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Pubblicato il 13 Marzo 2017
L'opera di Georges Bizet andata in scena con successo nel Teatro Verdi di Trieste
Perle da Les pêcheurs de perles
servizio di Rossana Poletti
TRIESTE, Teatro Verdi - Ha debuttato al Verdi di Trieste Les pêcheurs de perles (I pescatori di perle ) di
Georges Bizet. Il titolo richiama a mondi lontani, di stravaganti costumi. Nella seconda metà
dell’Ottocento esplode infatti la mania per tutto ciò che proviene da Oriente. Basti pensare al grande
gusto per l’esotico che si diffuse grazie alla pittura di Henri Rousseau, il quale trasportava sulle tele
fantastici mondi vegetali e animali, creando aspettative di viaggio per i primi turisti facoltosi. In quel
secolo inoltre i grandi esploratori ritornavano da mondi lontani, popolati da tribù di primitivi che ancora
dovevano combattere con la natura per la loro sopravvivenza. D'altronde nel Settecento un altro
Rousseau, Jean-Jacques, padre degli studi sulla diseguaglianza degli uomini, aveva concepito il mito
del buon selvaggio, aprendo la strada verso una comprensione dell’umanità e di un mondo
sconosciuto, che aveva infiammato i più grandi pensatori dell’epoca, ma era stato anche d’impulso verso il Romanticismo,
che tanto amò l’esotico. La lirica non fu avulsa da queste lontane sirene; Puccini scrisse due suoi grandi capolavori
ambientati in paesi che soltanto da poco venivano conosciuti dal grande pubblico: Madama Butterfly e Turandot, Giappone e
Cina. Ma con il grande compositore toscano siamo già nel Novecento e il fenomeno si è già evidenziato in tutte le sue forme
artistico-culturali, anzi possiamo dire che stia lentamente scemando. Georges Bizet anticipa questi capolavori, come pure
l’Aida di Verdi del 1871, con Les pêcheurs de perles, opera lirica in tre atti del 1863, su libretto di Michel Carré e Eugène
Cormon. Ha solo 25 anni, il giovane compositore francese, e ne vivrà 37 soltanto, il tempo per dare vita alla sua più celebre
opera, Carmen , che lo renderà immortale.
N e i Pescatori di perle c’è però già tutta la capacità artistica di Bizet, anche se mette in scena un libretto a dir poco
sconclusionato, ai limiti dell’incomprensibile: gli stessi autori ammetteranno successivamente di averlo buttato giù senza
convinzione, avendo sottovalutato le qualità del compositore. L'opera gli viene commissionata da Léon Carvalho, direttore del
Théâtre Lyrique di Parigi, in un momento in cui Bizet vive con grandi difficoltà ed è disposto a tutto pur di continuare a
comporre. Il pubblico accredita ai Pescatori di perle un certo successo, ma la critica lo accoglie con freddezza alla prima del
29 settembre 1863. L’opera resta in cartellone fino alla fine di novembre, poi scompare.
Il compositore apporterà alcune modifiche alla partitura, ma non avrà mai la possibilità di rivedere l'opera in scena, che verrà
ripresa soltanto dopo la sua morte.
In Italia la fortuna dell’opera fu dovuta alla romanza del tenore Je crois entendre encore (Mi par d'udire ancor) che diventò il
cavallo di battaglia dei più grandi tenori lirico-leggeri a partire da Tito Schipa. Nella Trieste asburgica I pescatori di perle fu
allestita nel 1890 con Fanny Toresella nei panni di Leila. Bisognerà poi attendere il 1947 per vederla riproposta.
Se il limite dell’opera è il libretto, la musica di Bizet è invece piena di colori e sfumature, di guizzi e acque placide, capace di
trasmettere tutti i cambiamenti emozionali che la storia richiede, carica di sensualità ed esotismi. Ma non la si può liquidare
con un unico brano, quello di Nadir al primo atto, anche se straordinariamente struggente, perché Bizet confeziona almeno
altre tre arie: O Dieu Brahma interpretata da Leila con il coro sempre nel primo atto, De mon amie, fleur endormie da Nadir
nel secondo e O Nadir, tendre ami de mon jeune âge da Zurga nel terzo atto. E poi ancora i sorprendenti cori Sur la grève en
feu dell’incipit e L'omb re descend des cieux nel secondo atto. A questo si aggiungano i duetti di Zurga e Nadir Au fond du
temple saint (atto I) e quello di Leila e Nadir Ton cœur n'a pas compris le mien (atto II). A sottolineare che l’opera è un
continuum di pezzi importanti nei quali si alternano i tre protagonisti: Leila, la giovane sacrificata alla dea, attraverso la
preghiera e una vita di “clausura”, e i suoi due innamorati Nadir e Zurga (capo dei pescatori); il secondo dei due morirà per
lasciare gli altri scappare liberi, dopo averli condannati a morte, non tanto perché scoperti a tradire il voto, ma soprattutto per
la sua folle gelosia.
I critici dell’epoca scrissero che di pescatori e perle non se ne vede l’ombra. In realtà la storia si svolge nell'isola di Ceylon
(oggi Sri Lanka), in un villaggio sul mare, gli uomini sono pescatori sulla terra ferma, attenti ad interpretare le forze della
natura e a placarle con le preghiere alla divinità; Leila porta al collo un filo di perle, che consegnerà a Zurga perché le dia alla
madre dopo la sua morte. Zurga le riconosce, la collana è quella che lui, fuggiasco, ha donato alla bambina, a cui deve la
vita. Salverà quindi la ragazza e per questo morirà accusato di tradimento dal quarto protagonista, il sacerdote Nourabad.
I cantanti che l’allestimento della Fondazione Teatro Verdi di Trieste mette in campo sono quattro talenti, a partire dal baritono
Domenico Balzani (Zurga), recentemente impegnato a Trieste nel ruolo di Bartolo del Barbiere di Siviglia e anche in quel
caso applaudito calorosamente. Straordinaria l’interpretazione di Leila del giovane soprano Mihaela Marcu, convince
l’assolo di Jesus Leon (Nadir ), il tenore messicano alla sua prima volta al Verdi di Trieste. Ottima l’interpretazione di
Gianluca Breda nei panni del sacerdote Nourab ad .
Agguerrito ed efficace il Coro del Verdi diretto da Francesca Tosi, come pure risulta perfetta l’esecuzione orchestrale sotto la
direzione del maestro Oleg Caetani.
Vero colpo d’occhio le scene di Giorgio Ricchelli: un’ondulata spiaggia bianca che attende l’arrivo della predestinata alla dea,
la spiaggia con una grande testa di pietra della divinità, un tempio divorato dalla foresta, come quelli che si pararono alla
vista dei grandi scopritori dell’Ottocento appunto, di cui permangono tracce evidenti ad esempio nel grande complesso
cambogiano di Angkor Wat, e per concludere con la scena della morte in cui troneggia un enorme albero a cui è incatenato
Nadir e sotto il quale morirà invece Zurga. La regia di Fabio Sparvoli è ripresa da Carlo Antonio de Lucia.
Altra chicca dello spettacolo i variopinti costumi in stile indiano di Alessandra Torella e il trucco dei ballerini, che nell’ultima
parte entrano in scena con il corpo interamente dipinto di blu e vistosi occhi dorati.
Lo spettacolo convince nella sua totalità, piace e il pubblico applaude e non fa mancare dal loggione la sua approvazione. In
scena fino al 18 marzo 2017.
Crediti fotografici: Fabio Parenzan per la Fondazione Teatro Verdi di Trieste
Nella miniatura in alto: Mihaela Marcu (Leila) grande protagonista
Al centro: Jesus Leon (Nadir) e Domenico Balzani (Zurga); ancora la Mihaela Marcu
Sotto: panoramica di Fabio Parenzan sull'allestimento
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