Laura Quercioli-Mincer Filiazione diretta dell’Ottocentesca Wissenschaft des Judentums (scienza dell’ebraismo), gli studi ebraici costituiscono ancora un campo non ben definito, la cui stessa definizione è frequentemente posta in questione. Risale infatti solo alla fine del 2002 la pubblicazione dello Oxford Handbook of Jewish Studies, che raccoglie trentanove saggi di autori diversi, su tematiche che vanno dalla demografia alla letteratura rabbinica, dall'antisemitismo all'architettura, e costituisce il primo tentativo moderno di delimitare e al contempo dare una prospettiva generale alla disciplina – o all’ambito di discipline – raggruppabile sotto questa denominazione. È interessante la separazione attualmente proposta in ambito tedesco fra Judaistik e Jüdische Studien, dove nella prima accezione si vedono gli studi ebraici come un’unità complessiva, che premette per tutti i cultori la conoscenza dell’ebraico e delle fonti antiche, mentre nella seconda si accetta la validità di studi di ambito moderno, che prescindano, almeno in parte, dalle conoscenze tradizionali. In Italia potrebbe delinearsi una situazione analoga per quanto concerne da una parte gli studi di giudaica o giudaistica e, dall'altra, gli studi ebraici. Nei paesi anglosassoni con il termine di Jewish Studies si è soliti intendere entrambi gli orientamenti e in genere tutto ciò che abbia attinenza con lo studio della cultura ebraica nella sua accezione più vasta. È noto che lo studio dei testi sacri è la base dell’ebraismo tradizionale. Il tipo di impegno etico e religioso implicito in questo tipo di studi lo differenzia però da un approccio critico e scientifico dove “almeno in linea di principio non ci ponga nessun altro obbiettivo oltre alla ricerca della verità” (Goodman 2002, p. 3) È però difficile immaginare un approccio alla cultura ebraica che prescinda da un alto 1 livello di ideologizzazione, così come è necessario ammettere che “un approccio completamente obiettivo alla cultura ebraica non è mai stato possibile” (Goodman 2002, p. 13). La situazione è resa ancora più complessa dal fatto che anticamente e in sostanza fino al XIX secolo gli studi ebraici furono essenzialmente opera di studiosi cristiani che indagavano le radici ebraiche del Nuovo Testamento e fino a tempi recenti restarono rare le cattedre in studi ebraici non legate all’esegesi cristiana. L’idea di sottoporre i testi biblici ed ebraici a uno studio critico e all’applicazione dei moderni metodi di ricerca che sta alla base della Wissenschaft des Judaismus era cominciata a circolare fra i giovani intellettuali ebrei tedeschi fra il 1810 e il 1820, come risultato del movimento illuministico ebraico (Haskalah), fondato a Berlino. Strettamente legata ai movimenti per l’emancipazione politica degli ebrei, la scienza dell’ebraismo ebbe un significato fondamentale sia nello sviluppo degli studi relativi al mondo ebraico che per l’autocoscienza ebraica, suscitando però, fino a tempi recenti, un interesse molto limitato nella società esterna. Leopold Zunz, che della Wissenschaft des Judentums fu fondatore e simbolo, si era proposto uno scopo duplice: evitare che l’assimilazione causasse la scomparsa del patrimonio culturale ebraico e allo stesso tempo favorire l’unità spirituale di questo popolo, per “conquistare agli ebrei uno status riconosciuto e paritario nel mondo culturale” (Dinur 1971, p. 572). Da questo punto di vista si è parlato spesso di un totale fallimento della Wissenschaft des Judentums. Secondo la periodizzazione proposta dall’Encyclopedia Judaica, la storia della Wissenschaft des Judentums (intesa in alcuni casi come sinonimo di Studi ebraici) può venir suddivisa in quattro generazioni. Dal 1822 al 1854, ossia dall’apparizione della rivista di Zunz Zeitschrift fur die Wissenschaft des Judentums fino alla creazione dello Jüdisches Theologisches Seminar di Breslavia (il primo centro accademico dedicato a studi ebraici) è l’epoca dei fondatori; dal 1854 al 1896, la generazione del consolidamento, che termina con la scoperta della Genizah, gli archivi della sinagoga del Cairo; dal 1896 al 1925, la generazione della 2 confusione, periodo che dura fino all’apertura dell’Istituto di Giudaistica dell’Università ebraica di Gerusalemme. La quarta fase, che dura ancora oggi, ha visto il passaggio dalla scienza del giudaismo alle scienze ebraiche e, nonostante le catastrofi della seconda guerra mondiale, viene definita di rinnovamento e crescita. Uno dei primi traguardi posti dai cultori della Wissenschaft des Judentums fu la creazione di una facoltà universitaria dedicata a questa disciplina. La sua mancanza (dovuta anche all’opposizione strenua posta da ambienti ecclesiastici) costituì uno dei problemi fondamentali della generazione dei padri fondatori, costretti ad esercitare mestieri diversi (insegnanti di scuola, rabbini, commercianti); il solo Samuel David Luzzatto, influente biblista e filosofo, insegnante al collegio rabbinico di Padova, professava un’attività analoga ai suoi interessi scientifici. Solo nella seconda metà dell’Ottocento il seminario di Breslavia, alla cui creazione si erano dedicati gli sforzi congiunti di una generazione, poté servire da esempio per la fondazione di centri di studio simili: a Berlino, Vienna, Parigi, Londra e Budapest. In questo periodo videro la luce numerosi periodici: al Monatschrift di Zunz si affiancò, nel 1880, la Revue des Etudes Juives, tuttora pubblicata, a cui presto si aggiunsero almeno una ventina di pubblicazioni dedicate alla scienza del giudaismo redatte anzitutto in tedesco, in inglese e in ebraico. Il terzo periodo fu caratterizzato da una fase di ripiegamento. Una linea di separazione molto netta fra studiosi ebrei e cristiani e fra i due diversi metodi di affrontare gli studi biblici rese difficile o impossibile ogni collaborazione fra specialisti, a volte tuttora divisi nella concezione generale della disciplina. Nella seconda metà dell’Ottocento la nascita e l’espansione dell’antisemitismo politico approfondì ulteriormente questa distanza, nonostante l’ingenua convinzione di molti studiosi ebrei del tempo, secondo cui la conferma scientifica di un radicamento ebraico nella storia e nello sviluppo culturale dei paesi di residenza li avrebbe automaticamente assolti dalle accuse rivolte loro. Ai primi anni del XX secolo possiamo datare, oltre alla scoperta della Genizah, l’affermarsi della cultura laica in yiddish (del 1912 è la fondazione dello YIVO, Yidisher Visnshaftliker Institut, con sede prima a 3 Vilna ed oggi a New York), e la pubblicazione delle prime enciclopedie: la Jewish Encyclopaedia e la Yevreyskaja Entsiklopedia. Nel 1925 venne fondato l’Institute for Jewish Studies presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Nello stesso anno, negli Stati Uniti, Harvard si fa vanto di aver istituito la prima cattedra in Jewish Studies, la Nathan Littauer Professorship of Hebrew Literature and Philosophy. Negli anni Trenta, nei paesi di orbita nazi-fascista e in URSS, i piccoli successi della Wissenschaft des Judentums , passati quasi inosservati in ambito non ebraico, vennero rapidamente cancellati dalle restrizioni razziali. Lo stesso avvenne dopo il 1945 nei paesi del blocco sovietico, dove una rinascita di studi ebraici, spesso rigogliosa, si è avuta solo dopo il 1989. La tragedia della seconda guerra mondiale e la nascita, nel 1948, dello Stato d’Israele cambiarono radicalmente la posizione degli ebrei nel mondo. Negli Stati Uniti, a partire dagli anni Sessanta, i Jewish Studies andarono affermandosi accanto ai Gender studies, poggiando però sulle solide basi teoriche poste dagli iniziatori della Wissenschaft des Judentums . In quegli stessi anni questi studi cominciarono inoltre a diffondersi rapidamente non solo in paesi con una forte presenza ebraica tradizionale (oltre a Israele, negli Stati Uniti, in Inghilterra e quindi in Francia e Argentina) ma anche in luoghi dove la presenza ebraica era sempre stata limitata o inesistente, come il Giappone o la Corea. È possibile presupporre che la diffusione degli studi ebraici sia dovuta anche in parte al senso di colpa del mondo occidentale rispetto allo sterminio ebraico e d’altra parte, anche se forse in misura minore, al nuovo coinvolgimento sociale e politico verso l’area mediorientale. Va inoltre notato che agli occhi di molti “gli ebrei non soltanto si trovano a godere, sul limitare del moderno, di una nuova e promettente libertà, ma possono coniugare quest'ultima con una tradizione e una cultura ‘forti’ che li rendono avvantaggiati rispetto alla ‘lotta per l'identità’ che si scatena nelle società delle plurime soggettività politiche” (Chamla 1989, p. 117). L'interesse inaspettato che, nella seconda metà del Novecento, gli studi ebraici iniziano a suscitare anche al di fuori della comunità di origine può essere infatti meglio compreso alla luce del dibattito attuale 4 sull’identità e le definizioni. Si tratta di tematiche che, almeno a partire dall’Ottocento, sono state centrali nella storia e nel pensiero ebraico, che si è trovato così a precorrere l’inclinazione attuale per le ricerche identitarie, per le contaminazioni e le tematiche di confine. Anche grazie a ciò la cosiddetta identità ebraica, la più stratificata e complessa del mondo occidentale, può apparire invidiabilmente coesa e comunque in grado più di altre di affrontare le complessità molteplici delle società contemporanee. In sostanza, i Jewish Studies finiscono per coprire praticamente ogni ambito della storia di vasta parte del Medio Oriente, dell’Europa e dei vari paesi della diaspora ebraica, e possono riguardare tutte le discipline umanistiche che sono entrate in rapporto con il pensiero e l’attività ebraica. Un loro compendio indispensabile – seppur non aggiornatissimo – è quello offerto dalla Encyclopedia Judaica, dove storia e cultura ebraica vengono presentate come un insieme sostanzialmente organico ed unitario. È anche possibile però un panorama sulla storia ebraica – come quello proposto dall’edizione russa di un’enciclopedia analoga, tuttora in preparazione presso l’Università ebraica di Gerusalemme – che ne evidenzi maggiormente l’interazione con le vicende del paese ospitante. In genere molti degli argomenti trattati nell’ambito dei Jewish Studies non possono essere studiati astraendo dalle relazioni con il mondo non ebraico, che spesso – ad esempio in tutte le forme artistiche moderne – ne costituisce il punto di riferimento centrale. In ambito accademico gli anni Ottanta del ventesimo secolo, in particolare in area anglosassone e in Israele, sono caratterizzati dall’ingresso delle donne, prima quasi completamente assenti da questa disciplina, e dall’affermarsi degli studi di genere, che tendono a diventare parte integrante degli studi ebraici. In questi stessi anni l’Olocausto diventa “uno degli eventi della storia del ventesimo secolo più frequentemente citato nei dibattiti pubblici, nei media e nei programmi educativi dell’intero mondo occidentale” (Friedlander 2002, p. 431). Anche in questo campo, seppur con molte polemiche, si sviluppa recentemente una ricca storiografia di genere. Secondo le sue 5 sostenitrici lo studio di modelli differenziati nelle attitudini di persecutori e vittime, piuttosto che introdurre distinzioni fittizie, serve a “condurci a una comprensione più ricca e più finemente articolata dell’Olocausto” (Ofer, Weitzman 1998, p. 17). Nonostante gli innegabili successi degli ultimi decenni, gli studi sull’Olocausto mostrano ancora alcune lacune. Secondo Friedlander, ad esempio, la storiografia riguardante le vittime soffre di una parziale insularità causata da un non voluto monopolio degli storici ebrei. Si avverte inoltre la mancanza di seri studi comparati fra il genocidio ebraico ed altre simili catastrofi. La forte politicizzazione di questi studi, effetto inevitabile della peculiarità della situazione ebraica, fa sì che sia tuttora spesso riscontrabile un conflitto fra l’impostazione proposta dai docenti ebrei e dai non ebrei, dove, molto sommariamente, si può riconoscere nei primi il desiderio di accentuare l’aspetto di continuità del popolo ebraico. L’impegno etico e interiore quasi sempre richiesto dagli studi umanistici è certamente amplificato nel caso degli studi ebraici. Alcune università offrono questo corso di studi in particolare agli studenti ebrei, come supporto nella ricerca del sé; a volte le stesse cattedre si propongono come punto di mediazione dove mitigare la violenta polarizzazione del mondo ebraico odierno o di incontro con gli studenti islamici. Nel 1969, a riprova delle diffusione degli Studi Ebraici, viene fondata negli Stati Uniti la Association for Jewish Studies, che oggi conta ben milleseicento associati. Nel 1982 nasce il suo ramo europeo, la European Association for Jewish Studies. Ciò nonostante la maggior parte degli studiosi continua ad operare in isolamento dai propri colleghi, mentre molte indagini importanti (in particolare di storia locale o di genealogia) sono tuttora svolte in maniera a volte amatoriale e al di là dei circoli accademici. Dopo quasi duecento anni dalla nascita della scienza dell’ebraismo non ovunque questi studi hanno conquistato il riconoscimento adeguato. In Italia in particolare, nonostante il moltiplicarsi di centri di studi ebraici in varie sedi universitarie e la crescente richiesta da parte degli studenti, 6 non esistono dipartimenti dedicati a questi studi né enti o fondazioni in grado di offrire sbocchi professionali ai ricercatori. Il diffondersi di questa disciplina in Italia risale agli anni Sessanta del Novecento ed è, secondo alcuni studiosi (Perani), motivato anche dalla promulgazione da parte del Concilio Ecumenico Vaticano II della dichiarazione Nostra aetate (1965), nella quale la Chiesa opera “una diametrale inversione di tendenza, abbandonando gli stereotipi, durati quasi duemila anni, dell’accusa di deicidio verso il popolo ebraico e della teologia della sostituzione di Israele come popolo”. Solo nel 1979, però, con la fondazione, ad opera di alcuni ebraisti dell’Università di Bologna, della Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (AISG), gli studi ebraici trovano una collocazione, benché tuttora frammentaria, in ambito accademico. Le pubblicazioni periodiche dedicate agli studi ebraici nel loro complesso sono poco numerose. Delle diverse decine di riviste scientifiche dedicate a tematiche ebraiche infatti la maggior parte riguarda un unico settore. In Italia, in particolare negli ultimi anni, fa eccezione La Rassegna Mensile di Israel (1925), che riunisce saggistica relativa ai più svariati aspetti della cultura ebraica. Più settoriali le altre pubblicazioni: Henoch. Studi storico-filologici sull’ebraismo (1979), Materia giudaica, rivista dell’AISG (1996) e Zakhor. Studi sulla storia degli ebrei d’Italia (1997). Sono spesso particolarmente importanti le riviste e i gruppi di discussione via internet, che sembrano offrire un terreno concettualmente adatto a studi tanto stratificati, in continua e fluida evoluzione. (Cfr. anche American memory, Antropologia interpretativa, Critica letteraria femminista, Écriture féminine, Frauenliteratur, Gender history, Imagologia, Identità transnazionali, Memoria culturale, Multiculturalismo, Studi sulla migrazione, Studi sulle minoranze, Studi sulla traduzione, Subaltern studies, Storia delle mentalità, Storia della cultura, Women’s studies, Xenologia) 7 Giudaistica/Studi ebraici, Identità, Olocausto, Senso di colpa, Wissenschaft des Judentums, Wissenschaft des Judaismus. http://jewish-studies.virtualave.net/ http://jnul.huji.ac.il/rambi/ http://libnet1.ac.il/~libnet/rmb/rmb.htm http://users.ox.ac.uk/~eajs/ http://www.aisg.it. http://www.biu.ac.il/JS/JSIJ/ca.htm http://www.brandeis.edu/ajs/ http://www.h-net.org/~judaic/ http://www.jewish-studies.org http://www.mucjs.org/links.htm http://www2.h-net.msu.edu/~judaic/ AJS Review, (1969-), New York, Cambridge UP. Chamla, M., 1989, “Figure ebraiche della modernità”, in D. Bidussa, a cura, Ebrei moderni. 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