lati rispettivamente opposti, e α, β, γ le ampiezze degli angoli aventi i vertici
rispettivamente in A, B, C.
17
Ci siamo anche accordati sul linguaggio: si diceva semplicemente ‘angolo’ per indicare la
‘ampiezza dell’angolo’, e ‘lato’ per indicare la ‘lunghezza del lato’ o, qualche volta, anche la
‘misura del lato’.
2.2)
FASE I
Per come era nato il progetto, il percorso didattico prevedeva inizialmente la trattazione dei teoremi
sui triangoli rettangoli. Tuttavia, la tutor si era trovata nelle condizioni di affrontare l’argomento
nelle lezioni immediatamente prima del mio intervento. Così mi ha affidato il compito di un ripasso
sui teoremi, utilizzando esempi applicativi che avrei dovuto pensare, per trasferire le nozioni
apprese anche a casi reali. In effetti, come viene sottolineato in D’Amore, Fandiño Pinilla (2001), lo
studente usa ‘gran parte del proprio tempo, del proprio impegno, dei propri interessi, per costruire
(o almeno apprendere) concetti matematici che gli appaiono estranei a qualsiasi riferimento alla vita
reale. Quindi egli deve sapere, è giusto che sappia, se il suo impegno, il suo tempo, le sue energie
hanno o avranno un riscontro nel suo futuro quotidiano, se gli porteranno un beneficio almeno a
distanza di tempo’.
Ho cercato, quindi, di proporre qualche riferimento alla vita reale.
Sono intervenuta, prima, sul senso che il teorema del triangolo rettangolo riveste, sia dal punto di
vista fisico (un vettore in un sistema di riferimento è scomposto nelle sue componenti lungo gli assi,
vedi figura), che matematico (collega il cateto all’ipotenusa oppure un cateto all’altro cateto),
b = a senβ
b = c tgβ
Mi sono poi rivolta, poi, al funzionamento e alla applicazione del teorema. A tal fine, ho utilizzato i
seguenti problemi, via via più complessi:
•
•
18
Una scala lunga 4 m è appoggiata a un muro in modo da toccarlo ad un’altezza di 3,6 m.
Quale angolo forma la scala con il pavimento ? …e con il muro ?
Quando una strada sale di 20 m, su una distanza orizzontale di 100 m, si dice che la
pendenza è del 20%. Quanto vale l'angolo di inclinazione della strada (rispetto
all'orizzontale)?
•
•
Dalla cima di una scogliera alta 50 m si vede una nave sotto un angolo di 20° rispetto
all'orizzontale. Quanto dista la nave dalla scogliera?
Un ponte lungo 80 m attraversa un fiume formando un angolo di 50° con le sponde; qual è
la larghezza del fiume?
Mi è sembrato estremamente significativo, in termini di accomodamento con le nozioni di
geometria apprese al biennio, introdurre, come applicazione del teorema del triangolo rettangolo,
l’area di un triangolo qualsiasi. Mi sono servita del seguente esercizio, il cui testo vuole proporre
allo studente una situazione di ‘problem solving’ (anche se non ho introdotto il termine in questa
sede, perché non mi sembrava attinente ai problemi di trigonometria oggetto del mio tirocinio, ho
letto sull’argomento in D’Amore, 1999):
Teorema: L'area di un triangolo ABC di cui sono noti due lati, AC e AB, e l'angolo compreso α, si
può ottenere come semiprodotto fra i due lati e il seno dell'angolo compreso. Individuare una
strategia per giungere a questa relazione (Figura sotto).
In questa prima fase, dove per la prima volta nel percorso ho presentato ‘problemi’, ho riflettuto,
assieme al tutor, sul fatto che nella storia scolastica dei ragazzi la risoluzione di problemi fosse
sempre stata presentata come un elemento marginale, non certo come un vero e proprio ‘contesto
per presentare nuovi contenuti matematici’ (D’Amore, Zan, 1996, pag. 309). Quindi, nei confronti
di questo tipo di attività molti hanno un istintivo rifiuto, sostenuto anche dalla convinzione che
«non si capisce mai come si deve risolvere!» (questa frase è stata ripetuta sovente nella fase 4,
relativa ai ‘problemi veri e propri’). Mi aspettavo ostacoli nell’apprendimento dovuti al fatto che il
concetto di area fosse già stata consolidato. Risultava quindi difficile ‘abbandonare la strada vecchia
per quella nuova’. Infatti, Luis mi ha chiesto a fine spiegazione: “Fin dalle elementari sappiamo
trovare l’area del triangolo come (base x altezza)/2. È sbagliato continuare così?”. La domanda era
effettivamente prevedibile, e mi ha fornito solo un’idea della difficoltà, da parte dell’insegnante, di
riorganizzare i Saperi disciplinari in base ai comportamenti che si intendono indurre negli studenti:
come comprendere, come integrare le conoscenze precedenti, in che forma comunicare…. Si tratta di un
processo complesso che coinvolge anche aspetti pedagogici, psicologici, sociologici e filosofici. Per non
rispondere “In trigonometria si fa così”, provocando il sorgere di misconcezioni sullo ‘scollamento dei
saperi’, ho insistito sul fatto che la formula dell’area di un triangolo qualsiasi può essere ‘comoda’ nella
risoluzione di problemi complessi, che avremmo affrontato più avanti nel percorso. A questo punto, non
escludo, dietro all’apparente soddisfazione che ho letto negli occhi di Luis, l’ espressione di quelle
clausole del contratto didattico che fanno capo alla pura “fiducia nell’insegnante”!
Un problema del tipo proposto ha il pregio (per il docente) e il difetto (per lo studente) di non porre
una domanda esplicita. Questo obbliga a ‘riflettere sul testo, che deve essere analizzato ed
19
esplicitato nelle informazioni contenute, nelle relazioni fra queste, e nelle domande a cui si deve
dare una risposta’ (D’Amore, Zan, 1996, pag. 312).
Ho guidato gli studenti a osservare come l’altezza del triangolo ABC, relativa al lato AB, sia il
cateto del triangolo rettangolo ACH che è opposto all’angolo α, e ad esprimere l’area cercata come:
Una difficoltà iniziale evidenziata dagli studenti, e del tutto inattesa devo dire, è la capacità di
riconoscere il triangolo come triangolo qualsiasi. Gli alunni mi hanno chiesto più volte, durante la
spiegazione, se il triangolo fosse rettangolo. Come se, implicitamente, la rappresentazione grafica
riportata nella figura (C è davvero di poco inferiore a
π
2
) unita al fatto che stavamo trovando una
applicazione al teorema del triangolo rettangolo, avessero inculcato l’idea che
ABC fosse
rettangolo. Convengo che la mia rappresentazione grafica abbia costituito un ostacolo al
raggiungimento di una corretta strategia di risoluzione (infatti se l’angolo in C fosse retto, l’area si
troverebbe, come al biennio, considerando il triangolo la metà di un rettangolo). Che negli alunni
non fosse avvenuto l’accomodamento tra le nozioni di geometria piana del biennio e quelle della
trigonometria si è evidenziato nelle verifiche successive. Gli studenti (quasi tutti) hanno continuato
ad usare la formula (base x altezza)/2 per trovare l’area di un triangolo qualsiasi.
A parte l’aspetto ‘non positivo’ appena accennato, a conclusione di questa prima lezione posso dire
di aver rivelato anche un atteggiamento di riconoscimento e connessione ‘in potenza’, se così posso
dire. Infatti, dopo aver semplicemente preannunciato, per le lezioni future, lo studio di problemi
relativi a figure più o meno complesse, diverse dai triangoli, Maria Vittoria ha completato la frase
dicendo ‘Sì, beh, il trucco è, quando abbiamo figure complicate, riconoscere e dividere la figura in
triangoli rettangoli per poter applicare i teoremi, poi sommo tutte le informazioni ottenute, cioè le
misure di lati e degli angoli, a seconda di quello che mi viene chiesto, vero prof?’…..Non era
proprio mia intenzione, a questo punto del percorso, non avendo ancora analizzato i teoremi sui
triangoli qualsiasi, ‘forzare’ l’attenzione sul riconoscimento dei triangoli rettangoli delle figure, per
non creare, quale misconcezione, l’idea di individuare in ogni figura triangoli rettangoli ai quali
20
applicare i teoremi. Tuttavia, l’intervento di M.Vittoria mi ha fatto avere l’impressione che la mia
didattica non fosse sempre del tipo A.
La lezione successiva ho affrontato il teorema della corda.
Avevo pensato, inizialmente, di enunciare e dimostrare il teorema e di fare più di due esercizi
applicativi, riportati più sotto. In realtà ho fatto solo questi due, perché mi è sembrato utile
richiamare i prerequisiti necessari per la dimostrazione, cioè:
-
angoli alla circonferenza che insistono su una corda sono congruenti fra loro;
-
gli angoli alla circonferenza sono la metà dei corrispondenti angoli al centro;
-
triangoli inscritti in una circonferenza sono rettangoli;
-
un quadrilatero inscritto in una semicirconferenza ha angoli opposti supplementari.
In particolare, l’ultimo punto riveste importanza notevole nei problemi ‘veri e propri’ (sarà
evidenziato nella fase finale). Ho portato, quindi, gli studenti a riconoscere che gli angoli alla
circonferenza che insistono sulla corda sono sia quelli relativi agli angoli al centro, concavi, sia
quelli relativi agli angoli al centro, convessi. A questo punto mi ha fatto piacere avvertire nelle
parole di Lorenzo l’avvenuta connessione: “ Quindi gli angoli opposti di un quadrilatero inscritto in
una circonferenza sono supplementari perché la somma dei rispettivi angoli al centro, che insistono
sulla stessa corda, uno concavo ed uno convesso, è 2π , vero prof.?”
Non ho speso parola in questo momento, ma sarebbe stato opportuno farlo soprattutto in vista della
discussione dei casi limite che si presentano nei problemi, riguardo al fatto che data una corda AB
in una circonferenza, l’angolo formato dalla tangente in A con la corda è congruente a qualsiasi
angolo alla circonferenza che insiste sulla corda.
Per evitare che la trattazione fosse impostata in termini di ‘Didattica A’, ho cercato una
implicazione personale degli studenti che desse vita alla devoluzione, proponendo di trovare le
misure dei lati del triangolo equilatero, del quadrato e dell’esagono regolare inscritti in una
circonferenza di raggio r, come applicazione del teorema della corda. Come nel caso dell’area del
triangolo, anche qui ho riscontrato la difficoltà maggiore nel fare spazio, tra le ‘vecchie’
conoscenze, alla nuova situazione, situazione questa di accomodamento. Ad esempio, Federico mi
ha detto: “Alle scuole medie, durante le lezioni di educazione tecnica, ho imparato a disegnare un
esagono regolare inscritto in una circonferenza, con il compasso. Si vedeva che si formavano sei
triangoli equilateri, quindi, in ogni triangolo, tutti gli angoli erano di
in geometria che se l’angolo al centro è
π
3
π
3
. Poi, al biennio, ho studiato
, quello alla circonferenza è
π
6
. Cosa aggiunge il
teorema della corda? A che mi serve?”. In questo caso, ho voluto far presente, chiedendo un po’ di
21
pazienza per interiorizzare il concetto nel proseguo, che nei problemi di trigonometria il teorema
della corda non serve per trovare le misure del lato dell’esagono regolare, quanto per riconoscere
nella misura della corda la misura del lato di un esagono regolare, inscritto in una circonferenza, che
sottende quindi alla circonferenza un angolo di
π
6
.
Nel momento della verifica, ho riscontrato difficoltà nel fare ciò. Molti applicavano il teorema della
corda per trovare l’angolo alla circonferenza che insisteva su di una corda ‘nota’. La corda doveva
essere nota benchè, appunto, le informazioni a riguardo non fossero esplicite nel testo, come nel
seguente problema, svolto in classe, che richiedeva di individuare l’angolo APB =
π
6
:
Problema: Considera una circonferenza di raggio r e una sua
corda AB = r . Sul maggiore dei due archi AB prendi un punto
P e poni PBA = x . Esprimi BP in funzione di x e trova per
quali valori di x si ha la corda massima.
Questo problema ha offerto anche l’occasione per verificare l’assimilazione della formula degli
⎛
archi associati , dato che si doveva riconoscere che s en ⎜ π
⎝
⎛π
⎞⎞
⎛π
⎞
− ⎜ + x ⎟ ⎟ = sen ⎜ + x ⎟ .
⎝6
⎠⎠
⎝6
⎠
In seguito si renderà evidente come in ogni problema occorra riconoscere
situazioni in cui
intervengono archi associati e applicare i teoremi conseguenti. Ecco un problema svolto in classe:
Problema: In una circonferenza di raggio 2, la corda AB misura
16
5 . Preso C sull’arco maggiore AB in modo che AC = CB ,
9
determina il perimetro e l’area del triangolo.
Anche qui, a conclusione della lezione, ho potuto constatare una avvenuta connessione, forse banale
rispetto alle altre, ma comunque, per me, gratificante. Alla mia domanda: ‘Come facciamo a
riconfermare che un triangolo inscritto in una semicirconferenza è rettangolo?’Gli studenti non
22
π
⎛
⎞
hanno esitato a rispondere che è una conseguenza del teorema della corda ⎜ sen = 1⎟ , ma anche
2
⎝
⎠
che l’angolo alla circonferenza è la metà dell’angolo al centro (π ) .
Il Teorema di Carnot è stato oggetto di un’altra lezione. Ho fatto notare che il teorema è detto anche
teorema del coseno (il coseno rientra nella formula, così come il seno entra nel teorema dei seni) o
teorema di Pitagora generalizzato. Questo perché, se il triangolo è rettangolo, il teorema del coseno
si riconduce al teorema di Pitagora. I ragazzi hanno particolarmente apprezzato (ed aveva sempre
aiutato anche me, quindi non volevo dimenticare di menzionarle) le diverse denotazioni del
teorema, in quanto, come hanno detto, “con i nomi hai già scritto la formula. Scrivi il teorema di
Pitagora per trovare l’’ipotenusa’, come se il triangolo fosse rettangolo, e poi ci togli il doppio
prodotto di due ‘cateti’, moltiplicato per il coseno dell’angolo fra di essi!”. Sicuramente,
l’operazione compiuta dagli studenti nel ragionamento, operazione ad essi più congeniale per
sfruttare le conoscenze pregresse, è stata la generalizzazione del teorema di Pitagora, da un
triangolo rettangolo ad un triangolo qualunque. La mia intenzione, invece, che incarna anche il mio
modo di concepire la costruzione di conoscenza in fisica, ad esempio, voleva proporre il metodo
deduttivo per trasferire conoscenze dal generale al particolare. Capisco che, però, tale approccio
risulti più ‘artificiale’ in questi casi.
Tra i problemi significativi, a mio avviso, proposti, cito il seguente:
1) In un parallelogrammo due lati consecutivi misurano 4 e 20 e l’angolo fra essi compreso è
α = arcsin 4 5 . Calcola le misure dell’area e della diagonale maggiore.
Le operazioni da fare, nell’analisi del problema, sono, in questo caso:
-
identificare l’angolo α1
acuto fra i due lati, individuato dalla funzione arcoseno
π⎞
⎛ π
⎜ − ≤ arcsenα1 ≤ ⎟ . Su questo punto non si sono rilevate difficoltà.
2⎠
⎝ 2
-
riconoscere che i due angoli α1 e α 2 , fra loro supplementari, rappresentano i coniugati interni di
due rette parallele tagliate dalla trasversale. In un problema della verifica finale veniva
23
riproposto questo modello, con gli stessi numeri, ma in una forma diversa. α era l’angolo il cui
coseno era 3/5 e rappresentava l’angolo compreso fra la diagonale e un lato del
parallelogrammo, di misure rispettivamente 20 e 4. Tornerò più avanti su questo esercizio,
riportando dei protocolli raccolti dagli studenti, per discutere gli ostacoli presentati anche a
carattere linguistico. Mi preme qui insistere sul mancato riconoscimento, nella verifica, degli
angoli coniugati interni, che mi sembrava di avere messo in evidenza in aula.
-
riconoscere e applicare, nel teorema di Carnot per trovare la diagonale maggiore,
cos (π − α1 ) = − cos α1 .
Questo problema ha riproposto il modello, ben consolidato negli studenti, della formula dell’area
come base x altezza. Quasi tutti gli studenti hanno identificato come modello di risoluzione, la
formula del biennio, tracciando l’altezza relativa al lato più lungo, e calcolandone il valore col
teorema del triangolo rettangolo; altri hanno osservato che l’operazione di cui sopra avrebbe
richiesto un’operazione in più. Secondo loro “il testo guida la risoluzione perché ci chiede di trovare
la diagonale. Sappiamo che essa divide il parallelogramma in due triangoli uguali. Quindi troviamo
l’area del triangolo con la formula della trigonometria, perché abbiamo due lati e l’angolo
compreso, e moltiplichiamo per due”. Benché, dico, sia veramente immediato tracciare l’altezza del
parallelogrammo, riconosco le mie intenzioni di aver proposto il problema anche per vedere quanto
sia facile/utile “fare economia nei passaggi”.
Inoltre, questo è il primo problema in cui ho insistito sull’importanza della costruzione della figura,
sfruttando le conoscenze del biennio, ma mi accorgo ora che ne potevo fare a meno, vista la
complessità del mio progetto: dato che i lati (maggiore e minore) stanno fra loro nella proporzione
5:1, si può sfruttare il compasso per riportare 5 volte la misura di un segmento (il lato di misura 4,
raggio della circonferenza) su un altro segmento (il lato di misura 20), sfruttando i teoremi di un
fascio di rette parallele (le corde delle circonferenze di raggio r, 2r, 3r, 4r, 5r rispettivamente, di
lunghezza pari al raggio) segato da due trasversali (i lati di 4 e 20).
In una lezione successiva ho enunciato e dimostrato il teorema dei seni, considerando un triangolo
inscritto in una circonferenza di diametro 2r. Ho evidenziato una duplice difficoltà: da un lato,
quella di riconoscere una corda come lato di una figura piana; dall’altro, ma è collegata alla prima,
quella di riconoscere gli angoli del triangolo come angoli alla circonferenza che insistono, ciascuno,
su di un lato. Probabilmente, ciò è dovuto al fatto che non si sono svolti molti problemi di
applicazione del teorema della corda. D’altra parte, la mia ingegneria didattica voleva
deliberatamente evitare l’applicazione ‘routinaria’, se così si può dire, dei teoremi stessi.
24
Per arrivare alla formulazione del teorema dei seni occorre applicare, per tre volte, il teorema della
corda al triangolo, individuando il diametro come ‘invariante’. “Il triangolo deve essere per forza
inscritto in una circonferenza?”, ha chiesto qualcuno. Mentre rispondevo di no, ancor prima di
passare all’altra dimostrazione, che utilizza i teoremi del triangolo rettangolo tracciando l’altezza
relativa ad un lato, qualcun altro è intervenuto dicendo: “Si può anche non dire che il triangolo è
inscritto in una circonferenza, tanto, comunque, per tre
punti passa sempre una e una sola
circonferenza”. Giusto! e a quel punto sorgeva spontanea la mia domanda: “Quale è il centro della
circonferenza circoscritta?”. Non tutti hanno risposto, come mi sarei aspettata, che il circocentro è il
punto di incontro degli assi di simmetria dei lati del triangolo, rivelando di non essere in possesso
della connessione sui luoghi geometrici. Pur conoscendo, cioè, il concetto di luogo geometrico di
centro della circonferenza circoscritta, viene meno la rappresentazione figurale.
Questa lezione è risultata particolarmente efficace per far comprendere ai ragazzi il significato
dell’utilizzo dei teoremi, anche nella dimostrazione di altri teoremi, e ha leggermente modificato
l’atteggiamento degli studenti nei confronti della dimostrazione, avvertita come qualcosa di astratto e
noioso. Qualcuno ha detto:
“Queste non sembrano le dimostrazioni del biennio. Sono quasi esercizi. Al biennio non si finiva
più…ipotesi, tesi, criteri di similitudine, rette parallele tagliate dalla trasversale. Qui sfrutto i teoremi
stessi…è più facile!”.
Tra i problemi analizzati in classe cito i seguenti:
1)
Determina il perimetro del parallelogramma ABCD di base AB sapendo che
BD = 12, D AB =
π
3
, ABD =
π
4
.
Esso non presenta sostanziali difficoltà, se non l’accortezza di lasciare indicato l’angolo
⎛π π ⎞
ADB = π − ⎜ + ⎟ , in modo da calcolare facilmente il seno dell’angolo ricorrendo alle formule di
⎝3 4⎠
addizione. Luca mi ha chiesto: “Prof, ma se faccio i calcoli e mi viene ADB =
⎛π π ⎞
scrivo dopo come ⎜ + ⎟ non va bene lo stesso?”. “Si, ma
⎝3 4⎠
fai un passaggio in più, ricomponi e poi scomponi un angolo
che era già scomposto e poi…”. Ha finito lui la frase dicendo:
“Ah si, non sfrutto la formula degli archi associati”.
2) Nel triangolo ABC sono noti il lato AB, la bisettrice AT
dell’angolo BAC e il segmento BT staccato da tale bisettrice
25
5
π , cioè 75°, e lo
12
sul lato BC; le loro lunghezze sono: AB = 6 cm, AT = 6 ( 3 − 1)cm, BT = 3 2( 3 − 1)cm. Calcola
il perimetro e l’area del triangolo.
Inizialmente, avevo pensato di risolvere il problema sfruttando, laddove fosse possibile, sia il
teorema dei seni che il teorema di Carnot, per evidenziare man mano le difficoltà e/o i punti di forza
dei due percorsi. In realtà, dal colloquio col tutor, è emersa l’indicazione, a carattere metodologico,
di “guadagnare tempo” (e scopro ora, a fine progetto, quanto fosse ‘oculato’ il suo suggerimento) in
vista della risoluzione dei problemi, scegliendo quindi il modo più semplice di risoluzione. In
questa sede, per una riflessione a carattere didattico, mi sembra opportuno far emergere problemi di
approccio alla risoluzione con il teorema dei seni:
•
I passo: occorre misurare i tre lati (necessari per il perimetro) e due angoli compresi fra i due
lati dei triangoli, che ‘naturalmente’ si formano all’interno del triangolo di partenza. Si potrà
applicare poi la formula dell’area, senza ‘complicarsi la vita’ tracciando qualche altezza che
consenta di calcolare l’area come da biennio. In questo frangente, ho voluto che Maria Vittoria
completasse il suo accomodamento nell’immagine di una figura piana complessa, che pensava
divisa in triangoli rettangoli per risolverla. Ad una mia sollecitazione ha ribattuto: “Visto che la
formula dell’area vale per triangoli qualunque basta ottenere questi nelle figure…qui è facile
perché li vedo già. Ma dove non li vedo?” “Ci arriveremo presto” le ho risposto, forse un pò
frettolosamente..
II passo: Applicare Carnot a ABT per ottenere β .
•
2
2
2
AT = AB + BT − 2 AB ⋅ BT cos β .
Risolvendo l’ equazione elementare cos β =
2
, con la condizione 0 < β < π si ottiene una sola
2
2
⎛π ⎞
soluzione ⎜ ⎟ , perché esiste un solo angolo convesso avente
per coseno.
2
⎝4⎠
•
III passo: Applicare ancora Carnot a
2
2
2
BT = AT + AB − 2 AT ⋅ AB cos
L’ equazione elementare cos
è 0 < α < π ).
26
α
2
=
α
2
ABT per ottenere
α
2
.
.
3
α π
π
ha per soluzione = e quindi α = (la condizione per α
2
2 6
3
E’ qui il caso di far notare che se si fosse applicato il teorema dei seni a
ABT , scrivendo quindi
AT
BT
α 1
=
, si sarebbe giunti all’equazione elementare del tipo sen = . Tale equazione ha
senβ sen α
2 2
2
per soluzione due angoli
α1
2
=
π α2
6
,
2
=
5π
. Il secondo valore va scartato perchè, nel nostro caso,
6
l’angolo interno al triangolo deve essere acuto. Si riottene, quindi, per α1 il valore
π
3
ottenuto col
teorema del coseno.
•
IV passo: Applicare il teorema dei seni ad
(
ABC per ottenere AC. Avendo α e β si trova
)
γ = π − π 4 + π 3 e si calcola senγ , da cui è semplice calcolare AC. Questo è l’unico modo per
trovare AC. Non si può applicare Carnot.
•
V passo: Calcolo dell’area (somma dell’area di CAT e TAB ) e del perimetro di ABC.
A conclusione di questo problema, e di tutta la fase I relativa ai teoremi sui triangoli qualsiasi,
Giulia mi ha chiesto: “Prof, quindi a lei piace più il teorema di Carnot perché, nel caso uno lo
utilizzi per ricavare l’angolo, è più facile avendo un coseno che non un seno, ma c’è una ‘regola’
per quando applicarlo? Per esempio, questo problema aveva come dati i lati del triangolo. Si può
dire che il teorema del coseno si applica quando sono noti i lati?”. “Beh, certo, in questo caso sì, il
teorema di Carnot rappresenta l’unica opzione per risolvere il triangolo, ma in generale, non c’è
ricetta!!” ho risposto.
2.3)
FASE II
La seconda fase del progetto prevedeva, una volta studiati i teoremi, la risoluzione dei triangoli
qualsiasi. Questa fase nasceva con l’idea di fungere da spartiacque fra una didattica A, centrata sulla
trasformazione degli enunciati dei teoremi in linguaggio specialistico in uno comprensibile agli
studenti (vedi ricorso ad esercizi applicativi), ad una didattica B, centrata sull’apprendimento.
Questa fase, ma soprattutto quella successiva, (i problemi ‘veri e propri’) nasceva nella mia mente
con lo scopo di rafforzare i concetti di base, cioè i teoremi, per permettere allo studente di costruire
conoscenza, organizzando le proprie costruzioni mentali. Aderisco infatti all’idea di Kilpatrick
(1987a), secondo la quale conoscere è un processo di adattamento grazie al quale il soggetto che
apprende organizza il proprio dominio di esperienza (non ho letto l’articolo di Kilpatrick, che è
raccolto tra i proceedings di una conferenza, ma ho appreso il suo pensiero da D’Amore, 1999).
27
Accenno fin da ora, ma sarà oggetto del prossimo capitolo sulla valutazione, che a giudicare dai
risultati del compito scritto questa fase non ha portato a risultati positivi, per un mio ritorno alla
didattica A, o forse per un insieme di cause da valutare, non ultima la difficoltà dell’oggetto
matematico.
Nella lezione di partenza sulla risoluzione dei triangoli, ho consegnato una fotocopia (in allegato)
con i quattro casi per la risoluzione dei triangoli e l’ho commentata, utilizzando anche la lavagna.
Non ho fatto esempi in classe ma ho assegnato semplici esercizi per casa, di riproduzione dei
concetti, chiedendo di risolvere i seguenti triangoli (questo è un tipico caso di didattica A):
1) a = 2 6, b = 6 2; α = 30° (III caso, il più ‘difficile’)
2) a = 2 6, b = 6 2; γ = 45° (caso II)
3) a = 6 3, β = 45° , α = 60° (caso I)
Mi rendo conto, consegnando una fotocopia riepilogativa, di aver fatto la gioia degli studenti da un
lato, ma di aver costituito io stessa un ostacolo per loro, nel raggiungimento della conoscenza,
dall’altro. Infatti, lo schema ha rappresentato una sorta di delega formale per la non implicazione
personale nel processo di risoluzione dei triangoli. Tra l’altro, mentre alcuni casi richiedono, in
prima battuta, l’applicazione di una sola strategia risolutiva (ad esempio, se il problema fornisce tre
lati o tre lati e un angolo la risoluzione del triangolo passa attraverso l’applicazione del teorema di
Carnot), in altri casi, o in seconda battuta negli esempi precedenti, si ha libertà di scelta (ad esempio
se si hanno due lati e un angolo, quello non compreso fra di essi), quindi davvero non è un
‘ricettario’. Ma questo l’ho fatto presente.
Continuando a procedere ‘per problemi’, in classe abbiamo
svolto esercizi più ‘complicati’, quali:
1)
Nel triangolo acutangolo PQR sono noti il lato
PQ =
(
)
3 + 1 m , la bisettrice
)
PQR = π
4
PT = 2m,
e l’angolo
. Determinare gli elementi incogniti del
triangolo, la sua area e il suo perimetro.
Questo problema rappresenta una prima situazione in cui è necessario “adottare” un’incognita (sulla
questione sarei dovuta tornare, dedicando ad essa una lezione intera, durante la fase successiva,
impostando il discorso sul fatto che ad ogni funzione è associato un dominio di definizione).
Chiamando QPT = x (in linea con i contratti didattici di IV liceo, secondo i quali è più ‘naturale’
28
che l’incognita sia una angolo, ma in realtà è bene violare questa clausola, perché potrebbe essere
π
π⎞
⎛
più vantaggioso prendere un lato come incognita) e stabilendone i limiti ⎜ 0 ≤ 2 x ≤ → x ≤ ⎟ , si
2
4⎠
⎝
)
stabilisce se il valore dell’angolo PTQ è accettabile oppure no. Nel risolvere PQT si arriva a
)
⎛ 6+ 2⎞
senPTQ = ⎜⎜
⎟⎟ . Se non si riconosce nella formula una indicazione relativa all’angolo di 75°
4
⎝
⎠
(o 105°) conviene ‘calcolarlo’ con la calcolatrice. Una soluzione (105°) è accettabile; l’altra non ha
senso perché, procedendo a ricavare l’angolo al vertice P , esso risulterebbe ottuso (e non può
essere perché il triangolo deve essere acutangolo, come è esplicitamente indicato nel testo!). Mi
sono chiesta se il fatto che l’angolo da scartare fosse quello acuto, invece che ottuso, avesse creato
una rottura nel transfer cognitivo. Dai problemi analizzati fino ad allora, infatti, costruiti ‘ad hoc’
per l’applicazione dei teoremi cui facevano riferimento, era sempre emersa l’accettazione di angoli
acuti. Ora siamo nel caso opposto ed era ovvio che Luca, alla mia richiesta di dire quale angolo
andasse scartato, rispondesse senza un attimo di esitazione ‘105° !’. Nessuno ha obiettato a
riguardo.
In seconda battuta, invece che risolvere
PTR , si applica il teorema dei seni a
PQR , che ha
angoli ‘più comodi’ – come dice Beatrice. La formula dell’area è quella “della trigonometria”?chiede. “Si”, rispondo, perché, pur non essendo una definizione formale, quel linguaggio mi
permette di stabilire un contratto con la classe. In più, dall’espressione usata mi rendo conto che per
Beatrice
è avvenuto l’accomodamento fra le nozioni di geometria piana del biennio e la
trigonometria del IV anno.
2.4)
FASE III
Subito prima della risoluzione dei problemi, ho dedicato una lezione (2 h) allo studio delle relazioni
in una figura piana. Si sono affrontati problemi cosiddetti ‘prossimali’, con lo scopo di individuare
relazioni fra segmenti e angoli in un triangolo, esprimere area e perimetro di figure piane, in
funzione di lati e angoli di triangoli, e determinare elementi di una figura piana in base a una (o più)
condizioni assegnate.
Gli esercizi che ho presentato in classe, e che riporto di seguito, si presterebbero ad una diversa
trasposizione didattica di alcuni argomenti disciplinari attraverso l’utilizzo di un software di
geometria, come il già ricordato Cabri-géomètre. Lo scopo per cui tale software potrebbe venire
impiegato, a questo punto, è quello di avvicinare gli studenti alle costruzioni geometriche, che si
presenteranno sempre più complesse. Si vedrà anche in seguito come esse assumeranno grazie al
29
software aspetti dinamici che prima mancavano forzatamente se effettuate alla lavagna con il gesso.
Infatti, mediante questi nuovi strumenti, gli allievi potrebbero rendersi conto subito e visivamente di
come cambia l’intera figura o parti di essa quando se ne fanno variare alcuni elementi. In realtà, ho
programmato la sessione in laboratorio per studiare i casi limite che si presentano quando si
introduce l’incognita (quindi ne parlerò nella fase problemi).
In questa fase, ho proposto semplici (?) esercizi in cui lo studente fosse costretto ad aderire, o
meglio ad accettare e a costruire con me, un insieme di relazioni, rappresentazioni, immagini,
descrizioni preposizionali. In particolare, come clausola del contratto didattico, ho indotto lo
studente a delegare al testo del problema, e quindi a me che l’ho proposto, la risoluzione di un
triangolo, esprimendo relazioni fra i suoi elementi in funzione di quel parametro fisso che il
problema assegnava. In altre parole, si aderiva all’unico modo di risoluzione esplicitamente
indicato. Non c’era spazio per la creatività, attraverso altre strade. Lo scopo era quello di arrivare, in
un secondo momento (nei problemi ‘veri e propri’), a rompere questa clausola per favorire il
necessario accomodamento per la costruzione della conoscenza. Non volevo più cioè assegnare
problemi ‘guidati’ (dal testo) ma ‘a risoluzione libera’. Esempi di problemi ‘guidati’ proposti e
svolti in classe sono stati i seguenti:
1) Dato un triangolo isoscele, il cui coseno dell’angolo alla base è cos α = 7
13
, esprimere
perimetro e area in funzione dell’altezza relativa alla base.
Un tale problema è risultato di facile interpretazione per gli studenti, i quali ne hanno compreso la
propedeuticità a problemi futuri, dei quali stavano presagendo la complessità. Lo dimostra la frase
di Lorenzo: “Problemi prossimali non vuol dire certo approssimativi, mi sembra, dato che è
chiaramente indicato il parametro col quale esprimere la funzione. Rispetto al problema di prima, in
cui l’incognita dovevamo stabilirla noi, qui so qual è e non devo stabilirne poi il valore, vero? Però
mi sembrano più esercizi che
problemi, perché più che pensare bisogna applicare i teoremi
opportuni….ma prof ci parla sempre dei problemi veri e propri…quali sono?”. Ho avvertito che i
ragazzi identificavano questa categoria di problemi come una pratica algoritmica, benché esprimere
perimetro e area in funzione di un parametro del triangolo richieda l’applicazione di teoremi
opportuni.
2.5)
FASE IV
Infine, la fase dei Problemi. Essa rappresenta l’anima del progetto didattico, in quanto coinvolge
tutte le conoscenze e competenze acquisite durante il percorso fin qui proposto, e nell’intero anno
scolastico.
30
Lo studio di tale problema richiede il passaggio attraverso step intermedi, discussi col supervisore,
il quale mi aveva messo a disposizione i materiali usati dai docenti del Liceo Fermi per
l’introduzione dei problemi in alcune classi. Devo dire che è stato molto proficuo confrontarmi con
qualche altra ingegneria didattica, prima di proporre alla classe la ‘mia’, per impossessarmi di un
modello di risoluzione condiviso. Inoltre, questa sorta di contratto didattico col tutor ha reso più
efficaci i numerosi confronti sui migliori problemi da proporre, in termini di difficoltà didattiche
che essi ponevano.
Ho suddiviso l’analisi di un problema, nei seguenti punti:
a) Lettura e analisi del testo del problema:
- individuare informazioni implicite ed esplicite;
- riconoscere relazioni significative.
b) Disegno della figura con riga e compasso, cioè tradurre il problema in ambiente figurale; per
riorganizzare gli elementi del problema, e costruire conoscenza, lo studente può cercare di
completare la figura tracciando segmenti, altezze, evidenziando angoli, nel tentativo di produrre
“buone configurazioni” o di scoprire regolarità. Spesso, poi, ci si accorge dalla figura che essa
appare più ‘ampia’ di quella di partenza (ad esempio quando, dato un triangolo, si chiede di
tracciare la proiezione di un punto che si trova su un lato ad un altro lato).
c) Adozione dell’incognita (esplicitata o non espressamente dichiarata), solitamente la misura di un
angolo.
d) Discussione preliminare dei ‘casi degenere’ per i valori limite dell’incognita. Costruzione della
figura in ambiente Cabri. Esso rappresenta un potente strumento per la traduzione di informazioni
del problema in ambiente figurale. Presuppone, infatti, per la costruzione di figure geometriche ben
determinate, ad esempio un quadrato, modelli mentali ben strutturati. Cabri rappresenta la metafora
della costruzione con riga e compasso, pertanto si basa su solidi modelli rappresentativi.
e) Formalizzazione delle relazioni del problema e determinazione delle espressioni per le grandezze
coinvolte.
f) Scrittura dell’equazione che risolve il problema (modello) e risoluzione.
g) Controllo delle soluzioni (e interpretazione).
Una lezione è stata dedicata alla presentazione di problemi in cui l’incognita fosse rappresentata,
rispettivamente, da un lato (problema 0, così indicato perchè può apparire un problema di II Liceo)
e un angolo (problemi 1,2,3). I problemi 0,1,2,3 sono stati svolti in classe e poi si è analizzata la
figura in laboratorio, con l’utilizzo del software Cabri, dopo avere familiarizzato col software stesso
seguendo gli esercizi proposti nella scheda.
31
0) la corda AB di una circonferenza di centro O e raggio r è lunga quanto il lato di un
triangolo equilatero inscritto nella circonferenza. Traccia da B la tangente alla
circonferenza e prendi su di essa un punto P appartenente al semipiano individuato da AB e
2
2
contenente O. Poni PB = x. Esprimi f ( x) = AP − AB e determina per quale valore di x è
f ( x) = 1 r 2 .
4
Riguardo al punto a) (ed anche al punto b)), gli studenti hanno riconosciuto nel testo una
informazione ‘nascosta’ (a fine percorso ci speravo!), cioè “conoscendo la lunghezza della corda
AB, si conosce anche il seno degli angoli alla circonferenza che insistono su di essa”. “Ma quali
sono, tra i tanti angoli che insistono su AB, quelli che ci interessano maggiormente?” Gli angoli
individuati in figura, compresi quelli dei triangoli rettangoli che hanno il diametro come ipotenusa,
sono quelli indicati dai ragazzi. Non mi è stato riportato N BA che, avendo un lato sulla tangente
alla corda in un suo estremo, è congruente a qualsiasi angolo alla circonferenza che insiste sulla
corda. D’altra parte, come ho potuto già segnalare non senza rammarico, non avevo ricordato questa
proprietà durante il ripasso dei prerequisiti.
A proposito del punto c), alla mia richiesta di scegliere l’incognita, utile per riconoscere relazioni
significative, Andrea ha fatto notare che “la funzione da esprimere spinge a cercare relazioni fra AP
ed AB, ma AB è fisso mentre AP no, quindi cerco come varia AP”. Poi ha continuato: “Perché il
testo dice di indicare PB con x, visto che la misura di AP dipende solo dall’angolo B AP ? In questo
caso un problema di quelli di prima, prossimali, mi avrebbe chiesto di risolvere il triangolo ABP in
funzione di x, no?. Applicherei il teorema dei seni e avrei subito AP…” “Voi che dite?” ho chiesto
io. “Secondo me” - ha replicato un altro- “il fatto che la funzione contenga due lati al quadrato
spinge ad applicare il teorema di Carnot, ma in tal caso, per avere f(x), x deve essere un lato!
Esprimere AP in funzione di x è facilissimo. Lo trovo ‘con Carnot’. Lo vedo dalla figura che
l’angolo ABP è somma di un angolo retto, in quanto la tangente è perpendicolare al raggio ‘per
costruzione’, e di un angolo che è metà dell’angolo di un triangolo equilatero!”.
32
Mi rendo conto da questo confronto di come l’adozione di un angolo quale incognita sia in linea
con i contratti didattici stipulati dagli studenti, nello studio della trigonometria. Vale adire: in quarta
l’incognita deve essere quasi sempre un angolo. Tuttavia, l’adozione di x = PB risulta esplicita nel
testo, ed appare come una rottura dalla clausola del contratto didattico. A ben guardare, in realtà,
l’adozione di x = P AB comporterebbe l’utilizzo del teorema dei seni, mentre la natura della
2
2
funzione da valutare f ( x) = AP − AB orienta il pensiero verso il teorema di Carnot (applicato ad
⎛π π ⎞
ABP , dove l’angolo in B = ⎜ + ⎟ ) e a tal fine l’adozione di un lato come incognita appare
⎝2 6⎠
naturale.
“Cosa vuole il problema?” ho chiesto ad un certo punto per intavolare una discussione preliminare
sui limiti dell’incognita e le relative figure degeneri (punto d). La richiesta del problema è di
quantificare una variabile, al fine di ottenere una valutazione assegnata per una certa funzione. Una
discussione ‘preliminare’ assume un enorme significato dal punto di vista didattico. Rimanda alla
definizione del dominio di una funzione assegnata, e può assumere anche i valori finiti che
definiscono il suo intervallo di variabilità. Spesso è collegata a conoscenze relative a figure
degeneri, e laddove la figura è complessa, strutturata, l’utilizzo di un software dinamico per
‘vedere’ le figure degeneri viene in aiuto.
“Il problema chiede di risolvere un’equazione, perché devo trovare il valore di x per cui la funzione
assume un certo valore” dice qualcuno. Ma in tutti i problemi ci deve essere una equazione, se
voglio risolverli?” “No, lo vedremo con altri problemi” ho risposto, pensando all’esistenza di
qualche clausola specifica del contratto didattico che colleghi un problema ad una equazione
risolvente.
In questo caso, ho notato molte difficoltà nel considerare i casi limite. “Dunque un caso limite è
quando non esiste più la figura, quindi quando x=0, perché AP si sovrappone ad AB e la figura
degenera in un segmento; l’altro non lo so. Mi sembra che x possa andare all’infinito, ma non riesco
a disegnare la figura” ha detto qualcuno. “Secondo me di sicuro AP non può sovrapporsi ad AC,
che è parallelo a BP, ma tutte le altre posizioni tra AB e AC vanno bene”. Ovviamente, i ragazzi
non hanno il concetto di infinito, e a tal proposito l’utilizzo di Cabri potrebbe esserne d’ausilio per
un concetto intuitivo, dato che si vedrebbe, spostando col cursore il punto P, che le misure del
segmento BP aumentano sempre, man mano che AP si avvicina ad AC. Mi preme sottolineare qui
come sia inscindibile, per gli studenti, il ricorso alla figura per discutere il dominio della funzione.
L’equazione risolvente, ottenuta dall’espressione algebrica degli elementi del problema, è:
x 2 + 3rx = 1 r 2 , equazione algebrica di II grado che può essere risolta in base a comuni nozioni
4
33
del biennio. Anche in questo caso, l’immagine della figura aiuta a scartare subito la soluzione
negativa (“un lato negativo non esiste”).
Tra i problemi ‘tipici’ di IV, per differenziarli dal problema 0 ‘da biennio’, riporto i seguenti,
utilizzati anche per l’esercitazione in laboratorio in ambiente Cabri. Ho dedicato una intera lezione
(2 h) alla costruzione delle figure con tale software didattico. Ho consegnato agli alunni una scheda
(in allegato), opportunamente preparata in accordo col tutor, per familiarizzare con le prestazioni
del supporto informatico. A seguire, abbiamo ripreso problemi precedentemente discussi in classe.
Problema 1 Sia ABCD un quadrato di lato 2r . Traccia la circonferenza di diametro AB e
considera un punto P appartenente alla semicirconferenza interna al quadrato, ponendo P AB = x .
2
2
Sia P ' il simmetrico di P rispetto ad AB. Determina la funzione f ( x) = DP ' − PA . Trova per
quale valore di x la funzione assume valore massimo.
La lettura del testo induce alcune riflessioni di carattere linguistico:
- Un quadrato di lato 2r fa subito pensare al diametro di una
circonferenza. Come si procede, con riga e compasso, per disegnare una
circonferenza il cui diametro è il lato del quadrato? Alcuni studenti, in
questa prima parte, si sono divertiti a ‘costruire’ un quadrato in tutti i
modi possibile (avevo detto che c’erano varie procedure)
-
Il punto P è chiaramente identificato. Il suo simmetrico si ottiene
tracciando la perpendicolare al diametro e intersecandola con la
circonferenza. Si mostra in questo modo come connessione che il
diametro AB è l’asse del segmento PP’.
-
Il problema cita espressamente tutte le grandezze da rappresentare e da valutare per arrivare ad
una soluzione, e la sua traduzione in ambiente figurale risulta quasi immediata. Si chiede di
esprimere due segmenti in funzione di un angolo x, e di individuare una funzione.
Poiché la funzione può contenere seni e coseni (funzioni goniometriche, quindi periodiche), occorre
stabilire a quali limitazioni è soggetta x. L’utilizzo di Cabri facilita la ricerca delle limitazioni.
Quali posizioni estreme può assumere il punto P, vincolato sull’arco AB? La figura a sinistra
evidenzia
che
quando
P ≡ A → P' ≡ P ≡ A e x =
π
2
P ≡ B → P' ≡ P ≡ B e x = 0,
mentre
quando
.
Da notare, inoltre, quale baco del programma, il fatto di ‘discretizzare’ le misure degli angoli
(inoltre non ha senso l’indicazione di 81,5° , come mostra la figura)
34
2
2
Data la funzione f ( x) = DP ' − PA , si vede come i valori 0 e
π
2
siano compresi nel suo dominio.
“In questa figura, rispetto a quella del problema precedente, si capisce meglio tra cosa può variare la
x, perché la figura è chiusa” ha detto Federico. Invece che rispondere “Esprimiti meglio” mi son
sentita di aggiungere: “Si, la funzione è definita su un intervallo chiuso e limitato”, pensando che il
prossimo anno Federico avrebbe potuto operare una connessione con questo concetto intuitivo di
compattezza nel teorema di Weierstrass.
Problema 2 Su una semicirconferenza di diametro AB = 2r considera la corda AC = r e sull’arco
CB un punto P variabile, con P AB = x . Calcola x in modo che il perimetro di ACPB sia 5r .
Trova poi l’area del quadrilatero corrispondente al valore di x determinato.
In questo caso, per la lettura del testo occorre aver consolidato alcuni prerequisiti, quali la
definizione di corda e di poligono inscritto, la definizione di arco e di angoli corrispondenti ad un
arco assegnato.
Il problema può essere risolto solo estrapolando alcune informazioni, non dichiarate esplicitamente.
Innanzitutto, bisogna riconoscere nella corda AC il lato dell’esagono regolare inscritto, e in C BA
l’angolo alla circonferenza ad esso
relativo, cioè
π
6
. Il punto P può variare
sull’arco CB: sul minore, si presume, ma
non è detto esplicitamente. “Si capisce
che
è
sull’arco
minore
perché
il
quadrilatero è indicato con ACPB. Se
fosse sull’arco maggiore sarebbe indicato
con ACBP o APCB!” ha detto qualcuno,
dimostrandomi di prestare attenzione alla lettura del problema.
35
La trasposizione in ambiente figurale, col software Cabri, permette di individuare e prevedere le
rappresentazioni ‘limite’ (cioè quando P ≡ B e P ≡ A ). Le due figure ‘degeneri’ riportate sotto si
riconducono allo stesso modello, cioè ad un triangolo inscritto in una semicirconferenza, e perciò
rettangolo. Non solo! Necessariamente, gli angoli C AB e
π
3
e
π
6
ABC devono essere rispettivamente
, in quanto questo triangolo rettangolo ha come cateto una corda di raggio r, già riconosciuta
come lato di un esagono regolare inscritto in una circonferenza, che sottende un angolo al centro di
π
3
(e quindi un angolo alla circonferenza ABC di
π
6
). Dal punto di vista algebrico, la differenza
tra le due rappresentazioni sta nel valore dell’incognita, rappresentata da un angolo che è ‘nascosto’
in un caso (nella figura di sinistra, dove P ≡ B → x = 0 ) e vale
π
3
nell’altro. “In questo caso non
so quanto serva la figura con Cabri. Se non comparisse il valore dell’angolo mi confonderei. Anzi
no, la figura è utile per analizzare come diventa l’espressione algebrica nei due casi. La figura è la
stessa, quindi calcolo il perimetro una volta sola!”
Problema 3
In una semicirconferenza di diametro AB = 2r la corda AC misura r 2 . Il punto P , preso
sull’arco AC , ha proiezione H sul segmento AC e C ha proiezione K sulla tangente in P .
Detto x l’angolo C AP , studia la funzione y = CK −
36
PH
tenendo conto dei limiti del problema.
2
Questo problema implica una figura più strutturata delle precedenti. Lo studente deve quindi
interpretarla in un ambiente figurale, completandola con segmenti e raggi, evidenziando angoli, nel
tentativo di produrre ‘buone configurazioni’. Qualcuno mi ha manifestato il suo stupore utilizzando
Cabri: “Prof per fortuna che siamo venuti in laboratorio. In classe avevo disegnato PK parallelo ad
AC e non avevo capito che PH non appartiene, necessariamente, al raggio PO! Ecco perché non mi
veniva!”.
Poiché come dice il testo, il punto P ‘è preso sull’arco AC (“qui il problema è scritto bene”-mi
dicono- “parla di una semicirconferenza quindi l’arco è univocamente individuato”) le posizioni
‘limite’
che
può
assumere
sono,
P ≡ C → H , K , P ≡ C → x = 0 → f ( x) = 0 ,
come
si
oppure
vede
nella
figura
(figura
di
a
sinistra,
destra)
P ≡ A → H , P ≡ A → f ( x) = r . Si ‘forma’ (in ambiente dinamico) un quadrilatero KPOC che ha i
lati opposti paralleli e i lati adiacenti perpendicolari, per costruzione. Quindi un quadrato. La
diagonale del quadrato è bisettrice dell’angolo al vertice quindi x =
π
4
seppur in maniera erronea). La x può, quindi, assumere tutti i valori tra 0 e
37
(come è anche indicato,
π
4
, estremi compresi.
CAPITOLO 3. LA VALUTAZIONE
3.1)
LA VALUTAZIONE QUESTA SCONOSCIUTA
Il mio ruolo di tutor in qualche corso universitario, unito al fatto che prima di quest’anno non ero
mai entrata in un’ aula scolastica, ha contribuito a far sì che non attribuissi alcun significato al
termine valutazione, se non quello del ‘voto in trentesimi’ (decisione a mio avviso impegnativa
perché non mi sento ‘in grado’ di distinguere fra 26,27,28 e che comunque concordo col Professore
titolare, al quale riferisco le domande oggetto di valutazione e le risposte dello studente). Durante il
corso di studi alla SSIS, sia in Didattica generale che in Didattica della Matematica, sono venuta a
conoscenza della ricerca continua sul cosa vuol dire valutare e perché si valuta alle scuole superiori.
In questo capitolo, presenterò in un primo momento alcuni concetti che hanno colpito la mia
attenzione durante la lettura del libro di Fandiño Pinilla M.I. (2002) Curricolo e valutazione in
matematica, concetti ai quali non avevo proprio mai pensato. Dopodichè, cercherò di dimostrare
con esempi tratti dal tirocinio attivo in classe come ho utilizzato le indicazioni apprese. In
particolare, in questa seconda fase è risultata utile la lettura dei protocolli del Liceo Fermi sulla
valutazione, consigliatimi dal supervisore.
Se ‘valutare’ significa emettere un giudizio sopra qualche cosa, la valutazione implica una ricerca: è
un’azione permanente per mezzo della quale si cerca di dare un senso, stimare, emettere un
giudizio. Nel nostro contesto, il giudizio deve essere dato sui processi di sviluppo dell’allievo, sui
suoi risultati, al fine di renderne il livello più alto e di migliorarne la qualità. A tal scopo, si cerca di
determinare:
-i progressi raggiunti in relazione alle competenze e agli obiettivi proposti,
- le conoscenze che essi hanno acquisito o costruito e fino a che punto si sono appropriati di queste,
- le abilità e le capacità che hanno sviluppato,
- gli atteggiamenti ed i valori che hanno assunto e fino a che punto tutto ciò si è consolidato.
In opposizione ad una valutazione tradizionale, che privilegia la misura oggettiva, nella scuola sta
prendendo piede la cosiddetta valutazione critica (Fandiño Pinilla, 2002), che dà enfasi ai processi
(senza prescindere dai prodotti, ma senza riconoscere ad essi tutta l’importanza che spesso
38
ricevono): essa è “globale e continua” perché non è ristretta solo ad un determinato momento della
pratica didattica (nel mio caso alla sola correzione della verifica sommativa), e ad un solo soggetto,
ma deve essere attuata lungo tutto il percorso didattico, dato che essa ne è parte integrante.
Se si pensa per che cosa si valuta, mi sembra di aver capito che lo scopo é:
1)
prendere decisioni circa il contenuto (trasposizione didattica) e circa la metodologia del lavoro
in aula (ingegneria didattica). Nel mio caso, confermo, come già appuntato nel capitolo 2
sull’intervento in classe, che tanto la difficoltà dell’oggetto matematico (i problemi di
trigonometria), quanto i vincoli istituzionali (aderenza alla programmazione del Liceo Fermi),
uniti al mio senso di responsabilità nei confronti del tutor e della classe, hanno incentrato la
mia azione didattica sull’argomento in gioco più che sull’allievo (didattica A).
2)
prendere decisioni circa l’ambiente di classe. In un’ipotesi costruttivista, è dato per certo che
l’implicazione personale è il primo passo verso l’apprendimento; dunque, valutare se questa è
stata raggiunta è un passo di straordinaria importanza. A dire la verità, l’impostazione da
didattica A da un lato, ed una sorta di umiltà, o forse ‘delega formale’ (magari nascosta) da
parte mia all’ insegnante tutor sul ‘vero’, ‘lungo’ lavoro di adattamento della conoscenza
matematica per trasformarla in conoscenza per essere insegnata (Chevallard, 1985a), non mi
ha fatto sentire all’interno di quel triangolo ‘insegnante-allievo-sapere’ in cui l’insegnante è
colui che adatta alla propria classe elementi del sapere. D’altra parte la classe non era la mia,
ed io non sono (ancora..) una insegnante. Ma ho imparato da questa esperienza che la didattica
A non soddisfa né gli studenti né l’insegnante.
3)
comunicare quel che è importante. Gli allievi sono capaci di riconoscere quel che l’insegnante
implicitamente considera come importante. Mi sono resa conto, dalla correzione delle
verifiche, che tra le clausole del contratto didattico presenti gli studenti hanno percepito
l’utilità della traduzione di un problema in ambiente figurale. Molti
studenti hanno
completato la figura cercando di riorganizzare gli elementi del problema tracciando segmenti,
altezze, evidenziando angoli.
4)
dare un “voto”. È l’ultima delle ragioni per le quali valutare. Gli allievi devono avere chiaro
che valutare non è sinonimo di dare un voto. Occorre usare sempre un sistema di valutazione
che tenga in conto tanto il processo quanto il prodotto, ed è basilare che gli allievi sappiano
preventivamente il punteggio attribuito al singolo problema. Seguendo le abitudini della tutor,
abbiamo aggiunto nel foglio con i problemi per la verifica finale una griglia di valutazione,
che comprendeva nell’attribuzione del punteggio finale, la valutazione su ogni singolo
problema. Quest’ultima risultava la sommatoria dei punteggi attribuiti ai seguenti parametri, a
mio avviso significativi: interpretazione della traccia, conoscenza e utilizzo di termini e
39
simboli, conoscenza di regole, formule, principi, elaborazione concetti, applicazione
procedure, correttezza di esecuzione.
3.2)
COMPETENZE DEGLI STUDENTI A FINE TIROCINIO
La matematica non è (solo) un linguaggio, dato che non si è formata con lo scopo di comunicare
ogni tipo di pensiero dell’essere umano; il linguaggio della matematica si creò per comunicare certe
specifiche proprietà di particolari ‘oggetti’ e le loro relazioni con il mondo empirico.
In ogni apprendimento c’è un cambio di norme di comportamento, sia affettivo, sia linguistico; se
questo cambio si realizza senza conoscere il significato profondo delle proposizioni usate, è un
cambio che non avrà durata nel tempo. Una volta che smetta di aver senso la necessità di dare
risposte, si dimentica quanto “appreso”, dato che questo apprendimento viene considerato fuori dal
contesto. Smette dunque di operare la motivazione. Se, al contrario, si dà al sapere appreso una
giustificazione, per esempio gli si riconosce un senso all’interno della realtà stessa del soggetto,
allora si fornisce nell’individuo la forza di mettere in moto elementi e relazioni, facendo sì che i
cambi di comportamento permangano nel tempo.
La competenza in matematica si centra nella disciplina, riconosciuta come scienza costituita, come
oggetto proprio, specifico, di conoscenza. L’allievo entra in contatto con saperi specifici, saperi che
la società ha inglobato nelle conoscenze riconosciute come base per un dignitoso ingresso nel suo
interno; si appropria di una parte di tali saperi, tanto formalmente quanto informalmente. Si
riconosce così l’esistenza di un dominio concettuale ed affettivo che media tra l’allievo stesso e la
matematica. La competenza è qui vista all’interno dello specifico àmbito scolare.
Possiamo parlare di diverse competenze in matematica o, se si preferisce, di diverse componenti
della competenza in matematica. Nel mio tirocinio le competenze in gioco riguardano
-il dominio degli aspetti semiotici (scelta dei tratti rappresentativi dell’oggetto da rappresentare,
trattamento e conversione delle rappresentazioni semiotiche nei vari registri);
-il dominio che concerne la risoluzione di problemi (proporre e confrontare strategie, scegliere o
creare l’algoritmo adatto, approssimare,…);
- il dominio della problematica che concerne il grande capitolo della cosiddetta “comunicazione
matematica” (giustificazione, argomentazione, dimostrazione,…).
Tutti questi aspetti sono stati presi in considerazione nel proporre le verifiche (una sommativa e una
formativa), al fine di rendermi conto delle competenze acquisite. Riporto in allegato i testi per
intero, commentando qui alcuni risultati significativi raggiunti con esse, o non raggiunti. A
giudicare dai risultati delle prove mi sento di dire che gli alunni della classe IV D, alla fine del mio
40
tirocinio, hanno dimostrato difficoltà nella risoluzione dei problemi, a causa del troppo poco tempo
dedicato a tale attività (l’hanno affermato loro stessi nel questionario di gradimento, anche questo in
allegato). Hanno invece saputo dimostrare, così come era già stato insegnato loro dalla
professoressa, di saper giustificare ed argomentare i singoli passaggi (giusti o sbagliati che fossero)
e il riconoscimento dei valori degli angoli, dei lati, nella risoluzione dei problemi. Per quanto
riguarda il dominio degli aspetti semiotici, ho riscontrato una buona capacità nel passare dalla
lettura e interpretazione del testo alla rappresentazione figurale. Ma procediamo con ordine.
Dopo la prima fase, relativa ai teoremi, ho notato che nella seconda (la risoluzione dei triangoli
qualunque) non sembrava che gli studenti avessero acquisito tra le competenze quella di
individuare dati e incognite e verificare la risolvibilità del problema, e applicare il/i teoremi
opportuni. Ho deciso, quindi, in accordo con la tutor, di valutare (nel senso sopra descritto) i singoli
studenti proponendo loro un test scritto. Tra le richieste erano incluse quelle di enunciare e
dimostrare i teoremi studiati (quesiti 1 e 2) e ritrovare informazioni già note. In più, la tutor mi ha
suggerito di ‘spulciare’ esercizi in un libro di testo, alla sezione ‘Verso l’Esame di Stato’. Questi
non sono stati presi ‘tout court’ e inseriti nella verifica, ma sono stati oggetto di discussione col
supervisore, tanto che da una I versione proposta sono giunta ad una II. Il problema 4) che avevo in
mente era
Verifica che in un triangolo isoscele ABC di base BC, vale la seguente relazione:
cos 2
α
2
= senβ senγ . Nella seconda versione la relazione (che era
quella data dal libro) si è tramutata in cos 2
α
2
= sen 2γ , poiché
abbiamo pensato che essendo, in un triangolo isoscele, gli angoli
β e γ uguali, non sarebbe stato utile nel testo nascondere una
tale evidenza. In realtà, la maniera con cui gli studenti hanno risolto l’esercizio mi ha spiazzato
perché
hanno
semplicemente
detto
che
cos 2
α
2
= sen 2γ poichè
gli
angoli
β e α 2 sono
complementari. Nella prima formulazione, invece, si forzavano gli studenti ad individuare relazioni
fra altezza del triangolo ed angoli, applicando i teoremi sul triangolo rettangolo (sarebbe stato più
istruttivo!!)
Un altro esercizio pensato, in fase iniziale, era il seguente:
5) Dimostra che tra l’angolo al vertice α di un triangolo isoscele e un suo angolo alla base β
sussiste la relazione: cos α = 1 − 2 cos 2 β .
Essendo del tutto simile a quello precedente si è scelto il seguente:
41
5) In un triangolo qualsiasi ABC i lati AB e AC misurano 4 e 9. Determina la misura dell’area del
triangolo sapendo che cos α = − 3 .
5
In questo caso, una prima difficoltà degli studenti è stata
quella di disegnare un angolo il cui coseno fosse -3/5.
L’angolo è descritto dalla funzione coseno. Alcuni hanno
utilizzato
(
arccos − 3
la
5
).
calcolatrice
Altri
scientifica
hanno
disegnato
per
valutare
il
cerchio
goniometrico e hanno scritto che ‘il coseno negativo
indica un angolo nel secondo quadrante, quindi ottuso’.
Invece che ricavare il seno dell’angolo e poi applicare
subito la formula dell’area, alcuni hanno tracciato l’altezza relativa ad AB e l’hanno calcolata, poi
hanno usato la formula del biennio (base x altezza)/2.
Del compito finale (in allegato) discuto, in particolare, i primi due problemi con le relative
difficoltà, in termini soprattutto di lettura e interpretazione del testo.
1) In un triangolo isoscele ABC di base AB, sia α l’angolo alla base. Condurre la bisettrice
dell’angolo α , che interseca BC nel punto D. Sapendo che senα = 24
25
, calcolare le funzioni seno
e coseno dell’angolo ADB ed esprimere perimetro e area in funzione di AB.
Faccio notare che l’esercizio 1, preso dal compito in classe dell’anno
scorso assegnato in una classe IV del Liceo Fermi, è stato riproposto come
oggetto di valutazione nel compito in classe. Quasi tutti l’hanno sbagliato.
Ciò mi fa pensare, in primo luogo, che il problema non è stato intuito; in
secondo luogo, detto in maniera un pò brutale, che gli appunti non sono
stati letti con la necessaria attenzione per la preparazione al compito.
In questo problemi, come nel successivo, si sono riscontrati problemi nella
“capacità di lettura globale della richiesta del problema”; si è constatata una generale “mancanza di
stabilità delle conoscenze previe”, e una “mancanza di affidabilità delle tecniche operatorie” (PerrinGlorian, 1997, D’Amore, 1999, pag. 80).
Riporto, a proposito del testo di un problema, alcuni protocolli relativi all’esercizio, in cui si
interpreta il testo in maniera diversa da come l’avevo pensato. Un caso, quello di Maria, è stato un
42
caso isolato. Maria ha inteso che venissero richieste area e perimetro del triangolo ADB nel
problema. Traccia l’altezza DH e trova l’area come (base x altezza)/2.
Del problema 2): Determina il perimetro e la diagonale minore di un parallelogramma sapendo
che la diagonale maggiore misura 20 cm e forma con un lato un angolo il cui coseno è
3
, mentre
5
l’altro lato misura 18 cm,
si vedano ad esempio i protocolli di Lorenzo e Giulia. Entrambi
individuano l’angolo α come avrei fatto io, ma mentre Giulia legge bene
il testo (18 è la misura di BC, cioè ‘dell’altro lato’ come dice il testo)
Lorenzo no.
Già si può capire, quindi, quanto sia significativo ‘leggere’ bene il problema, riconoscere le
informazioni presenti, delineare il sistema di relazioni fra le grandezze che il problema presenta.
Ovviamente, la difficoltà di leggere i testi rimanda anche alla difficoltà nello scriverli.
43
Mi limito ora ad analizzare gli altri due problemi (3 e 4)
3)
In una circonferenza di raggio r è data la corda AB di lunghezza pari al lato del triangolo
equilatero inscritto e la tangente alla circonferenza nel punto B. Preso un punto P sul minore
degli archi AB, con PAB = x , sia H il punto intersezione della semiretta AP e della tangente in
B. Scrivi AP , PB , AH , HB in funzione di x.
Determina per quali valori di x è risolta l’equazione:
( AP + PB ) × HB
= 3r 2 .
4) Considera i punti C e D appartenenti alle semicirconferenze opposte rispetto al diametro
AB di una circonferenza di raggio r, tali che CBA = 2 ABD . Poni ABD = x
a. Determina l’espressione analitica del rapporto f ( x) =
CD
.
AD
b. Determina per quale valore di x la funzione risulta massima.
c. Determina per quale valore di x la funzione assume valore 1.
Questi problemi, devo dire, non sono quasi stati presi in considerazione dagli studenti, per il fatto
che hanno impiegato tempo a risolvere i primi due (ma i primi due secondo me erano più facili
44
anche in considerazione del fatto che uno l’avevamo svolto in classe!). La difficoltà maggiore era
rappresentata dai casi limite (che avevano un loro punteggio), e dal conseguente esame delle
soluzioni. L’espressione algebrica degli elementi dei problemi richiede di formalizzare le misure
delle grandezze coinvolte. Bisogna scrivere i segmenti richiesti in funzione dell’incognita x, cioè si
devono creare altrettante funzioni di x. Nell’esercizio 3) l’equazione risolvente che lo studente
cerca,
r
(
come
clausola
)
3 cos x + senx .
del
contratto
didattico,
è
la
seguente:
2r 3senx
= 3r 2
3 cos x + senx
Semplificando (con la condizione
3 cos x + senx ≠ 0 ) si ottiene 2senx = 1
L’equazione non fornisce, quindi, valori dell’incognita ma di una sua funzione. In base alle
limitazioni poste (l’equazione goniometrica presenta infinite soluzioni) si sceglie la soluzione che
appartiene all’intervallo fissato.
Nell’esercizio 4, costruito sulla tipologia di quelli degli esami di stato, si chiede di esprimere una
funzione f ( x) =
2rsenx ( 3cos 2 x − s en 2 x )
2rsenx
, che semplificata diventa f ( x) = 4 cos 2 x − 1 .
A questo punto, il trattamento algebrico finalizzato non ad una semplificazione di scrittura
(raccoglimenti, semplificazioni) ma alla quantificazione della incognita x, si ottiene risolvendo le
equazioni che si scrivono per rispondere alle domande in b) e c), rispettivamente:
cos 2 x = 1 e 4 cos 2 x − 1 = 1 .
Nel valutare personalmente i compiti, mi sono accorta che la definizione dei criteri di valutazione
costituisce il compito più importante e difficile che un insegnante è chiamato a svolgere. Può essere
un’affermazione probabilmente scontata, ma che merita tuttavia di essere ancora sottolineata: dalla
puntuale pianificazione dei metodi di giudizio, sia delle prove scritte sia dell’interrogazione orale,
dipende infatti il punteggio complessivo, che sfocerà in un ‘voto finale’, di ogni singolo alunno.
L’orientamento metodologico di chi lavora nei diversi settori del sistema scolastico consiste nel
ricorso a specifiche, puntuali ed analitiche ‘griglie di valutazione’. Ciò vale per il giudizio relativo
sia alle prove scritte sia al colloquio: se accuratamente predisposti, tali strumenti possono fornire un
sistema attributivo dei punteggi trasparente e uniforme. Per il docente, infatti, rappresentano una
garanzia di metodo che consente di valutare tutti i singoli candidati con lo stesso distacco scientifico
e con uguale rigore analitico. Di contro, si può a buon diritto affermare che le griglie di valutazione
45
costituiscono una metodologia di giudizio astratta e impersonale: nel fondare, infatti, la loro stessa
ragion d’essere su parametri valutativi quasi sempre coincidenti con la tradizionale verifica di
conoscenze, capacità e competenze, non consentono di sondare quelle caratteristiche di originalità e
creatività che molti candidati sono potenzialmente in grado di dimostrare, e spesso non arrivano a
mettere in luce alcuni buoni spunti critici personali o particolarmente originali.
3.3)
CONSIDERAZIONI
CONCLUSIVE
SULL’EFFICACIA
DEL
PERCORSO
DIDATTICO
L’ andamento, piuttosto negativo, della prova mi ha fatto riflettere sull’efficacia del percorso
didattico proposto. Mi rendo conto di aver prediletto la parte introduttiva sui teoremi, pur
sforzandomi di non aderire ad una trattazione da didattica A, e di non aver lasciato ‘spazio’ alla
implicazione personale dello studente nella parte dei problemi. Presa com’ero dalla smania di ‘tener
fede’ al progetto, cui avevo dedicato tempo in fase di progettazione, soprattutto nel distinguere
conoscenze e competenze dei singoli nuclei tematici, ho cercato, questo si, di tenere sotto controllo
gli ostacoli che man mano si presentavano nel raggiungimento delle conoscenze, ma non ho
eseguito in classe abbastanza problemi perché i modelli mentali venissero alla luce e non restassero
nascosti. Gli studenti si sono trovati disorientati dalla difficoltà della verifica sommativa,
probabilmente non ben ‘calibrata’ per le loro possibilità, o, detto meglio, rispondente al progetto
iniziale più che a quello effettivamente svolto. Avrei potuto inserirla, a ragione, in un progetto
virtuale, ma non in una ‘vera’ classe. Gli studenti stessi, nel questionario che ho chiamato ‘di
gradimento/valutazione’, consegnato alla fine del percorso, hanno riscontato questo ‘scollamento’
fra programma ‘fatto’ e presunto tale. Da un lato, infatti, mi hanno dato giudizi positivi quanto alle
informazioni fornite sul programma didattico e sugli obiettivi del percorso; dall’altro, hanno
considerato negativamente la mia capacità di gestione del tempo a disposizione. Ecco alcuni dei
commenti espressamente scritti: ‘Impossibile affrontare un nuovo argomento a inizio settimana e
trovarlo inserito nel compito in classe alla fine della settimana stessa’, e ancora ‘si dovevano
velocizzare le spiegazioni, dedicare meno tempo all’esecuzione di esercizi e calcoli’, ‘forse era
necessario andare più velocemente e fare problemi più complessi in classe per non arrivare al
compito impreparati’, ‘secondo me si è dedicato troppo tempo alla correzione dei compiti a casa’.
Che dire? Hanno ragione loro, per quanto, certo, non posso non pensare che le valutazioni ricevute
li abbiano spinti, con la massima educazione e rispetto, ad ingigantire ogni aspetto negativo. Le loro
parole rendono l’idea del mio lavoro preciso di ‘revisione dei compiti a casa’, per assolvere alla
clausola del contratto didattico che vuole far ‘perdere’ un po’ di tempo all’insegnante in ogni
lezione, attraverso la correzione dei compiti.
46
Un altro aspetto che mi premeva far notare, e che è più lusinghiero per cui mi permetto di citarlo, è
una sorta di ‘scusante’, da parte di qualcuno, per la brutta performance nel compito. Trovo scritto:
‘il percorso si è svolto, a mio modesto parere, sufficientemente. Non è andata per noi al meglio
anche perché noi siamo abituati a seguire le lezioni della nostra prof che sono abbastanza differenti
e un pò più chiare’. Al di là della estrema delicatezza di questo commento, indice di grande
sensibilità del ragazzo (che ho individuato dalla grafia), colgo, a fine percorso, la ‘preoccupazione’
della tutor di abituare i ragazzi a registri differenti. Così come ci sono difficoltà nella lettura e
comprensione di un testo scritto, che spesso viene tradotto in un linguaggio diverso da quello di chi
l’aveva pensato, così è anche per la traduzione orale di concetti e simboli. Mi ha preoccupato
raccogliere, alla voce ‘linguaggio usato’, giudizi mediocri, che devo in qualche modo poter
‘recuperare’ perché capiterà, soprattutto agli inizi della mia attività da insegnante, di supplire altri
professori per periodi più o meno lunghi. Per questo, ‘temo’ (perché non è detto che sia un processo
immediato) di dover far ricorso all’esperienza, sperando di non procurare danni. D’altra parte, come
dico sempre per tirarmi su il morale, siamo figli di una generazione di insegnanti che non ha avuto
la fortuna di seguire corsi SSIS e tirocini formativi…. veniva spedita direttamente in classe…..
eppure, se amiamo la matematica e la fisica….siamo ‘cresciuti bene’ lo stesso anche grazie a loro!
Con questo, e concludo, non voglio dire che la SSIS non sia utile, anzi!, è stata per me una fortuna
poter venire a conoscenza della ricerca in didattica delle varie discipline, di cui ignoravo
completamente l’esistenza. Mi sono divertita a leggere articoli di ricerca, dove ho trovato stimoli e
suggerimenti per rendere veramente una didattica di tipo B, e non A. Dico solo che tutto ciò non
basta. Bisogna stare con gli studenti per indagare le loro conoscenze pregresse e partire da lì per
costruire conoscenza. ‘Cominciate dunque dallo studiare meglio i vostri allievi, poiché certamente
non li conoscete per nulla’ ammonisce Rousseau, e allora mi perdonino i professori se questa tesi
non è perfetta nell’analisi didattica del mio intervento in classe perché…è solo l’inizio!!!...
47
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Documenti:
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26. QUADERNI ed Atti pubblicati dal Ministero della Pubblica Istruzione. Le Monnier.
Libri di testo:
27. DODERO N., BARONCINI P., MANFREDI R., Nuovi elementi di matematica per il triennio
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28. ZWIRNER G., SCAGLIANTI L. Pensare la matematica. CEDAM, 1993.
29, BERGAMINI M., TRIFONE A., BAROZZI G., Corso base di matematica. Zanichelli, 2005.
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